Extra Muros

October 20, 2017 | Autor: Mario Berruti | Categoria: Storia Della Città e Del Territorio
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Descrição do Produto

La casa dell’Antica Farm a cia di Finalborgo proprietari, affittuari e farmacisti cenni su antiche famiglie finalesi

di Mario Berruti

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In memoria di Ennio Berruti, che tanto amò la casa di via Fiume e dai cui appunti ho tratto spunti e notizie

In copertina: Il ponte e la Farmacia, Archivio collezionarecartoline.it

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Indice 1) Premessa 2) Introduzione 3) La Posizione a. La via romana b. La strada dalla Marina ad Alessandria c. Il trasporto del sale d. La strada militare e. Il cammino di San Giacomo f. La porta Reale 4) Mappe, stampe e disegni a. Disegno di Girolamo Lippomanno, 1571 b. Stampa del Borgo del Finale di G.B. Sesti, 1707 c. Il “Piano geometrico di Finale col Borgo e dintorni” dell’ing. De Langlade, 1715 d. “Rappresentazione del Borgo” di M. Vinzoni, 1773 e. Il dipinto della Collegiata di S. Biagio, fine 17° secolo f. La cartografia del Catasto Napoleonico, 1813 g. Il disegno di Niccolò Orsolini, 1840 h. Altro disegno di Niccolò Orsolini, 1840 5) L’esame della costruzione a. La Torretta b. La edificazione “attorno” alla torretta c. La prima sopraelevazione d. La seconda sopraelevazione e. Il “prolungamento” dell’edificio 6) Riflessioni sulla funzione originaria della casa 7) I passaggi di proprietà a. L’ipotesi “carrettesca” b. Il “casotto” del ponte c. I Sevizzano d. I Chiazzari e. Le botteghe e i Piuma 3

f. I Folco g. I Berruti 8) Proprietari e affittuari: famiglie finalesi, brevi cenni a. Sevizzano b. De Torres c. Chiazzari d. Piuma e. Folco f. Berruti 9) Le rappresentazioni fotografiche della casa e della farmacia 10) La Farmacia e i farmacisti 11) Fonti e bibliografia

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Premessa Lo scopo di questo lavoro è quello di risalire alle origini dell’edificio di via Fiume ai civici 2 e 4, che ospita la Farmacia del Borgo, nonché le origini della Farmacia stessa; ma vuole anche essere un contributo alla storia del Borgo. Finalborgo è ed è stato studiato nei suoi aspetti generali (le vicende storiche che lo hanno coinvolto, la sua struttura urbanistica, ecc.) e particolari, cioè i suoi monumenti (le chiese, i palazzi più importanti, il convento). Con questo lavoro, invece, ci si è occupati di una “micro storia”. E’ stata l’occasione di ricostruire, per quanto i pochi documenti lo hanno reso possibile, la storia delle varie trasformazioni dell’edificio, nonché delle persone e delle famiglie che lo hanno posseduto ed abitato. E’ stata, quindi, anche l’occasione per parlare di alcune famiglie poco studiate, ma non meno rilevanti per la storia del Borgo, come i Sevizzano, i Sardi, i De Torres, i Chiazzari, i Piuma, i Folco, e, seppur solo da fine ‘800, i Berruti, che ancora possiedono l’edificio. E di alcune di queste famiglie si sono tracciate le storie, seppur per cenni. Interessante, ad esempio, è stato ricostruire i rapporti di parentela che hanno legato le prime quattro famiglie, le quali, attraverso sapienti unioni matrimoniali, hanno costituito un sostanzioso patrimonio, di cui hanno peraltro beneficiato soprattutto i Chiazzari. L’auspicio è che questa “micro storia” possa essere di stimolo a che altre “micro storie” siano raccontate, con la finalità di far rivivere la storia “vissuta” del Borgo. Colgo qui l’occasione per ringraziare alcune persone che hanno contribuito, e non poco, alla stesura di questo lavoro. In primo luogo l’arch. Virgilio Ferrarotti, il quale ha reso possibile, attraverso l’analisi tecnica dell’edificio, risalire alle varie epoche di costruzione, e risolvere alcuni dubbi interpretativi, di natura tecnica, nati dalla lettura di atti notarili settecenteschi. Il Prof. Giovanni Murialdo. per le indicazioni sulle fonti di ricerca, i suggerimenti e l’incoraggiamento. Grazie per la sua pazienza. Il sig. Angelo Tortarolo, prezioso ed insostituibile custode dei tesori conservati nell’Archivio civico di Finale Ligure: un sentito grazie per la sua gentilezza e disponibilità. Ed infine vorrei rivolgere qualcosa di più di un ringraziamento a Marco Leale e ad Antonio Martino, la cui collaborazione è stata fondamentale per questo lavoro. Antonio Martino per le certosine ricerche presso l’Archivio di Stato di Savona e l’Archivio Vescovile di Albenga. Marco Leale per i consigli molto professionali ricevuti, e per le ricerche presso l’Archivio di Stato di Genova, l’Archivio civico di Finalborgo, e l’Archivio Vescovile di Acqui.

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Introduzione La casa sita all’angolo tra la via Fiume e la piazza del Milite Ignoto di Finalborgo (Comune di Finale Ligure), contraddistinta dai numeri civici 2 e 4 di via Fiume, è sede da oltre 200 anni di una Farmacia. Nel 1983 il Comune di Finale Ligure decise l’allargamento della strada proveniente dall’uscita “Feglino” dell’Autostrada dei Fiori, al fine di un miglior utilizzo di detta uscita. Sulla base del progetto, l’allargamento della strada avrebbe dovuto comportare l’abbattimento di tutta o parte della casa di via Fiume. I proprietari, Giuseppe ed Ennio Berruti, si opposero decisamente al progetto dell’Amministrazione comunale. La soluzione non fu trovata grazie al ricorso all’autorità giudiziaria, ma molto più semplicemente al ricorso ad una diversa autorità: la Sovrintendenza per i beni ambientali e architettonici della Liguria. In seguito ai risultati delle ricerche documentali, la casa venne dichiarata Bene di interesse storico. Il vigente art. 10 del Decr. legislativo 22 gennaio 2004 n. 42, prevede che “Sono beni culturali le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1” (cioè appartenenti a soggetti privati). Con provvedimento del 21 maggio 1984, il Ministero dei Beni Culturali e Ambientali decretò che l’immobile, denominato “Antica Farmacia”, era di “interesse particolarmente importante ai sensi della legge 1 giugno 1939, n. 1039, e viene quindi sottoposto a tutte le disposizioni di tutela contenute nella legge stessa”. Le indagini storiche sull’immobile vennero in seguito riprese, anche grazie al riordino della Biblioteca civica di Finale Ligure, che aveva “ripreso vita” per il sempre maggiore interesse da parte degli studiosi della zona del Finale ed in particolare modo di Finalborgo. La produzione documentaria consultata ha permesso di meglio precisare l’importanza storica dell’immobile e della farmacia. In particolare è stato possibile far risalire ad epoca carrettesca, o addirittura precedente, l’esistenza di un edificio in loco. Mentre è stato possibile datare l’inizio dell’attività della Farmacia al 1801. Vedremo, ora, di esaminare i risultati delle ricerche.

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La posizione

fig. 1 mappa di Finale Ligure – particolare di Finalborgo

La casa, oggetto del nostro studio, si trova all’angolo tra via Fiume e piazza Milite Ignoto. Si tratta sicuramente di una posizione altamente strategica. Si pone infatti al centro di un quadrivio: la via che proviene dalla Marina (via Brunenghi), la strada che va a Feglino (via Cavasola), la strada che costeggia il fiume Aquila (via Fiume) ed infine la strada che, passato il ponte, entra nel Borgo. Ma non è sempre stato un quadrivio. Via Cavasola, infatti, è relativamente recente. Fino al 1900 si andava a Feglino per una strada che costeggiava il fiume Aquila. Solo a seguito della spaventosa alluvione del 1900 (ricordata in più punti del Borgo con targhe che mostrano il livello raggiunto dalle acque), che distrusse detta strada, le autorità decisero la costruzione di una nuova via, a mezza costa, che raggiungesse Feglino, al riparo da nuove alluvioni (se ne ricorda un’altra nel 1926 che danneggiò notevolmente anche il ponte di entrata al Borgo).

La via romana

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Ma vi era un’altra via, ora non più utilizzata, che scendeva alla piazza Milite Ignoto dalla località di Monticello, attraverso l’attuale via Monte Tabor. Secondo una teoria da molti sostenuta, l’antica via Iulia Augusta, dopo aver attraversato la Val Ponci, e i noti cinque ponti romani, raggiungeva la valle dello Sciusa, risaliva “per Calvisio, dove sono state ritrovate testimonianze di età romana, San Bernardino, Monticello, scendeva nella valle dell’Aquila per raggiungere, attraverso Perti, la più aperta valle del Pora”1, e da qui risaliva a Gorra per superare l’ostacolo rappresentato dalla Caprazoppa. La strada romana, quindi, passava più o meno nel luogo dove ora è la casa, se non proprio davanti ad essa, e dove allora, con ogni probabilità, era una stazione di sosta, un luogo dove ci si fermava, prima di affrontare la salita verso Perti (vedremo quanto afferma lo Scarrone nel successivo paragrafo).

La strada dalla Marina ad Alessandria Fino alla fine del XIX secolo vi era una via che, partendo dal mare, arrivava ai confini del Borgo, saliva a Feglino, superava il Passo di San Giacomo e, attraverso Carcare, Cairo, Spigno e Acqui, raggiungeva Alessandria, per poi arrivare fino al milanese. Era l’antica via utilizzata già in epoca romana, documentata dall’esistenza del toponimo Cascina Strà e dal sacello pagano, diventato poi Nostra Signora della Rotonda2: si tratta di una chiesa, oggi conosciuta come Santuario dell’Eremita. Si trova in territorio di Mallare, ai piedi dell’erta che sale al Colle di San Giacomo. Come detto la chiesa probabilmente è sorta sui resti di un sacello pagano di forma circolare (da cui il nome di “Rotonda”). Negli Statuta, Decreta et Ordines Marchionatus Finarii del 1311, questa strada, insieme a quella che passava per il Giogo di Rialto (dove oggi c’è il Santuario ella Madonna della Neve), era definita “Stratae generales per quas itur in Lombardiam”. Questa strada era fondamentale da più punti di vista. Era innanzitutto una via di commercio. Come si vedrà più avanti nel capitolo sulla “funzione” che ha avuto la casa in tempi antichi, è molto probabile che in questo punto vi fosse in tempi remoti, e addirittura antecedenti alla edificazione del Borgo, una “stazione”, dove i viandanti (che fossero pellegrini o commercianti) si potevano rifocillare alle falde di Monticello, prima

1 Francesca Bogarelli e Bruno Massabò, La Liguria Occidentale, in “Vie Romane in Liguria”, a cura di Rinaldo Luccardini, pag. 151. 2 Giuseppe Testa, La Strada Beretta - 1666 una via per l’Imperatrice, Centro Storico del Finale, Finale Ligure, 2002, pag. 30.

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di attraversare il fiume Aquila per portarsi sul Becchignolo e da lì a Perti, oppure proseguire lungo l’Aquila per portarsi al colle di San Giacomo. A tale proposito Mario Scarrone, nell’ipotizzare una datazione della edificazione delle mura del Borgo e di Castel Gavone, ricorda che deve collocarsi in epoca precedente il 1217, perché in data 19 aprile 1217 il podestà di Genova intimava ad Enrico II Del Carretto di distruggere le fortificazioni erette; e poi osserva che “già da tempo imprecisato, esisteva sulla sponda sinistra del torrente Aquila, ai piedi della collina di Monticello, una specie di stazione di servizio per agevolare il commercio proveniente dal mare” 3. Evidente il riferimento ad un edificio che si doveva necessariamente trovare accanto ad un ponte o comunque ad un guado del fiume Aquila. La via dalla Marina era chiamata anche la “via del sale”, così detta perché veniva utilizzata fin da tempi remoti appunto per il trasporto del sale nella Pianura Padana e oltre. Ma era anche una via militare, soprattutto durante il periodo spagnolo. E’ stata da tempi remotissimi (quanto meno dall’inizio del millennio) anche una via di pellegrinaggi. Più precisamente costituiva un tratto di una delle vie di San Giacomo, che portava verso Santiago de Compostela.

Il trasporto del sale Questa strada ebbe una importanza fondamentale per il trasporto del sale, quanto meno fino al secolo XVII. Il sale veniva portato con le navi dalle zone di produzione della Camargue e delle isole Baleari4.

3 AA.VV. La chiesa e il convento di Santa Caterina in Finalborgo, Sagep, 1982, pag. 12, nota 41: “In realtà, già da tempo imprecisato, esisteva sulla sponda sinistra del torrente Aquila, ai piedi della collina di Monticello, una specie di stazione di servizio per agevolare il commercio proveniente dal mare, come punto di appoggio prima di intraprendere la ripida salita del Becchignolo per portarsi rapidamente alla quota di Perti e proseguire, poi, con pendenza relativamente modesta ai passi del Giovo. Lì attorno si era formato anche un piccolo agglomerato di abitazioni, che ebbe anche il suo centro religioso nella Ecclesia vetula Sancti Blaxii, denominata anche, dopo la costruzione della chiesa gotica dentro le mura del 1374, Ecclesia Sancti Blasii extra muros (A.V.S., Carte del Capitolo, Frammenti di un registro di contabilità [1372-75] del Rettore Giorgio Marenco, che costruì la nuova chiesa di S. Biagio del Borgo, divenuto poi, canonico arciprete della cattedrale di Savona)”. 4 Stefano Ticineto, Il Marchesato di Finale – La Strada Beretta, Off. Graf. Canessa, Rapallo, 1999, pag. 65.

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fig. 2- Disegno firmato “Il Capitano Vesto Ing.ro fecit”, inizi 17° secolo (Collezione privata) Da Ballarò e Grossi, Finalborgo, spazio urbano tra Sette e Ottocento, IISL, Finale Ligure 2001, pag. 27

Scaricato a Finale, veniva quindi trasportato con i muli attraverso la via del Passo di San Giacomo, raggiungendo il Piemonte e la Pianura Padana. Per questo motivo questa strada è anche conosciuta come “Via del Sale”. Era un percorso impervio, quanto meno fino a Carcare, lento e difficile. L’ing. Gaspare Beretta, nella sua relazione dell’aprile 1666, sullo stato dei luoghi del Marchesato del Finale, stesa per lo studio di realizzazione di una strada agevole tra Finale e Milano per il passaggio dell’imperatrice Margherita Teresa, motivava la propria decisione di non scegliere la via per il

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Passo di San Giacomo, per essere questa “tutta sassi e scalini” e per avere una pendenza del 25%5.

La strada militare La strada non era adatta, quindi, al transito di carri. Nonostante ciò la Spagna scelse questa strada per il passaggio delle proprie truppe che, sbarcate a Finale, dovevano raggiungere Milano e la Lombardia: la via, infatti, era sì difficile e impervia, ma più breve di quella che passava per Perti, Rialto, Bormida e Fornelli, e non necessitava, infatti, di guadare torrenti.

fig. 3 – la via del sale da Borgo al Colle di San Giacomo

Interessante quanto riporta, in proposito, il Gasparini6: “Sulla via di San Giacomo già dal 1578 transitavano nei due sensi le truppe spagnole, quando ancora la Spagna non possedeva

5 Gaspare Beretta, Strada d’Alessandria al Finale, Archivio Storico Civico di Milano, Biblioteca Trivulziana, Fondo Belgioioso, Militare, busta 261, doc. 134-156.

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il Finale, ma esercitava di fatto il controllo su di esso: tale frequentazione le valse il nome di Via di Spagna”. Ed ancora “Impossessatisi del Finale, gli Spagnoli se ne servirono per lo sbarco dei loro soldati, senza aspettare l’investitura imperiale. Dal Finale le truppe salivano a Carcare e Cairo e poi pel Ducato di Milano”. Ed infine “Dopo il 1666, per il breve periodo della sua integrità, una parte di questa corrente di traffico si sposterà sulla Via dell’Imperatrice”. Da tempi molto antichi, quindi, la via principale che collegava la Marina con il Piemonte e la Lombardia passava “dinanzi” alla casa, oggetto della nostra ricerca. Il che fa legittimamente ritenere che quest’immobile abbia avuto una “storia” strettamente legata alla via dell’Aquila e al Borgo. In sostanza chi proveniva dal mare e dalla Marina del Finale giungeva dopo meno di due chilometri al ponte che, attraverso la Porta Carretta (oggi Porta Reale), introduceva il viandante o le merci all’interno del Borgo. E’ pertanto presumibile che i Del Carretto abbiano costruito, prima una Torretta di avvistamento, e in seguito, un posto di guardia, dotato di un manipolo di soldati, che controllasse all’esterno chi si accingeva ad entrare. Ma il controllo, in tal modo, poteva venire esercitato anche su chi semplicemente transitava sulla strada verso Feglino e Alessandria. E’ infatti impensabile che i Marchesi non esercitassero una sorveglianza su quel fondamentale punto di passaggio, oltretutto, davanti alla “porta di casa”. Non è escluso, ed è anzi altamente probabile, che il posto di guardia servisse anche da luogo di esazione del dazio: era infatti molto più semplice esercitare il controllo all’ingresso del Borgo, piuttosto che alla Marina sulle merci che transitavano sulla strada per Alessandria. Ma, come abbiamo già ricordato, dove oggi c’è la costruzione, in tempi ancor più remoti, e quindi antecedenti alla edificazione della Torretta e del Borgo, vi era una “stazione”, dove i viandanti (che fossero pellegrini o commercianti) si potevano rifocillare, prima di attraversare il fiume Aquila per portarsi sul Becchignolo e da lì a Perti, oppure proseguire lungo l’Aquila per portarsi al colle di San Giacomo.

Il cammino di San Giacomo Le mete dei Pellegrini della fine del primo millennio, e fino almeno al XVI secolo, erano sostanzialmente tre: a) Gerusalemme e la Terra Santa, perché là il pellegrino poteva visitare i luoghi della vita e della passione di Cristo 6 Mario Gasparini, La Spagna e il Finale dal 1567 al 1619, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Museo Bicknel, Bordighera, 1958.

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b) Roma, la città dei primi martiri cristiani, la città dove era sepolto Pietro e dove si trovavano le reliquie di moltissimi santi e apostoli c) San Giacomo de Compostela, o meglio, Santiago de Compostela: la “pellegrinatio ad limina Sancti Jacobi”. Secondo la leggenda Erode fece decapitare San Giacomo, il cui corpo, privo della testa, venne deposto su una barca la quale, vagando per il Mediterraneo, finì per arenarsi sul lido di Finisterre. Colà venne sepolto. Una volta ritrovata la tomba, il culto di San Giacomo si propagò per tutta la Spagna con velocità sorprendente. Il luogo prescelto per la edificazione della chiesa in suo onore fu “Campo della Stella”, appunto Compostela. Ciò accadeva intorno all’800. Ben presto Santiago fu meta di grandi pellegrinaggi. Il flusso si incanalò, come era logico, in “cammini” che tendevano ad essere sempre quelli, perché più conosciuti e noti ai pellegrini. La riconoscibilità di queste vie era facilitata anche dal fatto che, laddove possibile, il cammino seguiva

fig. 4 pellegrino di Santiago

il percorso delle grandi strade consolari romane. Il Cammino di San Giacomo attraversava prima la Spagna, poi la Francia ed entrava in Italia attraverso il Colle di Tenda. La via dalla Francia, che prese il nome di “Francigena”, seguiva in realtà più percorsi. Il principale entrava nella Pianura Padana, scendeva a sud per il passo della Cisa e raggiungeva Roma. Ma vi era anche un’altra via che fig. 5 – i percorsi della via Franchigena

scendeva per gli Appennini Liguri, e

raggiungeva il mare a Finale Ligure, o a Noli o a Vado, dove i pellegrini si imbarcavano per Roma. Naturalmente vi era il percorso inverso: i pellegrini diretti a Santiago sbarcavano sulla costa ligure di Ponente, raggiungevano la Marina di Finale e imboccavano il Cammino di San Giacomo. Entrando più nel dettaglio della zona finalese, si può dire che dalla Marina vi erano tre “vie romere”: la prima saliva a Gorra, raggiungeva il Melogno e poi scendeva a Calizzano; la se14

conda raggiungeva Bormida e Osiglia per la via di Calice, transitando per il valico di Rialto nel luogo dove oggi sorge la Madonna della Neve; la terza raggiungeva Mallare dopo aver transitato davanti alla Porta Carretta (poi Reale), lungo il fiume Aquila fino a Feglino e su fino al valico di san Giacomo. Quest’ultima era senza dubbio la più facile (non vi erano guadi da attraversare) e la più diretta per raggiungere il Piemonte. E che Finale sia stata effettivamente una “tappa” lungo il cammino di San Giacomo, lo rivela il fatto che a Marina esisteva un ricovero per i Pellegrini gestito dall’Ordine degli Ospedalieri. Si trovava a San Fruttuoso7 sul colle del Gottaro, ma di questo “Ospedale” si è persa ogni traccia. Anche a Pia si trovava un ricovero, una chiesa-ospedale, poi divenuta monastero degli Olivetani8. Il valico di San Giacomo era un passo montano conosciuto già nella preistoria e sicuramente nella romanità9. E’ per questo motivo, e per la sua facile raggiungibilità dalla costa, che era uno dei valichi privilegiati dai pellegrini. Dal valico, infatti, il viandante poteva raggiungere la Marina del Finale, attraverso Feglino e la valle dell’Aquila; Varigotti e il suo porto, attraverso la stessa via; per la dorsale di levante Savona, Vado e Noli; per la dorsale a ponente Calizzano attraverso il passo del Melogno. Sulla sommità del valico vi era, e vi è, una chiesina-rifugio, dedicata, appunto, a San Giacomo. E’ stata più volte restaurata e ricostruita. Ci siamo soffermati soprattutto sulla funzione di “via dei pellegrini” della “Strada per Alessandria”, oggi via Fiume, perché si ritiene che questa funzione, unitamente a quella commerciale e militare, sia stata di fondamentale importanza. La stessa presenza dell’Ospedale di San Biagio su questa strada non può certo dirsi casuale. Si ricorda peraltro la presenza in loco della originaria Chiesa di San Biagio, che sorgeva accanto all’omonimo ospedale, all’angolo tra la attuale via Brunenghi e la piazza Milite Ignoto. Il Murialdo10 ipotizza che il complesso di San Biagio (Chiesa, Ospedale e abitazioni circostanti) fossero preesistenti al Borgo, e ciò è sicuramente da mettere in relazione alla “Via di San Giacomo” di cui si è detto. D’altra parte a San Biagio la tradizione attribuisce poteri miracolosi di guarigione, anche di mali incurabili; logico pertanto dedurre che in loco vi fosse in tempi molto antichi un luogo di preghiera e di cura per i pellegrini in viaggio.

G.A. Silla, Storia del Finale, I, Savona, 1965, pag. 167 V. Polonio, Diocesi di Savona, Noli, in “Liguria monastica”, Cesena, 1979, 74 9 G. Prestipino, Sulle strade dei pellegrini, Istituto Internazionale di studi liguri, 2000, pag. 48 10 G. Murialdo, La fondazione del Burgus Finarii nel quadro possessorio dei Marchesi di Savona, o Del Carretto, in Rivista Ingauna e Intemelia, anno XL, 1-3, Bordighera, 1985, pag. 61 7

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fig. 6 - Archivio di Stato di Genova, Camera di Governo e Finanza, 2753 La strada dal Ponte di porta Reale a Feglino. Epoca metà settecento

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Ma un discorso sulla “posizione” della casa non può prescindere da una ulteriore considerazione.

La Porta Reale L’attuale porta, che dalla Marina introduce il visitatore nel Borgo, passato il ponte sul fiume Aquila, non è stata sempre in quella posizione. Il Murialdo11 sostiene che l’originale Porta (detta allora Carretta) si trovava in posizione diversa rispetto a quella attuale, e cioè spostata “sulla destra” dell’odierna Porta Reale, sotto la Torre (di cui oggi rimane solo la base). E l’ipotesi è sicuramente esatta, perché risponde ai canoni medioevali di collocazione delle porte di ingresso ai borghi murati. Normalmente, infatti, la porta medioevale era fortificata, posta cioè in una torre merlata, se non addirittura tra due torri merlate, da cui i soldati potevano difendere la porta stessa. Il Murialdo ipotizza che anche il ponte di accesso fosse spostato sulla destra. Si giunge a questa conclusione esaminando le evidenti tracce dell’“attacco” del ponte sulla muratura, in quella posizione. Ma ciò che più interessa, per il presente studio, è la constatazione che l’antico ponte e la originale Porta Carretta fossero collocati in asse con la via Torcelli, che porta direttamente al Palazzo del Governatore (o del Tribunale), già sede dei Marchesi del Carretto.

fig. 7 - “Rappresentazione del Borgo”, tratto da “Il dominio della Serenissima Repubblica di Genova in terraferma”, effettuato da M. Vinzoni e pubblicato nel 1773, Archivio di Stato di Genova. Nel disegno è stata tracciata la linea immaginaria che collega l’edificio di via Fiume al Palazzo del Governatore

Se così è, e la fonte è sicuramente molto autorevole, anche la casa di via Fiume si sarebbe trovata in perfetto asse con il Ponte, la Porta Carretta, la via Torcelli e, in lontananza, il Palazzo del Governatore.

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G. Murialdo, La fondazione del Burgus Finarii, cit., pag. 58 17

L’asse oggi non appare certamente “perfetto”, dato che i palazzi di via Torcelli non seguono una linea retta, come appare anche dalla bellissima cartolina qui sotto rappresentata, e che dovrebbe risalire ai primi del ‘900. D’altra parte non è ovviamente dato di sapere come fosse la distribuzione degli edifici nel 1400 e 1500. Una ragione in più per vedere in questa costruzione una importanza notevole per il Borgo: la casa, infatti, doveva avere una funzione direttamente collegata al sistema difensivo del Borgo stesso, oltre che, probabilmente, anche una funzione finanziaria (riscossione dei dazi). Ma se ne parlerà in seguito.

fig. 8 – via Torcelli – Collezione Berruti

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Mappe, stampe e disegni

Il disegno di Girolamo Lippomanno, 1571

La mappa più antica che rappresenta il Borgo del Finale risale al 1571. Si tratta di un disegno eseguito da Girolamo Lippomanno che raffigura la posizione dell’artiglieria genovese ed imperiale durante l’assedio di Castel Gavone nel 157112. Sono ben rappresentati il borgo, la antica Torre del Becchignolo (poi incorporata nel Castel San Giovanni) e il soprastante Castel Gavone. A sud del Borgo si nota una strada che esce dalla Porta Carretta (poi denominata Porta Reale) e, appena al di là del fiume, due costruzioni, rispettivamente a sinistra e a destra.

fig. 9 - Archivio di Stato di Venezia, Gerolamo Lippomanno 1571

disegno di Girolamo Lippomanno, Archivio di Stato di Venezia, in T.O. De Negri, Castel Gavone ed il Finale in relazioni venete del 1571, in Bollettino Ligustico III, 1951, pagg. 17-21. 12

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in T.O. De Negri, Castel Gavone ed il Finale in relazioni venete del 1571, in Bollettino Ligustico III, 17-21

Si ritiene di poter individuare la costruzione di destra come l’immobile oggetto della ricerca, e quello di sinistra come l’edificio dell’Ospedale. Il Lippomanno avrebbe cioè disegnato le uniche due costruzioni, fuori le mura, di una certa rilevanza: l’Ospedale, appunto, e il corpo di guardia esterno. Tale convinzione è dettata dal fatto che, per quanto si dirà nel capitolo relativo all’esame dell’immobile, è indubitabile che la costruzione sia molto antica. E se, come pare evidente dalle osservazioni di natura tecnica effettuate sull’edificio, la struttura originaria era costituita da una torretta di guardia, la sua edificazione deve farsi risalire all’epoca della edificazione del borgo stesso, se non prima, come già ricordato. Risulta evidente come, già nel 1571, la costruzione fosse importante, tanto da meritare di essere disegnata come elemento esterno al Borgo. Nel disegno l’immobile assume la forma di una casa e non di una torretta: a parte l’evidente “stilizzazione” del disegno, appare comunque chiaro che nel ‘500 la struttura aveva già probabilmente assunto una funzione più importante: è verosimile che, allora, fosse sia sede di un corpo di guardia, sia luogo di esazione delle imposte, e per questa duplice funzione una semplice torretta, di cinque metri di lato, non bastava evidentemente più. A conferma di quanto so-

fig. 10 - particolare

pra, si osserva che le indagini di natura tecnica, che sono state effettuate sull’edificio, hanno messo in luce che i locali, edificati attorno alla torretta, sono appunto da farsi risalire al ‘500. Quanto alla funzione della Casa, oggetto del nostro studio e di cui discuteremo in apposito capitolo di questo lavoro, si ricorda che, secondo una delle ipotesi esaminate, l’immobile ha avuto la funzione di corpo di guardia fino a metà del ‘600. D’altra parte appare comunque logico dedurre che la destinazione dell’immobile, fin dalla sua edificazione, non poteva ricondursi ad una abitazione privata: è infatti da escludere che il Marchesato abbia consentito ad un cittadino di crearsi una dimora subito fuori la cinta delle mura, cioè senza la protezione e senza il controllo attuabili all’interno. Non meno improbabile, poi, è che un privato abbia eretto quella costruzione in luogo tale da rendere insicura la propria difesa. Nasce da ciò la ragionevole ipotesi che l’immobile fosse appunto adibito ad avamposto di sentinelle, con compiti di controllo e di avvistamento. Non è escluso che in quella costruzione trovasse posto anche il Gabelliere: la posizione lungo la “strada del sale“, e all’ingresso del Borgo, lo fa seriamente pensare. Se poi si considera l’uscita dal Borgo, attraverso la Porta Reale, si può notare che l’immobile costituisce l’unico cardine della svolta, a destra, dell’antica strada per la Marina. 20

Ancora deve considerarsi il fatto che nel Medioevo non era affatto raro trovare due Corpi di guardia: uno, ben guarnito di soldati a difesa della porta della città, ed uno esterno, che fungeva anche da verifica e controllo preventivo di chi voleva entrare nella città fortificata. In letteratura si incontra abbastanza spesso questo corpo di guardia che aveva principalmente compiti di controllo del carico dei carri commerciali, e di esigere anche il dazio.

Stampa del Borgo del Finale di G.B. Sesti, 1707 Gian Battista Sesti fu un disegnatore, vissuto tra il 1666 e il 1734, che lasciò pregevoli disegni di molte città italiane. In una stampa del 1707, il Sesti disegnò “Il Borgo del Finale”13, il Castel San Giovanni e il Castel Gavone, poco tempo prima che i Genovesi lo facessero saltare con la dinamite. In questo disegno, appena fuori porta Reale, contraddistinta dal numero “7”, si nota una grossa costruzione o piazza (non è propriamente comprensibile). Sennonché la sua posizione è errata. La costruzione è situata tra il fiume e la “strada per Alessandria”, il che non può essere, dato che la strada correva, come corre anche oggi, proprio a ridosso del fiume. Oltretutto, la costruzione è di notevoli dimensioni, rispetto al Borgo; risulta pertanto incomprensibile che cosa sia. Quand’anche potesse ritenersi invece una piazza, a quell’epoca l’odierna Piazza del Milite Ignoto aveva comunque dimensioni sicuramente più ridotte. E in ogni caso la posizione, tra il fiume e la strada, risulta errata.

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G.B. Sesti, Piante delle Città, Piazze e Castelli fortificati dello Stato di Milano, 1707, collezione Berruti 21

fig. 11 - Sesti, 1707, Collezione Berruti

Evidentemente il disegnatore non si curava di questi particolari (anche il Borgo entro le mura non è disegnato), dato che lo scopo principale era quello di evidenziare le fortificazioni: il castel S. Giovanni e il Castel Gavone. Esaminiamo ora due interessanti disegni, il primo di poco successivo (1715) ed il secondo del 1773: sono entrambi molto più precisi.

Il “Piano geometrico di Finale col Borgo e dintorni” dell’ing. De Langlade, 1715

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Il primo disegno del 1715 è il “Piano geometrico di Finale col Borgo e dintorni”14, disegnato dall’ingegnere Gio Gerardo De Langlade nei primi mesi del 1715 per documentare la situazione topografica del luogo, prima della demolizione del Castel Gavone, effettuata nel maggio del medesimo anno.

fig. 12 - Ing. Gio Gerardo De Langlade, 1715, Piano geometrico di Finale col borgo e contorni, Archivio di Stato di Genova. Da AA.VV., La chiesa e il convento di Santa Caterina in Finalborgo, Genova, 1982, pag. 93

Il disegno è piuttosto schematico, ma preciso. La posizione della casa di via Fiume è esatta. La situazione del rione fuori le mura è già abbastanza definita: si nota il convento, la struttura dell’Ospedale di San Biagio e la piazza del Milite Ignoto. Compare sul retro della casa una costruzione lunga, che, come vedremo, compare anche nel disegno successivo. Si tratta di una casa colonica, diroccata e di nessun valore catastale, che compare in qualche atto notarile, e che si trovava situata sul terreno detto “il piano del ponte”. Si tratta di un edificio che conteneva alcune botteghe, di proprietà della famiglia Sevizzano (che già possedeva all’epoca anche la casa di via Fiume). Di tale edificio diamo conto, nel capitolo che riguarda l’esame della struttura della casa e della edificazione attorno alla Torretta, attraverso l’esame e la lettura dell’atto del Notaio Sciora del 173815. Tale costruzione potrebbe essere stata abbattuta a fine ‘700, dato che nel catasto Napoleonico del 1813 non compare più. Resta, tuttavia, un dubbio, dato che in quest’ultimo catasto, poco dietro la casa, oggetto del nostro studio, compare un altro edificio, composto da botteghe. Il AA.VV., La chiesa e il convento di Santa Caterina in Finalborgo, Genova, 1982, pag. 93 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Tomaso Agostino Sciora, 2420B, 20 settembre 1738, 291 v. 14 15

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disegno del De Langlade e del successivo del Vinzoni, potrebbero essere stati, pertanto, molto poco accurati.

“Rappresentazione del Borgo” di M. Vinzoni, 1773 Veniamo al secondo disegno: “Rappresentazione del Borgo”, tratto da “Il dominio della Serenissima Repubblica di Genova in terraferma”, effettuato da M. Vinzoni e pubblicato nel 177316.

fig. 13 - M. Vinzoni, 1773, Il dominio della Serenissima Repubblica di Genova in terraferma. Archivio di Stato di Genova. Da AA.VV., La chiesa e il convento di Santa Caterina in Finalborgo, Genova, 1982, pag. 93

I due disegni sono molto simili, e parrebbe addirittura che il secondo sia solo un rimaneggiamento del primo, con linee “più arrotondate”. In sostanza in sessanta anni nulla o quasi è cambiato. Se vogliamo, il disegno del Vinzoni è ancora più preciso e meno schematico di quello dell’ing. De Langlade. Ancora una volta appare la costruzione lunga sul retro della casa di via Fiume che, nel disegno del Vinzoni, risulta addirittura come un “prolungamento”, non distaccato dalla medesima. Dalla lettura dell’atto del Notaio Sciora del 1738, sopra accennato, risulta invece che tra i due edifici vi fosse uno spazio. Valgono comunque le considerazioni sopra espresse in ordine al catasto napoleonico del 1813.

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AA.VV., La chiesa e il convento di Santa Caterina in Finalborgo, Genova, 1982, pag. 93 24

Il dipinto della Collegiata di S. Biagio, seconda metà del 17° secolo Un’altra immagine di Finalborgo, in cui si nota chiaramente la casa di via Fiume. Si tratta di una tavola devozionale, risalente ad un periodo tra la seconda metà del 17° secolo e la prima metà del 18° secolo, che si trova all’interno della Collegiata di S. Biagio. In questa raffigurazione si vede chiaramente la Porta Reale, il ponte e la casa, con tetto

fig. 14 - Tavola devozionale nella Collegiata di San Biagio, Finalborgo Da AA.VV., La chiesa e il convento di Santa Caterina in Finalborgo, Genova, 1982, pag. 39

scuro (individuata con una freccia). L’immobile ha evidente struttura di casa di abitazione, e, partendo dal presupposto che l’autore della tavola si sia attenuto scrupolosamente alla realtà, risulta che l’immobile è già stato sopraelevato, tanto che la forma del tetto appare quasi quella attuale. Se così è, il dipinto è posteriore al 1783, data nella quale, con certezza, per quanto poi vedremo, Nicolò Piuma costruì il primo piano sui fondachi sottostanti.

La cartografia del Catasto Napoleonico, 1813 Si tratta della mappa allegata al Catasto Napoleonico che, per quanto riguarda Finalborgo, risale al 1813. Il Catasto è conservato presso l’Archivio di Stato di Torino, nella sede di via Piave 21. Il Catasto Napoleonico, relativo a Finalborgo, è composto di due sezioni: 25

La prima, denominata “Section D du Chef lieu Final Bourg”, rappresenta il Borgo entro le mura e gli immobili lungo la parte finale dell’odierna via Brunenghi. Sono entrambe rappresentazioni cartografiche molto precise, anche graficamente gradevoli. Nella sezione D non compare la casa di via Fiume, mentre è ben visibile il ponte che dà accesso al Borgo attraverso la Porta Reale, nonché il “casotto” all’inizio del ponte.

fig. 15 - Archivio di Stato di Torino, Il Borgo del Finale, Catasto napoleonico, 1813

La seconda tavola, o mappa, denominata “Section H dite du Prato à l’Aquila”, rappresenta invece il territorio attorno al Borgo, sia quello che costeggia il fiume Aquila su entrambe le rive, sia quello che costeggia il fiume Pora.

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In questa tavola si può notare il territorio “extra muros”, caratterizzato da pochi edifici e molti terreni, che nel “registro matrice” del Catasto, risultano essere di diversi proprietari, ma tutti coltivati, soprattutto a piante di gelso (moroni), di arance, viti e olivi.

fig. 16 - Archivio di Stato di Torino, Il Borgo del Finale, Catasto napoleonico, 1813

Di questa sezione riproduciamo sia la mappa intera che il particolare del mappale 149. L’edificio contraddistinto dal numero 149 è la casa di via Fiume, con annesso cortile (tuttora esistente nelle medesime proporzioni). Ricompare anche qui il “casotto” alla testa del ponte (edificio al numero 151). Il numero 150 è il pozzo che si trovava al centro dell’attuale Piazza Milite Ignoto. Come si può notare la casa qui non ha un “prolungamento” (la casa colonica sul retro), che pertanto, rispetto ai disegni del 1715 e del 1773, è stato a quell’epoca già demolito. A meno che, come si ricordava, non si possa individuare quell’immobile nella costruzione posta sul retro della casa e dalla quale è ben poco distanziata: la forma sembrerebbe proprio quella. Dall’esame del registro matrice del catasto, relativo alla sezione H, e più precisamente all’allegato G, n. 537, risulta che quell’immobile era un insieme di botteghe di artigiani: Nocelli Giovanni teneva bottega di “magnano”, cioè artigiano che costruisce e ripara serrature, Bartolomeo Burlo faceva l’agricoltore a Monticello, ma aveva qui un laboratorio di riparazione di calzature, e poi ancora Ardito Nicola e Giaccheri Costantino. 27

Nello stesso registro matrice, la casa di via Fiume è censita al numero 149, e risulta di proprietà di “Chiazzari François fu Vinçent Prop.re à Final Bourg”. La casa è descritta, semplicemente, come “Maison et Cour”.

Fig. 17 Archivio di Stato di Torino, Il Borgo del Finale, Catasto napoleonico, 1813 - particolare

Il “casotto”, che si trova di fronte alla casa e a ridosso del ponte, censito al numero 151, risulta essere di proprietà del “Domaine National”, ed è definito come “Magasin”. Francesco Chiazzari, importante proprietario terriero, era uno degli uomini più ricchi di Finalborgo e, quanto a ricchezza, era secondo soltanto al Conservatorio di Santa Rosa17. In Finalborgo possedeva sei immobili, per un valore totale di L. 17.200, di cui tre all’interno delle mura18. Ma ne parleremo più ampiamente nel capitolo relativo alla famiglia Chiazzari. I palazzi sicuramente più belli di proprietà della famiglia Chiazzari erano, innanzitutto, quello denominato “Casa Torcelli”, sito entro le mura del Borgo, e contornante l’attuale piazzetta Meloria (già Piazzetta dei Chiazzari), di proprietà di Francesco Chiazzari, che poi lasciò in eredità al nipote Vincenzo. Il secondo edificio più importante era il “Palazzo Chiazzari”, posto al termine della via Maestra, poi via Nicotera, nel tratto che oggi più non esiste, perché, a seguito delle demolizioni operate nel 1956, è divenuto parte dell’attuale Piazza Garibaldi. Si tratta del bell’edificio che domina il lato ovest della piazza. Alessandro Chiazzari acquistò tale edificio il 25 giugno 1796 dall’Ospedale di San Biagio e Rocco19 e lo lasciò in eredità al figlio 17 D. Ballarò e R. Grossi, “Finalborgo, spazio urbano tra Sette e Ottocento”, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Finale Ligure 2001, pag. 39 18 D. Ballarò e R. Grossi, cit, pagg. 44 e 45 19 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Pier Giovanni Rozio, 3939 atto 25 giugno 1796, 105

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Vincenzo, che in tal modo divenne proprietario di entrambi i palazzi. Vedremo nella “scheda” relativa alla storia della famiglia Chiazzari più nel dettaglio la storia delle loro proprietà. I Chiazzari furono famiglia importante e facoltosa, e facevano sicuramente parte della élite cittadina: possedevano anche un palco al Teatro Aicardi di Finalborgo20.

Disegno di Niccolò Orsolini, 1840 Niccolò Orsolini disegnò il panorama del Borgo del Finale, nel 1840, evidentemente dalla collina di Monticello.

fig. 18 - disegno di Niccolò Orsolini, 1840, collezione privata. Da AA.VV., La chiesa e il convento di Santa Caterina in Finalborgo, Genova, 1982, pag. 94

Come si può notare, a quell’epoca la casa era ad un solo piano. Si noti infatti la porta d’ingresso del piano terreno (ora non più esistente, perché sostituita da una finestra), posta quasi all’angolo, ed una sola fila di finestre al primo piano.

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D. Ballarò e R. Grossi, cit,, pag. 121 29

Manca quindi il secondo piano che, come più avanti si vedrà, fu edificato da Raffaele Berruti nel 1882. Il disegno dell’Orsolini21 è inoltre interessante anche per altre caratteristiche. Si notano, infatti, la Porta Reale e la torre merlata sulla destra della porta. Scarrone e Murialdo sostengono che in tale disegno si possono individuare le tracce della originaria Chiesa di San Biagio fuori le mura, abbandonata nel 1375, e di cui si noterebbe ancora la forma absidale della costruzione verso la casa di via Fiume, con una torre, che può essere o una torretta o quel che è rimasto di un campanile22. Su questa ipotesi, e sulla aderenza alla realtà di questo disegno, chi scrive ha qualche dubbio. Il disegno dell’Orsolini (1840) è posteriore alla stesura del Catasto Napoleonico (1813). Ebbene, nella cartografia allegata al Catasto non si riscontra alcuna “forma absidale” in quell’edificio. Nessuno dubita, ci pare, della accuratezza con la quale l’estensore della carta napoleonica ha rappresentato fig. 19 - particolare

gli edifici. Come si può notare l’immobile, contraddistinto dal n.

347, ha una forma vagamente rettangolare, sicuramente non perfetta, ma altrettanto sicuramente tale da escludere che avesse una forma arrotondata o, addirittura, absidale. Con ogni probabilità l’Orsolini ha voluto rappresentare quello che “un tempo era”, ma non quello che in realtà vedeva. D’altra parte nel disegno vi sono altri riferimenti non corretti, frutto della “fantasia” dell’autore. In ogni caso il disegno dell’Orsolini, stante la penuria di disegni o mappe dell’epoca, rappresenta uno strumento fondamentale, se raffrontato con altre fonti, di come doveva essere Finalborgo a metà ‘800. Si noti, per esempio, all’ingresso del ponte, l’Arco di trionfo, eretto nel 1666 in occasione del passaggio di Margherita Teresa d’Austria che andava in sposa all’Imperatore d’Austria a Vienna. Fu in quell’anno che fu inaugurata la nuova Strada Beretta, che sarebbe stata appunto percorsa dall’Imperatrice, e che andava a sostituire definitivamente l’antica via Romana per Alessandria, che passava davanti alla casa di via Fiume.

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Litografia di Anonimo, 1840 circa, Collezione privata. G. Murialdo, G. Rossini. M. Scarrone, La Collegiata di San Biagio in Finalborgo, Savona, 1991 30

Questo arco venne demolito nel 1847, unitamente al ponte di pietra, per far posto ad un nuovo e più largo ponte “attualmente troppo incomodo al commercio”23. Nella medesima occasione venne demolito anche il “casotto” che stava sulla destra dell’arco.

fig. 19 - Orsolini 1840

fig. 20 – cartolina 1913

Il disegno, come si diceva, pur con le dovute cautele, era abbastanza aderente alla realtà, e, per quanto riguarda la Casa, oggetto del presente studio, possiamo verificarne la rispondenza al reale osservando una cartolina del 2 marzo 1913, edita dalla Tipografia Bolla. In tale cartolina compare la casa. L’“angolo visuale” è identico a quello del disegnatore Orsolini. Ma le due rappresentazioni sono ancor più interessanti, se raffrontate tra loro, perché dimostrano che il secondo piano è stato edificato successivamente al 1840 e prima del 1913: e più avanti vedremo quando ciò si è effettivamente verificato. Nella immagine di sinistra, infatti, la casa ha un solo piano: si nota alla base sinistra una apertura, corrispondente ad una attuale finestra, o più probabilmente ad una porta, come si ipotizza nel capito successivo. Nel particolare della cartolina, a destra, si nota invece come, pur nella non chiarezza dell’immagine, i piani siano evidentemente due.

Altro disegno di Niccolò Orsolini, del 1840 Vi è un altro interessante disegno dell’Orsolini, che raffigura il ponte che collega la via della Marina con il Borgo. E’ intitolato “Vue du Ponte a St. Biagio à Finalborgo”. Si tratta di una litografia di Anonimo su disegno, appunto, di Nicolò Orsolini. Anche questo data 1840 circa.

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Archivio Storico Comunale di Finale, Cart. 1-257 Strade. 31

fig. 21 – Orsolini, Vue du Ponte a St. Biagio à Finalborgo, 1840

In questa stampa si nota, molto chiaramente, la torre merlata sulla destra della Porta Reale, l’Arco di trionfo di Margherita Teresa, e il “casotto” proprio alla base del ponte. Si nota ancora, dietro il ponte, la tozza costruzione del Mulino della Rusca, di cui ancora oggi si vedono le tracce24. Si trattava di un “molino ad acqua per la macina della rusca”. A parte l’immagine bucolica del luogo, che è sicuramente bel lungi dal solo assomigliare alla realtà, è indubbio che la “testimonianza” è interessante dal punto di vista storico.

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D. Ballarò e R. Grossi, cit,, pag. 104 32

L’esame della costruzione

Al fine di capire come doveva essere la struttura originaria della casa, è ovviamente necessario partire dal piano terreno, dove, ancora oggi, si trova la Farmacia. Ed infatti, dopo un attento esame della struttura della casa, è possibile individuare, ragionevolmente, per scarti consequenziali, le epoche e i tempi di crescita sul terreno, e lo sviluppo in altezza dell’edificio. Presa visione delle cartografie, allegate alla domanda di autorizzazione a compiere lavori nei locali a pian terreno, adibiti ad uso di Farmacia (documenti redatti nel 1975 dall’ing. Ugo Mazzarelli), si è potuto fare luce su almeno una parte della “storia” del piano terreno, prima e dopo le demolizioni e la posa in opera delle nuove tramezzature. Vedremo ora due tavole: la prima illustra la situazione attuale, mentre la seconda la situazione prima dell’intervento. Dalle cartografie ritrovate, dalle notizie raccolte all’epoca della ristrutturazione, e da una attenta lettura delle parti non rimaneggiate, si può desumere che tutto il piano terreno fu costruito molto tempo prima delle sopraelevazioni dell’immobile.

fig. 22 - situazione post 1975

fig. 23 - situazione ante 1975

In sostanza la casa, nel suo stato attuale, è il risultato di almeno cinque interventi: 1. La edificazione di una torretta 33

2. La edificazione, “attorno” alla torretta, del piano terreno con tre ambienti distinti, avvenuto presumibilmente a fine ‘500 3. La edificazione del primo piano, avvenuta nel 1783, da parte di Nicolò Piuma, conduttore dell’edificio, allora di proprietà Chiazzari 4. La edificazione del secondo piano, avvenuta nel 1882 da parte di Raffaele Berruti, titolare della omonima Farmacia, di proprietà di Caterina Folco 5. Il “prolungamento” della casa verso nord-est, completata il 25 giugno 1930 da parte del dott. Mario Berruti.

La Torretta Per quanto riguarda la Torretta, la stessa è palesemente individuabile al centro dell’attuale casa.

fig. 24 - tavola 3 – la torretta e la mangiatoia

La Torretta si trovava, cioè, a circa sei metri di distanza dalla carreggiata dell’attuale via Fiume. 34

Quanto alle sue originarie dimensioni, le possiamo ipotizzare tra i cinque e i sei metri di lato, dato che quanto oggi rimane, cioè lo scheletro di base, misura circa 3,5 metri per 3. Come si è giunti alla individuazione della Torretta? Esaminando il soffitto del locale dove era situata una mangiatoia (di cui si dirà), segnalata nella tavola 3, si nota che è a "crociera", con un ampio "spicchio" non completo su ogni lato. La non regolarità del perimetro del locale ha portato a una copertura asimmetrica, peraltro ben risolta, la quale testimonia che chi intervenne nell'edificazione era a conoscenza di tutte le forze strutturali in gioco. Lo sperone di muro, a forte spessore, che attraversa ancora una parte del locale poteva far pensare o ad uno spezzone residuo di una precedente demolizione, o a un muro portante e di rinforzo, eretto volutamente prima di iniziare la prima sopraelevazione. Osservando più attentamente le pareti sottostanti la prima rampa di scale (che si trova nel locale lungo e stretto posto a sinistra nella tavola n. 3), si nota, invece, che il muro che affianca e chiude il sottoscala, perpendicolare al menzionato spezzone, è fortemente inclinato da terra verso l'intradosso della rampa; e che questo è costituito di grandi massi in pietra ben assemblati (ora intonacati), mentre il "corpo" dei muri perimetrali e interni è formato da materiali eterogenei. Ritenere che si sia dovuto rinforzare il "piede" del muro per poter costruire il vano scale significherebbe non valutare la struttura portante della prima rampa: infatti, un arco ben calibrato nasce dal pavimento e si appoggia al muro esterno verso il cortile esterno. Da queste considerazioni è nata, appunto, l'ipotesi, o quasi una certezza, che antecedentemente a tutti e tre i locali individuati, esisteva una torretta di avvistamento, di controllo, o anche di difesa. Non è da escludere che essa fosse munita di merli e feritoie, come le mura di fronte, o come quelle che concludevano, fino ad alcuni anni addietro, la grande torre che ancora si affianca, sobriamente, alla Porta Reale, sul primo costruito murario della cittadella. La demolizione di un fianco della torretta e il suo svuotamento interno avvennero, certamente, quando fu decisa l’edificazione dei locali posti attorno alla originaria torretta.

La edificazione “attorno” alla Torretta Con ogni probabilità, nel momento in cui si articolarono viabilità e commercio, prese corpo una nuova realtà economica e sociale e fu necessario edificare altri corpi intorno alla piccola torre. Il sempre più fiorente Marchesato assegnò un ruolo di difesa alla seconda cerchia di mura merlate, ora scomparse. La Torretta, quindi, aveva forse perduto il suo ruolo meramente 35

difensivo, ed allo stesso venne assegnato, come abbiamo detto, un compito di vigilanza del “traffico”, oltre che forse di esazione dei dazi. Come vedremo più avanti, si è ipotizzato che gli Spagnoli, preso possesso del Finale, si liberarono dell’edificio, posto fuori le mura, perché aveva ormai perso il suo ruolo e la sua funzione, e lo cedettero a privati, e cioè alla famiglia Sevizzano. Esaminata “sulla carta” la costruzione attuale, esaminata la conformazione delle volte, previa cancellatura di tutte le tramezzature, aggiunte o sostituite in tutti i “rimaneggiamenti” a cui è stata sottoposta la Farmacia, si può giungere a dimostrare che il corpo di fabbrica edificato attorno alla antica Torre, era composto di tre ambienti. Un grande locale a nord-est, e due locali che fronteggiavano le mura merlate. A tale vano si accedeva sicuramente dall’attuale piazza Milite Ignoto, tramite un ingresso che successivi riempimenti e consolidamenti della strada hanno poi ridotto a finestra. Questo lato del locale si è certamente attestato sul fianco del tracciato dell'antico sentiero, o strada, che ne ha determinato il perimetro irregolare. E' infatti impensabile che, fuori le mura, potesse esistere un confine fra proprietà private idoneo a condizionare, allora, la linea di tracciamento di un edificio destinato all'esercizio di un servizio di vigilanza, di controllo e, forse, anche di difesa. Nel 1975, in questo locale fu definitivamente demolito l'ultimo residuo in pietrame di quello che, un tempo, costituiva il basamento di una mangiatoia per cavalli (ciò conferma la destinazione di tale edificio anche alla custodia, al riposo e alla pulizia degli animali). In epoca successiva, vennero apportate delle varianti che ne cambiarono completamente la destinazione: per esempio, vi fu ricavato un grande focolare, le cui tracce sono ancora visibili. E' difficile asserire se l'apertura che attualmente dà accesso al locale vendite della farmacia fosse, in origine, un passaggio interno fra i due locali. Si sa soltanto che durante i lavori di restauro fu tolto un uscio e si tentò di ampliare la luce della porta, ottenendo, però, risultati modesti, essendosi trovati in presenza di una muratura composta di materiali eterogenei. Invece, si può asseverare con certezza l'esistenza di un'apertura a nord (ora formalmente alterata), che permetteva l'uscita nei prati agli uomini e agli animali. La parte della farmacia attualmente aperta al pubblico tornò, con l'intervento del 1975, a essere quel locale unico che, forse, esisteva all'inizio. Si abbatté il muro divisorio fra i due piccoli vani, costruito un tempo a rinforzo della volta, che presentava una pericolosa crepa nel punto mediano, conseguenza o di successivi e troppo repentini assestamenti del terreno o di una forte scossa tellurica. A tale proposito, si osserva che il terremoto del 1887 causò gravi danni alla casa, tanto che la famiglia Berruti, che gestiva la farmacia, ed abitava gli appartamenti soprastanti, fu costretta a trasferire, per alcuni anni, sia l’abitazione che la Farmacia nella vicina via Delle Scuole (attuale via Brunenghi). Attualmente, un arco in cemento armato poggia su due 36

pilastri, anch’essi in cemento armato, accostati alle pareti. Si trattava, quindi, di un unico locale, coperto da una volta "a botte", con due pronunciati "spicchi" ricavati nei lati più lunghi, aventi la funzione di alleggerire la struttura e di equilibrare le spinte. Se, però, ci si sofferma a considerare la funzione di questo corpo di fabbrica (scolta di gendarmi, posta di cavalli) e la sua particolare collocazione (edificio contrapposto all'accesso carraio e pedonale del secondo scomparso ordine di mura merlate), non è erroneo supporre che vi siano stati passaggi successivi da locale unico a due piccoli locali, e viceversa, senza escludere l'ipotesi che uno di essi potesse aver avuto, temporaneamente, un lato completamente aperto ad arco, rivolto alle mura, concepito come "spazio" coperto per le sentinelle e per i viandanti in sosta, o come luogo di attesa per i viaggiatori in partenza o in arrivo. Il corpo di fabbrica sottostante il vano scale può essere, come s'è detto, il terzo locale costruito accostato alla preesistente torretta e avente, forse, funzione di magazzino o di deposito, ovvero, semplicemente, di luogo per il riposo e il ristoro della scolta. Un locale, in ogni caso, unico, a base rettangolare, coperto da una regolare volta "a botte", poggiante sui due lati più lunghi del perimetro. Come vedremo in seguito, già a metà del ‘600 l’edificio era stato adibito a botteghe. Fino a metà ‘700 i locali adibiti a botteghe erano due. Successivamente, a seguito di rimaneggiamenti, i locali rimasero due ma suddivisi in quattro botteghe. La parte di casa che si trova esposta a levante (verso Monticello) era in realtà composta da “una bottega con altra interiore”, il che farebbe pensare che la bottega interiore fosse lo spazio occupato dalla torretta, con un lato aperto verso l’interno. Per cercare di capire la struttura della casa, è opportuno leggere un atto del notaio Sciora del 173825, nel quale si dà una descrizione sia dell’immobile a nord della casa, sia della casa stes25 Archivio di Stato di Savona, Notai Distrettuali, Notaio Tomaso Agostino Sciora, 2420B, 20 settembre 1738, 291 v.: “1738, 20 settembre 291 v.: “Le M.M. Sig.re Anna Maria Rosa e Maria Vittoria Catterina, sorelle e figlie del q. Sig. Carl’Angelo Sevizzano del presente Borgo Finale in questa parte come rinunciatarie del M. Rev. Padre Maestro Antonio Maria Sevizzani loro fratello, alla presenza dello stesso, concedono a titolo di locazione a Niccolò Sanguineto q. Andrea: un magazzeno sito fuori del presente Borgo dov’era prima un forno ed il qual fondaco sono già più anni che vien condotto dallo stesso Niccolò Sanguineto ed è contiguo al magazzeno grande, di presente condotto da M.ro Domenico Piuma e con altro contiguo et attacco scoperto, sotto suoi confini, per anni nove prossimi venturi e per fitto annuo di lire sei di Genova da pagarsi annualmente, siccome detto Sanguineto conduttore promette. Inoltre le sudd.te gli affittano per anni nove come sopra, una stanza sopra al magazzeno qual stanza di presente è inabitabile, siccome suddette Sig.re locatrici affermano e confessano. E più la Terrazza sopra l’accennato fondaco grande, tenuto in affitto dal Mr. Piuma con sua scala che ha principio nel cortile ed ascende alla detta Terrazza. E finalmente altro magazzeno vicino la sopraddetto scoperto e contiguo qual’ha una porta nell’orto verso giovo, che si deve chiudere, qual fondaco di presente è inabitabile. Con i seguenti patti e prime rispetto alla detta stanza debba il sudd. Sanguineto far accomodare in detti anni nove a proprie spese, acciò sia resa abitabile, con far porre nel tetto quattro o sei gronde in circa, farvi la porta, lastricare detta Stanza di ciapelle, farvi due finestre, una di un’anta, e l’altra due, accomodarvi la scale col suo parapetto e la porta per entrare nella sopradetta Terrazza e più un arco di palmi sei per introdursi nella detta stanza con farvi anco il focolaro per una cucinetta, da coprirsi col suo poco tetto, il che tutto promette di fare in detto tempo il sudd. Sanguineto a sue proprie spese e perciò dovrà restrutturare sudd. Stanza e Terrazza per anni nove prossimi venturi, senza pagare fitto alcuno et alcuna persona, e dopo la morte delle sudd. sorelle non possa ammovere il detto Sanguineto dalla pre-

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sa. Si tratta di un atto con il quale Anna Maria Rosa e Maria Vittoria Catterina Sevizzano avevano concesso in locazione, a certo Niccolò Sanguineo, una casa vicino al Ponte, che una volta era un forno. Da tale atto pare di capire che la casa, oggetto del nostro studio, fosse un grande magazzino (comunque suddiviso in più locali), dotato di una terrazza a cui si accedeva tramite una scala che partiva dal cortile. E’ molto verosimile che, a quell’epoca, la torretta fosse stata già “cimata”, e quindi portata a livello della terrazza, costituente la copertura delle botteghe.

La prima sopraelevazione I locali della casa di via Fiume erano locati alla famiglia Piuma almeno dal 1730. Nel 1783 Nicolò Piuma, che nel frattempo era succeduto al padre Domenico, chiese ed ottenne dai proprietari dell’edificio, signori Chiazzari (che nel frattempo lo avevano ereditato dai Sevizzano), di elevarlo di un piano. Vediamo, ora, dal punto di vista tecnico, come si è potuto rilevare l’esistenza di questa sopraelevazione. L'inserimento della prima rampa delle scale ha costretto al taglio della volta in prossimità dell'ottavo gradino. Che questo taglio sia avvenuto in occasione della sopraelevazione dell'edificio, è dimostrato dall'inesistenza di riferimenti formali nei soffitti dei pianerottoli e delle rampe (questi sono infatti piani) e dal fatto che non è pensabile che si sia concepito un intervento che abbia sostituito un dato "modo" di costruire a metà della prima rampa. Il locale di cui trattasi dava accesso ai campi; esiste ancora un vano porta molto basso, i cui cardini, rimasti, testimoniano forse un intervento di chiusura più avanzato negli anni. Un piccolo finestrino ha la forma classica della feritoia strombata vero l'interno. L'attuale accesso dalla strada, ora denominata via Fiume, è tardo ed è da far risalire alla prima sopraelevazione. Ma quando è avvenuta la sopraelevazione? La risposta ci è giunta dalla lettura di un documento, reperito all’Archivio di Stato di Savona: la data di sopraelevazione è, come ricordato, del 1783. sente locazione, se non prima pagate al medesimo tutte le spese che avrà fatto nell’accomodamento di detta stanza, secondo il conto che mostrerà, come così convengono ed in quanto al sopradetto ultimo fondaco, il quale ha la trovina (?) che si deve demolire, si prende l’obbligo il sudd. Sanguineto di rifarla in detti anni nove, con averli intanto a usufruttuare gratis come convengono, passati quali anni nove doverà restituire il tutto accomodato secondo i patti, altrimenti debba rifondere la spesa necessaria a simile risarcimento in giudizio de’periti. E fanno le predette Sig.re sorelle tutto quanto sopra coll’autorità, volontà, consiglio, e consenso del M.co Dr. Sig. Benedetto Cremata del Sig. Cap. Gio. e del M. Rev. Sig. Canonico Don Giovanni Cremata di lui figlio, suoi prossimi parenti, qui presenti che le prestano il loro consenso e giurano rispettivamente toccate le Scritture ed il petto al costume sacerdotale. Fatto in Finale nella casa di solita abitazione delle Sig.re sorelle Sevizzani.” 38

In quell’anno l’edificio era di proprietà della famiglia Chiazzari, e più precisamente dei fratelli Francesco Maria, Michele e Alessandro Chiazzari, figli di Vincenzo (morto prematuramente). I Chiazzari, dall’epoca in cui ereditarono l’immobile nel 1753 (come vedremo in un capitolo successivo), non apportarono modifiche significative all’edificio, limitandosi ad adibirlo a fondaco (cioè a magazzino in cui venivano depositate le merci), costituito da almeno tre stanze, più il locale della torretta, e a concederlo in locazione a terzi. Nel 1783 l’edificio, con tutti i locali, era appunto concesso in locazione a Nicolò Piuma, il quale aveva evidentemente deciso di abitare là dove esercitava la sua attività. Con atto del 9 agosto 1783 (era sabato e dopo pranzo) i Fratelli Francesco Maria, Michele e Alessandro Chiazzari, figli dell’avv. Vincenzo, concessero al sig. Nicolò Piuma fu Domenico di edificare, sopra i due fondachi già esistenti, una “casa di pianta”. In base a tale contratto il Piuma poteva godere in perpetuo dell’immobile, e si impegnava a garantire i Chiazzari dai danni, eventualmente provocati dall’edificazione. Ma tale documento, che riportiamo in nota26 (alcune parole sono mancanti, perché incomprensibili), è interessante anche perché fotografa la situazione della zona di via Aquila all’epoca del 1783. 26 Archivio di Stato di Savona, Notai Distrettuali, Notaio Casatroia Giuseppe (1750-1787) Finalborgo, 3453, atto 9 agosto 1783, 199 r.: “1783 giorno di Sabbato 9 agosto al doppopranzo. Essendosi il Signor Nicolò Piuma q. Domenico di questa Città spontaneamente esibito alli Magnifici Signori Francesco Maria Michele, ed Alessandro fratelli Chiazzari quondam Magnifico Vincenzo di detta Città di fabricare una casa di pianta sopra i due fondaci di spettanza dei detti Magnifici fratelli Chiazzari esistenti fuori della Porta Reale di questa città sotto i suoi notorij confini, annessi ad un loro Piano chiamato il Piano del Ponte appiggionato al presente a Giovanni Firpo, di fabricare dissi a proprie spese detta casa, sotto li patti, condizioni, modi, e forme infrascritte ed essendo tale spontanea esibizione del detto Sig. Piuma dai sudetti Magnifici fratelli Chiazzari stata accettata sotto li stessi patti, condizioni, modi, e forme infrascritte e volendo ora detto Signor Piuma, e detti Magnifici fratelli Chiazzari ridurre a publica scrittura quanto, è stato fra loro verbalmente convenuto, ed accordato affinché perpetuamente ne consti; Quindi siegue che detto Signor Nicolò Piuma da una, e detti Magnifici Signori Francesco Maria, Michele, ed Alessandro fratelli Chiazzari dall’altra, personalmente constituiti nanti di me nodaro, e testimonij infrascritti spontaneamente & et in ogni miglior modo & […]. Intervenendovi le mutue vicendevoli stipulazioni &. In vigor del presente publico atto &. In primo luogo detto Signor Piuma, ha promesso e promette, si è obbligato, ed obbliga verso i sudetti Magnifici Signori fratelli Chiazzari, ed ogni uno di essi presenti, ed accettanti […], di fabricare di pianta una Casa sopra i sudetti due fondachi a proprie spese si di matteriali, che di maestranza, porte, finestre, telari antine, e loro respettivi ferramenti, ed anche Chiavi di ferro ove abbisognassero, facendo anche ristorare i fondamenti dei detti fondachi quall’ora fosse necessario per maggior sicurezza della Casa, ed ogni altra cosa, ed il tutto secondo la perizia del Capo Maestro Signor Giuseppe Rovello, ed i sudetti Magnifici fratelli Chiazzari, hanno concesso, ed accordato, come concedono, ed accordano al sudetto Signor Piuma ogni più opportuna facoltà, ed auttorità di fabricare detta Casa nella forma dinanzi espressa, incominciando detta fabrica o sul corrente anno 1783, o sul successivo anno 1784, e proseguendola fino al lavoro finito sotto li […] patti, modi, e forme infrascritte […]. Primo, che detto Sig.Piuma terminato, che sarà detta Casa, possa goderla, ed abitarla come se fosse sua propria senza essere obligato ad alcuna piggione, od altra ricognizione verso sudetti Magnifici fratelli Chiazzari, o qualonque di essi abitarla dissi, e goderla sua vita naturale, durante, e doppo di esso Signor Nicolò, goderla del pari il di lui figlio Domenico […] e doppo di detto Domenico i di lui figlij legitimi, e naturali, che dal medemo Domenico nascessero loro vita naturale durante solamente esclusa affatto ogni loro ulteriore discendenza. E quall’ora detto Domenico figlio impubere morisse senza prole, o si facesse Religioso Clausurale, che possa subentrare a tale godimento quel figlio maschio legittimo, e naturale, che per aventura d’ora in poi fosse nato dal detto Signor Nicolò, e doppo di lui li figlij legitimi, e

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naturali, che dal detto figlio maschio ancora da nascere immediatamente procedessero da lui vita naturale durante solamente e non più oltre, in guisa che tale godimento sia limitato, e […] alla sola vita naturale durante del detto Signor Nicolò, e del di lui figlio Domenico vivente e de suoi figlij, ed immediati nipoti di detto Signor Nicolò, e nel caso che detto suo figlio impubere morisse senza prole, o passasse allo stato di religioso claustrale a quel maschio legitimo, e naturale, che dal detto Signor Nicolò d’ora in poi fosse nato, e dai loro figlij legitimi, e naturali, ed immediati nipoti di detto Signor Nicolò, loro respettiva vita naturale durante solamente, e quall’ora nella mancanza del detto Signor Nicolò e, sudetti loro figlij, ed immediati nipoti fossero ancora sopraviventi le figlie del detto Signor Nicolò, che possano esse in tale mancanza godere come sopra della detta casa loro vita naturale durante solamente, senza che passar possa tale godimento ad alcuna discendenza, o maschile, o feminile delle figlie sudette sopraviventi, in guisa che nelle sudette respettive mancanze resti ipso iure et facto devoluta la detta casa, et il di lei piano, ed assoluto dominio, e possesso, con tutti i ferrimenti, compresi anche le vedriate delle finestre che in esse si ritrovassero alli detti Magnifici fratelli Chiazzari, loro respettivi eredi, e successori esclusi soltanto i mobili di casa proprij dei detti Signori Piuma, che loro s’intendono riserbati &. Secondo, che non solo sia tenuto detto Signor Piuma a fabricare detta Casa a proprie spese, ma anche tanto esso quanto i sudetti suoi figlij, ed immediati nipoti, o figlij sopraviventi […], e così sovra espressi alla manutenzione ristorazione, o riparazione della medesima, o qualonque parte di essa, quall’ora abbisognasse, senza che possano pretendere per dette spese verun rifacimento, o beneficazione dai detti Magnifici fratelli Chiazzari, o loro respettivi eredi, e successori.perché così per patto espresso &. Terzo che i due fondachi sopra de quali deve fabricarsi detta Casa restino esclusi dal godimento dal sudetti Signori Piuma, ma che anzi tanto detto Signor Nicolò, quanto i su detti suoi figli ed immediati nipoti, o figlij sopraviventi ammessi soltanto ne casi, e termini come sopra il godimento della detta casa debbano durante detto godimento corrispondere annualmente la piggione di essi fondachi al Magnifico Giovanni Francesco Chiazzari, così d’ordine di detti Magnifici fratelli Chiazzari qui come sopra presenti, che così l’ordinano, e doppo di lui alli sudetti Magnifici fratelli, e loro eredi, e successori, come così detto Signor Nicolò qui come sopra promette, e si obbliga, anche per sudetti suoi successori come sopra ammessi come così &. Sotto riffacimento & e sotto […]. E si come detto Signor Nicolò, ha promesso, e promette, si è obbligato, ed obbliga di ristorare, e ridurre in miglior forma, e stato i sudetti due fondachi a proprie spese, e provederli si esso, che i sudetti suoi successori nel surriferito godimento di farvi ferriate poche, loro tetti chiamati volgarmente [tollaci?], e di qualonque altra cosa necessaria niuna affatto esclusa e di mantenerli, restituirla in buon stato terminato il godimento sudetto alli detti Magnifici fratelli Chiazzari, e loro eredi successori , perciò detti Magnifici fratelli Chiazzari, a contemplazione delle dette spese di ristorazione, manutenzione, ed altro, hanno promesso, come promettono al detto Signor Nicolò presente, ed accettante di ridurle la piggione dei detti due fondachi fin d’ora di lire ottanta annuali di Genova fuori banco, di ridurla dissi come la riducono si ad esso, che ai sudetti suoi successori durante il godimento sudetto o lire settanta annuali, quali detto Signor Nicolò si obbliga di annualmente corrispondere come sopra al detto Magnifico Giovanni Francesco, e doppo d’esso a sudetti Magnifici fratelli Chiazzari, e loro eredi, e successori &. Quarto, si come nel fabricare detta Casa non si potrà a meno di occupare qualche piccolo sito del Piano annesso, ed affittato oggidì a Giovanni Firpo, e di pregiudicare in qualche parte alla vigna di esso Piano immediata alla detta fabrica, in tal caso i detti Magnifici fratelli Chiazzari promettono, e si obbligano a giudicio de Periti bonificare il danno che accadesse al detto Firpo, che se poi per causa di detto danno non si volesse aquietare e non volesse d’ora in poi più continuare nella locazione del detto Piano, in tal caso lo stesso Signor Piuma promette, e si obbliga verso i Magnifici fratelli Chiazzari presenti, ed accettanti di prenderlo egli in affitto per la stessa annuale piggione di lire cento sedici fuori banco, come gliele paga oggidì sudetto Firpo, e ciò nonostante qualonque occupazione di sito di esso Piano, o qualsisia altro danno, che dalla detta Fabrica fosse derivato [solo?] sempre a favore dei detti Magnifici fratelli Chiazzari le piante dei Celsi, ossia Moroni di essi Magnifici fratelli Chiazzari esistenti alla Riva della Fiumara dirimpetto al detto Piano dal Ponte, i quali non si intendono compresi in detta piggione di dette lire 116, ma riserbati alli detti Magnifici fratelli Chiazzari come così &. Promettendosi le sudette parti […] di respettare attendere ed osservare tutte le cose sudette, e non contravvenirle né direttamente, né indirettamente, ancorché di raggione potessero & sotto riffacimento d’ogni danno, spesa, ed interesse & e sotto obbligazione ed […] de loro […] beni presenti, e futuri &. Ogni eccezione, contradizione rimossa &. Rinunciando &. Giurando delle respettive parti toccate le scritture [innanzi?] di me infrascritto nodaro […]. Reiterato il giuramento per parte delli Magnifici fratelli questi perché minori d’anni 25 maggiori però cioè detto Francesco Maria d’anni 20, detto Magnifico Michele di anni 19 e detto Magnifico Alessandro di anni 18, haver espressamente rinonciato, conforme rinunciano […]. Ed hanno fatto detti Magnifici fratelli Chiazzari le premesse cose tutte contenute nel presente instrumento, col consiglio, consenso, parere, ed intervento del Magnifico Signor Avvocato Giovanni Francesco Chiazzari loro Avo Paterno qui presente, che le dà, e presta il suo consiglio, consenso, parere, ed intervento, e giura toccate le scritture [innanzi?] di me infrascritto notaro […]. Fatto in Finale, e nel salotto della casa di detti Magnifici Signori fratelli Chiazzari ivi presenti il Magnifico Signor Capitan Alessandro Arnaldi quondam Magnifico Giovanni Francesco, e Signor Nicolò Spereri testi finaresi, noti, idonei, e richiesti &.” 40

In sostanza Nicolò Piuma, costruendo a proprie spese il piano sopra i fondachi, ne poteva a godere senza limiti di tempo in base al contratto di enfiteusi sottoscritto, mentre doveva pagare ai Chiazzari la pigione di 80 lire annue, in caso di locazione anche dei fondachi. Il Piuma aveva già da tempo in locazione anche il piano terreno che adibì, anni dopo, a Farmacia per il figlio Domenico.

La seconda sopraelevazione La casa, composta di un piano terreno e di un piano, rimase così fino al 1882. Nel 1863 accaddero due eventi importanti, che modificarono l’assetto proprietario della casa: il primo nel febbraio del 1863, con il riacquisto della piena proprietà da parte del Chiazzari (Giambattista Piuma, nipote di Nicolò, come vedremo, cedette il diritto di enfiteusi ai Chiazzari), ed il secondo a maggio del medesimo anno con la vendita a Caterina Folco, atto di cui tratteremo meglio nel prossimo paragrafo. Il notaio Gian Bernardo Rozio, che aveva rogato entrambi gli atti, così descrive la casa oggetto del trasferimento: “casa sita fuori le mura di questa città, lungo la strada dell’Aquila, in tutti i suoi membri coi fondachi sottostanti ed adiacente piazzale, composta d’un piano terreno e piano superiore”27. Chi acquistò la casa nel maggio 1863 (Caterina Folco di Gorra), pose il proprio appartamento al primo piano. Alcuni anni dopo l’edificio fu elevato di un altro piano. Con atto del Notaio Gio Bernardo Rozio28, stipulato in Finalborgo in data 7 novembre 1882, nell’abitazione della Folco, quest’ultima concedeva al sig. Raffaele Berruti, di professione 27 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Gian Bernardo Rozio di Calice Ligure, atto 19 maggio 1863, repertorio n. 110, vendita di casa 28 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Gian Bernardo Rozio di Calice Ligure,, atto 7 novembre 1882, 195, cessione di diritti su stabile: “1882, 7 novembre n. 195 Cessione di diritti su stabile. La Sig.ra Folco Caterina ved. Calmarini Giuseppe, proprietaria, nata a Gorra e il Sig. Berruti Raffaele di Giuseppe, chimico farmacista, nato ad Altare e residente a Finalborgo, sono addivenuti di comune accordo: la Folco cede e rinuncia al Berruti accettante il diritto di elevare a proprie spese ed interesse un secondo piano al di sopra della di lei casa d’abitazione sita in questa città, Contrada dell’Aquila col n. 164, confinano i Sigg. Avv.ti Filippo e Michele fratelli Vico e la strada da due lati. Detta cessione viene fatta per corrispettive lire 100 che sono sborsate dal Berruti e ritirate dalla Folco. Si pattuisce che per accedere al piano che il Berruti intende costruire questi si servirà della stessa scala che mette al primo piano, la quale così rimane comune fra i contraenti. Inoltre il Berruti dovrà eseguire tutti i lavori che occorressero perché la casa della Folco non abbia a risentire pregiudizio dall’innalzamento della nuova costruzione eseguendovi perciò fin d’ora tutte quelle opere di precauzione che a giudizio di persona competente saranno riconosciute convenienti e tale obbligazione sarà duratura per parte del Berruti vita naturale durante della Folco e se entro il detto periodo di tempo si manifestassero nella casa degli indizi di danni causati da tale innalzamento, che il Berruti ha in animo di eseguire dovrà questi sottostare a tutte le spese necessarie per riparare i danni medesimi. In ultimo il Berruti nella fabbricazione di detto piano sarà facoltato di fare il lavello e la latrina che comunichino col piano sottostante ossia con lavello e latrina del piano di proprietà della Folco. L’atto è stipulato in casa della Folco, in via Aquila n. 164. Testimoni presenti Bergallo Giovanni, impiegato al Dazio Municipale e Levratto Gio. Batta, dottore in Medicina. Firme dei testimoni, la Folco non sa scrivere, né firmare”.

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farmacista, e marito della di lei nipote, di elevare di un piano l’immobile, perché ne ricavasse un appartamento per sé e per la propria famiglia. Quindi, cento anni dopo la prima sopraelevazione, la casa fu nuovamente innalzata di un piano. Esaminando, peraltro, le caratteristiche dell’appartamento, posto al secondo piano, si nota che sono del tutto diverse da quelle dell’appartamento sottostante, non tanto come disposizione dei locali, quanto piuttosto per la struttura muraria. Anche la scala di accesso è infatti del tutto differente. In ogni caso la seconda sopraelevazione si nota anche riesaminando le due immagini che già abbiamo visto nel capitolo precedente. Nella prima immagine (datata intorno al 1840) si nota un solo ordine di finestre, mentre, nella immagine di destra (datata 1913), vi sono due ordini di finestre.

fig. 19 - Orsolini 1840

fig. 20 – cartolina 1913

Berruti Raffaele si era quindi impegnato ad edificare il secondo piano, e a tenere indenne Caterina Folco dei danni derivanti dalla sopraelevazione. Il Berruti non ebbe certo fortuna, perché solo qualche anno dopo (1887) Finalborgo venne interessato da un tremendo terremoto, che lesionò notevolmente la casa, tanto da costringere la famiglia Berruti e Caterina Folco a trasferirsi, seppur temporaneamente, nella vicina via Delle Scuole.

Il “prolungamento” dell’edificio

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Il 5 aprile 1927 Caterina Folco, vedova Berruti Raffaele, morì lasciando la casa in eredità al figlio Mario Berruti, unico sopravvissuto dei suoi sei figli. Quest’ultimo decise di “allungare” la casa, occupando parte del terreno retrostante. In primo luogo acquistò, per mezzo di una permuta, da Nicolò Genta, un “vigneto semi olivato” posto sul retro dell’edificio29. Venne quindi costruito un corpo sul retro della casa, costituito da una grande terrazza con loggetta al secondo piano, un appartamento al di sotto della terrazza, ed alcuni locali al livello stradale. I lavori vennero affidati alla premiata ditta “Fratelli Firpo, Costruttori Edili” di Finalborgo. I Firpo si occuparono non soltanto dei lavori edili, ma anche di coordinare il lavoro di una serie di artigiani. Dal

fascicolo

dei

conti

dei

“Lavori

per

l’ingrandimento della casa”, tenuti con estrema precisione da Mario Berruti, veniamo quindi a sapere quali furono questi artigiani (per citarne alcuni). Il Prof. C.F. Delle Piane, pittore di Savona, si occupò del rifacimento della “facciata ad affresco” e degli affreschi di alcuni soffitti interni. Fig. 25 Mario Berruti

Il sig. Nicolò Rombo, elettricista di Finalborgo, si occupò dell’impianto elettrico.

La ditta Fratelli Grondona, di Savona, si occupò della “asfaltatura” del grande terrazzo. Il sig. Giuseppe Daccò, “Fabbrica mobili a prezzi miti”, di Finalborgo, costruì le porte in legno, ma di falegnameria si occupò anche Lorenzo Aschero, detto Paolin. Il sig. Carlo Chiesa di Finale Ligure procurò le serrature e la serranda in ferro del magazzino. Il sig. Attilio Cartoccio, di Finalborgo, lattoniere, articoli casalinghi, e rappresentante delle macchine da cucire “Singer”, procurò una lunga serie di articoli vari. E poi ancora troviamo Vincenzo Trotta, fabbro di Finalborgo, il sig. Bolla per la minuteria di ferro, il sig. Giovannetti per i paracarri. Il sig. Nicolò Tortarolo, corriere di Finalborgo, infine, si occupò del trasporto dei materiali. La costruzione iniziò il 27 maggio 1929 e terminò il 25 giugno 1930. La spesa totale ammontò a lire 52.433.

Archivio di Stato di Savona, Registro partitario del catasto fabbricati di Finalborgo, Catasto terreni, partita 1216, Berruti Avv. Mario fu Raffaele acquista (per permuta) da Nicolò Genta fu Gerolamo un “vigneto semi olivato” per atto Not. Cortese 05.05.1929 29

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Il piano terreno della nuova costruzione venne adibito a magazzino e divenne, per lunghi anni, sede della Croce Verde di Finalborgo. Nel 1931, infatti, la sede della Croce Verde venne trasferita nei locali a piano terreno della casa Berruti. In tali locali la società poteva disporre di una sala per le riunioni, una per le prime cure ai malati, e una per l’ufficio amministrativo30.

Giuseppe Berta, Memorie ed immagini sulle vie di Finalborgo, un pretesto per descrivere il nostro burgum e la sua Pubblica Assistenza, 1999, pag. IV 30

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Riflessioni sulla funzione originaria della casa

Si è accennato alle varie ipotesi sui motivi che hanno indotto i Del Carretto ad edificare la Torretta. Ma, si diceva, è molto probabile che dove oggi c’è la costruzione vi fosse in tempi ancor più remoti, e quindi antecedenti alla edificazione della Torretta e del Borgo, una “stazione”, dove i viandanti (che fossero pellegrini o commercianti) si potevano rifocillare alle falde di Monticello, prima di attraversare il fiume Aquila per portarsi sul Becchignolo e da lì a Perti, oppure proseguire lungo l’Aquila per portarsi al colle di San Giacomo. Abbiamo già visto che, a tale proposito Mario Scarrone, nell’ipotizzare una datazione della edificazione delle mura del Borgo e di Castel Gavone, osservava che “già da tempo imprecisato, esisteva sulla sponda sinistra del torrente Aquila, ai piedi della collina di Monticello, una specie di stazione di servizio per agevolare il commercio proveniente dal mare”31. Se l’ipotesi è corretta, è evidente che i Del Carretto, che non avevano assolutamente ottemperato all’ordine del podestà di Genova e non avevano affatto abbattuto le mura del Borgo, decisero anzi di rafforzare militarmente anche la vecchia “stazione di servizio”, al fine di trasformarla in un posto di guardia, munendolo di un manipolo di soldati. Si è sostenuto, in questo lavoro, che la Torretta avesse funzioni di avvistamento: una sentinella posta sulla Torre avrebbe potuto agevolmente verificare l’approssimarsi di merci e persone. Non tutto è però chiaro. Contrasta, in verità, con questa ipotesi, la posizione della casa. Abbiamo detto che la Torretta si trovava a circa sei metri dal ciglio della strada (odierna via Fiume). In tal modo era sicuramente difficile, se non impossibile, per una eventuale sentinella, “vedere” la strada che conduceva alla Marina.

AA.VV. La chiesa e il convento di Santa Caterina in Finalborgo, Sagep, 1982, pag. 12, nota 41, testo riportato integralmente in nota precedente. 31

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Non dobbiamo infatti dimenticare che la Chiesa di San Biagio “fuori le mura”, con l’annesso omonimo Ospedale, datano un’epoca che è sicuramente antecedente l’edificazione del Borgo, e quindi della Torretta. Non abbiamo rinvenuto particolari studi sulla originaria Chiesa di San Biagio, e tanto meno sull’Ospedale, se non le osservazioni di Giovanni Murialdo, che ci dà conto di alcuni documenti, il più antico dei quali risale al 126132. Tuttavia ci pare di poter affermare che, data la posizione occupata da questi due edifici, ci troviamo di fronte ad un tipico esempio di Xenodochio. Se, come pare, laddove oggi si trova il nucleo storico del Borgo (Piazza del Tribunale e complesso di Santa Caterina), esisteva un agglomerato urbano antecedente il Borgo Carrettesco, nulla vieta di pensare che “al di là del fiume” fosse stato edificato, appunto, uno Xenodochio. E questa ipotesi pare essere confermata dal fatto che la strada che veniva dalla Marina (l’attuale via Brunenghi) proseguiva poi per via Fiume, via Aquila e raggiungeva il valico di San Giacomo, rappresentando, come già sostenuto, un percorso importante, che, partendo dal mare, si immetteva sul cammino di San Giacomo o Santiago. E’ noto che lungo il cammino di San Giacomo venivano edificati Ospizi e, in alcuni luoghi, Ospedali, dove i Pellegrini potevano sostare ed eventualmente essere curati. L’argomento sull’origine dell’Ospedale di S. Biagio meriterebbe sicuramente un approfondimento. Tornando al nostro problema, se la Chiesa di San Biagio era precedente alla edificazione della Torretta, non può essere che questa avesse scopi di avvistamento, perché, appunto, dalla sua sommità la vista verso il mare era preclusa dall’edificio della Chiesa. Ma c’è di più: perché costruire una Torretta di avvistamento, quando si disponeva di un luogo elevato, quale la Torre del Becchignolo, molto più adatta allo scopo? E’ pur vero che, se la visuale era preclusa verso il mare, così non era verso monte, cioè verso la valle dell’Aquila; e dalla Torre del Becchignolo non era possibile avvistare chi percorreva questa valle. Ci pare comunque azzardato sostenere che lo scopo della Torretta fosse esclusivamente quello di controllare visivamente la valle dell’Aquila. La costruzione, quindi, doveva avere anche altri scopi. Partiamo da un dato: i Del Carretto hanno edificato il Borgo alla fine del 1100 (si ipotizza il 1187). Nel Medioevo, l’imposizione di dazi doganali, sulle mercanzie in transito sulle strade, era una tipica “vessazione” dei vari Signorotti che controllavano le vie di comunicazione. Le imposte doganali assunsero così un vero e proprio carattere patrimoniale e, oltre ai dazi, comparvero anche altri diritti di circolazione (tractatica, pulveratica, pedatica), e di passaggio sui ponti

G. Murialdo, La fondazione del Burgus Finarii nel quadro possessorio dei Marchesi di Savona, o Del Carretto, in Rivista Ingauna e Intemelia, anno XL, 1-3, Bordighera, 1985, pag. 61 32

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(pontatica). Tra l’altro, è proprio in quest’epoca che inizia ad essere utilizzato il termine “dogana”. E’ un termine di derivazione araba (“diwan”), che venne assunto anche in Italia, appunto a partire dalle città marinare, che con gli arabi avevano frequenti ed assidui scambi commerciali (oltre a qualche … scaramuccia). Ricordiamo che il termine arabo “diwan” indicava, nella Persia Medievale, la Pubblica Amministrazione dello Stato, e in particolare la Tenuta dei Libri contabili, e quindi era anche il Libro su cui erano segnate le merci in transito e i proventi ricavati dalla imposizione dei dazi. Lo stesso termine, tuttavia, indicava anche il luogo in cui si incontrava il Consiglio di Stato dei Visir; “diwan” era il sofà con cuscini sul quale i consiglieri trattavano i loro affari: da noi un comodo sofà assunse, appunto, il nome di “divano”. Nel Medioevo ogni Signorotto aveva la propria “dogana”, che era posizionata in un luogo strategico, su una strada di comunicazione, in modo da facilmente “intercettare” i mercanti. Per quanto riguarda il Borgo, quale luogo era meglio deputato se non quello dove oggi sorge la Casa della Farmacia. Esso si trovava, infatti, appena al di là del ponte sul fiume Aquila, che dava accesso alla Porta Carretta di ingresso nel Borgo. Era in linea con il Palazzo del Governo dei Marchesi Del Carretto, per cui dalla “dogana”, attraverso il ponte, la porta e poi la via Torcelli (che allora si chiamava “strada che conduce al Palazzo”) i mercanti, quando erano fermati, erano costretti a “vedere” il Palazzo del Signore. La strada che dalla Marina andava in Piemonte, e da qui in Lombardia, era di fondamentale importanza (lo abbiamo già ricordato), sicché su questa strada transitavano molte mercanzie. Aveva addirittura assunto la denominazione di “Via del Sale”, perché questo prezioso alimento veniva portato con le navi dalle zone di produzione della Camargue e delle isole Baleari33 fino a Finale, e dalla Marina veniva appunto trasportato a dorso di muli attraverso la via del Passo di San Giacomo, raggiungendo quindi il Piemonte e la Pianura Padana. E’ noto come il “Dazio del sale” fosse una imposizione tra le più importanti. D’altra parte pare assodato che la scelta compiuta da Enrico II Dal Carretto di fondare il Borgo sulle sponde del fiume Aquila, fosse dettata, oltre che dalla necessità di riorganizzare il territorio, dopo le vicende che avevano portato i Del Carretto alla perdita di Savona e di Noli, anche dalla volontà di sfruttare il passaggio delle merci lungo la via per San Giacomo. In quest’ottica deve essere vista anche la fondazione di Millesimo, avvenuta, sempre ad opera di Enrico II, nel 1206. Se l’ipotesi è esatta, ci pare di poter affermare che l’antica Torretta avesse, appunto, un duplice scopo. Innanzitutto serviva da postazione di controllo del passaggio di uomini e merci: chiunque, sbarcato sulla costa, avesse necessità di raggiungere il Piemonte, doveva passare 33

Stefano Ticineto, Il Marchesato di Finale – La Strada Beretta, GRIFL, 1999, pag. 65. 47

davanti al Borgo, e soprattutto davanti alla Torretta. Era questa, pertanto, sede di un piccolo distaccamento di guardie. Che fuori della Porta Reale, al di là del Ponte, esistesse un corpo di guardia fino ai primi anni del ‘700, è certo. Ciò risulta dalla relazione di Filippo Cattaneo De Marini (Distinta Relazione del luogo e Marchesato del Finale)34. Filippo Cattaneo De Marini aveva ricevuto l’incarico, dalla Serenissima Repubblica di Genova, di assumere il Governo del Finale, quale Commissario generale. Tale incarico seguiva, di pochi giorni (agosto 1713), l’acquisto da parte della Repubblica di Genova del Marchesato da Carlo VI d’Asburgo. Durante la sua permanenza a Finale il Cattaneo De Marini stese una relazione. Il Cattaneo relazionò dettagliatamente la Repubblica sulla situazione del Finale, e ne descrisse le fortificazioni, le località, le istituzioni, le condizioni economiche e le entrate tributarie. Nella sezione “Ditaglio delle fortificazioni e quartieri del Borgo del Finale”35, si legge: Porta Reale con suo ponte levatore e barriera avanti et un picciolo quartiere alla testa del ponte di pietra, capace di cinque soldati, corpo di guardia di detta porta capace di circa 30 soldati, con sua stanza separata per l’ufficiale.

Nel successivo capitolo, esamineremo più nel dettaglio la esatta collocazione di questo corpo di guardia, e come, verosimilmente, la sede del distaccamento armato passò dalla casa con torretta ad un edificio più piccolo. Era inoltre, molto verosimilmente, la sede del Dazio, dove pertanto si riscuotevano i diritti di passo per le merci, ed in primis del sale. Da ricordare che nei primi anni del ‘600 la casa era di proprietà della famiglia Sevizzano, e nel 1590 Giulio Cesare Sevizzano aveva, appunto, l’appalto della gabella del sale a Finalborgo36. Con ciò non si vuol certo dire che vi sia una connessione diretta tra l’ipotesi che la casa funzionasse da luogo di riscossione di pedaggi e gabelle e l’appalto del Sevizzano. D’altra parte il “tema” del sale è molto dibattuto e controverso e, senza documenti attestanti una incontrovertibile verità, ….. è meglio astenersi da pure ipotesi.

34 Filippo Cattaneo De Marini, Sotto il felice e dolce dominio della serenissima repubblica, a cura di G. Assereto e G. Bongiovanni, Elio Ferraris Editore, 2003 35 Filippo Cattaneo De Marini, ibidem, pag. 86. 36 N.C. Garoni, Codice della Liguria, 267

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I passaggi di proprietà L’ipotesi “carrettesca” Si è ipotizzato, trattando nei due capitoli precedenti l’esame della costruzione e la funzione originaria dell’edificio di via Fiume, che lo stesso sia nato come stazione di posta, e che venne poi trasformato in posto di guardia, tale rimanendo fino al ‘600. In sostanza i Del Carretto avrebbero “fortificato” un edificio che aveva natura di “supporto” a pellegrini e viandanti, per farne un edificio di osservazione e di controllo. Ma quando cessò di essere postazione militare per essere adibita ad usi civili? Sull’epoca di tale “passaggio” non si ha certezza, e si possono fare soltanto ipotesi. Si è già accennato all’importanza della relazione di Filippo Cattaneo De Marini. Vediamo ora di approfondire. Rileggiamo nuovamente quanto scrive nella sua relazione. Nella parte relativa al “Ditaglio delle fortificazioni e quartieri del Borgo del Finale”37 si legge: Porta Reale con suo ponte levatore e barriera avanti et un picciolo quartiere alla testa del ponte di pietra, capace di cinque soldati, corpo di guardia di detta porta capace di circa 30 soldati, con sua stanza separata per l’ufficiale.

Dalla sua relazione risulta, quindi, che il Borgo, dal lato ovest, era fornito di due corpi di guardia: il primo, più modesto, si trovava fuori le mura, “alla testa del ponte di pietra”, ed era dotato di cinque soldati. Il secondo, ovviamente più importante, era il vero e proprio corpo di guardia, ed era posto alla Porta Reale. Contava ben 30 soldati e addirittura un locale separato, adibito a stanza dell’Ufficiale. Il problema è la individuazione di quel “picciolo quartiere alla testa del ponte di pietra” Sembrerebbe di poter affermare che quel posto di guardia non sia l’edificio di cui ci occupiamo. Più sono gli argomenti a sostegno di questa tesi

Il “casotto” del ponte

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Filippo Cattaneo De Marini, ibidem, pag. 86. 49

In primo luogo è certo che sulla destra del ponte di accesso alla porta reale esisteva un “casotto”, di circa tre metri di lunghezza e di due metri e mezzo di larghezza. Lo si può vedere bene nell’ottimo disegno del catasto napoleonico del 1813 al mappale 151. Il problema nasce dalla constatazione che il casotto compare nelle mappe di Finalborgo soltanto nel 1813, appunto con il catasto napoleonico, per sparire nuovamente nel 1847, allorquando si provvide ad allargare il ponte, e ad abbattere sia il Casotto sia l’Arco di trionfo. A tale proposito si annota che Giuseppe Testa38 riporta un documento molto interessante, una Grida, o meglio un avviso d’asta, del 21 settembre 1846, in base al quale “Resteranno di assoluta proprietà dell'imprenditore tutti i materiali, ferramenti e legnami costituenti l'arco ed il casotto all'ingresso orientale del ponte anzidetto”. Vediamo ora di esaminare le mappe e i disegni a noi conosciuti.

1707

1715

1773

1813

1840

1840 1846 Fig. 26 – tabella di raffronto

1879

Possiamo anche sostenere che i primi tre disegni (la prima del G.B. Sesti, la seconda del De Langlade e la terza del Vinzoni) non sono molto attendibili, ma è difficile sostenere che non avessero tenuto conto di una costruzione in muratura, che per di più era posto di guardia. E’ tuttavia vero che il primo catasto “figurativo” è quello napoleonico del 1813 e, come tale, deve considerarsi più attendibile, perché doveva, evidentemente, riportare tutte le costruzioni39. G. Testa, La strada Beretta, una via per l’Imperatrice, Centro Storico del Finale, 2002, pag. 237 Si ritiene opportuno spiegare la differenza tra i vari tipi di catasto: Catasto descrittivo: contiene soltanto una descrizione degli immobili (catasti antichi, precedenti a quello napoleonico); 38

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Le mappe precedenti, invece, non avevano scopo di censire gli edifici, ma soltanto di “disegnare”, nelle sue linee essenziali, l’abitato; e molto spesso tali disegni servivano per far risaltare una o più caratteristiche del luogo (le fortificazioni, i palazzi nobiliari, le piazze, ecc.). La mappa del 1707 del Sesti, ad esempio, non disegna il Borgo entro le mura, perché serviva esclusivamente a collocare graficamente le due fortezze (S. Giovanni e Gavone). In ogni caso … registriamo il fatto che fino al 1813 il “casotto” non è presente nelle mappe. Dall’esame del registro allegato al Catasto napoleonico, si viene a sapere che il mappale 151, corrispondente al casotto, è definito “Magasin”, ed era di proprietà del “Domaine National”. Ma vediamo ora un disegno piuttosto interessante40. Clemente Rovere (nato nel 1807 e morto nel 1860) era un impiegato della Real Casa di Savoia, che aveva il dono di saper disegnare. Sicché divenne disegnatore ufficiale di Casa Savoia. Nelle sue peregrinazioni nei territori dello Stato sabaudo, egli ebbe occasione di disegnare molti borghi.

Fig. 27 – disegno di Clemente Rovere

Per quanto riguarda Finalborgo egli disegnò l’ingresso di Porta Reale. Il disegno dovrebbe risalire ad un epoca tra il 1835 e il 1840. Si notano l’angolo della la casa della Farmacia sulla destra, l’Arco di trionfo, che era piuttosto imponente, e il casotto. La caratteristica che stupisce del Casotto è l’assenza di un porta Catasto geometrico: oltre alla descrizione degli immobili, contiene anche la loro rappresentazione planimetrica. Nello specifico, poi, un catasto geometrico può essere: per masse di colture: se la planimetria rappresenta i limiti delle colture; per proprietà: se la planimetria rappresenta i limiti delle proprietà; particellare: se la planimetria rappresenta i limiti delle particelle catastali. Particella catastale: porzione di bene immobile (terreno o fabbricato) che sia continua, appartenente ad un unico comune, appartenente ad un unico proprietario, avente un’unica destinazione produttiva, con un unico livello di produttività. 40 Gentilmente segnalatomi dall’ing. Walter Giuliano Genta, che ringrazio 51

d’ingresso sui due lati visibili, il che è quanto meno strano… Le dimensioni del Casotto sono compatibili con quelle rilevate dal Catasto napoleonico di qualche anno prima. Tornando alla relazione di Filippo Cattaneo De Marini (1713), ci è difficile pensare che il Casotto potesse essere “capace di cinque soldati”; a meno che, naturalmente, non stessero in piedi …. Ma, come risulta dalla lettura di due interessantissimi documenti del 1717, è certo che il “picciolo quartiere alla testa del ponte di pietra” fosse proprio il casotto. Nel 1717 Governatore del Finale era Giovanni Francesco Gropallo. A quell’epoca la Repubblica era ancora proprietaria del piccolo edificio, posto alla testa del Ponte Reale. Tale edificio era tuttavia pericolante e, a causa del cedimento di una trave portante, il tetto era crollato. La riparazione era stata effettuata, ma il Governo della Repubblica riteneva di potersi privare di quel “casotto”, perché divenuto inutile come posto di guardia, e soprattutto antieconomica la sua manutenzione. Si ricorda che la Repubblica di Genova, una volta acquistato il Finale per una somma esorbitante, decise di demolire le più importanti strutture fortificate del Finale, e più amara di tutte fu la demolizione del Castel Gavone, concretizzatasi nel maggio del 1715. La decisione di Genova rientrava in un più ampio disegno di disimpegno militare del Finale, che, una volta fagocitato dalla Repubblica, non aveva più senso che disponesse di imponenti e costosissimi forti, e di guarnigioni di soldati. Oltretutto la mancanza di fortificazioni, e quindi di ingenti guarnigioni, rendeva il Finale meno appetibile ai nemici della Repubblica. Lo smantellamento dei corpi di guardia del Borgo, e la cessione dei relativi edifici ai privati, rientrò sicuramente in questo progetto. Il Governatore Gropallo aveva quindi deciso di locare a privati il casotto, e il 10 febbraio 1717, così scrisse a Genova41: Illustrissimi, et Eccellentissimi Signori. Essendosi resa inutile una stanza posta a piedi del Ponte Reale fuori di questo Borgo, che per l’adietro serviva di guardiola, ho procurato di affitarla, come mi è riuscito di fare con la pensione di lire quindeci moneta corrente all’anno, con dichiara, però che quando dovesse servire al publico serviggio debba immediatamente rilasciarla il conduttore, senza pretendere la spesa che vi potesse aver fatto per suo commodo; che però ne fo parte a Vostre Eccellenze perché siano del tutto intierate e, con divoto ossequio mi rasegno. Finale 10 febraro 1717 Di Vostre Eccellenze Devotissimo et obligatissimo servitore Giovanni Francesco Gropallo Governatore

Sette giorni dopo, il Governatore spedì a Genova una lettera accompagnatoria di copia del contratto di locazione: Illustrissimi, et Eccellentissimi Signori. In coherenza de’ riveriti comandi di Vostre Eccellenze trasmetto acclusa la copia dell’instromento d’affitto della casetta o sij stanza che resta a pie del Ponte Reale di questo Borgo, perché possano ordinarne la dovuta notatione, e col maggior rispetto mi rasegno. Finale 17 febraro 1717 41

Archivio di Stato di Genova, Camera di Governo e Finanza, 2749 52

Di Vostre Eccellenze Devotissimo et obligatissimo servitore Giovanni Francesco Gropallo Governatore

Ed ecco il testo del contratto di locazione, che fu sottoscritto il 10 febbraio di quell’anno: Nel nome del Signor Iddio sia sempre. L’Illustrissimo Signor Giovanni Francesco Gropallo Governatore del Marchesato del Finale, e Langhe per la Serenissima Republica di Genova &. Di sua spontanea volontà &. Et in ogni miglior modo &. Appiggiona e per titolo di locatione dà, e concede a Giovanni Battista Peirano quondam Domenico del presente Borgo presente &. Una casetta, o sia stanza posta fuori della Porta Reale di questo Borgo chiamata il Barrachino esistente a piano del Ponte sotto suoi notorij confini &. Item avere per anni due da cominciare il giorno de quindeci del corrente mese, le chiavi, e possesso della quale confessa averle avute prima d’hora renonciando &. Per annua piggione di lire quindeci moneta di Genova corrente da darsi, e pagarsi da detto Peirano a sudetto Illustrissimo Signor Governatore in fine d’ogni anno &. In pace, e senza lite &. rimossa ogni eccetione &. Sotto &. Renunciando &. Promettendo detto Illustrissimo Signor Governatore durante la presente locatione mantenere in pacifico possesso non mutarle i patti, né accrescerli la piggione, et all’incontro detto conduttore promette averne buona, e diligente cura et in fine di detta locatione di lasciarla più tosto meliorata che deteriorata ed intanto diffenderla dal fuoco &. Sotto &. Renonciando &. E con li patti infrascritti, cioè. Occorrendo di tramuttare la porta per maggior commodo di detto Peirano, o altro lavoro, cioè debba farlo a sue proprie spese con precedente però permissione del pro tempore Illustrissimo Signor Governatore. Item venendo il caso che il publico n’avesse di bisogno sij tenuto detto Peirano rilasciarla benché non fusse ancora terminata la locatione &. Item se non volesse detto Peirano continuare in detta locatione sij tenuto ciò dichiarare sotto il presente instromento, un mese prima almeno che finisca detto biennio, altrimente s’intenda rinovata detta locatione per un altr’anno, e così d’anno, in anno perché così &. Le quali cose &. Sotto hippoteca &. E per così osservare &. Delle quali cose tutte &. Per me Giovanni Battista Nicolò Isola Cancelliere &. Fatto in Finale in uno de salotti del Palazzo solita residenza del pro tempore Illustrissimo Signor Governatore l’anno della Natività del Signore millesettecento diecisette correndo l’inditione ottava al costume di Genova in giorno di martedì dieci del mese di febraro al doppo pranzo. Presenti per testimonij il Nobile Lodovico Brivio quondam Signor Giuseppe, e Bartolomeo Capurro quondam Geronimo alle predette cose chiamati e richiesti &. Giovanni Battista Nicolò Isola Cancelliere.

Veniamo, pertanto, a sapere che alla testa del Ponte Reale vi era effettivamente un piccolo edificio di una sola stanza (casetta, o sia stanza), che era denominato “Guardiola” o anche “Barachino”. Il casotto venne pertanto locato a tal Giovanni Battista Peirano, il quale, come vedremo più avanti, aveva in locazione anche l’edificio oggetto del nostro studio già da trent’anni. Pertanto, il “casotto” esisteva, pacificamente, già nel 1713, nel 1717 era stato ceduto a privati, e venne abbattuto, come sopra ricordato nel 1847, con l’allargamento del Ponte di Porta Reale. La domanda, a cui ora si deve rispondere (perché il fatto rileva per l’oggetto del nostro studio), è quando venne edificato. Viene a tale proposito in considerazione il fatto che, come già ricordato in precedenza, l’attuale porta Reale, che dalla Marina introduce il visitatore nel Borgo, passato il ponte sul 53

fiume Aquila, non è stata sempre in quella posizione. Abbiamo infatti già osservato che giustamente Giovanni Murialdo42 sostiene che l’originale Porta (detta allora Carretta) si trovava in posizione diversa rispetto a quella attuale, e cioè spostata “sulla destra”, sotto la Torre (di cui rimane solo la base). Murialdo ipotizza che anche il ponte di accesso fosse spostato sulla destra. Porta a questa conclusione il fatto che rimangono tracce del ponte sulla muratura, in quella posizione, sotto l’antica torre, oggi scomparsa. Con ogni probabilità lo spostamento del ponte avvenne in concomitanza, o poco prima, dei lavori effettuati per il passaggio di Maria Anna d’Asburgo nel 1649. In quell’anno, o poco prima, furono eretti due Archi di Trionfo, per salutare il passaggio della Regina. Il primo di questi si ipotizza fosse stato costruito all’ingresso del Ponte che dava accesso alla nuova Porta, che da Carretta assunse appunto il nome di Reale. Questa è la tesi (seppur avanzata in forma ipotetica) di Giuseppe Testa43, il quale è confortato in tale supposizione anche da quanto scrive il Silla44. Nel 1666, in occasione del passaggio dell'Imperatrice Margherita Teresa, il precedente Arco fu sostituito da un nuovo Arco di Trionfo45. Pare allora evidente che il “casotto”, o posto di guardia esterno, non esisteva prima del 1649, perché venne costruito proprio in concomitanza della edificazione dell’Arco e del nuovo ponte. Si può aggiungere che la famiglia Peirano non restituì alla Repubblica il casotto, che fu poi ceduto a privati, e più esattamente ai Sevizzano, i quali infine lo lasciarono, come vedremo successivamente in questo lavoro, ai Chiazzari. Dall’esame delle proprietà immobiliari della Famiglia Chiazzari del 1798, è risultato che questa famiglia era proprietaria, tra gli altri immobili, anche di “Due magazeni condutti da gran tempo da rispettivi bargelli delle passate ex Curie, ed ora dal custode delle carceri”46. La famiglia Peirano, comunque, aveva in locazione il casotto ancora nel 1797, come risulta da un contratto di locazione del 6 febbraio 179747: tra G. Murialdo, La fondazione del Burgus Finarii, cit., pag. 58 G. Testa, La strada Beretta, una via per l’Imperatrice, Centro Storico del Finale, 2002, pag. 236 44 G.A. Silla, Storia del Finale, II, 346 45 G.A. Silla, Storia del Finale, II, 390 46 Archivio Storico Comune di Finale Ligure, Estimo della Repubblica democratica Ligure 1798, Finalborgo 1-50. 47 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Vincenzo Casatroia, 4309, atto 6.2.1797, 32 r.: “Locazione. Il sig. Nicolò Piuma q. Domenico ha locato a Dominico Peirano q. Giovanni: due botteghe ed un fondaco siti fuori le mura di questa città, una della quali resta appiedi del ponte Reale e le altre sotto la casa di abitazione del detto Piuma locatore sotto loro più notorii confini, ad averle, goderle, tenerle a titolo di locazione per anni 9 prossimi venturi da principiare il primo del venturo mese di marzo ed in tal giorno dopo finiti detti 9 anni da terminare; con la condizione e patto espresso che non seguendo da ambe le parti la disdetta i due mesi avanti che termini la locazione, s’intenderà rinnovata per altri anni 9 prossimi venturi. Per l’annua piggione di lire centoventotto che il Conduttore promette di pagare ogni anno ed in fine di ciascun anno anticipatamente cioè di semestre in semestre Seguono i patti e condizioni … che detto Peirano sia tenuto a dare al detto Piuma tutto il letame che il medesimo andrà facendo nelle sud. due Botteghe e fondaco, sino a tanto che il detto Piuma locherà, ossia starà 42 43

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le botteghe affittate a Domenico Peirano, infatti, figura anche una bottega che “resta appiedi del Ponte Reale”. Risolto il problema della individuazione del posto di guardia esterno nel ‘700, resta ovviamente ancora in essere la domanda che ci eravamo posti prima: quando l’edificio-torretta fu ceduto ai privati. L’ipotesi più verosimile è che ciò sia accaduto con lo spostamento della Porta Carretta e del ponte, in altre parole intorno al 1649. Abbiamo rilevato che l’edificio di cui ci occupiamo si trovava esattamente di fronte al ponte e alla Porta Carretta, ed era in asse con la “via che conduce al Palazzo”. Una volta che gli Spagnoli decisero di porre mano alla ristrutturazione dell’ingresso nel Borgo, spostando ponte e porta, decisero anche che l’edificio-torretta era divenuto inutile: non aveva infatti più senso una struttura “rilevante”, e oltretutto spostata rispetto alla nuova sistemazione dell’ingresso al Borgo. Si può quindi ipotizzare che la Spagna cedette o vendette l’edificio intorno al 1650. Chi acquistò la casa fu la famiglia Seviziano.

I Sevizzano Nel catasto del 165848 sono citati due fondachi ed un piano, detto “del Ponte”, intestati agli eredi di Lazzaro Sevizzano (cioè Carlo Cesare e Lazzaro). Più esattamente si parla di un edificio, composto da “un piano et due case (ma il plurale è corretto in “casa”, anche se il “due” non risulta corretto, n.d.a.) fuori del Borgo, confini la via da Mare et Ponente, Vincenzo Orlando Sevizzano da Giovo e Levante”. L’edificio era stato valutato in lire 140. Ma perché la Spagna vendette o cedette proprio ai Sevizzano la casa-torretta, la quale era sicuramente edificio molto appetibile, stante la sua strategica posizione. La conclusione a cui si è giunti prende lo spunto dal fatto che i Sevizzano (Lazzaro prima, e Gio Bernardo poi) furono “uomini della Spagna”. Nella lunga disputa che portò la Spagna ad acquistare il Finale da Genova, è indubbio che i due Sevizzano ebbero un ruolo preminente (come anche vedremo nel successivo capitolo in cui si tratteggia una breve storia di questa famiglia). La ribellione dei finalesi, capeggiata da Lazzaro Sevizzano, unitamente ad altre circostanze, provocò la caduta di Alfonso II del Carretto, e le successive azioni di Gio Bernardo facilitarono, e non poco, il “passaggio” del Finale alla Spagna. Il Silla, nel parlare di Cristoforo Sevizzano, capitano della flotta spagnola, ci dice che costui andò in sposo alla figlia del capitano Marc'Antonio Messea, “sicché si strinsero in parentela a locare un altro suo magazzeno attiguo al sud. Fondaco; qual locazione seguita, dovrà cessare al Peirano l’obbligazione. Patto altresì che il Peirano durante la presente locazione non possa vendere in sud. Botteghe sorte alcuna di commestibili o vettovaglie se non nel caso che Giacomo Anscione, conduttore dell’altra bottega del detto Piuma, dismettesse la medesima e che in seguito l’appigionasse al Peirano e non altrimenti.” 48 Archivio Storico Comune di Finale Ligure, Registri Nuovi del Borgo 1658, Marchesato 05.75 55

le due nobili casate, le quali procedevano con pari ardore nel preparare gli animi dei Finalesi ossequienti alla Spagna”. Da tale asserzione capiamo come anche il Silla fosse convinto della totale lealtà dei Sevizzano verso la Corona spagnola. Il 10 gennaio 1571 i finalesi si riunirono per creare la Milizia del Marchesato, dopo che Alfonso II del Carretto era stato cacciato: Lazzaro Sevizzano fu nominato Generale della Milizia, e Bernardo Burlo Colonnello49. Vi sono più atti che confermano che la Real Casa spagnola premiò i suoi fedelissimi Sevizzano e Burlo con concessioni economiche e con beni immobili. In alcuni documenti spagnoli questo “favor” è perfino evidente50. Nell’anno 1582, nella corrispondenza del Governatore generale dello Stato di Milano Don Sancho de Guevara y Padilla, si legge di una “Merced concedida por Su Majestad a favor de Juan Bautista Sevizano”, cioè di una ricompensa concessa da Sua Maestà a favore di Giovanni Battista Sevizzano. E ancora di una “Concesión de ventajas y entretenimientos al Dr. Carlos Angel Sevizano”, cioè una concessione di vantaggi al Dr. Carlo Angelo Sevizzano. E che il Burlo e il Sevizzano fossero “al servizio” della Spagna, anche come informatori, lo si capisce da altri documenti. Nell’anno 1583, nella corrispondenza del Governatore generale dello Stato di Milano Don Carlos de Aragón, duca di Terranova, si legge di una “Informe del coronel Burlo y Juan Bernardo Sevizano con relación al pleito sobre el Finale que sostiene el marqués Alfonso Carretto (parte en cifra)”, cioè di un rapporto del colonnello Burlo e di Giovanni Bernardo Sevizzano con riferimento alla causa sul Finale che sostiene il marchese Alfonso del Carretto (in parte cifrata)51. 49 Congregati nella casatia di Santo Biaggio, et Santa Catherina nel Borgo de Finale gl’infrascritti sindici, consuli, et consiglieri novi, et vecchi de l’anno passato MDLXX, et del presente MDLXXI per giurare l’ufficio loro respettivamente secondo l’antiqua consuetudine, et usanza con l’agionta per il ben publico delli capituli infrascritti, insieme con gl’infrascritti capitani, et ufficiali della militia del Marchesato di detto luoco […]. Seguitano li capitani et ufficiali della militia, che sono questi. Generale il Signor Lazaro Sevizano. Coronello il Signor Bernardo Burlo. Sergente Magior Vincenzo Massa 50 R. Magdaleno, "Papeles de estado Milan y Saboya", 1961: Anno 1573 (minute di dispacci di Sua Maestà): “Terminación del negocio del marquesado del Finale con los comisarios imperiales; atención a la posible actitud del marqués, que indica Lázaro Sevizano”; Anno 1575: “Cartas de Lázaro Sevizano”; Anno 1577 (corrispondenza del Governatore generale dello Stato di Milano marchese de Ayamonte): “Cartas de Lázaro Sevizano” Anno 1583 (corrispondenza del Governatore generale dello Stato di Milano Don Carlos de Aragón, duca di Terranova): “Informe del coronel Burlo y Juan Bernardo Sevizano con relación al pleito sobre el Finale que sostiene el marqués Alfonso Carretto (parte en cifra); Anno 1593 (corrispondenza del Governatore generale dello Stato di Milano Don Juan de Velasco, Contestabile di Pastiglia): “Bando de Bartolomé Beccaria desterrando del Finale al coronel Bernardo Burlo y a Juan Bernardo Sevizano; marcha al Finale con instrucciones de Don Juan de Mendoza”. Ringrazio Marco Leale per le informazioni su questi documenti 51 R. Magdaleno, "Papeles de estado Milan y Saboya", 1961

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E tale attività a favore della Spagna, costò indubbiamente molto ai Burlo e Sevizzano. Nella corrispondenza del 1593 del Governatore generale dello Stato di Milano Don Juan de Velasco, Contestabile di Castiglia, si legge di un “Bando de Bartolomé Beccaria desterrando del Finale al coronel Bernardo Burlo y a Juan Bernardo Sevizano; marcha al Finale con instrucciones de Don Juan de Mendoza”, cioè bando dal Finale pronunciato da Bartolomeo Beccaria del colonnello Bernardo Burlo e di Giovanni Bernardo Sevizzano; andata a Finale con istruzioni di Don Juan de Mendoza. Ma, più di tutti, è interessante l’esame di un lungo documento, allo stato inedito, conservato presso l’Archivio di Stato di Milano52. Si tratta di una istanza del 18 settembre 1621 di Giacinto e Domenico Burlo, nipoti del colonnello Bernardo Burlo, per essere figli del fratello di questi, capitano Pietro. L’istanza fu avanzata anche nell’interesse di Beatrice Burlo, vedova del Colonnello Bernardo (ma che era defunta poco prima della consegna dell’istanza). Con tale istanza essi si rivolgevano al Re di Spagna. I Burlo lamentavano di aver avuto un trattamento non corrispondente alle loro aspettative, dopo quanto il loro zio aveva fatto per la Real Corona. In particolare i Burlo ricordavano i lunghi servicij fatti alla sua Real Corona da detto suo marito, et che la Maestà Sua per un’attione particolare, che egli in compagnia del Capitano Gio:Bernardo Sevizzani haveva fatto in suo favore, che fu in operare, che il Marchesato di detto luogo dopo la morte del Marchese Alfonso Carretti pervenisse, si come poi pervenne, in potere della sua Real Corona.

In tale istanza si sostiene che l’opera di Gio Bernardo Sevizzano e Bernardo Burlo fu fondamentale perché la politica spagnola risultasse vincente, con il risultato di far conseguire alla Spagna la conquista del Finale. Nell’istanza i Burlo ricordavano le traversie che i due finalesi avevano attraversato a causa della loro fedeltà alla corona spagnola: la messa al bando ad opera del “Barone Bartolomeo Beccaria originario della Città di Ayqui, e Vassallo del Signor Duca di Mantova”, il sequestro dei beni Burlo e Sevizzano da parte dell’emissario dell’Imperatore e la successiva donazione degli stessi beni “ad alcuni particolari dei più principali dell’istesso luogo nemici del Burlo, e della fattione di Sua Maestà Cattolica nel sudetto Marchesato, et adherenti al detto Beccaria”. E di questi beneficiati dal Beccaria facevano anche i nomi: Erasmo Cavasola, Secretario Ambrosio Pencher, Alessandro Arnaldi e Nicolò Badellini. In altro passo dell’istanza i fratelli Burlo ricordavano come il Sevizzano e il Burlo avessero fatto di tutto per convincere i Finalesi a sottomettersi alla corona spagnola i sudetti Colonello Burlo, Sevizzani, che desiderava, che il sudetto Marchesato del Finale pervenisse in potere del Re suo, e nostro Signore, perciò essi come capi principali di quella terra animando quei Popoli alla divotione di Sua Maestà, persuasero, et indussero la maggior parte di loro ad accontentarsi di voler essere Vassalli, e sottoposti ad un tanto Re.

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Archivio di Stato di Milano, Militare Parte Antica, Personali Buoj-Bur, 234, istanza 18.9.1621 57

Lo scontro tra Sevizzano e Burlo da una parte e Beccaria dall’altra si fece durissimo: di che accortosi il Beccaria, e vedendo, che per opra del Burlo, e Sevizzano, e dei loro adherenti i suoi dissegni gli riuscivano vani, usò tutte le diligenze possibili, per impedire l’effetto del trattato del Burlo, e Sevizzani a favore di Sua Maestà, scrivendone in Alemagna, e movendo insieme la fattione dei sudetti Popoli a lui adherente, e favorevole nemica, e contraria al servicio di Sua Maestà, e però essi Burlo, e Sevizzano ne diedero subito avviso al medesimo Signor Contestabile, il quale con sua particolare scrisse all’uno, e l’altro di essi, che operassero con quei Popoli, acciò fosse allegato sospetto il detto Beccaria, e così havendo essi trattato di questo fatto con la maggior parte degli adherenti al servitio di Sua Maestà, una notte entrarono in detto luogo del Finale cinquecento huomini armati, havendo per loro capi il Burlo, et Sevizzano, e feccero intendere al Beccaria, che essi l’allegavano sospetto, e per tanto doversi partire da quel luogo, si come partì andando in Aiqui sua patria, ove poi scrisse alla Maestà dell’Imperatore ciò che a lui parve.

In un primo tempo il Beccaria l’ebbe vinta, dato che l’intervento dell’Imperatore gli consentì di rientrare a Finale dalla sua Acqui. Non appena il Beccaria prese possesso del palazzo del Governatore, egli dispose immediatamente perché il Sevizzano e il Burlo pagassero per quanto gli avevano fatto, e per avergli impedito di operare a favore del Duca di Mantova e … di se stesso: essendo egli ritornato, cominciò incontinenti a processare il Burlo, e Sevizzani di ribellione, per il che furono astretti per paura della vita ritirarsi, e venir ad habitare in Milano, et d’indi furono poi banditi dalla patria, con essergli anco stati confiscati i loro beni verso la Camera imperiale.

L’imperatore, quindi, impose la confisca di tutti i beni delle famiglie Sevizzano e Burlo: case e terreni furono poi donati a coloro che, invece, avevano sostenuto il Beccaria e l’Imperatore. Ma accadde che, mentre il Sevizzano riuscì entro breve tempo a riavere tutti i suoi beni, la famiglia Burlo dovette attendere e penare ancora molto per avere giustizia, e non l’ebbe interamente. La spiegazione di questo diverso trattamento sta nel fatto che, mentre i Sevizzano costituivano una famiglia unita, potente e con forte ascendente verso la corona spagnola, il Burlo ebbe la disavventura di morire otto mesi prima che la Spagna prendesse possesso del Finale (marzo 1602). Bernardo Burlo non aveva figli, e sua moglie Beatrice pensò bene di “prendere nuovo marito”. Gli eredi di Bernardo Burlo erano, così, i figli del fratello Pietro, Giacinto e Domenico Burlo, i quali si diedero da fare per riavere i loro beni, ma i beneficiari delle donazioni, seguite alla confisca dei beni Sevizzano e Burlo, opposero strenua resistenza. Oltretutto, lamentano i Burlo, i Sevizzano avevano avuto dal Re di Spagna un trattamento del tutto diverso: le mercedi, e ricompense fatte con larga, e liberalissima mano dalla Maestà Sua per l’istessa causa al sudetto Capitano Sevizzano, il quale senza alcuna perdita, o diminutione delle sue facoltà ha havuto da Sua Maestà un trattenimento di quaranta scudi al mese per la persona sua, e per due suoi fratelli altri scudi trenta cinque, oltre due Cannonicati nella Chiesa di Santa Maria della Scala di questa Città dati a due altri suoi fratelli sacerdoti

I Burlo, in sostanza, lamentavano che sia il loro defunto zio, sia Gio Bernardo Sevizzano avevano compiuto le stesse azioni in favore della Corona, ma mentre i Burlo nulla avevano ricevuto a compenso, i fratelli Sevizzano avevano goduto addirittura di una pensione: Gio Ber58

nardo 40 scudi al mese, Giulio Cesare e Cristoforo 35 scudi, mentre Alessandro e Carl’Angelo furono beneficiati con l’attribuzione del Canonicato nella Chiesa di Santa Maria della Scala di Milano. Per la cronaca, l’istanza ebbe successo, e con provvedimento del 2 marzo 1622 venne concesso ai Burlo di rientrare in possesso dei loro beni: scrivasi a Sua Maestà, che può esser servita in consideratione de’ servitij fatti, e danni patiti dal Colonello Bernardo Burlo di commandare, che siano restituiti a Giacinto, et Dominico Burli, suoi heredi tutti li beni, che furono confiscati al detto Colonello, che si trovano di presente in potere della sua Real Camera, et che sarà ben impiegata qualche altra mercede, che si compiacerà di farle.

In tale documento, purtroppo, nulla si dice dei beni immobili che furono concessi o restituiti ai Sevizzano, ma appare molto verosimile che l’edificio del Ponte, già corpo di guardia, e i suoi annessi, oltre ad altri terreni, siano stati ceduti dalla Spagna ai Sevizzano, a compensazione dei servizi resi alla Corona. Ciò peraltro rientra nella politica seguita dalla Spagna in quegli anni. Si ricorda che subito dopo la conquista del Finale, si pose per la Spagna il problema di recuperare danaro per gli ingenti investimenti fatti sia per la conquista, sia per la militarizzazione del Finale. Ed è così che la Regia marchional Camera iniziò ad appaltare a privati vari “servizi”, quali, ad esempio, gli appalti per la riscossione delle gabelle. Ma non passò che qualche anno che il Magistrato Ordinario si vide costretto non soltanto a concedere appalti per la riscossione delle gabelle per periodi sempre più lunghi, ma anche a vendere beni del Marchesato53. La casa di via Fiume era stata, fino ad allora, utilizzata come corpo di guardia, ma anche come luogo di esazione di alcune gabelle. Si ricorda che la famiglia Sevizzano, oltre che essere ben voluta dalla Corona spagnola, negli anni precedenti aveva avuto anche l’appalto della gabella del sale: nel 1590, appunto, Giulio Cesare Sevizzano aveva l’appalto della gabella del sale a Finalborgo54. Appare quindi molto verosimile che, nell’ambito delle dismissioni di beni pubblici, che a partire dai primi anni del ‘600 la Spagna mise in atto, ivi compresa la cessione di beni immobili a privati, la casa di via Fiume sia stata appunto ceduta ai Sevizzano. D’altra parte, come ci ricorda Riccardo Musso, “In questa attività (di cessioni di beni e appalti di gabelle, nda) furono interessate quasi tutte le principali casate finalesi, come i Raimondo, i Burlo, i Casatroria, i Locella, i Sardo, i Bergallo”55. E’ evidente che non può darsi per certo come e quando la struttura, composta dalla torretta e da tre ambienti circostanti, fu ceduta ai privati dalla Pubblica Amministrazione (che fosse il 53 R. Musso, Finale e lo Stato di Milano (XV-XVII secolo), pag. 149, in AA.VV. Storia di Finale, 1997, Finale Ligure, Daner Elio Ferrarsi editore 54 N.C. Garoni, Codice della Liguria, 267 55 R. Musso, Finale e lo Stato di Milano (XV-XVII secolo), pag. 149, in AA.VV. Storia di Finale, 1997, Finale Ligure, Daner Elio Ferrarsi editore

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Marchesato o la Repubblica di Genova o la Spagna), ma questa è sicuramente l’ipotesi più concreta e vicina alla realtà storica. In ogni caso, fino a che non verranno reperiti nuovi documenti (sempre che ne esistano) non sarà possibile dare una risposta certa al quesito. ***** La famiglia Sevizzano conservò la proprietà dell’edificio, composto da due fondachi e da un terreno retrostante, per altri cento anni, tanto che sia le case che i terreni della zona erano contraddistinti dal loro nome. Così i terreni lungo il Fiume Aquila erano detti, nel 1754, “La Riva de’ Sig.ri Sevizzano, vineata, olivata, seminativa e aggregata di altri alberi fruttiferi56”, e furono concessi in locazione a Gio Batta Poggio. Nel 1675 l’edificio risultava ancora di proprietà degli eredi di Lazzaro Sevizzano: “Un Piano sito fuori del Borgo con casa confini la strada da Ponente e Mare, il Canonico Giovanni

Francesco Patroni da Giovo, due fondeghi siti appresso al Ponte, o siano botteghe, confini la strada da Ponente e Mare, il suo giardino da Giovo”57. La annotazione è interessante, perché i due fondachi sono qui definiti “botteghe”, cioè non avrebbero avuto natura di magazzini, bensì commerciale, o potrebbero anche essere stati sede di un artigiano. Ed infatti, dall’esame degli atti del notaio Pietro Battista Picco, rogante in Finalborgo nella seconda metà del ‘600, apprendiamo che i due fondachi erano due vere e proprie botteghe. Con atto 14 giugno 168758 Carlo Angelo Sevizzano del fu Carlo Cesare, affittò a Bartolomeo Aycardo per cinque anni ed al prezzo convenuto di 500 lire di Genova “una bottega sita presso la porta del presente Borgo, lato giovo, detta la bottega del signor Sevizzano, sotto confini del detto sig. Sevizzano per altra bottega contigua da mare, per il giardino alberato da levante e giovo”. Si trattava quindi della bottega che guardava verso la valle dell’Aquila e che confinava con il terreno dei Sevizzano stessi, coltivata ad olivi, aranci e piante di gelso. Solo cinque giorni dopo, il 19 giugno 168759, lo stesso Carlo Angelo Sevizzano concedeva in affitto l’altra bottega dell’edificio: “Carlo Angelo Sevizzano loca, per sei anni prossimi venturi a cominciare dal 1.10.1687 a Giovanni Battista Peirano un laboratorio ossia bottega (officinam sive apothecam, nel testo originale), detta bottega del ponte de Signori Sevizzano, confinante con la via pubblica da ponente e con detto Signor locatore dalle altre parti, al canone annuo di 50 lire di Genova corrente in Finale”. Carlo Angelo Sevizzano morì nel 1694 e lasciò i propri beni agli eredi (ebbe ben sei figli, come vedremo nella scheda di questa famiglia). 56 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Gio Paolo Sciora, 3333, atto 18 novembre 1754, 308 r. 57 Archivio Storico Comune di Finale Ligure, Nuovi Registri ossia catasti generali del Borgo, 1675-1689, Marchesato 05-101 58 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Pietro Battista Picco 1672, atto 14.6.1687 59 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Pietro Battista Picco 1672, atto 19.6.1687

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Da un atto del notaio Tomaso Agostino Sciora del 24 marzo 172160 si viene a sapere che la gestione dei beni di famiglia era affidata a tre dei sei figli di Carlo Angelo, e più precisamente alle sorelle Anna Maria, Maria Rosa e Maria Vittoria Caterina. Giovanni Vincenzo (che assumerà il nome di Padre Lettore Fra Antonio Maria Domenico) era Frate Domenicano e Priore del Convento di S. Caterina. Con atto 9 settembre 1702 del Notaio Giuseppe Maria Fasiani di Garresio, egli rinunciò ai diretti di primogenitura a favore delle sorelle. L’altro fratello, Carlo Alessandro, morì in giovane età. La quarta sorella Maria Domenica fu esclusa, evidentemente perché sposata con il tenente colonnello Ruffini (ricevette soltanto l’usufrutto su alcuni beni). Con l’atto del notaio Sciora i Sevizzano concedevano in locazione a Niccolò Sanguineto fu Andrea, maggiore di anni 20 ma minore di anni 25, un loro stabile confinante con la casa oggetto del presente studio. Si trattava di un fondaco fuori le mura, vicino al ponte del Borgo, che una volta era un forno, detto anche “fondaco de signori Sevizzano”. Con altro atto dello stesso notaio, rogato il 20 settembre 173861, in cui si conferma la locazione a Nicolò Sanguineto, si viene a sapere che l’edificio su via Fiume, e le sue botteghe, erano locate a Domenico Piuma, famiglia che poi occuperà quell’edificio fino al 1863. L’atto, che viene riportato in altra parte del presente studio (vedi capitolo sull’esame della costruzione – edificazione attorno alla Torretta), è molto interessante, anche perché è descrittivo della situazione dei luoghi e dei due edifici confinanti. I Chiazzari A metà del ‘700 accadde un fatto molto rilevante: i Sevizzano si estinsero nella loro linea maschile, e tutti i loro beni passarono ai Chiazzari. Ma come ciò avvenne? Dopo un’attenta lettura degli atti notarili del ‘600 e ‘700 siamo ora in grado di darne la spiegazione. Dobbiamo fare un piccolo passo indietro. Carlo Angelo Sevizzano, con testamento del 26 novembre 1687, notaio Picco62, lasciò in eredità ai primi due figli maschi esclusivamente denaro, nonché i beni che al medesimo provenivano dall’eredità dei suoi fratelli, Canonici della Scala di Milano. Tutti i beni mobili e immobili del Finale vennero, invece, concessi in eredità alle quattro figlie: Anna Maria, Maria Rosa, Vittoria Caterina e Maria Domenica. Durante la dominazione spagnola viveva a Finale la famiglia De Torres, sulla cui origine molto si discute: chi li dice di origine spagnola e chi, invece, di origine genovese, ma la prima

60 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Tomaso Agostino Sciora, 2412B, atto 24 marzo 1721, 36 v. 61 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Tomaso Agostino Sciora, 2409B, atto 29.5.1716, 44 v., transazione 62 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Pietro Battista Picco, 1672, atto 26.11.1687

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ipotesi è senza dubbio la più vicina alla realtà63. Fu comunque famiglia influente, che ebbe personaggi molto importanti, che occuparono cariche pubbliche nel Marchesato, tra cui anche il Governatorato. I De Torres erano imparentati con i Sevizzano: in un documento non datato, ma da far risalire al 1702 o 1703, risulta che il Dottor Giovanni de Torres, dottore fiscale, era “cessionario delli figli et heredi del fu Signor Lazzaro Sevizano” per via di alcuni beni che gli erano stati ceduti “a conto delli diritti della Signora Benedetta sua moglie e figlia di detto Signor Lazzaro Sevizzano”64. Gian Andrea De Torres, figlio di Filippo e nipote di Giovanni, sposò in seconde nozze Francesca Giacinta Latraye, Lotharingensis. Con atto 25 maggio 1715, notaio Tomaso Sciora Agostino65, la sig.ra Maria Vittoria Caterina Sevizzano del fu Carl’Angelo Sevizzano donò a sig. Donna Francesca Giacinta moglie del sig. Don Andrea De Torres tutti i beni mobili e immobili con l’obbligo di contribuire scudi 25 da lire 4 a ciascuna delle sorelle, quali vivranno al tempo che detta sig.ra donataria conseguirà i beni quali presentemente gode il sig. Canonico Don Domenico Maria Sardi, suo zio, in virtù della rinuncia fatta dal Padre domenicano fratello Antonio Maria Sevizzani al Secolo Gio. Vincenzo.

Tale donazione aveva probabilmente origine da una causa ereditaria tra Maria Vittoria stessa e la famiglia Sardi, da cui proveniva sua madre Maria Maddalena, e di cui vi è traccia in vari atti notarili. Si trattava di questioni legate alla quantificazione della dote di Maria Vittoria, che rivendicava un “diverso trattamento”, e di cui parleremo più avanti. Francesca Giacinta era di origini lorene, e sicuramente aveva ancora interessi economici colà, tanto che con atto 12 marzo 1743 aveva nominato suo procuratore in Mircut Lotharingia (l’antica Lorena)66 il sig. Giuseppe Gretenois, avvocato nella Giurisdizione dei Vosgi. Gian Andrea De Torres e Francesca Giacinta ebbero due figlie, Maria Antonia Caterina e Maria Maddalena. Maria Antonia Caterina era la primogenita. Il 6 settembre 1742 decise di fare testamento67: era infatti gravida e temeva per la sua vita. Con tale testamento lasciò erede universale “il di lei ventre pregnante dando alla luce o uno o più figli sian maschi, come femmine egualmente, quando (che Dio non voglia) non venisse a salvamento né maschi né figlie o anco venutone alcuno o alcuna morisse o morissero in pupillar età, nomina eredi suo marito e suo cognato”. Il marito era il dr. D. Pio Benedetto Aicardi e il cognato il R.D. Giacomo Maria Aicardi, en-

Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Domenico Maria Ungano, 1939, atto 18.10.1683: testamento del signor Dottore Giovanni de Torres del quondam signor Don Geronimo “nato nel presente Borgo del Finale, se bene di natione spagnola”. 64 Archivio Storico Comunale di Finale, Curia Criminale 336, anni 1703-1705 65 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Tomaso Agostino Sciora, 2409B, atto 25 maggio 1715, 69 v. donazione 66 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Tomaso Agostino Sciora, 2419B, atto 1 giugno 1736 v. 67 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Tomaso Agostino Sciora, 2422B, atto 6 settembre 1742, 413 r. testamento 63

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trambi figli del dr. Giovanni Aicardi. La seconda figlia di Gian Andrea De Torres e Francesca Giacinta Latraye, Maria Maddalena, andò in sposa all’avv. Gian Francesco Chiazzari, fu Gian Domenico. Tra quest’ultimo e la cognata Maria Antonia Caterina scoppiò una lite determinata dalla interpretazione del fedecommesso istituito da Andrea De Torres, zio di Gian Andrea, che stabiliva la suddivisione dei beni tra gli eredi. Nel 1743 si pose fine a questa lite con una transazione68 avanti il Senato di Milano (competente, appunto, per la conservazione e la interpretazione dei fedecommessi). Successivamente a tale transazione, e del fatto che, purtroppo, Maria Antonia Caterina non diede mai alla luce alcun figlio, con atto del 28 novembre 1743, avanti il notaio Ludovico Brivio69, ella, volendo “per scarico della propria coscienza prediligere i figli di sua sorella Maria Maddalena, moglie del M.co Sig. Avv. Gian Francesco Chiazzari”, donò “una terra ossia piano vineato e seminativo con casa chiamato Il Piano delle due acque” ai nipoti Gio Andrea, Pasquale e Vincenzo. In altre parole i beni che sua madre Francesca Giacinta aveva ricevuto in dono da Maria Vittoria Caterina Sevizzano ora venivano donati ai Chiazzari. Da notare che tale atto di donazione fu stipulato “nella casa di solita abitazione delle M. Sig.re Rosa e Vittoria Sevizzano”. Per la verità, come leggeremo nella scheda dedicata alla famiglia Chiazzari, questo atto fu impugnato70 da Maria Antonia Caterina, la quale accusava Gian Francesco Chiazzari di averla raggirata, carpendone la buona fede. Tale atto fu dalla De Torres dichiarato nullo, con atto del notaio Tomaso Agostino Sciora. Ma solo due giorni dopo, la stessa ci ripensò, e confermò la donazione. Sia come sia, Vincenzo Chiazzari, figlio di Gian Francesco, oltre che ricevere in eredità sia i beni De Torres che i beni Sevizzano, poté aggiungere al cognome famigliare anche quello dei De Torres. Ed infatti Vincenzo Chiazzari, nei documenti successivi al 1745, viene citato, appunto, come “Vincenzo Chiazzari De Torres”. L’aggiunta del cognome De Torres non deriva, tuttavia, da tale donazione, ma dal testamento di Andrea De Torres, figlio del dott. Gerolamo De Torres, vissuto nel ‘600, e che fece testamento il 26 settembre 169271. Nel testamento egli lasciò erede universale suo pronipote Andrea De Torres. Costui era figlio di don Felice De Torres, a sua volta figlio del dottor Giovanni, fratello del testatore. Il testamento è lunghissimo, e consta di ben 23 fogli, con disposizioni precisissime relativamente all’ordine con cui doveva essere ripartita l’eredità, e comunque ba68 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Tomaso Agostino Sciora, 2423B, atto 5 ottobre 1743, 180 v. transazione 69 L’atto è riportato in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Tomaso Agostino Sciora, 2424B, , come allegato dell’atto 16.11.1745, 126 v. 70 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Tomaso Agostino Sciora, 2424B, , come allegato dell’atto 16.11.1745, 126 v. 71 Archivio di Stato di Milano, Notarile, 34770, Notaio Paolo Alessandro Vimercati, atto 26 settembre 1692, n. 167

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sato sul principio della primogenitura. Il lascito al pronipote derivava dal fatto che era l’unico maschio primogenito, vivente al momento. Il De Torres testatore, preoccupato che il proprio cognome potesse estinguersi, diede la seguente disposizione: Et in caso che detto Gioanni Andres mio pronipote herede come sopra, morisse senza descendenza mascolina, sustituisco in detta primogenitura il figlio maschio della prima figlia del detto mio pronipote, con che si chiami della famiglia Torres, et li descendenti suoi maschi legitimi, e di legitimo matrimonio procreati sin in infinito come sopra servato l’ordine primogeniale, et estinguendosi la linea del detto primo figlio della detta prima figlia di detto mio pronipote, suceda il figlio primo della seconda figlia e così sucessivamente in infinito come sopra.

Sicché Andrea De Torres pronipote, che non aveva avuto prole maschile, trasmise il proprio cognome al primo figlio maschio di sua figlia Maria Maddalena, sposata con Gian Francesco Chiazzari, appunto, Vincenzo Chiazzari. Nell’agosto del 1753 morì Vittoria Sevizzano e l’8 febbraio 1755 anche suo fratello Reverendo Antonio Maria passava a miglior vita. Nel 175672 si completò il passaggio di tutti i beni Sevizzano alla famiglia Chiazzari, o meglio a Vincenzo Chiazzari, unico figlio maschio sopravvissuto dell’avv. Gian Francesco, che, quale tutore del figlio Vincenzo, ne amministrava i beni. Ed infatti, con il catasto del 1764 si legge che il piano e i due fondachi, vicini al Ponte, già di proprietà dei Sevizzano, il 22 marzo 1764 vennero “portati in scarico delli Fratelli Sevizzano quondam Carlo Angelo” in favore del dott. Giovanni Francesco Chiazzari fu dott. Giovanni Domenico73. La famiglia Chiazzari ereditò, quindi, l’edificio nel 1745 e lo mantenne per oltre un secolo (esattamente per 118 anni). Le botteghe e i Piuma Come detto, i Sevizzano avevano locato le botteghe della casa di via Fiume a Domenico Piuma già prima del 1738: Le M.M. Sig.re Anna Maria Rosa e Maria Vittoria Catterina, sorelle e figlie del q. Sig. Carl’Angelo Sevizzano del presente Borgo Finale in questa parte come rinunciatarie del M. Rev. Padre Maestro Antonio Maria Sevizzano loro fratello, alla presenza dello stesso, concedono a titolo di locazione a Niccolò Sanguineto q. Andrea: un magazzeno sito fuori del presente Borgo dov’era prima un forno ed il qual fondaco sono già più anni che vien condotto dallo stesso Niccolò Sanguineto ed è contiguo al magazzeno grande, di presente condotto da M.ro Domenico Piuma e con altro contiguo et attacco scoperto, sotto suoi confini, per anni nove prossimi venturi e per fitto annuo di lire sei di Genova da pagarsi annualmente, siccome detto Sanguineto conduttore promette74.

Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Fio Paolo Sciora, atto 30 settembre 1756, 3334, r. Archivio Storico Comune di Finale Ligure, Nuovi Registri ossia catasti generali del Borgo, 1740-1797, Marchesato 05-103 74 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Tomaso Agostino Sciora, 2420B, atto 20 settembre 1738 n. 291 v. 72 73

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Vediamo ora gli atti del Notaio Giuseppe Bono, di Finale, tra il 1750 e il 1781. Tra i suoi atti ve ne sono alcuni che interessano la nostra ricerca. Il 27 novembre 1758 il notaio attestava che Gian Francesco Chiazzari aveva concesso in locazione “le botteghe del ponte” al Capitano Melzi; si tratta probabilmente di Filippo Melzi, che sposò Teresa De Giovanni75. Dall’esame di questo atto si ricavano alcuni dati interessanti. Le botteghe non erano due, ma quattro: due erano rivolte a Levante, e quindi davano sulla attuale via Fiume, mentre le altre due davano a Ponente, e quindi sul retro della casa, e sulla attuale via Cavasola. Le prime due erano state locate, appunto, al Magnifico Capitano Melzi, mentre le due “sul retro” al Maestro Domenico Piuma, che, come abbiamo visto, le occupava già da oltre venti anni. Altro dato interessante è la presenza di una porta di comunicazione tra i due corpi di bottega. A questo punto è opportuno riprendere le tavole alle figure 20 e 21, che già abbiamo visto in precedenza. Le riportiamo entrambe, per far notare la differenza che si determina con l’apertura del lato ovest della ex torretta: la stanza che ne risulta, di circa 9 metri quadrati, potrebbe anche prestarsi ad essere la quarta bottega. E tale dubbio nasce dall’esame di tre successivi atti notarili.

75 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Not. Bono Giuseppe (1750-1781) Finalborgo, 3465, atto 27 novembre 1758: “1758, 27 novembre giorno di lunedì alla mattina. L’Ill.mo Sig. Avvocato Gian Francesco Chiazzari fu Ill.mo S.r Avv. Gian Domenico si a nome suo proprio che come Padre e legittimo amministratore dell’Ill.mo Sig. Vincenzo suo figlio personalmente costituito alla presenza di me notaro e testi inf.ti et in ogni miglior modo … eredi e successori. In vigor del pr.te publico atto di locazione ha dato e concesso in affitto al M. Cap. Melzi q. M. Cap. Cristofaro qui pr.te conducente e accettante per sui eredi e successori due sue botteghe site fuori la porta … Città di Finale sotto suoi notorii confini chiamate Le Botteghe del Ponte quali sono li stesse c’havea poco avanti in affitto Gio. Firpo. Ad averle a titolo di locazione, possederle per anni tre incominciati li 15 del cadente 9.bre et in tal giorno da finire. Per l’annua piggione di lire 48 moneta corrente f.b. pagabili in semestri e così fra dette parti convenuto et accordato come le stesse qui pr.ti confessano, in pace e senza lite, in denari contanti… Col patto che non dandosi d’alcuna delle parti la disdetta due mesi prima del termine di d.ti anni tre, sia, e s’intenda rinnovata la pr.te locazione per altri tre anni, e così successivamente di tre in tre anni sino a che succeda la disdetta sud.ta… Promettendo al Ill. Sig. Locatore durante d.ta locazione non scacciarlo ne accrescerle patti, ne piggioni. E esso M. Conduttore promette infine della medesima restituzione delle botteghe, più tosto migliorate, che deteriorate… Patto che debba restituire dette botteghe unitamente a tutte le porte, telari e ferriate in essa esistenti, come dalla annessa lista(?), siccome di far chiudere, esso M.Cap. Melzi a proprie spese la porta interiore di comunicazione con le altre due botteghe condotte al pr.te dal Maestro Domenico Piuma. Fatto nello studio del d.to Ill.mo Sig. Chiazzari presenti Pier Antonio Sasso q. Lorenzo e Giacomo Carzoglio q. Alessandro testi alle pred. cose chiamati e conosciuti.”

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fig. 22 - situazione post 1975

fig. 23 - situazione ante 1975

Con atto 19 agosto 1758 del notaio Gio Paolo Sciora76 i Chiazzari avevano affittato il terreno detto “Il Piano del Ponte”, che confina con la casa da Giovo e da Levante, a tal Filippo Secondo fu Domenico Finarese di Ponticello. Si trattava di “una terra di Piano e fascia sita fuori le mura di questa città, vineata, seminativa, ortiva e aggregata d’altri alberi fruttiferi”. Quattro anni dopo, con atto del medesimo notaio, stipulato il 10 settembre 176277, terminata la locazione con il magnifico Capitano Melzi, i Chiazzari affittarono a Filippo Secondo anche le due botteghe su via Fiume. Il successivo atto è sicuramente importante, perché prelude ad una nuova “fase” del destino dell’edificio. Con atto del medesimo notaio, stipulato il 12 dicembre 176278, il Chiazzari concesse a Domenico Piuma in locazione tutte e quattro le botteghe. Da allora Domenico Piuma divenne, quindi, l’unico conduttore dell’intero edificio. 76 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Sciora Gio Paolo (1746-1788) Finalborgo, 3335, atto 19 agosto 1758 v. 77 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Sciora Gio Paolo (1746-1788) Finalborgo, 3335, atto 10 settembre 1762, 162 r.: “1762, giorno di lunedì dieci del mese di settembre alla mattina. Il M. Sig. Avvocato Gian Francesco Chiazzari fu M. Dr. Gian Domenico Pr.te costituito spont.te ed in ogni miglior modo, a titolo di locazione in forza del presente dà e concede in affitto a Filippo Secondo q. Domenico Fin[are]se presente e acc.te Una bottega con altra interiore sita fuori le mura di questa città: a confini della strada da mare, a Ponente, delle altre botteghe di esso M. Chiazzari condotte da M.ro Domenico Piuma da Giovo, e del Piano di sud.to Chiazzari condotto da d.to Secondo da Levante…… Per anni tre da principiarsi li 16 novembre p.v. per l’annua piggione di lire quarantotto di Genova f.b. le quali detto Secondo promette e s’obbliga di pagarle al M. Chiazzari presente e accettante, ogni anno et infine di ciascun anno, in pace, in denari contanti…… Patto tra dette parti convenuto che nell’ultimo di d.ti tre anni quella parte che non vorrà più continuare debba avvisar l’altra sei mesi prima che termini, in diffetto, s’intenderà rinnovata per altri tre anni, e così di tre in tre anni sino a che si avrà tal disdetta..… Fatto in Finale nello studio del d.to M. vv. Chiazzari presenti ivi Paolo Bonora q. Gian Antonio e Andrea Calcagno q. Giacinto Finaresi, testimoni idonei e richiesti.” 78 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Sciora Gio Paolo (1746-1788) Finalborgo, 3335, atto 12 dicembre 1762, 190 v.: “Detto giorno in vesperis [12 dicembre domenica 1762]. Essendo vero, come le Parti infrascritte affermano, che il M. Sig. Avocato Gian Francesco Chiazzari per Instr.to rogato a me infrascritto li 10 7.bre p.p. abbia affittato a Filippo Secondo q. Domenico una Bottega con altra interiore appellata La Bottega del Ponte, per l’annua piggione di lire 48, e sotto li patti, e modi, de quali in detto Instr.to ….. e che Maestro Domenico Piuma per mezzo di terze Persone abbia fatta instanza al d.to Secondo di sublocarli detta Bottega con altra interiore, al qual istanza avendo l’accennato Secondo annuito, mediante li

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Gli affari per il Piuma andavano sicuramente a gonfie vele, perché non soltanto aveva avuto la necessità di “allargare” il suo commercio, e quindi di occupare le quattro botteghe, tra le quali aveva anche aperto una porta di comunicazione, ma alcuni anni dopo, suo figlio Nicolò aveva addirittura deciso di edificare un appartamento sopra le botteghe. ***** Nel 178379 accadde, infatti, un nuovo fatto molto rilevante per la storia dell’edificio. Quell’anno l’immobile era di proprietà dei fratelli Francesco Maria, Michele e Alessandro Chiazzari, figli di Vincenzo (allora già morto). Nicolò Piuma, figlio di Domenico, il 9 agosto 1783 stipulò un atto di costituzione di diritto di enfiteusi. L’atto è stato riportato, per intero, nella sezione “La prima sopraelevazione”, nell’ambito del capitolo relativo all’Esame della Costruzione (e a cui si rinvia per la lettura integrale del documento). In base a quell’atto, il Piuma, da una parte si obbligava a costruire un appartamento sopra i fondachi a proprie spese, ma dall’altra ne poteva godere in perpetuo: detto Sig. Piuma terminato che sarà detta Casa, possa goderla ed abitarla come fosse sua propria senza essere obbligato ed alcuna piggione ed altra ricognizione verso i M.ci fratelli Chiazzari, e godendo sua vita naturale durante, e dopo di esso Nicolò godutale del pari il di lui figlio Domenico e dopo i di lui figli legittimi e naturali che dal medesimo Domenico nascessero. E qualora detto Domenico figlio morisse senza prole o si facessi Religioso Clausurale, che posso subentrare quel figlio maschio legittimo del detto Nicolò e dopo di lui i suoi fili legittimi e naturali.

Si trattava di un tipico contratto di enfiteusi, cioè di un diritto reale su cosa altrui di notevole ampiezza, tanto che un tempo era anche detta “piccola proprietà”. La famiglia Piuma conservò questo diritto per ben 80 anni, e lo “restituì” soltanto nel 1863. Nel catasto del 179880, la casa risultava essere di proprietà di Francesco Chiazzari. patti inf.ti ne altrimenti, quindi sud.to Filippo Personalmente constituito alla presenza di me Not.o e test.i infr.i Spint.e e in ogni miglio modo in forza del presente, da e concede in affitto, ossia subaffitta al d.to Maestro Domenico Piuma pr.te e acc.te la Bottega sud.ta con altra interiore sotto confini, de quali in d.to Instr.to, che qui s’abbino espressi singolarmente. Per l’anno già principiato li 16 9.bre p.p. e per l’istessa piggione di lire quarantotto, che d.to Secondo paga al d.to M.Chiazzari da pagarsi la metà ogni semestre anticipatamente il qual primo anticipato se mestre consistente in lire 24 d.to Secondo confessa di averle avute e ricevute da d.to Piuma, attualmente dal med.mo sborsate numerate e consegnate a d.to Secondo che se le tira a se per le quali fa fine e quietanza..… L’altro semestre promette di pagarlo per tutti li 16 maggio p.mo v. in pace in denari contanti..… Che terminato l’anno di detta locazione, che finirà li 16 9.bre 1763 or prossimo debba d.to Maestro Piuma aver evacuata e lasciata libera detta Bottega, con altra appresso, ossia interiore al d.to Filippo Secondo, con aver a proprie spese fatto chiudere la porta di comunicazione, che al presente ha con l’altre due Botteghe attigue da lui condotte di pertinenza di d.to M.Chiazzari e del pari che debba aver fatto chiudere qualunque buchi, che avesse fatti nelle Muraglie di d.ta Bottega ed altra interiore, e fatta similmente aprire a proprie spese, e riponere la porta di comunicazione col piano attiguo di spettanza come sopra del d.to M. Chiazzari, dove era innanzi, siccome che debba adempiere tutte quelle altre cose, alle quali obbligato erasi per Instr.to de 27 novembre 1758 rogato al not .Giuseppe Bono il M. Cap. Filippo Melzi. Che debba, come sopra si è obbligato, per li 16 del p.v.maggio anticipare altre lire ventiquattro per l’altro semestre, in guisa che non seguendo d.ta anticipazione s’intenda ora per all’ora decaduto del pr.te affittamento perché così per patto espresso, e così termini in tal girono la locazione sud.ta..… Me Gian Paolo Sciora. Fatto in Finale, nella Sala della solita udienza del M .M. Sig. Vicario di questa Curia, presenti ivi Gio. Viguglia q. Nicolò Soldato d’Ordinanza del d.to M. M.Vico e Pietro Basso q. Filippo Finarese, testi idonei, noti e richiesti.” 79 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Not. Casatroia Giuseppe (1750-1787) Finalborgo, 3453, atto 9 agosto 1783, 199 r. 67

Censita al mappale 117, il 18 settembre 1798 la casa risultava ancora concessa dal Chiazzari in locazione al “cittadino Nicolò Piuma fu Domenico”, e viene così descritta: casa che conduce a titolo di locazione posta fuori le mura di questa Città, consistente in un appartamento con due botteghe ed un fondaco al di sotto della stessa, a confini la strada pubblica da Mare e da Giovo, i fratelli Chiazzari da Levante e Ponente, del valore di lire mille ottocento.

Nicolò Piuma aveva un figlio, Domenico, al quale evidentemente non interessava rilevare l’attività commerciale del padre, tanto che, giovanissimo, aveva deciso di entrare in convento, anche se abbandonò ben presto l’idea di condurre la vita di religioso, e si mise a studiare farmacia. In ogni caso, poco prima dell’arrivo di Napoleone, Nicolò affittò a terzi le botteghe di via Fiume, e si ritirò nel proprio appartamento del piano di sopra, godendo dei frutti delle locazioni. In un catasto francese81 non datato, ma collocabile nel 1809, risulta che Nicolò viveva delle proprie “rendite ed industrie”. Con il primo contratto del 6 febbraio 1796 Nicolò affittò due botteghe della casa a Domenico Peirano82. Da notare che, oltre alle due botteghe (o meglio una bottega ed un fondaco) della casa di via Fiume, viene affittata al Peirano anche una “ai piedi del Ponte Reale”, e cioè il “casotto”, di cui si è parlato ampiamente in altra parte di questo lavoro, e che venne poi abbattuto a metà ‘800. Si ricorda quanto abbiamo già scritto nel capitolo sui passaggi di proprietà, e cioè che il bisnonno di Domenico Peirano, Giovanni Battista, l’1.10.1687 aveva stipulato un contratto di locazione con Carl’Angelo Sevizzano per “un laboratorio ossia bottega (officinam sive apothecam, nel testo originale), detta bottega del ponte de Signori Sevizzano”83, e che il 10 febbraio 1717 aveva stipulato un contratto di locazione con Giovanni Francesco Gropallo, 80

Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Finalborgo Catasti, Catasto della Repubblica Ligure del 1798 81 Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, 1.7.32, Stati delle anime delle tre parrocchie (1806-1809) 82 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Vincenzo Casatroia, 6 febbraio 1797, 4308, 32 r, locazione: “Il sig. Nicolò Piuma q. Domenico ha locato a Dominico Peirano q. Giovanni: due botteghe ed un fondaco siti fuori le mura di questa città, una della quali resta appiedi del ponte Reale e le altre sotto la casa di abitazione del detto Piuma locatore sotto loro più notorii confini, ad averle, goderle, tenerle a titolo di locazione per anni 9 prossimi venturi da principiare il primo del venturo mese di marzo ed in tal giorno dopo finiti detti 9 anni da terminare; con la condizione e patto espresso che non seguendo da ambe le parti la disdetta i due mesi avanti che termini la locazione, s’intenderà rinnovata per altri anni 9 prossimi venturi. Per l’annua piggione di lire centoventotto che il Conduttore promette di pagare ogni anno ed in fine di ciascun anno anticipatamente cioè di semestre in semestre. Seguono i patti e condizioni … che detto Peirano sia tenuto a dare al detto Piuma tutto il letame che il medesimo andrà facendo nelle sud. due Botteghe e fondaco, sino a tanto che il detto Piuma locherà, ossia starà a locare un altro suo magazzeno attiguo al sud. Fondaco; qual locazione seguita, dovrà cessare al Peirano l’obbligazione. Patto altresì che il Peirano durante la presente locazione non possa vendere in sud. Botteghe sorte alcuna di commestibili o vettovaglie se non nel caso che Giacomo Anscione, conduttore dell’altra bottega del detto Piuma, dismettesse la medesima e che in seguito l’appigionasse al Peirano e non altrimenti.” 83 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Pietro Battista Picco, 19 giugno 1687, locazione (tradotto dalla lingua latina): “Il Signor Carlo Angelo Sevizzano del fu Signor Carlo Cesare loca, per sei anni prossimi venturi a cominciare dal 01.101687, a Giovanni Battista Peirano un laboratorio ossia bottega (officinam sive apothecam) detta la bottega del ponte de Signori Sevizzani confinante con la via pubblica da ponente e con detto Signor locatore dalla altre parti. Canone annuo di 50 lire moneta di Genova corrente in Finale”. 68

Governatore del Marchesato del Finale, per conto della Serenissima Repubblica di Genova, per una “casetta, o sia stanza posta fuori della Porta Reale di questo Borgo chiamata il Barrachino esistente a piano del Ponte”84. Domenico Peirano si era obbligato, con il contratto, a fornire al Piuma tutto il letame prodotto. Da ciò si desume che le due botteghe erano quelle poste sul retro della casa, e che evidentemente erano adibite a ricovero di animali (probabilmente cavalli), e ciò spiegherebbe la presenza di una mangiatoia, che abbiamo visto esisteva nel locale sul retro. Vi è un fatto curioso, e che fa …. pensare. Domenico Peirano, aveva un fratello, di nome Gian Battista (erano entrambi figli di Giovanni Peirano e di Maria Anna Molina), il quale svolgeva la professione di farmacista fin dal 178485. Non si ha prova documentale che svolgesse tale professione in via Fiume, ma è comunque, appunto, una coincidenza interessante, e che sarà necessario approfondire. Pochi giorni dopo la stipula del contratto con il Peirano, il 10 febbraio 1796, Nicolò affittò le altre due botteghe di via Fiume a Giacomo Anscione, commerciante86. Un mese dopo, il 12 marzo, il Maestro Gio Batta Faxiano fece la perizia dei beni venduti dal Piuma all’Anscione, e che valutò 88 lire e 10 soldi87. Come vedremo più avanti, trattando della famiglia Piuma, il figlio Nicolò abbandonò l’idea di farsi religioso, studiò e divenne farmacista, esercitando la professione nei locali a pianterreno della casa di via Fiume, e si sposò. 84

Archivio di Stato di Genova, Camera di Governo e Finanza, 2749 Archivio di Stato di Savona, Dipartimento di Montenotte, 35, Liste générale des Docteurs en Médecine et en Chirurgie, Chirurgiens, Officiers de Santé, Sages Femmes, Pharmaciens et Herboristes établies dans le Département de Montenotte, dressée en exécution de l’article 26 de la Loi du 19 ventôse an 11 et de l’article 28 de celle du 21 germinal même année. 86 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Vincenzo Casatroia, 10 febbraio 1797, 4308, 13 r, locazione: “Il Cittadino Nicolò Piuma q. Domenico loca al Citt. Giacomo Anscione del Citt. Camillo: una bottega fuori le mura di questo borgo e sotto la Casa di abitazione del Piuma per anni 9 dal 1 marzo per la piggione annua di lire cento di Genova. Tra i patti l’Anscione si obbliga a comprare tutti gli utensili esistenti nella bottega di proprietà del Piuma che sono quelli che il Piuma ha già consegnato all’Anscione come da inventario firmato dalle parti, il prezzo degli utensili sarà estimato dal Citt. Maestro Gio. Batta Faxiano.” 87 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Vincenzo Casatroia, 12 marzo1797, 4308, 29 v, perizia: “Perizia di Gio.Batta Faxiano Stima in L.148 e soldi 10 tutti gli utensili nella bottega affittata Per un bugato L.10 Per uno armario fatto a guardarobbe chon sua arna L.14 Bancheta del bancho L.1 s.10 Uno schagno chon sua arna e chantera L.10 Due bariloni da arengi L.3 Due sechie per la farina L.2 s.10 N°4 tavole da pane L.8 Un garoso grande L.2 s.10 Una mastra qua il suo sbrigone L.20 Un tavolino piu sua chantera L.6 Una tavola rotonda ch’on li piedi fatti a tenalia L.8 N°3 charege di paglia L.3 Et in fede Maestro Gio.Batta Faxiano La somma è però di lire 88 e soldi 10”. 85

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Come già si è osservato, nel Catasto Napoleonico del 181388 si legge che l’immobile è censito al n. 149 ed era proprietà di “Chiazzari Francesco fu Vincenzo di Finalborgo”. La proprietà era costituita da “Maison et Cour”. Nel Catasto del 181889 la casa risulta di proprietà ancora di Francesco Chiazzari De Torres, e viene descritta come “casa fuori le mura di questa città, consistente in un appartamento con due botteghe, ed un fondaco”. E’ contraddistinta dal mappale 139, già mappale 117 del vecchio catasto. Nel Catasto dell’anno successivo 181990 Chiazzari Francesco denunciò la medesima casa, ma “per conto” di Chiazzari Vincenzo fu Alessandro. Chiazzari Vincenzo era il nipote di Francesco, cioè figlio di suo fratello Alessandro. E’ quindi evidente che Chiazzari Francesco aveva gestito l’immobile per sé e nella sua qualità di tutore del nipote Vincenzo. Francesco morì senza prole, sicché l’immobile divenne proprietà di Vincenzo. Nel Catasto del 183391 la casa risulta di proprietà dei figli di Chiazzari De Torres Vincenzo, e cioè Alessandro, Francesco e Orazio, con usufrutto alla madre Maddalena. Nel registro della popolazione del 185792, la casa risulta ancora di proprietà della famiglia Chiazzari, ma nel registro dello Stato generale delle mutazioni di proprietà del 186393, si legge che la casa ebbe un trasferimento da Piuma Giambattista ai fratelli Chiazzari De Torres. In realtà, non si è trattato di una cessione o di una vendita, ma semplicemente di una retrocessione del diritto di enfiteusi, stipulato da Nicolò Piuma nel 1783, ed ora abbandonato dal dott. Giambattista Piuma, figlio del farmacista Domenico. Ed infatti, con atto 6 febbraio 1863, repertorio n. 32 del Notaio Gian Bernardo Rozio94, L’avv. Marco Desciora fu Avv. Francesco Ludovico nato e dimorante a Finalborgo, procuratore speciale del Sig. Piuma Gio. Batta fu Domenico, dottore in Chirurgia, nato a Finalborgo, e dimorante in Genova, cede ai fratelli Chiazzari De Torres avv.to Alessandro, domiciliato a Finalborgo, ed ing. Orazio fu Vincenzo, domiciliato a Torino, tutti i diritti su una “casa composta da pianterreno e di un piano superiore situata in questa città, nella strada detta del Ponte per il corrispettivo di lire 635” che Alessandro, anche a nome del fratello Orazio non presente, promette di pagare al termine di un anno.

In sostanza il sig. Piuma Giambattista fu Domenico retrocedeva il diritto, nascente dal contratto di enfiteusi, all’avv. Alessandro e all’ing. Orazio Chiazzari De Torres fu Vincenzo, per88

l’Archivio di Stato di Torino, Catasto Francese di Finale, allegato G, n. 537, “Section H dite du Prato à l’Aquila” 89 Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Finalborgo Catasti 168-228, Nuovo Catasto delle vendite di terreni e case esistenti nel circondario della comune di Finalborgo rinnovato nel 1818 90 Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Finalborgo Catasti 168-229, Catasto 1819 91 Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Finalborgo Catasti, 168-231, Catasto 1833 92 Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Finalborgo, 1-224, Registro popolazione di Finalborgo nel 1857 93 Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Finalborgo, Catasti, 1/189-236, Stato generale di tutte le mutazioni 1° settembre 1863 94 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Gian Bernardo Rozio di Calice Ligure, atto 6.2. 1863, n. 32 70

ché, evidentemente, il dott. Piuma non aveva più interesse a mantenere l’appartamento: era ormai abitante stabilmente a Genova, dove esercitava l’attività di medico chirurgo. I Folco Solo tre mesi dopo (atto 19 maggio 1863, repertorio n. 110 del Notaio Gian Bernardo Rozio) l’avv. Alessandro Chiazzari De Torres, anche per conto del fratello ing. Orazio, vendeva a Caterina Folco una casa sita fuori le mura di questa città, lungo la strada dell’Aquila, costituita da fondachi ed adiacente piazzale, oltre ad un piano terreno e un piano superiore95. Come detto più sopra, in febbraio i fratelli Chiazzari riebbero la piena proprietà della casa per 625 lire, pagabili in un anno, e tre mesi dopo la rivendevano a Caterina Folco a 2.500 lire, incassando l’intera somma in un’unica soluzione … sembrerebbe un bell’affare! Ma il fatto è presto spiegato: la cessione fatta da Piuma a Chiazzari era costituita dal diritto di enfiteusi, che aveva, ovviamente, un valore economico ben inferiore a quello di proprietà. Caterina Folco disponeva di una certa liquidità, ed infatti suo padre Antonio Folco di Gorra era ritornato a Finale dopo essere emigrato in Uruguay. Aveva portato con sé una certa fortuna, che appunto aveva utilizzato per acquistare la casa di via Fiume per conto della figlia. Il giorno 24 marzo 1880, avanti il Notaio Gian Bernardo Rozio, Caterina Folco vergò con una croce (essendo analfabeta) un testamento, lasciando in eredità alla nipote Caterina, figlia del fratello Giacomo, l’intero edificio96. L’atto venne sottoscritto nella casa della Folco, in Finalborgo, via Aquila 164. Morì il 18 febbraio 1890. La nipote Caterina aveva sposato nel 1875 il dott. Raffaele Berruti, di professione farmacista. Raffaele Berruti proveniva da una famiglia di benestanti altaresi. Dal matrimonio nacquero sei figli, cinque maschi (Giuseppe, Giacomo, Mario, Daniele, e Giovanni) ed una sola femmina (Maria).

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Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Gian Bernardo Rozio di Calice Ligure, atto 19.5. 1863, n. 110: “L’avv. Alessandro Chiazzari De Torres fu avv. Vincenzo, anche per conto del fratello ing. Orazio, dimorante a Torino, vende a Caterina Folco di Antonio nata e dimorante a Gorra, assistita dal marito Giacomo Calmarini fu Angelo nato ad Alassio, dimorante a Gorra che presta il suo assenso, una casa sita fuori le mura di questa città, lungo la strada dell’Aquila, in tutti i suoi membri coi fondachi sottostanti ed adiacente piazzale, composta d’un piano terreno e piano superiore, a confini dal Sud e da Ovest strada pubblica e al Nord ed Est l’orto del sig. Giuseppe Burlo. Tale vendita è fatta mediante il prezzo di lire 2500 che la Folco sborsa e che sono ritirate dal Chiazzari. Tra i testimoni è presente il fratello Giuseppe Folco di Antonio. La sig.ra Folco firma con una croce “per non saper scrivere né firmare”. 96 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Gian Bernardo Rozio di Calice Ligure, atto 24.3.1880, 3597, testamento: “A mia nipote Caterina, figlia di mio fratello Giacomo, maritata al Sig. Raffaele Berruti, lascio la casa di mia attuale abitazione in tutti i suoi membri con tutti gli effetti mobili, mobiglia, biancheria ed altro qualsiasi oggetto mobile come si troverà all’epoca del mio decesso e senza veruna eccezione e deduzione. Mediante il detto legato sarà la stessa onerata delle spese del funerale e messe suindicate volendo che ai poveri che accompagneranno il cadavere sia elargita la somma di centesimi cinquanta pro cadauno oltre la solita candela”. 71

I Berruti Soltanto uno dei sei figli sopravvisse a Caterina Folco, la quale vide spegnersi prima il marito (a soli 42 anni) un figlio a soli due anni, il primo figlio Giuseppe, farmacista, il secondo, Daniele, sempre farmacista, e infine l’unica figlia, Maria. Le sopravvisse soltanto il figlio Mario, il quale, alla morte della madre, avvenuta il 5 aprile 1927, ricevette in eredità la casa. Da allora i Berruti mantennero la proprietà dell’edificio e tuttora lo possiedono.

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Proprietari e affittuari: famiglie finalesi Brevi cenni In collaborazione con Marco Leale e Antonio Martino Nell'esaminare i documenti catastali e gli atti dei notai seicenteschi e settecenteschi, ci si è imbattuti in alcune famiglie finalesi che hanno "occupato" l’edificio di via Fiume: i Sevizzano, i Chiazzari, i Piuma, i Folco e i Berruti. Sono famiglie che potrebbero definirsi “minori”, alcune scomparse da Finale, ma che invece nel passato hanno contato, alcune molto, nella storia finalese. Le loro vicende si sono intrecciate, e strettamente, anche con altre note famiglie finalesi, quali i Sardi e i De Torres. Questo lavoro costituisce anche l'occasione per parlarne, e per riscoprirle. Non è tuttavia intenzione degli autori scrivere la storia di queste famiglie, ma soltanto darne brevi cenni, perché non scompaia del tutto il loro ricordo. Come vedremo, tra alcune di queste famiglie si sono stretti rapporti di parentela, tanto che si può dire che tra i Sevizzano, i Sardi, i De Torres ed infine i Chiazzari vi è una sorta di fil rouge che le lega, e soprattutto che ha costituito un sistema di “accumulo” di proprietà immobiliari, di cui, alla fine, godettero i Chiazzari, essendosi nel frattempo estinte le altre famiglie. ****

Sevizzano

I Sevizzano (o Sevizano) erano sicuramente una delle famiglie più influenti del Borgo nel ‘500. Il Garoni ci dice della famiglia Sevizzano: “Sevizano, o Gevissano, famiglia di Rialto e forse originaria di Ceva. Lazzaro nella prima sollevazione de’ finaresi è loro procuratore al mar73

chese Alfonso e nella seconda è loro generale. L’anno 1567 dominus Andreas Cevissanus è testimonio nel Borgofinaro a carta di procura por liti (Minutario di detto anno, c. 19). L’anno 1590 Giulio Cesare Sevizzano è appaltatore della gabella del sale insieme a Giacomo Bonorino. (Laguna Responsum pag. 88)”97. Già nel famoso documento 9 maggio 144998, che riporta i nomi di coloro che giurarono fedeltà alla Repubblica di Genova, dopo la vittoria riportata su Galeotto del Carretto nella Guerra del Finale, troviamo due Sevizzano (Damiano e Giovanni). Nel successivo giuramento del 1451 (12 agosto 145199) non troviamo alcun Sevizzano: probabilmente, già allora, questa famiglia si era distinta per essere molto “contestatrice” e poco incline alla fedeltà verso i Genovesi. Lazzaro Sevizzano (il membro della famiglia più noto alle cronache) giurò obbedienza alla Repubblica di Genova nel 1558100, ma non passarono che soli sei anni e nel 1564 costui si pose alla guida della ribellione dei finarini, che si sollevarono contro Alfonso II del Carretto, accusato delle più terribili nefandezze. Nominato, unitamente a Bernardo Burlo, procuratore dei Popoli Finalesi e loro consulente legale, si recò a Vienna per sostenere le ragioni di quel popolo davanti all’Imperatore101, ma senza molto successo, dato che Alfonso II del Carretto fu reintegrato quale Marchese del Finale. Rientrato nel Palazzo Marchionale del Borgo, Alfonso non perse tempo a “fare giustizia”, vendicandosi per i torti subiti: la sua ira si abbattè sui finalesi, ed egli bandì dal Marchesato molti cittadini, che si erano particolarmente segnalati nella ribellione, tra i quali, appunto, Lazzaro Sevizzano “per essere stato a Vienna in qualità di procuratore generale dei popoli Finaresi a dimostrare all'Imperatore che l'ingorda avaritia, la sfrenata lussuria e l'iniqua parzialità del Marchese Alfonso erano state le principali cause della sollevatione”102. Come già abbiamo avuto modo di affermare, Lazzaro Sevizzano e Bernardo Burlo erano sicuramente informatori degli spagnoli, come si desume da alcuni documenti spagnoli dell’epoca103: 97

N.C. Garoni, Codice della Liguria, 267 G. Salvi, Tre quistioni di storia finalese, Genova 1933, pag. 228 99 G. Salvi, Tre quistioni di storia finalese, Genova 1933, pag. 238 100 G. Salvi, Tre quistioni di storia finalese, Genova 1933, pag. 245 101 G.A. Silla, Storia del Finale, I, Savona, 1921, pag. 197 102 G.A. Silla, Storia del Finale, I, Savona, 1921, pag. 206 103 R. Magdaleno, "Papeles de estado Milan y Saboya", 1961: Anno 1573 (minute di dispacci di Sua Maestà): “Terminación del negocio del marquesado del Finale con los comisarios imperiales; atención a la posible actitud del marqués, que indica Lázaro Sevizano”; Anno 1575: “Cartas de Lázaro Sevizano”; Anno 1577 (corrispondenza del Governatore generale dello Stato di Milano marchese de Ayamonte): “Cartas de Lázaro Sevizano” Anno 1583 (corrispondenza del Governatore generale dello Stato di Milano Don Carlos de Aragón, duca di Terranova): “Informe del coronel Burlo y Juan Bernardo Sevizano con relación al pleito sobre el Finale que sostiene el marqués Alfonso Carretto (parte en cifra); 98

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Nella carica di Procuratore generale del popolo del Finale, successe a Lazzaro Sevizzano Gio Bernardo Sevizzano104, che fu anche membro del Consiglio Generale del Marchesato nel 1593105. Non sono stati rinvenuti documenti che attestino con sicurezza quale sia il rapporto di parentela tra i due; si ipotizza tuttavia che Gio Bernardo fosse il figlio di Lazzaro Sevizzano, il quale, infatti, ebbe cinque figli maschi: Giulio Cesare, Gio Bernardo, Alessandro, Carl’Angelo e Cristoforo. Gio Bernardo fu anch’egli personaggio molto importante, perché, come il padre Lazzaro, avversò Alfonso II del Carretto. Fu Procuratore Generale del Popolo del Finale (3.9.1584), e membro del Consiglio generale del Marchesato (1.9.1593). Fu fatto oggetto di particolari attenzioni da parte dell’allora commissario imperiale a Finale (Bartolomeo Beccaria). Sulle attività, non sempre benevole, del Beccaria vi sono molti documenti, soprattutto di provenienza spagnola. In base ad uno di questi lo si vorrebbe, addirittura, mandante dell’omicidio di un Burlo. Inoltre il Beccarla riuscì ad ottenere dall’Imperatore un decreto di esilio da Finale sia per Bernardo Burlo che per Gio Bernardo Sevizzano. Tali attenzioni conseguivano al fatto che sia i Burlo che i Sevizzano erano chiaramente “uomini della Spagna”. Tanto essi fecero per la Spagna, favorendola politicamente, che dalla stessa ottennero favori, denaro, pensioni e beni immobili. Si rinvia a quanto abbiamo detto in ordine ai motivi per cui si ritiene che la casa di via Fiume sia stata ceduta dalla Spagna ai Sevizzano e all’esame del documento, rinvenuto presso l’Archivio di Stato di Milano, nel quale si dà conto sia della collaborazione resa dal Sevizzano alla corona spagnola, sia dei benefici che la stessa elargì a lui ed ai suoi fratelli106. Gio Bernardo fu anche responsabile del deposito di munizioni del castello del Finale107.

Anno 1593 (corrispondenza del Governatore generale dello Stato di Milano Don Juan de Velasco, Contestabile di Pastiglia): “Bando de Bartolomé Beccaria desterrando del Finale al coronel Bernardo Burlo y a Juan Bernardo Sevizano; marcha al Finale con instrucciones de Don Juan de Mendoza”. Ringrazio Marco Leale per le informazioni su questi documenti 104 G.A. Silla, Storia del Finale, I, Savona, 1921, pag. 257 105 G.A. Silla, Storia del Finale, I, Savona, 1921, pag. 369 106 Archivio di Stato di Milano, Militare Parte Antica, Personali Buoj-Bur, 234, istanza 18.9.1621 107 Archivio di Stato di Milano, Militare Parte Antica, Personali Sb-Se, 296 “Illustrissimo et Eccellentissimo Signore. Gio:Bernardo Sevizzano humilissimo servo di Vostra Eccellenza e per innata sua somma cortesia munitionero del castello di Finale, l’espone, si come dal principio di giugno prossimo passato in qua è stato messo a rolo, e pagato con l’altri del presidio; laonde supplica inchinevolmente Vostra Eccellenza sia servita ordinar, che le sia dato quello, che di vecchio gli spetta, come nell’infrascritto computo appare; atteso, che maggior somma ne ha speso, e continovamente spende per il commun servitio, si di Sua Maestà, come di sua patria. Il che spera, come cosa giusta ottenere dall’innata, e somma liberalità di Vostra Eccellenza per la cui grandezza, e felicità priega continovamente Dio Nostro Signore. Il computo. Cominciò detto Sevizzano a servire li, 18 settembre, 1580 di dove sin al principio di giugno, 1582, che è stato messo a rolo, e pagato con l’altri, corrono venti mesi, e giorni tredeci, quali a ragione di scudi quindeci il mese, come Vostra Eccellenza gli ha assegnato per suo decreto de, 5, aprile1582 rilevano scudi trecento sei, e mezo, ne ha ricevuto in due fiate dugento, restano a scudi cento sei, et mezo. Il primo d’ottobre 1582. Il Magistrato Ordinario faccia pagamento”. 75

Per quanto riguarda gli altri figli di Lazzaro, possiamo citare Alessandro e Carl’Angelo, i quali divennero canonici della Chiesa di Santa Maria della Scala di Milano. Si ricorda che il canonicato fu riconosciuto ai due Sevizzano, quale ringraziamento per i servigi resi dalla famiglia alla Corona spagnola. Nella più volte citata istanza 18 settembre 1621 dei fratelli Burlo al Re di Spagna, si lamenta, infatti, che mentre Bernardo Burlo nulla aveva ricevuto in cambio dei suoi servigi, i Sevizzano, tra gli altri benefici, avevano appunto ricevuto il canonicato della Chiesa di Santa Maria della Scala di Milano per due di essi108. I tre fratelli Alessandro, Carl’Angelo e Gio Bernardo, con atto di fedecommesso, sottoscritto il 30 agosto 1616, avanti il Notaio Gio Batta Moia di Milano109, lasciarono tutti beni di famiglia in eredità al fratello Giulio Cesare, o meglio al primogenito di questi, Lazzaro, ed ai successivi e futuri primogeniti. Tale atto prevedeva, tuttavia, che nel caso Lazzaro non avesse avuto primogeniti, o che comunque la sua linea maschile si fosse interrotta, l’eredità Sevizzano sarebbe stata devoluta alla linea maschile del loro quarto fratello Cristoforo (che già allora aveva un figlio, di nome Marco). In attuazione di tale fedecommesso Carl’Angelo, con testamento 28 agosto 1629110, lasciò tutti i suoi beni a Lazzaro, figlio primogenito di suo fratello Giulio Cesare. Giulio Cesare, che proseguì la stirpe, nacque intorno al 1555. Ottenne dalla Spagna l’appalto della gabella del sale in Finalborgo nel 1590, unitamente a Giacomo Bonorino (Laguna Responsum pag. 88)111, e fu membro dell’Officina dell’Abbondanza nel 1612112, col compito di vigilare sull’approvvigionamento e la distribuzione dei viveri di prima necessità nel Marchesato, ed eventualmente di procurarne, in previsione di una possibile penuria, quantità sufficiente. Siamo a conoscenza di un figlio maschio, Lazzaro. Quest’ultimo nacque intorno al 1585. Potrebbe essere quel Lazzaro Sevizzano citato dal Silla113, guarito da una terribile malattia nel 1620 con un miracolo di San Lorenzo. Morì prima del 1649114. Ebbe quattro figli: Lazzaro, Carlo Cesare, Alessandro e Anna Camilla. Il primogenito, Lazzaro, ebbe un figlio, Angelo Maria, su cui nulla è stato reperito, se non che si sposò con una certa Marianna De Rivas; non se ne conoscono i figli. 108

Archivio di Stato di Milano, Militare Parte Antica, Personali Buoj-Bur, 234, istanza 18.9.1621: ….. le mercedi, e ricompense fatte con larga, e liberalissima mano dalla Maestà Sua per l’istessa causa al sudetto Capitano Sevizzano, il quale senza alcuna perdita, o diminutione delle sue facoltà ha havuto da Sua Maestà un trattenimento di quaranta scudi al mese per la persona sua, e per due suoi fratelli altri scudi trenta cinque, oltre due Cannonicati nella Chiesa di Santa Maria della Scala di questa Città dati a due altri suoi fratelli sacerdoti 109 Citato nel testo dell’atto, Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Pietro Battista Picco 26.11.1687 110 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Tomaso Agostino Sciora, 29.5.1716, 44 v. 111 N.C. Garoni, Codice della Liguria, Genova, 1870, pag. 88 112 G.A. Silla, Storia del Finale, II, Savona, 1965, pag. 84 113 G.A. Silla, Storia del Finale, II, Savona, 1965, pagg. 146 e 147 114 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Alessandro Accade 1649, 1375, 250 76

Alessandro, nato nel 1623 e morto nel 1690, fu canonico. Carlo Cesare nacque intorno al 1615 e morì prima del 1687; sposò Maria Caterina Cremata, fu Benedetto. Fu stanziere del Borgo115. Si ricorda che fra i compiti della stanzia v’era quello di regolare “il prezzo delle vettovaglie, che giornalmente vendonsi a minuto in questo Marchesato”. In epoca genovese, all’atto di entrare in carica, gli stanzieri giuravano (in presenza dei sindaci e capi della Magnifica Deputazione del Marchesato di Finale) “sopra il sacrosanto Vangelo nel Missale aperto di far il servizio di Dio della Serenissima Republica nostro Prencipe, che Iddio conservi, e di tutto il Marchesato in qualità di stanzieri di questo Borgo, e generali del Marchesato”. Ebbe sei figli: Carlo Angelo, Alessandro, Giulio Cesare, Gio Bernardo, Cristoforo e Antonia Caterina. Di cinque figli vi sono poche notizie, se non i seguenti cenni (con ogni probabilità, non essendo primogeniti, non lasciarono tracce di sé). Di Alessandro nulla si sa; Giulio Cesare fu Commissario e morì prima del 1616, ebbe un figlio, Lazzaro; Gio Bernardo fu capitano; Cristoforo ebbe un figlio, Marco; di Antonia Caterina sono stati reperiti atti che documentano una controversia, iniziata nel 1687 contro il fratello Carlo Angelo al fine di entrare in possesso della sua dote. Tale lite, che contrapponeva Carlo Angelo da una parte, sua sorella Antonia Caterina e la loro madre Maria Cattarina, figlia del fu Benedetto Cremata, dall’altra, terminò con una transazione il 2 settembre 1687, avanti il notaio Picco. In base a tale transazione Carl’Angelo cedeva alla madre ed alla sorella alcuni terreni in Calvisio e alla Marina, che Carl’Angelo aveva acquistato da certo Giovanni Battista Sasso116. 115

G.A. Silla, Storia del Finale, II, pag. 348; Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Marchesato 05.176 116 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Pietro Battista Picco, 2 settembre 1687: “Essendo vero, che sij nata altercatione, lite, e controversia tra li Signori Maria Cattarina figlia del fu Benedetto Cremata vidua lasciata dal fu Signor Carlo Cesare Sevizani insieme con la Signora Antonia Cattarina figlia del detto quondam Signor Carlo Cesare da una parte, et il Signor Carl’Angelo Sevizani loro respettivamente figlio, e fratello dall’altra; per occasione, et caosa delle rispettive doti, et come dalli atti di mezo, a quali &. Et desiderando detti Signori madre, e figlio de Sevizani levar di mezzo detta lite, altercatione, e differenza, evitar le spese, e seguendo il conseglio, e parere de boni, e comuni parenti, et amici, evvenire tra dilloro ad una amicabile transatione, e concordia. Indi segue, che personalmente constituiti detti Signori madre, e figli de Sevizani, alla presenza di me notaro e testimonij infrascritti, spontaneamente, et in ogni miglior modo per sé sé2, loro heredi, e soccessori. In prima per modo di transattione, e concordia detto Signor Carl’Angelo ha dato, ceduto, et assegnato, come dà, cede, et assegna alle dette Signore Maria Cattarina, et Antonia Cattarina madre, e sorella come sopra presenti, stipolanti, et accettanti per sé sé, loro heredi, e successori. In prima. Una pezza di terra posta nella villa di Calvisio, aggregata di vigna, olive, fichi, e seminativa, chiamata Borriolo, a confini del Signor Pietro Piedemonte per le doti di sua moglie3 da giù, la via publica da ponente, salvi altri, con casa dentro, attrassi, mobili, et ogni cosa che dentro detta casa se ritrova &. Item una terra olivata posta nelle fini della Marina, chiamata le Olive sotto Castelfranco, sotto confini della via publica da mare, li heredi del fu Signor Capitan Giovanni Battista Malvasia parimente da mare, et la strada, che va al castello di sopra, salvi &. [...]. Quali beni, detto Signor Carl’Angelo Sevizani ha acquistato dall’heredi del fu Signor Giovanni Battista Sasso, per caosa de quale nell’atti appare. [...]. In più hanno convenuto, e convengono per modo di transattione come sopra, e perché si pretende per parte delle 77

Non appare comunque, dai documenti, che Antonia Caterina, nonostante si fosse battuta strenuamente per la sua dote, si fosse sposata, ed anzi risulta che ella, unitamente alla madre, lasciò i suoi beni ad un prete Gallesio, perché provvedesse ad amministrare i beni e i censi di loro proprietà. Il primogenito Carlo Angelo nacque intorno al 1645 e morì tra il 1688 e il 1694. Sposò Maria Maddalena Sardi, figlia del Capitano Giovanni Vincenzo. Ebbe anch’egli, come il padre, sei figli: Carlo Alessandro, Giovanni Vincenzo, Anna Maria, Maria Rosa, Maria Vittoria Caterina e Maria Domenica. Carl’Angelo fece testamento il 26 novembre 1687 (che riportiamo interamente in nota)117, con il quale disponeva, innanzitutto, che il proprio corpo venisse sepolto nella Chiesa di Santa Cadette Signore madre, e figlia Sevizani che l’assegno come sopra fatto non sij uguagliante alle pretensioni delle dette Signore madre, e figlia Sevizani, perciò ad esclusione del detto Signor Carl’Angelo suoi heredi, e beni, hanno convenuto, e convengono, sijno salve le loro ragioni tali, quali li competono contro l’heredità, e beni del detto fu Signor Giovanni Battista Sasso, escluso li beni, che di già per parte di detto Signor Carl’Angelo a detti heredi Sassi esecutati, ma altresì contro l’heredità, e beni del quondam Signor Lazaro Sevizano quondam altro Signor Lazaro loro respettivamente zio, e cugnato, e qualunque terzo possessore de suoi beni, in ogni miglior modo &. [...] Item hanno convenuto, che delli detti beni come sopra assignati, la detta Signora Maria Cattarina non possa, né voglia di quelli disponere salvo che per la mettà, et l’altra mettà sempre resti a favore di detto Signor Carl’Angelo, suoi heredi, e beni, dopo la morte della detta Signora Maria Cattarina &. [...]. Facendo le premesse cose col conseglio, consenso, et autorità del Reverendissimo Signor Abbate Don Carlo de Torres del quondam Signor Dottor Don Giovanni, del Signor Capitan Giovanni Cremata quondam Benedetto, et del Signor Felice Cornelio quondam Cesare loro respettivamente fratello, patruo, cugino, cugnato4, e procuratore ivi presenti [...]”. 117 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Pietro Battista Picco, 26 novembre 1687: “Non essendo cosa più certa della morte, né meno più incerta dell’hora di quella, cossì disponendo il sacro testo. Et considerando le premesse cose il Signor Carl’Angelo Sevizzano figlio del quondam Signor Carlo Cesare del presente Borgo di Finale, sano per la grazia d’Iddio di mente, senso, loquella, et intelletto, et in sua bona, ferma, et perfetta memoria ritrovandosi, benché infermo di corpo, non volendo passar da questa all’altra vita senza prima far testamento, e disponere di sé, e cose sue (consuete?) parte d’ogni prudente. Perciò ha ordinato, e fatto il presente suo ultimo, et nuncupativo testamento, che si chiama senza scritti, benché in scritto appaia, et il quale ha ordinato, e fatto in tutto come segue. Primieramente perché l’anima è più degna del corpo, quella humile, e devotamente ha raccomandata, e raccomanda all’onnipotente Iddio suo creatore, alla Beatissima e sempre Vergine Maria Sua Madre, al core di tutti gl’Angioli Beati, et a tutti li Santi, e Sante del Paradiso triunfante. Il suo corpo fatto cadavere comanda, che sia sepellito nella chiesa di Santa Cattarina, e nel monimento de Sevizzano suoi antecessori accompagnato da quelli Molto Reverendi Sacerdoti, che meglio parerà alli infrascritti Signori tutrice, e fidecommissarij, lasciando al Reverendissimo Signor Preposto dell’Antichissima, e Colleggiata Insigne di San Biaggio soldi sette e mezzo per le sue trentene consuete e di costume &. Et ordina che per tre giorni successivi a quello della sua morte le siano fatte celebrare tre messe solenni del Santissimo Rosario, et al suo Santo altare glorificato in detta chiesa di Santa Cattarina, et indi altre messe ducento quanto più presto sia possibile pure del Santissimo Rosario, pagando a Reverendi celebranti la solita elemosina. A tutti li altari glorificati in detta Antichissima Colleggiata Insigne di San Biaggio, Oratorio de disciplinanti del presente Borgo del Finale, et a tutti li altari glorificati in detta chiesa di Santa Cattarina libre due per ogni Compagnia, da pagarsi seguita sua morte. Per raggione d’institutione, et in ogni miglior modo ha lasciato, e lascia alli Signori Carlo Alessandro Ludovico, e Giovanni Vincenzo suoi figli legitimi, e naturali scuti venti cinque per ogn’uno da libre quatro di Genua moneta corrente in Finale, quali saranno contenti, si per la loro legittima come per qualsiasi altra caosa, che possano havere, e pretendere nelli beni, et heredità di detto Signor testatore lor padre, atteso che hanno, et li spetta cioè al detto Signor Carlo Alessandro Ludovico li beni della primogenitura lasciata, e fatta dalli quondam Molto Reverendi Signori Canonici della Scala di Milano, e dal Signor Capitan Bernardo tutti tre fratelli de Sevizzano, come per instromento rogato al fu Notaro Giovanni Battista Moia di Milano l’anno 1616 li 30 agosto, et ad entrambi li beni del fideicommisso perpetuo fatto, e lasciato dal fu Molto ReverendoCarl’Angelo Sevizzano Canonico della Scala di Milano, come per instromento rogato al Notaro Gerolamo Vassallo di Milano l’anno 1629 li 18 agosto. Et quando non sijno contenti delli sodetti scuti 25 per ogn’uno per la caosa sodetta, comanda, che li sij dato il supplemento della loro legitima in ogni miglior 78

terina, dove trovavano, in effetti, sepoltura i membri delle maggiori e più importanti famiglie finalesi. In particolare i Sevizzano occupavano il sepolcro contraddistinto dal numero 27, nel noto disegno che rappresenta l’interno della Chiesa, con la distribuzione degli altari e, appunto, delle tombe118. A favore dei suoi eredi legittimi (maschi) dispose un lascito in denaro, oltre a quanto già previsto in base al fedecommesso, stabilito dai fratelli Sevizzano Giulio Cesare, Gio Bernardo, Alessandro, Carl’Angelo e Cristoforo, con atto 30 agosto 1616 del notaio Giovanni Battista Moia di Milano (già citato). Alle figlie Anna Maria, Maria Rosa, Maria Vittoria Caterina e Maria Domenica, lasciò tutti i beni mobili, immobili e diritti che non fossero già compresi nel sopraccitato fedecommesso: a ciascuna andava esattamente un quarto di detta eredità. Infine, non fidandosi evidentemente dell’amore che univa i propri figli, dispose che sul testamento e la sua esecuzione vigilasse un modo. Dichiara detto testatore haver riceputo le doti della Signora Maria Maddalena sua consorte, e figlia del fu Signor Capitan Giovanni Vincenzo Sardi nella forma, e modo, che consta da publici instromenti rogati dalli Notari Pietro Francesco Raimundo, et Giovanni Battista Biguo, a quali &. Che perciò sarà in arbitrio di detta Signora Maria Maddalena sua consorte levar dette doti dall’heredità di detto Signor testatore sempre, e quando li parerà, e piacerà, perché cossì &. In tutti l’altri suoi beni, mobili, immobili, raggioni, et attioni al detto Signor testatore spettanti, et pertinenti, et che in l’avvenire li possano spettare, e competere, sue heredi universali ha instituito, et di sua propria bocca ha nominate, e nomina le Signore Anna Maria, Maria Rosa, Vittoria Cattarina, et Maria Domenica sue figlie legitime, e naturali, ogn’una per la quarta parte &. Tutrice poi, e per tempo curatrice delli detti Signori Carlo Alessandro Ludovico, e Giovanni Vincenzo suoi figli maschi, et delle dette Signore Anna Maria, Maria Rosa, Vittoria Cattarina, et Maria Domenica sue figlie femine, tutti in pupillari età ha elletto, et nominato come elegge et nomina la detta Signora Maria Maddalena loro madre con ogni e più ampia authorità, e facoltà, e bailia che se li possa concedere per l’administrattione della tutela, e cura di detti suoi figli, et ogn’uno dilloro, in ogni miglior modo. E perché detto Signor testatore molto confida nella bontà, et integrità della detta Signora Maria Maddalena tutrice, e curatrice come sopra eletta, e deputata, perciò quella ha liberata, e libera d’ottenere la confirmattione giuditiale di detta tutela, e cura, di fare inventario, di dar sigortà, e di render conto dell’administrato, e di fare qualsivoglia sollennità legali. In modo che se fusse tenuta in qualche cosa, detto Signor testatore fa sigortà per lei in ogni ampla, e valida forma di raggione, et li lascia per raggione di legato, et in ogn’altro miglior modo, tutto quello, e quanto fusse tenuta, et obligata, in ordine all’amministrattione di detta tutela, e cura, et restitutione di reliquato. Proibendo espressamente alli detti suoi figli, e figlie, et ad ogn’uno di essi, et esse, a non dovere per qualsivoglia futuro tempo, né per qualsivoglia cosa, causa, et occasione tanto grande, quanto piccola inquietare, né molestare detta Signora Maria Maddalena loro madre tutrice, e curatrice sodetta, ma dovere in tutto, e per tutto esser zelanti, et ubbedienti alli suoi ordini, e comandi, perché cossì è la mente di detto Signor testatore. Et se in contrario facesse, o facessero il tale, o tali, che fossero in obbedienti, et in osservanti delli ordini, e comandi della detta Signora loro madre, hora per all’hora l’ha dichiarati, e dichiara privi dell’heredità, e beni di detto Signor testatore, de frutti, e comodo di quella, perché cossì &. Fidecommissario, et essequtore testamentario della presente sua ultima volontà, e testamento, ha eletto, e deputato, come elegge, et deputa il Molto Reverendo Signor Canonico Don Domenico Maria Sardi suo cugnato dandole, et conferendole ogni più opportuna, e maggiore authorità che si possa concedere de jure a simili essequtori testamentarij per fare essequire la presente sua ultima volontà, e testamento liberandolo, et assolvendolo da ogni, e qualsivoglia cosa, a che fusse obligato, come essequtore testamentario. Con dichiara, che se detto Molto Reverendo Signor Canonico Domenico Maria Sardi fideicommissario, et essequtore testamentario come sopra elletto non volesse, o non potesse essercire la carrica soletta, o in sua absenza, et in potenza, in tali casi, ha elletto, e deputato, come ellegge, e deputa il Signor Angelo Maria Sevizzano figlio del quondam Signor Lazzaro suo cugino, con la medema authorità, e facoltà, et liberatione come si è detto del detto Molto Reverendo Signor Canonico Domenico Maria Sardi, perché cossì &. Et questa ha detto esser, et voler che sij la sua ultima volontà, e testamento, quale vuole, et ordina che vaglia per raggione di testamento”. 118 AA.VV. La Chiesa e il Convento di Santa Caterina in Finalborgo, Sagep, Genova 1982, pag. 43, e G.A. Silla, Storia del Finale, II, Savona, 1965, pag. 35 79

suo fiduciario, Don Domenico Maria Sardi, suo cognato. E fece bene perché, come vedremo, sulla sua eredità sorsero litigi. L’esame della generazione dei figli di Carl’Angelo è importante, anche perché è l’ultima dei Sevizzano: nessun maschio continuò la stirpe e quindi la famiglia si estinse a metà del ‘700. Carlo Alessandro Ludovico, nato intorno al 1670, morì sicuramente giovane, perché già nel 1702 suo fratello Giovanni Vincenzo, di lui più giovane, dichiarava di rinunciare al diritto di primogenitura. Giovanni Vincenzo nacque intorno al 1677 e morì l’8.2.1755. Divenne Frate Domenicano, ed assunse il nome di Fra Antonio Maria Domenico. Fu Priore del Convento di S. Caterina. Divenuto frate, il 9 settembre 1702119 rinunciò ai diritti di primogenitura a favore delle quattro sorelle. Anna Maria nacque intorno al 1679, e morì nel 1750 Maria Rosa nacque intorno al 1681, e morì nel 1756 Maria Vittoria Caterina nacque intorno al 1683, sposò Andrea De Torres, il quale era rimasto vedovo di Francesca Giacinta Latraye, morta prima del 1743; non ebbe figli e morì nell’agosto 1753 Maria Domenica nacque intorno al 1685, e sposò il tenente colonnello Ruffini. I rapporti tra gli ultimi membri della famiglia Sevizzano non furono sicuramente “tranquilli”. Abbiamo già visto come Carl’Angelo Sevizzano avesse disposto che sulla sua eredità vigilasse il cognato Don Domenico Maria Sardi. Accadde che, allorquando Giovanni Vincenzo divenne frate, questi, con atto 9 settembre 1702 del notaio Giuseppe Maria Fasiani di Garresio, rinunciò, come già detto, al proprio diritto di primogenitura. Con il medesimo atto donò e lasciò in amministrazione tutti i propri beni allo zio Domenico Maria Sardi, disponendo che alla morte di questi, i beni fossero devoluti alle proprie sorelle Maria Domenica, Anna Maria, Maria Rosa e Maria Vittoria Caterina. Anche Giovanni Vincenzo, come il padre, temeva, evidentemente, che sorgessero problemi tra le sorelle in ordine alla divisione dell’eredità. Accadde, in sostanza, che le disposizioni contenute nel fedecommesso, stabilito dai fratelli Sevizzano del 1616 (che più sopra abbiamo visto), vennero violate, laddove si stabiliva che i beni avrebbero dovuto essere sempre devoluti al primogenito della linea maschile di Giulio Cesare Sevizzano. Con la rinuncia di Gio Vincenzo, e la donazione a Domenico Maria Sardi, e dopo di lui alle sorelle Sevizzano, veniva in sostanza interrotta la linea maschile. Ricordiamo che nel fedecommesso del 1616 si stabiliva che, in caso di interruzione della linea maschile, l’eredità avrebbe dovuto essere devoluta ai discendenti maschi di Cristoforo Sevizzano. 119

Notaio Giuseppe Maria Fasiani di Garresio, 9 settembre 1702 80

Sfortuna volle che il quarto fratello, Cristoforo, avesse una propria discendenza maschile: dopo Cristoforo nacque Marco, dopo di questi Cristoforo, che ebbe un figlio di nome Lazzaro, che infine generò Carlo Cristoforo. Carlo Cristoforo Sevizzano, giunto all’età adulta, impugnò l’atto di rinuncia di Gio Vincenzo a favore del Sardi e poi delle sorelle Sevizzano, rivendicando il diritto di primogenitura. La controversia fu composta con atto di transazione, sottoscritto avanti il notaio Tomaso Agostino Sciora il 29 maggio 1716. Si riporta in nota una libera trascrizione, essendo l’atto molto lungo e piuttosto “contorto”, con il fine di rendere leggibile sia l’atto che comprensibile la complessa vicenda120.

Purtroppo le controversie non terminarono qui. 120

Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Tomaso Agostino Sciora, atto 29 maggio 1716, n. 2409B, 44 v., Transazione: “Premesso che, con atto 30 agosto 1616 notaio Gio Batta Moia di Milano, Carl’Angelo, Alessandro e Gio Bernardo (i primi due canonici ed il terzo celibe, n.d.a.) hanno donato al proprio fratello Giulio Cesare, i loro beni immobili, disponendo che detti beni fossero devoluti al primogenito maschio di Giulio Cesare; in caso che il primogenito fosse femmina al secondogenito maschio, o al terzo e così via; in mancanza di eredi maschi del suddetto Giulio Cesare, i beni dovevano essere invece devoluti al primogenito Marco dell’ulteriore fratello Cristoforo, e quindi ai suoi discendenti maschi. - Premesso che Giulio Cesare ha avuto un figlio maschio di nome Lazzaro, il quale a sua volta ha avuto quattro figli, uno solo dei quali ha avuto figli, Carlo Cesare, il quale a sua volta ha avuto sei figli (due maschi e quattro femmine, di cui un maschio è morto giovane ed un altro si è fatto prete, n.d.a.). - Premesso ancora che, con atto 28 agosto 1629 del notaio Geronimo Vassallo di Milano, il Canonico Carl’Angelo Sevizzano ha fatto testamento, istituendo erede universale il figlio di Carlo Cesare, Lazzaro. - Premesso altresì che la linea discendente del suddetto Lazzaro, come notato sopra, porta ad un solo figlio maschio (Fra Antonio Maria Sevizzano Domenicano, al secolo Gio Vincenzo), che è prete, ed a quattro femmine (Anna Maria, Maria Rosa, Maria Vittoria Caterina e Maria Domenica). - Premesso, pertanto, che la linea discendente di sesso maschile del suddetto Giulio Cesare non è proseguita, mentre la linea mascolina di Cristoforo Sevizzano (prevista nel fedecommesso del 1616 come subentrante in caso che la linea di primogenitura di Giulio Cesare si fosse fermata) ha proseguito, prima con Marco, poi con Cristoforo, poi con Lazzaro, e poi ancora con Carlo Cristoforo Sevizzano. - Premesso ancora che Gio Vincenzo, ultimo discendente maschio di Giulio Cesare, e quindi destinatario dei lasciti dei fratelli Carl’Angelo, Alessandro e Gio Bernardo, con atto 9 settembre 1702 del notaio Giuseppe Maria Fasiani di Garresio, ha rinunciato ai propri beni, e conseguentemente ha donato gli stessi al reverendo Canonico Don Domenico Maria Sardi, suo zio (Domenico Maria Sardi è fratello di Maria Maddalena Sardi, madre di Gio Vincenzo, n.d.a.); - Premesso che, con il medesimo atto di rinuncia, e conseguente donazione, Gio Vincenzo ha disposto che, alla morte di Domenico Maria Sardi, i beni vadano devoluti alle proprie sorelle Anna Maria, Maria Rosa, Maria Vittoria Caterina e Maria Domenica; - Premesso, infine, che Carlo Cristoforo Sevizzano, ultimo discendente di Cristoforo, destinatario dell’eredità Sevizzano in mancanza di discendenza mascolina di Giulio Cesare, ha contestato al suddetto Domenico Maria Sardi il diritto di accettare la donazione, perché lesiva del suo legittimo diritto di ereditare; e pretende il riconoscimento quale unico erede di detti beni, o quanto meno della loro metà. Tutto ciò premesso, si è convenuto che 1) il reverendo Canonico Don Domenico Maria Sardi si obbliga a pagare a Carlo Cristoforo Sevizzano la somma di lire 5.000 in due rate semestrali, all’interesse del 3 per cento 2) Carlo Cristoforo Sevizzano dichiara di rinunciare ad ogni pretesa sui beni, oggetto della controversia. 3) Il suddetto, di conseguenza, dona in modo irrevocabile al Sardi tutti i beni che gli potrebbero derivare dalla successione Sevizzano. 4) La suddetta rinuncia, e conseguente donazione, deve intendersi estesa anche a tutti i discendenti di Carlo Cristoforo. 5) La suddetta rinuncia deve intendersi estesa anche nei confronti delle signore Maria Domenica, Anna Maria, Maria Rosa e Maria Vittoria Caterina, nipoti di Domenico Maria Sardi, ed eredi designate del medesimo, in base all’atto di rinuncia e conseguente donazione fatta con atto 9 settembre 1702 del notaio Giuseppe Maria Fasiani di Garresio. 6) Il sig. Carlo Cristoforo Sevizzano, infine, promette di non “dare molestia” alle sorelle Sevizzano per le somme che alle stesse sono pervenute dall’eredità del canonico Alessandro Sevizzano. 81

Nel 1719 sorse, infatti, una controversia tra Vittoria Sevizzano e Domenico Maria Sardi, in ordine alle richieste avanzate da Vittoria, la quale pretendeva la liquidazione della sua dote, nonché l’attribuzione della quarta parte dei beni devoluti dal fratello Gio Vincenzo (le altre tre parti erano di competenze delle sorelle). La causa pendeva avanti il Tribunale Ecclesiastico di Savona. La controversia rischiava di degenerare in una lite che coinvolgeva l’intero patrimonio Sevizzano, con evidenti danni per tutte le sorelle, sicché, “essendo persuasi da comuni amici a tranquillare sudette differenze per via amicabile”, le parti litiganti decisero di affidarsi ad un collegio arbitrale, cui diedero incarico di decidere con atto 1 febbraio 1720 del Notaio Sciora121.

Domenico Maria Sardi fece testamento il 4 aprile 1730122, con il quale disponeva che suo nipote frate Antonio Maria (al secolo Gio Vincenzo Sevizzano) dovesse decidere, in totale libertà, a chi dovessero essere devoluti i suoi beni dopo la sua morte. In ogni caso nominava usufruttuarie di detti beni, vita natural durante, le due nipoti Anna Maria e Maria Rosa, le quali erano rimaste nubili. Il Sardi non si dimenticò, nonostante i trascorsi giudiziari, anche di Maria Vittoria, moglie di Andrea De Torres, che non aveva avuto prole. Sottoponeva tuttavia il diritto a godere dell’usufrutto dei suoi beni alla condizione che “si ritirasse a convivere con le sud.e Sig. sue sorelle Anna Maria e Maria Rosa, con questo però che debba portar, e comunicar alle altre sorelle tutto ciò che gode presentemente, tanto di casa Sevizzani, quanto di casa Sardi”. Identica disposizione il Sardi diede per la quarta sorella, Maria Domenica, sposata con il Tenente Colonnello Ruffini. L’ascesa e la successiva decadenza dei Sevizzano terminarono nel 1756: Vittoria morì nell’agosto del 1753, Gio Vincenzo lasciò questa terra l’8 febbraio 1755 e Maria Rosa nel

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Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Tomaso Agostino Sciora, atto 1 febbraio 1720, n. 2411B, 123 v., Compromesso: “Constituiti per tanto alla presenza di me notaro hanno rinunciato alla sudetta lite pendente nel foro ecclesiastico di Savona, hanno compromesso e compromettono le sud. differenze alli M.ci Sig. Dr. Gio Bernardo Brichieri Columbi e Nicolò Agostino Raimondi et in caso di discordia da protestarsi da sud. M.ci Sig. Arbitri, debbasi consegnare tutte le scritture di dette differenze ad un Terzo da ellegersi acciò il medemo debba mandarle a Perito Legista Secretamente per averne il suo parere con patto e condizione però che tanti li detti M.ci Sig. Arbitri quanto il detto Terzo da ellegersi in caso come sopra debban giudicare de Jure tantum e nel procedere de Jure e de Facto rinunciando a qualunque citazione, etiamdio necessaria. Promettendo le dette Parti d’invicolabilmente osservare, quanto sarà come sopra dichiarato e di non riclamare, dir di nullità, ne men chiedere la riduzione ad arbitrum boni viri, rinunciando perciò al beneficio del Statuto de Sent. Arbitr. ad arbitr. bon. vir. reducend. certificat anzi sin d’ora approvano, omologano, e confermano, etiamdio in forza di transazione, qual tanto sarà come sopra dichiarato e lodato. E caso il pr.te Compromesso, non havesse il suo effetto fra il termine del p.te mese, prorogabile però da d.ti Sig. Arbitri solamente che le Parti restino nello Stato in cui si ritroveranno avanti, il p.te Compromesso in tutto con il medemo non fosse stato fatto. Dichiarandosi, che le sudette son tutte pretensioni, che ha per qualunque raggione e causa la sud. M. Sig. Maria Vittoria Caterina Sevizzani nipote con il M.e M.to R.do Sig. Can.Dn Domenico Maria Sardi avinculo a qualunque nome.” 122 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Tomaso Agostino Sciora, atto 4 aprile 1730, n. 2416B, 190 v., Testamento 82

1756. I Sevizzano si estinsero, e tutti i loro beni, per quanto già si è spiegato in altro capitolo, passarono alla famiglia Chiazzari. ***** I Sevizzano avevano, sicuramente, molte proprietà nel Finale. Fuori le mura del Borgo, come abbiamo già visto, possedevano i due edifici nel Piano del Ponte (una è la casa oggetto di questo studio, e l’altra, posta sul retro, era un antico forno). All’interno del Borgo abitavano il Palazzo che si trova nell’attuale Piazza del Tribunale, e che è delimitato dalle vie del Municipio (a levante; nel 1798 la via si chiamava “strada Ricci”) e del Reclusorio (a nord e a ponente; nel 1798 la via si chiamava “vicolo dei Padri Domenicani”). In realtà essi erano proprietari di una porzione di quel palazzo, e cioè di quella che si trova più a nord (nel catasto napoleonico contraddistinta dal numero 107).

fig. 28 – Fig. 15 Archivio di Stato di Torino, Il Borgo del Finale, Catasto napoleonico, 1813 - particolare

Nel Registro del Borgo del 1675123 risulta che questo palazzo era costituito da più unità, una delle quali era già allora della famiglia Arnaldi. Più in particolare si legge che Alessandro Arnaldi possedeva “due case una dove abita e l’altra acquistata dal Hospitale che è chiamata la Casa dei Burli. Conf. Il Palazzo del Rizzo da M (Palazzo Ricci da mare, nda), la strada da L (via del Municipio da levante, nda) e da P (via del Reclusorio da ponente, nda), il dottor Giuseppe Sardo da G (giovo, cioè nord, nda)”.

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Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Marchesato 05-83 (Note dei registri di Borgo 1675) 83

Risulta, pertanto, che nel 1675 la porzione a nord era di proprietà di Giuseppe Sardo. I Sardo, o Sardi, erano imparentati con i Sevizzano: la moglie di Carl’Angelo era Maria Maddalena Sardi, figlia del Capitano Giovanni Vincenzo, cugino di Giuseppe Sardo. Non sono stati trovati atti o documenti che dimostrino il passaggio dai Sardi ai Sevizzano, sta di fatto che le sorelle Anna Maria, Maria Rosa, Maria Vittoria Caterina e Maria Domenica Sevizzano, abitavano in quella casa, tanto che nel catasto del 1798 la porzione dell’edificio in esame era appunto detta “de’ Sevizzani”. Comunque un elemento importante lo si ricava dall’esame dell’Estimo della Repubblica Democratica Ligure del 1798, conservato presso l’Archivio Civico di Finale Ligure: il 16 maggio 1783 si annota che Francesco Chiazzari dichiara la proprietà di alcuni beni “portati in scarico del Capitan Giovanni Vincenzo Sardi” (cugino di Giuseppe Sardi). E’ del tutto evidente che i Chiazzari, attraverso l’intreccio creato con il matrimonio con una De Torres, erano riusciti ad acquisire i patrimoni dei Sevizzano, dei Sardi e dei De Torres, oltre che il proprio! Alla fine del ‘700 la casa di piazza del Tribunale, già passata nelle mani della famiglia Chiazzari, era decadente e di quasi nessun valore124. Successivamente l’intero edificio fu acquistato dagli Arnaldi. *****

De Torres

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Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Finalborgo, 1-50, Estimo della Repubblica Democratica Ligure 1798: “Il Cittadino Francesco Chiazzari denoncia ….. altra casa chiamata de Sevizzani, a confini da Ponente, e Giovo il vicolo de Padri Domenicani, da Levante la strada Ricci, da Mezzogiorno li Cittadini Arnaldi, composta di dieci siti in tutto rende detta casa al presente £ 34, che non bastano per la sua manutenzione si presenterà la perizia del necessario pronto ristoro ascendente a £ 3.500 onde si stima non farne caso”. 84

I De Torres non furono né proprietari né possessori della casa di via Fiume, ma si ritiene doveroso dare qualche cenno di questa famiglia, perché costituisce una sorta di “anello di congiunzione” tra i Sevizzano e i Chiazzari. Giunsero a Finale fin dall’inizio della dominazione spagnola, ai primi del ‘600. Il dott. Geronimo (in alcuni documenti chiamato Gerolamo125) De Torres, nato intorno al 1580, fu tesoriere del marchesato nel 1618126. Si sposò con Lavinia Ganduzzo, figlia di Andrea, ed ebbe quattro figli: Andrea, Gerolamo Maria, Anna Maria e Giovanni. Andrea fece testamento il 26.9.1692 a Milano, ed istituì un fedecommesso famigliare. Di tale testamento si è già parlato e si parlerà ancora in questo lavoro, perché di fondamentale importanza. E’ molto lungo, ed è una vera e propria miniera di informazioni sulla famiglia e su altri personaggi del tempo, e di Finale e di Milano, e pertanto lo si riporta integralmente in nota127. 125

Archivio di Stato di Milano, Notarile 34770, Not. Paolo Alessandro Vimercati, atto 26.09.1692, n. 167 G.A. Silla, Storia del Finale, vol. II, 177: “Raccomandiamo che il presente Ordine si spedisca per mezzo della Cancelleria segreta, si registri nei libri e dopo si eseguisca, del che con nostra lettera diamo avviso al detto governatore Don Pietro di Toledo, inviandogliene copia autentica, acciocché, per quanto a lui tocca, l'osservi, avendo già ordinato al Tesoriere Geronimo de Torres, che venga subito dal Finale per la consegna di tutte le ricossioni e dei conti del suo ufficio al Magistrato, che ce ne farà relazione”. Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Not. Maria Domenico Ungaro, 1937, Atto 29.12.1664: la nobile Signora Anna Maria figlia del fu Bernardo Arnaldi del luogo della Pietra e moglie in secondo luogo dell’Illustrissimo Signor Dottore Giovanni de Torres, Avvocato fiscale per Sua Maestà Cattolica nel Marchesato del Finale, costituisce suo procuratore Illustrissimo Dottore Giovanni Battista Polleri di Savona affinché la rappresenti in una causa pendente avanti il Serenissimo Senato di Genova contro Nicolò, fratelli ed i loro figli Basadonne della Pietra. 127 Archivio di Stato di Milano, Notarile 34770, Not. Paolo Alessandro Vimercati, atto 26.09.1692, n. 167: “Sapendo io Don Andrea de Torres figlio del fu Signor Dottor Gerolamo hora habitante in P.P.P.S.Stefano in brolio di fori essere infalibile che una volta bisogna morire, et che non se sa il giorno, né l’hora sij per seguire, per tanto desiderando io provedere alle mie cose, mentre sono sano, per la Dio gratia di mente, intelletto, e corpo a fine di non havere a considerare nel ponto della mia morte altro che d’ottenere da Iddio il perdono de miei peccati, e non segua tra li miei heredi, liti, o controversia ho deliberato di fare questo mio testamento, nuncupativo, quale voglio, che vaglia per raggione di testamento nuncupativo senza scritto, et quando per tal raggione non valesse, voglio che vaglia per raggione di codicillo, et quando per tal raggione non valesse voglio che vaglia per raggione di donatione, quale ho fatto, et faccio a gl’infrascritti miei legatari jet heredi a stipulatione di te Notaro infrascritto, et quando per tal raggione non valesse voglio che vaglia per raggione d’ogni buona, et ultima mia volontà, e dispositione, et in tutti quei migliori modi, e forma che si potrà di raggione. Dico per tanto, e protesto di non havere fatto altro testamento che io sappi, o mi ricordi e quando si trovasse per qualsivoglia tempo in avvennire, che io havessi fatto altro testamento, o qualsivoglia altra ultima volontà, quelli ho revocato, et revoco annullati, et annullo, perché voglio, che il presente sij derogatorio a tutti. Primieramente dunque come christiano ho racomandato, et racomando l’anima mia all’Onnipotente, e Misericordioso Iddio, et alla gloriosa sempre Vergine Maria, et a tutti li miei Santi Prottettori, e Corte Celestiale, quali humilmente prego ad impetrare da Dio il perdono de miei peccati, et a liberarmi nel ponto della mia morte dalle insinuationi diaboliche; Il corpo poi, come composto di terra, doppo fatto cadavere voglio si renda alla medema, et che sij sepolto nella Chiesa de Reverendi Padri Scalzi di Santa Teresa con l’assistenza, et accompagnamento de Religiosi, et altro, in tutto, e per tutto conforme disponerano gl’infrascritti miei esecutori testamentarij occorrendo che io mora in questa Città di Milano, e quando io morissi nel luogo del Finale, voglio sij sepolto nella Chiesa di Sant’Antonio di Padova de Reverendi Padri Riformati nella sepoltura di Casa, e per l’accompagnamento a dispositione come sopra. Dico di più di non havere presso di me cosa illecita, né robba d’altri, ma quando per qualsivoglia tempo in avvenire, si trovasse che io havessi qualche cosa, aggravo gl’infrascritti miei heredi a farne subito la restitutione senza liti, a chi sarà di raggione. Di più aggravo detti miei heredi, e substituti a fare celebrare subito seguita la mia morte, messe cinque cento nelle Chiese di questa Città, o del Finale, dove sarà sepolto il mio cadavere, e conforme disponeranno detti esecutori testamentarij. Item lascio che nel termine d’un mese doppo la mia morte, si paghino alli Signori Deputati del Venerando luogo della Madonna di Loretto per contro alla Chiesa di Santo Fedele di Milano lire due milla imperiali da distribuirsi a povere famiglie vergognose, conforme 126

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il stilo di detto luogo pio, o in altre cose in beneffitio de poveri conforme stimerano detti Signori Deputati. Item che sopravivendo a me il Padre Generale Don Gerolamo Maria Torres mio frattello, se gli diano ogni anno vita sua durante scuti trenta immediatamente subito doppo la mia morte, seguitando anticipatamente di anno in anno. Item sopravivendo a me come sopra la Madre Donna Anna Maria Torres mia sorella del Collegio Reale delle Vergini Spagnole di questa Città, parimente se gli pagarano ogni anno sua vita durante scuti dieci incominciando come sopra. Item lascio che detti miei heredi, un mese doppo la mia morte paghino per una volta tanto a Gottardo Citerico scuti cinquanta, et ciò per havermi sempre con molta attenzione, e finezza servito. Item aggravo detti miei heredi ad eseguire quanto si contiene in una scrittura, firmata da me testatore, che sarà presso ad uno de detti infrascritti esecutori. Dico di più che io per il spazio quasi di tre anni ho esercito il carico di tutore del fu Signor Conte Don Diego Paravicino in esecuzione del testamento fatto dal fu Signor Don Tomaso Parravicino suo zio, al quale &, benché con grave mio incomodo, et d’haverne reso legitimamente li conti, conforme il prescritto in detto testamento, approvati dal fu Signor Conte Presidente Bartolomeo Aresi et dal fu Signor Conte Mandelli, come da conti, et approvazione presso di me, onde non penso, che contro quelli si possa in alcun modo mover alcuna controversia né difficoltà. Et benché habbia fatto più, et più volte repplicatamente per mezzo di molte persone supplicare la Signora Marchesa Novati come sorella et herede del detto fu Signor Conte Paravicino perché si volesse compiacere per mia maggior giustificatione far riconoscere detti conti, come pure farmi il confesso d’alcuni mobili, de quali ancor appare che io ne sia debitore, ma in sostanza sono presso la detta Signora, tuttavia non ho mai potuto ottennere questa sodisfatione forse per le molte occupationi della medema Signora; Tuttavia io spero nella sua somma integrità, che non sarà mai per mover alcuna querimonia contro del mio maneggio, sapendo benissimo che il mio herede non è informato di cosa alcuna, et io informatissimo non son mai stato ricercato, come pure a riguardo delle finezze, et attenzione da me usate nel rendimento [...] de conti della Tesoreria generale esercita dal fu Signor Conte Don Francesco Parravicino padre della medema, tuttavia quando mai doppo la mia morte si movesse qualche instanza, dico che io già tengo tutte le mie liberazioni approvate come sopra, come pure dico, che li mobili, de quali appare, che io sin hora non habbia reso conto, sono presso la medema Signora Marchesa, né io mi riconosco in alcun enché minimo aggravio per detto maneggio, protestando d’haver eseguito tutto con la maggior finezza, et lealtà possibile, come haverei giustificato, se fossi stato interpellato vivente, come io tante volte ho ricercato. In tutti poi li altri miei beni, mobili, et immobili, ragioni crediti, che di presente ho, e nel tempo della mia morte haverò, e mi competirano, ho instituito, et instituisco, mio herede universale vita sua durante nell’usufrutto solamente della terza parte di tutta la mia heredità, mobili, et immobili, et ogni altro &, e dell’interesse che si ricaverà da miei danari, o de frutti della proprietà, che si comprerà con essi, nominandolo con la mia propria bocca, il Signor Abbate Don Carlo de Torres mio diletissimo nipote, figlio del fu Signor Dottore fiscale Don Gioanni altre volte mio frattello, quale habbia semplicemente a godere detta terza parte d’usufrutto sua vita natural durante come già ho detto. Herede poi mio universale, proprietario in tutti li miei beni, effetti, raggioni crediti attioni, mobili, ed immobili, e qualsivoglia altra raggione, che haverò, ed al tempo della mia morte lascierò, levata però la terza parte di detto usufrutto come sopra disposta a favore del detto Signor Abbate, ho instituito, et instituisco, nominandolo con la mia propria bocca il Signor Don Gioan’Andres de Torres mio pronipote, figlio del fu Signor Don Felice mio nipote, figlio parimente del fu Signor Dottore Don Gioanni mio frattello, al quale per rispetto a questa mia heredità deputo per tutore et amministratore il detto Signor Abbate suo zio, quale però libero da ogni scrupoloso rendimento de conti, con che però subito doppo mia morte il detto Signor Abbate faccia un diligente, et esatto inventario de tutta la mia heredità con l’approvatione del Reverendissimo Padre generale Torres, e delli infrascritti miei esecutori testamentarij. Doppo morte di detto don Gioan’Andres mio herede voglio che suceda con ordine di primogenitura il figlio maschio primogenito legitimo però, e di legitimo matrimonio, che detto Don Gioanni Andres lascierà, e così sucessivamente di grado in grado li primogeniti di qualsivoglia primogenito, e finita la linea de primogeniti, suceda la linea del secondo genito di detto mio herede, e così sucessivamente il primogenito della detta linea del secondo genito che sucederà, e così gradatamente li primogeniti di detta linea sino in infinito, e quella finita, con il medemo ordine suceda la linea del terzo, et quarto genito, e così sucessivamente sempre in infinito, servato l’ordine di primogenitura in tutte le linee, che sucederano, perché la mia precisa volontà, et intenzione si è che la mia heredità sempre in infinito, si conservi con l’ordine sopradetto di primogenitura nella descendenza legitima e naturale, e di legitimo matrimonio di detto Don Gioanni Andres mio nipote perché così &. Intendendomi però sempre, che tutte le persone di sopranominate debbano essere legitime, e di legittimo matrimonio nate procreate e non altrimenti &. E perché la presente mia primogenitura, sortisca pienamente il suo effetto, dico che la mia heredità consiste come dalla detta scrittura che si troverà presso di uno dell’infrascritti miei Signori esecutori testamentarij come sopra. Et in caso che detto Gioanni Andres mio pronipote herede come sopra, morisse senza descendenza mascolina, sustituisco in detta primogenitura il figlio maschio della prima figlia del detto mio pronipote, con che si chiami della famiglia Torres, et li descendenti suoi maschi legitimi, e di legitimo matrimonio procreati sin in infinito come sopra servato l’ordine primogeniale, et estinguendosi la linea del detto primo figlio della detta prima figlia di detto mio pronipote, suceda il figlio primo della seconda figlia e così sucessivamente in infinito come sopra, e mancando la linea tanto masculina, quanto feminina del detto mio pronipote sustituisco in detta mia primogenitura uno delli figli maschi della Signora Donna Francisca Torres Ze86

nona mia nipote maritata nel Signor Dottore Gioanni Domenico Zenone da nominarsi però dalla detta Signora Donna Francisca de Torres, et ciò atteso che di presente la Donna Signora Maria de Torres parimente mia nipote non ha alcun figlio del Signor Capitano Pernigotto suo marito, et quando ne havesse, debba quello sucedere doppo però et non altrimenti l’estintione della linea masculina primogeniale di quel figlio che sarà stato nominato dalla sudetta Signora Donna Francisca, con che s’habbia da nominare della famiglia Torres come sopra, et li suoi descendenti maschi sin in infinito come sopra, et come sopra servato sempre l’ordine di primogenitura perché così &. Voglio però, et espressamente mando, che quando nell’heredità del fu Signor Dottore Don Gioanni mio frattello non si ritrovasse sufficientemente per dotare Lavinia et Benedetta Rosa figlie lasciate dal fu Signor Dottor Felice suo figlio, et mio nipote doppo din sé, in tal caso concedo facoltà al detto mio herede, et substituiti di poter pigliare di detta mia heredità per condecentemente dotarle, et collocarle conforme farà il bisogno, et ciò in caso che io mancassi prima che fossero collocate, et tal cognitione di che possino essere condecentemente dotate lascio la facoltà alli infrascritti miei esecutori testamentarij, con che possino essi concedere tal licenza d’alienare per detta causa, non ostante la sudetta mia dispositione, et primogenitura come sopra da me fatta, a quali pure concedo libera facoltà che quando conoscessero che l’heredità di detto mio frattello fosse così tenue, che non bastasse per suo legitimo sostenimento del sudetto mio herede, possino detti miei esecutori infringere del tutto la sudetta mia dispositione primogeniale, quando non resti da me provisto prima della mia morte in maniera tale possi detto mio herede, valersi della detta mia heredità senza il consenso o licenza delli sudetti substituiti, et chiamati nella sudetta primogenitura da me ordinata come sopra, confidando pienamente nella loro amorevolezza, et attentione, voglio però, che li sudetti substituiti, et chiamati da me come sopra possino sucedere, anzi debbano sucedere alla sudetta mia dispositione quando il sudetto mio herede mancasse senza descendenza, et che non facesse testamento in caso fosse annullata la mia sudetta dispositione primogeniale come sopra dalli sudetti miei esecutori. Voglio di più che quando sortisca il suo effetto la sudetta mia primogenitura, et che non restasse annullata come sopra, in caso poi si estinguessero le descendenze de sudetti miei instituiti, substituiti, et chiamati come sopra dico voglio suceda il Venerando loco pio della Beata Vergine di Loretto per contro Santo Fedele et per esso li suoi Signori Prefetto, Consigliere, et Deputati, che per tempo sarano nella sudetta mia heredità, con che però detti Signori Deputati sijno tenuti a far celebrare una messa quotidiana nella Chiesa de Reverendi Padri dell’Ordine (Eremitano?) di Santo Gerolamo Et nel luoco della Marina del Finale con una [...] per memoria di tal celebrazione et che in ciascun anno nel giorno della mia morte si canti una messa con il [...] et ciò in sufraggio dell’anima mia et miei [...] perché così &. Et aggravo li miei heredi ad impiegar subito li danari, e mobili, che lascierò, in proprietà idonee ad arbitrio, et ellettione degl’infrascritti miei esecutori testamentarij, quale habbia per sempre ad essere sottoposta alla sudetta mia primogenitura come sopra ordinata con le condittioni come sopra. A quali tutti miei heredi, et substituiti sin in perpetuo, e come sopra prohibisco il fare qualsivoglia contratto, o distratto della sudetta mia heredità, tanto in vita, quanto in ultima volontà, o in tutto, o in parte, sotto pena di nullità, et d’essere applicata all’altro, che non contravenirà a questa mia dispositione, secondo l’ordine della primogenitura come sopra, perché voglio che detta mia heredità, intieramente, né senza alcuna diminuzione, e né anche per raggione di trebellianica, o falcidia, la quale espressamente prohibisco sin in infinito, si conservi, e resti nelli miei heredi, et substituiti come sopra, quandoe però sortischi detta primogenitura atteso il da me disposto come sopra perché così &. Di più se occoresse che li sudetti miei heredi o alcuno di loro, o de detti substituiti o chiamati come sopra respettivamente commettesse, o tentasse di commettere alcun delitto per il quale detta mia heredità, o parte di quella, potesse meritare alcuna confiscazione, o condanna, o multa del Prencipe ecclesiastico, o secolare, tal delinquente adesso per allora, et anche per un hora avanti di tal pensato, o commesso delitto ho privato, e privo della detta mia heredità e miei beni, ma quella, o quelli voglio che subito pervenghi nell’altro mio herede, o chiamato come sopra che non haverà pensato né commesso alcun delitto, et ancora per rispetto dell’usufrutto, e comodità de frutti, durando la vita naturale di tale delinquente, al quale però voglio che gli sijno restituiti li beni, et detta mia heredità, in caso, che ritornasse in gratia del Prencipe, eccettuati li frutti, che durante l’indignatione del Prencipe si sarano ricavati, la qual prohibitione ho fatto, e faccio, non in frode del Fisco ma anzi in odio del delitto, e così in favore delli substituiti et chiamati come sopra, e parimente prohibisco, e voglio, che né anche per contratto di obbligationi civili, o sij condanna pecuniaria, li detti miei beni, o loro frutti per alcuna minima parte possano obbligarsi, né passare in alcun Fisco.Et occorendo per havere qualche ufficio, o posto per detto Don Gioanni Andres mio pronipote, et Herede come sopra, per conseguire il quale, gli bisognasse valersi per le spese necessarie delli danari della detta mia heredità, che lascierò al tempo della mia morte, in tal caso (con il consenso, et approvazione del Reverendissimo Padre Generale mio frattello, e delli infrascritti miei esecutori testamentarij), gli concedo ampla facoltà di potersene valere, non ostante il da me come sopra disposto perché così &. In esecutori poi di questa mia disposizione ho constituito, et deputato, come constituisco, et deputo il detto Reverendissimo Padre generale Fra Gerolamo Maria de Torres, Monsignor Abbate Don Michele Pegna, Canonico ordinario della Metropolitana di Milano, et il Signor Gioanni Granchi (Regio?) Cancelliere dell’Illustrissimo Magistrato Straordinario di Milano, e per l’interessi situati nel Marchesato del Finale il Signor Capitano Gioanni Agostino Aicardi insieme col detto Reverendissimo Padre generale Torres, nell’integrità, e carità di tutti quali confido pienamente, a quali et ciascuno di loro concedo ampla facoltà di nominare et substituire altro esecu87

Andrea De Torres nominò erede universale Giovanni Andrea, suo nipote (si veda più avanti). Ma il testamento è interessante anche perché stabilisce il diritto successorio in base al principio della primogenitura: “Doppo morte di detto don Gioan’Andres mio herede voglio che suceda con ordine di primogenitura il figlio maschio primogenito legitimo però, e di legitimo matrimonio, che detto Don Gioanni Andres lascierà, e così sucessivamente di grado in grado li primogeniti di qualsivoglia primogenito, e finita la linea de primogeniti, suceda la linea del secondo genito di detto mio herede, e così sucessivamente il primogenito della detta linea del secondo genito che sucederà, e così gradatamente li primogeniti di detta linea sino in infinito, e quella finita, con il medemo ordine suceda la linea del terzo, et quarto genito, e così sucessivamente sempre in infinito, servato l’ordine di primogenitura in tutte le linee, che sucederano, perché la mia precisa volontà, et intenzione si è che la mia heredità sempre in infinito, si conservi con l’ordine sopradetto di primogenitura nella descendenza legitima e naturale, e di legitimo matrimonio di detto Don Gioanni Andres mio nipote perché così &.”. Il fratello di Andrea, Gerolamo Maria, fu Padre Generale dei Gerolimini128. Anna Maria divenne religiosa, appartenendo al Collegio Reale delle Vergini Spagnole di Milano. Il quarto fratello, Giovanni, fu dottore fiscale, nacque intorno al 1615. Sposò in prime nozze Benedetta Sevizzano, in tal modo costituendo l’anello di congiunzione con la famiglia Sevizzano. Da Benedetta ebbe tre figli: Carlo, Francesca e Maria. Sposò in seconde nozze, prima del 1664129, Anna Maria Arnaldi figlia di Bernardo Arnaldi di Pietra Ligure (già vedova del medico Gio Bernardo Basadonne, da cui ebbe tre figli: Maria Lichinetta Basadonne, moglie di Gio Tommaso Carenzi e madre di Maria Anna Carenzi, Capitano Nicolò Basadonne, Capitano Gio Andrea Basadonne). Dalla Arnaldi ebbe un figlio: Felice. Morì prima del 1692 e fu

tore in caso d’ultima volontà, conforme meglio gli parerà et stimerano perché così &. Raccomando con tutto lo spirito il detto mio pronipote alla superiore protetione dell’Illustrissimo Signor Marchese Senatore Don Cesare Basano5, [...] del Serenissimo Prencipe di Neuburgo, quale humilmente prego ad haverne quall’amparo, che può contribuire la sua begninittà et munificenza, con la quale mi ha sempre (gradito) con tutta la mia Casa”. 128 G.A. Silla, Storia del Finale, vol. II, 141: “1661 — 21 ottobre. Ad istanza di Padre Gerolamo Maria de Torres dell'Ordine dei Gerolimini della Congregazione del Beato Pietro da Pisa, Priore del convento di S. Carlo (21), in seguito a preci del popolo Marinese e di Don Agostino Sanudo Governatore del marchesato di Finale per S. M. Cattolica, il Priore generale dell'Ordine Eremitano di S. Agostino, Fra Pietro Lanfranconio Anconitano, dà facoltà al visto Padre de Torres di istituire nella Cappella dei Santi Agostino e Monica, la terza a sinistra, nella chiesa dell'or detto Convento, la Confraternita della Cintura (aggregandola contemporaneamente all'Arciconfraternita di S. Giacomo in Bologna, con tutti i privilegi propri dell'Arciconfratemita stessa, allo scopo di zelare vieppiù la divozione verso la Vergine SS” 129 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Not. Maria Domenico Ungaro, 1937, Atto 29.12.1664: la nobile Signora Anna Maria figlia del fu Bernardo Arnaldi del luogo della Pietra (=Pietra Ligure) e moglie in secondo luogo dell’Illustrissimo Signor Dottore (in diritto civile) Giovanni de Torres, Avvocato fiscale per Sua Maestà Cattolica nel Marchesato del Finale, costituisce suo procuratore Illustrissimo Dottore (in diritto civile) Giovanni Battista Polleri di Savona affinché la rappresenti in una causa pendente avanti il Serenissimo Senato di Genova contro Nicolò, fratelli ed i loro figli Basadonne della Pietra. 88

sepolto in Sant’Antonio da Padova “nella sepoltura da lui fatta construere” nella Cappella di S. Nicola di Bari130, dove venne peraltro sepolta anche la moglie Anna Maria Arnaldi131. Carlo, figlio di Giovanni e di Benedetta Sevizzano, fu abate di Santa Maria di Fornelli132. Francesca sposò il dott. Giovanni Domenico Zenone. Maria sposò il Cap. Giovanni Pernigotto133. Il Dott. Felice fu podestà di Alessandria, e si sposò nell’ottobre del 1674 con Maria Ginetta Cascicci134, ed ebbe tre figli: Giovanni Andrea, Lavinia e Benedetta Rosa. Giovanni Andrea nacque intorno al 1675. Si sposò con Francesca Giacinta Latraye (nativa della Lorena), la quale morì prima del 1743. Dopo la morte della moglie, Giovanni Andrea si sposò con Maria Vittoria Sevizzano. E qui troviamo il secondo anello di congiunzione tra i De Torres e i Sevizzano. Gian Andrea ebbe due figli con Francesca Giacinta Latraye: Maria Antonia Caterina e Maria Maddalena. Maria Antonia Caterina si sposò con il dott. Pio Benedetto Aicardi. Maria Maddalena sposò invece Gian Francesco Chiazzari. Ecco dunque l’anello di congiunzione tra i De Torres ed i Chiazzari. Tra Maria Antonia Caterina e Gian Francesco Chiazzari sorsero non pochi problemi, ma ne parleremo nella scheda relativa ai Chiazzari. La famiglia si estinse con la morte di Gian Andrea De Torres, avvenuta intorno al 1750.

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Chiazzari

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Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Not. Maria Domenico Ungaro, 1938, Atto 18.10.1683: testamento del Signor Dottore Don Giovanni de Torres del quondam Signor Don Geronimo “nato nel presente Borgo di Finale, se bene di natione spagnola". Sepoltura in Sant’Antonio da Padova, “nella sepoltura da lui fatta construere” nella Cappella di San Nicola di Bari. 131 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Not. Maria Domenico Ungaro, 1938, atto 14.8.1682. 132 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Not. Maria Domenico Ungaro, 1938, atto 1673 133 Questi due matrimoni sono stati rilevati nel testamento di Andrea De Torres: Archivio di Stato di Milano, Notarile 34770, Not. Paolo Alessandro Vimercati, atto 26.09.1692, n. 167 134 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Not. Maria Domenico Ungaro, 1938, Atto 15.10.1674: dote della Signora Maria Ginetta Casicci del Dr. Pompeo, sposa del Dr. Felice de Torres 89

Anche la famiglia Chiazzari fu di notevole rilevanza per il Borgo, anche se non originaria dello stesso, proveniendo probabilmente da Calice, dove, ancora oggi, esiste una località detta appunto dei Chiazzari. Nella Chiesa di Santa Caterina non risulta esservi stata una tomba di loro proprietà. Il Garoni ci dice della famiglia Chiazzari o Chiassari che “Rolandus Platealis q.m Thome, fu syndicus campagne Calicis nell’anno 1383 (Liber Iurium, vol. II, col. 1002). Si è già osservato che ciascuna casa di campagna de' signori finaresi aveva il suo platealis, o piazzale, volgarmente ciassàa. Quindi la nobile famiglia borghese, anticamente detta Platealis, volgarmente Ciassàa”135. Il primo Chiazzari di cui si è trovata notizia certa è Giovanni Battista, che morì prima del 23 settembre 1679. Ebbe tre figli: Pietro Francesco, Giovanni Battista e Maria Antonia. Il primo, Pietro Francesco, nacque intorno al 1645. Fu candidato, ma non eletto, a sindaco del Borgo nel 1685, mentre l’anno successivo si ricandidò e riuscì a farsi eleggere. Pose la sua candidatura anche a stanziere del Borgo nel 1689136, ma non fu eletto. Fece parte del Consiglio dei Dieci nel 1685, di cui era sindaco Giuseppe Sardi. Sposò Maria Maddalena, figlia di Gio Domenico Pelleri, ed ebbe almeno due figli maschi, Gian Andrea Domenico e Gian Vincenzo, e quattro figlie: Maria Maddalena, Paola, Rosa e Maria Antonia. Degli altri figli, Giovanni Battista divenne sacerdote, mentre Maria Antonia sposò il dr. Erasmo Cavasola, fu Giovanni Battista. Come detto i figli di Pietro Francesco furono sei. L’avv. Gian (o Gio) Andrea Domenico, figlio primogenito, nacque intorno al 1675, sposò Paola Maria, figlia di Francesco Maria Giancardi e fu sindaco del Borgo nel 1704; ebbe al-

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Garoni, Codice della Liguria, 164 Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Marchesato 05.176 90

meno due figli maschi Gian Francesco e Pietro, e una figlia, Maria Maddalena Agnese. Fece testamento il 23 febbraio 1729137. Il Cap. Gian Vincenzo, risulta essere stato proprietario della “Villa dei Chiazzari” posta in Calice, che affittò dal 1734 a tal Sebastiano Fassone di Calice138. Delle sorelle Maria Maddalena, Paola, Rosa e Maria Antonia nulla si sa. L’avv. Gio Domenico Chiazzari ebbe, come detto sopra, due figli maschi: Gian Francesco e Pietro. Pietro fu notaio, e rogava nel 1756. L’avv. Gian Francesco, primogenito, nacque intorno al 1705 e morì dopo il 1783, sposò Maria Maddalena, figlia di Andrea De Torres, fu Don Felice, e di Francesca Giacinta Latraye. La moglie Maria Maddalena morì prima del 1748. Fu priore della V. Compagnia del S.S. Sacramento, eretta nell’insigne ed antichissima Collegiata parrocchiale di S. Biagio139. Gli competeva lo jus nominandi del Cappellano della Cappellania di N.S. del Carmine. In un documento del 23 dicembre 1734 o 1735, conservato presso l’Archivio di Stato di Genova, a proposito delle candidature a sindaco del Borgo, un anonimo, nell’indicare le “coppie” di candidati, forniva le proprie preferenze. In tale documento si cita, tra i candidati, un “Dottor Chiasari il giovane”: in quegli anni non poteva trattarsi che di Gian Francesco. Il documento140 è sicuramente interessante perché ci racconta che Gian Francesco Chiazzari, poco tempo prima, si era portato in Calizzano per convincere quelle popolazioni a prendere le armi e a sollevarsi contro Genova. Si scopre, quindi, anche il lato “politico” del Chiazzari, oltre a quello “affaristico”, sicuramente più noto. Si ricorda che proprio nel 1734 il Finale si sollevò contro Genova a causa dell’imposizione di nuove gabelle, non previste nel trattato stipulato avanti l’Imperatore in occasione dell’acquisto da parte di Genova del Finale nel 1713. Gian Francesco dovette affrontare due lunghe, e sicuramente “antipatiche”, controversie con sua cognata Maria Antonia Caterina De Torres, sorella della propria moglie Maria Maddale137

Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Tomaso Agostino Sciora, atto 23 febbraio 1729 2419B, 87 v. 138 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Gio Paolo Sciora, atto 21.2.1747, 3331, 180 v. 139 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Gio Paolo Sciora, atto 4.12.1749, 3332, 172 v. 140 Archivio di Stato di Genova, Marchesato del Finale, 22. Si tratta di un documento anonimo, datato 23 dicembre, senza indicazione di anno, ma verosimilmente da far risalire al 1734 o 1735: “Hoggi pure mi è riuscito sapere le nuove liste delli sindici per l’anno prossimo quanto sij al Borgo e sono li seguenti: - Prima lista il Signor Dottor Don Carlo Bornengo Cap.°, e 2.do il Signor Dottor Chiasari il giovane, et è lo stesso che nelli passati remori si portò in Calisano per disponere quelli popoli a concorrere con le armi. - Seconda lista il Signor Dottor Giovanni Francesco Burli, et il 2.do il Signor Nicolò Sardi frattello del Padre Sardi Olivetano. Secondo il mio parere la seconda lista sarebbe la migliore, mentre il Signor Dottor Burlo pare che inclini all’agiusto con la Republica Serenissima, e maggiormente il 2.do per essere giovane assai docile, e che ha qualche interesse di premura ne tribunali, e se il detto Dottor Burlinon vuole mancare a se stesso, et al buon nome che vanta avere con la Serenissima è in dubbio di far continuare costì il trattato, e se a ciò mancasse tutta la colpa sarebbe sua, mentre ha un secondo da guidare a suo talento […].” 91

na. Di queste due controversie, la prima aveva ad oggetto la interpretazione del fedecommesso di Andrea De Torres, e di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente, composta con la transazione del 5 ottobre 1743141, dalla quale si può dire che derivano le “fortune” economiche di Vincenzo, primogenito di Gian Francesco. La seconda fu ancor più antipatica…. Ricordiamo quanto abbiamo già scritto nel capitolo relativo alle successioni delle proprietà della casa: il 28 novembre 1743, avanti il notaio Ludovico Brivio, Maria Antonia Caterina, non avendo mai dato alla luce alcun figlio, e volendo “per scarico della propria coscienza prediligere i figli di sua sorella Maria Maddalena, moglie del M.co Sig. Avv. Gian Francesco Chiazzari”, donò“una terra ossia piano vineato e seminativo con casa chiamato Il Piano delle due acque” ai nipoti Gio Andrea, Pasquale e Vincenzo. Due anni dopo, con atto del 16 novembre 1745, sottoscritto avanti il notaio Tomaso Agostino Sciora, Maria Antonia Caterina, in riferimento al citato atto di donazione, accusava Gian Francesco Chiazzari di averla indotta a donare quella terra ai propri figli, a mezzo di raggiri. Le accuse erano molto gravi e pesantissime. Lamentava infatti che Gian Francesco, con la complicità di Fra Antonio Maria Sevizzano (al Secolo Gio Vincenzo) e del notaio Ludovico Brivio, approfittando dell’assenza del marito di Maria Antonia Caterina, il sig. Pio Benedetto Aicardi, assente dal Finale per affari a Milano, il 28 settembre 1743 l’avevano invitata in casa Sevizzano. Maria Antonia Caterina De Torres aveva appena perduto il proprio figlio (si ricorderà che il 6 settembre 1742 aveva fatto testamento lasciando erede universale “il di lei ventre pregnante”), e il Chiazzari l’aveva convinta a donare i propri beni, ed in particolare il “Piano delle due Acque”, ai figli della sorella Maria Maddalena (moglie del Chiazzari), essendo evidente che non avrebbe potuto avere una propria discendenza. Questa “azione” era stata senza dubbio premeditata, perché il notaio Brivio, contrariamente alla consuetudine, si era presentato in casa Sevizzano con l’atto di donazione già belle pronto. Nella denuncia Maria Antonia Caterina lamentava, altresì, di aver dovuto sottoscrivere clausole che al momento non aveva letto, e soprattutto non aveva capito, con grave suo danno, e con “deteriorazione della sua dote”, consistente nella proprietà di detto Piano delle due Acque, che era stato dato da suo padre in dote al marito Arnaldi, il quale aveva anche dovuto, “con lo sborso di somma rilevante”, liberarlo dall’usufrutto a suo tempo costituito in favore di Maria Teresa Chiaporella. Al termine del documento, si dà atto che Maria Antonia Caterina De Torres Aicardi aveva ottenuto dal Vescovo di Savona “l’assoluzione dal giuramento”, con il che ella revocò ed an-

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Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Tomaso Agostino Sciora, atto 5.10.1743, 2423B, 180 v. Transazione 92

nullò formalmente la donazione al Chiazzari, dichiarando nel contempo di considerarsi “assoluta e dispotica Padrona della proprietà di esso” 142. Non si conoscono, in realtà, i motivi di tale “ripensamento”, peraltro concretizzatosi ben due anni dopo la donazione. Con ogni probabilità i rapporti tra i due cognati non furono mai buo142

Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Tomaso Agostino Sciora, atto 16.11.1745, 2424B, 126 v. “Ricordevole la M.ca Sig. Maria Antonia Catterina figlia del q.M.co Sig.Don Andrea De Torres e moglie del M.co Sig.Pio Benedetto Aicardi q.Giovanni Finarese, d’essere stata molto tempo importunata e poi con promesse e persuasive, e con erroneo supposto di scarrico di sua coscienza, sedotta, per non dire coartata, dal M.co Dr Sig. Gio Francesco Chiazzari ad accordargli, quando suo marito sarà assente, e partito per Milano di donare il Piano con casa e Piaggia situato nelle fini di questo Borgo Finale, chiamato Il Piano delle due acque, a pro e a favore de Sig.figli minori del d.o Chiazzari e della q.Maria Maddalena De Torres com’in fatti dopo d’alcuni giorni che si partì, sud.to Chiazzari ritrovandosi accidentalmente in casa della M.ca Sig.Vittoria Sevizzani, ved. De Torres, sua matrigna, e suocera del pred.o Sig.Dr.Chiazzari, ivi il M.to Rev.Padre Maestro Sevizzani, con insinuazioni e persuasive gli disse, se voleva passare all’effetto di tal’atto, che però, per liberarsi da maggiori stimoli, essendo in cotal tempo assente dal presente Marchesato il detto Sig.Pio Aicardi, suo marito, contro sua volontà e somma renitenza, passò a simil atto di donazione a favore dei sud. Figli minori ricevuto per il not.Ludovico Brivio li 28 novembre 1743, da me infr.to notaro letto da verbo ad verbum alla sud.a Maria Antonia Catterina, copia del quale viene annessa al presente, per verità dice, afferma, e protesta tutto quanto sopra, tanto più, che il sopracennato atto di donazione non fu dal predetto sig.not.Brivio da lui ivi esteso, ne scritto in presenza ne d’ordine et consenso d’essa Sig.ra, ma lo portò seco di già scritto e solamente l’ebbe a leggere, o sia publicare, con puramente … i consensi, ed i testimoni, conformi il medesimo sig.not.Brivio, se sarà astretto al giuramento, non potrà per verità negare. Che però per la causa sudetta, e per aver sentito leggere il detto Instr.o molte cose da essa non volute, fra quali molti gravami, e sostituzioni fatte a suoi propri figli a rinuncia da essa all’ora non capite, ne inteso fare, et molto più, per esser stata sorpresa, il tutto senza consenso di esso suo marito, avendo voluto aspettare ch’egli fosse assente, in pregiudizio d’ogni quiete, et convenienza di essa Sig.ra per liti, che recarebbe a suo marito, e in gravissimo danno, e deteriorazione della sua dote, consistente nella proprietà di detto Piano, assignato, com’essa intende, in d.ta causa di dote a suo marito, ed in gravame pregiudicio di esso, che lo recuperò, e riacquistò dalla Sig.ra Maria Teresa Chiaporella con lo sborso di somma rillevante e con l’acquistare tutte le ragioni dell’intiero usufrutto, che competeva a detta Sig.ra Chiaporella, com’essa Sig.ra solamente doppo d.a donazione, ha avertito, conforme l’istessa asserisce; qual usufrutto ella di quel tempo intese, come è sovvenuto, ed ora ancor intende, che sia stato, e debba sempre essere interamente totalmente, ed in tutte le sue parti di detto suo marito, per vita naturale durante, dichiarando a caotela, non aver a tutto ciò mai inteso di derogare, essendogli stato supposto, ch’ella fosse libera, ed assoluta padrona del medesimo Piano, come si comprende dall’accennata donazione, il che poscia ha conosciuto ciò esser un erroneo supposto da essa fatto, per non aver avertito, ne avuto presente quanto di sopra ha dichiarato per pura verità e volendo per quiete del suo animo, per riparo de sudetti gravissimi danni e pregiudizi, e per altre giuste cause e raggioni revocare detta donazione. Quind’è che personalmente constituita la prefata M.ca Maria Antonia Caterina Torres Aicardi nanti me Notaro, e Testimoni infrascritti avendo primieramente, e maggior caotela ottenuto dal R.mo Vic.o Generale di Mons.Vescovo di Savona l’assoluzione del giuramento e giuramenti prestati nell’atto predetto di donazione nella forma e maniera com’appare dall’autentica copia dell’atto di assoluzione, quel resta annesso al presente Instr.o non per forza, timor, o inganno ma di sua libera e spontanea volontà e certa scienza, ed in ogni altro miglio modo, via, e forma in virtù del presente pubblico atto, revoca ed annulla l’atto sudetto di donazione con tutto quello e quanto nel medemo si contiene, volendo che s’abbi per non fatto, per tutte le sudette caose e circostanze et intende la med.a Sig.a che detto atto per futuro tempo non abbia, ne possa avere forza alcuna ne vigore anzi protesta la stessa Sig.a Maria Antonia Caterina d’esser di tale effetto stabile, malamente, et nullamente donato, assoluta, e dispotica Padrona della proprietà di esso, e di potersene servire, et valere nella di lei urgenza a libero beneplacito e perciò così, quali cose tutte afferma essa Sig.a Maria Antonia Caterina di esser vere e promette di perpetuamente osservare. Ed ha fatto e fa tutto quanto sopra coll’autorità, volontà, conseglio e consenso del prefato M.co Pio Benedetto Aicardi suo marito e delli M.M.Sig.Sargente Maggiore Dn Geronimo e Dr Sig.Gio Andrea fratelli Aicardi q.M.Cap. Gio Tomaso, suoi prossimi attinenti, qui presenti, che prestano il loro consenso e giurano toccate, l’uno dopo l’altro le Scritture in mani di me Notaro credersi in tutto e per tutto alla forma del Statuto Finarese de contractibus minorum, vel mulierum. Della quali cose Per me Gio Tommaso Agostino Sciora Not. Publ. Finarese. Fatto in Finale et nella camera cubicolare della casa di solita abitazione de sudetti M.M.Giugali Aicardi presenti Sig.GioBatta Burnengo q.altro Gio.Batta, Sig.Giovanni Rossi q.Andrea, e Gio Antonio Viale q.Domenico, finaresi, Testimoni conosciuti, alle predette cose chiamati e specialmente richiesti”. 93

ni, e tale atto di revoca di donazione appare come il culmine di questa lite, un estremo tentativo di contrastare le “manovre” di Francesco Chiazzari che, in effetti, attraverso sapienti scelte matrimoniali, si era assicurato un ben cospicuo patrimonio. La questione si risolse, comunque, nel giro di due giorni. Le parti, infatti, comparirono avanti lo stesso notaio due giorni dopo, il 18 novembre, e Maria Antonia Caterina sottoscrisse un atto dal contenuto sostanzialmente identico a quello del 1743, con il quale donava ai propri nipoti il Piano detto delle Due Acque143. Evidentemente, in quei due giorni, intervenne un veloce accordo tra le famiglie Chiazzari, De Torres, Aicardi e Sevizzano, che aveva messo termine alla lite. Dall’unione di Gian Francesco con Maria Maddalena De Torres nacquero tre figli: Vincenzo, Gio Andrea e Pasquale. Dei tre figli, il primogenito, Vincenzo, proseguì la stirpe e fu colui che riunì a sé i beni di tre grandi famiglie finalesi: i Chiazzari, i Sevizzano e parte di quella dei De Torres. Vincenzo nacque intorno al 1736 e morì prima del 1783. Come già visto nel capitolo precedente, aggiunse al proprio anche il cognome De Torres, perché beneficiò delle disposizioni testamentarie di Andrea De Torres, che aveva appunto stabilito la trasmissione del cognome De Torres al primogenito “figlio maschio della prima figlia del detto mio pronipote (Andrea De Torres, n.d.a.), con che si chiami della famiglia Torres”. Vincenzo sposò Marta Arnaldi ed ebbe tre figli: Francesco Maria, Alessandro e Michele. Il terzogenito Michele Giuseppe Vincenzo nacque l’11.4.1763, e morì senza prole. Fu stanziere del Borgo nel 1789 e nel 1792144. Fu anche sindaco nel 1791145. Il secondogenito Alessandro Luigi Maria nacque il 16.7.1764. Fu stanziere del Borgo negli anni 1791 e 1792146. Sposò Francesca Sanguineti, nata nel 1762, ed ebbe cinque figli: Francesco (che morì infante), Annetta (1791), Maria (1795), Vincenzo (1799), Francesco (1801), Giacomo (1804), ma morì comunque giovane, tanto che il primogenito maschio, Vincenzo, fu posto sotto la tutela dello zio Francesco. Francesco Maria nacque il 7.10.1761 (era quindi primogenito) e morì il 19.8.1819. Gli competeva lo jus nominandi del Canonico di S. Cipriano. Tale canonicato fu istituito il 20 novembre 1646 dal reverendo Domenico Pepe, Cappellano della Parrocchiale di S. Giovanni 143

Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Tomaso Agostino Sciora, atto 18.11.1745, 2424B, 128 v. “La M.ca Sig. Maria Antonia Catterina figlia del q.M.co Sig. Don Andrea De Torres e moglie del M.co Sig..Pio Benedetto Aicardi sapendo che in caso morisse senza figli ne maschi ne femmine deve per scarico della propria coscienza prediligere i figli di sua sorella Maria Maddalena, moglie del M.co Sig.Avv. Gio Francesco Chiazzari… dona ai nipoti M.ci Gio Andrea, Pasquale, Vincenzo, una terra ossia piano vineato e seminativo con casa chiamato Il Piano delle due acque. Fatto nella casa di solita abitazione delle M.Sig.re Rosa e Vittoria Sevizzano”. 144 Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Marchesato 05.176 145 Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Marchesato 05.176 146 Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Marchesato 05.176 94

Battista della Marina del Finale, e il diritto fu ceduto per via ereditaria dalla famiglia Cascicci ai Chiazzari, tramite i De Torres147. Il 2 febbraio 1796 sposò Maria Teresa Gallesio, nata il 7 dicembre 1778, figlia di Giovanni Battista Gallesio e Giulia Prasca. Nel 1797 nacque il figlio Vincenzo, che tuttavia morì giovane. Maria Teresa Gallesio morì, all’età di 32 anni, nel 1810. Qualche anno dopo sorse una controversia tra Vincenzo Chiazzari, nipote ed erede di Francesco, e il conte Giorgio Gallesio, cognato di quest’ultimo, perché fratello appunto di Maria Teresa. La controversia verteva sul diritto ereditario di Maria Teresa (chiamata Marina nell’atto del notaio Casatroia) alla quarta parte della eredità Prasca (famiglia cui apparteneva sua madre)148. E’ del tutto evidente che i Chiazzari, oltre che trasmettere di padre in figlio i beni che via via acquisivano, oltre che esercitare (quasi tutti) la professione di avvocato, trasmettevano anche una gran … litigiosità. Dall’esame del catasto del 1798, risulta che Francesco fu senza dubbio il maggior proprietario di immobili in Finalborgo, vuoi per averli ereditati dalla propria famiglia, vuoi, per quanto sopra ricordato, perché erede dei beni dei Sevizzano e dei De Torres. Rimasto senza prole, Francesco assunse la tutela dei figli di suo fratello Alessandro e di Francesca Sanguineti: Francesco, Vincenzo, Francesco Maria, Annetta, Maria e Giacomo. Francesco nacque il 12.12.1791 e morì all’età di quasi due anni il 13.9.1793. L’Avv. Vincenzo nacque nel 1799 e sposò Maddalena Nobile. Morì prima del 1851. Ebbe tre figli: Francesco, Alessandro e Orazio. Francesco Maria sposò Francesca, figlia di Vincenzo Casatroia, e svolse la professione di causidico. Fece testamento in data 21 gennaio 1878, con il quale lasciò erede usufruttuaria la 147

Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Vincenzo Casatroia, 4308, atto 26.1.1796, 16 v. “Essendo vero che il 20 novembre 1646 il q. R.do Domenico Pepe, Cappellano della Ven.Chiesa Parrocchiale Collegiata di S. Giovanni Battista della Marina di Finale abbia istituito e fondato un Canonicato sotto titolo di S. Cipriano, assegnando per dotale prebenda una terra olivata sita in Verzi con l’onere per i Canonici pro tempore di dover celebrare dodici messe ogni anni e di assistere nei giorni festivi al Coro della Chiesa riservandosi il d.to Fondatore il gius del Canonicato per se medesimo e dopo di lui a favore del M. Gio. Gerolamo Cascicci e dei di lui figli ed eredi in perpetuum come da instrumento di costituzione ricevuto dal q. M. Rev. Nicolò Polleri Cancelliere della Curia Vescovile di Savona, essendo vero che a 28 aprile 1718 il q. M. Rev. sig. Canonico Carlo Domenico Maria Cascicci ultimo superstite della famiglia e di conseguenza ultimo successore ed invitato al gius Patronato del Canonicato abbia disposto a titolo di donazione causa mortis a favore del M. Andrea De Torres di lui nipote e dopo di lui a favore dei suoi eredi e successori come da instrumento not. Carlo Domenico Casatroia e che il gius Patronato sia pervenuto nel M. Francesco Maria Chiazzari De Torres quale Figlio Primogenito del q. M. Vincenzo unico figlio della q. M. Maria Maddalena del M. Andrea Donatario del sud. gius Patronato e per conseguenza a lui solo appartenga il presentare al Canonicato, essendo finalmente vero che attesa la morte ieri sera seguita del M. rev. Giacomo Bergallo possessore del Canonicato il M. Francesco Maria Chiazzari ha nominato in Canonico il M. Rev. Gio Angelo Casanova”. 148 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Vincenzo Casatroia 19 ottobre 1834, 4345: “Transazione fra il Sig. Conte Giorgio Gallesio q. Gio.Batta e l’avv. Vincenzo Chiazzari q. Alessandro. Per la morte nel 1810 dell’Ill.ma Sig. Marina Gallesio, moglie dell’Ill.mo Sig. Francesco Chiazzari q. Vincenzo suo erede universale furono in seguito molte dispute con la q. Sig.Ill. Giulia Prasca vedova Gallesio madre della Marina a motivo della quarta parte di eredità della Marina dal Codice Civile regolatore nel 1810 delle successioni a lei riservate”. 95

moglie Francesca Casatroia, ed eredi i figli Laura e Vittorio. Nulla lasciò agli altri due figli Alessandro e Raffaele, con i quali si scusò, giustificando tale sua decisione con il fatto che Laura e Vittorio erano “meno agiati”149. Delle sorelle Annetta e Maria (o Marina) nulla si sa, se non l’anno di nascita. Di Giacomo Maria Alessandro sappiamo che nacque il 10 gennaio 1804. Quanto ai figli di Vincenzo e Maddalena Nobile, Francesco si sposò ed ebbe tre figli (Paola nata nel 1838, Amelia nel 1842 e Vittorio nel 1849). Alessandro svolse la professione di avvocato (professione di lunga tradizione nella famiglia) e Orazio si laureò in ingegneria, trasferendosi poi a Torino. *****

I Chiazzari sono stati indubbiamente tra i grandi proprietari immobiliari, dentro e fuori le mura del Borgo. Ricordiamo tre dei loro palazzi. Innanzitutto la grande casa detta De’ Torcelli, che contorna la attuale piazzetta Meloria, già piazzetta de’ Chiazzari o Doria, di proprietà della famiglia Chiazzari, così come risulta nel catasto del 1798: Il Cittadino Francesco Chiazzari denoncia la casa di sua abitazione appoggiata sulle pubbliche mura a tre piani, con cinque fondachi al di sotto, a confini da Levante, e Mezzogiorno li fossi, ossia Mura della Città, da Ponente li Cittadini Bartolomeo Rocca, Fratelli Cremata, Eredi Torcelli, e la Piazzetta, e detti Eredi da Giovo del valore di lire 2.130.

Questo edificio era molto grande ed era in realtà composto da più porzioni, in parte locate ad altri; ad esempio, la parte confinante con il palazzo Brunenghi era di proprietà della famiglia Ceresola, locata a Carlo Rocca, a nome della madre Antonia Ceresola Rocca, fu poi venduta ai Chiazzari. Era composta di tre piani. Altre porzioni della casa furono aggiunte a quella principale. Si trattava di edifici che Francesco Chiazzari denunciò, nell’Estimo del 1798, come provenienti dall’eredità del dottor Don Giovanni De Torres, e più precisamente “una casa sita in Borgo nella piazzetta Doria presso la piazza del Grano e parte d’una casa in Borgo nella piazzetta Doria che fu acquistata da eredi Capitan Michele Massa”. I Chiazzari possedevano anche l’ampio giardino, posto sul retro della grande casa, che confina con le mura medievali. In realtà erano solo possessori di questo giardino, dato che la proprietà era della eredità Torcelli150. 149

Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Gio Bernardo Rozio, atto 21.1.1878, 129: “Chiazzari Francesco fu Alessandro causidico nato e domiciliato a Finalborgo lascia erede usufruttuaria la moglie Francesca Casatroia. Lascia eredi i figli Laura e Vittorio e si scusa con gli altri figli, Alessandro e Raffaele, perché considera Laura e Vittorio i meno agiati”. 150 Li Cittadini Sebastiano Brunenghi, Paolo Bonora e Giovanni Battista Folchi nella qualità di Amministratori dell’Eredità Torcelli denonciano un giardino con casa attigua resa innabitabile per aver servito di caserma alle truppe austriache, e francesi sita nella piazzetta attigua a quella delle Scuole Pie a confini la 96

A fine ‘700 Alessandro Chiazzari, fratello di Francesco, acquistò un grande e importante palazzo, che oggi fa bella mostra di sé sul lato ovest di piazza Garibaldi, ma una volta “nascosto” dalla Truina di S. Rocco, il complesso distrutto nel 1956, per far posto alla piazza Garibaldi. Il Chiazzari lo acquistò nel 1796 dall’Ospedale di S. Biagio151, il quale si vide costretto a vendere il palazzo soprattutto perché non era in grado di sopportarne i costi di ristrutturazione, necessari dopo i danni provocati da “truppe estere”. Nel catasto del 1798 (partita 67) l’edificio è così descritto: Il Cittadino Alessandro Chiazzari denonzia una casa sita nella Contrada del Palazzo Nazionale, a confini del Cittadino Vincenzo Casatroia da Giovo (l’edificio sul retro, n.d.a.) la strada sudetta da Ponente (l’allora Strada che va al Palazzo, oggi via Torcelli, n.d.a.), la strada pubblica da Mare (l’allora via Maestra, poi via Nicotera, oggi piazza Garibaldi, n.d.a.), la piazza pubblica da Levante (l’allora Piazza del Grano, oggi Piazza Aycardi, n.d.a.) del valore di lire 2.570. Item altra casa attigua a confini soprascritta casa da Giovo, e Levante, la strada pubblica da Mare, e Ponente, del valore di lire 410 (si tratta di una porzione del medesimo palazzo, alla particasa dei Fratelli Chiazzari in parte, e nel resto le muraglie di questa Città da Mare, e Levante, la strada pubblica da Tramontana, il Colleggio delle Scuole Pie, e la Fabrica de Cristalli da Ponente del valore di lire 4.060 (spettata in divisione a Golli. Posseduta da Chiazzari Francesco). 151 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Pier Giovanni Rozio, atto 25.6.1796, 3939, 105: “1796 giorno di sabato 25 giugno in vesperis, Li Magnifici Gio Brunenghi e Francesco Suria Governatori, ed il Sig. Andrea Fascie Cassiere del Ven. Ospedale sotto titolo de Santi Biagio e Rocco di questa città in vista delle considerevoli spese a quali è obbligata detta Opera per riparare i danni casionatili da Truppe estere per cui si trova mancante del necessario denaro, ed altresì riflettendo che presto non li conviene di conservare l’infra [descritta] casa non tanto in riguardo del tenue reddito, quanto della continua manutenzione […] a cui va soggetta, massime al di d’oggi che vi sono diverse muraglie e solai da rifare, e che il tutto danneggiato degli alloggi esige un dispendioso ristoro, volendo addivenire alla presente offerta fattale dal M. Alessandro Chiazari, per cui, oltre l’assicurazione d’un Magnifico predetto, vien l’Opera sollevata da ogni altra spesa […] e per l’avvenire, così colodati dal M. Consiglio di questa M. Università per sua deliberazione de 20 corrente emanata […] integrato alle rimostranze fatte da detti M. Ufficiali e così ancora consigliati dal Sig. Ingegnere ed Estimatore Giuseppe Barella perito da medesimi assunto per esaminare il preciso valore di tale fondo, presente, che dopo averlo diligentemente misurato e canellato, e fatti i dovuti riflessi su l’attuale situazione dello stesso. Presentemente costituiti alla presenza di me Notaio […] hanno venduto, ceduto, ed alienato al prelodato M. Alessandro Chiazari q. M. Vincentii qui presente ed accettante per lui, eredi e successori Una casa con fondaco, e Bottega sita in questa città all’angolo della contrada di Palazzo, a confini la strada pubblica da mezzogiorno e ponente, e detto M.co compratore da levante e tramontana salvi altri e più veri confini, dimodochè ad averla, tenerla e possederla, con tutte sue ragioni, e con tutti e singoli accessi, ingressi e regressi, adiacenze e pertinenze, franca e libera salva da carrichi pubblici, che […] d’indi in avvenire a meno che non nascessero da riparti già distagliati o da una obbligazione preesistente all’attuale contratto, mentre questi in qualunque tempo venissero distagliati sarà esso M.co Compratore in diritto di ripeterli dal V. Ospedale tutte le volte che l’immunità lui accordata come à ragionato marchionale, e di questo M. Publico non s’estendesse a medesimi. E detta vendita suddetti M.ci Ufficiali hanno fatta e fanno per vero, certo e finito prezzo di lire milleduecento di Genova, convenuto e accordato con M.co Chiazari, il quale promette pagarlo a detto V. Ospedale ossia alli Ufficiali e Governatori pro tempore delle stesso per anni sei prossimi in quattro rate uguali di lire trecento per ciascuna e fratanto corrispondere l’annuo frutto ricompensativo in ragione di lire quarantacinque simili per ciascun anno ed in fine di ciascun anno in tanto tra dette parti convenuto. Passati i quali anni sei e non seguito detto pagamento sarà obbligato di aumentare il suddetto frutto sino alla ragione del quattro per cento sovra il suddetto prezzo sino a tanto che piacerà a suddetti M. Ufficiali pro tempore di differire il rimborso dello stesso, in pace e senza lite. Supplicando a caotela delle rispettive parti il Serenissimo Senato ossia l’Illustrissimo Magistrato di Terraferma a comprovare e convalidare il presente Instrumento in tutte e singole parti non tanto per sanare qualunque nullità che mai esservi potesse per mancanza delle necessarie solennità quanto per autorizzare la vendita suddetta in guisa che non possa contro di essa opporsi alcuna eccezione e cio con loro decreto munito delle solite clausole derogatorie e suppletive in forma. Delle quali cose tutte per me Pietro Gio Rozio Not. Fatto entro le mura di questa città di Finale e nel solito mio studio presenti M.co Francesco Alizeri del M.Giorgio e Not. Pietro Rossi Caroli”. 97

ta 66, costituente l’angolo destro che dà su piazza Aycardi, levante e ponente sono invertiti rispetto alla realtà, come si può notare dall’immagine qui a fianco, tratta dal catasto napoleonico).

I Chiazzari, oltre che essere avvocati e benestanti, erano sicuramente ottimi e attenti “affaristi”: finirono di pagare l’acquisto del Palazzo soltanto il 5 giugno 1826, cioè ben 30 anni dopo!152 Il terzo palazzo, di proprietà Chiazzari entro le mura del Borgo, era una porzione del palazzo che fu poi degli Arnaldi. Si tratta del Palazzo che costituisce il lato sud della Piazza del Tribunale e che è contornato dalle attuali via Municipio e del Reclusorio. In realtà il Palazzo era suddiviso in tre parti. Abbiamo già visto, nella scheda della famiglia Sevizzano, che nel Registro del Borgo del 1675 risulta che questo palazzo era costituito da più unità, una delle quali era già allora della famiglia Arnaldi. Più in particolare si legge153 che Alessandro Arnaldi possedeva “due case una dove abita e l’altra acquistata dal Hospitale che è chiamata la Casa dei Burli. Conf. Il Palazzo del Rizzo da M (Palazzo Ricci da mare, nda), la strada da L (via del Municipio da levante, nda) e da P (via del Reclusorio da ponente, nda), il dottor Giuseppe Sardo da G (giovo, cioè nord, nda)”. Nel successivo catasto del 1798154 si legge che il palazzo era diviso in tre parti: la porzione più a sud era degli Arnaldi, quella in mezzo era di Rosalia Nobile, e la terza, il cui lato nord è sul vicolo del Reclusorio, era di proprietà, appunto, di Francesco Chiazzari; tale porzione è definita “de’ Sevizzani”. Anche questa casa, come gli altri immobili dei Sevizzano, passò ai Chiazzari per le ormai note vicende, già descritte. Evidentemente Francesco Chiazzari, una volta ereditato l’edificio non se ne curò molto, e in pochi anni andò in rovina, perché così risulta descritto nel catasto del 1798: altra casa chiamata de Sevizzani, a confini da Ponente, e Giovo il vicolo de Padri Domenicani, da Levante la strada Ricci, da Mezzogiorno li Cittadini Arnaldi, composta di dieci siti in tutto rende detta casa al presente £ 34, che non bastano per la sua manutenzione si presenterà la perizia del necessario pronto ristoro ascendente a £ 3.500 onde si stima non farne caso.

Morto lo zio Francesco Chiazzari, ed ereditato l’intero patrimonio, l’avv. Vincenzo Chiazzari, prima sposò Maddalena Nobile, proprietaria della porzione “di mezzo” dello stabile, e nel 1844 i coniugi vendettero ad Alessandro Arnaldi le due porzioni, di modo che l’intero palazzo divenne di esclusiva proprietà della famiglia Arnaldi.

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Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Giorgio Rozio, atto 5.6.1826, 5954, 104, Quietanza: “Gli Amministratori dell’Ospedale S. Biagio ricevono lire 833.33 dall’Avv. Vincenzo Chiazzari nato e domiciliato a Finalborgo, a saldo del capitale di lire 1000 nuove Piemonte dovute per l’acquisto della casa in atti: 25 giugno 1796 not. Pietro Giovanni Rozio”. 153 Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Marchesato 05-83 (Note dei registri di Borgo 1675) 154 Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Estimo della Repubblica Democratica Ligure 1798, Finalborgo 1-50.11 98

Nell’atto di compravendita155 l’immobile viene così descritto: un caseggiato d’alto in basso per la più parte distrutto, scoperto, con attiguo piazzale ad ovest denominato Casa Sevizzani e Nobile, posto all’angolo occidentale della Piazza Palazzo, ed appiedi della Salita Becchignolo.

Si conferma, in sostanza, che i Chiazzari non avevano dato un gran che importanza a questa casa, l’avevano lasciata decadere per poi venderla agli Arnaldi, che procedettero ad un decoroso restauro, tanto da farne parte integrante del loro palazzo. *****

Piuma Era famiglia di artigiani e commercianti. In questo lavoro ci occupiamo del ramo dei commercianti, perché furono possessori della casa di via Fiume. Con la loro attività indubbiamente i Piuma si arricchirono. Nel 1700, soprattutto, si nota un considerevole aumento di atti, anche di natura finanziaria.

Nicolò, nato intorno al 1675, morto prima del 4.11.1749, ebbe tre figli: Domenico, Giuseppe e Agostino. Domenico nacque intorno al 1705, era vivente nel 1749, ma morì prima del 1783. Sposò Maria Anna Ardito (morta il 28.7.1763)156 ed ebbe quattro figli: Nicolò, Pietro, Domenico e Benedetto. Negli atti notarili è definito Maestro, e più in particolare “mastro ferraro”. Nel 1735, ad esempio, Domenico lavorò alla riparazione del ponte levatoio di Porta Reale157. Ma nel 1738 risulta titolare di una Bottega nella casa di via Fiume, oggetto del nostro studio, affittatagli dalle sorelle Sevizzano, e dove esercitava commercio dei prodotti più disparati.

155

Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Domenico Bonora, atto 28.8.1844, 5751, 96 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Vincenzo Casatroia, atto 1.2.1797, 4309, 42 v.: “Teresa del q. Nicolò Ardito e vedova in secondo letto del sig. Domenico Cortese, settuagenaria, portandosi a vivere da sola per dissidi col fratello ma priva di ogni soccorso indispensabile per la sua età avanzata ha interpellato il sig. Nicolò Piuma q. Domenico suo nipote perché figlio della sig.ra Marianna sua sorella affinché possa ricevere nella propria casa i necessari beni, fa donazione di lire 300 dei suoi beni dotali”. 157 Archivio di Stato di Genova, Camera di Governo e Finanza, 2752. 156

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Verosimilmente Domenico abbandonò il mestiere di famiglia (i fratelli continuarono invece l’attività di fabbri ferrai), per divenire commerciante. Carlo Agostino, detto Agostino, nato intorno al 1720, vivente nel 1761, è definito Maestro, sposò Emanuela Giacolla ed ebbe tre figli: Nicolò Domenico Maria, nato il 21.11.1755, di cui però si perdono le tracce, Stefano, nato intorno al 1766, fu calzolaio, si sposò con Maria Capellini ed ebbe quattro figli: Agostino (1798), Bianca (1801), Oliva (1804), Natalina (1807)158. Il terzo figlio è Giovanni Battista, nato nel 1770, fu fabbro ferraio, e rimase celibe. Il terzo figlio di Nicolò, Giuseppe, decise la via dell’emigrazione. Nato a Finalborgo intorno al 1715, ebbe due figli, Mariani e Nicolò, con i quali emigrò a Cuba, e più precisamente all’Havana. Con sé portò anche il nipote Benedetto, figlio di suo fratello Domenico159. Il primo figlio di Giuseppe, Nicolò, nacque a Finalborgo nel 1740, e morì all’Havana nel giugno del 1817. Come spesso accadeva a molti liguri, non si trattava di una emigrazione definitiva, ed alcuni di essi tornavano in patria, per poi ripartire. E così avvenne per il secondo figlio di Giuseppe, Mariani, il quale sicuramente rientrò a Finalborgo, dove nacque la maggior parte dei suoi figli. Sposò Rosa Berta ed ebbe cinque figli: Domenico Pasquale (4.2.1773 e vivente nel 1820), Giovanni Andrea (1.4.1775), Biagio Carlo (29.1.1777), Angelo Tommaso (2.4.1779 e morto il 12.4.1780) e Paolo Giuseppe (22.2.1781). Dopo la nascita dell’ultimo figlio, Mariani ripartì per Cuba, perchè tutti i suoi figli morirono all’Havana. Alla morte di Nicolò, si aprì la successione. Anche il ramo finalese fu coinvolto, come poi vedremo. Torniamo ora al ramo Piuma che rimase a Finale, e più precisamente ai figli di Domenico. Nicolò nacque nel 1737. Era commerciante, e dal padre ereditò la Bottega di “generi commestibili e altre robbe di bottega”160 (vendeva anche stoccafisso), posta nella casa del Ponte. Nel 1785 Nicolò era in procinto di cedere l’attività ad un tale Pietro Berciano (o Venzano) di Genova, che abitava a Finalborgo. Evidentemente della cosa nulla si fece, perché in epoca successiva, dalla lettura di altri atti notarili, si rileva che Nicolò proseguì nella sua attività di commerciante. Il commercio andava senza dubbio a gonfie vele, dato che nel 1783 (come abbiamo raccontato nel capitolo sui passaggi di proprietà) chiese ed ottenne di edificare un piano sopra la bottega, dove si trasferì con la famiglia. 158

Archivio Storico comunale di Finale ligure, 1.7.32, Stati delle anime delle tre parrocchie, (1806-1809) Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Giuseppe Casatroia, 4.7.1750, 5744, 68 v. Affidamento “Il Sig. Benedetto Piuma del sig. Domenico q. sig. Nicolò desideroso di portarsi nelle parti del Regno delle Indie insieme allo zio Giuseppe Piuma… atto stipulato nella casa di solita abitazione di Domenico fuori delle mura”. 160 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Giuseppe Casatroia, 30.10.1785, 3454, 254 v. 159

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Era proprietario terriero, in quanto sono stati reperiti, nell’Archivio di Stato di Savona, molti atti che riguardano i suoi terreni. Era anche coltivatore, perché si preoccupava di acquistare molto letame, al fine di concimare i suoi campi, posti soprattutto a Perti. Aveva, naturalmente, il problema del trasporto del letame (anche allora i costi del trasporto dovevano essere non indifferenti). E’ per questo motivo che acquistò un mulo, unitamente a certo Giacomo Cortese, con il quale stipulò un curioso contratto161: Sposò Magnone Maria Caterina, da cui ebbe tre figli, una femmina di nome Rosa e due maschi con lo stesso nome: Domenico. Rosa sposò Vincenzo Tobia, figlio di Giuseppe Grillo, di professione barbiere162. Ebbe un figlio, Vincenzo Grillo, reverendo canonico. Il primo figlio maschio di Nicolò, Domenico Giuseppe Geronimo, nacque il 30.9.1764, ma morì un anno dopo il 10.10.1765. Il secondo, Domenico Bartolomeo, nacque il 5.3.1775. Nel 1817 moriva il parente “cubano” Nicolò, il quale non lasciò figli. Sorse allora la necessità che i Piuma finalesi, al fine di poter ereditare, nominassero loro procuratori a Cuba. Negli atti del notaio Domenico Bonora, sono state infatti trovate alcune procure, sottoscritte dai Piuma. Innanzitutto Nicolò Piuma, che era cugino diretto del de cuius, costituì suo “Procuratore Generale il sig. Andrea Gherardi di Genova, Console di S.M. Sarda in Cadice, che eguale potere ha conferito nel sig. Giuseppe Ramon Martilo y Ortero della città di Havana”163. Sua figlia Rosa nominò suo procuratore il cugino “Pasquale Piuma q. Mariano, nativo di Finale, dimorante nella città di Havana, Dominio di S.M:Cattolica per i beni spettanti dalla quota ereditaria del q. Nicolò Piuma q. Giuseppe”164. Ancora Rosa costituì procuratore “Alessandro Cappellini, figlio del notaio Domenico, nativo di Finale, dimorante nella città di Havana, 161

Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Vincenzo Casatroia, atto 3.7.1796, 4308, 126 r, convenzione: “Il sig. Nicolò Piuma q. Domenico ha acquistato in società con Giacomo Cortese q. Pietro un mulo di pelo nero con testa rosetta e coda corta per il prezzo di lire 200 di Genova fornito di basto ed attrezzi necessari, dinanzi al notaio convengono che: - il mulo è di spettanza dei medesimi, metà per ognuno, - se il mulo dovesse ammalarsi dovrà essere curato a spese di entrambi, - saranno comuni tutte le spese per farlo ferrare, come della conservazione del basto e dei cordami, - il mantenimento quotidiano sarà a carico del Cortese, - il Cortese potrà servirsi a suo beneplacito del mulo con la dovuta moderazione per uso proprio e sarà tenuto a provvedere al Piuma ogni mese due salmate di legna di buona qualità e fargliele portare alla propria casa. Come pure abbisognando il Piuma per qualche giorno del mulo per far trasportare alcun poco grassura [grasciùa = ingrasso, letame; nda], ambrostini” ed altro nelle sue terre, se ne possa servire con che però in tali giorni di servizio debba mantenerlo e qualora vi andasse appresso il Cortese debba pagargli la sua personale giornata, - il mulo non si possa ne vendere, ne permutare, ne prestare a persona senza l’espresso consenso di entrambe le parti. 162 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Domenico Bonora, 2.8.1831, 5744, 98: Transazione tra Domenico Piuma e Rosa sua sorella circa l’eredità di Nicolò Piuma q. Giuseppe; nel documento è citato il marito di Rosa: Vincenzo Grillo “barbitonsore nato a Ovada dimorante a Finalborgo” 163 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Domenico Bonora,atto 21.3.1820, 5744, 67 164 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Domenico Bonora, atto 2.5.1820, 5744, 70 101

Dominio di S.M:Cattolica per i beni spettanti dalla quota ereditaria del q. Nicolò Piuma q. Giuseppe”165. Nicolò Piuma si sposò una seconda volta con Caterina Cravarezza (nata nel 1749). Così risulta dal censimento francese, presumibilmente del 1807: in via Fiume convivevano Nicolò Piuma, la moglie Caterina Cravarezza e il figlio Domenico, di professione farmacista166. Nicolò morì alla veneranda età di 86 anni, nel dicembre 1823167. Il figlio Domenico non continuò la tradizione di famiglia ed abbandonò il commercio di generi alimentari. In un primo tempo decise di entrare in convento. A quei tempi non era così semplice intraprendere la “carriera clericale”, perché era necessario disporre di mezzi autonomi di sostentamento. Sicché il padre dovette provvedere, donandogli alcuni beni immobili168. Il padre Nicolò, sfumata la possibilità di lasciare al figlio Domenico l’attività commerciale, decise di affittare a terzi le botteghe site al pianterreno della casa di via Fiume, e di ritirarsi nel proprio appartamento del piano di sopra, godendo dei frutti delle locazioni. Ricordiamo i due contratti di locazione, stipulati rispettivamente il 6 febbraio 1796 con Domenico Peirano e il 10 febbraio 1796 con Giacomo Anscione, che abbiamo visto nel capitolo relativo ai passaggi di proprietà. Domenico Piuma, a quanto pare, non aveva in realtà una grande vocazione. Con ogni probabilità, in un periodo in cui iniziava la soppressione degli ordini religiosi (soprattutto i claustrali), Domenico sostituì il saio con il camice da speziale. Sta di fatto che studiò e divenne farmacista, esercitando la professione proprio nelle botteghe sotto l’abitazione, come vedremo meglio nel capitolo relativo alla storia della Farmacia. Sposò nel 1810 Chiara Ferrari, ed ebbe un figlio, Gian Battista. Gian Battista nacque nel 1811. Esercitò la professione di Medico Chirurgo a Genova. Sposò il 4 settembre 1838169, a 27 anni, Maddalena di anni 30, figlia di Francesco De Sciora, ed ebbe cinque figli.

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Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Domenico Bonora, atto 5.2.1821, 5744, 85 Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, 1.7.32, Stati delle anime delle tre parrocchie (1806-1809) 167 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Domenico Bonora, 2.8.1831, 5744, 98 168 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Vincenzo Casatroia, 25 novembre 1796, 4308, 249 r, donazione: “Sapendo il sig. Nicolò Piuma q. Domenico che il sig. Domenico di lui figlio abbia per amor divino elletto la via Clericale e desideri d’esser promosso ai Sacri Ordini, ai quali però non può essere ammesso se non ottiene un beneficio o possiede un decente Patrimonio per onestamente vivere come vien disposto dal Sacro Concilio Tridentino… ha dato a causa del Patrimonio predetto e a titolo di donazione una villa in Perti denominata La Casatroia e Mallarina con casa dentro, vignata, olivata e seminativa con altri alberi fruttiferi aggregata … per il prezzo di lire 10.030 valutata dai pubblici periti agrimensori”. 169 Archivio Diocesano di Savona, Atti di Matrimonio 1838-1851 166

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Nel 1839 nacque Chiara, battezzata in casa del canonico Franchino Gozo, stante il pericolo di morte, ed infatti morì poco dopo. Nel 1840 nacque Chiara, nel 1843 Domenica, nel 1845 Francesco, e nel 1847 Lorenzo. ***** Come si diceva, i Piuma avevano sicuramente alcune proprietà terriere che coltivavano, forse anche per produrre i “commestibili”, che poi vendevano nello loro botteghe. In Finalborgo conducevano due case in locazione. La prima è la casa oggetto del nostro studio, che così viene descritta nel catasto del 1798: Il Cittadino Nicolò Piuma quondam Domenico denoncia una casa che conduce per titolo di locazione posta fuori le Mura di questa Città consistente in un appartamento con due botteghe, ed un fondaco al di sotto della stessa a confini la strada pubblica da Mare, e Giovo, i Cittadini Fratelli Chiazzari da Levante, e Ponente del valore di lire 1.800 (proprietà di Chiazzari Francesco).

Nel capitolo precedente, relativo ai passaggi di proprietà, a cui si rinvia, si è già raccontato come Nicolò Piuma avesse edificato il primo piano, costituendo così il proprio appartamento di abitazione, e ciò in base ad un contratto di enfiteusi, stipulato con i Chiazzari nel 1783. Conducevano, poi, altra casa nella attuale via Nicotera (si tratta di una porzione del secondo edificio a sinistra partendo da piazza Garibaldi), così descritta nello stesso catasto: Item una casa posta nella strada Maestra di questo Comune consistente in due piccoli appartamenti, ed una bottega a confini la strada pubblica da Giovo, e Ponente degli Eredi del quondam Carlo Melzi da Levante, e Mare del valore di lire 600 (proprietà per metà di Vincenzo Capellino. L’altra metà di proprietà del Signor Pietro Ferrari)

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Folco

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E’ famiglia di antica origine, che si è sviluppata in tutto il Finale, da Bardino alla Val Maremola, da Gorra a Perti, dal Borgo alla Marina. Nel noto documento 9 maggio 1449170, che riporta i nomi di coloro che giurarono fedeltà alla Repubblica di Genova, troviamo dei Furchus nell’elenco degli abitanti di Calice (Franciscus e Petrus), ma nessuno a Gorra. Nel successivo giuramento del 1451171 troviamo un Lazarinus Furcus a Borgo, e compaiono anche Fernandus, Christoforus e Baptestinus Furchus a Gorra. A Calice compare un Franciscus Furchus, e un Petrus Fulchus, probabilmente il medesimo che due anni prima aveva giurato, sempre a Calice, ma con il cognome di Furchus. La famiglia Folco, che interessa il presente studio, è nativa di Bardino Vecchio, si è poi trasferita nel 1692 a Gorra, o meglio, nella frazione di Olle. Agricoltori e proprietari terrieri, sono attori di una miriade di atti, sia di compravendita di terreni, in quel di Gorra, sia di attività finanziarie. In Archivio di Stato di Savona sono conservate decine di rogiti notarili che li riguardano. Il primo di cui si ha notizia è Antonio, nato intorno al 1630 a Bardino Vecchio, si sposò con Margherita ed ebbe quattro figli: Giacomo, Bernardo, Antonia e Bernardino. Giacomo Folco, nacque a Bardino Vecchio intorno al 1660. Si sposò con Anna Maria Bossio il 19 febbraio 1692 ed ebbe nove figli, Antonio, Bernardo, Cattarina, Maddalena, Battina, Caterina, Gio Bernardo, Pietro, Giovanni. Il figlio Antonio, nato il 1° novembre 1692172, si sposò con Anna Maria Badellino a Bardino Vecchio. In un atto del notaio Pier Giovanni Rozio del 1783173, si dà atto che Antonio Folco non poté presenziare al rogito, perché vecchio e malato (aveva allora circa 73 anni) e fu sostituito dal figlio Giacomo. Nel medesimo atto risulta che fu Procuratore della venerabile Cappella di S. Giovanni Decollato, eretta in Olle. In altro atto del 1787174 risulta defunto. Antonio ebbe quattro figli: Giacomo Nicolò (nato il 21.10.1721), Maria Caterina (28.11.1722), Gio Batta (16.11.1724) e Nicolò (12.2.1732). Seguiremo soltanto i discendenti di Giacomo, che ci porteranno fino al periodo che interessa la storia della casa di via Fiume. Giacomo, nacque il 21 ottobre 1721, e morì il 24 marzo 1790; sposò Mariangela Barusso, figlia di Lorenzo, il 9 febbraio 1792. Si sono rinvenuti numerosi atti notarili che lo riguardano: si tratta soprattutto di assunzione di debiti, che il Folco si impegnava a restituire entro breve 170

G. Salvi, Tre quistioni di storia finalese, Genova 1933, pag. 228 G. Salvi, Tre quistioni di storia finalese, Genova 1933, pag. 238 172 Le date di nascita e di morte della famiglia Folco, sia di Bardino Vecchio che di Gorra, sono state reperite nei registri, conservati presso l’Archivio Vescovile di Albenga, la cui diocesi si estende fino a Gorra. Più precisamente sono stati consultati i Registri dei Battesimi (1690-1711) relativi alla Parrocchia di Bardino Vecchio, i Registri dei Battesimi (1710-1890) dei Matrimoni (1704-1890) e dei defunti (1800-1890) relativi alla Parrocchia di Gorra. 173 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Pier Giovanni Rozio del 13.7.1783, 3926, 112 r. 174 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Pier Giovanni Rozio del 25.3.1787, 3929, 42 r., Debito 171

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tempo (anche soli otto giorni!) al tasso del 4%. Fu Console di Gorra insieme a Francesco Canepa 175. Con atti 16 agosto 1789 e 24 ottobre 1789, ricevuti dal not. Sebastiano Alizeri, contrasse, a nome della comunità di Gorra, due debiti rispettivamente di lire 333,33 e di lire 166.66. Ebbe otto figli, di cui cinque maschi (Giovanni, Antonio, Giacomo, Gio Batta e Pier Lorenzo), e tre femmine (Anna, Domenica e Angela). Tra i fratelli vi furono alcune liti per la divisione dei beni, e i fratelli si divisero in due “fazioni”. Il continuatore della stirpe, che interessa il nostro studio, è Giovanni, il quale, peraltro, si dimostrò molto attivo negli “affari”: gli atti di cui è protagonista, quale acquirente, venditore, debitore e creditore, sono innumerevoli. Si dimostrò anche piuttosto “irrequieto”, tanto che si sono trovati ben cinque testamenti: modificava in continuazione le quote da destinare ai figli. Di lui sappiamo che nacque a Gorra 9 dicembre 1763 e morì il 28 ottobre 1854 alle ore 21, a quasi 92 anni (ma era del tutto cieco già nel 1846); abitava nella Piazza principale di Gorra. Era possidente e coltivatore in Olle176, e sposò Giustina, figlia di Bartolomeo Marengo il 15 giugno 1792. La moglie morì il 4 luglio 1845. Ebbe quattro figli: Caterina, nata il 17 luglio 1792, Giacomo nato l’8 novembre 1794, Nicolò Antonio, nato il 18 marzo 1797 e Bartolomeo l’i febbraio 1799. Dagli atti notarili veniamo a saper i nomi dei terreni che Giovanni Folco acquistò o vendette nel corso della sua vita: e così diede in pegno (a garanzia di un prestito) una terra vignata in Olle detta “Durante”177; diede in ipoteca un’altra terra vignata e olivata in Olle detta “Astigiano” al cugino Lorenzo Folco, a garanzia178 di un debito di lire 100; acquistò da Domenica e Caterina fu Carero di Gorra una terra Piagiva in Gorra, chiamata “Baccano” per lire 100179; acquistò da Antonio Cazzullo una terra denominata “Fosse”, olivata con poca vigna con fossa, e altra terra denominata “Fiatta”, olivata, consistente in due fasciette, il tutto per 540 lire180; si dichiarò debitore del sig. Barusso Giuseppe fu Giovanni di Gorra di lire 800, che promise di restituire con l’interesse annuo del 5%; a garanzia diede in ipoteca una terra de-

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Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Emanuele Bozino 31.12.1864, n. 73 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Nicolò Casatroia, atto 2.12.1838, 6905, 226, testamento 177 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Pier Giovanni Rozio, atto 31.12.1807, 3945, n. 110 obbligo 178 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Pier Giovanni Rozio, atto 31.12.1814 n. 3948, n, 144 debito 179 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Pier Giovanni Rozio, atto 9.4.1815 n. 3949, n. 213 vendita 180 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali Notaio Giorgio Rozio, atto 10 gennaio 1839, 5972, n. 5, vendita di stabili 176

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nominata “Il Chioso”, olivata, vignata e seminativa181. Altri se ne potrebbero citare (terra vignata, olivata e seminativa posta in Gorra detta “Chioso del Vaglia”; terra posta in Gorra denominata “Corte”, comprese case in Gorra). Da notare che ogni atto è sottoscritto dal Folco con una croce, perché analfabeta. Si è detto che lasciò ben cinque testamenti; con il primo, datato 2 dicembre 1838, dava disposizioni per la propria sepoltura, e nominava suo figlio Nicolò Antonio erede universale, nulla lasciando alla figlia Caterina, “perché bastamente dotata secondo la forza del suo patrimonio”, ed avendo sposato un Aicardi di Verezzi182. I successivi testamenti differiscono esclusivamente per la quota ereditaria spettante alla figlia Caterina, moglie di Giuseppe Aicardi. I rapporti tra padre e figlia erano sicuramente altalenanti, perché nel primo testamento Caterina venne esclusa da qualunque beneficio, nel secondo e terzo testamento Giovanni ci ripensò e le lasciò dei terreni e una quota in denaro, nel quarto, del 26 marzo 1846, la escluse nuovamente, ritenendo che non le dovesse spettare nulla di particolare, già avendone abbastanza con la legittima183.

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Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Giorgio Rozio, atto 22 maggio 1841, 5974 n.110, obbligo 182 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Nicolò Casatroia, atto 2.12.1838, 6905, 226, Testamento: “Giovanni Folco fu Giacomo nato e abitante nel comune di Gorra, possidente e coltivatore … ha dichiarato: che il suo corpo sia sepolto nel cimitero del comune di Gorra con quella funzione funebre che meglio stimerà il suo erede della cui pietà si raccomanda. Aggrava il detto suo erede di far celebrare in suffragio dell’anima sua, centocinquanta messe al più presto possibile dopo che sarà seguita la sua morte naturale, ordina inoltre che dovrà far celebrare durante la di lui vita naturale ogni anni una messa nella chiesa parrocchiale in quel giorno che meglio crederà. Interrogato se vuol lasciare qualche cosa agli ospedali di questa città, della Provincia o a quelli dei Santi Maurizio e Lazzaro in Torino, ha risposto negativamente. Lega a Giacomo Folco di lui nipote ex filio Nicolò Antonio una terra vignata, olivata e seminativa posta in Gorra detta Chioso del Vaglia e l’usufrutto della stessa lo lascia alla consorte Giustina Marenco fu Bartolomeo, loro vita natural durante. Nulla lascia a Caterina Folco sua figlia, moglie di Giuseppe Aicardo perché bastamente dotata secondo la forza del suo patrimonio. Chiama erede usufruttuaria di tutti i suoi beni sia mobili che immobili la nominata Giustina Marenco fu Bartolomeo di lui consorte. Annulla qualunque testamento fatto precedentemente e specialmente quello fatto dal fu not. Cristoforo Capellini il 22 aprile 1816. Dovendo la sua consorte per disposizioni di legge far inventario dei beni il testatore nomina il notaio a fare l’inventario. Atto stipulato nello studio del notaio, firma del testatore”. 183 Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Giorgio Rozio, atto 26.3.1846, 5979, 65: “Testamento di Folco Giovanni fu Giacomo di Gorra. Atto stipulato nella casa del testatore a Gorra, dopopranzo alle cinque, il quale sano di mente e dei suoi sentimenti, il quale ritrovandosi in età molto avanzata, si è risoluto di disporre dei suoi beni. “La sepoltura secondo l’uso. In suffragio della mia anima ordino che dal mio erede sieno fatte celebrare messe centocinquantasette fra un anno dal mio decesso ed inoltre onero il mio erede di farmi celebrare vita natural durante una messa in ogni anno a Nostra Signora del Carmine nella chiesa parrocchiale di Gorra.”Interrogato a lasciare qualche cosa agli Ospedali del Mandamento, Provincia e Santi Maurizio e Lazzaro di Torino ha risposto non avere che lasciarli. Dichiara di avere una figlia chiamata Catterina, moglie di Giuseppe Aicardo abitante a Verezzi ed essendo la medesima stata sufficientemente dotata, “perciò credo che la stessa abbia quanto può spettarle a titolo di legittima e perciò non lascio alla stessa cosa alcuna. In erede generale ed universale di tutto ciò che lascerò al mio decesso, niuna cosa esclusa, nomino mio unico figlio maschio Nicolò Antonio che mi assiste nella mia età avanzata. Proibisco l’apposizione di sigilli e nel caso facesse bisogno farsi inventario, per la redazione di quello nomino Voi notaro. Revoco ed annullo qualunque altro testamento, volendo che solo questo abbia la sua piena esecuzione”. Seguono le firme di tutti tranne quella del testatore che crocesigna soltanto per non vedervi scrivere per mancanza di vista”. 106

Col quinto testamento del 9 marzo 1852 confermò l’esclusione di Caterina da qualsiasi lascito, ed erede universale risultò quindi il figlio Nicolò Antonio che ebbe il pregio, o l’accortezza, di avere assistito il padre, vecchio e cieco, negli ultimi anni di vita. Lasciamo Caterina a Verezzi, dove viveva in casa Aicardi, con i suoi due figli Serafina e Antonio, e continuiamo a parlare di suo fratello Nicolò Antonio, che proseguì la stirpe. Nicolò Antonio nacque a Gorra il 18 marzo 1797 ed era vivente nel 1864; sposò Serafina Marenco il 24 febbraio 1823. Di lui sappiamo solo che acquistò una terra sita in Gorra, denominata Pogiolo, consistente in tre “fascie e bosco castagnile con fossa d’acqua” per 500 lire da Giuseppe Marenco fu Bartolomeo (fratello di sua madre). Per un certo periodo si trasferì a Montevideo (Uruguay). Ebbe sei figli, ma soltanto tre (Giacomo, Teresa e Caterina) raggiunsero l’età adulta. Giustina (detta Teresa), nacque a Gorra il 23 gennaio 1839, si sposò con Domenico Bono, e non ebbe figli. Prima di parlare di Giacomo, continuatore della stirpe, Caterina merita qualche nota, perché è colei che acquistò dai Chiazzari l’edificio, oggetto del nostro studio. Nacque a Gorra il 3 luglio 1825. Sposò in prime nozze Stefano Fascie (fu Gio Batta e Maddalena Bertone) di Perti il 26.3.1850, di cui restò vedova nel maggio 1859. La famiglia Fascie era notoriamente facoltosa, proprietaria di vari stabili nel Borgo. Nel 1862 rientrava a Finale il padre Nicolò Antonio da Montevideo. Proprio in quel periodo tornava da Montevideo anche un certo Calmarini Giuseppe (fu Angelo e fu Paola Giraldo, nato nel 1807 ad Alassio, domiciliato a Montevideo, Parrocchia del Cordone, barrio di Cordòn). Il Calmarini era vedovo di Emanuela Grillo, e di professione era farmacista. In altra parte di questo lavoro, stante la notevole successione di coincidenze, si è supposto che questo rientro del Calmarini non fu casuale: Nicolò Antonio Folco aveva una certa disponibilità economica, la famiglia Chiazzari aveva deciso di vendere la casa di via Fiume, al cui piano terreno vi era una Farmacia, e proprio all’inizio del 1863, l’allora possessore della Farmacia, Gian Battista Piuma, in forza di antico diritto di enfiteusi, aveva deciso di retrocedere tale diritto ai Chiazzari. Si era in sostanza liberata la Farmacia e la casa. Potrebbe anche passare per “fantastoria”, ma nulla vieta di pensare che Nicolò Antonio Folco, desideroso di mettere a frutto i suoi risparmi, e nel contempo di accasare la figlia Caterina, fresca vedova, avesse pensato di fare sposare il Calmarini, vedovo anch’egli e farmacista, alla propria figlia. Fatto sta che il 4 febbraio 1863 Caterina sposò Giuseppe Calmarini. Due giorni dopo, il 6 febbraio, Francesco Chiazzari riacquistò, da Gian Battista Piuma, la piena proprietà della casa e della Farmacia, e tre mesi dopo, il 19 maggio, il Chiazzari vendette a Caterina Folco casa e Farmacia. 107

Giuseppe Calmarini morì nel novembre del 1875, e Caterina rimase nuovamente vedova. Cinque anni dopo, il 24 marzo 1880, Caterina fece testamento, con il quale lasciava alla omonima nipote Caterina, figlia di suo fratello Giacomo, e sposata a Raffaele Berruti, la casa di via Fiume, soprastante la Farmacia, con tutti gli effetti mobili e biancheria184. Morì, all’età di 65 anni, il 18 febbraio 1890. E torniamo, quindi, a Giacomo, fratello di Caterina, il quale nacque a Gorra il 9 giugno 1833. Si sposò con Barusso Maria Luigia, da cui ebbe sei figli: Giuseppe (15.10.1852), Gio Batta (18.12.1854), Caterina (4.10.1856), Nicoletta (28.4.1860), Antonio (21.4.1862), Giovanni (23.6.1869). Fu sindaco di Gorra dal 1875 al 1877, anno in cui Gorra fu unita al comune di Finalborgo. Il figlio Antonio, nacque a Finalborgo il 21 aprile 1862. Conseguì la laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Genova il 21.7.1888. Sposò Teresa Luigia Mansuino a Priero, provincia di Cuneo, il 3 settembre 1908. Giovanni, nato il 23 giugno 1869, sposò Nicoletta Patrone, nella Parrocchia di Finalmarina. E veniamo infine a Caterina, la quale nacque a Gorra il 4 ottobre 1856. L’8 novembre 1876 sposò Raffaele Berruti, figlio di Giuseppe, e nativo di Altare. Nel capitolo relativo alla storia della Farmacia, scriviamo di come anche questo matrimonio fu, con ogni probabilità, “frutto di coincidenze”. Giuseppe Calmarini morì nel novembre del 1875. Raffaele Berruti si era laureato l’anno prima in farmacia, presso l’Università di Genova, ed era, ovviamente, in cerca di una “sistemazione”. All’inizio del 1876 Raffaele Berruti prese possesso della farmacia, che resse fino al novembre di quell’anno, quando ne poté divenire titolare dopo aver sposato la 184

Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Gio Bernardo Rozio, atto 24.3.1880, 3597, 285, Testamento: “1880, 24 marzo n. 3597 Testamento La Sig.ra Caterina Folco fu Antonio vedova del fu Giuseppe Calmarini, proprietaria nata a Gorra, Finalborgo e residente e domiciliata in questa città sana di mente e nei suoi perfetti sensi … - il funerale all’uso di questa Parrocchia coll’onere di cento messe celebrande entro l’anno del decesso, coll’accompagnamento alla sepoltura di 50 poveri. - a mia nipote Caterina, figlia di mio fratello Giacomo, maritata al Sig. Raffaele Berruti, lascio la casa di mia attuale abitazione in tutti i suoi membri con tutti gli effetti mobili, mobiglia, biancheria ed altro qualsiasi oggetto mobile come si troverà all’epoca del mio decesso e senza veruna eccezione e deduzione. - mediante il detto legato sarà la stessa onerata delle spese del funerale e messe suindicate volendo che ai poveri che accompagneranno il cadavere sia elargita la somma di centesimi cinquanta pro caduno oltre la solita candela. - a mia sorella Teresa Folco, vedova del fu Domenico, dono la somma di lire 400 per una volta tanto. - a mio nipote Antonio, fratello germano della fu Caterina, il mio orologio d’oro con catena pure d’oro, all’altro mio nipote per nome Giovanni, germano dell’Antonio e della Caterina, altro orologio pure d’oro ma senza catena, e tali legati si intendono fatti a detta mia sorella e nipoti maschi nel solo caso riguardo alla prima, che si trovasse all’epoca di mia morte in casa denaro o cedole per far fronte al detto legato delle lire 400, e riguardo a detti miei nipoti maschi qualora esistono i detti oggetti legati. Le cedole e capitali saranno per un quinto della mia nipote Caterina ed il resto divisibile fra detti due miei nipoti Antonio e Giovanni, ed in eguale proporzione saranno essi tenuti al pagamento del legato delle lire 400 verso la detta mia sorella Teresa. Atto stipulato nella casa di abitazione della testatrice sita in Finalborgo, via Aquila n. 164, alle ore due pomeridiane. Testimoni presenti: i fratelli Giovanni e Michele Bergalli fu Luigi impiegati a questo Dazio municipale, Carzoglio Giuseppe fu Bartolomeo proprietario e il Dott. Gio. Batta Levrato fu Agostino. Firme dei testimoni, la testatrice non sa scrivere, ne firmare. 108

nipote della proprietaria, la quale aveva lasciato, con il proprio testamento, la proprietà della casa e della farmacia appunto a Caterina Folco sposata Berruti. Caterina morì a Finalborgo, nella casa di via Fiume, il 5 aprile 1927 a 71 anni. Dei suoi figli parleremo nella scheda della famiglia Berruti. *****

Berruti I Berruti di Finalborgo hanno radici lontane. Si ha notizia di due esponenti della famiglia, Guglielmi e Martini Berruti, provenienti da Carcare, che intervennero nella definitiva ripartizione dei beni di Giacomo Del Carretto avvenuta nel 1276185. Si ha pure notizia di un Berruto de Berrutis, marito di Antonia del fu Antonio Meirama, in un documento del 1386186 e di un Giacomino Berruti, maestro d’ascia, in un documento del 1389187. In tale documento si fa infatti cenno a due testimoni, uno speziale e un maestro d’ascia, entrambi abitanti nel finale: “Bergoncii de Montebono speciarii habitatoris finarii et Iacobini Berruti magister axie habitatoris finarii testium ad hec vocatorum et rogatorum”. Tra il 1400 e il 1500 la presenza dei Berruti a Finalborgo è documentata da diversi documenti188.

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G. B. Moriondo, Monumenta Aquensia, II, Taurini 1790, 689, 172 Notaio Leonardo Rusca, c. 123 v., citato da Salvi, Tre quistioni di storia finalese, Atti Società Ligure Storia Patria, 145 187 Salvi, cit., 217, Archivio della badia di Finalpia, Pergamene del Finale, n. 10 188 1424, 7 gennaio - Giovanni Biancardo di Quiliano, nunc habitator finarii, confessa a Martino Berruto, de dicto loco, un suo debito di lire 15 (Archivio di Stato di Savona, Fondo Finale, Notaio Oberto Giorni I, Reg. 1, c. 165, citato da Salvi, cit., 159-160) 1427, 11 dicembre - Antonio de Campi cambia una sua terra con un’altra che aveva in enfiteusi da Domenico Berruto, Arciprete della Pieve del Finale, venerabili viri domino Dominico Berruto Archipresbiterio dicte ecclesiae sancti Johannis (Salvi, cit., 218-220; il Salvi annota: “l’arciprete Berruto non è ricordato fra gli arcipreti della Pieve del Finale, e questa è la prima notizia che si ha di esso”) 1444 - In atto, con cui Giovanni di Locello vende a suo figlio Melchiorre una casa con mulino da olio, Antonio Berruti, figlio di Nicolò, è testimonio di detto atto (Garoni, Codice della Liguria, 1879, pag. 160) 1449, 9 maggio - Gli uomini delle compagne del Finale giurano fedeltà a Genova dopo la vittoria riportata sul marchese Galeotto del Carretto. Tra gli uomini del Borgo del Finale compaiono: Nicolaus Berrutus, Martinus Berrutus, Antonius Berrutus, Anthonius Berrutus (Notaio Bernardo de Locello, Actum in Burgo Finarii in ecclesia Sancte Catarine de Finario, Arch. di Stato di Genova, Finale, filza 2 (copia in filza 1), citato da Salvi, cit., LXI (1933), doc. LXXIII, pp. 224-233). 1449, 10 giugno - Dominici Boige, Nicolai de Valle, Joannis Berruti et Jacobi Xhanelli, comparentium nomine et vice hominum et universitatis Finarii humiliter et devote, rivolgono al Doge di Genova una istanza perché venga loro reso noto se, in relazione al recente invito, da parte dei genovesi, a stabilirsi a Final Marina (Ripa Maris), dovessero essere rispettate le leggi marchionarie che invece vietavano il trasferimento colà (Salvi, cit., 166-167) 1486 - Nicolò Berruti è nominato in un instrumento “per li gombi”: trattasi di uno dei vari instrumenti contenuti nell’opera “Difesa dei finaresi”, manoscritto scoperto e conservato dal reverendo prevosto Vincenzo Grillo, citato più volte dal Garoni (Garoni, cit, pag. 160, ma vedi anche pag. 135) 186

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A dimostrazione che la famiglia godeva di una certa importanza nella comunità, si osserva che i Berruti detenevano una tomba in S. Caterina, indicata al n. 21 della tavola settecentesca conservata nella canonica di S. Biagio. Il sepolcro era collocato nella navata sinistra, davanti all'altare del S. Rosario189. Da ultimo si osserva che la attuale via Gallesio in Finalborgo assunse varie denominazioni, prima dell’attuale, oltre che Carrubeus della Chiappa e via dell’Olio, assunse anche il nome di Carrubeus delle Berrute190. Alla fine del ‘500 la famiglia pare scomparire: più nessun documento cita questo nome, e possiamo quindi dire che si è estinta. I Berruti tornarono a Finalborgo soltanto nella seconda metà dell’800, a seguito del matrimonio di Raffaele con Caterina Folco.

1490 - In una sentenza arbitrale di Biagio de Canefrii, vicario del Finaro, delegato del marchese Alfonso I dell'anno 1490, conservata presso il signor Prevosto V. Grillo, sono nominati un quondam Bernardus Barrutius, Georgium, Odixium et Dominicum Barrutium, tutores et curatores filiorum et haeredum quondam Christofori Barrutii et Nicolaum Barrutium quondam Segurani (Garoni, cit., pag. 160) 1529, 6 maggio - Manuele Berruto, sindaco della Confraternita dei Battuti di S. Caterina di Finalborgo, paga quanto dovuto ai frati domenicani per messe celebrate per i confratelli defunti. 1561, 11 febbraio - Nota riportata nel libro dei debiti e cassi del convento di S. Caterina relativa ad un lascito di Bernardo Galea rogato dal notaio Francesco Berruti: "Nota como m. Bernardo Galea dito Garsta ne a fato uno legato da vinti scudi e ne da uno scudo per anno e ne ha asegurato in uno lastagho anlo solo e quando lo suo erede ne dura vinti scudi lui sera liberato da quello scudo. Noi frati semo contra obrigati a fare uno officio l’anno in perpetuo, como pare per m. Francesco Beruto notario in li sui acti" (Arch. di Santa Maria di Castello-Genova, cass. XIX C1 Finale, Santa Caterina di Finale, Libro dei debiti e cassi, c. 6 e 25r. Inedito). 1565, 27 luglio - Mariola Berruti, figlia di Benedicti Berruti, di Burgi Castrifranchi Finarii, moglie di Nicolai Piperis (o Pepe o Pevere), con suo testamento del 27 luglio, lascia un legato al “venerabili domino presbitero Thome de Bastardis, curatoris dicte ecclesiae sancti Ioannis cavalotos viginti et octo pro omissis suis celebratndis et ultra missas sancti Gregorii, pro exoneratione sue cosciente et peccatorum suorum” (Garoni, cit., pag. 207) 189 AA.VV. La Chiesa e il Convento di Santa Caterina in Finalborgo, Sagep, Genova 1982, pag. 43, e G.A. Silla, Storia del Finale, II, Savona, 1965, pag. 35 190 Murialdo, La fondazione del Burgus Finarii nel quadro possessorio dei Marchesi di Savona o del Carretto, Rivista Ingauna e Intemelia, XL, n. 1-3, 1985, pag. 58, nota 138 110

Provenivano da Altare (Sv), comune che si trova sulla direttrice che collega Savona a Torino, lungo la quale il cognome Berruti si è distribuito nei secoli. Ad Altare i Berruti erano proprietari e benestanti. Francesco Berruti nacque intorno al 1715 ed ebbe almeno un figlio, Domenico, il quale, nato nel 1750, sposò Maria Antonia Bazzano nel 1774, ed ebbe quattro figli, Pietro, Maria, Pietro e Cristoforo. Cristoforo, nato nel 1780, era di professione contadino e morì celibe il 13 febbraio 1845. Pietro, detto il “Minore”, nacque intorno al 1782, e sposò Maria, figlia di Lorenzo Forte, di professione tessitrice. Pietro era venditore di vetri, e morì dopo il 1864. Fece testamento il 18 novembre 1846. Ebbe quattro figli: Margherita, che sposò Lorenzo Polleri, nata ad Altare nel 1816, e morta a 35 anni il 29 gennaio 1851. Le due gemelle Antonietta e Maddalena, nate nel 1824: la prima sposò il 6.8.1844 Pietro Testa, e la seconda sposò Filippo Torterolo, e morì a 40 anni il 28 maggio 1864. Infine Giuseppe Alessandro, nato nel 1825 e morto a due anni il 4 agosto 1827. Come spesso accadeva in quegli anni, anche i Berruti sono stati emigranti, e il primogenito di Francesco, Pietro, detto il “Maggiore”, passò alcuni anni in Brasile, a Rio de Janeiro, all’inizio dell’800, da cui tornava ogni tanto per ricongiungersi con la moglie Angela Maria Crosa, e per mettere al mondo dei figli. Pietro era contadino, come la moglie, e tentò l’avventura brasiliana per cercare di far cambiare vita alla propria famiglia, e indubbiamente vi riuscì. I coniugi Pietro e Angela Berruti ebbero sei figli: Francesco (1810-?), Giuseppe Domenico (1818-1885), Paolo Rocco (1825-1864), Giuseppe Alessandro (1825-1827), Caterina (?-?) e 111

Maria (1828-?). Pietro rientrò definitivamente ad Altare tra il 1841 e il 1843 (al momento del matrimonio del figlio Francesco, celebrato il 28 giugno 1840, si trovava ancora a Rio de Janeiro). Rientrato, cambiò mestiere, e divenne venditore di vetro: Altare era famosa per le sue vetrerie, ed oggi vi si ammira un notevole museo del vetro. Con ogni probabilità gli “affari” erano andati bene, perché si mise nel commercio con il figlio Francesco. Fece due testamenti, il primo l8.9.1838, e il secondo sette anni dopo il 2 dicembre 1845. Morì intorno al 1860. Francesco, primogenito, nacque nel 1810. Il 28 giugno 1840 sposò Caterina Genta. Come il padre, iniziò come contadino, e così la moglie. Nel 1843 era venditore di vetro unitamente al padre, ma nel 1850 cambiò mestiere, divenendo fattore o mezzadro. Poi, pentito del ritorno al lavoro nei campi, si rimise nel commercio e a vendere ancora vetro. La moglie, invece, da contadina divenne prima tessitrice, e poi, dal 1852, materassaia. Dall’unione nacquero, tra il 1841 e il 1858, ben undici figli, ma ben pochi superarono l’infanzia: Angela Luigia (1841-1842), Pietro (1843-?), Maria Rocca (1845-1847), Maria (1846-?) Rocco (1850-1850), Angela Maria (1850-1850), Giovanni (1851-1851), Virginia (1852-1853), Giuseppe (1854-?), Angelo (1853-1859) e Luigi (1858-1859). Il secondo figlio di Pietro, Giuseppe, nato il 4 luglio 1818, ebbe sicuramente maggior fortuna, perché nei documenti è definito “Signore” e “Benestante”, e nell’atto di costituzione di dote della prima moglie Maria Saroldi è definito “Artista”. Quella dei Saroldi era una delle più antiche e famose famiglie di vetrai di Altare, e con ogni probabilità Giuseppe, sposata Maria, divenne artista, cioè artigiano nella fabbrica del suocero, tanto che non ebbe bisogno di emigrare, come suo padre e i fratelli, e riuscì ad acquistare alcuni immobili tra Altare e Carcare. Fece testamento il 7 giugno 1880. Morì a Carcare il 10 maggio 1885. Si sposò tre volte. Dal matrimonio con la prima moglie, Maria Saroldi, sposata il 2.12.1852, nacquero Raffaele (1853-1895), Agnese (1855-1856), Paolo (1857-1857) e Daniele (18581878). Dalla seconda moglie Carina Colombo, sposata a Carcare, ebbe due figli, Albina Angela (1861-1863) e Guido (1863-1874), ed infine, dalla terza moglie Eufrasia Bordone, sposata il 21.10.1865, ebbe due figli, Pietro, detto Pietrino (1866-1895) e Agnese (1869-1895), La curiosità è che i fratelli Raffaele, Pietrino e Agnese perirono tutti e tre a distanza di pochi mesi nel 1895. Pietro, nella sua breve vita, pubblicò una dolce raccolta di poesiole, dal titolo “Bricciole”, con lo pseudonimo di Pietro Turberi. Il terzo figlio di Pietro, Rocco, nacque ad Altare il 24 gennaio 1825, sposò Virginia Tambussio il 4 settembre 1850. Nei documenti era definito “Benestante”, ma non “Signore”. Fece il calzolaio, come il suocero Tambussio Luigi, e, dal 1852, il venditore di commestibili, e più precisamente “prestinaio”, cioè panettiere. La moglie, invece, era casalinga. Nel 1857 era 112

emigrato a Rio de Janeiro, ma tornò in patria dopo breve soggiorno. Era storpio d’un ginocchio, per cui fu beneficiato in modo particolare nel testamento del padre. Morì ad Altare il 13 ottobre 1864. Ebbe 7 figli: Luigi Pietro (1851-?), Pietro (1852-1852), Isoletta Maria (18541855), Angiolina Isoletta (1857-1861), Maria Angela (1859-?), Emilia Adelaide (1861-?), Antonia Devota (1864-1864). Il primogenito di Giuseppe, Raffaele, nato ad Altare il 28 settembre 1853, studiò presso il Collegio delle Scuole Pie di Carcare e superò gli esami di licenza ginnasiale, che sostenne presso il Ginnasio Pareggiato delle Scuole Pie di Savona il 25 ottobre 1870. Si iscrisse pochi giorni dopo (il 16 novembre) alla facoltà di Farmacia all’Università di Genova, presso cui si laureò l’8 luglio 1874, e divenne il quarto farmacista di via Fiume. Si sposò con Caterina Folco, di Gorra, l’8 novembre 1876 a Finalborgo. Fu persona stimata e benvoluta e ricoprì per più anni la carica di membro della Commissione Municipale di Sanità, come risulta dal Verbale Consiglio Comunale di Finalborgo 17.04.1883, che ratificava la elezione già avvenuta il 20 marzo dello stesso anno191. Dal verbale di deliberazione del Consiglio Comunale del 30.04.1887, risulta che Raffaele Berruti fu riconfermato nella carica. Ebbe 6 figli: Giuseppe, Giacomo, Mario, Daniele, Maria e Giovanni Giuseppe nacque a Finalborgo il 10 settembre 1877; al battesimo ebbe come padrino il nonno Giuseppe e come madrina Caterina Folco (zia della madre); fu rinviato alla visita militare e poi riformato per “insufficienza toracica e debolezza di costituzione”. Gestì la farmacia di via Fiume fino alla morte, avvenuta, a 48 anni, il 12 febbraio 1926. Giacomo, nato il 6 aprile 1879, morì a Finalborgo soltanto dieci giorni dopo, il 16 aprile 1879 Daniele, nato il 26 dicembre 1882, fu arruolato, ma in 3° categoria “per avere il fratello Mario soldato nell’84° fanteria”. Non si sposò, e gestì la farmacia di via Nicotera fino alla morte, avvenuta, a 37 anni, il 20 settembre 1919. Maria, nata il 10 settembre 1885, morì a Finalborgo all’età di 39 anni il 12 luglio 1924. Giovanni, nato nei primi mesi del 1890, in casa di via Delle Scuole, dove la famiglia si era temporaneamente spostata dopo il terremoto del 1887, morì a Finalborgo all’età di due anni il 6 marzo 1892.

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Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Verbali del Consiglio Comunale, 1.78.52: “Il Consiglio Comunale in esecuzione dell’osservazione fatta dal Signor Sotto Prefetto del Circondario col decreto 5 corrente pedissequo all’ordinato 20 marzo p.p. relativo al completamento della Commissione Municipale di Sanità procedette ad apposita votazione seguendo il metodo delle schede segrete per la nomina d’un Membro in surrogazione del Cav. Sanguineti stato eletto con quell’atto, che già ne è Presidente nato a termini dell’art. 36 del regolamento 06.09.1874; spogliatesi in conseguenza dal Presidente col concorso di due Consiglieri le dieci schede che i presenti deposero nell’urna, ne risultò a pieni voti nominato il farmacista Signor Raffaele Berruti”. 113

Mario, nato l’8 giugno 1881, sposò Angiolina Frione, di nota famiglia finalese, ed ebbe quattro figli: Maria e Raffaella, che morirono in tenera età (Maria a soli tre anni e Raffaella a cinque), Giuseppe ed Ennio. Fu l’unico figlio a svolgere il servizio militare, come sottotenente del 16° Reggimento Fanteria, dal 1901 al 1903. Fu consigliere comunale del Comune di Finalborgo nel 1906, fresco laureato in giurisprudenza. Entrò in Magistratura il 6 luglio 1907, e il suo primo incarico fu di uditore giudiziario presso la Procura del Tribunale Civile e Penale di Finalborgo. Ricoprì poi l’incarico di Pretore a Como, a Vilminore di Scalve in Provincia di Bergamo, a Monesiglio, in Provincia di Cuneo, prima di divenire magistrato presso il Tribunale di Savona. Il 22 maggio 1915 fu richiamato in servizio come Tenente, a seguito della mobilitazione generale, ed assegnato, con il grado di Capitano, al “Servizio Censura Posta Estera”, prima a Milano e poi a Genova. Il 23 dicembre 1916 fu comandato quale Giudice Istruttore presso il Tribunale Militare dell’8° corpo d’Armata in Friuli, servizio che prestò fino ai primi mesi del 1918: fu un’esperienza che segnò, indubbiamente, l’intera sua vita. Basti pensare al periodo successivo alla ritirata di Caporetto (novembre 1917), durante il quale si trovò a far parte dei Tribunali speciali di guerra, con il compito di giudicare i disertori della grande ritirata (che furono ben 400.000). Nel 1939 fu nominato Presidente del Tribunale di Brescia, città nella quale trasferì la famiglia. Resse quel Tribunale in tempi difficilissimi, prima di ritirarsi in pensione, all’età di 70 anni, nel 1951. All’atto del pensionamento, il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Brescia gli scrisse una commovente lettera, nella quale si rinnovava l’espressione di unanime vivo rammarico degli avvocati bresciani ch’Ella, per l’inesorabile legge dell’anzianità e nel pieno vigore delle forze, abbia dovuto lasciare la presidenza del nostro Tribunale, che in condizioni particolarmente difficili tenne con tanto prestigio, per l’alta dottrina, il culto della giustizia, l’ammirabile serenità di giudizio, la signorile cortesia, nobilmente concludendo l’ammirata sua carriera di magistrato.

Nel 1962 decise di rientrare nella sua Finalborgo, dove morì, all’età di 83 anni, l’1 novembre 1964. Così lo ricordò, con profonda tenerezza, il suo amico Pio Antonio Azais192: Ricordo il Consigliere di Corte d’Appello dottor Mario Berruti, che ricordo giovanissimo elegante sottotenente di complemento nella sua attillata e curata uniforme; come lo rivedo nell’ampio suo terrazzo della casa di via Fiume, casa che con amore aveva sempre abitato dacché venne collocato in quiescenza, e ne risento le calorose, forbite espressioni di spiccato attaccamento al suo medievale Finalborgo, per il quale aveva dedicato le sue figliali cure. Fu con me fondatore e 192

Pio Antonio Azais, Un po’ di cronistoria finalese, quello che ho udito, visto, scritto, Grafiche Riviera, Ceriale, 1970, pag. 155 114

copresidente del Circolo “Gli Amici di Finalborgo”. Chiuse repentinamente le sue luminose pupille all’ombra di quell’antico campanile di S. Biagio, che gli rammentava e gli rieccheggiava i concerti dei suoi bronzi durante la sua prima infanzia.

Suo figlio Giuseppe, nato a Finalborgo nel 1923, si è laureato anch’egli in Giurisprudenza, per inizialmente intraprendere la carriera di avvocato, divenendo poi dirigente industriale, prima, e amministratore pubblico poi. Naturalista ed appassionato di storia locale, ha al suo attivo decine di pubblicazioni in campo economico, naturalistico e storico. Sposato con Alba Carati ha due figli, Mario (chi scrive) avvocato e Ennio, dirigente industriale. Mario, sposato con Isabella Maculotti ha un figlio di nome Nicola. Ennio, nato a Finalborgo nel 1925, portò a termine i suoi studi a Brescia, dove divenne magistrato. Si trasferì poi Pavia, ma tornò sempre a Finalborgo dove amava trascorrere ogni momento libero. Sposato con Natalia Onesti, ha avuto un figlio, Carlo. E’ deceduto nel 1986. Suo figlio Carlo è a tutt’oggi proprietario della casa di via Fiume, unitamente allo zio Giuseppe. Sposato con Laura Castagnola, ha un figlio di nome Giulio.

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Le rappresentazioni fotografiche della casa e della farmacia Le immagini che documentano la casa nel ‘900 sono rappresentate soprattutto da cartoline. Naturalmente la stragrande maggioranza delle cartoline novecentesche riguardano Finalborgo entro le mura: piazza Garibaldi, via Nicotera, Piazza San Biagio, il campanile, Porta Testa, Porta Reale e i panorami in generale. Le immagini fuori le mura rappresentano, invece, il Collegio Aycardi, via Brunenghi e la Caserma Umberto I. Rare sono le cartoline che ritraggono via Fiume e la casa della Farmacia. Dopo certosina ricerca, se ne sono rinvenute alcune. La prima di queste è del 2 marzo 1913, ed è stata edita dalla Tipografia Bolla.

fig. 29 - Finalborgo Panorama, Archivio Berruti, Brescia

La visione è da Est, da Monticello, e l’immagine è interessante perché, oltre la casa, vista dal retro, si vedono chiaramente il ponte sul fiume Aquila e la Porta Reale, oltre che, naturalmente, una visione generale dell’antico Borgo. Di questa cartolina se ne è tratto un particolare, che raffigura soltanto la casa, e che abbiamo già visto alla fig. 19. Interessante è il raffronto con una fotografia, ripresa nello stesso identico punto, ma 20 anni dopo, nei primi anni ’30, quando la casa fu allungata dal dott. Mario Berruti. 116

fig. 30 - Finalborgo Panorama, Archivio Berruti, Brescia

Si può in effetti notare la terrazza e la loggetta, che ancora oggi adornano la casa sul retro. Nel 1923 la casa è ritratta da due cartoline, in cui si vede molto chiaramente la facciata, con la tenda che ricopre l’ingresso della Farmacia. Nella prima cartolina193 è visibile, sopra la tenda, a mezzo di una lente, la scritta “Farmacia Berruti”, famiglia che, come abbiamo visto, è divenuta proprietaria dell’immobile nella seconda metà ‘800.

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per gentile concessione del sito Archivio collezionarecartoline.it 117

fig. 31 - Il ponte e la Farmacia, Archivio collezionarecartoline.it

La seconda cartolina194 è altrettanto interessante, perché, oltre che rappresentare la casa, rende ben visibile la Piazza Milite Ignoto e parte dell’Ospedale di San Biagio. Entrambe le cartoline mostrano una garitta militare davanti alla casa, accostata al muretto che fa da argine al fiume Aquila. Come si può notare in entrambe le cartoline, il ponte che attraversa il fiume Aquila è diverso da quello che oggi conosciamo: non era ancora stato semidistrutto dalla paurosa alluvione del 1926.

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per gentile concessione del sito Archivio collezionarecartoline.it 118

fig. 32 - Il ponte e la Farmacia, Archivio collezionarecartoline.it

Ancora una cartolina della medesima epoca195 (le spalle del ponte sul fiume Aquila sono le stesse), ma l’immagine si distingue dalle precedenti perché permette di vedere anche l’edificio alla destra del Ponte.

fig. 33 - Il ponte e la Farmacia, Archivio Tortarolo, Calice Ligure

La fotografia che segue196 è stata scattata nella immediatezza dell’alluvione del 4 settembre 1926. Vi si vede il ponte e la Farmacia. Si scorge anche l’allora proprietario della casa di via 195 196

per gentile concessione di Angelo Tortarolo, Calice Ligure Archivio Berruti, Brescia 119

Fiume, dott. Mario Berruti, grande figura di magistrato, fondatore, unitamente ad altri cittadini del Borgo, del Circolo “Amici di Finalborgo”, e presidente di alcune Opere Pie. Lo si intravede (con molta difficoltà e con una buona lente ….) sotto la pianta, con il cappello in testa, mentre discute con un comandante in divisa.

fig. 34 - Il ponte dopo l’alluvione del 1926, Archivio Berruti, Brescia

Gli effetti del disastro, non meno catastrofico di quello del 1900, almeno per Finalborgo, sono evidenti. Cittadini, soldati e miliziani lavorano alacremente per liberare il ponte dal fango e dai detriti portati dalla furia delle acque, mentre un elettricista coraggioso si è arrampicato sulla cima di un palo della luce, per riallacciare i cavi elettrici. Vediamo ora di passare alla successiva cartolina, che rappresenta ancora la facciata della casa e la farmacia. La cartolina197 è del 1929 e il ponte è stato ricostruito solo da tre anni: le ringhiere sono chiaramente temporanee, e verranno poi sostituite da strutture metalliche e in cemento. Nello stesso anno la casa subirà notevoli cambiamenti con l’aggiunta di un corpo sul retro che ne raddoppierà la struttura.

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per gentile concessione di Angelo Tortarolo, Calice Ligure 120

fig. 35 - Il ponte e la Farmacia, Archivio Tortarolo, Calice Ligure

La successiva cartolina198 è molto interessante, perché dà un’immagine della piazza Milite Ignoto da un angolo nuovo, e ciò permette di vedere sia il ponte da nord, la porta Reale e, soprattutto, per quanto interessa il presente studio, la struttura della casa ormai completata, con l’aggiunta del prolungamento effettuato dal dott. Mario Berruti. L’immagine, quindi, è successiva al giugno 1930.

fig. 36 - Il ponte e la Farmacia, Archivio Tortarolo, Calice Ligure

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per gentile concessione di Angelo Tortarolo, Calice Ligure 121

Da ultimo si veda la seguente fotografia199, ripresa da Monticello, che mostra la terrazza e le loggette del primo e del secondo piano. La fotografia è della fine degli anni trenta.

fig. 37 – La loggetta sul retro – Archivio Berruti, Brescia

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Archivio Berruti, Brescia 122

La Farmacia e i Farmacisti Non è stato sicuramente agevole ricostruire la storia delle farmacie di Finalborgo: la documentazione è infatti scarna e molto frammentaria. Si sono, comunque, rinvenuti alcuni documenti seicenteschi che provano che a Finalborgo vi era uno speziale, al quale la famiglia Arnaldi si affidava per le cure del proprio figlio. Vi sono alcuni documenti che attestano l’esistenza di più farmacisti nel Finale, i quali, nel ‘700, protestavano vivacemente contro Genova per le visite ispettive. I farmacisti finalesi pretendevano, infatti, a norma dei loro statuti, di essere ispezionati esclusivamente dal medico protofisico locale, assistito da un notaio locale per la relativa verbalizzazione200. Si è rinvenuto un documento201 che colloca una farmacia in Vico dell’Olio (l’odierna via Gallesio) ai primi del ‘700: Il Signor aromatario Giuseppe Domenico Sciora del fu Francesco, del Borgo di Finale, vende al proprio fratello Signor notaio Giovanni Tommaso Agostino Sciora un laboratorio sito nel presente Borgo, nel vico dell’Olio, detta la Bottega del Sciora, con casa soprastante. Confini il vico da mare, il Dr. Gio.Gerolamo de Giovanni da oriente, Gio.Andrea Sciora (fratello delle parti) per altro laboratorio ad occidente, il Signor conte Francesco Maria Malvasia da giovo, ed il compratore. Prezzo lire 2.173 moneta di Genova corrente in Finale

Soltanto per l’800 si è potuto stabilire che le farmacie erano tre: una collocata all’interno del Bagno Penale (a partire dal 1864), una collocata in via Nicotera, oggi piazza Garibaldi, a piano terra della casa Chiazzari, ed una in via Fiume, nella sua attuale collocazione. Nel 1887 risulta che la Farmacia di via Fiume, condotta da Berruti Raffaele, era anche il deposito delle specialità medicinali; la Farmacia di via Nicotera era condotta da Giorgio Marciani, e quella all’interno del Bagno Penale da Antonio Trincheri. ***** Non è purtroppo noto il momento esatto in cui la farmacia del Borgo si è insediata, per la prima volta, nella casa di via Fiume 2, ma è possibile ipotizzare, con una certa qual sicurezza, che ciò sia avvenuto subito dopo il 14 marzo (o maggio) del 1801, mese nel quale Domenico Piuma ottenne l’abilitazione all’esercizio della professione di farmacista. 200

Ringrazio Marco Leale per la segnalazione. Archivio di Stato di Savona – Notai distrettuali, Not. Carlo Giuseppe Ungaro, atto 1.6.1710, 1945. Il testo del documento è in latino. Dall’atto del notaio si viene a sapere che l’immobile, in cui v’era la farmacia pervenne al venditore in forza di atto di divisione Not. Giovanni Battista Celesia del 18.10.1697 201

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Si ricorda che Domenico Nicolò Piuma decise di non proseguire la “carriera” di commerciante, che fu del padre e del nonno, ma optò per la carriera ecclesiastica. Con ogni probabilità entrò in convento giovanissimo, già forse a dieci anni, per divenire religioso claustrale. Accadde che, come a tanti altri giovani di quel periodo, egli si vide costretto ad abbandonare l’idea di indossare la tonaca, a causa della soppressione degli ordini religiosi decisa dal Governo Ligure. Domenico, quindi, che in quella decina d’anni di studi religiosi aveva probabilmente acquisito conoscenze “farmaceutiche” in convento, sostituì il saio con il camice da speziale. Dall’esame di documenti esistenti presso l’Archivio di Stato di Genova, si hanno notizie interessanti su Domenico Piuma. Egli fece cinque anni di pratica nella professione di chimica farmacia presso l’Ospedale di Genova, e frequentò per due anni e mezzo i corsi di chimica e storia naturale nella “Pubblica Università del Centro”, ossia presso l’Università di Genova. In data 27 febbraio 1801, spinto soprattutto dalla municipalità di Finalborgo, inviò al Governo una istanza perché venisse ammesso all’esame di farmacista202. Pochi giorni dopo Domenico poté sostenere gli esami. E li superò con cinque voti favorevoli ed uno contrario. La commissione era composta da cinque farmacisti e da un medico, che – a scrutinio segreto – lo dichiararono “idoneo, e meritevole di esercitare liberamente la detta professione” di farmacista.

Allora la burocrazia non era così lenta, tanto che già il 14 marzo 1801 a Domenico Piuma fu rilasciata la “patente” di farmacista203. 202

Archivio di Stato di Genova, Repubblica Ligure, 98: Cittadini della Commissione Straordinaria di Governo. Il Cittadino Domenico Piuma di Finale Borgo dopo una assidua prattica, ed esercizio di anni sette nelle professioni di Chimica, e Farmacia, parte in cotesto Ospedaletto, e parte nell’Ospedale di Finale Marina, come in documenti, che conserva. Passò alla compra di una spezieria in detto luogo di Finale, indotto dalle instanze di quella Communità, e dalla scarsezza de’ Professori in detto Commune con non poco detrimento della languente umanità da’ mali oppressa. Desiderando ora esser abilitato di esercire dette professioni per restituirsi alla sua famiglia, e porre fine alle inumerabili spese, che la dilazione le cagiona; ricorre a Voi Cittadini Governanti, acciò con vostro favorevole rescritto lo tramandiate al Cittadino Ministro dell’Interiore, e Finanze, o a chi meglio vi piacerà onde fargli subire li opportuni esami per indi dopo fatta constare la sua idoneità possa ottenere la pubblica approvazione, ed esercizio di dette professioni, nel mentre vi augura salute, e rispetto. Copia detto petente Domenico Piuma 203 Archivio di Stato di Genova, Repubblica Ligure, 98: Il prefato Cittadino Ministro visto il Decreto della Commissione Straordinaria di Governo de 13 corrente relativo all’annesso rapporto valendosi &. Delibera al suddetto Cittadino Domenico Piuma patente in Farmacia da rilasciarsi allo stesso del tenor seguente. Il Ministro dell’Interiore e delle Finanze della Repubblica Ligure. A chiunque vedrà le presenti sia noto che Domenico Piuma Cittadino Ligure dopo aver date prove della sua idoneità nell’Arte farmaceutica nell’esame tanto nella teoria quanto nella pratica a cui è stato sottoposto nanti sei abili Professori di questa Città alla forma de vigenti Regolamenti è stato il medesimo abilitato al libero esercizio dell’Arte farmaceutica in tutto il Territorio della Repubblica &. Ad effetto pertanto che consti in ogni tempo della concessagli abilitazione la Commissione Straordinaria di Governo con suo Decreto de 13 corrente marzo ha autorizzato il Ministro dell’Interiore e Finanze a rilasciargliene un pubblico Certificato da servirgli in luogo di lettere patenti invitando chiunque a prestare al medesimo piena credenza &. In fede di che ne ha sottoscritto il presente che sarà munito del sigillo della Repubblica. 124

Da altro documento, che riguarda, più in generale, l’elenco degli esercenti le professioni di medico, chirurgo, ufficiale della sanità, levatrice, farmacista ed erborista204, risulta che Domenico Piuma fu ricevuto (ossia passò l’esame di abilitazione) come farmacista a Genova il 14 maggio 1801. Risulta altresì che potesse esercitare in tutto l’Impero. Dall’esame di questa lista, si desume che a Finale esercitavano tre farmacisti, che avevano ottenuto l’abilitazione in quegli anni, e che potevano definirsi “Maitres en Pharmacie ayant droit d’exercer dans toute l’étendue de l’Empire”: Gherardi François, domicilié a Final, Lieux et dates des réceptions : Gênes, 15.12.1795, Membre du Jury médical (cioè membro della commissione esaminatrice che rilasciava le abilitazioni, n.d.a.). Piuma Dominique, domicilié a Final, Lieux et dates des réceptions : Gênes, 14.05.1801 Alizeri Innocent, domicilié a Final, Lieux et dates des réceptions : Gênes, 30.08.1803

Ma a Finale esercitava la professione di farmacista anche Peirani Jean-Baptiste, domiciliato a Finale, e abilitato a Genova il 13 dicembre 1784. Contrariamente ai farmacisti sopra elencati, il Peirano aveva diritto di esercitare soltanto entro i confini del Dipartimento di Montenotte205. A tale proposito si è già fatta notare, in altra parte del presente lavoro, una curiosa coincidenza, che potrebbe far sorgere il dubbio che Domenico Piuma non sia stato il primo farmacista di via Fiume, e che quindi l’inizio dell’attività sia da far risalire ad un periodo precedente. Domenico Peirano, che stipulò un contratto di locazione di due botteghe della casa di via Fiume, con Nicolò Piuma, aveva un fratello, di nome Gian Battista (erano entrambi figli di Giovanni Peirano e di Maria Anna Molina), il quale, come visto più sopra, svolgeva la professione di farmacista fin dal 1784206. Non si ha prova documentale che svolgesse tale professione proprio in via Fiume, ma è comunque, appunto, una coincidenza interessante, e che sarà necessario approfondire, quando, e se, si troveranno nuovi documenti. L’unica cosa certa è che, nel secondo semestre del 1801, Domenico iniziò ad esercitare la professione di farmacista proprio nelle botteghe sotto l’abitazione di via Fiume. Di tale sua attivi-

Dato in Genova dalle Camere dell’Uffizio dell’Interiore li 14 marzo 1801 Anno 4°. Baratta 204 Archivio di Stato di Savona, Dipartimento di Montenotte, Faldone 35: Liste générale des Docteurs en Médecine et en Chirurgie, Chirurgiens, Officiers de Santé, Sages Femmes, Pharmaciens et Herboristes établies dans le Département de Montenotte, dressée en exécution de l’article 26 de la Loi du 19 ventôse an 11 et de l’article 28 de celle du 21 germinal même année - Maitres en Pharmacie ayant droit d’exercer dans toute l’étendue de l’Empire : Piuma Dominique, Final, Savone, Gênes, 14.5.1801. 205 Archivio di Stato di Savona, Dipartimento di Montenotte, Faldone 35 206 Archivio di Stato di Savona, Dipartimento di Montenotte, 35, Liste générale des Docteurs en Médecine et en Chirurgie, Chirurgiens, Officiers de Santé, Sages Femmes, Pharmaciens et Herboristes établies dans le Département de Montenotte, dressée en exécution de l’article 26 de la Loi du 19 ventôse an 11 et de l’article 28 de celle du 21 germinal même année. 125

tà sono stati reperiti vari documenti, sia negli atti del notaio Vincenzo Casatroia207, sia in un censimento francese effettuato tra il 1806 e il 1809208. Ebbe anche un praticante, un tale Firpo. Risulta, infatti, che costui fece domanda, nel 1809, di essere ammesso (con dispensa dall’età necessaria, avendo egli solo 23 anni e non i 25 prescritti, cioè la maggiore età) all’esame di abilitazione all’esercizio della professione. Nell’istanza il Firpo faceva presente di avere appreso l’arte della farmacopea presso la Farmacia di Domenico Piuma, dove aveva fatto molti anni di pratica209. E che la farmacia fosse già in attività ai primi dell’800, è ipotesi confortata anche dal fatto che, durante i lavori di ristrutturazione dei locali della farmacia, compiuti nel 1975, furono rinvenute all’interno della mangiatoia, posta nell’ultima stanza, alcune confezioni mediche (bendaggi e altro) di chiara provenienza napoleonica. Morto Domenico Piuma, il figlio Gio Batta non esercitò la professione di farmacista, ma, laureatosi in medicina a Genova, là si fermò, esercitando la professione di “dottore in Chirurgia”. La farmacia dovette quindi essere locata ad altri. Nel censimento della popolazione del 1857210 risulta che la casa era di proprietà della famiglia Chiazzari, e la stessa era concessa in locazione alla famiglia Sartore, composta dal capofamiglia Sartore Cornelio, dalla moglie Anna Mortola, dalle loro due figlie, e dalla domestica. Il dott. Cornelio Sartore era di Novi Ligure, ed esercitava la professione di farmacista. Il dott. Sartore lasciò la Farmacia quando la casa fu venduta dai Chiazzari a maggio del 1863, ed allora gli subentrò Giuseppe Calmarini. Come già ricordato, infatti, a metà dell’800 Antonio Folco di Gorra, ritornava a Finale dopo essere emigrato in Uruguay. Portava con sé una certa fortuna, che aveva utilizzato per acquistare una casa per la figlia Caterina nel 1863. La Folco aveva acquistato la casa anche, e so207

Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Vincenzo Casatroia, atto 30.8.1812, 4321, 232: Quietanza di lire 1000 di Rosa Piuma a suo fratello Domenico, “Sieur Piuma Dominique fils au dit Sieur Nicolas son frère propriétaire et apothicaire, Vincent Grillo son Mari de profession Barbier”, nonché atto 18 settembre 1835, 4347: “Rinnovazione di titolo dal sig. Domenico Piuma q. Nicolò, farmacista, della Cappella del S.S. Rosario eretto nella Chiesa parrocchiale di Perti instituita dal q. Giacomo Massaferro” 208 Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, 1.7.32, Stati delle anime delle tre parrocchie (1806-1809) 209 Archivio di Stato di Savona, Dipartimento di Montenotte, Faldone 35: Monsieur le Préffet Firpo Jean Baptiste fils à Philippe de la Comune de Final, et q. domicilié agé de vingt-trois ans, après avoir fait ses études dans les Ecoles, il s’est devoué à la Farmacie, dont il exerce depuis plusieurs années, et precisement dans la Pharmacopée, et Officine publique de Monsieur Piuma Dominique à Final ; Il desireroit dès à présent se présenter aux examens, et pouvoir exercer de son chef cette proffession qui connoit, mais comme il se trouve n’avoir pas accompli l’age de vingt-cinq ans designé par l’article 23 de l’arreté du Gouvernement du 25 Thermidor an 11 il suplie Monsieur le Préffet vouloir bien lui faire designer un Pharmacien pour le moyen du juri pour diriger, et surveiller touttes les operations de son Officine à Final, et agir en qualité d’Eleve conformement au disposé par l’article 41 de l’arreté sus-ennoncé, ce qu’il expere Monsieur le Préffet de Votre justice, et bienseance, pendant qu’il a l’honneur de Vous avvouer le plus proffond respect. Jean Baptiste Firpo 210 Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Registro popolazione di Finalborgo 1857, Finalborgo 1/224 126

prattutto, perché il 4 febbraio 1863 aveva appunto sposato Calmarini Giuseppe, nato ad Alassio, ma abitante a Montevideo (Uruguay). Il Calmarini, infatti, era di professione farmacista, e quindi egli subentrò al Sartore nella gestione della Farmacia di via Fiume. Non è escluso che Calmarini (cinquantaseienne all’epoca del matrimonio e vedovo) avesse conosciuto in Uruguay Antonio Folco, e con questi avesse “combinato” il matrimonio con la figlia di questi, Caterina. Le date, e le troppo evidenti coincidenze, portano a tale supposizione. Caterina Folco rimase vedova nel mese di novembre 1875, sicché anche la Farmacia rimase “scoperta”. Sennonché fortuna volle che la nipote della Folco, che portava il suo stesso nome e cognome, essendo figlia di suo fratello Giacomo, si fosse fidanzata con Raffaele Berruti, farmacista, e residente in Altare (Sv), da dove proveniva la sua famiglia. Il Berruti si era iscritto al Corso di Farmacia presso la Regia Università degli Studi di Genova nel 1870, ed aveva conseguito la laurea l’8 luglio 1874, dopo aver sostenuto un anno di pratica presso la Farmacia Pietro Brignardello di Genova. Già l’anno successivo alla laurea il Berruti si sposava ed aveva belle che pronta una farmacia tutta per sé: anche in tal caso si nota una sospetta serie di coincidenze. Il Berruti resse per nove mesi la Farmacia, in attesa di autorizzazione amministrativa. Al termine di tale periodo fece domanda di subentro nella titolarità della Farmacia. Fu necessario, in primo luogo, il parere favorevole delle autorità sanitarie locali. Il dott. Levratto Gio Battista, medico condotto e medico dell'Ospedale di S. Biagio, e il dott. Barbera Alessandro, sanitario dello Stabilimento dei BaFig. 38 - Caterina Folco, moglie di Raffaele Berruti

gni Penali di Finalborgo, osservavano che Berruti

Raffaele era persona onesta, precisa, gentile, e pertanto degna di succedere al farmacista Calmarini211.

211

Archivio Berruti: “Berruti Raffaele ha sempre disimpegnato l’obbligo suo, con tutta quell’esatta precisione ed intelligenza nei preparati medicinali, con quell’assiduità ad essere al lavoro, con quella delicatezza di modi, che sono a desiderarsi in chi esercita l’ufficio del Farmacista. In conseguenza i sottoscritti emettono in tutta coscienza un voto perché la Farmacia Calmarini, attualmente al concorso, ottenga a titolare il prelodato sig. Berruti come quegli che coll’aspettazione dei sanitari locali, soddisfa i desideri della clientela che da buon tempo gode la Farmacia in discorso. Finalborgo 4 agosto 1876”. 127

Ma doveva passare ancora un po’ di tempo perché Raffaele Berruti potesse prendere possesso, come titolare, della Farmacia. In sostanza necessitava, innanzitutto, il placet della proprietaria della Farmacia, nonché vedova del fu Farmacista Calmarini, Caterina Folco. Questa, prima di cedere la Farmacia, volle accertarsi che il Berruti fosse persona di cui fidarsi, e soprattutto che avesse intenzioni serie con la propria nipote. Sottopose, pertanto, il proprio assenso alla cessione della Farmacia alla “formalizzazione” delle nozze tra la nipote e il Berruti. Evidentemente quest’ultimo faceva sul serio, perché poco dopo la ufficializzazione del fidanzamento, si stabilì il giorno delle nozze. Queste si celebrarono l’8 novembre 1876; Caterina Folco (nipote) e Raffaele Berruti divennero così marito e moglie, e la “garanzia” di serietà richiesta era stata data. Più nessun ostacolo si frapponeva ormai alla concessione della titolarità della Farmacia. A conferma delle promesse (o meglio degli accordi intercorsi tra la zia Caterina Folco e Raffaele Berruti) il medesimo giorno delle nozze, usciti che furono dalla chiesa, gli sposi, i parenti più stretti, il notaio Gian Battista Rozio, i testimoni, e Caterina Folco (zia e proprietaria della casa), si portarono in via Aquila, nella casa di quest’ultima, e colà Caterina Folco stipulò, finalmente, con Berruti Raffaele un atto notarile212, con il quale la Folco vendeva a Berruti tutte le suppellettili, i mobili e i prodotti farmaceutici, già appartenuti al marito Giuseppe Calmarini, in modo che il Berruti potesse iniziare la sua attività come nuovo gestore della Farmacia di via Fiume. Mancava, ormai, soltanto l’autorizzazione ministeriale. Con atto 11 dicembre 1876, il Ministro dell’Interno autorizzò Berruti Raffaele “a tener farmacia in Finalborgo in qualità di titolare”.

212

Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali, Notaio Gian Bernardo Rozio, atto 8 novembre 1876, n. 251, cessione di effetti mobili: “1876, 8 novembre n. 251 Cessione di effetti mobili La Sig.ra Caterina Folco fu Antonio, proprietaria cede al Sig. Raffaele Berruti tutti gli oggetti mobili inerenti alla Farmacia esercitata dal fu suo marito Giuseppe Calmarini, consistente in tutti gli scaffali in detta Farmacia, bilance, sedie, tavoli, armadi, vasi di diversa dimensione, bottiglie, rami, speziarie e droghe di diversa qualità e valore, niente escluso né riservato. Detta cessione è fatta per lire 650 che sono sborsate dal Berruti e ritirate dalla Folco. Atto stipulato nella casa della Folco, fuori Porta Reale. Testimoni presenti: Sig. Levrato Gio Batta fu Angelo, dottore in Medicina e Giovanni Bergallo impiegato del Dazio Municipale. Seguono le firme di tutti i presenti, tranne della Folco che non sa scrivere, ne firmare”. 128

fig. 39 – licenza d’esercizio della Farmacia – Archivio Berruti

I coniugi Berruti ebbero sei figli, una femmina e cinque maschi, dei quali due morirono in tenera età. Giuseppe e Daniele si laurearono in farmacia. Il fratello Mario, invece, dopo un iniziale tentativo di studiare farmacia, abbandonò quella facoltà a causa di un “improvviso svenimento” alla prima prova pratica di anatomia, e preferì dedicarsi allo studio dei codici, divenendo noto e apprezzato magistrato. Il 23 febbraio 1887 Finalborgo, come tutta la Liguria di Ponente, subì un tremendo terremoto. Anche la casa di via Fiume, e la farmacia, subirono gravi danni, tanto che la casa venne dichiarata “inabitabile”, e i danni vennero quantificati in lire 1.000. 129

La farmacia dovette essere temporaneamente spostata, a causa dei danni, e per alcuni anni la famiglia Berruti trasferì sia la farmacia sia la propria casa di abitazione in via Delle Scuole (l’attuale via Brunenghi, nella parte terminale, che si restringe prima di arrivare alla Piazza Milite Ignoto).

fig. 40 – carta intestata della Farmacia Berruti del 1876

Il dott. Raffaele Berruti morì nel 1895, a soli 41 anni, e la Farmacia passò ai figli Giuseppe e Daniele. Giuseppe Berruti subentrò al padre e gestì la farmacia di via Fiume fino alla sua morte, avvenuta nel 1926.

Fig. 41 - Giuseppe Berruti 1877-1926

fig. 42 - Daniele Berruti 1882-1919

Il 28 settembre 1900 Finalborgo fu investita da una tremenda alluvione provocata dalla piena dei fiumi Pora e Aquila che sommerse per almeno un metro e mezzo la casa di via Fiume. D’altra parte l’edificio si trovava (e si trova) nel punto in cui il fiume Aquila è attraversato dal Ponte che dà accesso alla Porta Reale. Il Ponte ben presto fece da barriera, contro il quale si bloccarono ogni tipo di detriti, a cominciare dagli alberi che venivano trasportati a valle dalla furia delle acque. Si formò quindi una diga che provocò uno straripamento eccezionale in quel punto. L’acqua scardinò la porta di ingresso di accesso alle scale, e soprattutto invase la Farmacia provocando un vero e proprio disastro: “Producono maggiore impressione le due Farmacie Berruti e Dogliotti, donde i vasi medicinali si videro galleggiare e tingere in vario modo le acque devastatrici”213.

213

Enrico Pamparino, L’alluvione del 1900, Ennepilibri 2006, pag. 31 130

Da tale annotazione veniamo quindi a sapere che nel 1900 la seconda Farmacia, che si trovava in via Nicotera, nel “Palazzo” Chiazzari, e che oggi costituisce il lato ovest della Piazza Garibaldi, era condotta dal Dott. Bernardo Dogliotti. I Dogliotti erano una famiglia di maestri farmacisti piemontesi, già presenti a Genova negli anni 1850-1870214. Vi è un altro documento da cui si ricava la certezza che la Farmacia di via Nicotera era gestita dal dott. Dogliotti215. Seduta del 14 agosto 1900. Intervenuti Gozo Cav. Felice Sindaco, Brunenghi Comm. Domenico, Drago Camillo Assessori coll’assistenza dell’infrascritto Segretaro: 1°. La Giunta presa in esame la domanda del Farmacista Sig. Bernardo Dogliotti tendente ad ottenere autorizzazione di apporre in via dei Tribunali e precisamente sull’angolo confinante colla Casa Chiazzari una decorosa insegna metallica colla scritta – Farmacia Dogliotti –, approva il chiesto collocamento a condizione venga posta ad un’altezza non minore di quattro metri e che i chiodi di sostegno vengano piantati fuori della lesena e la lastra venga collocata con speciali occhielli da potersi togliere a semplice richiesta del Municipio.

Non è stato possibile reperire la data in cui il dott. Dogliotti abbandonò la farmacia di via Nicotera, ma è verosimile che la cedette a Daniele Berruti (fratello di Giuseppe, il farmacista di via Fiume) intorno al 1908. Il dott. Daniele morì, all’età di 37 anni, il 20 settembre 1919. Dopo una iniziale sospensione dell’attività della Farmacia di via Nicotera, decretata dalla Prefettura di Albenga il 26 gennaio 1920, a metà del 1921 la stessa Prefettura intimò alla famiglia Berruti di riaprire la farmacia o di rinunciare alla sua gestione. Il 23 agosto 1921 Maria Berruti, per conto della famiglia, con apposito atto, rinunciò all’esercizio della farmacia di via Nicotera, continuando, invece, nella gestione di quella di via Fiume, con il dott. Giuseppe Berruti. Maria, sorella di Daniele e Giuseppe, si occupava degli “affari” di famiglia; il fratello Mario, giudice del Tribunale di Savona e sostituto procuratore presso quella Procura, giustamente si astenne dall’occuparsi di questioni “commerciali”. Giuseppe Berruti morì all’età di 48 anni il 12 febbraio 1926. Sicché la gestione della farmacia di via Fiume dovette essere ceduta a farmacisti estranei alla famiglia. Nel mese di marzo 1926, a conclusione di una breve trattativa, la farmacia fu ceduta da Maria Berruti al dottor Giacomo Bonora. Il 4 settembre 1926 Finalborgo fu investito da una nuova tremenda alluvione, provocata dallo straripamento dei due fiumi Pora e Finalborgo, e che fu non meno catastrofica di quella del 1900. In base alle risultanze del SICI (Sistema Informativo sulle catastrofi idrogeologiche), i danni furono gravissimi. Ed infatti si registrò che: A Finalborgo, nel centro del paese, l'acqua ha raggiunto i 3 metri di altezza. Nelle strade di Finalborgo si ha un deposito di fanghiglia alto 0,5 metri. Danni: 214

Pier Luigi Derchi, Farmacie e leggende, Erga edizioni, 2002, pag. 125 Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Finalborgo 1.91.65 (verbali della giunta municipale 18971900) 215

131

Edifici pubblici (Totale) Strutture di interesse pubblico - Ponti e viadotti (Totale) Infrastrutture a rete - Linea di telecomunicazioni (Totale) Edifici civili - Centri abitati (Grave) Edifici industriali - Manifatturieri in genere (Grave)

• • • • •

Si può vedere il risultato che la forza delle acque ebbe sul ponte di Porta Reale dall’immagine di cui alla figura 32, nelle precedenti pagine. Per quanto riguarda i danni alla Farmacia e alla casa, il dott. Mario Berruti aveva conservato con cura i conti di quanto ebbe a spendere per la riparazione dei danni. Da tali conti si viene a sapere che il falegname Giuseppe Daccò, di Finalborgo, riparò il portone di casa (95 lire), e quello della Farmacia (80 lire), ma dovette rifare da nuovo la porta che dava accesso al magazzino della Farmacia dall’attuale piazza Milite Ignoto (150 lire); ridipinse di verde anche due porte del piano terreno (55 lire). Altre due furono le alluvioni che investirono Finalborgo, il 26 settembre 1933 e il 7 novembre 1934, ma non ebbero, per fortuna, le stesse tremende conseguenze. Il dott. Bonora gestì la farmacia fino al febbraio 1951, data della sua morte. La figlia di questi, Miledy, e la vedova Gentile Ugolini, assunsero temporaneamente una "Direttrice", in attesa di trovare un nuovo farmacista cui cedere la licenza. Il 1 dicembre 1951 veniva stipulato un contratto preliminare con il dr. Nicola Accame, farmacista di Loano, il quale tuttavia aveva chiesto tempo, al fine di valutare la convenienza della cessione: il contratto prevedeva la scadenza del 30 novembre del 1952 per la stipula dell’atto definitivo. Evidentemente il “periodo di prova” andò bene, e gli affari pure, perché il 7 dicembre 1952 il dott. Accame sottoscrisse la cessione, che quindi divenne definitiva. Il 14 marzo 1961 succedette al dott. Accame, nella gestione della farmacia, il dott. Mario Manfredi216, nato a Lerici il 14 luglio 1900, il quale la lasciò nel 1970. Il 2 febbraio 1970 subentrò il dott. Goffredo Assirelli, di Piacenza, il quale apportò, a metà degli anni ’70, profondi miglioramenti, anche strutturali, alla farmacia. Il 15 luglio 1998 al dott. Goffredo subentrò il figlio Lino, che oggi gestisce la farmacia con la dottoressa Maria Anna Longo.

216

Dati forniti dall’Ordine dei Farmacisti della Provincia di Savona, che si ringrazia 132

Fonti e bibliografia A.- Estimi e Catasti 1) Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Marchesato 05-75 (Registri nuovi di Borgo, Monticello e Perti, 1658) 2) Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Marchesato 05-83 (Note dei registri di Borgo 1675) 3) Archivio Storico Comunale di Finale Ligure Marchesato, 05.101 (Catasto Finalborgo 16751689) 4) Archivio Storico Comunale di Finale Ligure Marchesato, 05.102 (Catasto Finalborgo 16901790) 5) Archivio Storico Comunale di Finale Ligure Marchesato 05.103 (Catasto Finalborgo 17401797) 6) Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Estimo della Repubblica Democratica Ligure 1798, Finalborgo 1-50.11 7) Archivio di Stato di Torino, Catasto Napoleonico 1813: Section H dite du Prato à l’Aquila 8) Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Finalborgo Catasti, 168-228 (Nuovo Catasto delle denunce di terreni e case esistenti nel circondario, 1818) 9) Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Finalborgo Catasti, 1/189-236 (Stato generale di tutte le mutazioni 1° settembre 1863) B.- Censimenti 1) Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Registro della popolazione del 1857 2) Archivio Storico comunale di Finale ligure, 1.7.32, Stati delle anime delle tre parrocchie, 1806-1809 3) Archivio Storico comunale di Finale ligure, 1.7.34, Censimento della popolazione 1806 C.- Relazioni, Istanze, Contratti, Atti giudiziari: 1) Cattaneo De Marini Filippo, Sotto il felice e dolce dominio della serenissima repubblica, a cura di G. Assereto e G. Dongiovanni, Elio Ferraris Editore, Savona, 2003, pag. 86. 2) Archivio di Stato di Milano, Militare Parte Antica, Personali Buoj-Bur, 234, istanza di Giacinto e Domenico Burlo del 18.9.1621 3) Archivio di Stato di Milano, Militare Parte Antica, Personali Sb-Se, 296 4) Archivio Storico Comunale di Finale Ligure, Curia Criminale 336, anni 1703-1705 5) Archivio di Stato di Genova, Camera di Governo e Finanza, 2749 6) Archivio di Stato di Genova, Camera di Governo e Finanza, 2750 7) Archivio di Stato di Genova, Camera di Governo e Finanza, 2752 D.- Registri 133

1) Archivio storico comunale di Finale Ligure, Finalborgo, 1.269.352 (Terremoto: sovvenzioni ai danneggiati e stato dei danni, 1887- 1901) 2) Archivio storico comunale di Finale Ligure, Finalborgo, 1.269.353 (Alluvione del 28 settembre 1900: danni, sussidi ai danneggiati, 1900-1901) 3) Archivio vescovile di Albenga, registri dei battesimi, matrimoni e decessi 4) Archivio vescovile di Acqui Terme, registri dei battesimi, matrimoni e decessi 5) Archivio parrocchiale di Finalborgo, registri dei battesimi, matrimoni e decessi E.- Atti notarili 1) Domenico Maria Ungaro, notaio in Finalborgo, rogiti 1662-1683, in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali 2) Pietro Battista Picco, notaio in Finalborgo, rogiti 1672 - 1687, in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali 3) Paolo Alessandro Vimercati, notaio in Milano, rogiti 1692, in Archivio di Stato di Milano, Notarile 4) Tomaso Agostino Sciora, notaio in Finalborgo, rogiti 1695-1752, in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali 5) Carlo Giuseppe Ungaro, notaio in Finalborgo, rogiti 1710, in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali 6) Nicolò Maria Picco, notaio in Finalborgo, rogiti 1717, in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali 7) Gio Paolo Sciora, notaio in Finalborgo, rogiti 1746-1788, in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali 8) Giuseppe Casatroia, notaio in Finalborgo, rogiti 1750-1787, in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali 9) Gio Paolo Sciora, notaio in Finalborgo, rogiti 1746-1788, in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali 10) Giuseppe Bono, notaio in Finalborgo, rogiti 1750-1781, in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali 11) Giuseppe Casatroia, notaio in Finalborgo, rogiti 1750-1787, in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali 12) Domenico Cappellini, Notaio in Finalborgo, rogiti 1768-1822, in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali 13) Pier Giovanni Rozio, Notaio in Finalborgo, rogiti 1770-1817, in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali 14) Vincenzo Casatroia, notaio in Finalborgo, rogiti 1782-1836, in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali 15) Francesco Lodovico Sciora, Notaio in Finalborgo, rogiti 1791-1811, in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali 134

16) Cristoforo Cappellini, Notaio in Finalborgo, rogiti 1794-1829, in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali 17) Felice Racchetti, Notaio in Altare, rogiti 1815-1855, in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali 18) Giorgio Rozio, Notaio in Finalborgo, rogiti 1817-1861, in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali 19) Domenico Bonora, Notaio in Finalborgo, rogiti 1817-1847, in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali 20) Nicolò Casatroia, Notaio in Finalborgo, rogiti 1837-1846, in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali 21) Domenico Bonora, Notaio in Finalborgo, rogiti 1844, in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali 22) Gian Bernardo Rozio, Notaio in Calice Ligure, rogiti 1846-1888, in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali 23) Emanuele Bozino, notaio in Calice Ligure, rogiti 1850-1895, in Archivio di Stato di Savona, Notai distrettuali F.- Ricerche per la Farmacia 1) Archivio di Stato di Savona, Dipartimento di Montenotte, Faldone 35 2) Archivio di Stato di Genova, Repubblica Ligure, 98 3) Archivio di Stato di Genova, Università, 1292, 3 (fascicolo di Raffaele Berruti) 4) Archivio storico comunale di Finale Ligure, Finale e Finalborgo 1.401.12, Libro dei deputati della Congregazione dell’Oratorio per la distribuzione delle rendite del fu canonico Alessandro Sevizzani, 1623–1690) 5) Archivio storico comunale di Finale Ligure, Finale e Finalborgo 1.102.76 (copie di deliberazioni consiglio comunale, 1881-1890) 6) Archivio storico comunale di Finale Ligure, Finale e Finalborgo 1.77.51 (Verbali deliberazioni consiglio comunale, 1871-1880) 7) Archivio storico comunale di Finale Ligure, Finale e Finalborgo 1.78.52 (Verbali deliberazioni consiglio comunale, 1881-1890) 8) Archivio storico comunale di Finale Ligure, Finale e Finalborgo 1.79.53 (Verbali deliberazioni consiglio comunale, 1891-1896) 9) Archivio storico comunale di Finale Ligure, Finale e Finalborgo 1.80.54 (Verbali deliberazioni consiglio comunale, 1897-1900); 10) Archivio storico comunale di Finale Ligure, Finale e Finalborgo 1.81.55 (Verbali deliberazioni consiglio comunale, 1901-1905). 11) Deliberazioni comunali, presso il Archivio Storico Comunale di Finale Ligure 12) Bondavalli F. – Caviglioli G. – Marchi M. (a cura di), Dall’arte degli speziali alla scienza del farmaco a Genova, Genova, De Ferrari, 2004 (coll. RL.LIG.615.DAL), Biblioteca Berio di 135

Genova 13) Derchi P.L., Speziali genovesi... e föresti, Genova, Nuova editrice genovese, 1996 (coll. RL.GE.615.900.9.DER), Biblioteca Berio di Genova 14) Derchi P.L., Farmacie di Liguria: maestri speziali da megö e da dösci, Genova, Erga, 1998 (coll. RL.LIG.615.DER), Biblioteca Berio di Genova 15) Derchi P.L., Farmacie e leggende: nelle alte valli Polcevera, Stura, Bormida, Genova, Erga, 2002 (coll. RL.LIG.615.09.DER), Biblioteca Berio di Genova 16) Rainusso A.F., Guida-dizionario ligure della corografia e del commercio di Genova e Provincia 1887-88, Santa Margherita Ligure, s.d. (coll. GEN.A.490), Biblioteca Berio di Genova 17) Savelli R. (a cura di), L’archivio storico dell’Università di Genova, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, CVII, Genova, 1993 (coll. RL.GE.C.027.ARC), Biblioteca Berio di Genova G.- Consultazioni 1) AA.VV. La chiesa e il convento di Santa Caterina in Finalborgo, Sagep, 1982 2) G. Assereto e G. Bongiovanni (a cura di) Filippo Cattaneo De Marini, Sotto il felice e dolce dominio della serenissima repubblica, Elio Ferraris Editore, 2003 3) P.A. Azais, Un po’ di cronistoria finalese, quello che ho udito, visto, scritto, Grafiche Riviera, Ceriale, 1970 4) D. Ballarò e R. Grossi, Finalborgo, spazio urbano tra Sette e Ottocento, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Finale Ligure 2001 5) G. Beretta, Strada d’Alessandria al Finale, Archivio Storico Civico di Milano, Biblioteca Trivulziana, Fondo Belgioioso, Militare, busta 261 6) G. Berta, Memorie ed immagini sulle vie di Finalborgo, un pretesto per descrivere il nostro burgum e la sua Pubblica Assistenza, 1999 7) F. Bogarelli e B. Massabò, La Liguria Occidentale, in “Vie Romane in Liguria”, a cura di Rinaldo Luccardini, De Ferrari editore, 2001 8) N.C. Garoni, Codice della Liguria, Tip. del R.I. de’ Sordo-Muti, Genova, 1870 9) M. Gasparini, La Spagna e il Finale dal 1567 al 1619, Istituto Internazionale di Studi Liguri, Museo Bicknel, Bordighera, 1958 10) R. Magdaleno, "Papeles de estado Milan y Saboya", 1961 11) G. B. Moriondo, Monumenta Aquensia, II, Taurini 1790, riproduzione anastatica Forni editore 12) G. Murialdo, La chiesa e il convento di Santa Caterina in Finalborgo, Genova 1982 13) G. Murialdo, La fondazione del Burgus Finarii nel quadro possessorio dei Marchesi di Savona o del Carretto, Rivista Ingauna e Intemelia, XL, n. 1-3, 1985 14) G. Murialdo, G. Rossini. M. Scarrone, La Collegiata di San Biagio in Finalborgo, Savona, 1991 15) G. Murialdo G., P. Palazzi, L. Parodi, Finalborgo 1997-2001: archeologia di un borgo 136

medievale, in Ligures, I 16) R. Musso, Finale e lo Stato di Milano (XV-XVII secolo), in AA.VV. Storia di Finale, 1997, Finale Ligure, Daner Elio Ferrarsi editore 17) E. Pamparino, L’alluvione del 1900, Ennepilibri 2006 18) V. Polonio, Diocesi di Savona, Noli, in “Liguria monastica”, Cesena, 1979 19) G. Prestipino, Sulle strade dei pellegrini, Istituto Internazionale di studi liguri, 2000 20) G. Salvi, Tre quistioni di storia finalese, Genova 1933 21) G.A. Silla, Storia del Finale, vol. I, Tip. Bolla, Finalborgo, 1922 22) G.A. Silla, Storia del Finale, vol. II, Tip. Priamar, Savona 1964-1965 23) G. Testa, La strada Beretta, 1666 una via per l’Imperatrice, Centro Storico del Finale, Finale Ligure, 2002 24) G. Testa, Le strade di ieri, l’evoluzione delle vie di comunicazione nel finalese, Edizioni De’ Giusti, Finale Ligure, 2007 25) S. Ticineto, Il Marchesato di Finale – La Strada Beretta, GRIFL, 1999

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