Il romanzo naturalista a teatro: il caso di Renée

October 6, 2017 | Autor: Leana Rota | Categoria: French Literature, Emile Zola
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Corso di laurea triennale in Lettere IL ROMANZO NATURALISTA A TEATRO: IL CASO DI RENÉE

Relatore: Alessandra Preda Laureando: LEANA ROTA Matr. 795431

ANNO ACCADEMICO 2013/2014

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INDICE Introduzione........................................................................................................ p. 4 1. IL NATURALISMO A TEATRO 1.1.

Zola teorico del rinnovamento.......................................................... p. 8

1.2.

La pratica della trasposizione a teatro............................................. p. 11

1.3.

La collaborazione con gli adattatori................................................ p. 14

1.4.

La critica dell'epoca ........................................................................ p. 18

1.5.

La censura teatrale .......................................................................... p. 20

1.6.

André Antoine e il Théâtre Libre.................................................... p. 24

2. PRIMA DEL DRAMMA 2.1.

Il mito di Fedra................................................................................ p. 28

2.2.

La Curée: storia del romanzo.......................................................... p. 32

2.3.

La metafora del teatro ne La Curée................................................. p. 35

2.4.

Un racconto costruito come un dramma: Nantas............................ p. 40

3. RENÉE 3.1.

Genesi della pièce........................................................................... p. 44

3.2.

I personaggi..................................................................................... p. 47

3.3.

L'adattamento alla scena................................................................. p. 56

3.4.

La ricezione..................................................................................... p. 60

Conclusione....................................................................................................... p. 67 Bibliografia....................................................................................................... p. 71

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Appendice......................................................................................................... p. 75



Tabella 1. Confronto tra la Phèdre di Racine (1677) e La Curée di Zola (1872)



Tabella 2. Confronto tra La Curée (1872) e Nantas (1878)



Tabella 3. Confronto tra La Curée (1872), Nantas (1878) e Renée (1880)



Busnach scrive a Zola

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INTRODUZIONE Émile Zola rientra a buon diritto nella rosa dei più celebri romanzieri francesi. Deve la sua fama soprattutto al ciclo de Les Rougon-Macquart. Histoire naturelle et sociale d'une famille sous les second Empire, la serie di venti romanzi scritti tra il 1871 e il 1893 che, seguendo da vicino la trasmissione della tara discendente dall'ava comune nei due rami della famiglia, quello legittimo e quello illegittimo, diventa occasione per approfondire il suo interesse per la fisiologia e per la teoria dell'ereditarietà. Questo lavoro intende invece trattare un aspetto meno noto della carriera letteraria di Zola, ovvero il suo contributo e intervento nel mondo del teatro. Meno noto perchè, da un lato offuscato dal successo planetario dei romanzi grazie a cui è passato alla storia, dall'altro ritenuto comunemente inferiore dal punto di vista qualitativo. Questa seconda ragione sarà presa in esame con l'intenzione di studiare attraverso il caso di Zola e, nello specifico, di una sua pièce, Renée, non solo l'esperienza del singolo autore ma più in generale un fenomeno, quello della trasposizione teatrale di romanzi naturalisti che, in Francia, alla fine del XIX secolo, nel momento della sua massima popolarità, rivelò i suoi limiti e difetti, passando presto di moda. Tuttavia ciò non significa che l'esperienza non lasciò una qualche forma di eredità ai posteri e perciò l'argomento sembra degno di essere qui trattato e approfondito, soprattutto in relazione ad una figura così importante nel panorama letterario come quella di Zola che coltivava una passione per il teatro ancora più antica di quella per il romanzo, anche se, indubbiamente, meno redditizia. Un'attrazione la sua che va al di là del gusto personale e che consiste soprattutto nella convinzione che la scena fosse la tribuna più efficace per far trionfare il naturalismo, già tendenza incontrastata nei romanzi dell'epoca. Questa sua ossessione, ossia credere di poter portare la rivoluzione naturalista sul palcoscenico, incontrerà diversi ostacoli che porteranno lo stesso Zola a interrogarsi sulla natura della pratica dell'adattamento teatrale, addirittura a scendere a compromessi con il codice artistico imperante, senza però mai 4

accontonare i suoi ideali. Il primo capitolo quindi intende offrire una panoramica sul fenomeno del naturalismo portato a teatro attraverso le parole stesse di Zola, il quale aveva espresso il suo giudizio in numerosi articoli di critica drammatica, dapprima pubblicati su riviste, successivamente raccolti in due volumi. Dalla teoria si passerà allora alla pratica, guardando da vicino i tratti salienti che caratterizzano gli adattamenti dei romanzi che Zola aveva affidato ad esperti del settore, collaboratori che però non lasciava mai completamente liberi, rivendicando comunque sempre il diritto di intervenire sulle sue opere, per poi tirarsi indietro in caso di insuccesso: è un discorso complesso e interessante a cui verrà dedicato un intero sottocapitolo. Vedremo poi gli "antagonisti" di questa vicenda, ovvero chi cercò di contrastare in diversi modi l'esperienza di Zola: la feroce e repressiva censura teatrale innanzitutto che bloccava qualsiasi forma di deviazione dalla norma vigente e alcuni critici assai influenti nei teatri parigini, i quali spesero parole dure e non mancarono di colpire il romanziere che si cimentava allora su un terreno non suo. Infine l'esperienza paradigmatica del Théâtre Libre di André Antoine, devoto ammiratore e amico di Zola che riuscì in quegli anni, appoggiato dal maestro, a portare concretamente una ventata d'aria fresca sul palcoscenico e a propugnare un'idea democratica di teatro, scevra da ogni imposizione dall'alto. Concludere con Antoine dimostra come le parole e le idee di Zola non caddero completamente nel vuoto ma anzi, riuscirono a influenzare la generazione successiva. Dopo un discorso più generico e vasto, con il secondo capitolo si entrerà maggiormente nello specifico andando ad analizzare ciò che sta alla base della pièce di Zola in questione, Renée. Infatti, prima di parlare del dramma vero e proprio, è sembrato opportuno prendere in esame gli illustri antecedenti; dal momento che l'argomento del dramma non nasce dal nulla ma affonda le sue origini in molteplici fonti, queste ultime verranno sinteticamente descritte in modo 5

tale che poi sarà utile ed interessante osservare affinità e divergenze. Non si può ignorare il punto di partenza, ovvero il mito di Fedra a cui Zola stava pensando da tempo progettando di riportarlo in vita sotto una nuova veste ed ambientazione. La prima forma a cui approderà questo lavoro di riscrittura sarà il romanzo La Curée, il secondo del ciclo de Les Rougon-Macquart, uscito in libreria nel 1872 ma il cui primo episodio era già apparso su La Cloche: la pubblicazione sarebbe continuata se non fosse intervenuto il procuratore della Repubblica, in seguito ad una denuncia, che la fece interrompere. Il romanzo, che ruota attorno agli appetiti dei due protagonisti principali, Aristide Rougon, detto Saccard, e la moglie Renée, in una Parigi divorata dai peggiori vizi sotto una facciata di perbenismo, è pervaso a più livelli dal teatro e dalla sua metafora. Verranno esaminiati qui gli episodi più pertinenti, quelli in cui spiccano riferimenti espliciti al teatro oppure delle vere e proprie myse en abyme, come il celebre poema in tre tableaux vivants "Les Amours du beau Narcisse et de la nymphe Echo" che movimenta un banchetto serale dai Saccard. Si è soliti parlare di Renée come della versione teatrale de La Curée, ma Renée non è semplicemente la fedele trasposizione del romanzo come si può notare dalle evidenti incongruenze della trama stessa. E' necessario chiamare in causa allora un'altra opera di Zola, probabilmente meno nota, un racconto apparso per la prima volta in russo su Le Messager de l'Europe nel 1878 con il titolo di Nantas. La vicenda di questa breve novella rivela molte affinità con quella della nostra pièce e lo stesso Zola, nella prefazione a Renée, dirà di essersi ispirato sia al noto romanzo sia a Nantas per cui, tra l'altro, aveva abbozzatto un progetto che prevedeva un adattamento proprio di questo racconto alla scena. E' probabile che poi l'idea sia confluita in quella per Renée, andando a modificare nei punti meno convincenti la trama del testo di partenza, La Curée. Il terzo ed ultimo capitolo si incentrerà esclusivamente sul dramma scritto da Zola nel 1880 e che venne rappresentato per la prima volta, dopo anni di peripezie, il 16 aprile 1887 al Vaudeville. A differenza di altri adattamenti tratti dai suoi romanzi, per questa trasposizione 6

Zola non si avvalse dell'aiuto di collaboratori ma si cimentò da solo nell'impresa di riscrittura, sotto l'insistente richiesta della diva Sarah Bernhardt che era rimasta colpita dal personaggio di Renée, l'eroina femminile del romanzo. Dalla lettura della prefazione all'opera, datata maggio 1887 (e quindi successiva alla prima rappresentazione) sarà Zola in persona a raccontare la storia travagliata di Renée: dai continui rifiuti da parte dei maggiori direttori dei teatri di Parigi, inizialmente incuriositi dal soggetto per poi restarne spaventati, alle reazioni che seguirono la prima, sia del pubblico che dei critici, in particolar modo di Francisque Sarcey. Analizzando la struttura del dramma verranno segnalate le caratteristiche salienti al fine di poter esprimere un parere concordante o meno in relazione all'insuccesso riscosso all'epoca; infatti solo alla fine di questo lavoro potranno essere tirate le fila di un discorso che fino ad allora sarà solamente basato sull'osservazione oggettiva dei testi per poi poter appunto formulare un giudizio personale e coerente. L'ultima parola di questo capitolo verrà lasciata all'autore che, di nuovo, nella sua prefazione, difenderà strenuamente la sua opera di fronte ai numerosi attacchi ricevuti, convinto che saranno i posteri a decidere. Terrà anche a precisare e a scindere la teoria dalla pratica, questione che si ricollega con l'ampio discorso del primo capitolo: non bisogna confondere il teorico del naturalismo a teatro, il critico che nelle sue pagine ha a lungo sostenuto l'idea di un nuovo teatro, dopo aver spazzato via quello vecchio, con il mediocre drammaturgo che, consacrato nell'olimpo del romanzo francese, decide di traslare le sue opere e la sua curiosità in un ambito artistico che sicuramente lo appassionava ma che non rientrava troppo nelle sue corde. Apprezzabile è però la scelta di mettersi in gioco, una volta arrivato all'apice della sua carriera e, quindi, maggiormente esposto alle critiche alle quali, come vedremo, non mancherà di rispondere con i toni accesi di chi si batte sempre per le proprie convinzioni, qualsiasi sia l'esito preannunciato.

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1. IL NATURALISMO A TEATRO 1.1

Zola teorico del rinnovamento

Émile Zola, prima ancora di quello per il romanzo, aveva un debole per il teatro e manifestò questa sua passione sia nelle veste di autore sia nella veste di critico drammatico. Quest'ultima attività prese forma in una serie di articoli pubblicati su due quotidiani, il Bien Public (dal 10 aprile 1876 al 24 giugno 1878) e successivamente il Voltaire (dal 9 luglio 1878 al 25 maggio 1880) 1: in essi, come nelle prefazioni che accompagnavano la pubblicazione in volume delle sue opere teatrali, Zola non cessa di reclamare la necessità di applicare la formula naturalista alla scena e di profetizzare la venuta di una sorta di "messia" 2, un autore in grado di sbarazzarsi in un colpo solo delle vecchie convenzioni che affliggevano il teatro francese, portando una ventata d'aria fresca sul palcoscenico3. Nonostante aspirasse a questo ruolo di innovatore, si scontrò diverse volte con la dura realtà, comprendendo che il suo maggiore contributo avrebbe potuto darlo, cosa che ha fatto, nella teoria, quando nella pratica si era invece rivelato un mediocre drammaturgo, incapace di tradurre nel concreto le idee che aveva propugnato con tanta forza a parole. 1 "Durant quatre années, j'ai été chargé de la critique dramatique, d'abord au Bien Public, ensuite au Voltaire. Sur ce nouveau terrain du théâtre, je ne pouvais que continuer ma campagne, commencée autrefois dans le domaine du livre et de l'œuvre d'art". La dichiarazione di Zola è riportata da ZOLA, Émile, Le naturalisme au théâtre : les théories et les exemples (1881), tr. it. a cura di Giuseppe Liotta, Il naturalismo a teatro: le teorie e gli esempi, Ravenna, Angelo Longo Editore, 1980, p.7. 2 "Il prophétisait infatigablement, dans des centaines de chroniques des années 1870, l'avènement au théâtre d'un messie ou d'un rédempteur qui donnerait un coup de balai salutaire aux planches", SANDERS, James B., “Antoine et Zola”, Les Cahiers naturalistes n° 50, 1976, p. 13. 3 "Enjambant les ficelles des habiles, crevant les cadres imposés, élargissant la scène jusqu'à la mettre de plain-pied avec la salle, donnant un frisson de vie aux arbres peints des coulisses, amenant enfin, par la toile de fond, le grand air libre de la vie réelle.", ibidem.

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Decise di raccogliere la maggior parte degli articoli che aveva pubblicato in quegli anni in due volumi, entrambi del 1881: Nos auteurs dramatiques e Le Naturalisme au théâtre. Il primo4 riprende gli studi che aveva dedicato alle opere degli autori drammatici a lui contemporanei più celebri, come Victor Hugo, Alexandre Dumas figlio, George Sand, i fratelli Goncourt e Alphonse Daudet. Il giudizio di Zola è piuttosto severo: esaltando il genio di Corneille, di Racine e di Molière, si lamenta per contrasto degli intrighi complicati, della convenzionalità dei personaggi e delle situazioni, dell'abuso di scene a effetto e di un linguaggio artificiale, difetti che ai suoi occhi, affliggono il teatro coevo. Il secondo invece, si divide in due grandi parti: "Les théories" ("Le naturalisme", "Le don", "Les jeunes", "Les deux morales", "La critique et le public", "Des subventions", "Les décors et les accessoires", "Le costume", "Les comédiens", "Polémique") e "Les exemples" ("La tragédie", "Le drame", "Le drame historique", "Le drame patriotique", "Le drame scientifique", "La comédie", "La pantomime", "La vaudeville", "La féerie et l'opérette", "Les reprises"). In queste pagine si delinea il sogno di un teatro nuovo, che prolunghi sulla scena la rivoluzione che era stata fatta nel romanzo. Ogni epoca ha la sua formula e per Zola, la formula del suo tempo non può che essere quella del naturalismo 5: non c'è più spazio per il dramma romantico che ignora volutamente la verità dei fatti e dei personaggi ridotti ormai a marionette travestite. Tutte le vecchie forme sono basate sull'approssimazione e sull'amputazione sistematica del vero: spesso le opere vengono ambientate in epoche lontane, i 4 Le informazioni contenutistiche sulla raccolta Nos auteurs dramatiques sono attinte dall'omonima voce presente in BECKER, Colette, GOURDIN-SERVENIERE, Gina, LAVIELLE, Véronique, Dictionnaire d'Émile Zola. Sa vie, son œuvre, son époque suivi du dictionnaire des “Rougon-Macquart”, Paris, Editions Robert Laffont, 1993, pp. 295 – 296. 5 "Mais il faut aller plus loin et créer le drame naturaliste car chaque époque a sa formule, et notre formule n'est certainement pas celle de 1830. Nous sommes à un âge de méthode, de science expérimentale, nous avons avant tout le besoin de l'analyse exacte. (...) Le terrain est libre, nous pouvons revenir à l'homme et à la nature". ZOLA, Émile, Le naturalisme au théâtre : les théories et les exemples, op. cit., p.21.

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personaggi non sono più esseri viventi e la loro umana varietà si irrigidisce in un ideale, in un atteggiamento che incarnano, perdendo così di vista ogni legame con la realtà, con la vita quotidiana. I naturalisti, al contrario, sostengono, per mezzo dell'autorevole voce di Zola, che la poesia e la dignità artistica sta ovunque, e forse ancor più nel presente e nel concreto che nel passato e nell'astratto offertoci finora sul palcoscenico. Ecco che allora bisognerà compiere uno sforzo di verità ad ogni livello, sia della scenografia che della recitazione: i costumi, lo scenario, la dizione e la postura degli attori, la lingua della pièce. Tutto dovrebbe concorrere a riprodurre la naturalezza della vita a teatro, il regno della finzione. Eppure Zola resta convinto del fatto che è proprio lì che si debba far trionfare la nuova forma d'arte6, già impostasi con successo nel romanzo, probabilmente genere più confacente a questa sua esigenza di libertà e verità. Sicuramente, il peso delle convenzioni è più consistente a teatro che nel romanzo, ma Zola si erge contro una tradizione data come immutabile, ritenendo che non esista un solo tipo di teatro, dato una volta per tutte, ma tanti diversi teatri possibili, e tra questi è giunto il momento di lasciare il debito spazio a quello naturalista. Un altro grosso ostacolo all'avvento del cambiamento è costituito anche dagli spettatori abitudinari dei teatri parigini che non sono avvezzi a vedersi riflessi fedelmente in uno specchio e preferiscono chiudere gli occhi e gridare allo scandalo. Il pubblico finora non si è mostrato pronto ad accogliere e a capire la bellezza della vita reale sulla scena; nonostante ciò Zola è fiducioso 7 e crede che, in questa specie di lotta, il trionfo del naturalismo, non appena i tempi si riveleranno più maturi, non tarderà ad arrivare, portato dal tanto osannato e invocato innovatore delle scene teatrali parigine. A stupirlo è che il moto di indagine e di analisi, che è poi la corrente caratteristica del XIX secolo, abbia rivoluzionato le scienze e le arti, non riuscendo però a fare 6 In una lettera a Léon Hennique del 2 settembre 1877 scrive: "Il faudra bien que nous nous occupions du théâtre: c'est là que nous devrons un jour frapper le coup décisif." 7 "Le demain du théâtre est libre", ibidem, p.27.

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lo stesso in ambito drammatico, incapace di stare al passo con la grande scuola naturalista propagatasi in diversi altri campi. La sfida ancora aperta e la solitudine titanica della sua posizione di fronte ad una schiera di nemici accomunati dalla stessa concezione antiquata del teatro, renderanno Zola ancora più feroce ed incallito in questa sua campagna, senza volersi rassegnare nemmeno di fronte ai palesi insuccessi dei suoi concreti tentativi.

1.2

La pratica della trasposizione a teatro

Gli adattamenti teatrali dei romanzi nel corso del XIX secolo furono talmente numerosi che la scena parigina degli anni '80-'90 sembra essere monopolizzata da una schiera di romanzieri naturalisti, da quelli maggiori (Goncourt, Daudet, Zola) a quelli minori (Alexis, Hennique, Céard per citarne alcuni), che decisero di cimentarsi in un nuovo campo, spesso avvalendosi dell'aiuto di professionisti del mestiere, senza però sempre riuscirvi. Si osserva come, nella maggior parte dei casi, ad essere trasposti sulla scena siano romanzi-feuilletons che godono già di una certa notorietà presso il pubblico, i best-sellers dell'epoca insomma, che si presuppone siano in grado di replicare il medesimo successo anche a teatro: ci si aspetta che il lettore, incuriosito dalla versione teatrale di un testo già letto, decida di diventarne anche spettatore. Quindi la conoscenza del romanzo viene data per scontata, risulta un pre-requisito indispensabile per poter, dopo aver apprezzato il libro, apprezzare anche la pièce: dietro ogni spettatore dovrebbe esserci un lettore insomma. Tendenzialmente, così come per i romanzi a cui si ispirano, anche i rispettivi adattamenti teatrali ottengono presso il pubblico della seconda metà del XIX secolo una vera popolarità. Ma non sempre le cose vanno in questo modo, soprattutto se a essere trasposto è un romanzo naturalista. E' risaputo che il naturalismo abbia attecchito e trovato la sua massima espressione nell'ambito della prosa romanzesca, dove ha potuto legittimarsi e conquistare una buona fetta di lettori. 11

Nel momento in cui intende, attraverso i suoi esponenti, passare ad un altro genere, il teatro, sarà vantaggioso approfittare del successo ottenuto in precedenza nell'ambito che gli ha dato i natali, il romanzo, a cui sembra essere indissolubilmente legato.8 Il naturalismo, per poter approdare sul palcoscenico deve essere sempre definito in rapporto al romanzo, o perlomeno, sicuramente a partire da esso, essendo percepito come una sorta di suo prolungamento o fenomeno secondario. Le difficoltà di migrazione si pongono innanzitutto per l'evidente eterogeneità tra i due generi. Adattare un romanzo alla scena è un compito che si rivela difficile proprio a causa delle intrinseche differenze formali: come rendere le lunghe descrizioni che occupano ampio spazio nel romanzo o i momenti di riflessione introspettiva dei personaggi a teatro? Capiamo allora quanti ostacoli si debbano superare per trovare la formula vincente che porti la vita reale sul palco e che riesca a conquistare un pubblico più esteso, interessato allora ad altri tipi di teatro più convenzionali. Le critiche che vengono rivolte da un punto di vista formale a queste pièces sottolineano in primis la mancanza di coesione tra i tableaux (le scene in cui è stato tagliato il romanzo), di omogeneità nell'incastonatura degli episodi che si susseguono ma che sono privi di un senso d'appartenenza all'insieme. A determinare questo sacrificio del testo sono le esigenze spazio-temporali della scena che implicano la rappresentazione solo di qualche parte del romanzo-fonte. Per l'adattatore, si tratta di un lavoro di selezione delicato e spesso nocivo, dal momento che talvolta vengono effettuati sull'intrigo originale tagli o trasformazioni che possono compromettere la corretta comprensione del testo, pregiudicando così un successo che sembrava invece essere preannunciato dalla 8 "Il semblerait que le théâtre naturaliste ait eu besoin, pour s'imposer, d'utliser les succès obtenus ailleurs, dans un autre genre, où l'expérimentation avait déjà eu lieu, le roman, finalement légitimé, et dont on entendait présenter la transposition.", DISEGNI, Silvia, Les adaptations théâtrales des romans naturalistes à l'épreuve de la censure, in PIVA, Franco (ed.), Il romanzo a teatro : atti del Convegno internazionale della Società universitaria per gli Studi di Lingua e Letteratura Francese (SUSLLF), Verona, 11-13 novembre 2004, Fasano, Schena Editore, 2005, p. 95.

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popolarità del romanzo. Spesso accade infatti che gli spettatori, che si erano fatti un'idea dello spettacolo sulla base di quanto letto nell'opera romanzesca, rimangano delusi da ciò che vedono sul palcoscenico. Se il romanzo sembra garantire la libertà di espressione dello scrittore, libertà conquistatasi nei secoli, il teatro invece continua ad essere fortemente sorvegliato per la potenziale pericolosità insita nelle immagini che potrebbero impressionare maggiormente gli spettatori di quanto non facciano le parole scritte. A queste cautele che vengono imposte alle trasposizioni, costrette quindi a venire meno al principio di fedeltà al romanzo, si aggiunge anche l'opinione diffusa che queste pièces manchino di originalità essendo sostanzialmente le copie illustrate di testi altrui: ne deriva che l'adattamento risulti semplicemente un modo per vedere il romanzo dopo averlo letto. Ritenuta indegna di essere considerata un lavoro estetico, questa pratica è al contrario ritenuta strettamente legata al concetto di profitto, percepita alla stregua di pura attività commerciale: le trasposizioni teatrali non sono opere d'arte ma prodotti di seconda categoria realizzati per la vendita e il guadagno. Il giudizio di Zola in merito alla questione è piuttosto contraddittorio e ambivalente: se da un lato non manca di criticare quelle pièces troppo melodrammatiche tratte dai romanzi, dall'altro però individua proprio nella pratica dell'adattamento teatrale la forma più idonea per realizzare il progetto naturalista e il suo sogno di rinnovare il repertorio drammatico dell'epoca. Consapevole del fatto che la trasposizione a teatro di un romanzo non produca opere di alto livello letterario, trova invece che sia utile per diffondere le sue teorie e sensibilizzare il pubblico ad un tipo diverso di rappresentazione. Le pièces di Zola avranno le caratteristiche di qualsiasi altro adattamento scenico del tempo, difetti compresi, cosa che lo porterà ad essere un giudice severo delle sue stesse creature, riconoscendone l'inferiorità da un punto di vista letterario rispetto ai suoi romanzi, senza però rinunciare ad intervenire in loro difesa, soprattutto nei casi in cui sentirà di essere stato ingiustamente ed eccessivamente attaccato dalla critica nonostante l'impegno profuso, come vedremo con l'esempio di Renée. 13

1.3. La collaborazione con gli adattatori Nella maggior parte dei casi, le pièces tratte da romanzi prestati alla scena alla fine del XIX secolo, sono prodotte sia da autori che non sono originariamente i firmatari del romanzo in questione, sia in collaborazione con questi ultimi. Se il più delle volte i nomi degli adattatori teatrali suonano oggi estranei, tuttavia all'epoca erano noti per la loro produzione drammatica (che non consisteva soltanto in adattamenti ma anche in opere originali), non tanto per il loro talento letterario, ma per la loro capacità di offrire al pubblico coevo spettacoli divertenti. La loro popolarità giunse alle orecchie di quei romanzieri che intendevano adattare le proprie opere alla scena e che necessitavano di un valido e collaudato aiuto: la collaborazione si configurava così come un'associazione tra un personaggio noto e rispettato nel mondo delle lettere e un uomo di teatro, certamente meno famoso, ma che era in grado, grazie alla sua esperienza e conoscenza nell'ambiente, di trovare il giusto equilibrio tra le convenzioni vigenti e il rispetto del testo-fonte, a cui sicuramente teneva in modo particolare il romanziere. Spesso però il lavoro degli adattatori viene devalorizzato, soprattutto quando a giudicarlo sono i critici dell'epoca, piuttosti severi nei confronti dei creatori di drammi tratti da romanzi già esistenti. La pratica dell'adattamento è considerata una forma di manifestazione letteraria inferiore dal momento che risponde alle esigenze di mercato e trascura quindi i valori più propriamente artistici: l'adattatore è percepito come un semplice "industriale" del settore. Il criterio di originalità viene inevitabilmente penalizzato in quanto gli adattatori vengoni accusati di non essere in grado di creare opere inedite, limitandosi ad apportare modifiche su un testo già dato e noto: dal punto di vista dei critici non sono nient'altro che fabbricatori di pièces, operai che spesso fanno pure male il loro lavoro. Diversi sono i casi in cui vengono presi di mira per aver maltrattato il romanzo portato in scena: privi di senso dello stile, gli adattatori agiscono da macellai sul 14

testo che viene fatto a brandelli, tagliato in scene che mancano di coesione tra loro, rovinando così l'opera originale, di cui viene alterata la bellezza letteraria e corrotta la qualità artistica. La critica sembra essere unanime nell'esprimere un'opinione negativa su queste figure chiave del panorama teatrale dell'epoca, alle quali non si può negare la capacità e l'ingegno di saper migrare da un genere all'altro, sempre nel rispetto del buon senso e della moderazione. Ma l'immagine diffusa li ritrae come autori mediocri, di seconda categoria, che si appopriano di opere altrui di successo con il solo scopo di lucro: degli opportunisti insomma, quasi dei pirati che saccheggiano da fonti preziose. La collaborazione con lo scrittore del romanzo non fa altro che incrementare il loro demerito e disonore, attirando ulteriore biasimo da parte dell'implacabile critica del tempo.9 Zola non si discosta molto dai giudizi dei suddetti critici di fronte alla pratica dell'adattamento. Anche lui trova riprorevole il ricorso ad opere già esistenti e rimpiange le pagine che vengono sacrificate nel corso della trasformazione del romanzo in pièce ma i suoi commenti si distinguono per la loro ambivalenza: se infatti talvolta critica severamente questo lavoro, giudicandolo disonorevole e svilente, non lo condanna però completamente perchè vede in questa forma teatrale non convenzionale il possibile veicolo per la nuova formula naturalista da lui elaborata, in grado quindi di portare a teatro le sue idee e rinnovare finalmente la scena. L'adattamento consente di ampliare l'area di manovra del romanziere poichè il teatro si rivolge in un colpo solo a un vasto pubblico, cosa che riusciva a fare più limitatamente nel romanzo. A differenza di altri scrittori dell'epoca10 quindi, Zola concepisce il teatro come un 9 Un analitico racconto dell'animato dibattito scoppiato all'epoca è offerto da DE VIVEIROS, Geneviève, Les adaptateurs : « pilleurs », « corsaires » et « carcassiers » in "Les Romans Mis en pièces": étude sur la Pratique de l'Adaptation Théâtrale à la fin du XIX Siècle. Le Cas d'Émile Zola (1873-1902), Thèse de l'Université de Toronto, 2009, pp. 123 – 131. 10 "Contrairement à d’autres romanciers de la période comme Goncourt et Flaubert qui voient dans la vogue des adaptations, comme nous l’avons mentionné précédemment, une menace à la

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mezzo per rendere ancor più popolare la sua opera e come un campo in cui apportare grossi cambiamenti, in direzione di una maggiore attenuazione delle rigide convenzioni sceniche. E, non è un caso che, nel corso della sua carriera teatrale, si avvalga frequentemente della collaborazione di uomini che, al contrario di lui, sono esperti del settore. Ritiene che il talento degli adattatori si debba manifestare nella capacità di trasformare per la scena il romanzo traendone il meglio e creando degli effetti in grado di colpire il pubblico. I suoi collaboratori devono quindi conoscere bene la logica commerciale che vige nell'ambiente teatrale e devono saper trarre profitto dalle opere adattate in vista del successo e, di conseguenza, del guadagno. I professionisti con i quali si trova a collaborare alla versione teatrale dei suoi celebri romanzi sono considerati oggi scrittori minori, di fatto oscurati dalla fama del più noto e illustre Zola. Sappiamo poco sul loro conto 11 e questo non aiuta a riabilitare la loro dignità di letterati a lungo calpestata. Tra tutti, spicca il nome di William Busnach che fu non soltanto il più noto ma anche colui che collaborò più a lungo con l'autore de Les Rougon-Macquart: i due intrattennero una lunga corrispondenza tra 1877 e 1902 che testimonia l'importanza e la durevolezza di una relazione piuttosto complessa di cui cercheremo di mettere in luce gli aspetti controversi. Se infatti, come abbiamo appena visto, Zola non mostra troppo rispetto per gli adattatori, compresi quelli che traspongono le sue opere e con i quali collabora, Busnach invece ammira molto il maestro ed è un assiduo lettore dei suoi romanzi: crede nel nuovo metodo naturalista e si mette a completa disposizione del suo artefice, sempre pronto a proporgli progetti teatrali e rinnovate collaborazioni. Addirittura, a volte, ancor prima che uno dei suoi romanzi appaia in volume, survie du théâtre, Zola les conçoit comme un moyen de populariser le roman et d’élargir les conventions de la scène", ibidem, p. 181. 11 La De Viveiros dedica alcune pagine della sua tesi a brevi biografie su questi autori bistrattati dai posteri. Si ricordano i nomi di: Raoul de Saint-Arroman, Charles Samson, Charles Hugot, Octave Gastineau, Léon Hennique, Henry Céard. (vedi DE VIVEIROS, Geneviève, "Les Romans Mis en pièces": étude sur la Pratique de l'Adaptation Théâtrale à la fin du XIXe Siècle. Le Cas d'Émile Zola (1873-1902), op. cit., pp. 202 – 209.

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Busnach cerca di assicurarsi l'esclusiva sulla versione adattata alla scena. D'altronde, al momento del loro primo incontro, egli è un uomo di teatro riconosciuto e capace, mentre, al contrario, sappiamo che Zola soffre di un insuccesso cronico a teatro: la collaborazione si configura quindi come un accordo vantaggioso per entrambi, da un lato per il maldestro drammaturgo che era -ed era consapevole di essere- Zola, dall'altro per l'adattatore che da questa associazione trae una certa notorietà, nonchè un profitto economico non indifferente. Affidare ufficialmente l'adattamento teatrale dei suoi romanzi a Busnach, autorizzarlo a disporre liberamente del testo, scegliendo di restare nell'ombra, significa anche delegargli ogni responsabilità, soprattutto quella di un possibile fiasco. Le circostanze reali in cui avveniva la collaborazione non sono ben chiare, non sappiamo se Zola si fosse veramente defilato lasciando interamente a Busnach la libertà di operare a suo piacimento, oppure se fosse intervenuto mostrando quindi una volontà di controllo sul lavoro affidato, con il diritto di avere l'ultima parola in caso di divergenza di intenzioni. Quel che sappiamo è che non co-firmò mai nulla di quanto messo in scena dal fedele adattatore e che, nella maggior parte dei casi, le pièces si rivelarono un insuccesso, di pubblico ma soprattutto di critica. Sembra quasi che la decisione di rifiutare la paternità di questi drammi nasca dal timore di veder associato il proprio nome alla parola "fiasco", preferendo quindi scaricare l'intera colpa su Busnach, che funzionava da vero e proprio "parafulmine"12 in questi casi. Appassionato di teatro ma al tempo stesso intimorito e in difficoltà, Zola, non riuscendo a resistere alla tentazione della scena, continuerà a rivolgersi a mediatori teatrali, almeno fino al 1902, anche dopo aver rotto i rapporti con lo

12 La parola usata dalla Sandras-Fraysse, che a sua volta cita E. De Goncourt, è "paratonnerre"; sempre su Busnach, Céard lo definisce "paravent". La questione dell'irresponsabilità letteraria di Zola è affrontata in SANDRAS-FRAYSSE, Agnès, “L'opinion devant les adaptations théâtrales de Zola. Busnach, cornac ou prête-nom?”, Les Cahiers naturalistes n°80, 2006, pp. 195-213.

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storico collaboratore e anche dopo una lettera13, datata 23 novembre 1892 in cui rispondeva ad un papabile adattatore che chiedeva la sua autorizzazione per trarre una pièce da un suo romanzo con un deciso -ma che si rivelerà poi essere solo momentaneo- rifiuto. La vicenda di Busnach è però esemplare e sicuramente non possiamo non riconoscergli il merito di aver aiutato Zola nel difficile compito di fare accettare il naturalismo a teatro, fungendo da presta-nome e soprattutto facendosi carico dei pericoli che un'operazione del genere comportava.

1.4. La critica dell'epoca Nel XIX secolo lo sviluppo della stampa e il ruolo sempre più importante che assume il teatro nella vita culturale e sociale favoriscono lo slancio della critica drammatica. Il teatro non è più limitato solamente allo spazio della scena o a quello dei luoghi mondani, ma diventa anche e soprattutto oggetto di polemica, di discussione, di riflessione. All'epoca la critica drammatica veniva percepita come una sorta di estensione dell'evento teatrale e l'importanza che deteneva nella cultura del tempo non era solo di ordine ideologico ma si manifestava anche concretamente occupando spazio materiale nei giornali o nei periodici. La stampa è il luogo in cui il critico esercita la sua attività: nell'apposita rubrica esclusivamente a lui dedicata, annuncia e commenta le nuove pièces rappresentate, arricchendo l'articolo di pettegolezzi sugli attori, di peripezie relative alla messa in scena e alla stesura del testo, di dettagli sugli scenari e sui costumi, per far conoscere al lettore le circostanze e gli avvenimenti che attorniano le creazioni teatrali. 13 "Hélas! Monsieur, je ne puis vous donner l'autorisation que vous me demandez. Je ne veux plus autoriser personne à tirer une pièce d'un de mes livres. J'ai eu de trop gros ennuis, et c'est un serment que j'éspère bien tenir. Le parti pris est général, et je vous prie de ne point vous en blesser." La lettera è riportata da KANES, Martin, “Zola et les adapteurs: une lettre inédite”, Les Cahiers naturalistes n°41, 1971, p. 86.

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Data l'importanza che questi cronisti professionisti assunsero sotto il Secondo Impero e la III Repubblica, gli autori teatrali si trovavano costretti a fare i conti con i loro giudizi, dal momento che venivano considerati alla stregua di influentissime autorità nel settore. E' il caso di Francisque Sarcey, secondo Zola il critico "le plus lu et le plus écouté" della sua epoca, "l'idole de la foule" che nei teatri dettava legge.14 Sarcey esercitava il suo potere di critico anche sui direttori di sala che seguivano i suoi pareri per allestire uno spettacolo o ingaggiare un attore. Le sue preferenze venivano accordate alle pièces che rispettavano l'insieme di convenzioni stabilite, che non deviavano dalla norma. Si spiega così la ferocia mostrata dal critico nei confronti dei tentativi che Zola fece a teatro: è comprensibile come tra i due non vi fosse alcuna simpatia, dal momento che l'uno si dichiarava conservatore tanto in ambito politico quanto in ambito letterario, mentre l'altro l'esatto contrario. La vita teatrale parigina è sottomessa ad una combriccola di direttori-criticidrammaturghi, tra i quali spiccano, oltre al già citato Sarcey, Brunetière, Lemaitre, Porel, Sardou, Dumas figlio, convinti che il teatro "à la française", quello della "pièce bien faite" sia l'unico teatro possibile e autorizzato 15, quando invece in quegli stessi anni, Zola, solo, si stava battendo per l'esistenza di tanti teatri e non di un solo teatro. Abbiamo visto come Zola non riesca a tradurre nella pratica le brillanti teorie 14 Per tutte le informazioni sulla vita di Sarcey e sul rapporto con Zola drammaturgo, vedi BECKER, Colette, GOURDIN-SERVENIERE, Gina, LAVIELLE, Véronique, Dictionnaire d'Émile Zola. Sa vie, son œuvre, son époque suivi du dictionnaire des “Rougon-Macquart”, op. cit., p.385 - 386. 15 "La vie théâtrale parisienne est sous la coupe d'une côterie de directeurs-critiques-dramaturges, qui sont dotés, tant intellectuellement que socialement; cette côterie, dont les représentants les plus connus sont Brunetière, Lemaitre, Sarcey, Porel, Sardou, Dumas fils, reste persuadée que le théâtre "à la française", celui de la "pièce bien faite", est le théâtre de sa modernité". CHEVREL, Yves, Les enjeux d'une esthétique naturaliste au théâtre, in ZIEGER, Karl FERGOMBE, Amos (éds.), Théâtre naturaliste, théâtre moderne?, Valenciennes, Presses Universitaires de Valenciennes, 2001, p. 15.

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esposte nei suoi scritti e di come soffra di un insuccesso cronico a teatro. I critici non gli lasceranno passare nulla e non perderanno occasione per attaccarlo ad ogni fallimento, contribuendo ad accrescerne il fiasco. Nota dolente della carriera drammatica di Zola fu la sua disponibilità ad affidare le trasposizioni dei suoi romanzi a collaboratori di fiducia, in particolare a Busnach, senza però mai chiarire il suo ruolo nel lavoro di riscrittura e adattamento. Ecco che venne così accusato da più parti di nascondersi dietro al nome di Busnach, che firmava le pièces, per non dover affrontare in prima persona la vergogna dell'ennesimo flop, delegando l'intera colpa al collaboratore. Albert Wolff, all'indomani dello sfortunato tentativo di Germinal, in un articolo pubblicato su Le Figaro nell'aprile del 1888, gli rimproverò di non assumersi le proprie responsabilità poichè continuava a negare la paternità delle sue opere.16 Gli adattamenti teatrali erano oggetto di importanti riflessioni critiche e fonte di numerose polemiche; se associate al nome di Zola producevano un'eco di maggiore risonanza e i critici, che si erano già mostrati piuttosto severi di fronte ai drammi tratti dall'impianto narrativo di un romanzo, non fecero altro che rincarare la dose per stroncare il più celebre romanziere che aveva osato sconfinare in un campo i cui strumenti dimostrò non saper maneggiare alla perfezione. Dal canto suo Zola non mancò di replicare denunciando l'eccessiva ingerenza di questi critici nel mondo del teatro e il loro influsso negativo sulla libertà d'espressione.

1.5. La censura teatrale La censura teatrale è il primo ostacolo legale che deve affrontare l'adattatore, detto anche dai naturalisti "appropriatore", dei romanzi naturalisti. Questa istituzione repressiva, soppressa ma poi ristabilita nel 1871, resterà in vigore fino al 1905 16 Per seguire lo scontro a suon di dichiarazioni su Le Figaro tra il critico Albert Wolff e l'autore di Germinal vedi SANDRAS-FRAYSSE, Agnès, “L'opinion devant les adaptations théâtrales de Zola. Busnach, cornac ou prête-nom?”, op. cit., pp. 209 – 211.

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dopo aver sottoposto alle sue implacabili sentenze numerosi adattamenti.17 Ben più rigoroso di quello dei romanzi, l'intervento censorio in ambito teatrale si rivelò maggiormente incisivo e repressivo proprio perchè il teatro all'epoca veniva considerato il più pericoloso tra tutte le arti per gli effetti collaterali che poteva provocare sul pubblico di spettatori: forti emozioni, stati d'animo alterati, addirittura sommosse a seconda del soggetto e della sua sovversività. Se ormai, alla fine del XIX secolo, le principali libertà artistiche erano state conquistate, il teatro invece soffriva di una condizione di schiavitù e di sottomissione davanti al potere politico, che parlava attraverso la commissione di censori, privando così gli autori della libertà di poter disporre delle proprie creature, le proprie opere. Ciò che sorprende di più, e che sorprese lo stesso Zola, indignandolo profondamente, fu il fatto che da parte dei suoi colleghi scrittori non giunse nessuna voce di protesta, anzi, essi condussero una campagna attiva in favore della censura anzichè mobilitarsi congiuntamente per abolirla 18. Solo Zola parlò di libertà, di un teatro senza ostacoli nè imposizioni, ma nessuno venne in suo aiuto. L'intervento censorio andava a colpire la libertà di parola e di espressione che in un certo senso sono i cardini della poetica naturalista e della mimesi del reale. Perciò spesso alcuni casi di sopressione o di trasformazione imposti agli adattamenti di romanzi naturalisti ebbero delle implicazioni letterarie, andando così a toccare il contenuto e la forma del testo e, di conseguenza, anche il senso che poteva venire stravolto. La correzione era concepita come un riaggiustamento allo scritto dell'autore che si era appunto discostato dal codice culturale vigente, deviando così dalla norma; 17 Una breve storia della censura è presente in DISEGNI, Silvia, Les adaptations théâtrales des romans naturalistes à l'épreuve de la censure, op. cit., pp. 99 – 100. 18 "Les seuls coupables, les grands coupables, dans l'affaire, ce sont les hommes de lettres, journalistes et auteurs dramatiques, qui ont mené une campagne active en faveur de la Censure." Le parole di Zola che comparvero in una cronaca impegnata e indignata su Le Figaro del 29 gennaio 1887, e di cui parlerò in seguito, sempre in questo sotto-capitolo, sono riportate da SANDERS, James B., “Zola et la censure théâtrale: une chronique inédite en libraire”, Les Cahiers naturalistes n° 51, 1977, p. 144.

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compito della commissione era intervenire a sanare questi difetti -se così possiamo definirli- bloccando inevitabilmente sul nascere ogni forma di sperimentazione e di originalità. Non stupisce quindi che la prima impressione di fronte alle pièces modificate sia di somiglianza e affinità formale, mentre dal punto di vista contenutistico saranno state eliminate le scene più ardite. Potremmo considerare i censori alla stregua di "co-autori" 19 dal momento che partecipano alla genesi dell'opera teatrale e influiscono sul risultato finale attraverso i loro interventi più o meno severi a seconda dei casi. In un contesto in cui, data la divergenza di intenzioni, il dialogo tra romanzieri e censori risulta difficile se non impossibile, ecco che la figura del drammaturgo adattatore si rivela indispensabile per approdare ad un compromesso che riesca ad accontentare tutti.20 Professionista ed esperto del settore, essendo già sottomesso al regime e conoscendo il regolamento corrente, può offrire le sue competenze tecniche all'autore del romanzo, spesso estraneo all'ambiente e alle sue norme, e al tempo stesso evitare che quest'ultimo si imbatta nei divieti imposti dalla commissione e debba subire ulteriori oltraggi alla sua opera. L'adattatore è colui che, al momento della redazione, mette in guardia lo sprovveduto scrittore contro i pericoli di una trasposizione troppo fedele al testo del suo romanzo e, per questo motivo, troppo audace per il palcoscenico. E' il caso della trasposizione teatrale di Germinal21, scritta a quattro mani con lo storico collaboratore William Busnach il quale, a proposito del settimo tableau, consigliò di non rappresentare lo scontro tra i gendarmi e la folla di minatori, cosa 19 "Les censeurs participent bien de la genèse d'une pièce. On peut même aller jusqu'à considérer les censeurs comme des "co-auteurs" explicites ou implicites", DISEGNI, Les adaptations théâtrales des romans naturalistes à l'épreuve de la censure, op. cit., p. 106. 20 "Le rôle du dramaturge adapteur auquel les écrivains naturalistes font souvent appel est alors à considérer comme une médiation entre le romancier, peu habitué à ce régime, et le censeur de théâtre.", ibidem. 21 Per uno studio dell'adattamento teatrale di Germinal vedi MONTACLAIR, Florent, “L'échec du naturalisme théâtral: la révolution impossible d'un siècle de théâtre”, in ZIEGER, Karl – FERGOMBE, Amos (éds.), Thèâtre naturaliste, théâtre moderne?, Valenciennes, Presses Universitaires de Valenciennes, 2001, pp. 162 - 169.

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che invece avrebbe voluto fare il romanziere, desideroso di rispettare il testo originale. Busnach prevedeva un'interdizione da parte della commissione per una scena tanto celebre e perciò tanto attesa dal pubblico, che agli occhi della censura appariva però eccessivamente intrisa di uno spirito rivoluzionario che avrebbe trasformato il palcoscenico, da un luogo di riposo e svago, in un'arena aperta a pericolosi fermenti politici. Era quindi meglio autocensurarsi preventivamente, garantendo però la sopravvivenza della pièce. La lungimiranza di Busnach, uomo d'esperienza, trovò conferma nella realtà dal momento che la messa in scena di Germinal venne interdetta nel 1885 poichè secondo la commissione, lo spirito del dramma non era stato abbastanza attenuato dai due autori. Quando nel 1888 Germinal venne riproposta nei teatri parigini, dopo che Zola aveva rielaborato il testo seguendo le indicazioni provenienti "dall'alto", il pubblico si trovò di fronte un melodramma: i censori avevano vinto, i loro dettami erano stati imposti con successo. I tagli ordinati con spietatezza dalla censura e attuati a malincuore da Zola riguardavano innanzitutto scene forti, come quella della sparatoria e dello scontro tra classi sociali; altre modifiche interessavano il lessico, attraverso l'eliminazione di parole troppo politicamente orientate verso il mondo del proletariato, e i personaggi che vennero semplificati e privati dei loro originari caratteri complessi e sfaccettati. Senza dimenticare il fatto che vennero censurati anche discorsi troppo sovversivi e impegnati e pure la lingua in cui venivano espressi, ovvero la lingua popolare dei minatori, quella viva, parlata, a volte violenta, lasciò il posto ad una più omogenea, neutra e misurata. Assolutamente inverosimile. Zola, all'indomani dell'interdizione del 1885, si scagliò violentemente contro un'istituzione che giudicava per ragioni politiche piuttosto che morali, e continuò a farlo anche negli anni a venire, come abbiamo visto, solo, in difesa non del proprio interesse, ma di un diritto calpestato. Il 29 gennaio 1887, apparve su Le Figaro una sua veemente e animata cronaca in cui osservava come si continuasse a perpetuare sotto un regime repubblicano un 23

abuso di natura monarchica. Nonostante l'emendamento proposto alla Camera da un certo M. Laguerre, con lo scopo di abolire la censura, la votazione confermò il mantenimento della tirannica istituzione, gettando nello sconforto e nella delusione il romanziere appassionato ancor prima che di teatro, di un valore fondamentale e imprescindibile come la libertà. A ferirlo maggiormente però non sono i deputati, ma gli uomini di lettere come lui che anzichè affiancarlo nella lotta, continuarono a tollerare e approvare l'esistenza della censura: mai la letteratura era stata ridotta a tal punto in uno stato servile senza mostrare un briciolo di indignazione e di rivolta.22 Zola si sente padrone della propria opera e non tollera che qualcuno ci metta mano: il clima di sottomissione e indifferenza generale è ciò che lo amareggia di più. Ripensa con nostalgia ai grandi scrittori romantici che avevano preceduto questa indegna generazione di uomini piccoli e al loro amore per le lettere e sopra ogni cosa per la libertà: Victor Hugo, Alexandre Dumas padre, Théophile Gautier, Alphonse de Lamartine si erano tutti esposti e avevano esternato il loro disprezzo nei confronti della censura. Ma i tempi sono cambiati e, nonostante l'ottimismo di Zola, fiducioso nel fatto che le generazioni future sapranno emanciparsi, negli ultimi decenni del XIX secolo gli scrittori naturalisti, abituati alla libertà di espressione concessa dal romanzo, dovranno fare i conti con un regime ben più limitante qualora vorranno misurarsi con il palcoscenico e la rappresentazione dal vivo.

1.6 André Antoine e il Théâtre Libre In un clima ostile al rinnovamento e alla libertà di espressione, Zola ha avuto la 22 "Jamais littérature n'a montré, je le répète, un tel goût de la servitude, un tel aplatissement devant le pouvoir politique et administratif. (...) Eh quoi! Pas une indignation, pas une révolte?", SANDERS, Zola et la censure théâtrale: une chronique inédite en librairie, op. cit., p. 146.

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sfortuna di trovarsi solo sul fronte di una battaglia che sembrava essere già persa in partenza. Eppure le sue campagne appassionate non sono cadute completamente nel vuoto e hanno suscitato il rispetto e l'ammirazione di una generazione di autori drammatici che vide ne "le Pape des Naturalistes" il lungimirante teorico di un teatro libero dalle convenzioni. Un nome su tutti, quello di André Antoine23, il quale più volte confesserà l'irresistibile ascendente che Zola aveva esercitato su di lui durante gli anni della sua formazione, quando ancora frequentava assiduamente i teatri di Parigi da spettatore. Il nome di Antoine è indissolubilmente associato a quello del Théâtre Libre, vero e proprio teatro sperimentale fondato nel marzo 1887 e che, non a caso, aprirà la stagione con Jacques Damour, dramma in un atto che Léon Hennique trasse dall'omonimo racconto di Zola. Se Antoine professerà per tutto il corso della sua vita affetto e stima immutata nei confronti di quello che considerava un educatore, il maestro a sua volta non disdegnava il discepolo, anzi, in più occasioni espresse la sua simpatia per il giovane, apprezzandone in particolar modo l'audacia e l'originalità, qualità che in un'epoca di mediocrità non poterono non colpirlo positivamente. Che fosse Antoine il messia, il redentore, che avrebbe spazzato via in un colpo solo il vecchio teatro convenzionale di cui parlava Zola nei suoi scritti teorici, questo non possiamo saperlo con certezza ma solamente provare a dedurlo a posteriori. E' evidente che, nonostante i numerosi tentativi, non era stato Zola a portare la rivoluzione sul palcoscenico -cosa che invece aveva concorso a fare nel romanzomentre è altrettanto evidente che Antoine, al contrario, un contributo concreto nell'impresa di cambiamento del sistema l'aveva dato, eccome. In un'epoca in cui i direttori dei principali teatri parigini non osavano discostarsi dal gusto diffuso del pubblico e dai dettami di una censura che temevano e rispettavano, il Théâtre Libre di Antoine, nel suo decennio di attività, si assunse il 23 "Zola fut pour Antoine le grand homme de théâtre, le critique clairvoyant et hardi qui aiguilla des générations d'auteurs dramatiques", SANDERS, James B., “Antoine et Zola”, op. cit., p. 10.

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compito di accogliere pièces di autori rifiutati altrove, di aprire le porte molto democraticamente alle sole premières, senza ancorarsi ad una tendenza artistica in particolare che precludesse altre possibilità.24 Ecco perchè Zola appoggiò incondizionatamente l'esperimento di un giovane con il quale condivideva indubbiamente un'affinità caratteriale e una comunione di interessi e di ideali; entrambi battaglieri ed appassionati, si trovarono a combattere la medesima lotta contro il convenzionale e il banale dominante per conquistare una libertà, quella teatrale, a lungo bistrattata. Era inevitabile che Zola accogliesse con entusiasmo la nascita di un teatro libero di nome e di fatto e che accettasse immediatamente di patrocinare il movimento: la sua adesione fu completa e il suo atto di fede assoluto. Grazie anche ai consigli del maestro25, il Théâtre Libre portò una salutare ventata di cosmopolitismo sulla scena francese, dal momento che vennero introdotte opere di drammaturghi stranieri, tra cui Ibsen che si acclimatò in Francia proprio sotto gli auspici di Zola e grazie al notevole talento di Antoine. Sarà proprio questa straordinaria apertura che consentirà al Théâtre Libre di non rimanere attaccato a una etichetta, a una particolare tendenza dominante, proprio in virtù di questo suo eclettismo. Pur continuando a stimare e a considerare Zola il maestro che aveva educato il pensiero di un'intera generazione, Antoine non è mai stato schiavo della formula naturalista né sottomesso al patrocinio di un Mecenate. L'aver tradotto nella pratica ciò che l'aveva convinto e colpito nella teoria, non fa di lui un burattino; Antoine conserverà sempre uno spirito indipendente e ribadirà più volte di essere il solo padrone in casa sua, senza subire freni o condizionamenti esterni.26 24 "Antoine ne demandait pas mieux que d'amener à la cause du Théâtre Libre les écrivains de toute tendance. (...) Antoine était décidé à rester maître chez lui. (...) Il tenait à garder toute sa liberté d'action. (...) le Théâtre Libre ne doit ouvrir que pour de vraies premières", SANDERS, “Antoine, Zola et le théâtre”, Les Cahiers naturalistes n° 42, 1971, p. 59. 25 "Zola crut pouvoir confier à Antoine la tâche d'élargir les horizons de la scène française en lui recommandant des œuvres théâtrales étrangères.", SANDERS, Antoine et Zola, op. cit., p. 11. 26 "Le but que s'était proposé Antoine était de frayer la voie aux auteurs nouveaux en leur

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Mosso da un'incessante curiosità per tutte le nuove tendenze emergenti, non avrebbe potuto consacrarsi esclusivamente ad un uomo che ammirava e di cui si considererà sempre l'allievo, proprio perchè la filosofia del suo teatro consisteva nel mantenere un'assoulta libertà d'azione. Non c'è da stupirsi allora se Antoine sopravvisse al movimento naturalista e al suo esponente principale e se, una volta conclusosi l'esperimento del Théâtre Libre nel 1894, seppe rinnovarsi e prestarsi a nuove esperienze. Dopo la fondazione del Théâtre Antoine e una parentesi al Théâtre de l'Odeon nelle vesti di direttore, si dedicò alla regia dei primi film muti e svolse l'attività di critico teatrale e cinematografico. Dopo la morte di Zola, divenne lui il più grande suscitatore di polemiche letterarie in Francia, avendo ereditato dal maestro lo stesso temperamento e la stessa schiettezza di pensiero. Potremmo definirlo il primo regista d'avanguardia che riuscì a portare con successo sulla scena le teorie naturaliste per cui si era tanto battuto Zola senza però mai riuscire ad essere incisivo e vincente nella pratica, così come lo era stato a parole. Antoine intraprese coraggiosamente, con la piena approvazione del maestro, un tentativo di rinnovamento del teatro che si rivelerà duraturo e che si colloca alla base del movimento teatrale moderno: aveva insomma realizzato l'utopia di Zola, cioè portare efficacemente il naturalismo sul palco che fino ad allora aveva balbettato a stento ed emanciparsi da qualsiasi regolamentazione imposta da organi esterni sul mondo delle lettere. Ma Antoine fece anche di più, scegliendo di restare indipendente e di andare oltre ad una fase, quella del naturalismo che, come ogni fase, non poteva che essere passeggera.

fournissant un vrai théâtre d'essai. Antoine préconisait un théâtre libre, desencombré, ouvert à toutes les écoles et à toutes les tendances, un théâtre qui refuserait de se mettre sous le patronage d'un Mécène, de s'inféoder à un commanditaire susceptible de peser sur les destinées de l'entreprise.", ibidem, p. 16-17.

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2. PRIMA DEL DRAMMA 2.1.

Il mito di Fedra

"Décidément c'est une nouvelle Phèdre que je vais faire"27 Zola progetta da tempo d'illustrare di nuovo il mito di Fedra e di restaurare così la tragedia classica, almeno dal 1860 quando ha l'occasione di leggere il primo atto della tragedia di un certo Pagès du Tarn, intitolata appunto Nouvelle Phèdre.28 Molto presto quindi l'attenzione di Zola si è rivolta a questa idea di riportare in vita la tragedia antica, seppur modernizzandola rispetto all'illustre modello di Racine; rendere attuale il dramma, ovvero riproporlo nella società parigina del Secondo Impero, significherà inevitabilmente degradarlo, mostrando come il tentativo di riprodurlo in un altro ambiente implichi la perdita della grandezza tragica e la conversione in una miserabile farsa. Dopo la pubblicazione de La Curée nel 1872, sappiamo bene che il mito di Fedra tornerà ad ossessionarlo quando, nel 1880, su insistente richiesta di Sarah Bernhardt, scriverà Renée, dando all'eroina del suo romanzo lo statuto di personaggio teatrale, degno di dare il proprio nome al titolo del dramma. Zola ripropone lo stesso tema variato migrando dal romanzo al teatro, sua grande tentazione da sempre, senza dimenticare però di passare attraverso la forma breve del racconto, con la novella Nantas, che risale al 1878.29 Sembrerebbe che la leggenda della regina incandescente l'abbia veramente 27 Citazione estrapolata dal dossier preparatorio de La Curée, vedi manoscritto conservato alla Bibliothèque Nationale de France: NAF 10282 fol 298. 28 "Le projet d'illustrer à nouveau le mythe de Phèdre est, chez lui, ancien et durable. De 1860 environ à 1898 au moins, le thème des amours monstrueuses reparaîtra dans sa correspondance ou dans son œuvre.", DEZALAY, Auguste, "La 'nouvelle Phèdre' de Zola ou Les mésaventures d'un personnage tragique", in Travaux de linguistique et de littérature, IX, n° 2, 1971, p. 121. 29 "Il n'y avait pas suffi à Zola de transposer l'histoire de Phèdre dans un roman, puis dans un drame naturaliste, et qu'à la fin de 1878 il avait encore éprouvé le besoin de donner une autre interprétation du destin de Renée dans une nouvelle. (...) Roman, conte, drame, trois versions d'une tragédie moderne, trois variations sur le thème de Phèdre.", ibidem, p. 123.

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impressionato, tanto da riproporla sotto diverse vesti nell'arco di un decennio. Ma nel processo di rielaborazione del mito bisogna tener ben presenti le pagine in cui Zola aveva dato il suo contributo teorico alla causa del naturalismo a teatro e, in particolare, quelle in cui dichiarava la sua ammirazione per la drammaturgia classica. Il rinnovamento tanto propugnato avrebbe dovuto innanzitutto consistere, secondo lui, in un ritorno alle fonti, al classicismo dei grandi maestri del XVII secolo che avevano offerto un modello di semplicità, sia del soggetto che dell'azione, e d'efficacia drammatica che consentivano di concentrarsi esclusivamente sullo studio della psicologia e della fisiologia dei personaggi

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Molière, Corneille, ma soprattutto Racine, autore di una Phèdre del 1677, al quale Zola guarda per il secondo romanzo del ciclo. In effetti, La Curée deve molto alla tragedia classica per quanto riguarda la concezione dei personaggi e la struttura della trama: per poter dipingere il mondo della speculazione è necessario un dramma che sia morale ma anche sentimentale al tempo stesso e Zola lo costruisce nella maniera più rigorosa possibile, raccontando una crisi che investe i due mondi paralleli, quello finanziario, il regno di Saccard, e quello passionale, l'universo di Renée. I due fili conduttori, gli affari e l'incesto, si intrecciano dando origine a una trama serrata nei limiti delle unità aristoteliche di luogo, tempo e azione, e i cui personaggi principali, ridotti ad un numero circoscritto, tre, ne sono i motori. E' interessante anche esaminare la partizione del romanzo, cioè il modo con cui Zola ha scelto di articolare la vicenda: i capitoli sono in totale sette, ma se consideriamo il fatto che i capitoli II e III costituiscono dei flash-back in cui vengono fornite informazioni sul passato di Saccard e di Renée, ecco allora che restano cinque capitoli complessivi, assimilabili ai cinque atti tipici di una classica 30 "On doit remonter jusqu'à la tragédie pour revenir à la simplicité d'action et à l'unique étude psychologique et physiologique des personnages. Le cadre tragique ainsi entendu est excellent: un fait se déroulant dans sa réalité et soulevant chez les personnages des passions et des sentiments dont l'analyse exacte serait le seul intérêt de la pièce.": sono le parole di Zola riportate da DESFOUGERES, Anne-Marie, "La Curée". Roman et dramaturgie classique, in AA.VV., La Curée de Zola, ou, La vie à outrance: actes du colloque du 10 janvier 1987, Société des études romantiques, Paris, SEDES, 1987, p. 6.

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tragedia. Nel capitolo I, come in un atto I, vengono presentati i protagonisti calati nei luoghi cruciali della trama: dalla scena iniziale -nonchè finale- al Bois de Boulogne in cui Renée esprime il suo desiderio d' "autre chose" agli interni dell'hotel Saccard, sede della febbrile attività speculativa del marito. Nel capitolo IV, equivalente dell'atto II di una tragedia, i due fili dell'azione si sviluppano: Renée soddisfa il suo inconfessabile desiderio e consuma l'incesto, mentre Saccard comincia a progettare il piano per impadronirsi dei terreni di sua moglie. Nel capitolo V o atto III Saccard ha un urgente bisogno di denaro ma Renée si rifiuta di firmare l'atto di cessione suscitando nel marito il sospetto che abbia un amante che la consigli nei suoi affari: un tale sviluppo, definito da Corneille come "une agréable suspension" amplifica efficacemente la tensione drammatica, lasciando il lettore/spettatore ansioso di conoscere l'evoluzione della crisi. Infatti al capitolo VI o atto IV assistiamo al colpo di scena, la scoperta dei due amanti da parte di Saccard che trattiene la collera del marito beffato rallegrandosi di fronte all'atto di cessione firmato: il trionfo finanziario sancisce la rottura della fragile relazione sentimentale. Il capitolo VII, l'ultimo, proprio come l'atto V di numerose pièces classiche, mostra le conseguenze finali dell'epilogo e il sipario non cadrà finchè la sorte dei personaggi principali non sarà fissata; ma l'attenzione di Zola si concentra soprattutto sulla fine della sua eroina tragica, Renée: rimasta sola, di fronte al ricongiungimento di padre e figlio come se nulla fosse accaduto, si lascerà morire di solitudine e di pentimenti, per una condotta dissipata in contrasto con l'educazione borghese ricevuta.31 Oltre ad aver conferito al romanzo una struttura e uno svolgimento tipicamente drammatici, Zola, sempre sotto l'incessante influsso del mito e del suo mondo, scrive un testo che pullula di riferimenti diretti all'antichità classica e ai suoi topoi. L'appariscente hotel Saccard sostituisce il decisamente più sobrio palazzo di Trezene, attingendovi però elementi dell'ornamento classico come il piccolo 31 "Avec ce personnage Zola est bien resté dans la tradition aristotélicienne du héros ni tout à fait bon, ni tout à fait méchant... Faible devant ses désirs, Renée a des repentirs, la nostalgie de l'innocence. Ses souffrances ne peuvent laisser le lecteur indifférent.", Anne-Marie, "La Curée". Roman et dramaturgie classique, op. cit., p. 11.

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DESFOUGERES,

tempio greco o le cariatidi, in linea con il sincretismo artistico dello stile Napoleone III, "ce bâtard opulent de tous les styles"32; il Bois de Boulogne ricorda "un bois sacré, une des ces clairières idéales au fond desquelles les anciens dieux cachaient leurs amours géantes, leurs adultères et leurs incestes divins" 33, assecondando così la voglia inappagata e inesprimibile di Renée; infine, la mitologia greco-latina rivive con la rappresentazione de "Les amours du beau Narcisse et de la Nymphe Echo", un trittico di tableaux vivants composto dal prefetto improvvisatosi regista Hupel de la Noue, il quale, ispirandosi alle Metamorfosi di Ovidio, ne offre una lettura che rivela impietosamente il degradamento che il mito subisce in un contesto come il salotto della residenza di Saccard. Questa descrizione satirica e venata d'ironia è sempre visibile in Zola, il primo ad essere consapevole dell'impossibilità di riproporre fedelmente la tragedia del dramma antico nella sua contemporaneità: Renée non è Fedra e non ha motivo di uccidersi per preservare il suo onore, proprio perchè l'onore non rientra nel patrimonio di valori della sua epoca; Saccard non è Teseo, non può essere l'eroe greco portatore di civiltà, proprio lui che contribuisce alla distruzione della sua città per interesse economico ma soprattutto non può recitare la parte del marito ferito nell'orgoglio dal tradimento della moglie con il figlio, non avendo un reale interesse nè per Renée nè per questioni morali, estranee ad un uomo senza scrupoli come lui; Maxime non ha nulla di Ippolito, nè della sua integerrima condotta che fa di lui un ragazzo casto e disdegnoso di piaceri terreni. Se Racine aveva dovuto inventare il personaggio di Aricia per sottrarre Ippolito dall'accusa di omosessualità, Zola fa di Maxime un omosessuale latente, un individuo equivoco, attratto e sedotto dalle perversioni. Gli esempi che dimostrano la trasformazione della tragedia in farsa 34 potrebbero continuare, mentre un elemento tratto dal mito di Fedra che viene mantenuto e 32 ZOLA, Emile, La Curée (1871), Paris, Pocket collection Classiques, 2013, p. 40. 33 Ibidem, p.34. 34 "La tragédie de Phèdre semble-t-elle tourner au burlesque", DEZALAY, Auguste, "La 'nouvelle Phèdre' de Zola ou Les mésaventures d'un personnage tragique", op. cit., p. 126.

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riproposto è quello dell'influsso materno: in questo caso, ad accomunare Fedra e Renée è la trasmissione di un male che viene da lontano, oscuro e mostruoso, lasciato in eredità dalle rispettive madri. Come Pasifae era stata sopraffatta dall'irrazionale passione per un toro, da cui nacque il Minotauro, così la madre di Renée aveva vissuto diverse avventure galanti e si era lasciata trascinare nel vizio che la porterà a morire per quel "détraquement cérébral" che prefigura la morte della figlia provocata da una meningite acuta. Le notizie su questa immaginaria biografia della madre di Renée sono tratte non dal romanzo, in cui non viene fatto nessun cenno a questa figura, ma dalla pièce Renée, argomento che verrà affrontato nel terzo capitolo. Quindi ne La Curée Zola ha avuto modo di coniugare la lontana vocazione per la tragedia annessa al modello teatrale fornito dai classici con l'innato talento romanzesco che lo contraddistingue, consentendogli di seguire da vicino l'evoluzione di una famiglia calata in un determinato milieu, ennesima occasione per osservare l'influsso nascosto ma decisivo dell'ereditarietà sull'individuo.

2.2.

La Curée: storia del romanzo

"Dans l'histoire naturelle et sociale d'une famille sous le Second Empire, La Curée est la note de l'or et de la chair.": così Zola definisce, nella prefazione 35 all'edizione uscita in volume, il secondo romanzo del ciclo de Les RougonMacquart che è il naturale proseguimento delle vicende del primo, ovvero La Fortune des Rougon. La Curée aveva cominciato a comparire nel 1871 a puntate, come romanfeuilleton, pubblicazione che era poi stata interrotta da un intervento della censura, in seguito alla comparsa della scena ambientata al Café Riche, in cui veniva consumato -anche se, non descritto- l'incesto. Il romanzo verrà pubblicato in volume nel 1872, dapprima presso Lacroix, mentre la seconda edizione verrà 35 La prefazione, presente nella prima edizione pubblicata dall'editore Lacroix, verrà soppressa nelle edizioni successive (informazione tratta dalla postfazione di François-Marie Mourad a ZOLA, Émile, La Curée, Paris, Le Seuil, 1992.)

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curata da Georges Charpentier, amico intimo di Zola nonchè concreto sostenitore del naturalismo e dei suoi principali esponenti, dei quali pubblicava i libri. La cronologia36 però si fa più complessa nel momento in cui scopriamo che in realtà il dossier preparatorio risale al 1869, anno in cui non aveva ancora terminato il primo romanzo del ciclo. La documentazione relativa al mondo della speculazione immobiliare dell'epoca viene intrapresa nel maggio 1870 come testimonia una sezione del dossier intitolata "Notes Dejouy", esclusivamente dedicata a notizie riguardanti il fenomeno. Zola non avrebbe potuto scrivere un romanzo avente come protagonista un arrampicatore sociale specializzato in questa pratica delinquente senza conoscere il meccanismo alla base del suo successo: ecco che dagli appunti salta fuori il nome del suo informatore, un certo Anatole Jules de Jouy, avvocato alla corte imperiale che, in virtù della sua professione, era al corrente delle illegalità commesse ai tempi nell'ambito della speculazione edilizia e che quindi passò del materiale utile e interessante al romanziere, in cerca di un fondamento veritiero e contemporaneo per la sua storia. Non è facile seguire passo dopo passo la redazione de La Curée se si tiene conto del fatto che nell'estate del 1870 era avvenuta la dichiarazione della guerra e che nell'autunno-inverno dello stesso anno Zola aveva trascorso un lungo soggiorno in provincia, a Marsiglia e a Bordeaux: difficilmente ebbe occasione di tornare alla scrittura del romanzo, di cui aveva già redatto il primo capitolo. Sono mesi in cui il manoscritto viene messo da parte e non è possibile sapere in quale preciso momento l'autore si sia rimesso al lavoro. Le date certe sono poche ma e' sicuro però che la sospensione della pubblicazione in feuilleton del romanzo su La Cloche avvenne il 5 novembre 1871 e che la redazione dell'ultima parte del capitolo V è posteriore a questa data: da questo momento in poi i tempi si 36 "Quant à La Curée, son dossier a été ouvert dès le mois de février de cette année (1869) (...) C'est à partir de novembre surtout qu'on voit se multiplier dans son œuvre de journaliste des textes indiquant que Zola méditait le roman qui devait finalement être La Curée", in LETHBRIDGE, Robert, “La préparation de “La Curée”: mise au point d'une chronologie”, Les Cahiers naturalistes n° 51, 1977, pp. 37-38. Tutti i dettagli qui di seguito sullo sviluppo cronologico del romanzo sono stati attinti da questo studio.

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accelerano e tra novembre e dicembre 1871 vengono redatti gli ultimi tre capitoli. Questa breve parentesi sulla durata temporale della stesura del romanzo serve a ricordare la complessità del lavoro di scrittura e soprattutto la plausibile evoluzione che un progetto può subire nel corso di un paio d'anni. La trama è nota: la vicenda si svolge dall'ottobre 1862 alla fine del 1864 e potremmo riassumerla come l'incontro tra l'ascesa del personaggio maschile principale e la caduta di quello femminile. Da un lato Aristide Saccard che si è abbattuto su Parigi all'indomani del colpo di stato del dicembre 1851 e che, grazie al discreto appoggio del potente fratello Eugène, ha potuto conoscere anticipatamente le future trasformazioni della capitale ad opera del barone Haussmann, cosa che gli ha consentito di ricoprire un ruolo di successo all'interno del complesso gioco della speculazione immobiliare e quindi, di arricchirsi. Ma la premessa a questo trionfo sociale ed economico è stato anche il matrimonio di reciproca convenienza con la giovane e ricca figlia di un irreprensibile magistrato in pensione, Renée Beraud du Châtel che, sedotta da un uomo sposato e rimasta incinta, trova nell'unione legittima con Saccard un'apparente copertura alla vergogna. Da questo momento in poi, le vite dei due coniugi resteranno di fatto separate finchè le rispettive crisi, l'una economica, ovvero il bisogno impellente di denaro del marito, l'altra passionale, ossia l'invaghimento corrisposto della moglie per il figliastro, si intrecceranno dando luogo ad uno sviluppo parzialmente drammatico. Parzialmente perchè, se Renée, travolta dalla passione incestuosa e poi rimasta completamente sola, dopo essere stata spogliata di ogni cosa dai meschini uomini della sua vita, uscirà di scena silenziosamente, colpita da una fulminante malattia, Saccard invece lo ritroviamo quasi ringiovanito al Bois de Boulogne in occasione dell'apparizione dell'imperatore e con il pensiero sempre rivolto ai suoi affari, pronto a lanciarsi in nuove avventure finalizzate a placare la sua sete di ricchezza. Se la morte di Renée viene riportata per inciso 37, quasi casualmente, badando maggiormente a sottolineare l'ammontare del debito da pagare che il suo triste 37 "L'hiver suivant, lorsque Renée mourut d'une méningite aiguë, ce fut son père qui paya ses dettes.", ZOLA Emile, La Curé, op. cit., p. 357.

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epilogo, Saccard invece non solo appare vivo e vegeto nell'ultimo capitolo, ma riuscirà addirittura a sopravvivere al romanzo stesso. Lo ritroveremo protagonista di un altro romanzo di Zola, il diciottesimo del ciclo, L'Argent, del 1891, in cui, per accrescere ulteriormente la sua fortuna, fonda con alcuni soci la Banca Universale, sempre basata sul meccanismo speculativo che stavolta però gli sarà fatale e lo porterà al fallimento. Sarebbero bastate le parole di Zola che definivano La Curée per riassumerne l'essenza, ovvero l'avidità di denaro e la seduzione della carne, due forme di vizio diverse, ma sempre forme di appetito incontrollato e incontrollabile. Ecco che forse sarebbe più utile, in un romanzo in cui i simboli non mancano, partire proprio dal titolo, La Curée, che è sintesi di questi istinti animaleschi. La parola curée appartiene infatti al vocabolario della caccia all'inseguimento e, nello specifico, si tratta della "parte dell'animale ucciso che si dà in pasto ai cani" 38: sia Renée che Saccard assumono spesso nel romanzo caratteristiche di predatori, lei quando si tratta di prendere l'inizativa con il debole ed effemminato Maxime, ritratta spesso nel suo habitat naturale, la serra, come una gatta in attesa della sua preda; lui invece, come un lupo affamato, si butta sulla città agonizzante cercando di prendere il brandello più grosso ed appetitoso. L'appetito che prevarrà tra i due sarà quello per l'oro, come testimoniano i due diversi destini degli sposi, senza però dimenticare che l'istinto sessuale resta una componente fondamentale e trasversale in tutto il romanzo, che travolge anche personaggi minori, e che sarà quella a suscitare maggiore scandalo, sia presso i lettori, sia presso i futuri spettatori dell'adattamento teatrale.

2.3.

La metafora del teatro ne La Curée

Se questa tesi ha come principale oggetto d'analisi La Curée a teatro, non meno importante è però osservare anche gli episodi di teatro ne La Curée, arricchendo quindi il gioco di rimandi e ribadendo il fascino che il mondo del teatro esercitava 38 Definizione tratta da MARGUERON Claude- FOLENA Gianfranco, Dizionario Sansoni Larousse francese-italiano italiano-francese,Firenze, Sansoni Editore, 1981.

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sul romanziere. In un certo senso la metafora teatrale irradia la totalità del testo 39 e ne costituisce un elemento strutturante fondamentale dal momento che La Curée, o meglio, il mondo che racconta e rappresenta, si configura come uno spettacolo per gli occhi del lettore, invitato dal narratore ad assistere alla sfilata di personaggi emblematici della società sotto il Secondo Impero all'interno del loro habitat naturale: lusso, eleganza, sfarzo, ricchezza ostentata, vestiti magnifici, gioielli splendidi, cifre enormi che vengono sborsate per ogni minimo capriccio o per stare al passo con la volubile moda. Una società che vive per fare festa, nel tentativo di colmare il vuoto e la futilità che aleggiano tra i soldi: passeggiate, ricevimenti, balli, banchetti. Sono queste le principali occupazioni quotidiane. La metafora del teatro si manifesta innanzitutto nel bisogno di apparire, di dare un'immagine di sè, spesso non coincidente con quello che sta dietro (impossibile, a teatro, identificare l'attore con il personaggio). Ecco che anche questa società, più che essere composta da uomini e donne, sembra brulicare di personaggi, ognuno dei quali è chiamato a recitare la propria parte, per non sfigurare di fronte agli altri, tenendo ben nascosti gli aspetti, forse i più veri e naturali, che risulterebbero sconvenienti se palesati in pubblico.40 Tutto è finzione e l'universo de La Curée rinvia inevitabilmente al mondo dello spettacolo e alla sua natura effimera e artificiale. E' noto che Zola, con questo romanzo, intendesse scrivere una "nuova Fedra", una versione moderna del mito, probabilmente prevedendo e sapendo che, in una società tale, la tragedia antica non può che tradursi in una parodia. La corruzione dilagante del tempo implica che il dramma dell'incesto, realmente avvertito come un dramma all'epoca di Euripide, qui si riduca a melodramma, proprio perchè è 39 Quest'idea è tratta da BECKER, Colette, Illusion et réalité: la métaphore du théâtre dans La Curée, in AA.VV., La Curée de Zola, ou, La vie à outrance: actes du colloque du 10 janvier 1987, Société des études romantiques, Paris, SEDES, 1987, p. 121. 40 Qui alludo al personaggio di Baptiste, l'integerrimo cameriere dell'Hotel Saccard che sembrava guardare dall'alto verso il basso il mondo di signori spregiudicati e di dame debosciate in mezzo a cui lavorava: si scoprirà essere omosessuale e seduttore di giovani stallieri e per questo licenziato dal padrone.

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l'ambiente stesso in cui si svolge che sembra concorrere a devalorizzare ogni elemento tragico41, trasformandolo in una farsa grottesca. Due episodi verranno ora presi in esame e analzzati perchè ritenuti emblematici di questa presenza teatrale nel romanzo: la serata in cui Renée e Maxime vanno al Théâtre-Italien a vedere la Ristori nei panni di Fedra e il poema di tre quadri viventi "Les Amours du beau Narcisse et de la nymphe Echo" che anima il ballo in maschera all'Hotel Saccard. Il primo, che si colloca all'incirca a metà del quinto capitolo, consiste nella rappresentazione della Phèdre di Racine al Théâtre-Italien a cui assistono, come già detto, i due amanti, spinti più dal desiderio di vedere la celebre attrice italiana Adelaide Ristori, che andava allora di moda 42, più che da una reale passione per il teatro, per di più in una lingua straniera non perfettamente padroneggiata, l'italiano. Mentre Maxime deride l'attore che interpreta Hippolyte (lo chiama "godiche", in poche parole babbeo), Renée resta invece profondamente impressionata dalla Ristori

e

dalla

sua

intensa

interpretazione43

che

innesca

l'immediata

identificazione con l'eroina della tragedia classica: Renée sente di essere "l'incestueuse des temps nouveaux" e di aver riportato in vita l'antico crimine. La vista della propria illustre antenata sul palcoscenico e la sua drammatica vicenda la rapiscono completamente, isolandola da quello che le sta intorno e portandola nella dimensione irreale della fantasticheria: immagina che Saccard la scopra tra le braccia del figlio mentre nel frattempo, vede Fedra suicidarsi con il veleno davanti ai suoi occhi. Di fronte alla rappresentazione della morte inflittasi per onore, scatta subito la presa di consapevolezza e la debita distanza da un 41 Di "marques dévalorisantes" parla COMPERE, Daniel, La Curée et Nana: genèse des scènes théâtrales, in LEDUC-ADINE, Jeanne-Pierre (éd.), Zola: genèse de l'œuvre, Paris, CNRS Editions, 2002, p. 146. 42 "Ils voulaient voir une grande tragédienne italienne, la Ristori, qui faisait alors courir tout Paris, et à laquelle la mode leur commandait de s'intéresser.", ZOLA, Émile, La Curée (1871), op. cit., p. 249. 43 "Mais la Ristori, avec ses fortes épaules secouées par les sanglots, avec sa face tragique et ses gros bras, remuait profondément Renée.", ibidem.

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modello con cui l'identificazione era avvenuta con troppa superficialità: Renée non è -e non è nemmeno degna di essere- Fedra e non può esserlo innanzitutto per una questione epocale e sociale; l'Antica Grecia con il suo codice etico fortemente radicato e rispettato nella polis non è la Parigi di Napoleone III, in cui a regnare è il vizio e a dilagare è l'immoralità ampiamente tollerata e, sembrerebbe, addirittura quasi incoraggiata dall'ambiente stesso. Ecco che, se da un lato la tragedia antica è capace di mostrare grandi gesti e un attaccamento sincero ai valori, anche a costo della stessa vita, dall'altro il dramma meschino vissuto da Renée non può far altro che infossarla ulteriormente in questo baratro peccaminoso, ottenebrando ogni tentativo di reazione da parte di una volontà priva di forza sufficiente.44 Assolutamente estraneo ai fatti e a ogni possibile accostamento della propria vicenda con quella appena vista in scena è Maxime, il quale, non avendo capito nulla, si lamenta della pièce, che trova noiosissima, preferendo invece alla tragedia gli spettacoli comici e irriverenti dei Bouffes, che non richiedono nessun tipo di impegno emotivo. Una battuta infelice detta dal giovane sciocco farà immediatamente uscire Renée dal suo doloroso vagheggiamento, con la consapevolezza di prendere parte non a un dramma ma ad un ignobile farsa, i cui personaggi non sono altro che la versione degradata e grottesca dei ben più nobili protagonisti dell'antica tragedia.45 Il secondo episodio si colloca all'inizio del sesto capitolo: i Saccard, in occasione del giovedì di mezza quaresima hanno dato a casa loro un ballo in maschera, invitando i personaggi più in vista dell'alta società parigina. Il momento clou della serata è la rappresentazione del poema suddiviso in tre tableaux "Les Amours du beau Narcisse et de la nymphe Echo", a cui prendono parte le dame del gruppo e l'effemminato Maxime, nel ruolo di Narciso. L'autore di questo poema in prosa, 44 "Aurait-elle la force de s'empoisonner, un jour? Comme son drame était mesquin et honteux à coté de l'épopée antique!", ibidem, p. 250. 45 "La Ristori n'était plus qu'on gros pantin qui retroussait son péplum et montrait sa langue au public comme Blanche Muller, au troisième acte de La Belle Hélène; Théramène dansait le cancan, et Hippolyte mangeait des tartines de confiture en se fourrant les doigts dans le nez.", ibidem, p. 251.

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nonchè il suo meticoloso regista,

è il prefetto Hupel de la Noue che tiene

particolarmente alla riuscita del suo lungo lavoro, sperando che i presenti non si limitino ad un apprezzamento estetico ma penetrino i significati allegorici nascosti e colgano il sostrato mitologico. Nel primo tableau si vede Venere nella grotta marina circondata da Cupido, dalla tre Grazie, dalla Voluttà e dalla ninfa Eco, interpretata da Renée che tende le braccia verso la grande dea, mentre si rivolge con lo sguardo a Narciso, supplicante, come per invitarlo a lasciarsi sedurre e colpire dagli strali infuocati dell'amore, ma invano, dal momento che il giovane, coprendosi gli occhi con la mano, rifiuta ogni avances. Nel secondo invece ci spostiamo nella grotta infernale abitata da Pluto, straripante di pezzi da venti franchi, a simboleggiare la ricchezza di cui è protettore il dio; nonostante questa ennesima tentazione, il dramma resta sempre lo stesso: Narciso continua a rifiutare Eco disperata. Il terzo ed ultimo quadro, con tutti i protagonisti in scena, ha per oggetto la morte di Narciso, punito dalle divinità che aveva disdegnato, in particolare maledetto da Venere, la sua metamorfosi nell'omonimo fiore e la morte della ninfa innamorata ma non corrisposta46, che sembra irrigidirsi in una statua di marmo bianco. Zola ci dice che i primi due furono quelli che ebbero maggiore successo: l'uno, "la tentation de la chair", il tripudio di corpi femminili nudi, esposti agli sguardi indiscreti degli spettatori maschili, l'altro, "la tentation de l'or", con lo strabiliante accumulo di pezzi di denaro sul pavimento che manda in visibilio tutti i presenti. Non c'è da stupirsi allora se il terzo non fu altrettanto coinvolgente47, dal momento che non offre appetitosi inviti a godere dei più biechi piaceri, bensì inscena la morte dei due protagonisti del mito.48 Ma non solo, perchè prefigura simbolicamente e anticipa la sorte di Renée a cui è stata proprio affidata la parte della sventurata Eco: entrambe divorate dalla 46 "la nymphe Echo se mourait aussi, se mourait de désirs inassouvis", ibidem, p. 301. 47 "Ce troisième tableau n'eut pas le succès franc des deux autres", ibidem, p. 302. 48 "La mort est ici doublement mimée. Celle de Narcisse, conforme à la légende, est le ch âtiment de l'indifference et de l'égoisme. Celle d'Echo est l'aboutissement d'une passion insatisfaite.", NOIRAY, Jacques, "Une 'Mise en abyme' de La Curée: 'Les Amours du beau Narcisse et de la nymphe Écho'", Littératures n° 16, Printemps 1987, p. 74.

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passione rivolta verso un uomo indifferente e narcisista, moriranno di questo desiderio che non riesce a trovare uno sbocco soddisfacente. A suggerire ulteriormente la sovrapposizione di destini è la recitazione particolarmente realistica di Renée49 che agonizza per amore, inconsapevole del fatto che le toccherà la stessa fine. Questi due esempi mostrano il ruolo dissacratorio che Zola attribuisce ai momenti teatrali nel romanzo, che servono a degradare il mito raccontato, mettendone in ridicolo gli aspetti artificiali e grotteschi e l'assoluta distanza da una dimensione realmente tragica.

2.4.

Un racconto costruito come un dramma: Nantas

"Renée, ainsi qu'on peut le voir, est une combination de La Curée et de Nantas"50 Tra la stesura de La Curée e di quella che viene considerata la sua versione teatrale Renée, trascorrono all'incirca otto anni. Prima di cominciare la redazione del dramma, Zola scrive il racconto Nantas che viene dapprima pubblicato, nell'ottobre 1878, sulla rivista russa a cui stava collaborando, Le Messager de l'Europe, sotto il titolo "Une histoire vraie contemporaine"; in seguito compare in francese con il suo titolo definitivo su Le Voltaire dal 19 al 26 luglio 1879. L'impianto della vicenda di Renée assomiglia molto a quello di Nantas: nessuna casualità, come dimostra la citazione tratta dalla prefazione alla pièce in cui Zola ammette la doppia origine dell'adattamento che quindi non è semplicemente la fedele trasposizione della più nota Curée, ma presenta elementi tratti dal meno celebre racconto. E' molto probabile che, nel momento in cui redige Nantas, Zola stia già progettando di trarre dalla Curée una versione teatrale che vedrà poi la luce del palcoscenico solo nel 1887. Indubbiamente le somiglianze e le affinità con il secondo romanzo del ciclo de Les Rougon-Macquart sono numerose e si possono riscontrare a più livelli; stesso 49 "Et Mme Saccard, on dirait une morte" osserva Louise nel romanzo, p.302. 50 Émile Zola, Renée, pièce en cinq actes, Paris, G. Charpentier, 1887, Préface, p.2.

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sistema di personaggi: se Nantas ricorda Aristide (ma anche il fratello Eugène, protagonista del romanzo "politico" del ciclo, Son Excellence Eugène Rougon), Mlle Chuin, la mezzana, non è altro che una Sidonie un po' meno orribile. Flavie, la giovane benestante violata, è un doppio di Renée, così come il barone Danvilliers riproduce Béraud du Châtel, vecchio nobile schiacciato dalla vergogna a causa della colpa di sua figlia. Anche le situazioni sono le stesse: disprezzo del padre per l'uomo che sposa sua figlia, separazione di fatto dei due coniugi -sia in Nantas che in Renée ci troviamo di fronte a due "matrimoni bianchi", non consumati, anche se con diverso epilogo-, tensione drammatica che nasce da un ritorno di interesse del marito per la moglie che lo rifiuta sdegnosa. Questo racconto, al di là della sua dichiarata parentela con la nostra pièce, è interessante per almeno due altre ragioni. La prima è che la sua struttura interna rispetta le regole tradizionali della drammaturgia, dal momento che ciascuno dei cinque capitoli forma quasi un atto a sè stante e si integra nell'architettura generale; inoltre Zola segnala con estrema cura e minuzia anche gli elementi dello scenario, addirittura l'andatura e l'abbigliamento dei personaggi, i loro movimenti, le loro espressioni. Insomma, tutte queste numerose e preziose indicazioni di messa in scena fanno di Nantas un racconto sì, ma costruito come un dramma ed è inevitabile osservare come sembri prestarsi particolarmente bene ad un adattamento drammatico. Il secondo motivo che suscita il nostro interesse è la scoperta di un manoscritto in cui Zola aveva abbozzato il progetto di un dramma in quattro atti tratto proprio da Nantas.51 Questo testo non è datato ma contiene un riferimento al primo atto del dramma Renée, lasciandoci quindi credere che sia quasi senza ombra di dubbio posteriore al 1880, anno in cui era stata composta Renée. L'ipotesi più verosimile ed accreditata è che, tra 1880 e 1887, Zola, scoraggiato dalle difficoltà e dagli ostacoli che incontrava per fare rappresentare Renée sulle scene parigine, avrebbe momentaneamente pensato di rinunciare a quest'opera e di 51 Il manoscritto e una sua attenta analisi sono forniti da FRICHET-RECHOU, Jacqueline, “Nantas: de la nouvelle au drame”, Les Cahiers naturalistes n°41, 1971, pp. 27 – 33.

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proporre al suo posto ai direttori di teatro un dramma tratto esclusivamente da Nantas, il cui soggetto era meno audace di quello de La Curée e quindi avrebbe avuto maggiori possibilità di essere accettato.52 Attraverso questo testo possiamo vedere come procede Zola nell'adattamento di un'opera romanzesca alla scena, nonostante poi il progetto sia stato accantonato e ne resti solo questo abbozzo. Innanzitutto cerca di conservare tutto ciò che può essere conservato. E' mosso da una preoccupazione di fedeltà al testo di partenza che però va inevitabilmente a scontrarsi con modifiche rese necessarie dal cambiamento di genere, dal passaggio dalla forma romanzesca a quella teatrale. Sono due le principali tecniche di adattamento: la prima, la più semplice, consiste nello sforzarsi di far passare dal racconto al dramma i personaggi, le situazioni, i dialoghi, la struttura della trama, senza fargli subire notevoli cambiamenti. La seconda, consiste nella restrizione nel tempo e nello spazio dell'intrigo del romanzo, per metterlo in condizione di essere rappresentato in scena: si passa dai cinque capitoli del racconto ai quattro atti del dramma. Nel momento della trasposizione si presentano però dei problemi che lo scrittore è chiamato a risolvere senza riuscirvi sempre in maniera efficace. Ad esempio, il lungo monologo in cui il protagonista del racconto analizza il proprio stato d'animo non era in alcun modo riproducibile sulla scena; per risolvere questo problema tecnico Zola crea due persoanggi, Léon e Adèle, inesistenti nel testo di partenza. Ma l'introduzione nella trama di questa nuova coppia, spesso protagonista di scene tenere e melodrammatiche, comporta anche dei pericoli, perchè va a smorzare i momenti di tensione emotiva. Un'altra modifica di dubbia efficacia è la mancata gravidanza della protagonista: se Flavie non fosse incinta il dramma perderebbe soprattutto il carattere di verosimiglianza perchè non si comprenderebbe cosa costringa una giovane agiata e benestante a sposarsi con un miserabile come Nantas. 52 L'altra ipotesi avanzata ma immediatamente accantonata dalla Frichet-Rechou è che Zola, nel 1880, avrebbe esitato tra l'adattamento alla scena de La Curée in un dramma, Renée,e l'adattamento diretto del racconto Nantas, che ha del resto utilizzato abbondantemente per Renée.

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Quindi possiamo concludere dicendo che Zola riscrive cercando di restare il più fedele possibile al testo; qualora apporti modifiche, queste vengono sempre fatte prudentemente e nel rispetto delle convenzioni. Altri cambiamenti si configurano come concessioni al gusto del pubblico, nel tentativo di compiacerlo e quindi di riscuotere successo. Come vedremo, questa sarà una direttrice fondamentale anche nell'adattamento di Renée.

43

3. RENÉE 3.1.

Genesi della pièce

Renée ha alle spalle una storia letteraria curiosa 53 se teniamo conto del fatto che, scritta nel 1880, non vide la luce del palcoscenico fino al 1887: in un lasso temporale di sette anni, il manoscritto della pièce ha subito una vera e propria odissea e ha dovuto lottare per uscire allo scoperto, anche grazie alla tenacia con cui l'autore ha difeso la propria creatura. Tuttavia, nonostante l'antica passione per il teatro, abbiamo visto come Zola fosse sempre stato restio a trasporre in prima persona i propri romanzi in pièces54, preferendo avvalersi dell'aiuto di collaboratori esperti e navigati; con Renée invece le cose cambiano, perchè la paternità dell'adattamento è interamente sua, anche se l'idea originaria, cioè di portare il soggetto de La Curée a teatro, viene da Sarah Bernhardt. Da un lato quindi la titubanza e la preoccupazione derivanti anche dalla scabrosità dell'argomento, che lo dissuadevano dall'intraprendere l'impresa, dall'altro, la lusinghiera insistenza della grande attrice drammatica, che era rimasta profondamente colpita dal romanzo e soprattutto dal complesso personaggio di Renée con cui intendeva misurarsi55. Convinto dalla Bernhardt, il romanziere si cimenta nell'audace tentativo di portare un soggetto teoricamente impossibile come l'incesto in scena, riuscendo però a trovare l'espediente per camuffarlo, attenuarlo, celarlo agli occhi dei moralisti: Saccard è marito di Renée solamente di nome, non di fatto, perciò il matrimonio non è mai stato consumato (proprio come nel racconto Nantas) e tra i due non c'è 53 "Renée a une histoire que je désire conter avant tout. Elle me paraît curieuse et instructive": così si apre la prefazione alla pièce, in cui Zola decide di raccontare la storia della sua opera. ZOLA, Émile, Renée, pièce en cinq actes, op. cit., 1887, p. 1. 54 "...je suis convaincu qu'il est exécrable pour un auteur de mettre lui-même un de ses romans au théâtre", ibidem. 55 "Sans madame Sarah Bernhardt, je n'aurais peut-être jamais écrit la pièce. Elle s'était prise de passion pour La Curée, elle voyait dans le personnage de Renée un rôle superbe et à sa taille", ibidem.

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mai stato nessun contatto fisico, il che rende la relazione tra la matrigna e il figliastro meno incestuosa e peccaminosa, quindi, più accettabile per un pubblico ancora profondamente legato alla morale borghese. Zola si mette a lavorare ad una pièce che, con i dovuti accorgimenti, sta prendendo vita e forma, senza però perdere quella potenziale pericolosità che alla fine spaventerà la stessa Bernhardt, colei per la quale era di fatto stata concepita 56, e che proprio nel 1880 ruppe con la Comédie Française, lasciando così Zola solo con la sua Renée. Da questo momento in poi comincia un lungo periodo di rifiuti da parte dei più illustri direttori dei principali teatri parigini ai quali Zola sottopone la lettura del manoscritto della sua pièce. Il primo ad avere l'onore e l'onere di pronunciarsi sul dramma è Émile Perrin al quale Zola chiede quale effetto avrebbe potuto produrre la rappresentazione di Renée al Théâtre-Français. Nella lettera in risposta, Perrin, pur condividendo con l'autore la convinzione della necessità di rivoluzionare il teatro contemporaneo, intravede i pericoli insiti in una tale trama, prevedendo che il pubblico non sarebbe riuscito ad andare oltre il terzo atto.57 Sconfortato dalla negativa previsione, ma apprezzandone la sincerità, Zola tuttavia non demorde e nel 1882, dopo averlo riposto nel cassetto per qualche mese, ritira fuori il manoscritto e lo invia a Koning, direttore del Gymnase, sperando in un commento diverso. Invece la risposta è sempre la stessa58: la pièce è troppo ardita e, per un teatro che ha degli interessi economici da preservare, è sconsigliabile correre il rischio di mettere in scena un'opera che non promette bene e che odora 56 "...si j'ai apporté certaines modifications au roman, je l'ai fait dans le vif désir d'être joué par la grande tragédienne sur notre première scène française", ibidem, p.2. 57 "Je pense, comme vous, que le théâtre a besoin de se frayer une voie nouvelle et qu'il peut descendre plus loin dans l'analyse et serrer de plus près la vérité; mais le public de la Comédie Française ne supporterait pas la Phèdre moderne possédée par son fils, presque sous les yeux de son époux. (...) Je suis convaincu que la pièce ne passerait pas.", ibidem, p.4. 58 "vingt-quatre heures après, le manuscrit revenait chez moi, avec une lettre terrifiée, déclarant que la pièce n'était pas possible (...) Évidemment, à son point de vue, M. Koning avait raison. Il est le représentant d'une maison de commerce, toute pièce qui ne sent pas l'argent est une vilenie à ses yeux.", ibidem, p.6.

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già di fiasco. Nel 1884 è Porel dell'Odéon che viene a cercare Zola, interessato al lavoro del celebre scrittore, ma l'interesse verrà meno dopo la lettura del manoscritto che sortisce sul direttore l'effetto già prodotto sugli altri: è impossibile rappresentare Renée e Porel, che non si limita a mettere in scena i testi che gli vengono portati, propone di apportare alcune modifiche, promette di lavorarci per renderla recitabile, ma alla fine, forse spaventato anch'egli dall'audacia del soggetto, non se ne farà più nulla di questa collaborazione e il manoscritto tornerà a giacere nel cassetto del suo autore. La primissima ricezione del dramma quindi non è stata delle migliori 59, anzi, il giudizio si è proclamato unanime nel profetizzare il fallimento e soprattutto l'assoluta impossibilità di mettere in scena e di tollerare fino alla fine una simile vicenda . Zola, solitamente instancabile ottimista, sembra essersi rassegnato a questa convinzione generale, finchè i direttori del Vaudeville, MM. Deslandes e Carré, contro ogni pronostico e, potremmo anche dire, contro ogni buon senso, pur essendo

consapevoli

del

grande

pericolo,

decidono

di

supportarlo

coraggiosamente nella rischiosa impresa, per amore dell'arte e della sua libertà, valori da tutelare in quanto ben più importanti di un incasso insoddisfacente. Dopo quasi un decennio di tentativi che si erano tutti conclusi con netti ed irrequivocabili rifiuti, Renée ha finalmente la possibilità di venire al mondo grazie all'impegno di due direttori che oltre ad esporsi concretamente finanziando la messa in scena, ne rispettano anche la forma e il contenuto conferitole dal proprio creatore: Zola, nella prefazione alla pièce scritta nel maggio del 1887, ribadirà la sua infinita riconoscenza60 nei confronti di chi l'ha affiancato in un progetto che aveva spaventato molti altri. Gratitudine manifestata non solo verso Deslandes e

59 "Renée avait épouvanté M. Perrin et madame Sarah Bernhardt, et deux directeurs l'avaient nettement refusée, M. Koning et M. Porel.", ibidem, p. 9. 60 "Qu'il me soit permis de leur témoigner ici ma vive gratitude pour les soins qu'ils ont donnés à mon œuvre, ne comptant pas, ne lui refusant ni les décors neufs, ni les interprètes de premier rang, la traitant en un mot comme une œuvre à laquelle on croit."

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Carré ma anche verso tutti gli attori, che nomina uno ad uno61, dei quali elogia la bravura e la professionalità dimostrata nel recitare dei ruoli così impegnativi e, in un certo senso, anche pericolosi per la loro carriera. La storia di Renée è poi quella nota e documentata: viene rappresentata al Théâtre del Vaudeville dal 16 aprile al 23 maggio 1887 e, nonostante l'enorme pubblicità fatta per promuoverla, viene sospesa dopo solo trentotto repliche.62 Zola, dati i nefasti presagi, si dirà tuttavia soddisfatto 63 poichè, a suo parere, la pièce non si è rivelata un completo fallimento, come avevano previsto invece i suoi autorevoli primi lettori. D'altro canto non possiamo nemmeno parlare di un successo incontestato, dal momento che vedremo con quali parole la stampa e la critica dell'epoca si pronunciarono negativamente sull'adattamento, non senza un pizzico di ingiustificata cattiveria, come non mancherà di notare un agguerrito Zola all'indomani della prima.

3.2.

I personaggi

Portare un romanzo a teatro non significa fornirne una fedele traduzione 64: 61 Nell'ordine ringrazia: Mlle Brandès nel ruolo di Renée, Mme Grassot nel ruolo di Mlle Chuin, Mlle Marguerite Caron nel ruolo di Ellen Maass, M. Raphaël Duflos nel ruolo di Saccard, M. Montigny nel ruolo di Béraud du Châtel, M. Eugène Garraud nel ruolo di Maxime, M. Mayer nel ruolo di Larsonneau. 62 "Renée n'obtint pas le succès escompté par le romancier. La critique reprocha à Zola d'avoir fait trop de concessions au public et de ne pas avoir suivi à la lettre l'histoire de La Curée.", in DE VIVEIROS, Geneviève, "Renée. Une interview inédite de Zola dans "Le Matin", Les Cahiers natutalistes n°82, septembre 2008, p. 291. L'articolo riporta un'intervista uscita su "Le Matin" il 14 aprile 1887, a pochi giorni dalla première di Renée, in cui Zola racconta la genesi della pièce, prefigurando alcuni temi che verranno sviluppati poi nella prefazione. 63 "Me permettra-t-on d'être en somme satisfait, moi qui ne croyais qu'à une soirée, et qui tremblais d'apporter au Vaudeville la ruine et le déshonneur?" in ZOLA, Émile, Renée, pièce en cinq actes, op. cit., p. 13. 64 E' curioso notare che invece l'insuccesso di Renée è stato in parte dovuto anche alla delusione dei critici di fronte ad una pièce che si discostava dal romanzo: "Ce qui m'a surtout frappé c'est le désappointement des critiques, qui, connaissant La Curée, se sont fâchés de ne pas retrouver le livre dans la pièce.", in ZOLA, Émile, Renée, pièce en cinq actes, op. cit., p.14.

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adattare significa compiere un lavoro di riscrittura che comporta inevitabili trasformazioni a più livelli, dovute proprio all'eterogeneità dei due generi. Le modifiche a livello macrostrutturale65 sono quelle che riguardano l'universo diegetico del dramma e che possiamo definire complessivamente orientate verso una semplificazione generale dell'insieme. La trama di Renée è tratta da La Curée ma, come abbiamo già avuto modo di vedere, risente anche del racconto Nantas, il cui influsso si avverte soprattutto nell'atto I, durante il quale vengono definite le condizioni 66 del "mariage blanc" tra i due coniugi per attenuare l'impatto del tema dell'incesto sul pubblico. Altra importante differenza nell'intreccio riguarda la morte di Renée, nel romanzo causata da una fulminea meningite, nella pièce invece dovuta al gesto plateale della stessa eroina la quale, decidendo di togliersi la vita in scena, garantisce un finale molto più melodrammatico e sensazionale alla vicenda. Se ne La Curée i luoghi erano investiti di un marcato valore simbolico, nel dramma invece questa importanza spaziale viene meno e gli ambienti fortemente icastici del romanzo diventano polivalenti e interscambiabili: è il caso della serra che, da regno della perversione sessuale di Renée, degrada nell'atto III a sfondo di una banale conversazione d'affari tra Saccard e Larsonneau.67 Anche la dimensione temporale viene stravolta sensibilmente: mentre l'azione del romanzo si sviluppa in circa due anni, l'azione della pièce invece si dilata e tra l'atto I e i successivi quattro che sembrano rispettare una sorta di unità di tempo classico, intercorrono dieci anni, una durata tale da rendere inverosimili i cambiamenti repentini che avvengono dal secondo atto in poi e che investono in 65 Lo studio delle modifiche macrostrutturali e microstrutturali nel passaggio dal romanzo alla pièce è condotto in PAISSA, Paola, De "La Curée" à "Renée". La Phèdre manquée de Zola, in PIVA, Franco (ed.), Il romanzo a teatro. Atti del convegno internazionale della Società Universitaria per gli Studi di Lingua e Letteratura Francese (SUSLLF), Verona, 11-13 novembre 2004, Fasano, Schena Editore, 2005, pp. 237-247. 66 "Nos existences resteront distinctes et séparées. J'entends garder une liberté absolue. Vous abandonnerez tous vos droits sur moi, et je n'aurai aucun devoir envers vous." ZOLA, Émile, Renée, pièce en cinq actes, op. cit., p. 46. 67 La didascalia riporta: "La serre s'obscurait.- Saccard et Larsonneau traversent la scène, en causant", ibidem, p. 93.

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particolar modo la psicologia della protagonista, accusata infatti dalla critica di incoerenza nel suo brusco alternarsi di volontà. Forse però è a livello dei personaggi che vengono apportate le modifiche più consistenti. Innanzitutto il loro numero viene decisamente ridotto: spariscono l'illustre fratello Eugène e l'ambigua sorella Sidonie di Saccard, così come la sorella Christine e la zia Élisabeth di Renée, la cameriera personale Célèste e il maggiordomo Baptiste; nessun accenno alla prima moglie defunta Angèle o alla secondogenita Clotilde, nè tantomeno a Napoleone III, le cui apparizioni nel romanzo erano state tanto fugaci quanto importanti. Infine non c'è traccia dell'intero mondo di parvenus dalla dubbia moralità che popolavano gli eventi mondani ne La Curée, in cui comparivano corredati di nome e cognome 68 e dei quali veniva fornito anche un breve ritratto caricaturale che ne accentuava i vizi. Altri personaggi rimangono ma cambiano nominativo: è il caso del sarto di fiducia Worms che nella Parigi del Secondo Impero dettava legge nel campo della moda con le sue stravaganti creazioni, pronto a soddisfare i bizzarri capricci di Renée e il suo bisogno di destare stupore nell'ambiente sociale frequentato. Nel romanzo, pur essendo un personaggio secondario, ha un ruolo funzionale a definire l'immagine della cliente che vive proprio di apparenza e che trova negli abiti l'unica forma di manifestazione di sè. Non è casuale che il romanzo si chiuda accennando alla morte di Renée ma soprattutto sottolineando l'ammontare del debito che il padre Béraud du Châtel dovrà pagare a Worms, come se Zola volesse ridurre l'intera esistenza della protagonista alla sua vita modaiola ribadendo il legame con colui che le fabbricava su misura i vestiti. Invece nella pièce il sarto ricompare con il nome di Rousset 69, chiamato in causa da Renée in una battuta nell'atto II: ma la sua è un'apparizione incidentale, all'interno della sfuriata della cliente insoddisfatta, che manca del connotato 68 Solo per citarne alcuni: Adeline d'Espanet, Suzanne Haffner, Mme de Lauwerens, M. Hupel de la Noue, Mme Michelin, M. Toutin-Laroche, le baron Gouraud, la comtesse Vanska, M. Simpson, Mme de Guende, Mme Teissière, Laure d'Aurigny... 69 "Je suis furieuse contre Rousset. Il m'avait promis pour hier ce costume et la robe de ce soir. Hier, pas de Rousset... Enfin, il vient de m'envoyer le costume, en me faisant dire que la robe sera ici dans une heure.", ibidem, p. 60.

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evocativo che possedeva nel romanzo. Anche la promessa sposa di Maxime, ricca ereditiera scelta dall'accorto padre Saccard per trarre dal matrimonio l'ennesimo affare vantaggioso, sopravvive al lavoro di riscrittura per il teatro ma si presenta sotto nome e carattere diversi: ne La Curée infatti era la gobba Louise de Mareuil, giovane afflitta da una grave malattia destinata a sfociare in una precoce morte durante il viaggio di nozze con il novello sposo. Nel dramma si chiama invece Ellen Maass ed è la nipote di un ricco barone svedese; l'immediata differenza tra le due sta nella costituzione fisica dal momento che Louise si caratterizza sin dall'inizio per la sua salute precaria (disgrazia che giova a Maxime, consentendogli di liberarsene in fretta), mentre Ellen, oltre ad essere bella70, possiede anche una solidità fisica e mentale 71 che vengono ribadite più volte nel corso della pièce e che non lasciano indifferente il femmineo e delicato Maxime.72 Il personaggio del padre di Renée, l'irreprensibile magistrato in pensione Béraud du Châtel, nel romanzo era relegato nell'antico palazzo di famiglia che in un certo senso riflette la personalità del suo abitante: l'austerità, sia dell'esterno che dell'interno, corrisponde alla rigida moralità di Beraud, integerrimo esponente di una classe sociale, la vecchia borghesia, che non scende a compromessi e che 70 "Attends! J'ai sa photographie... Hein? Des yeux, une taille! (...)Enfin, une jolie fille...", ibidem, pp. 56-57. 71 "Moi, j'ai la tête solide. Rien ne la fait tourner.", ibidem, p. 89. 72 E' interessante notare come le donne con le quali si relaziona e dalle quali è attratto Maxime siano figure forti, che prevalgono su di lui, sia fisicamente che caratterialmente: ne La Curée era Renée a prendere le decisioni per entrambi e a condurre il gioco di seduzione, dominando durante i loro incontri sessuali e assumendo quindi un ruolo attivo tipicamente maschile; qui nella pièce la situazione di Maxime si trova ulteriormente complicata perchè, oltre a dover tenere a bada i capricci e le follie dell'affamata matrigna, si trova ad avere a che fare con una ragazza, Ellen, con le idee chiare in testa: sa quello che vuole per il suo futuro e ha già deciso che tipo di vita condurre con il promesso sposo. Si potrebbe anche osservare la contrapposizione tra le due rivali in amore in relazione alle opposte preferenza climatiche: se Renée ama trascorrere il suo tempo nel caldo soffocante della serra che spesso le provoca svenimenti e che le ottunde i sensi, Ellen invece dichiara di non poter fare a meno del grande freddo dell'inverno svedese.

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rifiuta di contaminarsi con la nuova borghesia composta da arrampicatori sociali, in cui milita anche il genero Saccard. Se ne La Curée le sue sporadiche apparizioni sono legate a momenti cruciali della vita della figlia, momenti in cui sente fortemente il peso del suo peccato e la nostalgia per la sua fanciullezza, tuttavia Béraud non ha un ruolo attivo, poichè lo vediamo sempre chiuso nel suo hôtel e disinteressato al mondo esteriore, atteggiamento che probabilmente gli deriva da una sensazione di superiorità verso ciò che lo circonda. Potremmo definirlo una figura silente che però cela dietro questo mutismo una sofferenza per la sorte della figlia, dalla violenza subita al matrimonio riparatore. Nella versione per il teatro invece assume un ruolo attivo dal momento che si presenta nelle vesti di una sorta di confidente di Renée: è a lui che nell'atto III la figlia, in preda ad una delle sue crisi, confessa indirettamente di essere vittima di una passione malata che la rende folle e che la spinge al crimine ed è sempre al padre che promette di riuscire a dominare il suo istinto, in nome della dignità della sua stirpe. Béraud, pur mantenendo quella severità che lo rende la voce della coscienza etica nei momenti di traviamento di Renée 73, si rivela qui un personaggio più aperto e disponibile al dialogo di quanto non fosse nel romanzo, addirittura quasi un padre amorevole che soccorrerà la figlia in punto di morte 74 nell'ultima scena dell'atto V. Mademoiselle Chuin è una creazione originale di questo adattamento, un personaggio costruito esclusivamente per la trasposizione scenica e assente nel romanzo. Il suo è il ruolo della domestica che, dopo la scomparsa della madre naturale, si è presa cura di Renée, l'ha cresciuta e ha provveduto ad arrangiare il matrimonio con Saccard per coprire la violenza subita. A ben guardare però le caratteristiche di questo personaggio75, ovvero un certo opportunismo celato da un 73 "Ce que je sais, c'est qu'il y a un instant, quand vous êtes entré, je me suis sentie coupable, car vous êtes ma conscience, mon père.", ibidem, p. 83. 74 La didascalia dice: "Elle meurt. Son père, lentement, la baise au front.", ibidem, p. 138. 75 Zola nella prefazione la definisce in questi termini che mettono in luce la meschinità di un personaggio solo apparentemente positivo: "On oublie mademoiselle Chuin, qui a tout fait, tout mené, dans un intérêt personnel: elle le dit expressément, elle a profité du désespoir du père, de l'affolement de la fille, pour bâcler une affaire où elle avait gros à gagner.", ibidem, p. 17.

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atteggiamento falsamente premuroso e disinteressato, richiamano alla memoria quelle della mezzana Sidonie, la sorella di Saccard, che fa uso della sua astuzia e della sua apparente benevolenza per ottenere quello che vuole. Quindi si può vedere in Mlle Chuin una rielaborazione di un personaggio già esistente, che nella pièce viene avvicinato ulteriormente alla protagonista e di cui viene messo in luce il doppio gioco condotto, dal momento che si rende confidente e complice sia della padrona che del padrone. Passiamo ora a parlare dei tre personaggi principali, protagonisti indiscussi sia nel romanzo che nel dramma, ovvero i componenti dell'anomalo triangolo familiare. Per quanto riguarda Maxime, non si registra un mutamento dei tratti salienti che già lo caratterizzavano ne La Curée: anche sul palcoscenico gioca un ruolo passivo, subordinato di volta in volta alla volontà altrui, che sia quella del padre che gli impone un matrimonio combinato, o quella della matrigna-amante che detiene le redini della loro liaison amorosa, mentre lui le si abbandona senza mostrare alcun segno di personalità. Zola stesso si rende conto, in occasione della messa in scena, della pericolosità 76 insita in un tale personaggio, un giovane precocemente dedito ai piaceri più beceri della vita, un omosessuale latente che, come ci viene raccontato nel romanzo, dopo essere cresciuto in mezzo alle gonne di donne di dubbia moralità, manterrà anche nella pièce quell'aria femminea77 e svenevole che lo rende un individuo sessualmente indeterminato, nonchè caratterialmente debole 78. Ma forse è proprio questa sua intrinseca predisposizione alla sottomissione che lo rende oggetto della perversa e affamata passione di Renée79. 76 "J'ai senti, à l'attitude du public, que, si la pièce avait quelque avenir, le grand danger serait dans le rôle de Maxime. On n'est pas près d'accepter cette peinture d'un garçon vidé à vingt ans, joli et lâche, d'un charme de catin qu'on ramasse et qu'on chasse.", ibidem, p. 19. 77 "Comment! Vous seriez femme à ce point!": così lo definisce Ellen Maass di fronte ad un suo atteggiamento poco virile, ibidem, p. 89. 78 E' lo stesso Maxime a confessare al padre: "Tu sais qu'au fond je suis faible. Je me lasse, je me donne...", ibidem, p.58. 79 "Tu es joli, délicat et lâche, et c'est peut-être pour cela que je t'ai aimé, dans la perversion de tout ce qui m'entoure.", ibidem, p. 129.

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Se la fisionomia del figlio conserva una sua coerenza, non si può dire la stessa cosa del padre il quale, nel dramma, risente fortemente dell'influsso del racconto Nantas che ne modifica il carattere, attenuandone la voracità tipica dello speculatore per metterne in luce un lato sentimentale pressochè ignoto ne La Curée. Questo implica che nel testo teatrale il tema della speculazione rivesta un ruolo più marginale che nel romanzo e, di conseguenza, venga meno anche la satira socio-politica che vi aleggiava, dal momento che Zola preferisce ridisegnare questo personaggio in una chiave maggiormente melodrammatica.80 Il nuovo Saccard, frutto della contaminazione di due personaggi già esistenti, mantiene l'ambizione senza scrupoli dell'omonimo romanzesco, la stessa voglia di sfondare, di emergere, che ha però in comune anche con Nantas, dal quale eredita l'aspetto più umano, che lo porta a mettere da parte l'orgoglio e ad umiliarsi di fronte all'amata dichiarandosi schiavo di un sentimento che fino a quel momento aveva disdegnato in quanto sintomo di debolezza. Lo vediamo nell'atto I raccontare con passione alla novella sposa le sue umili origini

provinciali, che lo accomunano ai suoi antecedenti letterari, e ad

ammettere l'utilità materiale di questo loro matrimonio che costituirà le premesse per l'inarrestabile scalata sociale e l'occasione per dare sfogo al suo delirio di onnipotenza e alla sua forza di volontà81; nel giro di pochi anni, l'alta posizione sociale raggiunta82, tale da avere Parigi ai suoi piedi ma, data la sua sconfinata 80 "Le spéculateur Saccard joue un rôle beaucoup moins cynique, puisqu'il tombe amoureux de sa femme et pour cet amour serait même disposé à mettre de côté les questions d'argent. Ce changement entraîne un affaiblissement du thème de la spéculation: par rapport au roman le drame délaisse toute la satire socio-politique et ne focalise que l'intrigue passionelle.", in PAISSA, Paola, De "La Curée" à "Renée". La Phèdre manquée de Zola, op. cit., p. 238. 81 "Je me sentais du génie. C'était le sentiment très net d'une intelligence et d'une volonté. J'avais une phrase favorite, je répétais toujours: (...) Paris flambait dans mes désirs. (...) Dans ce monde, il n'y a que la force. Je serai fort. (...) Votre fortune n'est à mes yeux qu'un moyen de monter très haut... Si vous saviez les nuits ardentes que j'ai passées, à recommencer le même rêve d'ambition", ZOLA, Émile, Renée, pièce en cinq actes, op. cit., pp. 47 – 49. 82 "Vous avez bâti en dix ans une formidable machine! Vous tenez Paris par vos chantiers, où tout un peuple d'ouvriers travaille; vous êtes le moteur intelligent d'une colossale mécanique... C'est

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ambizione, di non essere ancora completamente soddisfatto, viene messa a repentaglio dall'insorgere di un sentimento a lui ignoto, l'amore per la moglie, che verrà a lungo smentito dallo stesso incredulo Saccard di fronte alle insinuazioni del lungimirante socio Larsonneau83. Nonostante i tentativi di resistenza, alla fine, nella scena VI dell'atto IV, lo speculatore privo di scrupoli arriverà a confessare 84 la sua debolezza a Renée, non senza una certa vergogna, e a collocare in secondo piano l'interesse economico, prioritario invece nel romanzo, giungendo addirittura a dissuaderla dal firmare l'atto di vendita. Saccard è probabilmente il personaggio che, tra tutti, nell'adattamento subisce maggiormente l'influsso del racconto poichè risulta radicalmente diverso dall'originario, proprio a causa di questa deviazione sentimentale che sarebbe stata impensabile per lo spietato omonimo del romanzo e che invece va ad intaccare l'orgoglio e il sogno di forza di Nantas che, pur possedendo tutto, si vede rifiutato e disprezzato dalla sola cosa che desidera realmente, ovvero la moglie Flavie, personaggio corrispondente alla Renée desiderata dallo speculatore. Ed è proprio lei ad essere l'indiscussa protagonista della pièce che, non a caso, prende il suo nome: sin dal titolo Zola intende sottolineare, oltre alla centralità dell'eroina nella vicenda, anche il fatto che Renée non è La Curée85, che questo adattamento non è da intendersi come una copia del romanzo di successo, bensì beau d'être une pareille force!" "Oui, mais il faut travailler encore, il faut monter plus haut...", ibidem, pp. 53 -54. 83 "Non, non, je ne l'aime pas, je ne veux pas l'aimer... Jusqu'à ce jour, j'ai mis ma supériorité dans mon dédain des passions qui vous agitent tous et j'irais compromettre ma fortune par une lâcheté de cœur! Non, jamais!", ibidem, p. 76. 84 "(un silence; puis, ardemment, à demi-voix) Renée! Oh! Renée, je vous aime! (...) Je vous aime, Renée, je vous aime... Cela est venu, je ne sais comment, tout d'un coup. Oh! Je trouvais cela indigne de mois... (...) C'est l'effondrement de mes croyances. Je mettais toute ma foi dans la force, et me voici devant vous, devant une femme, aussi faible, aussi désarmé qu'en enfant...", ibidem, p. 105. 85 Thérèse Raquin, L'Assommoir, Nana, Pot-Bouille, Le Ventre de Paris, Germinal, Au bonheur des Dames, La Terre: questi sono solo alcuni dei romanzi più celebri di Zola da cui è stata tratta una versione teatrale rispettosa del titolo originale. E' interessante notare la sua decisione di cambiare il titolo de La Curée in Renée.

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come qualcosa di altro, di diverso. Eppure da questa sovrapposizione nasce il malinteso

e, in parte, anche

l'insuccesso del dramma, dal momento che questa seconda Renée risulta inverosimile agli occhi di chi conosce la prima, quella del romanzo, e non riesce ad accettare che Zola abbia, per una volta, reso più complesso un personaggio, quando solitamente veniva accusato di ridurre l'individuo ai suoi istinti più bestiali86. La Renée del dramma non consuma il matrimonio, respinge gli amanti, prova disgusto, paura dell'uomo dopo la violenza subita e disprezza gli amori banali che la circondano: è in cerca di un piacere raro, sconosciuto, eccezionale, di quell' "autre chose" tanto vagheggiata durante la passeggiata al Bois de Boulogne nel romanzo, che tuttavia non riusciva a definire se non come un desiderio sublime, fuori dalla portata di chiunque, e che ritroviamo dichiarata anche nell'adattamento teatrale87. Questa prima Renée ha però consumato il matrimonio, ripetuto l'adulterio e la sua discesa verso l'abominevole peccato dell'incesto è frutto di un lungo e lento cammino all'insegna del degrado morale, non di una brusca caduta come nel caso della seconda. Tuttavia questo non deve impedire alla Renée della pièce di godere di un'esistenza verosimile88, soprattutto se teniamo conto del fatto che Zola la mette scientificamente sotto il duplice influsso del milieu e dell'eredità89. In particolar modo, è proprio la doppia origine, paterna e materna, 86 "Sans doute, sa physiologie, sa psychologie, est moins simple que celle de l'autre; et il est vraiment singulier qu'on me reproche d'avoir un peu compliqué cet être, lorsque, d'habitude, on me blâme de ramener les passions de l'homme à la simplicité des besoins de la bête.", ibidem, p. 16. 87 "Je m'ennuie. (...) Je veux autre chose. (...) Autre chose... Quelque chose d'extraordinaire, de surhumain, une joie que personne ne connût, un bonheur rare qui m'enlevât au-dessus du contentement de la foule.", ibidem, pp. 65 – 66. 88 "Seulement, pourquoi ne pas accepter aussi l'autre Renée? Pourquoi crier à l'invraisemblance? (...) Certes, la première Renée est plus ordinaire, cela pourtant n'empêche pas que la seconde Renée puisse exister. (...) Supprimez la première Renée, la seconde ne vous gênera plus en rien.", ibidem, p. 15. 89 "J'ai détruit le symbole de la fatalité antique, en mettant scientifiquement Renée sous la double influence de l'hérédité et des milieux. (...) Je l'ai fait en proie à une dualité, à une double

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che la rende volubile, incostante, più di quanto non fosse già nel romanzo; i suoi molteplici e repentini cambiamenti di umore e di volontà ne fanno un'incoerente cronica, personaggio difficilmente apprezzabile da un pubblico che all'epoca amava trovarsi di fronte personaggi netti, definiti, tutti d'un pezzo 90. Da un lato la rigida e severa educazione impartitale dal padre magistrato che le ha trasmesso il senso dell'onore, dall'altro la malattia nervosa della madre che la predispone alla follia e che nella parte conclusiva della sua vita prende il sopravvento trascinandola verso il vergognoso peccato e la ripetizione della colpa antica, come le aveva predetto Béraud91. Il "détraquement cérébral" che le è stato fatale nel romanzo ricompare anche qui sotto forma di frequenti emicranie o momenti di delirio che toccano il culmine nella penultima scena dell'atto V, quando, di fronte ai due uomini che l'avevano messa a nudo, riducendola ad oggetto, a quella "poupée" di pezza della sua infanzia, preferisce togliersi la vita e andare fino in fondo al suo crimine, a differenza dei codardi e complici Maxime e Saccard che restano a guardare 92. Se ne La Curée la morte per cause naturali viene semplicemente accennata, nonchè devalorizzata, il suicidio in scena fa invece di Renée una vera eroina tragica, alla stregua della Fedra raciniana.

3.3

L'adattamento alla scena

A lungo ci si è interrogati sulle ragioni del successo mediocre di Renée cercando origine, qui la secoue, la jette aux volontés contraires et extrêmes, voulant, ne voulant plus, sautant d'une décision à une autre; et on l'a traitée simplement d'incohérente, on a déclaré ses actes inexplicables.", ibidem, pp. 18-19. 90 "Au théâtre on n'accepte volontiers que les personnages tout d'une pièce.", ibidem, p.20. 91 "Vous ressembliez à votre mère, (...) malheureuse, tu es du sang de ta mère! (...) La faute recommencera, tu trahiras ton mari.", ibidem, p. 39-40. 92 "Mais moi, qu'ai-je fait por être ainsi écrasée entre vous deux? (...) Je n'ai été qu'un enjeu dans votre vie. (...) Je ne puis rester ainsi entre vous. Qu'allez-vous faire de moi? Je vous connais, vous vous remettrez ensemble demain, comme des camarades. Et moi, que deviendrai-je? Vous m'avez finie.", ibidem, p. 137.

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di mettere in luce i limiti e i punti deboli di questo adattamento. A deludere i contemporanei di Zola è certamente l'insufficiente portata innovativa dal momento che, in effetti, la pièce rispetta le convenzioni del melodramma e della "pièce bien faite", cedendo al gusto imperante dell'epoca. Ma è soprattutto l'effetto generale di inverosimiglianza che emerge a più livelli a determinare il fiasco di cui verranno esposti qui gli aspetti più evidenti. Innanzitutto, sembra che l'autore non abbia trovato un linguaggio appropriato, omogeneo e coerente alla scena , così come era stato invece per il romanzo 93, approdando ad un seccante miscuglio di stili e di registri linguistici. Con l'ambizione di scrivere una Phèdre moderna, Zola utiliza spesso gli artifici retorici tipici della tragedia classica, come l'antitesi, la paronomasia, le riprese foniche e ricorre ampiamente a certi elementi caratteristici del linguaggio drammatico di Diderot, come la frase segmentata seguita da una pausa, procedimento che dà luogo a quello stile tanto spezzettato e frammentato, quanto avvertito come artificiale, che veniva designato con il nome di "style haletant"94 e che si avvale di frequenti silenzi scenici in grado di conferire maggiore enfasi alla battuta successiva95. Assolutamente inverosimili e fuori luogo sono i monologhi allucinati della protagonista che mostrano l'intrinseca incapacità della trasposizione di trovare un 93 " Par rapport à la cohérence du langage romanesque, l'auteur ne paraît pas avouir trouvé dans l'adaptation un langage approprié et il juxtapose des patrons linguistiques relevant de traditions et conventions scripturales diverses.", PAISSA, Paola, De "La Curée" à "Renée". La Phèdre manquée de Zola, op. cit., p. 239. 94 " L'auteur utilise largement certains éléments typiques du langage dramatique diderotien, tels que la phrase segmentée suivie d'une pause, procédé qui donne lieu à ce style haché, fragmenté, qu'on designait au XVIII° siècle du nom de style haletant et dont on a souvent souligné le caractère artificiel.", ibidem, p. 240. 95 " Le facteur dont l'auteur prend le plus grand soin est le silence scénique qui marque quasiment toutes les scènes. Utilisé en général comme un moment de pause qui précède le dire, le silence assume avant tout la fonction traditionnelle de créer un effet d'attente et de conférer plus d'emphase à la réplique suivante.", PAISSA, Paola, "Eléments scéniques et facteurs suprasegmentaux entre théatre et roman. L'exemple de "Renée" et de "La Curée" de Zola", in L'Analisi linguistica e letteraria XIII (Univ. cattolica del Sacro Cuore, 2005), p. 145.

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sostituto scenico ai procedimenti del monologo interiore che funzionava efficacemente nel romanzo, senza dimenticare l'alto livello di improbabilità che investe sia i dialoghi che i bizzarri enunciati di personaggi che si lasciano andare a confessioni non richieste, come nel caso di Maxime che dichiara, in prima persona, la sua debolezza mentre ne La Curée il difetto lo si evinceva dal suo comportamento. Non meno importante è il depauperamento del valore simbolico e metaforico di certi elementi del romanzo a cui l'autore non ha voluto rinunciare ma che risultano inefficaci nell'adattamento alla scena96: è evidente che sono principalmente questi frammenti prelevati dal romanzo che appaiono fuori luogo, nonostante siano stati collocati nella pièce per ammiccare ad un pubblico di lettori ancor prima che di spettatori, ma che si rivelano irriducibili alla situazione e al linguaggio drammatico. La ricezione dello spettacolo presuppone quindi la conoscenza pregressa del romanzo e obbliga in un certo senso il pubblico ad un sovraccarico interpretativo che mina il godimento dello spettacolo stesso97. Di fronte ai limiti delle risorse linguistiche proprie del teatro, Zola affida ad altri elementi la funzione comunicativa di messaggi impliciti. La luce gioca un ruolo chiave nella resa della tensione drammatica, e può farlo grazie alla recente acquisizione dell'elettricità che le permette di gradualizzare la sua intensità, determinando così le varie parti della giornata più o meno illuminate dalla luce del sole. Un altro componente fondamentale è lo scenario 98, che cambia ad ogni atto e 96 "La métaphore de la pluie de pièces de vingt sous qui dans La Curée accompagne la vision prémonitoire de Saccard depuis la butte Montmartre, ne passe dans la pièce que comme un récit de pluie véritable, dans son sens référentiel." L'esempio è tratto dall'analisi di PAISSA, Paola, De "La Curée" à "Renée". La Phèdre manquée de Zola, op. cit., p. 243. 97 " Le résultat hybride qu'est l'adaptation provoque donc un brouillage dans le travail d'interprétation du public, amené à juxtaposer sa réception du spectacle à sa réception antérieure du roman. (...) Le public est ainsi sollicité à une surcharge interprétative préjudiciable à l'illusion.", ibidem, p. 247. 98 "En ce sens, la réussite la plus éclatante est constituée par la tripartition de l'espace de l'acte V: un petit salon très riche, ouvrant par une large baie sur la serre. De hautes portières de tapisseries ferment cette baie. A gauche, une porte donnant dans l'appartement de Renée. A droite, une porte consuisant au grand salon. Un petit secrétaire. Un canapé. Des sièges.",

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che descrive minuziosamente diversi interni sontuosi: dal cabinet severo e sobrio di Béraud a quello del genero Saccard, ricco e opulente, entrambi i milieu vengono resi con estrema cura ed attenzione al dettaglio. Zola è inoltre particolarmente scrupoloso nelle didascalie che accompagnano il testo e a cui affida il compito di segnalare le reciproche posizioni degli attori e la direzione degli sguardi: sono numerose le indicazioni sceniche per evitare l'inverosimiglianza e, tra queste, spicca la raccomandazione agli attori di non rivolgere il viso verso il pubblico a cui vengono date realisticamente le spalle, come se di mezzo vi fosse innalzata un' illusoria quarta parete99. Le didascalie che riguardano la gestualità e la mimica dei personaggi sono destinate a rendere visibile gli stati d'animo di questi ultimi ma è proprio a questo livello che si può constatare il carattere ripetitivo e monotono di gesti e atteggiamenti che non hanno niente di spontaneo e naturale ma rientrano invece in un repertorio abituale e standardizzato100. Tra la scrittura del romanzo e quella del dramma vi sono insomma delle profonde divergenze che riguardano però sostanzialmente la differenza stessa che sussiste tra i due codici espressivi: da un lato il romanzo e la sua innata capacità di stimolare l'immaginazione del lettore e quindi di favorire l'emergere di molteplici PAISSA, Paola, "Eléments scéniques et facteurs suprasegmentaux entre théatre et roman. L'exemple de "Renée" et de "La Curée" de Zola", op. cit., p. 142. 99 " Si l'on considère l'insistance avec laquelle Zola recommande d'éviter l'invraisemblance de jouer un rôle la face tournée vers le public, on comprend la raison de l'attention qu'il a réservée à ces facteurs proxémiques. (...) Le dos tourné au public correspond en effet au dressage illusoire du quatrième mur.", ibidem, p. 144. 100 E' soprattutto l'interpretazione del personaggio di Renée a risentire dell'influsso della gamma di gesti abituali e convenzionali: "Au cours des trois derniers actes, les indications scéniques prévoient que la comédienne montre son accablement par des frémissements, des balbutiements, s'éloignant dans les arbustes de la serre ou tombant évanouie sur une chaise longue. A l'acte III, elle passe d'une crise nerveuse, pendant laquelle elle s'agite, hallucinée, à une sorte de monologue entrecoupé de gestes de désespoir. A l'acte IV, qui se déroule dans son boudoir, les didascalies proposent un moment quelques traits plus intimes, qui pouvaient apparaître novateurs pour le public de l'époque pour revenir ensuite au repertoire habituel des affolements, des frissons et des sanglots", ibidem, p.147

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significati e interpretazioni, dall'altro invece il teatro con tutti i suoi vincoli, sottomesso alle regole ferree della rappresentazione veicolata dal mezzo visivo che non consente di andare oltre a quello che viene percepito dal senso della vista. Non c'è spazio sul palcoscenico per il simbolico, l'evocativo o l'illusorio perchè rimane circoscritto nell'ambito della mimesi e quindi impossibilitato dai suoi stessi limiti strutturali a poter rendere un soggetto malleabile e libero come quello descritto nel romanzo, nonostante tutti gli sforzi di un adattamento il più possibile efficace.

3.4.

La ricezione

Zola è stato da sempre facile bersaglio di polemiche, soprattutto a teatro, ambito in cui decise di muovere i primi timidi passi dopo l'enorme successo riscosso dai romanzi che avevano consacrato la sua fama. Si tratterà ora di osservare le circostanze attarverso cui prese forma il già accennato flop di Renée, sia presso la critica dell'epoca sia presso quella odierna, che sostanzialmente ne coglie e ne conferma i limiti, ribadendo l'impossibilità di un successo naturalista anche a teatro. Se torniamo però a considerare il clima in cui venne accolta la pièce, la cui prima rappresentazione risale al 16 aprile 1887, ci rendiamo conto che non si trattava dei migliori. Innanzitutto fino a quel momento si era rimproverato al romanziere di non essersi mai esposto completamente al giudizio della ciritica, dal momento che si era quasi sempre avvalso della collaborazione di uomini di teatro (si ripensi alla lunga, quanto complicata relazione professionale con Busnach) dietro ai quali si celava senza mai dichiarare la paternità dell'opera, per sottrarsi così ai giudizi più severi101. Con Renée invece sembra volersi assumere questa responsabilità, riservandosi anche il diritto di esprimere le sue impressioni relative alla ricezione del suo 101 La già citata intervista su "Le Matin" del 14 aprile 1887 riporta: "On reprochait surtout à Zola de ne pas faire jouer de pièces entièrement par lui", DE VIVEIROS, Geneviève, "Renée. Une interview inédite de Zola dans "Le Matin", op. cit., p. 294.

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lavoro nella prefazione al dramma, scritta nel maggio di quello stesso anno. Zola non può evitare di prendere atto dell'evidente malinteso creatosi durante la visione della pièce e parziale causa del suo insuccesso: stiamo parlando delle aspettative di un pubblico arrivato a teatro convinto di ritrovare il romanzo letto sulla scena, nonostante il suo autore avesse avuto l'accortezza di cambiare il titolo, precauzione che tuttavia non servì a nulla102. A posteriori, possiamo dire che, in un certo senso, La Curée abbia costituito un ostacolo alla comprensione e all'apprezzamento di Renée, senza però per questo motivo rinunciare ad osservare quali furono oggettivamente i punti deboli dell'adattamento, cosa che lo stesso Zola intende fare103. La vera questione è però per lo scrittore l'indisposizione del pubblico coevo ad accogliere sulla scena e quindi, a trovarsi di fronte, personaggi non convenzionali, non le solite figure idealizzate, perfette e virtuose che era abituato a vedere. Ora, il teatro naturalista si propone di dare dignità scenica alla verità, anche a quella meno esteticamente accettabile, portando alla ribalta il personaggio del miserabile, dell'uomo complesso e sfaccettato, non più tutto d'un pezzo, andando così a cozzare con il gusto dell'epoca viziato da decenni di teatro costruito su personaggi "simpatici" e, proprio per questo, finti104. Questo non significa che l'autore non sia in grado di esprimere un giudizio obiettivo sul suo lavoro: Zola ritiene che la pièce sia incompleta e complicata dalle esigenze della messa in scena, ma può ritenersi soddisfatto dalla semplicità 102"Ce qui m'a surtout frappé c'est le désappointement des critiques, qui, connaissant La Curée, se sont fâchés de ne pas retrouver le livre dans la pièce. (...) Chacun, l'autre soir, au Vaudeville, était évidemment venu avec la pièce faite dans sa tête. (...) J'avais pourtant pris le soin d'appeler la pièce Renée: il n'était plus question de La Curée. Personne ne m'a tenu compte de la précaution. (...) Les plus gros reproches viennent de ce malentendu.", ZOLA, Émile, Renée, pièce en cinq actes, op. cit., p. 14. 103"La pièce est ce qu'elle est, avec les défauts et les qualités", ibidem, p. 18. 104"Nous touchons ici à la vraie et unique question, celle du personnage sympathique: il n'y a pas de pièce possible sans personnage sympathique, le public exige des figures idéalisées, des créations parfaites, réalisant les grands sentiments humains, dans des types de vertu conventionnelle. (...) Tant que le public exigera des personagges sympathiques, l'évolution naturaliste est impossible au théâtre.", ibidem, p. 21.

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di stampo classico conferita all'insieme, esattamente come espresso nelle sue intenzioni iniziali. Questo ritorno alla sobrietà tragica raciniana gli ha permesso di analizzare l'uomo fisiologico e psicologico nelle sue caratteristiche e passioni essenziali, determinato dall'ambiente in cui si trova: il dramma consiste proprio in questa umanità messa a nudo ed indagata nei suoi aspetti più reconditi.105 Se questa è l'impressione dell'autore che, in fondo, non può non provare una certa tenerezza nei confronti della propria creatura, di cui preferirà insomma mettere in luce i lati positivi anzichè quelli negativi, di altro avviso è stata invece la critica del suo tempo che non si è limitata a esprimere, come legittimo, un giudizio sulla base dei fatti, ma è andata oltre, diffondendo una leggenda sulla ricezione della prima rappresentazione non corrispondente al vero. Zola, spinto dal senso di verità e di giustizia, riporta nella prefazione un articolo pubblicato su Le Figaro del 22 aprile 1887, relativo all'atteggiamento di una certa parte della stampa nei confronti della sua Renée.106 Il grado di aspettative107 creatosi di fronte al nuovo lavoro del grande scrittore aumenta così come la conseguente delusione se pensiamo ai brillanti scritti teorici redatti precedentemente dallo stesso e riuniti nelle due raccolte Le Naturalisme au Théâtre e Nos auteurs dramatiques del 1881, poichè sembravano preludere ad una realizzazione concreta di quella rivoluzione teatrale tanto auspicata. Sarebbe stato meglio invece non confondere l'avanguardista teorico con il mediocre 105"La pièce est incomplète, elle pèche par la double source d'où elle est née, elle a contre elle d'avoir été abâtardie, compliquée, en vue d'une comédienne et d'un théâtre. Mais je suis content du premier acte, du quatrième et de certaines pparties du cinquième: j'en trouve la marche générale logique et simple. C'est là cette simplicité classique, à laquelle j'ai demandé souvent qu'on fit retour. (...) La fameuse formule serait celle-ci: l'homme physiologique, psychologique si vous voulez, détérminé par les milieux, étudié dans les fonctions totales de la vie; tout l'intérêt de la pièce, placé dans l'analyse des caractères, sentiments et passions.", ibidem, p. 23. 106"Je ne viens pas défendre Renée, je ne parlerai même pas de la pièce. Ce que je viens faire, c'est détruire la légende qui est en train de se former sur la première représentation (...) J'éprouve l'irrésistible et unique désir de rétablir le fait.", ibidem, p. 24. 107"D'abord, on me crée une situation terrible, en exigeant de moi, non seulement une bonne pièce, mais une pièce qui bouleverserait et renouvellerait d'un seul coup notre théâtre.", ibidem, p. 25.

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drammaturgo che era e che, a malincuore, sapeva di essere Zola. Abbiamo già avuto modo di parlare della lunga storia di Renée e dei continui rifiuti subiti da parte di numerosi direttori di teatro: Zola ipotizza che dietro al fiasco vi sia anche il risentimento di qualcuno di essi presente in sala, la cui stroncatura appare inevitabile dati gli antefatti 108. Aggiungiamoci poi il cattivo influsso determinato dal pessimo rapporto tra Zola e la critica drammatica coeva, in particolar modo con il famoso Francisque Sarcey che l'aveva già attaccato precedentemente più volte in occasione delle sue incursioni nel mondo del teatro; ecco che, ad eccezione di pochi amici e simpatizzanti accorsi a sostenere il romanziere al Vaudeville, la quasi totalità della stampa e dell'ambiente teatrale era dichiaratamente contro di lui109. Dopo aver constatato il pregiudizio dilagante in sala, Zola intende ristabilire la verità dei fatti nella sua prefazione, riportando esattamente quello che accadde quella sera. E, ovviamente, la versione dell'autore non può che discordare da quella dei diffamatori: Renée venne applaudita dall'inizio alla fine e l'impressione generale fu quella di una vittoria110. Tuttavia, l'indomani, i giornali più importanti parlavano di un pesante fiasco 111 e questa fu la versione divulgata, una menzogna che colpì ed affondò la pièce, un 108 "Renée avait déjà des ennemis, avant le lever du rideau. Par exemple, prenons ce directeur qui l'a refusée: il est là, dans la salle, et il sent parfaitement que c'est son intelligence qui est en cause, qu'on le traitera de simple crétin, si l'œuvre réussit. Dès lors, vous devinez dans quel sentiment il l'écoute.", ibidem, pp. 25-26. 109 "Si j'avais pour moi le public, beaucoup de sympathies éparses dans la foule, la presque totalité de la presse et du monde des théâtres était contre moi.", ibidem, p. 26. 110 "Pas un murmure, rien que des apllaudissements (...) Quand on nommé l'auteur, du tumulte, deux coups de sifflet honteux, que les bravos vainqueurs ont emportés (...) L'impression finale a été celle d'une victoire, dans une bataille à peine disputée.", ibidem, p. 27. 111 "Le lendemain, dans les journaux les plus importants, on a lu que Renée était une lourde chute, qu'elle avait sombré sous les sifflets. (...) Ce que je cesse d'admettre, c'est le mensonge sur les faits, ce sont ces tempêtes de sifflets que, seule, la critique a entendues, c'est cette lourde chute qu'elle a été la seule à constater. Il y a quelque chose de bas, de lâche, de révoltant, qui me soulève de dégout, car ce n'est plus de la discussion littéraire, c'est du faux témoignage, un assassinat prémédité sur une œuvre et sur un théâtre.", ibidem, pp. 27-28.

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assassinio premeditato dai suoi nemici i quali furono i soli ad udire i fischi anzichè gli applausi che con orgoglio ricorda uno Zola indignato dalla bassezza della calunnia diffusa ai suoi danni. La definizione di "lourde chute" che era stata trovata dall'avverso Sarcey per riassumere la sua impressione sulla prima rappresentazione di Renée non ha nessun corrispettivo nella realtà delle cose, ma dal momento che, "le prince de la critique française" propone questa versione dei fatti ecco che la menzogna ha la meglio sulla verità, suscitando lo sdegno e la rabbia del nostro autore.112 Da allora, la quasi totalità della critica si è accanita sulla pièce con la manifesta intenzione di sopprimerla e, del resto, fu quello che riuscì a fare, mentre se se ne fosse discusso con onestà e imparziale spirito critico, probabilmente avrebbe potuto avere più repliche di quante non ne ebbe: è questo il grande rammarico dell'autore che si dichiara però contento di aver avuto la possibilità di portare in scena la sua opera reietta113 e, nonostante le violenze subite, di continuare a replicarla, nella speranza, un giorno, di ottenere la meritata riabilitazione114, proprio come era accaduto precedentemente ad un altro suo lavoro, Thérèse Raquin, prima ingiusta vittima della ciritica nazionale e poi straordinario successo all'estero. Preferendo lasciare ai posteri l'ardua sentenza, Zola ribadisce anche in questa poco fortunata circostanza la sua tenacia e il suo ottimismo. D'altronde, anche come romanziere era stato bersaglio di feroci critiche che avevano sortito l'effetto contrario a quello desiderato, poichè lo innalzarono nell'Olimpo dei grandi scrittori del secolo: Zola auspica la medesima sorte per le sue opere teatrali e per la sua carriera di drammaturgo115. 112 " Ne suis-je pas en droit de faire un procès à M. Sarcey? Car il a menti sciemment, dans l'intention de nuire. (...) Vous avez menti sur un fait évident, établi, dont douze cents personnes pourraient témoigner. Est-ce assez villain, ce que vous avez fait là!", ibidem, p. 29. 113 "Chaque représentation, depuis la première, est une victoire", ibidem, p.30. 114 " Avant deux ans, elle sera classée au nombre des œuvres curieuses qu'on n'a pas comprises et dont il est nécessaire de reviser le procès.", ibidem, p.31. 115 " Allez, criez, mentez, sacrifiez Renée au dernier des vaudevilles: vous êtes en train, sans le savoir, de me faire grand dramaturge, comme vous m'avez fait grand romancier!", ibidem, p.

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Nonostante l'apparente immutato entusiasmo e il buon proposito annunciato: "Au travail maintenant et tâchons de mieux faire", sappiamo che Renée è stato il suo ultimo tentativo di trasporre un proprio romanzo a teatro. I posteri ai quali aveva lasciato il giudizio finale che sperava essere riabilitante, in realtà sembrano concordare all'unanimità sulla constatazione dell'insuccesso e sulle sue molteplici cause: anche la critica odierna parla ancora oggi del fiasco del teatro zoliano116 a lungo rimasto nell'ombra, evidentemente, per ovvi motivi. Nel caso specifico di Renée si manifesta questa intrinseca impossibilità del trionfo per almeno due motivi essenzialemente: aver scelto di trasporre per l'ennesima volta uno dei suoi romanzi e aver esitato a rompere definitivamente con la vecchia forma drammatica vigente. Inoltre, Renée porta con sè un grosso problema, quello relativo alla sua tematica: è assolutamente impensabile mostrare a teatro il rapporto incestuoso tra la matrigna e il figliasto Maxime, seppur attenuato attraverso l'espediente del "mariage blanc" tratto da Nantas117. Il fiasco risulta fatale se consideriamo che la trasposizione del romanzo a teatro implica inevitabilmente un impoverimento della forza espressiva affidata al testo originario. Impoverimento dovuto innanzitutto alla volontà di Zola di studiare esclusivamente l'influsso esercitato dal milieu sulla fisiologia e sulla psicologia dei personaggi, a scapito della dimensione sociologica e politica che era stata indagata e attualizzata brillantemente ne La Curée118; e, impoverimento, che 32. 116 " L'ensemble des commentateurs s'accordent à reconnaître l'échec de Zola sur la scène, qu'ils imputent ce ratage à une infirmité foncière de l'écrivain dans la maîtrise des codes de l'écriture théâtrale, au manque de temps qu'il aurait accordé à ses pièces, à la désastreuse collaboration avec Busnach", HUMBERT-MOUGIN, Sylvie, “Renée ou la théatre impossible de Zola”, in La Tentation théâtrale des romanciers. Éd. Philippe Chardin. Paris, Éditions SEDES, 2002, p. 45. 117 " Ce subterfuge assez peu convaincant n'empêchera pas le public de crier au scandale lorsqu'il verra Renée à la fin de l'acte III tomber dans les bras de son beua-fils et lui déclarer sa passion.", ibidem, p. 47. 118 " La focalisation de la pièce, à la différence du roman dont elle était tirée, devait ainsi être psychologique plutôt que sociologique ou politique et l'intérêt devait porter sur l'individu plutôt

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colpisce anche i personaggi se si pensa al caso del Saccard del dramma ridotto a marito tradito e innamorato che non ha niente a che vedere con la grandezza e con la complessità dei suoi antecedenti letterari119. Un altro possibile passo falso commesso potrebbe essere quello di aver ceduto alla tentazione di riprendere per Renée gli ingredienti della pièce ben fatta, proprio quelli che aveva criticato e condannato nei suoi scritti teorici (l'intrigo già regolato e impeccabilmente svolto, le situazioni immutabili e convenzionali, la galleria di personaggi stereotipati), forse, nella speranza di ottenere alla fine il successo teatrale tanto sperato, attraverso ampie concessioni al gusto del pubblico. In effetti è evidente come la pièce prenda una deriva melodrammatica assente nel romanzo, senza tenere conto però del risvolto negativo, ovvero l'abbassamento del livello in direzione di una mediocrità diffusa ma soprattutto il sacrificio delle proprie teorie per conformarsi ad una tradizione che avrebbe dovuto garantirgli la certezza del trionfo mai arrivato. Non dimentichiamoci che Renée è stata composta su richiesta della diva Sarah Bernhardt, il che costringe almeno in parte Zola ad attenersi ad un certo tipo di teatro e a non osare troppo. Insomma, nonostante l'abbia cercata a lungo, il romanziere non è riuscito a trovare quella formula vincente nè con questo adattamento120 nè con i tentativi precedenti e ora resta da chiedersi se non sia il naturalismo in sè a non poter trovare una concreta ed efficace realizzazione sulla scena.

que sur le groupe.", BEST, Janice, Renée et la tragédie scientifique, in Expérimentation et adaptation. Essai sur la méthode naturaliste d' Émile Zola, Paris, José Corti, 1986, p. 127. 119 " Le Saccard de la pièce, réduit aux dimensions d'un emploi convenu, celui du mari éconduit et trompé, n'a plus grand-chose en commun avec cette figure diabolique que suggérait le nom de Nantas, anagramme de Satan, et encore moins avec ce génial poète des affaires qu'était l'Aristide de La Curée.", HUMBERT-MOUGIN, Sylvie, “Renée ou la théâtre impossible de Zola”, op. cit., p. 47. 120 " La pièce souffre d'être l'adaptation forcément décevante d'un très grand roman; d'avoir voulu être tout à la fois la défense et l'illustration de la cause naturaliste, une tragédie des temps modernes et un grand succès populaire.", ibidem, p. 54.

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CONCLUSIONE Questa tesi è nata con l'intento di approfondire un'attività secondaria della carriera artistica di un celebre scrittore, meno nota non solo perchè offuscata dalla più consolidata fama dovuta al successo romanzesco, ma anche perchè, come si evince dall'analisi qui condotta, innegabilmente inferiore da un punto di vista qualitativo. Bisogna infatti ammettere che, nonostante i numerosi tentativi e l'accanito impegno profuso, la pressochè ignota produzione teatrale di Zola trova le ragioni di questa sua mancata notorietà e del conseguente fallimento innanzitutto nei limiti che l'autore rivela nell'attuare la trasposizione di un medesimo soggetto da un genere ad un altro. Se nelle rivoluzionarie pagine teoriche aveva anticipato l'avvento di un nuovo tipo di teatro, scevro dall'influsso della tradizione e dai suoi vincoli, è evidente come non sia riuscito a tradurre queste istanze nel concreto della pratica dell'adattamento, preferendo alla fine conformarsi al codice formale vigente tanto combattuto a parole. Ai buoni propositi enunciati negli scritti saggistici non sono quindi corrisposte delle pièces in grado di rispettare quei principi sovversivi precedentemente sostenuti e che di fatto era riuscito ad applicare con efficacia nel romanzo, genere che aveva dimostrato di saper accogliere la formula del naturalismo, a differenza di quanto accaddeva a teatro: non a caso i drammi zoliani non ottennero un successo nemmeno lontanamente paragonabile a quello riscosso dai romanzi a cui si ispiravano e la ragione della difformità degli esiti sta proprio nella modalità stessa con cui l'autore, privo sia dell'esperienza necessaria che di una formula vincente, scelse di riproporre le sue opere in un altro campo. Nel caso particolare di Renée la difficoltà è duplice perchè non solo per la prima volta il romanziere si cimenta nel lavoro di riscrittura autonomamente, senza il comodo aiuto dell'immancabile collaboratore teatrale, ma anche perchè il testofonte in questione risulta piuttosto atipico all'interno della serie del ciclo de Les Rougon-Macquart in cui è inserito. 67

La Curée infatti, seppur basandosi sull'imperativo narrativo dell'osservazione scientifica dei personaggi calati in un preciso milieu e in una determinata epoca, si presenta a tratti surreale nell'esasperata rappresentazione farsesca degli appetiti dominanti della società contemporanea. Ecco che portare sulla scena un simile testo, pregno di allusioni e di rimandi e caratterizzato da una scrittura fortemente simbolica ed icastica, quasi impressionista diremmo, aumenta il grado di difficoltà nel ridurre la materia romanzesca che si trova così impossibilitata ad esprimere con la medesima forza e con la stessa capacità di sintesi la propria essenza perchè inevitabilmente impoverita durante il processo di rimaneggiamento coatto. Zola ha saputo immettere una buona dose di teatro, sia a livello contenutistico che formale, nel romanzo, ma non è riuscito a dare una degna rappresentazione drammatica di quest'ultimo. Abbiamo visto che il testo in prosa, avente come grande protagonista la società parigina sotto il Secondo Impero tutta apparenza e niente sostanza, è denso di richiami al mondo fittizio ed artefatto dello spettacolo ed è dotato di un impianto teatrale che investe la scansione dei capitoli e il corrispondente sviluppo della vicenda. A teatro invece non possiamo far altro che constatare il fallimento dell'estetica naturalista così come viene concepita da Zola: nel momento in cui il testo approda sulla scena, per ragioni sia intrinseche che estrinseche, non riesce a raggiungere l'obiettivo prefissato in partenza, ovvero essere un'opera realmente innovativa, cioè estranea ai meccanismi scenici diffusi e collaudati, ma al tempo stesso di riconosciuto successo. Sicuramente le cose non sono state facilitate dall'esistenza di fattori esterni quali il giudizio della critica coeva prevenuta di fronte ad ogni novità che si allontanasse dalla pièce bien faite à la française e l'intervento della rigida censura che minava fortemente la libertà d'espressione e che di fatto comportò una necessaria banalizzazione della trasposizione di cui venne attenuata la portata rivoluzionaria. Queste scomode ed ingombranti presenze accentuarono ulteriormente il loro carattere di ostacolo dal momento che a proporre una rottura con il vecchio codice teatrale non era un artista qualsiasi, ma Émile Zola, il famoso romanziere nonchè principale esponente della corrente del naturalismo, il quale, data anche la passata 68

attività giornalistica e l'immutato temperamento battagliero, aveva sempre propugnato le sue idee e le sue campagne con vigore, sostenendo spesso e volentieri posizioni contrarie all'opinione pubblica e suscitando così animati dibattiti, tanto in ambito artistico quanto politico. Ecco quindi che, al di là dei difetti oggettivi che possiamo riscontrare nelle sue opere teatrali, al risultato complessivo fallimentare concorsero evidentemente anche questo diffuso atteggiamento di ostilità che andava a colpire un personaggio tanto grande quanto scomodo per le sue prese di posizione nella Parigi dell'epoca. Ultime, ma non meno influenti, anzi, sono state le esigenze non soddisfatte di una folla di spettatori che ancora prima di essere tali sono stati lettori del romanzo originario e che si sono recati a teatro con delle precise aspettative, frutto dell'attività immaginativa prodotta dalla lettura, ma soprattutto con il bisogno di svagarsi e di divertirsi. Si tratta insomma di un pubblico profondamente borghese, in grado di leggere determinate cose nei libri ma incapace di assistere alle medesime rappresentate in scena senza gridare allo scandalo: tipico atteggiamento dettato non da una sincera e radicata moralità, bensì dal moralismo dilagante che porta ad osservare e giudicare il peccaminoso altrui prima che se stessi, credendosi immuni ed estranei dal vizio circostante. Si spiega così il rifiuto di voler assistere ad una rappresentazione non ideale ma reale della società di cui si è parte, anche perchè non si era mai visto qualcosa di simile prima in scena essendo stato inculcato un tipo di teatro piacevole a vedersi proprio perchè poco verosimile. Probabilmente è in questa mentalità retrograda che sta il muro più arduo da abbattere e Zola sembra esserne consapevole come rivelano le ampie concessioni fatte al gusto imperante per poter andare oltre alla première e poter garantire un certo numero di repliche alla propria creatura, nell'ulteriore e forse più amara consapevolezza di tradire, così facendo, nella realizzazione concreta gli ideali dichiarati e quindi, di aver fallito in prima persona nel rinnegare i propri principi in vista di un più probabile trionfo di botteghino, tanto lusinghiero quanto deludente per la coscienza. E così, gli spettatori della pièce nelle cui grazie cerca di entrare un autore che 69

scende raramente a compromessi, non saranno poi tanto diversi da Renée e Maxime che al Théâtre Italien assistono al dramma di Fedra senza assolutamente cogliere

la

miseria

della

propria

condizione

o,

se

ne

percepiscono

momentaneamente l'aspetto grottesco, preferiscono trovare una giustificazione al loro comportamento riassunta in un rassicurante "lo fanno tutti", per potersi mettere il cuore in pace e poter continuare a guardare ottusamente un'opera di cui non afferrano il significato tragico ed universale.

70

BIBLIOGRAFIA Opere •

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APPENDICE Tabella 1. Confronto tra la Phèdre di Racine (1677) e La Curée di Zola (1872)

Tabella 2. Confronto tra La Curée (1872) e Nantas (1878)

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Tabella 3. Confronto tra La Curée (1872), Nantas (1878) e Renée (1880)

[ACHER, Lionel, "La boucle transgénérique de Phèdre chez Zola", in GUERETLAFERTE, Michèle – MORTIER, Daniel (éds.), D'un genre littéraire à l'autre, Mont-Saint-Aignan, Publications des Universités de Rouen et du Havre, 2008, pp. 252, 253, 257.] 76

Busnach scrive a Zola le 16 séptembre 1881 Je vous ai dit que je vous écrirais au sujet de La Curée. Lisez sérieusement ceci. Vous savez que nous avons commencé la pièce ensemble. Vous m’avez ensuite exprimé le désir de faire l’ouvrage seul. Je me suis humblement et amicalement effacé. Aujourd’hui, d’après notre dernière conversation à Médan vous me paraissiez moins certain de vous, puisque vous m’avez dit qu’à la [fin] vous feriez signer la chose par un ami si cela n’était pas digne de vous. Je veux vous proposer ceci : Reprenez-moi dans Renée. Je n’écrirai rien dans la pièce. Je me contenterai de trouver—si je le puis!—ce que vous ne trouverez pas et de vous crier : Casse-cou…Je me contenterai d’un tiers ou d’un quart [à] votre générosité. Personne ne le saura sauf Sarah Bernhardt. En cas de succès, je vous promets la modestie de la violette. Si vous avez trop peur ou si la chose vous paraît indigne de ce que vous voulez faire seul plus tard, je signerai : sans vous.

le 30 janvier 1882 Laissez-moi lire le drame Renée (La Curée). Si je trouve des choses qui vous plaisent, je vous les soumettrai. Nous ferons les modifications ensemble. Je ne serai pas nommé. Je ne paraîtrai pas. Je toucherai ce que vous voudrez. Un tiers. Un quart. Ça m’est égal.

[DE VIVEIROS, Geneviève, "Les Romans Mis en pièces": étude sur la Pratique de l'Adaptation Théâtrale à la fin du XIXe Siècle. Le Cas d'Émile Zola (18731902), Thèse de l'Université de Toronto, 2009, pp. 218 - 219]

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