Cultural Relativism

August 5, 2017 | Autor: Angelo Campodonico | Categoria: Anthropology, Ethics, Social and Cultural Anthropology, Christian Ethics, Antropología filosófica
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Cultural Relativism Relativismo deriva da relativo che si oppone ad assoluto. Relativismo culturale significa che non esistono verità e valori assoluti, ma che questi dipendono radicalmente dal contesto culturale e sociale. Il relativismo si distingue dal pluralismo che si limita a riconoscere l’esistenza di una molteplicità di verità e di beni senza trarne necessariamente conseguenze relativistiche. Relativismo culturale, in particolare, significa che tutto ciò che costituisce la cultura di un popolo non può essere in ultima analisi valutato da un punto di vista assoluto, ma che il giudizio dipende sempre dal contesto mutevole delle società storiche. Non si può cioè trascendere la dimensione della società e cultura in cui si è posti. Questa concezione è criticata da coloro che affermano, invece, che esistono verità e valori assoluti, non dipendenti dal contesto, che permettono di valutare una data cultura. Appare molto difficile sostenere coerentemente il relativismo culturale. Ciò significherebbe affermare, per esempio, che i sacrifici umani, la schiavitù e l’oppressione delle donne che contraddistinguevano molte società siano moralmente giustificati. La tradizione cattolica, in quanto pretende di riconoscere una Verità che trascende la storia, si oppone al relativismo culturale considerato come carattere dominante della tarda modernità. Così in Fides et ratio, 7 si afferma: «A legitimate plurality of positions has yielded to an undifferentiated pluralism, based upon the assumption that all positions are equally valid, which is one of today's most widespread symptoms of the lack of confidence in truth. Even certain conceptions of life coming from the East betray this lack of confidence, denying truth its exclusive character and assuming that truth reveals itself equally in different doctrines, even if they contradict one another. On this understanding, everything is reduced to opinion; and there is a sense of being adrift. While, on the one hand, philosophical thinking has succeeded in coming closer to the reality of human life and its forms of expression, it has also tended to pursue issues—existential, hermeneutical or linguistic—which ignore the radical question of the truth about personal existence, 1

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about being and about God. Hence we see among the men and women of our time, and not just in some philosophers, attitudes of widespread distrust of the human being's great capacity for knowledge. With a false modesty, people rest content with partial and provisional truths, no longer seeking to ask radical questions about the meaning and ultimate foundation of human, personal and social existence. In short, the hope that philosophy might be able to provide definitive answers to these questions has dwindled». Il relativismo culturale ha una lunga storia. Le sue origini si possono far risalire a Erodoto (484-425 a.C.) in Histories, III, 38 che fa riferimento a modalità assai diverse di onorare i defunti a seconda delle varie culture ed è stato ripreso agli inizi dell’epoca moderna da Michel de Montaigne (1533-1592) dopo le scoperte geografiche e astronomiche e le cosiddette “guerre di religione”. Il relativismo culturale è stato favorito di fatto dall’affermarsi del principio di uguaglianza proprio delle moderne democrazie: se tutti gli uomini hanno uguale dignità, come affermare la superiorità di una visione del mondo rispetto ad un’altra? Ciò non si oppone al principio di tolleranza? Se non si vuole cadere in questo rischio occorre distinguere fra piano della uguaglianza in dignità in quanto uomini e piano della verità e del bene. Nel Novecento il relativismo si è sviluppato anche per il ruolo assunto dall’Antropologia culturale grazie a Franz Boas (1858-1942) che ha affermato la peculiarità di ogni cultura umana, come pure a Ruth Benedict (1887-1948) e Edward Sapir (1884-1939) che ha cercato di mostrare che la diversità delle lingue determina la diversità delle culture. Da allora l’antropologia culturale sembra per sua natura assumere un atteggiamento relativistico, in quanto è attenta a valorizzare la diversità delle culture storiche. Quello che è un atteggiamento metodologico può, tuttavia, diventare facilmente una concezione non adeguatamente problematizzata sul piano filosofico. Una cosa, tuttavia, è affermare le differenze culturali come dato di fatto facilmente riconoscibile sul piano diacronico (storia) e sincronico (antropologia culturale), altro affermare la relatività delle 2

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culture e l’impossibilità di giudizi assoluti sui costumi dei popoli, basandosi su limiti strutturali che sarebbero insiti nell’uomo e nella sua ragione e su determinismi sociali. Dal primo piano non discende necessariamente il secondo che presuppone, invece, una valutazione. Le ragioni del relativismo culturale sono comprensibili solo nella misura in cui ci si limita ad affermare che si deve comprendere ogni cultura umana come relativa ad un determinato contesto storico e da esso condizionata. Ma ciò non significa che non vi sia una dimensione naturale e razionale che accomuna tutti gli uomini in quanto tali come si afferma in Fides et ratio 96 e 72. Inoltre il fatto di comprendere una cultura nel suo contesto non implica non essere legittimati a valutare alcuni suoi aspetti sotto il profilo umano ed etico. Di fatto anche oggi appare difficile non criticare certe posizioni come la disuguaglianza in dignità fra gli uomini che si riscontra in varie culture. Il pensiero cattolico e in genere la tradizione filosofica presuppone che certe verità e valori siano conoscibili da tutti. Ciò non significa che non vi siano condizionamenti culturali, ma che questi siano almeno in parte superabili. Il relativismo, invece, fa dipendere del tutto la conoscenza e la valutazione dal contesto culturale. Secondo una concezione influenzata dalla sociologia i giudizi di valore sarebbero determinati dalle diverse società. Si può mostrare, invece, che gli individui aderiscono a certi valori in base a scelte argomentate. Se poi la cultura fosse determinata dalla società, non sarebbero possibili il dialogo fra uomini di diverse culture e la stessa traduzione da una lingua all’altra (che invece ha luogo pur talora con difficoltà), come pure l’adesione da parte di singoli e gruppi a prospettive culturali percepite come più adeguate. Ciò è alla base del progresso culturale e morale. L’aspetto più grave del relativismo culturale che comprende altre forme di relativismo (gnoseologico, estetico ecc.) è il relativismo etico anche per le difficoltà che pone a fondare la convivenza civile e politica. Il legame sociale, infatti, non si può fondare solo su procedure condivise come il voto, anche se queste sono necessarie. 3

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Esso esige che si condividano almeno alcuni beni sostanziali quali la dignità della persona umana, la vita in comune, la comunicazione della vita e la cura ed educazione della prole, la coltivazione della razionalità nelle sue varie forme, compresa la ricerca di un senso ultimo della vita e di un principio primo della realtà: Dio. Queste sono le prime evidenze della legge naturale secondo Tommaso d’Aquino in Summa theologiae I-IIa, q. 94, a. 2. Non è il relativismo a fondare la tolleranza; piuttosto è esso a minarla alla radice. Il riferimento a Dio è fondamentale al fine di fondare pienamente valori come la dignità della persona umana. Come afferma il Cardinal Ratzinger in On Europe's Crisis of Culture del I aprile 2005: «… even the rejection of the reference to God, is not the expression of a tolerance that desires to protect the non-theistic religions and the dignity of atheists and agnostics, but rather the expression of a conscience that would like to see God cancelled definitively from the public life of humanity, and relegated to the subjective realm of residual cultures of the past. Relativism, which is the starting point of all this, thus becomes a dogmatism which believes itself to be in possession of the definitive scope of reason, and with the right to regard all the rest only as a stage of humanity, in the end surmounted, and that can be appropriately relativized. In reality, this means that we have need of roots to survive, and that we must not lose sight of God, if we do not want human dignity to disappear ». Bibliografia Boudon, Raymond, The Origin of Values: Essays in the Sociology and Philosophy of Values, New Brunswick, NJ: Transaction Publishers, 2001. Fortin, Ernest, Human Rights, Virtue and the Common Good, Lanham: Rowman & Littlefield, 1996. Williams, Bernard, Morality: An Introduction to Ethics, Cambridge, MA: Cambridge University Press, 1972. Contemporary Philosophy facing Fides et Ratio, in Faith and Reason. The Notre Dame Symposium 1999, edited by T. Smith, South Bend: St. Augustine’s Press, 2001.

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