Cinema e neuroestetica

June 30, 2017 | Autor: Giuliano Capani | Categoria: Cinema, Cinema Studies, Psicologia Cognitiva, Neuroestética
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da: Giuliano Capani "Magia del Cinema" Aracne editrice, Roma, 2007

Cinema e comunicazione

5.5 La neuroestetica Nel 1994 compare sul numero 117 della rivista di neurologia “Brain” un articolo a firma di Mathew Lamb e Semir Zeki - “The Neurology of Kinetic Art” - che segna la ripresa di quella tradizione di estetica scientifica su citata, spostando il fuoco dalla psicofisiologia alla neurobiologia. Specialista di neuroanatomia, Zeki è dal 1987 professore di Neurobiologia all’University College di Londra, e dal 1995 co-direttore del Wellcome Laboratory of Neurobiology. Esperto dei processi del cervello visuale, Zeki sviluppa le sue ricerche neurologiche in direzione del mondo delle immagini visive artistiche, raccogliendole in una prima densa sintesi nel 1999 nel volume “La visione dall’interno. Arte e cervello”54. Nel 2001 fonda l’Istituto di Neuroestetica, associato al Wellcome Laboratory operativo in parte a Londra in parte a Berkeley (si veda il sito http://www.neuroesthetics.org). Fra gli obiettivi principali delle attività dell’Istituto vi è quello di stabilire i fondamenti biologici e neurobiologici dell’esperienza estetica.

Anche la cultura neurologica italiana si è precocemente interessata ai fondamenti neurofisiologici dell’esperienza artistica: nel 1995 usciva per Zanichelli il volume “Arte e cervello”, scritto da Lamberto Maffei (professore di Neurobiologia presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, direttore dell’Istituto di Neuroscienze del CNR e vicepresidente dell’Accademia dei Lincei) con Adriana Fiorentini. Lo studio si propone di esplorare le proprietà e le caratteristiche del cervello che entrano in gioco nella valutazione di un’opera d’arte, approfondendo in particolare il rapporto fra la neurofisiologia della visione e la nostra esperienza del colore nelle immagini fisse della pittura, senza però trascurare le immagini in movimento del cinema e della televisione. Il citato neurobiologo Semir Zeki, in un’intervista rilasciata ad Andrea

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Zeki Semir, La visione dall’interno. Arte e cervello, Bollati Boringhieri, 2003

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Cinema e comunicazione

Lavazza, così si esprime su questo nuovo orientamento che sembra unire filosofia e scienza: «Si tratta di un campo relativamente nuovo, il cui obiettivo è esplorare l’attività cerebrale che sta alla base della creatività e del godimento dell’arte. La sua premessa fondamentale consiste nel fatto che tutta l’attività umana è un risultato dell’attività del cervello e obbedisce alle leggi del cervello. Per questo, solo comprendendo le basi neuronali della creatività e dell’esperienza artistica possiamo sviluppare una valida teoria estetica. Ciò è possibile grazie agli spettacolari progressi compiuti dalle neuroscienze negli ultimi vent’anni. Oggi possiamo chiederci quali sono le condizioni neuronali coinvolte nell’esperienza soggettiva della bellezza. Tra le acquisizioni principali della neuroestetica spicca la convinzione che i nostri cervelli (almeno a un certo livello) siano organizzati fondamentalmente nello stesso modo. Ma è anche ovvio che persone diverse dinanzi alla stessa opera d’arte rispondono in maniera diversa. La variabilità umana è un tema poco studiato in genere, e io spero che la neuroestetica possa dare un contributo in questo senso»55.

Il famoso neuroscienziato indiano V.S. Ramachandran sostiene che il comportamento artistico sia dovuto ad un eccesso di connessioni sinaptiche che si traducono nella capacità di collegare concetti apparentemente non correlati e propone dieci leggi universali dell’arte per comprendere, in una visione direi antropologica, quali possano essere le ‘regole’ del comportamento artistico.56 Lo studio di Ramachandran è un interessante sguardo al mondo dell’Arte del quale solo i critici di estrazione preminentemente umanistica fino ad ora se ne erano occupati e sicuramente la interdisciplinarità del sapere potrebbe portare contributi determinanti in questo settore che sembra abbia vissuto per lungo tempo in un isolamento quasi patologico. D’altronde l’artista-pazzo, incompreso, imprevedibile, ha sempre conservato il suo fascino.

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Tratto da: http://www.camoillaonline.com/archives/2003/12/000523.html V.S. Ramachandran, Cosa sappiamo della mente, Mondadori, 2004, pag. 46

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Cinema e comunicazione

5.6 L’artista è un trovatore Una delle caratteristiche del comportamento artistico è quello di proporre forme di comunicazione non usuali, non quotidiane57 che siano capaci di provocare una sorta di corto-circuito del pensiero dal quale poi ‘scintilleranno’ nuovi significati e nuove associazioni di idee. L’artista in un certo senso è un trovatore o meglio un inventore di senso. È indubbio che ogni comportamento umano abbia uno scopo e quindi crei delle aspettative in relazione al raggiungimento dello scopo stesso. Queste aspettative non provengono soltanto dalla parte di chi agisce, (l’attore), ma anche da chi osserva (lo spettatore). Nel comportamento quotidiano (logica asimmetrica) vi è una sorta di mediazione, di negoziazione sociale, che guida i comportamenti affinché questi possano essere confrontati, accettati e compresi. Ad esempio, se arrivo in mezzo ad una piazza, sistemo a terra un panchetto e ci salgo sopra, la gente si aspetterà che io abbia da dire qualcosa che interessi tutti gli astanti. Il comportamento artistico (pensiero bilogico) è fuori da tale negoziazione, l’artista non negozia con l’utente. Rompe e diverge in continuazione le aspettative della gente. L’artista produce un significante, una forma, secondo limiti che si pone da solo. Negozia con se stesso, per vedere se la forma scelta (il significante) sia appropriato al significato che egli vuole esprimere, qualunque esso sia. Proseguendo l’esempio di prima, se salgo sul panchetto e mi metto a fare delle bolle di sapone così deliziosamente variopinte che di una di queste me ne innamoro e mentre tento di baciarla questa scoppia inondandomi il viso di liquido facendomi piangere disperatamente… è il tema della solitudine o della perdita degli affetti che sto comunicando, ma in maniera artistica, simbolica e non quotidiana. In questo caso le aspettative della gente subiscono una deviazione di senso e ‘vedono’ il comportamento artistico oltre il significato delle azioni in se stesse. Questa deviazione di senso è uno degli elementi su cui si basa l’arte. 57

V.S. Ramachandran parla di ‘Iperbole’ come una delle 10 leggi universali sull’Arte e consiste, secondo l’autore, nell’esagerare un elemento della rappresentazione artistica per renderla non realisticamente quotidiana conferendole quel valore aggiunto che la contraddistinguerebbe come arte.

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Cinema e comunicazione

La natura di questa ‘deviazione’ risiede in quell’atto magico capace di trans-formare le cose, cioè di creare le metamorfosi semantiche (metafore e metonimie) che consentono di associare cose e pensieri anche tra loro diversi e lontani. 5.7 L’artista e il consenso implicito collettivo Ogni artista sceglierà di porsi in uno spazio comunicativo condiviso ed avrà almeno due possibili forme d’espressione: la piena aderenza ai significanti condivisi e accettati dalla grande maggioranza dei possibili utenti, in questo caso abbiamo la mimesi della realtà comunicativa più diffusa (l’arte come mimesi della realtà: il realismo). O può sperimentare nuove forme di comunicazione che vadano oltre la mimesi, rompano gli schemi comunicativi per esplorare nuovi orizzonti. In tutti e due i casi egli opera in un sistema di consenso implicito collettivo in cui la sintonizzazione attore-spettatore avviene grazie a quella convenzione illusoria di cui abbiamo parlato innanzi. L’artista mimetico trova un immediato riscontro: ogni spettatore è in grado di comprendere il messaggio artistico che tuttavia, a differenza di quello della comunicazione quotidiana, non è soggetto a negoziazione ma è concluso una volta emesso: nessuno spettatore potrebbe cambiare l’opera d’arte qualunque essa sia, teatro, cinema, pittura. Ciò vuol dire che il prodotto artistico (anche quello mimetico più condiviso) è sempre una proposta verticale.

L’artista concettuale, invece, deve effettuare una scelta duplice per sperimentare forme di comunicazione che presentino uno scarto rispetto a quelle quotidiane, egli ricerca proprio nella rottura dei canoni comunicativi nuove forme drammatiche che producano veri e propri ictus, tagli, cesure, conflitti nella maniera quotidiana di guardare la vita e propone altre modalità di osservazione.

L’abilità risiede nel trovare una forma comunicativa in grado di essere riconosciuta sì come ‘altra’, ma frutto di scelte intelligenti, non di banalità. Una scelta consapevole, cioè frutto di scelte volute, non casuali ma coerenti con tutta l’opera e l’esperienza culturale di quell’artista. La sua azione ha una caratteristica essenziale: l’autonomia (ovvero la libertà) dai sistemi di attesa condivisi. L’apprezzamento del pubblico, (cioè l’accettazione della comunicazione) dei colleghi artisti e dei critici non è legato alla

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Cinema e comunicazione

capacità (o incapacità) di tali gruppi di comprendere il messaggio emesso dall’artista, ma è la conseguenza diretta della sua scelta che ha selezionato coscientemente un gruppo di destinatari in grado di comprendere la sua opera escludendone gli altri. L’artista ‘incompreso’ ha semplicemente sbagliato nella scelta del punto del continuum in cui mettere il limite dei propri scarti comunicativi, che possono risultare troppo sfasati rispetto alla sua previsione di accettazione della comunicazione stessa, cioè non ha incontrato la ‘sintonizzazione’ con i riceventi.

Un esempio sono i film di Luis Buñuel (si pensi Un chien andalou citato) che ci presentano realtà e comportamenti a prima vista normali, quotidiani e realistici ma sono gli intrecci che si avvicendano sullo schermo a rendere questa realtà su-reale costruendo continuamente eccessi di senso e rimandi di significato tanto da farla sembrare onirica, ma in questo sogno illusorio troviamo forse una più profonda verità: Buñuel nelle sue opere riesce a smascherare gli apparati ideologici che si celano nella società. Come nel film L’angelo sterminatore (1962) dove un cartello didascalico d’apertura ci avvisa che: «Se il film che state per vedere vi sembra enigmatico e incongruente, anche la vita lo è. È ripetitivo come la vita e, come la vita, soggetto a molte interpretazioni». Questa coincidenza dichiarata tra racconto cinematografico e vita, che per Buñuel è una costante, ci riporta alle nostre considerazioni precedenti per cui l’arte è quello sguardo sulla vita capace di farci vedere le verità che non scorgiamo nel normale guardare quotidiano. Uno spiraglio follemente cosciente nella normale incoscienza quotidiana. L’arte è certamente una comunicazione complessa che provoca sinestesie58 nei nostri recettori sensoriali: infatti un evento artistico più che guardarlo, si ammira, più che ascoltarlo, si sente. Alla stessa maniera potremmo dire che il cinema non si guarda soltanto, ma ci si lascia avvolgere… quasi ipnotizzare. D’altronde anche la conformazione architettonica della sala di proiezione (perfettamente buia con il fascio di luce che ci abbaglia e una moltitudine di persone che condividono questo spectare) agevola il transfert. 58

Per sinestesia qui intendiamo il coinvolgimento di più canali sensoriali contemporaneamente.

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Cinema e comunicazione

Questo trans-ferimento ci trasporta attraverso i percorsi del sentire e ci offre viaggi mentali nei luoghi utopici dei nostri sentimenti. A questo proposito mi piace citare Edgar Morin che così inizia il primo capitolo del suo famoso saggio sul cinema: «Il secolo XIX che muore lascia in eredità due nuove macchine: … L’aereoplano e il cinema: ambedue fanno volare …»59

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Edgar Morin, op. cit. p. 25

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