Ex libris. 16 parole chiave dell’architettura contemporanea, LetteraVentidue, Siracusa 2015 (estratto).

June 12, 2017 | Autor: Giovanni Corbellini | Categoria: Architecture, Contemporary Art, Books, Architectural Theory and Criticism
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Giovanni Corbellini

exlibris 16 parole chiave dell’architettura contemporanea

Le parole non sono mai mancate a Giovanni Corbellini. Oggi escono di nuovo. Viaggeranno con un nuovo editore. Troveranno nuovi lettori che,  con la stessa passione di quelli vecchi,  sapranno costruire nuovi appassionati discorsi. Felice di aver fatto la prima parte del viaggio con l'autore, attendo con interesse le parole che verranno.

Francesca Tatarella, editore

Copertina: Fedrigoni Arcoset 300 g/m2 Interno: Fedrigoni Arcoset 120 g/m2

ISBN 978-88-6242-171-3 Prima edizione italiana febbraio 2007 (22 Publishing) Seconda edizione italiana gennaio 2016 ( LetteraVentidue Edizioni) © 2007 22 Publishing © 2016 LetteraVentidue Edizioni © 2016 Giovanni Corbellini È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. L’editore e l’autore rimangono a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare. Finito di stampare nel mese di gennaio 2016 presso lo Stabilimento tipolitografico Priulla Srl di Palermo LetteraVentidue Edizioni Srl Corso Umberto I, 106 96100 Siracusa, Italia

letteraventidue.com

LetteraVentidue Edizioni

officina22

@letteraventidue

Ringraziamenti Gli ultimi anni hanno assistito a rapide evoluzioni e gli ambiti della teoria, della critica e dell’editoria di architettura, di cui questo libro tenta una sintesi tanto impossibile quanto necessaria, non sono stati da meno. I fenomeni di frammentazione del dibattito disciplinare, che in buona misura ne erano stati la motivazione iniziale, hanno subito un’ulteriore accelerazione e le sedici “parole chiave” affrontate in Ex libris continuano a fornire dispositivi di orientamento in un mondo quanto mai complicato. Da tempo esaurito, Ex libris torna ora in una nuova versione aggiornata ai contributi più recenti (i post scriptum integrano le molte pubblicazioni uscite negli ultimi anni sui temi affrontati e su una serie di possibili intrecci collaterali) e insieme legata a uno specifico momento della discussione disciplinare. Un momento nel quale gli architetti scrivevano moltissimo e gli aspetti concettuali irrompevano nelle riflessioni più avanzate, facendo della forma-libro il terreno privilegiato della loro legittimazione progettuale. Ho cominciato a scrivere le “parole chiave” nel 2002, quando svolgevo, già da qualche anno, il piacevole compito di proporre i libri da acquistare alla biblioteca della Facoltà di architettura di Ferrara. Ho così deviato spesso dai miei specifici interessi di ricerca e potuto inseguire curiosità sempre più episodiche e frammentarie. L’esigenza di fissare, in mezzo alla quantità di libri che sfogliavo o che “annusavo” sui cataloghi cartacei e on-line, alcune relazioni significative tra materiali pubblicati, linee di ricerca ed esiti progettuali si è presentata spontaneamente, come una reazione alla crescente quantità ed eterogeneità delle informazioni che si accumulavano al mio (e nostro) orizzonte. Julian Adda è stato tra i primi a vedere qualcosa di buono nelle cose che scrivevo e le ha ospitate su “Architetti Padova”, rivista del mio ordine professionale. Quasi contemporaneamente, Marco Brizzi ha accettato di pubblicare su “arch’it” le “parole chiave”, dando loro la visibilità e la diffusione legate alle potenzialità della rete e al credito riconosciuto alla sua rivista e contribuendo decisivamente a svilupparne il formato. Oltre a loro, devo ringraziare molte altre persone e istituzioni: amazon.com, bol.com, ibs.it, internetculturale.it per l’inesauribile quantità di informazioni disponibili; la Biblioteca del congresso di Washington, le Biblioteche nazionali britannica, francese e tedesca, il Sistema bibliotecario dello Iuav per l’accessibilità alle loro basi di dati; Matteo Agnoletto per il lavoro dietro le quinte; Rosario Carotenuto, Michele D’Ariano, Federico Venturi e gli studenti di Ferrara (così come Vittorio Savi, che purtroppo non c’è più) per avermi portato a ragionare su temi che altrimenti non mi sarebbero venuti in mente; Aldo Aymonino, Pippo Ciorra, Pierre-Alain Croset, Raimund Fein, Antonio Ravalli, Mosè Ricci, Antonello Stella e Mirko Zardini per le discussioni e i suggerimenti; Marco D’Elia, Pino Mincolelli, Nino Saggio e Adriano Venudo per alcune segnalazioni; Carmen Andriani, Piotr Barbarewicz, Valentina Baroncini, Raffaelo Cecchi, Roberto Di Giulio, Raimund Fein, Susanna Ferrini, Giovanni Fraziano, Gianluca Frediani, Riccardo Furini e il Musarc (Museo nazionale di architettura, Ferrara), Sandi Hilal e Alessandro Petti, Luca Galofaro, Claudio Lamanna, Sara Marini e i dottorandi di Ascoli, Mauro Marzo, Gabriele Mastrigli, Valerio Paolo Mosco, Dina Nencini, Franco Pisani, Laura Zampieri per avermi dato la possibilità di proporre le mie “parole” in seminari e conferenze; Gaetano Ceschia, Eva De Sabbata, Federico Mentil, Cecilia Morassi, Federica Raffin, Simone Zoia per l’aiuto e la capacità di sopportazione; Marco Ragonese per aver condiviso un po’ di questa ossessione; Eduardo Arroyo, Xaveer De Geyter, Rients Dijkstra, Tim e Jan Edler, Wes Jones, Kamiel Klaasse, Kengo Kuma, Peter Lang, Hrvoje Njiric, François Roche, Nicola Santini e Pier Paolo Taddei, Federico Soriano e Dolores Palacios, Pietro Valle per avermi fornito occasioni per pensare e materiali da pubblicare; Alessandro Rocca, Francesca Tatarella e la 22 publishing per aver fatto crescere questo lavoro in occasione della sua prima pubblicazione; Francesco Trovato per aver creduto nella sua attualità, per essersi impegnato a rinnovarne il non facile impianto grafico e per aver realizzato la nuova edizione. Devo un pensiero particolare ai molti studenti dei miei corsi di teorie dell’architettura che, a Trieste e Milano, hanno sudato su Ex libris come libro di testo e che mi hanno aiutato a comprenderne potenzialità e limiti. Non finirò di ringraziare Francesco Tentori, che mi ha insegnato quasi tutto, specialmente a guardarmi intorno senza troppi pregiudizi. Il suo sguardo libero, ironico e tagliente sarebbe oggi prezioso. Spero, con questo piccolo lavoro, di essere riuscito a farlo mio almeno un po’.

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Alessandro Rocca 2015

Questo è un libro utilissimo e chiaro, con una bella superficie di scrittura elegante, ma è anche un libro ermetico, percorso da una trama densa di messaggi impliciti, di teorie non dichiarate, di critiche sottaciute. Ogni lettore rintraccerà gli indizi più segreti secondo le sue conoscenze e i suoi interessi, io mi limito a indicare quelli che mi sembrano assolutamente evidenti. Il primo di questi messaggi, a mio parere, è che le parole sono importanti. Lo aveva già detto Nanni Moretti, posseduto da un’ossessione purista, ma Giovanni Corbellini lo sostiene invece, anzi, lo lascia intendere, con un intento eversivo, con l’ambizione di erodere noiose abitudini e altre pigrizie intellettuali. E bisogna ammettere che, per intraprendere e portare a compimento questa azione meritoria e liberatoria, ci vuole il coraggio di prendersi qualche rischio come quando, esterofilo e spregiudicato, ignora argomenti – parole – che per tanti dei nostri maestri, e per molti dei loro discepoli, sono riferimenti irrinunciabili. Contano molto, nel suo stringato dizionario a sedici voci, le parole escluse, quelle che ogni architetto sente e legge in continuazione, all’università, nelle conferenze, sulle riviste, e che sono le pietre miliari di un gergo per addetti, l’architettese, che si nutre di luoghi comuni e frasi fatte, che esclude gli altri e che per noi è tanto noioso quanto rassicurante. Le parole di Corbellini sono invece di tutti e di nessuno, appartengono solo al dizionario, esulano dal gergo semplificato e locale e servono per aprire e non per chiudere, per muoversi e non per fermarsi. Il secondo messaggio è che i libri sono importanti. È un’affermazione avanzata in maniera implicita, con leggerezza e nonchalance che però tocca un punto nevralgico della comunicazione culturale. D’altronde è ovvio, questo è un libro sui libri, ma c’è di più. Nell’epoca in cui è affiancato e circondato da strumenti che lo privano della centralità che ha sempre avuto, il libro deve reinventarsi e sperimentare nuovi formati e nuovi linguaggi. E in effetti Ex libris lo fa, con un percorso sperimentale che incrocia e sovrappone generi diversi: il dizionario, la bibliografia ragionata, la raccolta di saggi indipendenti. Del resto è un libro che nasce in rete, dall’altra parte della barricata, e che ha utilizzato uno spazio digitale, “arch’it”, come laboratorio e come interfaccia con i lettori. Tuttavia, resta indubbio che i libri sono importanti perché sono loro che guidano il pensiero e il progetto. Questo sostiene, seppure in modo indiretto, l’autore, ma secondo me anche lui sa molto bene che questo – se purtroppo o per fortuna, dipende dal vostro modo di pensare – non è completamente vero. E allora, a che cosa servono lo studio, le letture e la scrittura che hanno prodotto questo libro? A costruire un’opera, uno scenario, un progetto che ha come primo

obiettivo la realizzazione di un mondo che non c’è. In Flatlandia, romanzo epico dedicato alla geometria, una sfera spiega a un quadrato che esiste anche un mondo a tre dimensioni. La sfera insiste a lungo, per persuadere il quadrato incredulo, e una delle dimostrazioni più convincenti è un sopralluogo didattico nel mondo a una dimensione, un nulla abitato da un unico punto strafelice di essere se stesso. Quando, finalmente, il quadrato capisce e si convince che esistono mondi diversi con un maggior numero di dimensioni, ne ricava una condanna all’esclusione perpetua dalla società bidimensionale. Ex libris, come Flatlandia, ci convince passo a passo, parola per parola, che esiste un mondo architettonico diverso, altro, che ha una sua propria dimensione, quella del libro, dove Corbellini / Alice nel paese delle meraviglie ci conduce a scoprire spazi incongrui, tempi paralleli, parentele nascoste, accostamenti giudiziosi e relazioni più o meno pericolose. E anche noi, se crediamo fino in fondo al mondo corbelliniano, possiamo rischiare di non essere più riconosciuti dai nostri simili; Le pillole del dott. Corbellini, per citare un altro suo bel libro, vanno assunte con imprudenza, senza curarsi degli effetti collaterali. Perché il mondo di Ex libris è come Solaris, un pianeta dove i sogni diventano realtà ma dove, purtroppo, si avverano anche gli incubi… Perciò bisogna prendere ad esempio l’autore che è molto bravo a non entusiasmarsi mai, almeno in apparenza, e a non deprimersi, lasciando che siano le parole, e non i sentimenti, a raccontare le loro verità. Il titolo, di cui sono colpevole, ha una corrispondenza evidente con il contenuto del libro ma ha anche un’origine più personale, una memoria persistente del motto contenuto nell’ex libris di Gabriele D’Annunzio: “Io ho quel che ho donato”. Associare questa generosità al libro mi è sembrato che si attagliasse in modo perfetto alla scrittura di Corbellini che è sempre e principalmente un atto di donazione, una cessione di conoscenza che l’autore esercita, con grande consapevolezza e con consumata perizia, nei confronti del lettore. Questa attitudine è molto meno didattica che relazionale, per usare un’idea fortunata di Nicolas Bourriau, ed è da qui che scaturisce la linfa che ispira e arricchisce questi testi, che li rende aperti, concepiti per generare altri discorsi, idee, progetti. È in base a queste considerazioni che qualche anno fa convinsi Giovanni Corbellini a raccogliere le voci che aveva preparato per “arch’it” in un libro della collana che allora dirigevo per 22Publishing, e oggi sono felice che Ex libris sia ripubblicato perché si merita altri e nuovi lettori e perché è un contributo importante, e originale, allo sviluppo dell’intelligenza dell’architettura italiana.

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Calvino Italo, Lezioni americane, Garzanti, 1988. veloce

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Chiamato a Harvard a tenere le prestigiose Norton Lectures, Italo Calvino scelse di occuparsi della contemporaneità attraverso alcune parole chiave. Le Lezioni americane devono gran parte della loro efficacia a un metodo in grado di produrre sezioni significative di situazioni complesse e, soprattutto, alla particolare compatibilità con le questioni trattate: da un lato la contemporaneità stessa (i termini proposti – Leggerezza, Rapidità, Molteplicità... – sembrano riferirsi direttamente alla sintesi del suo approccio) e dall’altro la letteratura, che appunto di parole è fatta. Nel parlare di architettura si produce viceversa una inevitabile distanza e, quando il discorso si estende dalle realizzazioni alle analisi critiche che le riguardano, si rischia un effetto simile a quello che si ottiene mettendo due specchi uno di fronte all’altro: la realtà si moltiplica all’infinito, ma sempre più ridotta e lontana. Un’attività che potrebbe sembrare vagamente onanista, certamente piacevole per chi la conduce ma con la concreta possibilità di staccarsi dall’oggetto della propria riflessione (come ammonisce Kester Rattenbury). D’altronde, che tra le cose e le parole (gli oggetti e le loro rappresentazioni) vi sia uno scarto spesso incolmabile era stato molto chiaramente esposto da René Magritte. Uno scarto che, tuttavia, consente alle parole di influire sulla realtà, al di là delle loro capacità o incapacità descrittive. “Siamo parlati dal linguaggio”, diceva Heidegger (insieme a Benjamin Lee Whorf e ai teorici del determinismo linguistico), e questa transitività riemerge nell’antropologia di Michel Foucault, così come nella paradossale inversione causa-effetto tra mezzi e messaggi indagata da Marshall McLuhan nei sistemi di comunicazione di massa. Una disciplina intrinsecamente progettuale come l’architettura non ha quindi potuto evitare di servirsi sempre e largamente delle parole, dando alla scrittura un ruolo insostituibile, complementare a quello di altri linguaggi rappresentativi, e paragonabile a quello della stessa costruzione, soprattutto nel determinare specifiche direzioni di ricerca. Di Leon Battista

Rattenbury Kester (a cura di), This is Not Architecture. Media Constructions, Routledge, 2001. assenza

Magritte René, Les mots et les images, in “La revolution Surrealiste”, n. 12, 15 dicembre 1929. Whorf Benjamin Lee, Language, Thought, and Reality, The Mit Press, 1956, ed. it. Linguaggio pensiero e realtà, Boringheri, 1970. Foucault Michel, Le mots et les choses. Une archèologie des sciences humaines, Gallimard, 1966, ed. it. Le parole e le cose, Bur,1998. McLuhan Marshall, Understanding Media. The Extensions of Man, McGraw-Hill, 1964, ed. it. Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, 2015.

Cardini Roberto (a cura di), Leon Battista Alberti. La biblioteca di un umanista, Mandragora, 2005.

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Sui trattati rinascimentali vedi: Thoenes Christof, Evers Bernd, Architectural Theory, Taschen, 2002, ed. it. Teoria dell’architettura, Taschen, 2003.

Benjamin Walter, Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, in “Zeitschrift für Sozialforschung”, 1936, ed. it. L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, 2015. bello?

Hugo Victor, Notre-Dame de Paris, Charles Gosselin, 1831, ed. it. Feltrinelli, 2014. assenza

Venturi Robert, Scott-Brown Denise e Izenour Steven, Learning from Las Vegas. The Forgotten Symbolism of Architectural Form, The Mit Press, 1972, ed. it. Imparare da Las Vegas. Il simbolismo dimenticato della forma architettonica, Quodlibet, 2010. mobile diagramma superficie gioco veloce

Alberti, ad esempio, è giunto fino a noi un unico disegno (esposto a Firenze nella mostra “La biblioteca di un umanista”): una pianta di edificio termale non particolarmente memorabile, al di là del valore documentale, e priva di ogni collegamento con il De re aedificatoria (1452). Pare che quest’ultimo, come il precedente vitruviano, sia stato infatti concepito indipendentemente dalle immagini (le edizioni illustrate sono state rese possibili dall’invenzione della stampa: nel 1511, fra’ Giocondo integra Vitruvio, mentre il testo albertiano viene corredato dai disegni di Cosimo Bartoli solo nel 1565). Una assenza che non ha ostacolato l’influsso determinante dei trattati antichi sulle generazioni successive e sull’ambiente costruito. Anzi, probabilmente ha reso più efficace un messaggio con il quale nemmeno le fabbriche realizzate (quelle notissime dell’Alberti o quelle solo ipotetiche di Vitruvio) potevano infatti competere, mancando loro la mobilità, la riproducibilità, la capacità di elaborazione concettuale, la penetrazione comunicativa, e persino la durata, dei testi. La situazione contemporanea, nonostante e grazie all’esplosione delle tecnologie di diffusione dell’informazione, ha ulteriormente intensificato il ruolo della scrittura. La “percezione distratta” alla quale, secondo Benjamin, è condannata l’architettura, affonda le sue radici nell’invenzione della stampa, evocata da Victor Hugo come causa del declino delle cattedrali, e riguarda inaspettatamente tutta la comunicazione visiva. Per quanto pervasive e onnipresenti, le immagini chiedono oggi di essere spiegate: nei musei, la maggior parte dei visitatori passa più tempo a leggere le didascalie che a guardare quadri e sculture. O di essere integrate, se non sostituite, dalle parole, ad esempio nei territori sottoposti alla percezione veloce (la Las Vegas da cui “imparavano” Denise Scott-Brown e Robert Venturi così come le nostre aree commerciali suburbane) dove all’articolazione volumetrica dell’architettura si sostituisce la grafica superficiale e immediata del messaggio scritto. Non ci sorprende quindi che, tra i maggiori protagonisti del secolo scorso, emergano

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Loos Adolf, “Das Andere”, nn. 1 e 2, 1903, ed. it. parz. in Id., Parole nel vuoto, Adelphi, 1992. superficie assenza bello? extremo

Le Corbusier e Jeanneret Pierre, Œuvre complète 1910-1929, Birkhäuser, 1999 (1929).

De Smet Catherine, Le Corbusier, Architect of Books, Lars Müller, 2005, ed. it. Le Corbusier, l’architetto e i suoi libri, C. Arte, 2005. Colomina Beatriz, Privacy and Publicity. Modern Architecture as Mass Media, The Mit Press, 1994. Kipnis Jeffrey, Perfect Acts of Architetcture, MoMA, 2001. Koolhaas Rem, Why I Wrote Delirious New York and Other Textual Strategies, intervista di Davidson Cynthia, in “Any”, n. 0, 1993, ed. it. Perché ho scritto Delirious New York e altre strategie testuali, in “Parametro”, n. 252-253, 2004. Koolhaas Rem, Delirious New York, Thames & Hudson, 1978, ed. it. Delirious New York. Un manifesto retroattivo per Manhattan, Electa, 2001. densità grande

Koolhaas Rem, Rem Koolhaas, intervista di Sigler Jennifer, in “Index Magazine”, 2001, ed. it. Intervista, in Rem Koolhaas. Verso un’architettura estrema, a cura di Kwinter Sanford e Rainò Marco, Postmedia, 2002. Koolhaas Rem, Oma, Mau Bruce, S, m, l, xl, a cura di Sigler Jennifer, The Monacelli Press, 1995. dizionario collisione indeterminato assenza grande contesto veloce extremo

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figure che hanno affiancato alla professione un’intensa attività saggistica (spesso dedicata a temi molto eterogenei), né che quest’ultima abbia spesso preceduto e orientato la prima. Il giovane Adolf Loos si mantiene negli Stati Uniti facendo anche il giornalista teatrale e, al suo ritorno in Austria, continuerà a essere uno spietato commentatore di costume (vedi la sua rivista, non a caso intitolata “Das Andere”) oltre che un autore di rara efficacia nel suo campo disciplinare. E Le Corbusier è il nom de plume di un critico agli esordi che, cambiando identità, muta anche la sua direzione di architetto, tanto da rinnegare il lavoro eseguito come Charles-Edouard Jeanneret (naturalmente attraverso una pubblicazione: il primo volume dell’Œuvre Complète, tace significativamente dei lavori eseguiti a La Chauxde-Fonds). La sua produzione saggistica è così vasta (più di quaranta i libri pubblicati, recentemente rivisitati in una mostra curata da Catherine de Smet) da dare sostanza alla professione di “homme de lettres” che dichiarava sulla carta d’identità. Un legame tra comunicazione e progetto così stretto, sia in Loos che in Le Corbusier, da consentire a Beatriz Colomina di interpretarne le architetture in modo inedito e penetrante. Anche il recente passaggio di millennio è stato segnato da un autore fortemente coinvolto nella scrittura. Giornalista, sceneggiatore e critico cinematografico, prima e durante gli studi alla Architectural Association (1968-72), Rem Koolhaas produce da subito progetti prettamente letterari (caratteristiche condivise da altri, importanti contributi di quegli anni raccolti da Jeffrey Kipnis in Perfect Acts of Architecture). In un’intervista rilasciata a Cynthia Davidson, spiega come abbia scritto il suo primo libro, Delirious New York, con l’obiettivo di creare le condizioni per esercitare il suo specifico approccio architettonico, perseguendo una totale parità tra il piano del progetto e quello della scrittura. Parlando poi con Jennifer Sigler, chiarisce il ruolo del successivo S, m, l, xl nel superare un momento di seria crisi dello studio. L’elaborazione del volume pone le basi

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Koolhaas Rem, Oma/Amo, Content, a cura di McGetrick Brendan, art directors &&&, Taschen, 2004. collisione assenza grande contesto veloce extremo

Koolhaas Rem, Harvard Project On The City, Boeri Stefano e Multiplicity, Kwinter Sanford, Tazi Nadia, Obrist Hans Ulrich, Mutations, Actar, 2001. contesto

per la fondazione di Amo, una sorta di think tank interdisciplinare che trasferisce nell’immateriale le metodologie architettoniche elaborate da Oma. Il successo del libro, percorso da una inusitata sincerità nel mostrare la “cucina” concettuale dei progetti piuttosto che celebrarne gli esiti formali, contribuisce a fare una star internazionale di un architetto che aveva realizzato sì e no una decina di opere (sarà anche per questo che il titolo del più recente Content esprime, insieme al significato diretto, una certa soddisfazione...). Ma la scrittura di Koolhaas non si limita a promuovere la propria attività professionale o a intervenire sulle condizioni nella quale si svolge: ogni lavoro di Oma parte da “un testo, un concetto, un’ambizione, un tema che è messo in parole” (vedi ancora l’intervista su “Any”, n. 0). L’iniziale formulazione scritta – sinteticamente contenuta in una pagina – consente ai progetti di rispondere a domande o tesi chiaramente definite, indirizzandone gli esiti nella sfera del “dicibile”. La loro rivisitazione, proposta in Content, attraverso la simulazione di un ipotetico “Ufficio brevetti”, ne conferma il carattere descrivibile, quantitativo, svincolato dalla dimensione poetica così come dall’interpretazione sensibile di contesti specifici. La questione della proprietà intellettuale legata ai processi di innovazione, ironicamente evocata “brevettando” i propri progetti, trova tuttavia una significativa anticipazione proprio nell’uso delle parole. Di fronte al mutamento sempre più veloce delle condizioni urbane, Koolhaas propone un aggiornamento del dizionario disciplinare come strumento indispensabile per poterne pensare la trasformazione. Con il suo laboratorio di laurea a Harvard – denominato Project on the city – elabora una serie di 75 termini “protetti” da copyright (proposti inizialmente per la mostra “Mutations”), di volta in volta costituiti da neologismi, sigle, accezioni particolari di termini comuni o parole abusate e desuete che risorgono come ready-made. Le pratiche duchampiane non sono infatti estranee a un’idea di architettura insieme pragmatica e paradossale, dove lo spostamento strategico del

015 Millard Bill, Banned Words, in Koolhaas Rem, Oma/Amo, Content, a cura di McGetrick Brendan, art directors &&&, Taschen, 2004. collisione assenza grande contesto veloce extremo

Mastrigli Gabriele, in “Volume”, n. 1, 2005.

Colomina Beatriz, in “Volume”, n. 1, 2005.

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punto di vista richiede una continua riformulazione dei propri strumenti concettuali (anche attraverso una loro virtuale eliminazione, invocata da Bill Millard in Banned Words). L’impatto della produzione koolhaasiana, e soprattutto di S, m, l, xl, ha contribuito a rilanciare la forma-libro come strumento di legittimazione del progetto fino a proporre i libri stessi, secondo Gabriele Mastrigli, come luoghi dove si compie l’estrema realizzazione dell’architettura. Nel gioco di specchi tra realtà e scrittura, è dunque quest’ultima ad assumere progressivamente un ruolo attivo nel quale le riflessioni, più che riverberare la concretezza degli eventi, costruiscono la possibilità che questi ultimi si verifichino. “Scrivere, in architettura, è una forma di architettura”, afferma Beatriz Colomina. Ha senso solo quando le parole diventano strumenti di progetto in grado di modificare la realtà, distorcerne le strutture, produrre una proliferazione di conseguenze.

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POST SCRIPTUM Oltre al crescente numero di dizionari, l’approccio alla complessità attraverso parole chiave presenta diversi esempi, tra questi si segnala “Diario”, la rubrica periodica di “Repubblica” che affronta temi caldi dell’attualità giornalistica, raccolta in volume per il 2005: • Gnoli Antonio (a cura di), Diario. Le parole del 2005, La biblioteca di Repubblica, 2006. “Verb-boogazine” è un ibrido libro-rivista che ha affrontato a ogni uscita una questione specifica: • Verb. Crisis, Actar, 2008. densità • Verb. Natures, Actar, 2007. diagramma • Verb. Conditioning, Actar, 2005. grande • Verb. Connection, Actar, 2004. • Verb. Matters, Actar, 2004. • Verb. Processing, Actar, 2001. veloce Dai trattati antichi fino a oggi, la letteratura architettonica si è nutrita di una serie vastissima di libri puramente teorici e di storie che ne hanno tracciato i percorsi, soprattutto parallelamente alle avanguardie: • Colomina Beatriz, Manifesto Architecture. The Ghost of Mies, Sternberg Press, 2014. • Sykes A. Krista, Constructing a New Agenda. Architectural Theory 1993-2009, Princeton Architectural Press, 2010. • Vidler Anthony, Histories of the Immediate Present. Inventing Architectural Modernism, The Mit Press, 2008. • Jencks Charles, Kropf Karl, Theories and Manifestoes of Contemporary Architecture, Academy, 2006. • Hale Jonathan A., Building Ideas. An Introduction to Architectural Theory, John Wiley & Sons, 2000. • Hays K. Michael, Architecture Theory since 1968, The Mit Press, 1998. • Leach Neil, Rethinking Architecture. A Reader in Cultural Theory, Routledge, 1997. assenza • Nesbitt Kate, Theorizing a New Agenda for Architecture. An Anthology of Architectural Theory 1965-1995, Princeton Architectural Press, 1996. • De Fusco Renato, Lenza Cettina, Le nuove idee di architettura. Storia della critica da Rogers a Jencks, Etaslibri, 1991. • De Fusco, Renato, L’idea di architettura. Storia della critica da Viollet-le-Duc a Persico, Etaslibri, 1968. Per una involontaria coincidenza, negli stessi giorni nei quali si teneva la mostra sui libri dell’Alberti, Firenze ha ospitato il festival internazionale di architettura “Beyond Media 05” (1-11 dicembre 2005, a cura di Marco Brizzi) il cui tema, “Script”, affrontava lo scrivere nell’architettura contemporanea sia nei termini analogici della narrazione che in quelli digitali del comporre linee di codice: • Brizzi Marco, Giaconia Paola (a cura di), Script, Compositori, 2006. • Giaconia Paola (a cura di), Spot on Schools. Script, Compositori, 2005. Sull’interazione tra progetto, testo e ideologie: • Wingårdh Gert, Rasmus Waern (a cura di), Crucial Words: Conditions for Contemporary Architecture, Birkhäuser, 2008. • Markus Thomas, The Words Between the Spaces. Buildings and Language, Routledge, 2001.

Sempre eminentemente testuale è stata la rivista “Any” (28 fascicoli, usciti tra il 1993 e il 2000) a partire da: • “Any”, n. 0, 1993, Writing in Architecture. E lo è anche la nuova creatura di Cynthia Davidson: • “Log” (2003-). Tra le più longeve e radicali, nella sua rinuncia alle immagini, è la rivista di Renato De Fusco: • “Op. cit.” (1964-). I due “big books” prodotti dal laboratorio koolhaasiano a Harvard: • Inaba Jeffrey, Koolhaas Rem, Leong Sze Tsung, Great Leap Forward. The Harvard Design School Project on the City, a cura di Chung Chuihua Judy, Taschen 2002. grande veloce • Inaba Jeffrey, Koolhaas Rem, Leong Sze Tsung, The Harvard Design School Guide to Shopping. Harvard Design School Project on the City 2, a cura di Chung Chuihua Judy, Taschen, 2002. Sull’attività di Koolhaas scrittore: • The architecture of Publication [Rem Koolhaas in Conversation with Beatriz Colomina], in “El Croquis”, n. 134-135/II, 2007. Flussi di informazioni nello spazio urbano: • Mitchell William J., Placing Words. Symbols, Space, and the City, The Mit Press, 2005. contesto Il progetto delle parole: • Apeloig Philippe, Au coeur du mot / Inside the word, Lars Müller, 2005. • Busch Akiko, Design Is... Words, Things, People, Buildings, and Places at Metropolis, Princeton Architectural Press, 2002. • Jones Wes, Instrumental Form. Design for Words, Buildings, Machines, Princeton Architectural Press, 1998. mobile Le parole nell’arte: • Kruger Barbara, Remote Control. Power, Cultures, and the World of Appearances, The Mit Press, 1993. • Linker Kate, Love for Sale. The Words and Pictures of Barbara Kruger, Harry N Abrams, 1990. • Holzer Jenny, Dinkla Söke, Block Friedrich W., Jenny Holzer. Xenon for Duisburg. The Power of Words, Hatje Cantz, 2006. • Holzer Jenny, Jenny Holzer. Truth Before Power, a cura di Schneider Eckhard, Kunsthaus Bregenz, 2004. Sull’organizzazione della conoscenza, sul come mettere questioni e concetti uno dopo l’altro, uno vicino all’altro, un romanzo: • Pirsig Robert, Lila. An inquiry into morals, Bantam, 1991, ed. it. Lila, Adelphi, 1995. L’intersezione di percorsi critici attraverso le diverse posizioni rappresentate dai libri trova un modello nella distribuzione aleatoria dei tarocchi che guida i racconti di: • Calvino Italo, Il castello dei destini incrociati, Einaudi, 1973.

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Molte riviste di architettura privilegiano il testo e l’argomentazione teorica rispetto al commento su progetti e realizzazioni. Nata dall’incontro tra “Archis”, Amo e il C-lab della Columbia University, “Volume” affronta temi monografici, spesso legati alla comunicazione e alla migrazione del sapere architettonico nell’immateriale: • “Volume” (2005-). extremo

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Un libro molto interessante, per il contenuto e per la strabiliante abilità nel mantenere una scansione dimensionale costante delle sue parti: • Farinelli Franco, Geografia. Un’introduzione ai modelli del mondo, Einaudi, 2003. L’Architectural Association di Londra pubblica dal 2007 la collana “Architecture Words”, vedi tra gli altri: • Eisenman Peter, Koolhaas Rem, Supercritical, Architectural Association Publications, 2007. • Scott-Brown Denise, Having Words, Architectural Association Publications, 2009. • Ito Toyo, Tarzans in the Media Forest, Architectural Association Publications, 2011. Tra parole e cose, scrittura e architettura, letteratura e città: • Havik Klaske, Urban Literacy. Reading and Writing Architecture, NAi 010 publishers, 2015. • Edwards Sarah, Charley Jonathan (a cura di), Writing the Modern City. Literature, Architecture, Modernity, Routledge, 2012. • Lange Alexandra (a cura di), Writing About Architecture. Mastering the Language of Buildings and Cities, Princeton Architectural Press, 2012. • Lees-Maffei Grace (a cura di), Writing Design. Words and Objects, Bloomsbury Academic, 2012. • Grafe Christoph, Maaskant Madeleine, Havik Klaske (a cura di), “Oase”, n. 70, 2009, Architecture and Literature. Manuali di scrittura per architetti: • Wiseman Carter, Writing Architecture: A Practical Guide to Clear Communication about the Built Environment, Trinity University Press, 2014. • Schmalz Bill, The Architect’s Guide to Writing: For Design and Construction, Images Publishing Dist Ac, 2014. Un autore che indaga i processi operativi e di pensiero innescati dai rapporti tra progetto e comunicazione: • Carpo Mario, L’architettura dell’età della stampa. Oralità, scrittura, libro stampato e riproduzione meccanica dell’immagine nella storia delle teorie architettoniche, Jaca Book, 1998. • Carpo Mario, The Alphabet and the Algorithm, The Mit Press, 2011. diagramma Sull’architettura come mezzo narrativo: • Coates Nigel, Narrative Architecture, Wiley, 2012. • Psarra Sophia, Architecture and Narrative. The Formation of Space and Cultural Meaning, Routledge, 2009. • “Volume”, n. 20, 2009, Storytelling. • Zimm Malin, Losing the Plot. Architecture and Narrativity in Fin-de-Siecle Media Culture, Axl Books, 2005.

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Marco Brizzi 2007

All’architettura non manchi la voce Sono sempre più le tracce che l’architettura del nostro tempo lascia in forma di testo. E la rivoluzione digitale, del resto, non ha fatto che incentivare un’attività editoriale già intensa, facendo circolare saperi, estendendo discorsi e contribuendo a inserire l’architettura tra gli oggetti di consumo della contemporaneità. Nell’attuale, spesso disorientante proliferazione di progetti, ipotesi e idee, Giovanni Corbellini ha cominciato ad articolare alcuni percorsi significativi, in grado di tenere insieme la maneggevolezza di una comunicazione diretta e sintetica con la vastità dei punti di riferimento: si può dire che le sue “parole chiave” aspirino a estendere lo sguardo critico sull’intero mondo dell’editoria internazionale di architettura. Una operazione resa possibile dalla rete – con le sue potenzialità di moltiplicare le relazioni tra cose, di effettuare ricerche e comparazioni – e che nella rete ha trovato il suo specifico terreno di crescita e diffusione, attraversando a sua volta diversi percorsi e modalità comunicative. Quando Giovanni mi ha segnalato, qualche anno fa, queste sue riflessioni gli ho subito proposto di farne una sezione autonoma di “arch’it”. La presenza su una rivista digitale avrebbe consentito loro di confrontarsi non soltanto con un pubblico ampio ma anche con un ambito di scrittura aperto e in grado di raccogliere nuove possibili interferenze, arricchendosi di collegamenti e inattese relazioni. Ben presto le “parole chiave” sono diventate argomento di una serie di conferenze tenute presso il Musarc di Ferrara e in molte altre città italiane, fornendo l’occasione di verificarne direttamente l’efficacia del metodo d’indagine e le attitudini divulgative. Da qui, una nuova migrazione ha riportato l’approccio tematico di Giovanni Corbellini alla dimensione cartacea, all’interno di prestigiose riviste specialistiche, come “Lotus”, e soprattutto in questo libro. Tra supporto digitale e carta stampata si è quindi instaurato un circolo di reciproca intensificazione, dove alla mobilità e accessibilità del primo si accompagnano la solidità e la sintesi della seconda. La forma-libro ha poi richiesto l’elaborazione di alcuni nuovi contributi e di un indice dei nomi che permette di navigare nelle parole attraverso un punto di vista alternativo e legare autori, progettisti, artisti, gruppi e movimenti ai loro temi più specifici, rimarcandone insieme le ricorrenze. Resta, naturalmente, la qualità dei testi, l’agilità di uno sguardo disincantato, che osserva il fluire delle parole e attraversa la letteratura architettonica alla ricerca delle relazioni e degli scambi che si producono intorno a temi nodali, tanto controversi quanto operativi. Un’attitudine che può aiutare il progettista, intenzionato

a estrarre dall’elaborazione concettuale temi e strumenti per il suo agire, lo studente disorientato, che può farsi prendere per mano e guidare nell’intricato mondo delle teorie architettoniche recenti, così come lo studioso, se non altro per la disponibilità di riferimenti bibliografici ragionati e rapidamente accessibili. Ma si tratta anche di un dispositivo in grado di aiutare a leggere il nostro tempo, a misurare i contorni e forse i limiti del dibattito culturale, quando questo esiste, interno alle professionalità che compongono oggi il mondo dell’architettura. La cultura della rete vi si rappresenta sempre più in termini di incompiutezza. Le idee, le informazioni e i progetti viaggiano su canali promiscui, alla costante ricerca di nuovi potenziali approdi. Raccogliere le voci, i rumori, seguire le parole su cui si accumulano le descrizioni del mondo progettato e costruito è un modo per favorire l’architettura nell’orientare provvisorie ma necessarie visioni.

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