Fake trailer e Cultura Convergente

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Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia Dipartimento di Comunicazione ed Economia

Corso di Laurea Scienze della Comunicazione Anno Accademico 2012/2013

Titolo della tesi

Fake trailer e Cultura Convergente

Relatore: Prof. Nicola Maria Dusi Laureanda: Veronica Pinetti Matricola: 55838

INDICE Introduzione 1. I TRAILER E LA PARATESTUALITÀ 1.1. Trailer come traduzione intrasemiotica 1.2. Il ruolo dei fake trailer nella Cultura Convergente 2. CULTURA CONVERGENTE Analisi della serie tv Sherlock come esempio di transmedia storytelling 2.1. Convergenza mediatica 2.2. Cultura partecipativa 2.3. Intelligenza collettiva 3. OPEN CINEMA E FAKE TRAILER 3.1. La nascita dei fake trailer tra desiderio e frustrazione dei fan 3.2. I fake trailer di The Avengers 3.2.1. Trailer fanmade 3.2.2. Falsi sequel 3.2.3. Derp trailer 3.2.4. Honest trailer 4. LA RISPOSTA DELLE PRODUCTION I fake trailer dal commerciale all'interattività 4.1. Grindouse porta i fake trailer al cinema 4.2. Sviluppo di un marketing non convenzionale 4.2.1. I fake trailer di Hobo with a Shutgun e Kung Fury 4.2.2. Sherlock e il trailer interattivo 4.3. Riflessioni conclusive

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Conclusioni Bibliografia Siti internet Filmografia

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INTRODUZIONE Con questo lavoro ci proponiamo di dimostrare che ruolo abbiano i fake trailer in quest'epoca di convergenza tra testi ufficiali e testi creati dagli stessi utenti, e come il loro sviluppo e la loro diffusione abbia un punto di incontro tra questi due tipi di produzione. Le ricerche precedenti si focalizzano soprattutto sul ruolo del trailer in quanto tale, identificandolo come traduzione intrasemiotica e come paratesto più diffuso. Questo termine è stato definito da Genette (1987) come una zona di transazione, una forma breve che avrà sempre bisogno di un testo principale a cui riferirsi, e verso cui inviare lo spettatore. Il ruolo dei falsi trailer nei media digitali è ancora confuso e indefinito. Nato come passatempo, in pochi anni è diventato un fenomeno virale in rete, assumendo le più varie accezioni. Chi si immerge nel mondo dei fake trailer per la prima volta si troverà coinvolto subito in un mondo a sé stante, in cui i falsi sequel e i trailer fanmade, ovvero trailer non ufficiali prodotti da semplici fan, regnano sovrani. I creatori di questi trailer sono, in maggioranza, semplici spettatori che desiderano realizzare un tributo a un determinato film o a un particolare tema, coppia, personaggio famoso che li ha colpiti. Chiunque abbia un minimo di conoscenza digitale e di software può farlo e una volta postato su un canale di videosharing come YouTube tutto il popolo di rete può usufruirne. I fake trailer quindi possono essere collocati nella zona del paratesto? O è più corretto dire che in questa nuova Cultura Convergente non è necessario che vi sia un testo principale a cui fare riferimento ma vi sono altri collegamenti che permettono al fake trailer di contestualizzarsi? Il concetto transmedia storytelling introdotto da Jenkins, si riferisce proprio alla capacità di una narrazione di essere divisa e dispersa su molteplici canali, dando così la possibilità allo spettatore di usufruire di informazioni sempre nuove che dovrà essere lui il primo a cercare. Infatti con i nuovi media lo spettatore ha progressivamente abbandonato il ruolo passivo del passato, in cui si accontentava di 3

guardare, ma sfrutta le tecnologie offertegli dagli nuovi media per partecipare e interagire con i testi che i producer gli offrono. Questa nuova partecipazione del pubblico, specialmente degli appassionati, ha dato il via a un processo di convergenza tra testi mainstream, ovvero creati direttamente dal pubblico, e produzioni ufficiali, processo che Jenkins (2006) chiama Cultura Convergente, e che analizza utilizzando tre concetti e costruendo attorno ad essi il discorso: stiamo parlando di convergenza mediatica, cultura partecipativa e intelligenza collettiva, concetti che approfondirò nel secondo capitolo in relazione alla serie tv Sherlock (Gatiss, Moffat, 2010), che dimostra essere un buon esempio di transmedia storytelling. Nel terzo capitolo invece osserveremo un po' più da vicino il fenomeno dei fake trailer che abbiamo anticipato, soffermandoci su come la rielaborazione del testo avvenga sia sul piano dell'espressione sia sul piano del contenuto, conferendogli così una propria autenticità semiotica. Questo fenomeno di appropriazione del materiale filmico da parte dei fan viene spiegato da Paolo Peverini (2010) con l'espressione Open Cinema, che noi analizzeremo prendendo come testo esemplare: The Avengers (Joss Whedon, 2012), studiando alcune forme paratestuali nate intorno a questo fenomeno. I fake trailer quindi ci mostrano come gli utenti ormai abbiano una propria indipendenza creativa, di fronte a questa nuova realtà alcuni studios hanno capito che per sopravvivere devono immettersi in questo nuovo flusso multimediale, dare al pubblico ciò che vogliono ancora prima che loro lo chiedano, rinegoziando il rapporto che hanno con questi nuovi prosumers. Vedremo nel quarto capitolo questa nuova forma di marketing non convenzionale, in cui il pubblico è coinvolto in prima persona e sviluppa una sorta di cooperazione con il produttore. Analizzeremo quindi il film Grindhouse (Quentin Tarantino e Robert Rodriguez, 2007), che porta per la prima volta al cinema i fake trailer, dandogli così un valore commerciale; guarderemo poi il progetto Kung Fury (David Sandberg), che per ora esiste solo in forma di trailer, ma è stata aperta una campagna di Kickstarter dedicata, in cui lo spettatore può donare quanto desidera per la realizzazione del film 4

completo. Infine studieremo la campagna promozionale della terza stagione di Sherlock, che si basa proprio su questo principio d'interazione, in cui lo scopo è una reazione da parte dell'utente; ci soffermeremo quindi sul trailer interattivo, un trailer identico nella forma a quello di lancio ma in cui alcune scritte si trasformano in link ipertestuali che ci collegano ad altri contenuti. Questo trailer quindi può essere un esempio di un tipo di incontro tra produttori e pubblico: gli autori hanno trovato la chiave di volta per interagire direttamente con i fan, puntando sulla loro passione. La passione dei fan li spinge ad agire, a partecipare, e vengono quindi coinvolti in una relazione con il testo sempre più stretta; se le case di produzione accettassero di coinvolgere il pubblico in ogni fase di produzione del testo filmico, quella che si verrebbe a creare sarebbe una cooperazione in cui le possibilità per far interagire lo spettatore sarebbero potenzialmente infinite.

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CAPITOLO 1: TRAILER E PARATESTUALITÀ Il mondo attuale sta assistendo a un processo che Henry Jenkins chiama Cultura Convergente: “per «convergenza» intendo il flusso dei contenuti su più piattaforme, la cooperazione tra più settori dell'industria dei media e il migrare del pubblico alla ricerca continua di nuove esperienze di intrattenimento”1. Vi è infatti una grande offerta di forme brevi audiovisive e digitali, come i videoclip musicali, i trailer o gli spot pubblicitari, e il consumatore si trova ad aver bisogno di strumenti d'orientamento; il trailer è il prodotto di marketing che negli anni è riuscito a mantenere “una propria specificità narrativa e cinematografica, pur collocandosi ormai in un'ampia offerta di paratesti variamente declinabili”2. Il termine paratesto ora viene usato in diverse discipline, ma in realtà è nato intorno agli anni Ottanta per una disciplina specifica, la narratologia, una branca della letteratura. In seguito è stato definito da Gérard Genette come una soglia..., costituisce, tra il testo e ciò che ne è al di fuori, una zona non solo di transizione, ma di transazione: luogo privilegiato di una pragmatica e di una strategia, di un'azione sul pubblico, con il compito, più o meno ben compreso e realizzato, di far meglio accogliere il testo e di sviluppare una lettura più pertinente, agli occhi, s'intende, dell'autore e dei suoi alleati.3

Il trailer si presenta come una forma breve in rapporto con un altro testo che, mostrando allo spettatore una piccola anticipazione di quello che vedrà in sala, lo rinvia al testo filmico; la caratteristica delle forme brevi infatti, oltre alla loro limitata durata (massimo pochi minuti), è che non nascono brevi per se stesse, ma sono collegate ai testi a cui si riferiscono, indirizzando in questo modo lo spettatore. 1 Jenkins, H., Convergence culture: where old and new media collide, New York University Press, New York 2006; trad. it., Cultura convergente, Milano, Apogeo, 2007,p. 25. 2 Dusi, N., “Le forme del trailer”, in Pezzini I. (a cura di), Trailer, spot, clip, siti, banner, Roma, Meltemi, 2002, p. 36. 3 Genette, G., Seuils, (1987), trad. it., Cederna C. M. (a cura di) Soglie. I dintorni del testo, Torino, Einaudi, 1989, p. 4.

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Come ricorda Genette, la funzione del paratesto è proprio questa, il suo ruolo dev'essere ausiliare, subordinato al testo, “e questa funzionalità determina l'essenza del suo aspetto e della sua esistenza.”4 Secondo questa logica il trailer dovrebbe dare allo spettatore una prova che quel film merita di essere visto, e per farlo gliene mostra in anteprima una piccola parte. Questo rinvio del tipo “pars pro toto”5 tuttavia non è la strategia usata dalla maggior parte dei trailer: I trailer sono micronarrazioni che si possono permettere di non seguire alcuna regola prefissata del racconto, frantumando l'ordine spazio-temporale, inventando false piste narrative, in una destrutturazione che dà del film una pretestuosa ricostruzione e spesso insegue disperatamente una propria coerenza tematica tramite una voce fuori campo o il leit-motiv musicale.6

1.1.

Trailer come traduzione intrasemiotica

Questo atto interpretativo del trailer è giustificato proprio dalla sua funzione: in quanto prodotto di merchandising non può limitarsi a fornire semplici informazioni, ma deve invogliare lo spettatore a vedere quel film, deve accendere il desiderio dell'utente puntando sull'aspetto patemico, cioè sulla passione che lo spingerà a vedere il film in sala. Questa creazione d'attesa, implica una manipolazione del materiale filmico, che verrà riadattato e trasformato in un altro testo, più breve e con una propria chiave di lettura, il trailer. Per questo il trailer viene pensato come “traduzione intrasemiotica”7, ovvero una traduzione in cui “le sostanze e la materia dell'espressione del testo di partenza e di 4 Ivi., p. 13. 5 Pezzini, I., “Forme brevi, a intelligenza del resto”, in Pezzini I. (a cura di), Trailer, spot, clip, siti, banner, Roma, Meltemi, 2002, p. 18. 6 Dusi, N., “Le forme del trailer”, cit., p. 38. 7 Ivi., p. 40.

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arrivo sono uguali”8. Grazie agli studi di Hjelmslev sappiamo che la materia esiste come massa amorfa a determinare la sua forma sono soltanto le funzioni della lingua, la funzione segnica e le altre da essa deducibili. La materia, rimane, ogni volta, sostanza per una nuova forma, e non ha altra esistenza possibile al di là del suo essere sostanza per questa o quella forma9.

I trailer si appropriano della materia del testo filmico e le conferiscono una “forma specifica, la forma del contenuto, che è indipendente dalla materia ed ha con essa un rapporto arbitrario, e la forma rendendola sostanza del contenuto”10. Sull'asse paradigmatico quindi il trailer può assumere una nuova forma del contenuto rispetto al singolo film, accedendo ad un campo più vasto e creativo [...], attraverso la messa in scena di differenze e assonanze che giocano sul senso profondo, sulla sostanza del contenuto, lavorando per così dire metaforicamente rispetto al film di partenza11.

In quanto traduzione comunque, il trailer ha bisogno di isotopie 12, ovvero un tema di base, intorno al quale si svilupperà il percorso del trailer. Le isotopie fungono da “denominatori comuni riconoscibili all'analisi..., diventano una sorta di piattaforma 8 Coppock, P., Bigi, N., “I segni intorno al testo”, in Dusi N. e Spaziante L. (a cura di), Remix, remake, pratiche di replicabilità, Roma, Meltemi, 2006, p. 345. 9 Hjelmslev, Louis., Prolegomena to a Theory of Language (1961), trad. it. Lepschy G. C. (a cura di), I fondamenti della teoria del linguaggio, Torino, Einaudi, 1968, p. 57. 10 Ivi. 11 Dusi, N., “Le forme del trailer”, cit., p. 39. 12 Greimas introduce questa nozione negli anni Sessanta, “come forma di ridondanza semantica necessaria alla disambiguazione di un testo e alla sua comprensione, utile a ritrovare il filo che lega la disseminazione di elementi omogenei nei testi.” Greimas, A. J., Semantique structurale, (1966) Paris, Larousse; nuova ed. 1986, Paris, PUF; trad. it. 1968, Semantica strutturale, Milano, Rizzoli; nuova ed. 2000, Roma, Meltemi. (Citato da Dusi, N., Spaziante, L., “Introduzione. Pratiche di replicabilità”, in Dusi, N., Spaziante, L. (a cura di), Remix, remake, pratiche di replicabilità, Roma, Meltemi, 2006, p. 33)

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condivisibile dai due testi”13, dicendo così allo spettatore di “cosa si sta parlando” e permettendogli di risalire al film a cui il trailer fa riferimento. 1.2.

Il ruolo dei fake trailer nella cultura convergente

Dobbiamo ricordare infatti che il trailer è pur sempre un paratesto, e in quanto tale esso non può esistere senza il suo testo originale. Cosa succede quindi quando viene creato un trailer che non indirizza ad alcun film? Questo fake trailer fa ancora parte del paratesto, o diventa un testo a se stante, non avendo nessuna opera a cui riferirsi? Nel mondo attuale dei nuovi media vi è un convergenza mediale, in cui la narrazione è diffusa su molteplici piattaforme mediatiche e lo spettatore deve migrare da una all'altra per poterne usufruirne nella sua totalità. In questa nuova cultura partecipativa “la tradizionale distinzione tra testo e contesto sembra sfumare progressivamente”14, e dovrà essere il pubblico stesso ad effettuare i riferimenti necessari. E' un azzardo quindi dire che, in questo processo di convergenza, anche se non vi è un testo originale a cui fare riferimento vi sono altri collegamenti che permettono al testo di contestualizzarsi?

13 Dusi, N., Il cinema come traduzione. Da un medium all'altro: letteratura, cinema, pittura, Torino, UTET, 2003, p. 102. 14 Peverini, P., Il videoclip. Strategie e figure di una forma breve, Roma, Meltemi, 2004, p. 39.

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CAPITOLO 2: CULTURA CONVERGENTE Analisi della serie tv Sherlock come esempio di transmedia storytelling Secondo Manovich (2002) attualmente la nostra società si trova coinvolta in “una nuova rivoluzione mediale: il passaggio di tutta la cultura, in ogni sua espressione, verso forme di produzione, distribuzione e comunicazione mediate dal computer” 1 . Jenkins (2007) sostiene che questo sviluppo ha portato a una forzata convivenza tra vecchi e nuovi media, per questo “la convergenza, piuttosto che il paradigma della rivoluzione digitale, sembra essere la spiegazione più plausibile del cambiamento mediatico degli ultimi anni2”. Infatti la nostra attenzione, più che sulle nuove tecnologie, si deve soffermare sulle pratiche culturali emergenti, che nascono, si sviluppano o modificano in relazione a queste nuove tecnologie: questo sviluppo ha permesso di eliminare i confini che delimitavano i vecchi media, permettendo così allo stesso contenuto di viaggiare su molteplici canali e assumere forme diverse. Questo procedimento viene definito da Jenkins transmedia storytelling e indica “un processo dove elementi integrali di una narrazione vengono dispersi sistematicamente attraverso molteplici canali con lo scopo di creare un'esperienza di intrattenimento coordinata e unificata”3. Ogni medium quindi dà un proprio contributo alla storia raccontata, fornendo allo spettatore la possibilità di entrare nella narrazione attraverso più canali, scoprendo pertanto informazioni nuove, diverse e diversificate. Il pubblico infatti ha abbandonato il ruolo passivo del passato, superando la nozione classica di audience, 1 Manovich Lev, The language of new media, (2001), tr. it. Il linguaggio dei nuovi media, a cura di Roberto Merlini, Milano, Olivares, 2002, p 37. 2 Jenkins, H., Convergence culture: where old and new media collide, New York University Press, New York 2006; trad. it., Cultura convergente, Milano, Apogeo, 2007, p. 37. 3 Jenkins, H., “Transmedia Storytelling 101”, reperibile sul sito http://henryjenkins.org/2007/03/transmedia_storytelling_101.html, 16 marzo 2014. Cfr. Zecca, F., “Cinema reloaded. Dalla convergenza dei media alla narrazione transmediale”, in Zecca, F. (a cura di), Il cinema della convergenza. Industria, racconto pubblico, a cura di Federico Zecca, Milano, Mimesis, 2012 p. 21.

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quando sprofondato nel proprio divano l'unica scelta che poteva fare si riduceva a consumo/non consumo, non si accontenta semplicemente di guardare, ma sfrutta le tecnologie che i nuovi media gli offrono per una conoscenza più dettagliata e profonda del testo. Il consumer moderno partecipa e reagisce agli impulsi che i producer gli inviano, interagendo direttamente con il materiale fornitogli. Jenkins analizza questo cambiamento epocale utilizzando tre concetti e costruendo attorno ad essi il suo discorso: stiamo parlando di convergenza mediatica, cultura partecipativa, e intelligenza collettiva, che noi analizzeremo usando come esempio pratico la serie tv Sherlock (Gatiss, Moffat, 2010). 2.1.

Convergenza mediatica

Innanzitutto Jenkins non è d'accordo con chi sostiene che transmedia sia un altro termine per definire il franchising: è vero infatti che c'è sempre stato il tentativo da parte delle case di produzione di spostare icone e marchi attraverso i canali mediatici, ma ciò non significa che fosse un tentativo di estendere la storia originale, espandendone portata e significato. La maggior parte dei franchising precedenti infatti era basata sulla ripetizione e la ridondanza, mentre il transmedia è una struttura basata sull'ulteriore sviluppo della storia attraverso diversi medium4. Ovviamente questo non vuol dire che non ci siano delle motivazioni economiche dietro la narrazione transmediale: l'industria attuale ha capito che dietro al desiderio di approfondimento dello spettatore vi è un forte attaccamento affettivo per la storia. Secondo la logica dell'economia affettiva, il consumatore ideale è attivo, affezionato e connesso socialmente. Guardare uno spot o consumare un prodotto non è più sufficiente; l'impresa invita il pubblico a partecipare alla comunità del brand.5 4 Cfr. Jenkins, H., “Transmedia 202: Further Reflections”, reperibile sul sito http://henryjenkins.org/2011/08/defining_transmedia_further_re.html, 16 marzo 2014. 5 Jenkins, H., Convergence culture: where old and new media collide, New York University Press, New York 2006; trad. it., Cultura convergente, Milano, Apogeo, 2007,p. 43.

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Il nuovo obiettivo dei produttori quindi è fornire ai consumatori nuovo materiale da visitare ed esplorare, tenendo vivo l'interesse, e allo stesso tempo aumentare i profitti e rafforzare la lealtà del pubblico. “I produttori – scrive Jenkins – si domandano sempre più spesso quali saranno le azioni dei fan, e costruiscono in anticipo degli spazi per la loro partecipazione attiva”6. Ed è proprio quello che hanno fatto Steven Moffat e Mark Gatiss, creatori della serie tv Sherlock (Regno Unito, 2010), targata BBC e buon esempio di transmedia storytelling. Il fatto di essere un racconto seriale lo rende, almeno in parte, già un racconto transmediale: Jenkins scrive infatti che la caratteristica di una serie è quella di avere una storia uniforme e di dividerla in più sequenze, che verranno poi diffuse con una certa frequenza. Nello stesso modo funziona anche il transmedia storytelling: una narrazione transmediale è composta da più parti, proprio come una serie tv, la differenza però è che questi testi non sono diffusi su un unico mezzo ma attraverso più sistemi multimediali. Ciò che permette di mantenere l'attenzione del pubblico è la presenza, tra una puntata e l'altra, di un cliffhanger, vale a dire che la puntata termina con un enigma, lasciando il consumatore in uno stato di tensione, una creazione d'attesa che spingerà il pubblico a vedere la puntata seguente. La prima puntata di Sherlock è stata rilasciata nel gennaio 2010 ed è composta da soli tre episodi per stagione, con un'attesa fra una stagione e l'altra di circa due anni. Liberamente tratta dall'opera originale di Arthur Conan Doyle, in questi quattro anni è riuscita a crearsi un fandom, cioè una comunità di fan unita dalla passione per questa serie, sempre più ampio e fedele, che va ben oltre i soli amanti dell'opera letteraria. Ciò che colpisce di questo fenomeno quindi è che la lunga attesa tra una 6 H. Jenkins, Revenge of the Origami Unicorn. The Remaining Four Principles of Transmedia Storytelling, 12 dicembre 2009, in Confessions o fan Aca/Fan. The Official Weblog of Henry Jenkins, http://henryjenkins.org/2009/12/revenge_of_the_origami_unicorn.html, (ultima visita 16 marzo 2014), (Citato da Zecca, F., “Cinema reloaded. Dalla convergenza dei media alla narrazione transmediale”, in Zecca F. (a cura di), Il cinema della convergenza. Industria, racconto pubblico, Milano, Mimesis, 2012 p. 35).

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stagione e l'altra, che poteva essere la principale causa del declino della serie, si è rivelata l'arma vincente; infatti, pur concludendo ogni puntata di fine stagione con un cliffhanger d'effetto, non basta a mantenere attiva l'attenzione del pubblico, che con il passare del tempo tenderebbe a dimenticarlo. Così, nei due anni di attesa, i produttori hanno fornito al consumer sempre nuovo materiale con cui intrattenersi e dilettarsi nella pausa, oltre ovviamente ai libri originali, in cui il pubblico può perdersi alla ricerca di citazioni e riferimenti della serie, e ai vari prodotti materiali di merchandising, come magliette, tazze e giochi da tavolo. In contemporanea all'uscita della serie tv nasce il blog di John Watson, 7 più volte nominato nella serie e realmente esistente sul Web, che viene aggiornato saltuariamente dal proprietario e commentato da gli altri personaggi presenti nella serie tv. In questo modo i fan riescono comunque a seguire le avventure dei due protagonisti, che attenendosi al canone, rielaborano le storie dei libri di Doyle. Esiste anche The science of deduction8, che nell'opera originale è solo un articolo di giornale scritto da Sherlock Holmes, mentre qui viene modernizzato e tradotto nel suo sito ufficiale, usato per trovare clienti prima dell'arrivo del blog di Watson, che si rivelerà molto più frequentato.

Il sito di Holmes si presenta minimalista e asettico, e non è un caso che a livello cromatico venga scelto il blu come colore dominante: fra i tre colori primari il blu è il 7 Reperibile al sito http://www.johnwatsonblog.co.uk/, ultima visita 16 marzo 2014. 8 Reperibile al sito http://www.thescienceofdeduction.co.uk/, ultima visita 16 marzo 2014.

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colore freddo, cioè rallenta la circolazione sanguigna; questa isotopia figurativa, ovvero una linea guida più concreta e legata al percepibile, ci ricollega immediatamente al carattere freddo e razionale di Sherlock Holmes. Inoltre non c'è nessuna foto per mantenere la segretezza in quanto detective, e ci sono solo poche righe di presentazione, in cui traspare comunque lo stile di Holmes: I'm Sherlock Holmes, the world's only consulting detective. I'm not going to go into detail about how I do what I do because chances are you wouldn't understand. If you've got a problem that you want me to solve, then contact me. Interesting cases only please. This is what I do: •1. I observe everything. •2. From what I observe, I deduce everything. •3. When I've eliminated the impossible, whatever remains, no matter how mad it might seem, must be the truth. If you need assistance, contact me and we'll discuss its potential.

Con poche frasi l'utente si trova all'interno dell'universo diegetico di Sherlock: per prima cosa infatti troviamo la sua professione, consulting detective, nominata da lui stesso nel primo episodio, contestualizzandoci così nella narrazione del serial; in seguito la frase, I'm not going to go into detail about how I do what I do because chances are you wouldn't understand, rivela la totale incapacità del personaggio di relazionarsi con il prossimo a causa della sua elevata intelligenza; questo riferimento nel testo funziona da isotopia tematica, situandoci a un livello di conoscenza più profondo del racconto, permettendo alla trasposizione di mantenere un livello di coerenza con l'opera d'origine. Infine termina con una frase del canone, presa dal libro “The sign of the Four”, When I've eliminated the impossible, whatever remains, no matter how mad it might seem, must be the truth. Questa citazione funge da isotopia intertestuale, che emerge quando si accostano tra loro più testi collegati attraverso citazioni e rimandi.

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Ciò che piace ai fan comunque è che il sito sembra davvero gestito dal protagonista, grazie alla caratterizzazione in characters, ovvero in linea con il comportamento e l'indole del personaggio televisivo. In questo modo al pubblico viene permesso di entrare in quel mondo finzionale attraverso un canale diverso, cioè la pagina Web, guardando così i personaggi da un'altra dimensione. Dall'altra parte però, gli sembrerà di vivere nello stesso universo diegetico di Holmes e Watson, annullando così la distanza tra personaggio di finzione e realtà. Nel 2012, dopo l'atteso finale della seconda stagione, al pubblico viene offerta la possibilità di approfondire le sue conoscenze grazie al libro Sherlock: the casebook9, una specie di manuale per i fan pieno di dettagli sulla vita di Sherlock e John prima che si conoscessero, sui casi risolti, e ricco di curiosità e foto riguardanti le riprese. Ciò che è interessante notare, leggendo i commenti su Amazon10, è che quello che interessa maggiormente i fan sembra essere la conoscenza dei piccoli dettagli riguardanti la vita dei due protagonisti, della loro relazione, proprio quando gli autori gliene privano. La stagione infatti, termina con la finta morte di Sherlock Holmes, che buttandosi giù da un palazzo farà credere a tutti, compreso Watson, di essere morto. L'inquadratura finale vede John distrutto emotivamente davanti alla tomba del detective, mentre quest'ultimo assiste alla scena nascosto dietro a un albero prima di andarsene da Londra.

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Guy Adams, “Sherlock: the casebook”, Random House UK ltd, BBC Books, 2012.

10 Reperibile al sito http://www.amazon.it/Sherlock-The-Casebook-Guy-Adams/dp/1849904251/ref=sr_1_1? ie=UTF8&qid=1395006058&sr=8-1&keywords=casebook+sherlock, 16 marzo 2014.

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[Inquadratura finale dell'episodio finale Reichenbach Fall] I produttori quindi anticipano i desideri del pubblico, dando a quest'ultimo ciò di cui ha bisogno in quel momento, ovvero sprazzi di vita quotidiana in cui Sherlock e John vivono ancora insieme. Il lutto, infatti, non è in questo caso solo un tema della puntata, bensì un sentimento che accomuna personaggi in scena e pubblico, com'è ravvisabile leggendo i commenti del fandom: Each case spans several pages with many post-it note additions from Sherlock. Their bantering via the post-it notes is simply hilarious and completely in character. […] The final entry from John brings back all the feels that Reichenbach11 gave to us to begin with, and a final post-it note from Sherlock is nearly nostalgic. (Sherlocked); This is a great book! Very funny! It is written like it is John Watsons scrapbook and there are post it notes throughout from Sherlock and John! (J. C. Goldenberg); And the little post it notes give a great little peek at Sherlock and John's off screen relationship. (Jonathan); Not only does it have some very cute bantering between John and Sherlock on post it notes but it really puts you in the mind of Moffat and Gatiss. […] Although the whole case file of The Reichenbach Fall had me in tears. (Sarah).

Il libro quindi perde la sua identità di testo e diventa un intertesto12, una connessione con un altro testo che aiuta l'utente a spostarsi da un medium all'altro, e al tempo 11 Con il termine Reichenbach l'utente si riferisce alla puntata finale della seconda stagione, il cui titolo è appunto The Reichenbach Fall.

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stesso ne definisce l'identità; “i testi, intesi come processi, possono diventare agenti attivi di concatenazione e riformulazione, ricombinazione e trasformazione traduttiva13”. Nel frattempo, proprio come Watson, anche il fandom dovrà aspettare letteralmente due anni per la ricomparsa di Holmes. Ed è in questa creazione d'attesa, resa meno dolorosa dalle piccole dosi di intrattenimento che i producer offrono nel frattempo, come ad esempio le interviste, i video e le foto presi direttamente dal backstage, un'app ludica per il cellulare, che si crea un partecipatory fan base14, cioè una comunità di fan che si unirà alla promozione e alla diffusione dell'universo filmico creando anche loro nuovi testi promozionali, che andranno ad inserirsi nell'universo narrativo. 2.2.

Cultura partecipativa

Se da una parte quindi abbiamo gli studios che con le loro strategie di marketing ci immergono nel testo, dall'altra sono gli stessi spettatori a non voler più uscire dall'universo narrativo, rifiutando la fine del racconto. Se ci siamo appassionati e legati all'opera sentiremo il desiderio di continuare a restare in “quel mondo diegetico: vogliamo estendere, prolungare, ripetere il piacere che vi abbiamo trovato15”. Questo “vagabondaggio” dello spettatore viene paragonato al concetto di flânerie, definito poeticamente da Charles Baudelaire e ripreso in seguito da Walter Benjamin. La flânerie si può definire come: 12 Dusi, N., Spaziante, L., “Introduzione. Pratiche di replicabilità”, in Dusi, N., Spaziante, L. (a cura di), Remix, remake, pratiche di replicabilità, Roma, Meltemi, 2006, p.9. 13 Ivi. 14 Zecca, F., “Cinema reloaded. Dalla convergenza dei media alla narrazione transmediale”, in Zecca F. (a cura di), Il cinema della convergenza. Industria, racconto pubblico, Milano, Mimesis, 2012 p. 33. 15 Brodesco A., “Lo spleen di Hollywood”, in ivi, p. 207.

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The activity of the sovereign spectator going about the city in order to find the things which occupy his gaze and thus complete his otherwise incomplete identity; satisfy his otherwise dissatisfied existence; replace the sense of bereavement with a sense of life16.

La caratteristica principale della figura del flâneur è la sua insoddisfazione di partenza, la sua continua ricerca di qualcosa che soddisfi e riempia la sua incompletezza. Lo stimolo che ci arriva dal film ci porta a vagabondare in rete e ad avviare una flânerie tra varie piattaforme, seguendo link e spostandoci su pagine differenti. Il nostro obiettivo a questo punto non è raggiungere una meta precisa, ma semplicemente trovare oggetti sempre nuovi che ci permettano di rimanere all'interno di questo mondo narrativo. Di fronte a queste nuove esigenze dello spettatore l'industria dell'audiovisivo ha saputo mettere in campo i dispositivi più adatti perché lo spettatore continuasse a inseguire le proprie passioni, ridefinite come un dato da sfruttare all'interno della cultura di mercato a fini di guadagno17.

Questo significa che l'universo narrativo costruito dal media franchise, cioè un marchio che verrà usato in diversi campi dell'intrattenimento, offrirà ampi spazi di divagazione, i confini non saranno definiti e il racconto non risulterà mai chiuso definitivamente, ma apparirà incompleto. In questo modo lo spettatore ha la possibilità di inserirsi, di cercare sempre nuovi contenuti distribuiti non solo dal franchise, ma creati direttamente da altri utenti, da fan che desiderosi di restare in quel mondo e ormai insoddisfatti del loro ruolo di 16 Kester, K., “Introduction”, in Id. (a cura di), The Flâneur, Routledge, Londra-New York, 1994, p.7, (Cit. Brodesco, A., “Lo spleen di Hollywood”, in Il cinema della convergenza. Industria, racconto pubblico, a cura di Federico Zecca, Milano, Mimesis, 2012 p. 207). 17 Ivi. p. 217.

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semplici “ricercatori”, ne diventano creatori, dando il via a una nuova cultura partecipativa. Nella sua analisi sui nuovi media Manovich sostiene che le strategie di lavoro con i computer sono ormai parte delle nostre stesse strategie cognitive... sia il lavoro sia il tempo libero, comportano l'utilizzo delle stesse interfacce. Questa nuova relazione più stretta tra lavoro e tempo libero si accompagna a una relazione più stretta tra autori e lettori.[...] la sovrapposizione tra produttori e utilizzatori è sempre più ampia. Ciò vale per il software che utilizzano entrambi i gruppi, le loro rispettive competenze e capacità, la struttura degli oggetti mediali tipici, e le loro operazioni sui dati informatici18.

Attualmente la maggior parte dei browser e dei motori di ricerca, i programmi di editing e i word processor, può essere usata sia da professionisti che da dilettanti, grazie alla loro diffusione in rete e alla minima differenza di prezzo tra programmi professionali e amatoriali. Questo permette di restringere il divario tra professionista e dilettante, permettendo all'utente di dar vita a nuovi oggetti creativi con cui si intrattiene e interagisce. Questo connubio fra facilitazione dei software e un consumer sempre più attivo ha creato un pubblico che si appropria dei contenuti delle narrazioni e le trasforma producendo fan fiction, fan fiction trailer, fan art, parodie, remixando contenuti o realizzando produzioni proprie a basso costo e impegnandosi in progetti più complessi.19

Il fandom di Sherlock si è dimostrato attivo e partecipe anche in questo: sollecitato implicitamente dai produttori, il cliffhanger finale lascia un ampio spazio di manovra ai fan, che nell'attesa, potranno sbizzarrirsi a immaginare e a creare una propria 18 Manovich, L., The Language of New Media, (2001); tr. it., Merlini, R. (a cura di), Il linguaggio dei nuovi media, Milano, Olivares, 2002, pp. 156-157. 19 Boccia Artieri, G., “Cinema e pubblici connessi” in Zecca, F. (a cura di), Il cinema della convergenza. Industria, racconto pubblico, Milano, Mimesis, 2012, pp. 261-262.

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versione della storia, teorizzando sul modo in cui Sherlock Holmes sia riuscito a salvarsi, cosa succederà ai due protagonisti nei due anni di lontananza, come sarà l'incontro con Watson al suo ritorno ecc, ecc... La necessità del fandom di colmare i buchi e ingannare l'attesa ha dato il via a una serie di produzioni creative grassroots, ovvero create dal pubblico, che va dalla produzione di fan fiction, cioè un insieme di manipolazioni che permette agli appassionati di creare dei propri racconti a partire dal testo originale, a varie tipologie di remix, in cui le immagini ufficiali vengono remixate dagli utenti in modo nuovo, dando vita a un nuovo oggetto mediale, che verrà poi diffuso su portali di video sharing come YouTube o sui siti del fandom specifico. Questi trailer prodotti dagli utenti vengono detti fake trailer o trailer fanmade. A questo punto possiamo dire che: la convergenza delle corporation coesiste con quella grassroots. Le imprese mediatiche stanno imparando ad accelerare il flusso dei contenuti attraverso i canali di ricezione per aumentare le occasioni di introiti, allargare i mercati e rafforzare la lealtà dei consumatori. Questi ultimi, a loro volta, imparano ad usare le diverse tecnologie mediatiche per condurre il flusso sotto il loro controllo e interagire con gli altri consumatori. Le promesse di questo nuovo ambiente mediale sollevano aspettative di un flusso di idee e contenuti più libero. Ispirati da tali ideali, i consumatori si battono per il diritto a una partecipazione culturale più completa.20

2.3.

Intelligenza collettiva

In seguito al finale della seconda stagione si è verificato un curioso fenomeno: i fan si sono riuniti e hanno creato un blog, The final problem21, in cui ognuno poteva esporre la sua teoria su come Sherlock fosse riuscito a sopravvivere saltando giù da un 20 Jenkins, H., “Cultura convergente”, cit., pp. 41 - 42. 21 Reperibile al sito http://finalproblem.tumblr.com/ , ultima visita 17 marzo 2014.

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palazzo, seguendo i pochi indizi che Moffat e Gatiss hanno seminato durante la puntata. Insieme i fan quindi sono riusciti a creare varie ipotesi plausibili, indirizzati o depistati dagli stessi produttori che con il loro personale profilo Twitter continuavano a mandare indizi ai fan. È per fenomeni come questi che Pierre Levy ha cognato il termine “intelligenza collettiva”, riferendosi a una nuova struttura sociale che è in grado di diffondere e produrre idee con una società connessa. Ogni utente fornisce le informazioni di cui dispone, formando una conoscenza comunitaria, e insieme lavorano per risolvere il problema. La dispersione di informazioni del transmedia storytelling consente che nessun singolo consumer abbia la conoscenza assoluta di tutto ciò che riguarda un determinato universo narrativo, obbligandolo così a parlare con altri utenti della serie. Il pubblico in questo modo mette in moto una serie di attivatori testuali, come la valutazione, l'archiviazione di informazioni e la produzione stessa di altro materiale, diventando così un cacciatore e ricercatore che si muove attraverso più canali narrativi, riunendo poi le informazioni disperse in un immagine coerente. 22 visto che abbiamo a disposizione, su qualsiasi tema, più dati di quelli che ognuno di noi può immagazzinare da solo, siamo maggiormente incentivati a parlare tra noi dei media che fruiamo. Questo parlare crea un rumore che il mondo dei media sta cominciando a valutare sempre di più. Il consumo si trasforma in un processo collettivo.23

Gli stessi produttori infatti, hanno detto più volte di aver seguito le teorie comparse sul sito, e il primo episodio della terza stagione, in cui Sherlock ritorna a Londra, ne è la prova: durante la puntata vengono fornite tre teorie su come il detective sia 22 Cfr. Henry Jenkins, “Transmedia storytelling 101”, reperibile sul sito http://henryjenkins.org/2007/03/transmedia_storytelling_101.html, ultima visita 17 marzo 2014. 23 Henry Jenkins, “Cultura convergente”, cit., p. 26.

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riuscito a salvarsi, cambiando ogni volta versione e non rivelando alla fine quale sia quella ufficiale, se ne esiste una ufficiale. Moffat e Gatiss sfruttano le idee dei fan e dialogano direttamente con loro attraverso i continui riferimenti agli indizi più sfruttati sul blog, l'opzione di una relazione omoerotica, e il tag #SherlockLive. Inoltre la seconda teoria viene esposta da un gruppo di fan che, convinto che Sherlock sia riuscito a sopravvivere, cerca un modo per dimostrarlo. Questa interazione tra produttori e fan si rivela quindi come una conseguenza del processo di convergenza, in cui i fan si ritrovano ad avere un ruolo attivo non solo come produttori mainstream, ma anche nella produzione ufficiale. D'altra parte, anche le produzioni grassroots cominciano ad assumere una certa importanza per le case di produzione, dalle quali traggono spunti e idee su cosa il pubblico pensa e desidera. Il punto di incontro fra le produzione grassroots e delle corporation, potrebbe coincidere con il punto di arrivo del processo della cultura convergente? Il trailer interattivo creato proprio per la terza stagione di Sherlock – oggetto di analisi del quarto capitolo – può dirsi un prototipo di questo d'incontro?

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CAPITOLO 3: OPEN CINEMA E FAKE TRAILER Per spiegare i fenomeni che investono il film nel momento in cui questo viene introdotto in rete, specialmente l'appropriazione e la rielaborazione del contenuto da parte dell'utente, Paolo Peverini introduce l'espressione Open Cinema, che da un punto di vista sociosemiotico, si tratta di circoscrivere un insieme di fenomeni relativi a complesse trasformazioni che interessano la forma-cinema a vari livelli, focalizzando l'attenzione sul contesto dei media digitali e sulle tattiche di consumo creativo messe in campo dalle audience.1

La rielaborazione che compie l'utente però non si limita semplicemente a un'opera di remix, in cui la rielaborazione del testo avviene solo sul piano dell'espressione, cambiando ad esempio la posizione delle immagini o la frequenza, ma si tratta di una manipolazione attiva e creativa, l'utente dà un nuove senso al testo che rielabora, conferendogli così una propria autenticità semiotica. Assistiamo dunque, in questo senso, a un allargamento del processo di ideazione e realizzazione del testo, Internet consente di riaprire il processo dell'enunciazione filmica valorizzando la cooperazione autoriale, la convergenza di saperi e pratiche distinti nella costruzione di un prodotto creativo.2

Il testo filmico quindi viene “smontato”, concedendo al pubblico di appropriarsi del suo materiale e di dargli una nuova forma, diventando così un mezzo che l'audience usa per creare nuovi testi brevi seguendo il suo scopo, che può essere ludico, critico o commerciale, ciò che conta è che il pubblico rielabora il contenuto della pellicola 1 Peverini, P., “La manipolazione filmica come consumo creativo. Soggetti, pratiche, testi”, in Peverini P. e De Blasio E. (a cura di), Open Cinema. Scenari di visione cinematografica negli anni '10, Roma, Frames, 2010, p. 17. 2 Ivi. p. 27.

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secondo i suoi gusti e i suoi criteri. Il film, […] è il catalizzatore di un insieme di pratiche della manipolazione che agiscono tanto sul piano dell'espressione quanto sul piano del contenuto del materiale originario, aprendo in alcuni casi a nuove modalità espressive. 3

Con l'aggettivo open quindi si intende due diverse dimensioni, che agiscono sulla forma cinema in due momenti differenti: –

apertura intesa come collaborazione sul versante enunciativo, apertura dei

ruoli produttivi, delle strategie di costruzione/distribuzione/promozione; –

apertura intesa come possibilità di riconfigurazione dei livelli del testo

filmico da parte degli spettatori.4

Come abbiamo visto in questa nuova cultura partecipativa, da parte loro alcuni spettatori hanno smesso di delegare alle case di produzione il compito di esaudire i propri desideri, e si sono trasformati in prosumer, incarnando sia il ruolo di producer, ovvero di produttore, sia di consumer, cioè di consumatore, entrando così nel processo co-creativo. Tuttavia non è possibile identificare un' audience omogeneo, coloro che partecipano a questo fenomeno spaziano dalla figura del dilettante al professionista, dai semplici appassionati ai videomaker, dai montatori ai fan. Nella nostra analisi, come abbiamo fatto precedentemente, ci soffermeremo soprattutto su quest'ultima figura, “nelle mille sfumature che vanno dall'appassionato semplice allo sfegatato e che ha trovato forme corrispondenti di risposte ai bisogni di narrazione, di coinvolgimento e di consumo sia nella produzione che nel mercato”5. Anche se abbiamo ristretto il campo, risulta comunque difficile trovare un 3 Ivi. p. 33. 4 Ivi. p. 30. 5 Boccia Artieri, G., “Cinema e pubblici connessi” in Il cinema della convergenza. Industria, racconto pubblico, a cura di Federico Zecca, Milano, Mimesis, 2012, p 268.

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continuum, un filo conduttore alla base dei numerosi video fanmade, cioè creati dai fan. La natura libera, spontanea e creativa con cui questi video nascono non permette di poterli catalogare con dei parametri precisi, tuttavia è possibile trovare una logica di fondo a queste rielaborazioni, “isolare delle aree espressive al cui interno far convergere, per quanto possibile, pratiche relativamente omogenee di reworking cinematografico realizzate da consumatori creativi”6. Questa logica nasce dall'incrocio e dalla relazione che si crea tra tre variabili: –

il ruolo di uno spettatore cinematografico più o meno attivo nei confronti del

testo di partenza e competente dal punto di vista degli strumenti tecnici necessari alla manipolazione del materiale filmico, con riferimento in particolare alle tecniche del montaggio e della post-produzione; –

il margine profondamente variabile di deformazione cui viene sottoposto il

testo cinematografico di partenza;



gli effetti di senso innescati dalla manipolazione del materiale espressivo.7

Estenderemo quindi lo sguardo su una serie di co-testi creati intorno al testo filmico, utilizzando come criterio guida queste tre variabili, e cercheremo di trovare alcune aree in cui la rielaborazione del testo avviene sia sul piano dell'espressione sia sul piano del contenuto, orientando le aspettative e la percezione del pubblico nei confronti del film. 3.1.

La nascita dei fake trailer tra desiderio e frustrazione dei fan

Come spiegato nel capitolo precedente, i trailer sono un punto di riferimento per il pubblico, attraverso questi infatti può orientarsi e decidere cosa andare a vedere. Con l'avvento però di nuove piattaforme di video sharing come YouTube e Vimeo, e di 6 Peverini, P., “La manipolazione filmica come consumo creativo. Soggetti, pratiche, testi”, cit., p. 35. 7 Ivi. p. 34.

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social network come Facebook e Twitter il trailer ha assunto un'accezione più ampia: l'utente non si limiterà a guardarlo, ma preso dall'entusiasmo lo condividerà così che anche i suoi amici possano vederlo, trasformando in questo modo il trailer in un fenomeno di visione collettiva. Come principale elemento di merchandising quindi, il trailer è il primo elemento di cui il fruitore attivo si appropria, modificandolo e plasmandolo secondo i suoi gusti. Per gli appassionati diventa un mezzo per mostrare quanto loro desiderino vedere il film, quanto lo aspettano, divulgando questo desiderio anche ad altre persone. With this anticipation surrounding the release of a feature film, fake and fan trailers play into cinematic discourses of release and hype. They allow creators and consumers to perform their cinematic desire for a film, which may be focused on an actorm a popular book from which the film was adapted, or a director, for example.8

Quante volte abbiamo sentito la seguente frase: “Non posso aspettare che questo film esca!” È a questo che si riferisce il concetto di anticipazione, a come l'audience non veda l'ora che esca il film e come questo influisca sulla sua manipolazione e sulla creazione di altri testi intorno al film originale. La visione del trailer genera nel pubblico un attaccamento che lo motiva a lavorare con il testo filmico ancora prima che esca nelle sale cinematografiche, immaginando così i suoi contenuti, lo stile e la forma, ingannando nel frattempo l'attesa.9 D'altra parte, abbiamo visto nel capitolo precedente che la nascita di queste forme di reworking può essere collegata anche alla nostalgia del fan, il quale una volta terminato l'evento filmico, si trova “a dover gestire uno spleen, una nostalgia istantanea e anticipata che lo spinge al rifiuto della compiutezza narrativa e lo induce a chiedere nuovi spazi di movimento10”. 8 Williams, K. A., “Fake and fan film trailers as incarnations of audience anticipation and desire”, reperibile sul sito http://journal.transformativeworks.org/index.php/twc/article/view/360/284, data ultimo accesso 23 marzo 2014. 9 Cfr. Ivi. 10 Brodesco, A., “Lo spleen di Hollywood”, Il cinema della convergenza. Industria, racconto pubblico, a cura di Federico Zecca, Milano, Mimesis, 2012 p 213.

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Tuttavia, leggendo l'articolo “Why Fan-Made Movie Trailer Are Often Better Than the Real Thing11, emerge un'altra interessante questione: i fan, a volte, riescono a realizzare dei fake trailer migliori di quelli originali, diffusi dalla casa di produzione. Questo succede soprattutto quando si parla di fenomeni cinematografici di vasto richiamo, come i film tratti da fumetti o libri famosi, che dispongono già di un fanbase di base, o per i sequel, in cui il primo film ha avuto molto successo. I fan, ancora prima che esca il film, fanno già parte di quel specifico universo diegetico, rivelandosi così più informati e appassionati a volte degli stessi studios. I love the democratization of creativity that has happened in this era – I do not accept the notion that someone my age is at any disadvantage technically at all... It's all there, at everyone’s fingertips, and as long as you remain corious and like learning new things, I don't see any reason to fall behind or become irrilevant.12

Convinti di poter fare di meglio, i fan delusi e frustrati per l'official trailer rilasciato dalle case di produzione, decidono di crearsi il proprio trailer personale, che soddisfi le loro disilluse aspettative. In seguito i video vengono pubblicati su canali come YouTube, così che altri utenti possano usufruirne, e attraverso i “like” o i commenti, esprimere la loro opinione al riguardo, creando così una piccola comunità di appassionati, dove si scambieranno opinioni e giudizi. Putting a new spin on old trailer has taken on whole new meaning in the last few years. Powered by YouTube, easy and affordable editing software, and the proliferation of teasers released online by studios, fans and spoofers have been releasing heaps of brilliant interpretations on the traditional trailer format.13

11 Watercutter, A.,“Why Fan-Made Movie Trailers Are Often Better Than the Real Thing”, reperibile sul sito http://www.wired.com/underwire/2013/06/fan-trailers/, dato ultimo accesso 23 marzo 2014. 12 Michael D. Sellers, “Why Fan-Made Movie Trailers Are Often Better Than the Real Thing”, reperibile sul sito http://www.wired.com/underwire/2013/06/fan-trailers/, dato ultimo accesso 23 marzo 2014. 13 Watercutter, A.,“Why Fan-Made Movie Trailers Are Often Better Than the Real Thing”, reperibile sul sito http://www.wired.com/underwire/2013/06/fan-trailers/, ultimo accesso 23 marzo 2014.

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I fake trailer quindi nascono dalla combinazione di questi diversi fattori e stati d'animo dei fan, che nato come genere di promozione mainstream diventa una performance di conoscenza e d'intimità con il materiale filmico. Solitamente i fake trailer sono costruiti rimontando le sequenze topiche del film in modo originale e variabile, senza inserire materiale esterno al testo originale. Diventa così una specie di trailer alternativo, da cui copia il linguaggio e il modus operandi. Come vedremo la categoria dei fake trailer è molto vasta, i trailer fanmade sono solo la punta dell'iceberg di questo fenomeno, dove ogni fan trailer e video remix ispira nuovi sottogeneri, come i falsi sequel, i trailer Parody, o gli Honest trailer. Per la nostra analisi prenderemo come testo esemplare: The Avengers (Joss Whedon, 2012), analizzando alcune forme paratestuali nate intorno a questo fenomeno. 3.2.

I fake trailer di The Avengers

The Avengers fa parte del grande fenomeno creato dai Marvel studios, che basandosi sui fumetti Marvel Comics, ha prodotto una serie di film con protagonisti alcuni dei suoi supereroi. La prima fase inizia nel 2005 con la produzione del film Iron Man (Jon Favreau, 2008), seguito dai film L'incredibile Hulk (The Incredible Hulk, Louis Leterrier, 2008), Iron Man 2 (Jon Favreau, 2010), Thor (Kenneth Branagh, 2011), Capitan America (Captain America, Joe Johnston, 2011), e conclusa proprio con The Avengers. Nell'universo Marvel il progetto Avengers viene creato dallo S.H.I.E.L.D, un'organizzazione militare e spionistica, che per contrastare un attacco nemico alla terra crea una squadra d'azione “speciale”, chiamata appunto I Vendicatori, composta da alcuni supereroi. Non è un caso quindi che, dopo aver presentato al pubblico i supereroi in film individuali, la casa di produzione decida di usare questo film come chiusura della prima fase. È per questo che la Marvel ha fatto in modo che ogni film sia interconnesso con gli altri, ha ricreato al cinema una continuity che li unisce fra loro all'interno dello stesso 28

universo narrativo e sotto il suddetto marchio. Gli studios infatti, introducono per la prima volta il “progetto Vendicatori” al termine del primo Iron Man dopo i titoli di coda, in cui Nick Fury (il presidente dello S.H.I.E.L.D) propone il progetto allo stesso Iron Man; in seguito sarà proprio Tony Stark a parlarne, al termine de L'incredibile Hulk. Infine lo stinger14 di Capitan America sfocia direttamente in un teaser15 di The Avengers, in cui Capitan America viene contattato da Nick Fury e messo al corrente che esistono altri supereroi oltre a lui. Il film quindi si pone come un buon esempio per la nostra analisi per una serie di motivi: le figure dei supereroi, i quali sono conosciuti dal pubblico, sono già presenti nel loro immaginario collettivo; si tratta di una “traduzione intersemiotica”, ovvero vi è un passaggio tra differenti sistemi semiotici, in questo caso dai fumetti al film, permettendo così al testo di passare da un medium all'altro, diventando un fenomeno intermediale. Infine, la sua struttura narrativa è seriale, nel senso che ogni testo non si chiude al termine della narrazione, ma è collegato con altri, la Marvel offre una pluralità di racconti concatenati fra loro, fornendo così allo spettatore varie strade per entrare nel mondo narrativo. L'universo creato dalla Marvel quindi, si pone come un “polisistema”: Un polisistema va inteso come macroinsieme di testi letterari, visivi o audiovisivi, macrotestualità musicali ( o più semplicemente sonore), che ci sfidano a dare conto non più solo della relazione interna alla significazione dei singoli testi, ma del modo in cui essi si interfacciano e dialogano tra loro, dei debiti ( o i prestiti) che ognuno porta con sé rispetto agli altri e al contesto storico e culturale di appartenenza.16 14 Stinger è una denominazione tecnica per identificare una scena facente parte del film ma posta dopo la fine di questo, al centro o al termine dei titoli di coda. 15 Il teaser è considerato la “versione corta del trailer, una sorta di «trailer del trailer», dalla lunghezza non particolarmente estesa [...] È il prodotto che lancia al pubblico la prima informazione audiovisiva su un progetto cinematografico di prossima uscita o ancora in fase di lavorazione.” Valeri, C., “Due o tre cose intorno al teaser”, «SEGNOCINEMA», SegnoSpeciale: trailer contro trailer 2.0, n. 174, marzo – aprile 2012. 16 Dusi, N., Spaziante, L., “Introduzione. Pratiche di replicabilità”, in Dusi, N., Spaziante, L. (a cura di), Remix, remake, pratiche di replicabilità, Roma, Meltemi, 2006, p. 34.

29

3.2.1.

Trailer fanmade

Se facciamo una ricerca su YouTube, scrivendo “The Avengers trailer”, dopo un paio di trailer ufficiali, il primo fake trailer che troviamo è un trailer fanmade, intitolato The Avengers 2012 Trailer17. Come abbiamo detto prima, il film è stato anticipato non solo da una “trailerizzazione” interna, ma anche dai cinque film riguardanti i singoli supereroi, non c' è da stupirsi quindi che questo fake trailer sia stato realizzato nell'aprile 2011, ben sei mesi prima dell'uscita di quello ufficiale, in questo caso infatti l'autore non ha avuto bisogno di aspettare l'official trailer per creare il suo trailer fanmade, gli è bastato prendere le scene necessarie dai film usciti precedentemente. Il trailer sul piano dell'espressione riproduce il linguaggio e lo stile di quelli originali, all'inizio utilizza non solo il logo della casa di produzione e quello della Marvel, ma anche il cartello verde di avviso della MPAA18, usa le dissolvenze in nero dopo ogni breve inquadratura e riproduce gli stessi font per i cartelli esplicativi, usando il logo Avengers ufficiale. Sul piano del contenuto invece, riprende gli stinger dei film precedenti e li usa come topic del trailer: vediamo così l'agente Nick Fury parlare ad Iron Man del progetto Vendicatori, citato in seguito dallo stesso Tony Stark, e utilizza come leit – motiv una voce over, che sottolinea l'importanza di riunire i supereroi per combattere un nemico comune, che non può essere sconfitto individualmente. Il leit – motiv quindi funge da isotopia narrativa, il susseguirsi delle inquadrature vedrà prima alcune immagini dei supereroi di cui si parla, e con un montaggio sempre più incalzante, seguiranno una serie di scene d'azione, specialmente esplosioni e combattimenti. Il logo appare come un arresto a metà trailer, interrompendo per pochi istanti il flusso di immagini 17 Il trailer è reperibile al sito http://www.youtube.com/watch?v=a-7MWYqicC0, ultimo accesso 23 marzo 2014. 18 “Motion Picture Association of America, associazione che fornisce i rating, cioè le valutazioni riguardo ai contenuti dei prodotti audiovisivi per stabilire il tipo di audience cui possono essere indirizzati.” Tralli, L., “Remixing Twilight. Produzioni creative grassroots vs. media-franchise”, in Zecca F. (a cura di), Il cinema della convergenza. Industria, racconto pubblico, Milano, Mimesis, 2012 p. 273.

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diegetiche, e si sovrappone con la voce over, che in quel momento pronuncia la parola Avengers. In questo modo permette al pubblico di memorizzare più facilmente il logo, e nel frattempo lo connota all'interno del discorso. La colonna sonora scelta dall'autore ha una funzione empatica, ovvero è utilizzata come “forma di estensione e di prolungamento delle emozioni che scaturiscono dagli eventi e dai personaggi19”, generando così una dimensione patemica nello spettatore, che si sentirà più legato al film e sarà spinto a vederlo. Pertanto quello che fa l'autore è ricreare sia al livello dell'espressione che del contenuto un trailer ufficiale, lavorando sia sulla forma che sulla passione dello spettatore, ed ha anche lo stesso fine: promuovere il film in uscita. In questo caso quindi assistiamo a quella che in precedenza abbiamo cultura partecipativa, in cui la convergenza fra corporation e produzioni mainstream, permette al consumatore di diventare promotore del film in prima persona. 3.2.2.

I falsi sequel

La Marvel ha annunciato che nel 2015 uscirà il sequel di The Avengers, intitolato The Avengers: Age of Ultron (Joss Whedon); non è un caso quindi che scorrendo la pagina di YouTube troviamo un'altra forma di fake trailer, i falsi sequel. Uno dei più visti è The Avengers 2 Trailer (FAN MADE w/ Spider-man!) 20, che pubblicato nel marzo 2013 ha superato le oltre tre milioni di visualizzazioni. Ciò che piace al pubblico e che è interessante notare in questo fake trailer è l'inserimento nella squadra degli Avengers di un nuovo supereroe: Spiderman. Infatti nella storia dei fumetti Marvel21 anche l'Uomo Ragno fa parte dei Vendicatori, tuttavia i diritti per i suoi film appartengono alla Fox per questo non è stato possibile inserirlo nella squadra. 19 Ambrosini M., Cardone L., Cuccu L., “Il suono”, Introduzione al linguaggio del film, Roma, Carocci, 2003, p. 76. 20 Il trailer è reperibile al sito http://www.youtube.com/watch?v=BU-g1v3sW58, ultima visita 23 marzo 2014. 21 Informazione reperibile al sito http://marvel.com/, ultimo accesso 02 aprile 2014.

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Il creatore del finto sequel quindi decide di usare come fonte narrativa un altro medium, i fumetti, e utilizza l'arrivo di Spiderman nella squadra come filo conduttore del suo trailer. Se nel trailer fanmade che abbiamo analizzato prima è Tony Stark ad essere reclutato dal presidente dello S.H.I.E.L.D, qui è Peter Parker a parlare con Nick Fury, a venire a conoscenza che esistono altri supereroi come lui, a essere informato che in passato hanno combattuto come una squadra, e che dovranno rifarlo, perché una nuova minaccia sta arrivando.

[Inquadratura originale, dallo stinger del film Iron Man ( Jon Favreau, 2008). Tony Stark viene contattato da Nick Fury, presidente dello S.H.I.E.L.D]

[Inquadratura dal fake trailer The Avengers 2 Trailer (FAN MADE w/ Spider-man!). Peter Parker viene contattato da Nick Fury, presidente dello S.H.I.E.L.D] La prima parte del fake trailer quindi è realizzata grazie a un'opera di mash-up, cioè “una forma di manipolazione che consiste nel selezionare e ricombinare all'interno di

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un'unica forma espressiva materiali testuali appartenenti a film distinti 22”. Il prosumer in questo caso ha preso degli spezzoni dal film The Amazing Spider-man (Marc Webb, 2012) e li ha remixati con gli altri film dell'universo Marvel, inserendo così il personaggio all'interno di questo specifico mondo diegetico. La buona riuscita di un'operazione di mash-up non è legata solo al montaggio dei materiali filmici, ma si riferisce anche al modo in cui questi vengono montati a livello di senso della storia, la sincronizzazione deve avvenire anche sul piano narrativo, selezionando scene quindi che abbiano “delle analogie relativamente alla composizione delle inquadrature, alle figure coinvolte nella narrazione, ai movimenti della macchina da presa23”. Così a una domanda di Peter Parker seguirà una risposta attinente di Nick Fury, a un'inquadratura a piano medio di Parker che rivolge lo sguardo verso l'alto segue un'inquadratura prima a campo lungo e poi campo medio della Stark Tower, fornendo in questo modo allo spettatore anche una sequenza logica sul piano del contenuto.

22 Peverini, P., “La manipolazione filmica come consumo creativo. Soggetti, pratiche, testi”, cit., pp. 63-64. 23 Ivi, p. 65.

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[Sequenza di inquadrature dal fake trailer The Avengers 2 Trailer (FAN MADE w/ Spider-man!). Peter Parker guarda la Stark Tower] Questa prima parte termina con un'isotopia narrativa: dopo aver annunciato l'arrivo di una nuova minaccia, una voce over chiede: “What are you prepared to do?” mostrando nel frattempo un primo piano del futuro nemico, Thanos, preso proprio dallo stinger di The Avengers. In questo modo l'isotopia indirizza alla seconda parte del trailer, in cui vediamo I vendicatori in una serie di scene di pericolo, fra esplosioni, scontri e combattimenti. Qui l'utente si fa un po' prendere la mano, perché oltre al montaggio, decide di aggiungere digitalmente la figura di Spiderman in alcune scene, mostrando in questo modo che si tratta davvero di un fake e facendo così perdere la credibilità che fino a quel momento era riuscito a creare.

[Sequenza di inquadrature dal fake trailer The Avengers 2 Trailer (FAN MADE w/ Spider-man!). La figura di Spider-man è stata aggiunta digitalmente] Al termine del fake trailer comunque, scopriamo qual'è il vero obiettivo dell'utente: far aggiungere la figura di Spiderman agli Avengers; su uno sfondo nero infatti appare l'indirizzo di una pagina Facebook, con il nome AddSpidermanToAvengers24. Il trailer quindi funziona da campagna promozionale per una sorta di petizione, alcuni fan si sono riuniti per avere l'Uomo Ragno nel prossimo film dei Vendicatori, e il fake trailer viene usato per promuovere e diffondere questa loro idea. 24 Pagina reperibile al sito https://www.facebook.com/AddSpidermanToAvengers, ultima visita 23 marzo 2014.

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3.2.3.

Derp trailer

Il termine derp nello slang americano indica una persona lenta, che ci mette un po' a capire le cose; su internet ha assunto un significato leggermente diverso: il sito Meme Itailia25 dice che si riferisce a un'espressione facciale che indica stupidità, imbecillità, espressa con facce strane o idiote. I derp trailer fanno parte della categoria dei fake trailer parodici, in questo caso gli autori prendono le sequenze del film tagliate o i dietro le quinte, e le rimontano come se fossero delle scene ufficiali del film. Anche il derp trailer di The Avengers (The Avengers trailer: Derp edition26) usa la stessa dinamica: montato come un trailer originale, con il logo Marvel e quello della casa di produzione, la voce over parla dell'idea di riunire una squadra di “remarkable people”, ma le scene che vediamo ci mostrano l'esatto opposto di persone eccezionali; vedremo così Capitan America fare un balletto, Thor giocare con il martello, e Iron Man fare delle boccacce oscene, seguite poi da una serie di scene tagliate in cui gli attori sbagliano la battuta, scoppiano a ridere o dicono parolacce.

25 Pagina reperibile al sito http://www.meme-italia.it/wiki/index.php?title=Derp, ultima visita 1 aprile 2014. 26 Trailer reperibile al sito http://www.youtube.com/watch?v=-OvMEKqQeFw, ultima visita 23 marzo 2014.

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[Sequenza di inquadrature dal fake trailer The Avengers (The Avengers trailer: Derp edition).] Anche la colonna sonora in tutto ciò ha un ruolo fondamentale, infatti oltre alla voce over, la musica è composta da un remix di canzoni rock, come ad esempio We're in this Together dei Nine Inch Nails, assumendo così una funzione anaempatica, cioè sviluppa “un discorso emotivo di segno opposto a quello delle immagini, creando un effetto di dissonanza fra i due canali espressivi27”. La colonna sonora quindi sarebbe adatta per la rappresentazione di senso originale, quello di supereroi gloriosi pronti a combattere, ma le immagini scelte dall'autore creano una dissonanza tale da stravolgerne il senso, modificando così gli equilibri interni del film. Questa forma di fake trailer viene chiamata spoof: ovvero quelle “parodie esplicite che giocano a rovesciare gli effetti di senso originari intervenendo su alcune zone particolarmente rappresentative della strategia testuale dell'opera di partenza28”. Questo rovesciamento gioca sul contrasto che si crea tra ciò che il trailer dovrebbe mostrare, ovvero dei supereroi valorosi, seri, determinati e quello che mostra realmente, cioè un gruppo di imbecilli che sbaglia, ride e fa le boccacce. L'ultima scena del fake trailer ne è l'esempio più significativo. Mostra infatti una sequenza in cui i supereroi sono seduti in un bar a mangiare 29 e in sottofondo 27 Ambrosini M., Cardone L., Cuccu L., “Il suono”, cit., p. 76. 28 Peverini, P., “La manipolazione filmica come consumo creativo. Soggetti, pratiche, testi”, cit., pp. 56-57. 29 Questa scena compare nel film The Avengers durante i titoli di coda, ma è stata mostrata solo nelle sale

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sentiamo un rumore di grida ed esplosioni; il contrasto e lo straniamento che si viene a creare qui è evidente: un gruppo di supereroi che invece di aiutare e salvare le persone le ignora, preferendo mangiare. 3.2.4.

Honest trailer

ScreenJunkies

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è un americano di news sul mondo cinematografico, e nel febbraio

2012 ha creato gli Honest Trailer, un canale su YouTube che in poco tempo è diventato un fenomeno virale. L'opera consiste nel “smontare” il trailer ufficiale, e remixarlo con una voce over in sottofondo, che commenta il trailer in modo divertente, rivelando la verità riguardo quello che vedremo nel film, svelando le numerose falle narrative della trama che ovviamente le case di produzione non direbbero mai; da questa funzione e scopo, deriva il titolo della serie. Un commento è un testo secondo che ha il testo primo (o una sua parte) come oggetto. In questo senso un commento ha come scopo principale quello di fornire un'interpretazione del testo oggetto (o di una sua parte), o di farne uso per commentare qualcos'altro. 31

Gli Honest trailer hanno esattamente questa funzione: gli autori ci forniscono un'interpretazione del testo comune alla maggior parte delle persone, rivelando i meccanismi nascosti e gli errori del testo originale, e paradossalmente lo fanno usando come mezzo proprio il principale strumento di marketing, il trailer. L' Honest trailer di The Avengers32 sul piano della forma è costruito proprio come un cinematografiche Americane. 30 Reperibile al sito http://www.screenjunkies.com/, ultimo accesso 1 aprile 2014. 31 Barbieri, D., “Temi rimediati”, in Dusi, N., Spaziante, L. (a cura di), Remix, remake, pratiche di replicabilità, Roma, Meltemi, 2006, p. 176. 32 Reperibile al sito https://www.youtube.com/watch?v=QDajL441mZc, ultimo accesso 24 marzo 2014.

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trailer ufficiale, con il logo Marvel, gli intertitoli grafici su sfondo nero, e la sequenza di brevi inquadrature intervallate da dissolvenze. È la voce over però ad assumere il ruolo di isotopia narrativa, rivelandoci qual'è il vero contenuto e obiettivo del trailer: mostrarci quello che il film è realmente. Così nel trailer il film viene definito: “Il film fantasy geek definitivo di due ore che impedisce a tutti i nerd di accettare ogni minima critica, e fa sì che tutti i fumetti DC meditino il suicidio”, Iron Man viene presentato come “l'eroe Marvel secondario preferito da tutti, che deve redimere se stesso dopo quell'orrenda boiata di Iron Man 2”, e Capitan America “il personaggio preferito di nessuno, che semplicemente doveva esserci”. In questo modo gli autori mettono lo spettatore davanti a un testo critico, sottintendendo che il pubblico sa bene di cosa si sta parlando, i meccanismi che rivelano non sono critiche ricercate o elaborate, ma è semplicemente ciò che sta sotto gli occhi dell'utente, qualcosa che tutti hanno notato o avrebbero potuto notare. Come ad esempio le numerose falle della trama: “Un cattivo che inspiegabilmente torna dal regno dei morti”, “Thor, che si è tolto dal proprio film e la cui apparizione qui ne nega completamente il finale”, “L'incredibile Hulk, che per il bene della trama, improvvisamente può controllare la propria rabbia, senza alcuna spiegazione”, “un cattivo così determinato, che ti chiederai perché stia riunendo le uniche persone che possono fermarlo, con la speranza che bisticcino tra loro.” Il rivolgersi direttamente allo spettatore fa sì che si crei con lui un metadiscorso, il desiderio dei produttori ovviamente non è quello di promuovere il film, anzi si presuppone che chi guardi questo fake trailer abbia già visto il film in questione, l'idea è quella di condividere con altre persone la loro critica, una specie di recensione del testo che invece di essere scritta avviene attraverso un trailer, come se anche le loro idee in questo modo possano fare parte del paratesto che circonda il testo originale. Analizzando questi fake trailer, abbiamo visto quindi che l'audience può intervenire sul testo attraverso diversi livelli, 38

il testo filmico diviene allora l'oggetto di un contest potenzialmente illimitato, una sfida della manipolazione aperta alla comunità degli appassionati che prendono parte attivamente a un processo dell'enunciazione allargato, alimentando il gioco delle traduzioni33.

33 Peverini, P., “La manipolazione filmica come consumo creativo. Soggetti, pratiche, testi”, cit., pp. 69-70.

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CAPITOLO 4: LA RISPOSTA DELLE PRODUCTION I fake trailer dal commerciale all'interattività Guardando l'universo attuale delle varie produzioni multimediali, possiamo dire che il fenomeno dei fake trailer è nato come un prodotto mainstream, per una serie di cause e motivazioni che abbiamo analizzato nel capitolo precedente. I prosumers dimostrano quindi di essere un pubblico capace di crearsi da solo un proprio trailer seguendo varie strade e sfaccettature, dimostrando addirittura, a volte, di essere più capaci e competenti di un professionista. D'altra parte le case di produzione in quest'epoca di convergenza mediale, “rispondono a questi nuovi consumatori dotati di potere in modi contraddittori, a volte incoraggiando il cambiamento, altre resistendo ai loro comportamenti1”. Tuttavia gli studios hanno capito che l'unico modo che hanno per sopravvivere è immettersi in questo flusso multimediale, dare al pubblico ciò che vogliono ancora prima che loro lo chiedano, e rinegoziare il loro rapporto con questi nuovi prosumers. Attualmente l'obiettivo sarebbe trovare un punto d'incontro fra amatorialità e professionalità, fare in modo che questa nuova cultura partecipativa non venga vista come un ostacolo o un intralcio per i guadagni delle case di produzione, ma un modo per collaborare direttamente con gli utenti e creare una compartecipazione tra produzioni ufficiali e mainstream. La questione dell'autorialità, dunque, va affrontata non solo rispetto all'insorgere della creatività grassroot, ma anche dal punto di vista della scrittura collaborativa, che unisce autori di diversi ambiti artistici (registi, scrittori, animatori) nella costruzione congiunta e allo stesso tempo distinta di un'opera cross-mediale.2

In tutto ciò i fake trailer si sono dimostrati essere uno dei mezzi più usati dal pubblico 1 Peverini, P., “La manipolazione filmica come consumo creativo. Soggetti, pratiche, testi”, in Peverini P. e De Blasio E. (a cura di), Open Cinema. Scenari di visione cinematografica negli anni '10, Roma, Frames, 2010, p. 42. 2 Sciannamblo, M., “User Generated Cinema” in Peverini P. e De Blasio E. (a cura di), Open Cinema. Scenari di visione cinematografica negli anni '10, Roma, Frames, 2010, p. 169.

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per toccare direttamente il film e plasmarlo secondo i suoi gusti, usandoli anche come canale d'interpretazione e comunicazione con altri utenti. Forse è proprio per questa loro potenza mediale che le case di produzione decidono di appropriarsene, portandolo all'attenzione di platee e critica. Fino ad ora infatti, pur essendo un fenomeno molto ampio sul Web, era circoscritto e legato al mass media di internet, riservato quindi al pubblico attivo che naviga in rete. 4.1.

Grindhouse porta i fake trailer al cinema

Nel 2007 però i fake trailer approdano anche nelle sale cinematografiche, grazie al film Grindhouse, il quale è composto da due pellicole, A prova di morte (Quentin Tarantino) e Planet Terror (Robert Rodrìguez), montate assieme a cinque fake trailer. .La prima cosa interessante da notare è che l'inserimento dei fake trailer è stato solo una conseguenza dell'idea originale dei registi: rispecchiare una tipica proiezione dei B-movie, composta da due pellicole e intervallata da trailer. Paradossalmente quindi, il fake trailer diventa un prodotto commerciale grazie al ritorno di un modo di consumo passato, un genere di film prodotti e distribuiti dal basso. I film d'exploitation infatti fanno parte di quella categoria di film detti di serie B, ovvero quei film a basso costo nati intorno agli anni Quaranta, che venivano affiancati alle produzioni maggiori durante le doppie proiezioni. Alla fine degli anni Cinquanta però, mentre lo star system Hollywoodiano attraversa una crisi causata dalla guerra, queste produzioni di serie B trovano un luogo adatto per essere trasmesse: i drive in. Nel dopoguerra infatti, la maggior parte del pubblico è giovane e irrequieto, così “mentre molte sale in periferia chiudono, i drive in, che raccolgono spettatori più giovani e meno tradizionali, aprono quasi alla stessa velocità3”. In seguito, con il passare degli anni, i drive in hanno mantenuto la caratteristica di proiettare film a basso costo riservati a un pubblico di nicchia, di solito le proiezioni erano doppie, ovvero due film proiettati uno dopo l'altro al prezzo di uno, con dei 3 Maltby, R., “Cinema, politica e cultura popolare a Hollywood nel dopoguerra”, in Brunetta, G. P., (a cura di), Cinema americano volume 2, Torino, Einaudi, 2006, p. 1428.

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trailer da inserire prima e in mezzo ai due film. Tarantino e Rodriguez pertanto decidono di prendere questo genere di film come riferimento e strutturano la loro pellicola nello stesso modo. Il titolo Grindhouse è un richiamo alle sale cinematografiche in cui erano proiettati quindi film d'exploitation negli anni Settanta, cioè quei film di serie B dove l'importante non era la qualità del contenuto ma la presenza per la maggior parte del tempo di scene di sesso e violenza. Sul sito Wikipedia4 leggiamo che le grindhouse erano nate proprio per ospitare quei generi di film che non potevano essere trasmessi nelle sale cinematografiche principali, come ad esempio i film splatter, horror, sexploitation, slasher ecc..., film insomma che avevano un basso seguito di pubblico e che non potevano essere guardati da tutti. I cinque fake trailer5 presenti nella pellicola sono: •

Thanksgiving, scritto e diretto da Eli Roth;



Machete, scritto e diretto da Robert Rodrìguez;



Werewolf Women of the SS, scritto e diretto Rob Zombie;



Don't, scritto e diretto da Edgar Wright;



Hobo with a Shotgun, scritto e diretto da Jason Eisener, John Davies, Rob Cotterill.

Anche i cinque fake trailer rispecchiano sia nello stile, come la ripetizione del titolo nei trailer dei film horror anni 70-80, sia nel contenuto, una trama minima e numerose scene di sesso e violenza, questa categoria di pellicole del passato erano, infatti, generate più per ricevere un hype pubblicitario che un plauso qualitativo e l'eccedenza di scene shock in esse comprese, venivano inserite tanto perché materiale gradito alle platee sanguigne dei 4 Reperibile al sito http://it.wikipedia.org/wiki/Grindhouse, ultimo accesso 03 aprile 2014. 5 In Italia la pellicola è uscita divisa in due parti (A prova di morte è uscito nel giugno 2007, mentre Planet Terror nel settembre 2007), e l'unico fake trailer proiettato nelle sale cinematografiche è stato quello di Machete (Rodrìguez), abbinato con Planet Terror.

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drive in quanto per far sì che i film avessero una reclamizzazione adeguata a guadagnare più attenzione. 6

Per questo motivo di solito le scene migliori del film erano già inserite nel trailer, che si presentava come una specie di breve cortometraggio che riassumeva il film, “con il risultato che l'exploitation era già tutta ben compresa nella preview, senza davvero contemplare il bisogno di vedere i film”7. Paradossalmente invece, con Grindhouse saranno proprio i fake trailer a dare il via alla produzione dei rispettivi film: Machete (Robert Rodrìguez, 2010) e Hobo with a Shotgun (Jason Eisener, 2011). In questo modo il fake trailer si trasforma “in una forma di pre-visualizzazione di film che verranno girati successivamente, facendogli perdere così la sua accezione principale 8”, ovvero, in quanto fake, il non avere una pellicola da pubblicizzare. L'arrivo dei fake trailer sul grande schermo quindi non è solo una svolta in sé, ma dà il via a questo nuovo fenomeno, un tempo impensabile, in cui i trailer non solo possono nascere e diffondersi senza un film concreto a cui fare riferimento, ma il film tale può essere girato successivamente. Naturalmente, sia per Machete che per Hobo with a Shotgun la sceneggiatura è stata ampliata e la maggior parte degli attori è stata sostituita da nomi hollywoodiani, rigirando le scene presenti nel trailer; soprattutto nel film Hobo with a Shotgun, “creando un assurdo in cui niente di ciò che si vede nella preview permane in equivalenza nel film, ma ne prescrive solamente lo svolgimento, come uno storyboard9”. 4.2. 4.2.1.

Sviluppo di un marketing non convenzionale I fake trailer di Hobo with a Shotgun e Kung Fury

6 Antonini, M., “Tutto falso. Quasi quasi lo produco” , Segnocinema n. 174, marzo-aprile 2012, pp. 27-28. 7 Ivi., p. 28. 8 Ivi. 9 Ivi.

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Proprio il fake trailer Hobo with a Shotgun poi, ha un'origine particolare: il trailer è il vincitore del Robert Rodriguez's SXSW Grindhouse Trailers Contest, una sfida indetta da Rodrìguez al pubblico, per chi avesse girato il fake trailer migliore. Questo è molto interessante, perché abbiamo parlato del modo in cui gli studios cercano di stare al passo con la nuova cultura partecipativa, con nuove tecniche di marketing. Grazie alle potenzialità offerte dal Web al pubblico è concesso di far parte del film, diventandone regista: gli utenti infatti dovevano inviare il loro falso trailer al sito del SXSW Fest10, e i registi poi avrebbero proclamato il vincitore. Questa apertura al film, è chiamata crowdsourcing con questo termine si intende uno speciale tipo di outsourcing, in cui le imprese fanno appello alle competenze di una moltitudine di soggetti, generalmente gli utenti di Internet, per supplire o completare una parte della loro attività produttiva.11

Nel caso di Hobo with a Shotgun quindi, si parla di un open content movies, cioè di un film a contenuto aperto, realizzato grazie alla condivisione di informazioni e alla collaborazione tra autori e registi, permettendo così al pubblico di partecipare alla fase di pre-produzione. In fase di produzione invece si può intervenire come produttore attraverso piattaforme di crowdfinancing, abbastanza diffuse all'estero, che consentono di reperire i fondi per finanziare progetti di film indipendenti chiedendo aiuto agli utenti della rete.12

Un esempio di questa nuova forma di marketing è il progetto Kung Fury13 (David 10 Reperibile al sito http://sxsw.com/ , ultima visita 25 marzo 2014. 11 Selva, D., “Open marketing?” , in Peverini P. e De Blasio E. (a cura di), Open Cinema. Scenari di visione cinematografica negli anni '10, Roma, Frames, 2010, p.176. 12 Ivi. p. 177. 13 Trailer reperibile al sito http://www.youtube.com/watch?v=72RqpItxd8M, ultimo accesso 25 marzo 2014.

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Sandberg), il quale per ora esiste solo in forma di trailer, ma è stata aperta una campagna promozionale di Kickstarter14 dedicata, in cui lo spettatore può donare i suoi soldi per contribuire alla realizzazione del film completo. Il trailer è un'accozzaglia di stereotipi in stile anni Ottanta, ma quello che importa è che, sulle orme di Machete, viene prodotto prima il trailer del film, e in questo caso è lo stesso spettatore a decidere se il film vale la pena di essere girato. Il consumatore diventa produttore, contribuendo direttamente con i suoi soldi. Questa nuova forma di marketing, in cui il pubblico è coinvolto in prima persona e sviluppa una sorta di cooperazione con il produttore, viene definita con l'espressione marketing non convenzionale si fa riferimento a quell'insieme di strategie promozionali e di comunicazione che sfruttano media alternativi, intendendo per alternativi i mezzi di comunicazione diversi da quelli di massa (radio, TV o giornali). Questa definizione pone l'attenzione sul criterio del «mezzo di diffusione» del messaggio promozionale15

Un messaggio che passerà attraverso il Web, dando il via a una serie di strategie di marketing appunto non convenzionali. Questa nuova prospettiva di comunicazione e promozione pone il messaggio promozionale come un modo che viene fornito all'utente per intervenire e interagire direttamente con il testo, non è più una semplice interruzione pubblicitaria, ma diventa esattamente ciò che interessa all'utente in quel momento, cioè una forma di intrattenimento in sé. Questa angolazione fa prestare attenzione non più al mezzo attraverso cui tali contenuti promozionali vengono veicolati, bensì ai contenuti stessi, che nel secondo caso costituiscono una forma di advertainment (che si sostanzia in ogni caso in uno scopo informativo/promozionale con l'aggiunta di un aspetto ludico o di 14 Reperibile al sito https://www.kickstarter.com/projects/kungfury/kung-fury, ultimo accesso 25 marzo 2014. 15 Pavia, G., “Il cinema «cade nella rete»”, in Peverini P. e De Blasio E. (a cura di), Open Cinema. Scenari di visione cinematografica negli anni '10, Roma, Frames, 2010, p. 190.

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divertimento, da advertising + entertainment), facendo recepire la pubblicità non come invadente ma come piacevole momento di evasione e intrattenimento in sé.16

Nel secondo capitolo abbiamo parlato della serie tv Sherlock e di come potesse essere un buon esempio di transmedia storytelling. Ho anche detto che i produttori hanno accettato e usufruito della partecipazione dei fan, creando con loro un'interazione diretta. La campagna promozionale della terza stagione, iniziata nell'estate 2013 e proseguita fino al lancio del primo episodio l'1 gennaio 2014, si basa proprio su questi principio d'interazione, i produttori hanno messo in atto una strategia di marketing non convenzionale, in cui lo scopo è una reazione da parte dell'utente, ogni evento di marketing non convenzionale deve prevedere nella sua trama narrativa la possibilità di trasformarsi in un evento notiziabile e allettante per i media e i newsmaker. L'evento poi, oltre ad incuriosire o coinvolgere […], deve indurre all'azione di contagio virale i cosiddetti “untori-evangelisti-viralizzatori”, che si attiveranno o per “passione-missione” personale o pensando di ottenerne un reward quantomeno in termini di gratificazione sociale17.

4.2.2.

Sherlock e il trailer interattivo

Un' “azione di contagio virale” è proprio quella a cui Moffat e Gatiss puntavano: l'idea di far terminare la seconda stagione con la morte di Sherlock Holmes, mostrando però nell'ultima inquadratura il detective vivo, quindi rivelando al pubblico che lui è riuscito a sopravvivere, ha fatto sì che ci fossero le basi per lo sviluppo di una campagna promozionale precisa: Sherlock Holmes è vivo, e tornerà a Londra. Il rilascio del primo teaser18 avviene nell'agosto 2013, dove in pochi fotogrammi ci 16 Ivi. p. 191. 17 Ivi. p. 207. 18 Reperibile al sito http://www.bbc.co.uk/programmes/p01dmmbj, ultimo accesso 26 marzo 2014.

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vengono mostrati i principali personaggi della serie tv, in quello che poi scopriremo essere il momento in cui il detective rivela a loro il suo ritorno. Le inquadrature sono veloci e dinamiche, intervallate dall'ombra di Holmes nascosto dietro a una porta, l'unico momento di stasi è nell'inquadratura finale, in cui compare per la prima volta nel trailer il primo piano di Sherlock Holmes, con sovrapposta la scritta BBC e seguita poi da una scritta su sfondo nero Sherlock. To be continued...

[Inquadratura finale del teaser trailer Sherlock] L'unica conclusione che i fan hanno potuto dedurre da questo teaser è il ritorno certo del detective a Londra, e che tutti i suoi amici, compreso John Watson, l'avrebbero rivisto; la sua espressione finale, tesa e quasi sofferente, così diversa dalla maschera imperturbabile che di solito mostra Sherlock, rivela al pubblico che non sarà un ritorno facile. Il sottotitolo del trailer, Sherlock returns but will things ever be the same again?, conferma questa teoria, rivelando l'isotopia narrativa della terza stagione e lasciando sottintendere che, dopo due anni di assenza, nel frattempo alcune cose sono cambiate. I fan a questo punto non potranno non chiedersi che cosa sia cambiato, e la scritta finale To be continued rafforza la creazione d'attesa, facendo intendere che presto verranno rivelati altri indizi. Il secondo teaser19 viene rilasciato a novembre, di durata più o meno uguale a quello precedente, ma stavolta l'isotopia narrativa del trailer si concentra intorno all'hashtag 19 Reperibile al sito http://www.bbc.co.uk/programmes/p01m37h1, ultimo accesso 26 marzo 2014.

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#Sherlocklives, introdotto dopo una sequenza di breve inquadrature in cui vediamo John Watson davanti alla tomba del detective, un primo piano di quest'ultimo di schiena seguito da un primo piano di Watson con un'espressione sconvolta e arrabbiata, in netto contrasto con quella spenta e rassegnata iniziale. In seguito assistiamo a un cambio di scena, in cui ci viene mostrato il fan club di Sherlock Holmes, che all'improvviso riceve freneticamente una sequenza di messaggi via telefono cellulare, il cui contenuto si rivelerà essere l'hashtag #Sherlocklives. A questo punto la schermata viene invasa da questo hashtag e da altri collegati come #SherlockIsNotDead, #SherlockHolmesAlive!, mentre il leit-motiv musicale legato alla figura di Sherlock Holmes aumenta in sottofondo. L'inquadratura finale vede la figura del detective in cima un palazzo mentre guarda Londra, e oltre il titolo, il nome dell'emittente televisiva e l'annuncio Coming soon (scandendo così per la prima volta una prossimità temporale dell'effettiva visione), ci viene mostrato ancora l'hashtag #Sherlocklives spingendo così il pubblico a condividerlo.

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[Inquadratura finale del teaser trailer #Sherlocklives] Lo scopo del trailer infatti è proprio questo, gli autori costruiscono una relazione enunciativa con il pubblico, in un discorso metanarrativo in cui noi siamo il gruppo di fan che riceve la notizia che Sherlock Holmes è vivo, e siamo spinti a condividerla con altri. Questo crea quello che viene definito un buzz, il termine significa letteralmente “ronzio”; il settore marketing va cioè a far leva sul “capitale sociale” e sul potenziale relazionale dei propri clienti, che diventano come “ambasciatori spontanei” di un film, promuovendolo presso la propria rete sociale e dunque ampliandone l'eco presso ulteriori nuovi o potenziali clienti.20

Così i fan, hanno iniziato a condividere con entusiasmo l'hashtag, diffondendolo in Rete e innescando un tam tam tra appassionati, trasformando l'hashtag #Sherlocklives nell'hashtag ufficiale che il pubblico ha usato, e usa ancora, per parlare della terza stagione. Se si fa infatti una ricerca sul social network Twitter, vedremo che ancora adesso, a due mesi dalla fine della stagione, l'hashtag viene usato per commentare gli episodi, condividere scene del telefilm, fanart relative all'hashtag e addirittura delle ipotesi e il countdown per la quarta stagione. L'ultimo trailer rilasciato è quello di lancio 21, uscito in dicembre e della durata di circa un minuto, ed è questo trailer a interessarci particolarmente, perché oltre alla versione originale, i produttori ne hanno rilasciato un altro identico nella forma, quindi montato usando le stesse scene, ma interattivo 22, facendo in modo che alcune scritte si trasformino in link ipertestuali che si collegano ad altri contenuti. Quello che si viene a creare quindi è un percorso interattivo in cui l'utente può 20 Pavia, G., “Il cinema «cade nella rete»”, cit., p. 196. 21 Reperibile al sito http://www.youtube.com/watch?v=9UcR9iKArd0, ultimo accesso 26 marzo 2014. 22 Reperibile al sito http://www.bbc.co.uk/programmes/p01dmdcb/features/interactive-trailer, ultimo accesso 26 marzo 2014.

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scegliere di selezionare un particolare sottosegmento in base all'argomento che vuole approfondire. Il trailer è suddiviso in cinque segmenti, e la scritta ipertestuale compare nel momento in cui il narratore pronuncia la stessa battuta nel trailer. Nella prima parte ad esempio è John Watson ad essere l'enunciatore e il protagonista, in una sequenza di brevi inquadrature lo vediamo andare a far visita alla tomba del detective, oppure a letto, sveglio, di notte, facendoci intuire così il suo stato emotivo, poi sentiamo la sua voce off, fuori campo, pronunciare la frase: I don't care how you faked, I want to know why. A questo punto sullo schermo appare quest'ultima frase, I want to know why, e cliccandoci sopra siamo indirizzati a un nuovo percorso narrativo in cui appare una breve scena in cui Sherlock è su un tetto e analizza vari modi per buttarsi di sotto e sopravvivere. Dopo qualche secondo appare la scritta “exclusive content”, e cliccandola appaiono una serie di contenuti speciali: un primo video in cui i produttori Moffat e Gatiss parlano della morte del detective, e anticipano il fatto che non riveleranno come ha fatto sopravvivere; un secondo video in cui Sherlock parla di un certo Magnussen, introducendo così al pubblico il cattivo della stagione, e una decina di foto dei personaggi principali.

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[Inquadrature del trailer interattivo, la scritta I want to know why è un link ipertestuale, che ci porta al fotogramma successivo con i contenuti speciali.] Quella che ci viene proposta quindi è una struttura ad albero, in cui le scritte vengono integrate nell'interfaccia del trailer, rompendo la simulazione e facendo emergere il soggetto enunciatore. L'immagine che ci offre il trailer è simile a quella di una pagina Web, un macro-testo in cui le immagini, i video e le informazioni sono incastrate all'interno di questo macro-testo più grande, che tiene insieme i diversi testi più brevi23. Se l'isotopia narrativa di fondo del trailer è il ritorno del detective a Londra, ogni segmento narrativo ha un topic specifico, mostrandoci quali saranno gli argomenti trattati in questa stagione. Se il primo segmento ha come discorso di base la caduta e l'imminente ritorno del detective a Londra, il secondo è dedicato solo a John Watson, definito da Sherlock: person that mattered most, indicando che ci sarà un maggiore approfondimento del rapporto fra Sherlock e John. Il terzo segmento è narrativamente legato al secondo, in cui Sherlock viene a conoscenza che John, He's got on with his life, mostrandoci per la prima volta la nuova fidanzata di John e delle foto del loro futuro matrimonio. In questo segmento però viene inserito anche un video in cui si parla di nuovo di Magnussen, creando un apparente contrasto tra le scene di vita 23 Cfr. Polidoro, P., “Essere in rete: banner e portali”, in Pezzini, I., (a cura di), Trailer, spot, siti, clip, banner, Roma, Meltemi, 2002. p.181.

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casalinga mostrateci in precedenza. Che sia un indizio degli autori per dirci che questi due elementi, affetti personali e nuovo nemico, saranno strettamente legati nella terza stagione? Le ultime due parti sono legate a due elementi tipici del canone e al personaggio di Sherlock Holmes in generale: ovvero quella investigativa, dove il detective viene informato che l'allerta terrorismo è a livelli critici, e An attack is coming; e la città di Londra, Sherlock dice che ha bisogno di viverla, respirarla, Get to know London again. 4.3.

Riflessioni conclusive

Nel secondo capitolo mi ero chiesta se questo trailer interattivo potesse essere un prototipo di un tipo d'incontro tra pubblico e produttori, e analizzando la campagna pubblicitaria che hanno creato, si può dire che hanno trovato la chiave di volta per interagire direttamente con i fan, puntando sulla loro passione. La passione dei fan li spinge ad agire, a partecipare, e questo i produttori sono riusciti a coglierlo e li hanno coinvolti in una relazione con il testo sempre più stretta; far leva sulle passioni dei consumatori e trasformarli da semplici destinatari a veri e propri vettori dell'informazione e strumenti di comunicazione, sembra dunque il modo migliore per includerli nelle strategie e nei «programmi narrativi» del prodotto da comunicare per aumentarne l'awareness24.

La viralità dipende dalla spinta che i produttori sapranno dare agli utenti, inducendoli a un'azione, se si accetta di includere il pubblico in ogni fase del prodotto filmico le potenzialità offerte all'audience

potrebbero essere infinite e le industrie

cinematografiche potrebbero volgere a loro vantaggio tale evidenza.

24 Pavia, G., “Il cinema «cade nella rete»”, cit., p. 209.

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Per sviluppare nuove e originali strategie di marketing non convenzionale si deve dunque riflettere su come promuovere e stimolare l'attività creativa dei fan o degli internauti che incappano casualmente negli indizi in Rete, fermo restando che devono esservi degli “elementi” da far esplodere e aprire25.

Il modello open cinema introdotto nel capitolo precedente si riferisce proprio a questa apertura non solo da parte del pubblico ma anche delle case di produzione, il marketing non convenzionale attuato da alcuni studios potrebbe essere solo l'inizio di questa nuova cooperazione, in cui le possibilità per far interagire lo spettatore sono potenzialmente infinite: si potrebbe pensare di offrire ad alcuni utenti […], contenuti speciali […], di incoraggiare il download di trailer, teaser, press kit o informazioni dettagliate su location, cast, scene e musiche del film; si potrebbero creare piattaforme dedicate dove far discutere studenti, aspiranti registi o comunque professionisti su cast, sceneggiatura, scelte di montaggio; si potrebbe raccontare loro com'è nata l'idea. Ciò permetterebbe di incoraggiare i fan e gli appassionati e allo stesso tempo di avere input su possibili alternative e strade interne che il film potrebbe imboccare. Si dovrebbe poter prenotare il film dalle social pages del film stesso o via SMS o applicazioni iPhone; si potrebbe inviare un SMS o una mail alla fine del film per ringraziare l'utente di aver preso parte all'esperienza filmica e invogliarlo a parlare del film e della sua esperienza su piattaforme adibite ad hoc, attraverso link appositi e molto altro26.

25 Ivi., p. 212. 26 Ivi., pp. 210 – 211.

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CONCLUSIONI I fake trailer in quest'epoca di cultura convergente possono essere un punto di incontro fra produzioni grassroots e ufficiali? Può esistere questo tipo di collaborazione? Possiamo dire che può esistere questo tipo di incontro e collaborazione, la campagna promozionale della terza stagione di Sherlock è solo uno dei tanti esempi, nell'ultimo periodo le case di produzione si sono dimostrate più aperte e disponibili a un contatto e a un'interazione diretta con l'utente, probabilmente perché hanno capito che questo non può andare che a loro vantaggio. Se decidessero quindi di abbandonare la visione di un pubblico usurpatore, e abbracciassero invece l'idea di fan semplicemente guidati dalla passione, scoprirebbero una nuova prospettiva in cui una collaborazione reciproca è possibile, dando inizio a una nuova cultura partecipativa in cui le possibilità per far interagire lo spettatore sarebbero potenzialmente infinite. In questo processo di Cultura Convergente possiamo dire che i fake trailer hanno funzionato da apripista, sono il primo prodotto creato dagli utenti il cui valore è stato riconosciuto dalle case di produzione e di cui hanno deciso di appropriarsene. Il trailer, nato per essere solo un paratesto, una figura di contorno, grazie a quest'epoca di convergenza è riuscito a diventare un testo a sé stante, a essere sviluppato, come abbiamo visto, senza il bisogno di avere un film a cui riferirsi. Ha permesso non solo che la cultura grassroots diventasse commerciale, portandola al cinema, ma ha inoltre dimostrato che può esistere cooperazione e interazione tra produzioni mainstream e ufficiali, senza che vi siano conflitti d'interessi, anzi portando vantaggi ad entrambe le parti. Jenkins nel suo bog parla di questa cooperazione come Transmedia Entertainment, concludendo che attualmente ogni storia, marca, e rapporto si svolge intorno a numerose piattaforme, formate sia da impulsi dall'alto, come le decisioni prese dalle case di produzione, sia dal fondo, dalla base dei consumatori. 54

Lo scopo di una storia transmediale è proprio quello integrare una serie di esperienze di intrattenimento con una vasta gamma di piattaforme multimediali, Sherlock e The Avengers sono solo esempi di come una storia possa passare dalla televisione ai fumetti, al Web, a prodotti interattivi, etc., parlando in questo modo a un numero sempre maggiore di pubblico, oltre a fornire ai fan accaniti degli approfondimenti. I fan, a loro volta, possono tradurre i loro interessi in una serie di pratiche partecipative che estendono l'universo diegetico in nuove direzioni. Quindi sia l'espansione commerciale delle case di produzione sia le produzioni grassroots possono contribuire all'espansione degli universi narrativi e a un nuovo modello di storytelling, basato su un'espansione enciclopedica di informazioni fornita in modo diverso da ogni individuo, come accade attualmente nei social network o nelle comunità online1.

1 Cfr. Jenkins, H., “Transmedia Storytelling and Entertainment: A New Sillabus”, reperibile al sito http://henryjenkins.org/2013/08/transmedia-storytelling-and-entertainment-a-new-syllabus.html, ultimo accesso 02 aprile 2014.

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BIBLIOGRAFIA  Ambrosini Maurizio, Cardone Lucia, Cuccu Lorenzo, Introduzione al linguaggio del film, Roma, Carocci, 2003. 

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FILMOGRAFIA  A prova di morte (Quentin Tarantino, 2007)  Capitan America (Captain America, Joe Johnston, 2011)  Grindhouse (Quentin Tarantino e Robert Rodriguez, 2007)  Hobo with a Shotgun (Jason Eisener, 2011)  Iron Man (Jon Favreau, 2008)  Iron Man 2 (Jon Favreau, 2010)  L’incredibile Hulk (The Incredible Hulk, Louis Leterrier, 2008)  Machete (Robert Rodriguez, 2010)  Planet Terror (Robert Rodriguez, 2007)  Sherlock serie tv (Steven Moffat, Mark Gatiss, 2010)  The Amazing Spider-man (Marc Webb, 2012)  The Avengers (Joss Whedon, 2012)  The Avengers: Age of Ultron (Joss Whedon, 2015)  Thor (Kenneth Branagh, 2011)

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