La semiotica nell\'arte contemporanea. Banksy.

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Università per Stranieri di Siena Dipartimento di Ateneo per la Didattica e la Ricerca Corso di laurea in Scienze Linguistiche e Comunicazione Interculturale - Didattica della Lingua Italiana a Stranieri Tesina di Semiotica:

La semiotica nell’arte contemporanea: La Street Art e le opere di Banksy

Docente: Professor Massimo Vedovelli Candidato: Claudio Saracino – mat. n° 3119

INTRODUZIONE

Siamo sempre più invasi dalla segnaletica; lo spazio urbano fornisce una quantità di messaggi basilari e unilaterali, certamente utili, ma per me senza personalità. Vorrei che all'unilateralità del messaggio venisse sostituito il concetto di reversibilità: si aggiunge un nuovo significato alla prima, portando altri livelli di lettura. Clet Abraham

Attraverso una forma di distruzione creativa che è facile ed economica da (ri)produrre, i writer sono in grado di usare la loro marginalità sociale per controllare il linguaggio e negoziare una relazione con la società. John Lennon1

L’arte di strada (o arte urbana), spesso nota col suo nome inglese di Street Art, costituisce una delle più moderne e anticonvenzionali forme d’arte. Pur trattandosi di un fenomeno relativamente recente (la sua comparsa nelle strade delle grandi città come Parigi, Londra e New York risale ai primi anni Novanta), la forte risonanza mediatica e la curiosità suscitata nel pubblico hanno fatto sì che questa innovativa forma artistica costituisse oggetto di studio da parte di storici dell’arte e scienziati del linguaggio e della comunicazione. Questo breve lavoro si pone come obiettivo l’analisi semiotica di alcune opere di Banksy, un artista di strada inglese attivo dalla fine degli anni Ottanta nella sua città natale, Bristol, poi giunto alla fama mondiale per alcuni interventi, installazioni e graffiti a Londra, New York e in Israele (19982014). Delle possibili chiavi di lettura applicabili all’arte di Banksy (prettamente stilistico-artistica, politica o sociale) si proverà, come detto, ad osservare le sue opere da un punto di vista linguisticocomunicativo, tuttavia non prescindendo dal contesto e dagli intenti dell’autore. Come si vedrà dalle immagini presentate, le intenzioni più o meno esplicite dell’artista sono rivolte ad una forte critica del sistema capitalistico, delle guerre, dello sfruttamento minorile, della violenza sugli animali e, in genere, di tutto ciò che risulta coercitivo nei confronti della libera espressione e della creatività del singolo. La ricerca sarà dunque indirizzata all’individuazione dei tratti comuni alle opere di Banksy, che fanno delle stesse un esempio peculiare di sottocodice artistico, con caratteristiche ben precise e ricorrenti. Prima di analizzare le opere, risulta opportuno presentare un breve excursus sulla semiotica dell’arte. Verranno presi in considerazione concetti quali codice, convenzione, genio e violazione della norma allo scopo di capire se e in che misura la creatività delle opere di Banksy (e, analogamente, di altri artisti contemporanei “convenzionali”) vada oltre i confini delle “regole del gioco”. In sintesi: attraverso quali dinamiche la creazione di qualcosa che sovverte l’usuale e disattende le aspettative convenzionali può dare vita a nuove forme artistiche e comunicative?

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Lennon J. Leggere i graffiti in «Acoma» n°38, Shake, giugno 2009. Lennon è Assistant Professor of English al St. Francis College di Brooklyn, New York.

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UN QUADRO GENERALE: ARTE, GENIO E SEMIOTICA Non è facile né immediato fornire una definizione di Street Art. Si tratta di un movimento artistico troppo giovane per essere inquadrato in vecchie categorie, troppo sovversivo in sé per essere ricondotto ad una tela di Rubens o di Monet. Non bisogna tuttavia arrivare alla Street Art degli ultimi decenni per capire quanto l’arte contemporanea sia di difficile definizione agli occhi di noi profani. Fin dai primi anni di scuola, fin dalle prime gite ai musei, la tradizione storico-artistica italiana e l’educazione all’arte e all’immagine ci hanno abituato a linguaggi e a codici ben precisi e ricorrenti, che non hanno faticato a inserirsi nel nostro bagaglio di conoscenze. Abbiamo ammirato facciate di cattedrali, maestose vetrate gotiche, affreschi, oli su tela, sculture a rilievo, busti, cupole, colonnati, mosaici e innumerevoli altri esempi di arte. Tutto ciò, affiancato ai nomi di Michelangelo, Tiziano, Brunelleschi o Caravaggio non ci appare nuovo, non ci sorprende: risponde precisamente alle nostre aspettative artistiche. Procedendo diacronicamente verso il presente, la nostra sicurezza nell’avvicinarci ad un’opera artistica inizia a vacillare. Le nostre idee di linea, armonia e colore si scontrano progressivamente con nuove tendenze che non trovano più corrispondenze nel vocabolario artistico a cui ci siamo sempre fieramente aggrappati.

Mark Rothko, Black on Maroon, Tate Modern London 1958

Greg Neville. Art Installation or installation of art, MoMA New York 2009

Iria Candela, Taiyana Pimentel, No Lone Zone, Tate Modern London 2012

Cosa succede quando ci rapportiamo ad eventi artistici che non sappiamo categorizzare? Una tela di circa quattro metri di lunghezza dipinta con acrilico rosso, una sala vuota con il cartello “Installazione in corso” e un enorme cetaceo in una delle sale di uno dei più grandi e famosi musei europei. Abbiamo la stessa reazione, lo stesso sguardo dubbioso e ironico che avrebbe potuto forse avere Giotto alla vista di una tela di Picasso. Si tratta di qualcosa (che siamo in un certo senso costretti a chiamare arte, dal momento che ci troviamo in quel luogo che per antonomasia ospita l’arte, il museo) che suscita in noi sensazioni che non sappiamo definire. Sono forme espressive che non sembrano rimandare a nulla di cui abbiamo fatto esperienza in precedenza, che pare mirino a stupire e disorientare, più che a trasmettere un senso. Affrontare in questa sede l’annoso problema “È arte questa?” richiederebbe una trattazione troppo specifica ed esulerebbe dal tipo di analisi che si intende proporre. Ci basti proporre un’interpretazione data dal critico d’arte Francesco Bonami in un suo saggio del 20072:

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Bonami F. Lo potevo fare anch'io : perché l'arte contemporanea è davvero arte, Mondadori, Milano 2007 3

Forse un dripping (“sgocciolamento”) alla Pollock potevate farlo anche voi, ma in sostanza non lo avete fatto. Pollock non aveva nessun Pollock davanti da imitare, in questo sta la genialità di un artista, nel saper inventare una propria via di fronte a un foglio bianco. Certo, ai tempi di Michelangelo o Canova era tutto più facile. Nessuno (o quasi) potrebbe affermare davanti al David di avere la maestria tecnica per realizzare un'opera simile. Oggi la storia si è complicata.

Cos’è dunque l’arte se non l’intervento geniale e creativo di un individuo? Esiste una relazione tra convenzione e creatività? Quali convenzioni vìola un atto irregolarmente creativo e in che misura può rivisitare la regola e creare nuovi schemi che, a loro volta, saranno rivisitati e reinterpretati da nuovi atti creativi? Queste domande, poste in essere già dalle più antiche riflessioni filosofiche (già Aristotele nei primi tre capitoli del suo trattato sulla Poetica parla di arte come imitazione), hanno avuto enorme risonanza nei secoli a venire, trovando nell’estetica la branca della filosofia più adatta ad occuparsene. Dal Rinascimento in poi, il genio ha assunto significati e valenze molto diverse. È geniale Galileo, con il suo intelletto, il suo studio e le sue invenzioni o lo sono gli artisti romantici, con la spontaneità e la creatività delle loro opere? Kant, in questo, non ha dubbi: il genio e il bello artistico non sono riconducibili allo studio e all’applicazione, bensì al talento e al genio dell’artista. L’“arte bella” dunque, in opposizione all’“arte meccanica” non si avvalora dalle regole che ne categorizzano l’esistenza, ma dalla rottura delle stesse. Il genio è il talento (dono naturale) che dà la regola all'arte. Poiché il talento, come facoltà produttiva innata dell'artista, appartiene esso stesso alla natura, ci si potrebbe esprimere anche così: il genio è la disposizione innata dell'animo (ingenium), mediante la quale la natura dà la regola all'arte. […] L'arte bella non può escogitare da sé secondo quale regola debba realizzare i propri prodotti. Ora, poiché senza regole antecedenti nessun prodotto può dirsi arte, bisogna che nel soggetto (mediante l'accordo delle sue facoltà) sia la natura a dare la regola all'arte; l'arte bella è possibile soltanto come prodotto del genio. Kant I. Critica del Giudizio, UTET, Torino 1993, §46; trad. it. pp. 280-281

Non c’è arte, dunque, senza regole, senza schemi dai quali distaccarsi. Ma l’opera artistica, frutto del genio creativo del suo autore, non resta chiusa nell’atelier del pittore o nello studio dello scultore. Vive e respira nelle strade, nelle piazze e ne musei. Dunque interagisce e comunica con i suoi destinatari, veicola molteplici sensi e si carica di valori proprio poiché immersa in una realtà sociale. In una visione che ingloba l’arte nell’infinito insieme dei sistemi semiotici e comunicativi, non risulta dunque azzardato inserire l’espressione artistica nello schema proposto da Jakobson (195860): CANALE (visivo, tattile, uditivo)

EMITTENTE (artista)

MESSAGGIO (opera)

CODICE visivo? artistico? linguistico? …

DESTINATARIO (pubblico: singoli e collettività)

CONTESTO galleria, museo, strada, piazza… 4

Risulta piuttosto intuitivo affermare che, per quanto riguarda l’arte, l’intento comunicativo è marcatamente poetico, in quanto il messaggio parla di sé e si presta ad una forma di decodifica e di disambiguazione agli occhi del destinatario. L’attenzione è dunque focalizzata sulla forma sotto cui si presenta l’opera, sull’accostamento di colori e di forme, sulle emozioni e sulle riflessioni che suscita nel ricevente. Si può affermare che quanto detto circa il messaggio trasmesso da un’opera valga tanto per il David di Michelangelo quanto per il cetaceo presentato nella sala del Tate Modern di Londra. Anche gli altri attori del processo comunicativo restano invariati: vi è un emittente, un pubblico e un canale. Sul codice e sul contesto, quando si parla di arte contemporanea, sorge però qualche dubbio interpretativo. Prendendo sempre ad esempio l’installazione del sopra citato cetaceo al Tate Modern di Londra, quale codice va applicato per decodificare il messaggio che l’artista propone? Quello dell’arte, quello ittico o quello che vi applicherebbe un pescivendolo voglioso di guadagnarne dei soldi? Come afferma il linguista argentino Prieto (1976), in qualsiasi pratica sociale dell’uomo si innestano dei codici che regolano i rapporti tra gli oggetti e le loro funzioni, nonché i sensi che essi veicolano. Tali codici, definiti da Prieto strutture semiotiche (Prieto, 1976, 90) non possono che influenzare ed essere influenzati dal contesto entro il quale abitualmente ricorrono. Ed è proprio questo stretto legame tra codice e contesto a stupire il destinatario alla vista di un calamaro gigante in una galleria d’arte. Dunque l’arte contemporanea può (o meglio deve, per riscuotere meraviglia e successo) costantemente travalicare le consuetudini comunicative alle quali il pubblico si è abituato? Richiamando Kant (e al contempo definendo genio l’ideatore dell’installazione del cetaceo) la risposta non può che essere sì. Un’interessante prospettiva è fornita da Bolognesi (1989) in un breve articolo apparso sulla rivista Parol: Concentriamoci invece sul famoso oggetto fuori luogo. Il codice o struttura semiotica che il contesto ci impone sarà in condizione di 'scoprire' l'intruso? […] Il codice appare quasi inesistente in quanto sembrerebbe ammettere ogni oggetto possibile. Non è possibile in base al codice di questa pratica stabilire l'estraneità di oggetti contaminanti. Ed è curioso il fatto che, a differenza delle altre pratiche, nel caso dell'arte più si conosce la pratica ed il conseguente codice e più si è disponibili ad accettare come artistico qualunque oggetto. Siamo, pertanto, in una condizione contestuale che impone come suo un punto di vista che ingloba in sé ogni oggetto "fuori luogo", a cui però risponde un codice alquanto debole, in quanto non discrimina tra oggetti 'pertinenti' ed oggetti 'fuori luogo'. […] Un codice tanto debole che non decodifica gli oggetti che annovera. Un codice così debole che molto probabilmente non ha più senso chiamarlo codice. Ma se è vero che non può darsi pratica alcuna senza struttura semiotica e quindi senza codice forte (in quanto è la struttura semiotica l'unica depositaria della conoscenza degli oggetti che intervengono nella pratica stessa, come dimostra ampiamente Prieto),sarà bene prendere atto di questa debolezza del codice artistico soltanto in prima istanza, e vedere se poi, essa, non sia frutto di un 'gioco' di codici più complesso proprio dell'arte. […] La struttura semiotica della pratica artistica sembrerebbe presentarsi come un "metacodice" che organizza altri codici, quindi che non ha a che fare con oggetti ma con altri codici. Il codice dell'arte contemporanea demanda la significazione ad una pluralità di codici, ed è solo all'interno di quest'ultimi che è possibile parlare di contaminazione da parte di oggetti fuori luogo. Il fuori luogo nell'arte è determinabile unicamente partendo da un'idea di arte, da un paradigma critico. Il codice della pratica (socialmente inteso) non estromette nessun oggetto aprioristicamente, in quanto non esclude nessuna idea di arte, nessuna "poetica".

La conclusione a cui approda l’autore è che in realtà, proprio poiché conosciamo la vastità dei codici artistici contemporanei, nessun oggetto, in linea di principio, può essere ritenuto fuori luogo, quindi non pertinente, in un opera d’arte. In sintesi, il cetaceo nella pozza d’acqua altro non è che il messaggio trasmesso da Greg Neville (emittente) al pubblico del museo (destinatario) per mezzo di 5

uno dei possibili codici che l’arte contemporanea utilizza per colpire il suo audience, nel suo habitat naturale (museo). Paradossalmente, è proprio la presenza dell’animale nella sala (e non in un acquario o in una pescheria) a rendere evidente la discrepanza tra codice e contesto. Immaginiamo un contesto determinato da regole più rigide: a teatro durante uno spettacolo. Un qualsiasi atto (linguistico e non) che violi le regole di quella pratica sociale (urlare a squarcia gola o portare con se un gigantesco cetaceo) susciterebbe ilarità, nella migliore delle ipotesi. È proprio questa riflessione che porta a definire l’arte come pluralità di codici integrati in un contesto debole. Ed è in questa debolezza del contesto che si innesta tutta la forza espressiva dell’opera d’arte.

LA COMUNICAZIONE NELLA STREET ART: BANKSY

Artists have challenged art by situating it in non-art contexts. Street artists do not aspire to change the definition of an artwork, but rather to question the existing environment with its own language. [Gli artisti hanno sfidato l’arte ponendola in contesti non artistici. Gli artisti di strada non aspirano a cambiare la definizione di opera d’arte; piuttosto mettono in dubbio l’ambiente esistente utilizzando il suo stesso linguaggio] Schwartzman A. Street Art, The Dial Press, Doubleday & Co., New York, NY 1985

La citazione dalla quale si vuole partire nel definire le peculiarità comunicative della Street Art3 non è casuale. Quando Schwartzman parla di sfida e di decontestualizzazione dell’arte non fa altro che cogliere il nocciolo di quelle riflessioni che nel paragrafo precedente si erano proposte per mezzo delle parole di Kant, Jakobson e Prieto. Cosa succede se la pratica sociale dell’arte si ricontestualizza in una realtà quale la strada, il luogo pubblico? Quali caratteristiche dovrà avere questo tipo di arte per raggiungere i propri scopi comunicativi, ora che è fuori dal “tempio” e dalle certezze del museo o della galleria d’arte? Le risposte a questi quesiti sono molteplici e si tenterà di approdarvi prendendo in considerazione da un lato gli aspetti generali che caratterizzano la Street Art come movimento artistico contemporaneo, dall’altro le peculiarità delle opere di Banksy.

La Street Art come movimento avanguardistico Una valida definizione di Street Art, più che dai classici manuali di arte, ci viene da testate giornalistiche, riviste e magazines che, a vario titolo, si sono occupati del fenomeno negli anni recenti. La peculiarità di questa forma d’arte visuale è dettata in parte, come si è accennato all’inizio, dalla scarsa integrazione con le forme d’arte precedenti, dunque dallo scarto stilistico, contestuale e comunicativo con l’arte contemporanea; in seconda istanza la giovinezza di questo movimento (e di tutte le sue sottocorrenti) ne garantisce la continua capacità di rinnovarsi, di rielaborarsi e di darsi nuove forme, tanto estetiche quanto concettuali. Per mutevole che sia,

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Si predilige il termine anglosassone dal momento che la traduzione italiana “arte/artisti di strada” si estende ad una categoria d’arte e di artisti (giocolieri, ballerini, cantanti, rapper) che pure fanno dell’arte e della strada la loro opera, ma non vengono presentati in questo lavoro. 6

esistono dei tratti che ci consentono di distinguere la Street Art propriamente intesa da tutto ciò che vi è affine ma che se ne differenzia per tratti culturali, sociali e per intento comunicativo: 

I graffiti4 si manifestano in luoghi pubblici, su muri, garages, ponti, marciapiedi o strade. Gli artisti non minano con le loro opere i patrimoni artistici pre-esistenti (e qui vi è una prima grande differenza tra il vandalismo che devasta gli edifici antichi dei centri storici e l’arte urbana che tende a preferire le periferie e le zone residenziali);



La Street Art non ha una lista codificata di mezzi espressivi o di tecniche da utilizzare. Si serve di vernici, spry, stickers, stencils5, installazioni, proiezioni e di tutti i possibili mezzi che l’artista ritiene consoni a veicolare il messaggio;



questa forma d’arte è, nella gran parte dei casi, illegale. Si spiegano dunque l’anonimato di molti autori, la rimozione forzata delle opere e la breve vita delle stesse.

Tecnica mista: vernice, spry, sticker. Opera di Banksy apparsa lungo le 425 miglia di barriera israeliana (lato ovest). Insieme alle altre sei opere presenti, suggerisce desiderio di libertà ed evasione (2005).

Questo esempio di stencil riproduce il volto di Obama e lo descrive come “tanto noioso quanto i suoi predecessori”

Vernice spry su parete, Londra. Il termine, di origine greca (γράϕος, gràphos) mantiene in italiano due principali significati: quello tradizionale, ovvero il riferimento alle incisioni rupestri preistoriche (e tutte le successive forme di incisione su pietra) e quello più recente, ovvero di arte visuale fruibile nei centri urbani. È interessante notare che in lingua inglese l’unico significato del termine graffiti è il secondo. Entra dunque in inglese un forestierismo che si mantiene inalterato sul piano dell’espressione (resta il singolare in -o anche in inglese) ma accoglie solo uno dei due significati, quello moderno. Tale scelta d’uso è probabilmente legata al fascino che il termine italiano (quindi dalle radici antiche, nella percezione anglo-americana) riveste in una lingua che tende a ricorrere a termini italiani (o arcaici) o per rendere aulica la lingua scritta o per parlare di arte, musica e teatro. 5 Matrici e stampi intagliati che permettono allo spry o alla vernice di dipingere “per difetto” solo le porzioni che permettono il contatto diretto con la superficie. 7 4

Sul piano tematico e contenutistico, come si evince già dai tre esempi presentati sopra, i graffiti spaziano dall’arte puramente decorativa e spesso psichedelica (dove colori e forme geometriche si intrecciano per formare parole, profili, animali ecc.) a forme d’arte marcatamente politiche, dove la satira e l’irriverenza sono all’ordine del giorno e dalla forza espressiva dell’immagine scaturiscono temi forti e critiche pesanti al sistema. È esemplificativo e di grande impatto citare il ciclo di graffiti realizzati in una sola notte (1 settembre 2005) da Banksy sulla barriera ovest del muro che divide Israele dalla Striscia di Gaza (presso la città di Qalqiliya)6. Le opere che saranno presentate in seguito renderanno evidenti, nella loro irriverenza e nello stravolgimento dell’usuale, alcuni temi chiave dell’arte urbana: pacifismo, condanna della guerra o della violenza, avversione nei confronti delle forze dell’ordine, rottura di schemi prevedibili, libertà di espressione e di coscienza, antiproibizionismo, ecc. Prima di passare alle opere, se ne introdurrà brevemente l’autore, semplicemente al fine di una contestualizzazione più ampia delle sue opere.

Banksy, “l’uomo oltre il muro” Tracciare la biografia di un personaggio che, stando alla stampa britannica, a mesi alterni pare rivelarsi un pazzo visionario, una donna o un gruppo di quarantenni di Bristol non risulta semplice. Le poche fonti bibliografiche dalle quali si può attingere non sono ufficiali. L’anonimato di Banksy rende oltretutto difficile l’identificazione delle sue opere. Anche la sua tag (firma), ormai copiata e riprodotta persino su accessori di moda, non è più indice di autenticità. Lo sono, tendenzialmente, il suo stile e le sue “rivendicazioni” ufficiali di paternità, che nel corso degli ultimi anni sono state rese pubbliche dal suo sito web ufficiale, da un film documentario di cui lui è regista e da un libro 7. Oltre alle sue opere, una valida fonte per conoscere Banksy è il giornalista americano Will Ellsworth-Jones. “L’uomo oltre il muro”, questo il titolo del suo libro, presenta interessanti spunti più che sulla vita dell’artista (di cui si sa poco se non, forse, l’anno di nascita, gli studi e i luoghi di infanzia) sulle ragioni del suo anonimato, le caratteristiche del suo stile e le sue “follie artistiche”. Sono queste ultime a caratterizzarne fino in fondo la personalità e, trattandosi di opere o gesti prontamente rilevati dai media e diffusi su scala globale, ad essi si può apporre una data, un luogo e un momento storico preciso. Sono, in un certo senso, le sue opere a farne la biografia. Rimandando al testo citato per un panorama a tutto tondo dei contesti di azione di Bansky negli ultimi anni, per le sue esposizioni, le sue tecniche e le sue stravaganze, ci si limiterà qui a citare alcune opere (nel senso più vasto del termine) che hanno suscitato ilarità, sgomento o sdegno e hanno garantito all’artista la fama di cui gode nonché il novero nella lista del Time tra le 100 persone più influenti del mondo (2010).

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Per una panoramica delle sette opere e una breve descrizione di ciascuna: http://www.theguardian.com/arts/pictures/0,,1543331,00.html?redirection=gallery ultimo accesso 22 gennaio 2015 7 http://www.banksy.co.uk/menu.asp ultimo accesso 22 gennaio 2015; Banksy, Wall and Piece, L’ippocampo, Milano 2011; Banksy, Exit through the gift shop, PFA distribuzione, Feltrinelli Real Cinema, Milano, 2011 8

Una delle più note fu realizzata nel 2005. Distaccandosi dal suo stile classico, Banksy tornò alla primordiale accezione di graffiti, riproducendo un disegno rupestre su un frammento di pietra, in cui la figura appena accennata di un uomo corre dietro un carrello della spesa. Camuffato, appese il dipinto in una sala del British Museum di Londra (2003). Ci vollero tre giorni perché qualcuno notasse l’anomalia. Nell’agosto 2004, Banksy produsse centinaia di migliaia di banconote da dieci sterline, sostituendo il volto della regina Elisabetta con quello della principessa Diana e modificando il testo Bank of England in Banksy of England. L’episodio suscitò forte sdegno in patria e grande risonanza mediatica all’estero, dove alcune delle banconote messe in libera circolazione raggiunsero il prezzo d’asta di circa 200 dollari al pezzo. Meno scherzosa (e certamente più di impatto) fu la trovata che mise in atto nel settembre 2006. Recatosi nel famoso parco giochi di Disneyland, in California, entrò nel recinto delle montagne russe per sistemare accanto ad un cactus una bambola gonfiabile vestita da prigioniero di Guantànamo, con la tuta arancione e la testa coperta da un sacco nero. Dopo circa un’ora la vigilanza si accorse della stranezza e chiuse la giostra sospettando un possibile attacco terroristico. Come molte delle sue opere, la discrepanza, l’inadeguatezza tra l’arte e il suo contesto di azione esaltano le potenzialità espressive della stessa. Il suo schierarsi a favore della pace, denunciando le torture e la pena di morte proprio in un luogo di divertimento e spensieratezza mostra come in poche miglia di distanza si giochi il paradosso dell’America8. Come le precedenti, anche queste immagini proposte ci avvicinano ad una definizione più accurata non solo dei temi affrontati da Banksy nelle sue opere ma dello stile attraverso cui riesce ad ottenere la reazione sbalordita, contrariata, ilare o sdegnata del pubblico. Nelle pagine introduttive di questo breve lavoro abbiamo già accennato a quanto sia labile il confine tra regola e reinterpretazione nell’arte contemporanea, quanto sottile sia lo scarto tra il graffito e l’atto di vandalismo, quanto la visibilità della Street Art e il panorama urbano in cui si innesta siano la linfa vitale di questa nuova tendenza artistica. Si presenteranno, nell’ultimo capitolo, alcuni tra i pezzi più famosi dell’artista, al fine di cercare una risposta semiotica alla domanda che ci poniamo quando ci troviamo di fronte ad una sua creazione: “Perché questo è sbagliato?” 8

cfr. Fairey S. Il grande comunicatore. Intervista a Banksy in Banksy: We are all Fakes, a cura di Baiardi F. Feltrinelli, Milano 2011, pag. 29 9

“IL GRANDE COMUNICATORE” Un grande comunicatore modella le forme del suo linguaggio, gioca coi suoi contenuti e veicola, in un modo che certo non passa inosservato, i sensi che intende trasmettere. Quale appellativo migliore che quello affibbiato dalla stampa statunitense a Ronald Reagan, dunque, per definire la genialità e l’immediatezza con cui Banksy e le sue opere si impongono al pubblico9?

Queste quattro immagini, tra le più conosciute di Banksy (peraltro tutte alacremente rimosse dalle pareti degli edifici di Londra e Bristol nel giro di pochi giorni) sono state selezionate fra centinaia di altre per due categorie di ragioni. In primo luogo, sono le meno politicizzate: non vi è un attacco diretto ad un gruppo, ad una categoria, ad una fazione o ad un singolo: rendono dunque l’analisi più agevole e non subiscono la variabile della politically correctness, tema, per quanto preponderante nelle sue opere, che non si intende affrontare in questa sede. In secondo luogo costituiscono un piccolo corpus (variegato nei temi, ma piuttosto omogeneo per quanto riguarda il messaggio trasmesso) che consentirà un’analisi globale sulle strategie che l’artista mette in atto per raggiungere i propri scopi comunicativi. Riprendendo le parole già citate dall’intervista di Fairey, una domanda che sorge in modo quasi spontaneo è: perché questo è sbagliato? Nella sua ingenuità 9

cfr. ivi. pag. 21 10

di fondo, è una domanda focale per l’analisi che ci si appresta a svolgere. Chiunque di noi può cogliere un qualcosa che stride, che non quadra. Ma cosa? Proviamo a porci la domanda opposta rispetto a quella citata poc’anzi: come possiamo renderlo giusto? Ipotizziamo che i bambini nell’immagine in alto a destra giochino con una palla, violando la prescrizione del cartello no ball games appeso al muro; poniamo che il maggiordomo serva un tè alla regina Elisabetta nel suo studio; immaginiamo che il guerrigliero lanci una molotov e che la telecamera di sicurezza non sia stata innestata di fronte ad un muro. Torneremmo, in un certo senso, in uno stato di normalità, di prevedibilità, di convenzionalità. Questi segni non avrebbero più nessuna connotazione artistica, poiché sarebbero immediatamente ricondotti dalla nostra esperienza quotidiana a delle pratiche che non ci stupiscono. È certamente questo uno dei tratti peculiari dell’ironia nelle opere di Banksy. I codici che l’artista utilizza ci sono noti ed è proprio l’alta esposizione quotidiana che abbiamo al codice attraverso cui ci parla a far sì che non possa sfuggire alla nostra attenzione il dato dissonante: il mazzo di fiori, le bombolette spry, il cartello e la domanda ironica cosa state guardando?. Come afferma EllsworthJones (2011, 42): «Per Banksy, e per altri street artist come lui, invece, il pubblico è tutto. […] Dipingono sugli stessi muri dei graffiti artists, ma creano immagini immediatamente comprensibili […] L’immagine può essere puro umorismo o critica sociale, o entrambe le cose, ma ogni passante riesce a cogliere il senso della battuta». Quale che sia questo senso (il desiderio di pace, di maggiore giustizia sociale, di abbattimento del divieto e dei vincoli), la strategia attraverso cui Banksy lo veicola è chiara. In un contesto a noi familiare (la strada), attraverso immagini e figure semplici, stilizzate, immediatamente interpretabili dal pubblico, l’artista sovverte la linearità del messaggio con un tassello fuori posto, inatteso. Ed è violando il codice che rende palese i paradossi e le contraddizioni di ciò che è, in realtà, sotto gli occhi di tutti. Scrive Fairy, nell’introduzione alla sua intervista a Banksy (2011, 22): «Le sue opere, siano esse realizzate per le strade, vendute nelle gallerie o appese furtivamente in un museo, sono piene di immagini metaforiche che trascendono le barriere linguistiche. Le immagini sono divertenti e brillanti, eppure talmente semplici e accessibili che anche un bambino potrà afferrarne il significato: anche se i bambini di sei anni non hanno la minima idea di che cosa sia un conflitto culturale, non avranno alcun problema a riconoscere che c’è qualcosa che non quadra quando vedono Monna Lisa che impugna un lanciafiamme»

L’originalità dell’opera di Banksy sta, a mio parere, proprio nella disinvoltura con cui spezza bruscamente la relazione che lega gli elementi di un codice noto. Non inficia tuttavia la comprensibilità del messaggio: lo carica di valori nuovi, sarcastici, critici e sovversivi. Tornando agli esempi, il cartello con cui giocano i bambini della prima immagine si oppone e si distingue dalla palla con cui tutti ci aspetteremmo che giocassero. Ma è proprio quando un cartello che ci vieta di giocare a palla assume il valore di una palla che l’ironia del messaggio si palesa. Tutto è dato al pubblico nel complesso gioco creativo a cui Banksy ci chiede di giocare: l’interpretazione, l’attribuzione di senso, la determinazione di valore. 11

Ultima riflessione che sorge da più di qualche immagine proposta in questa lunga carrellata riguarda proprio l’attenzione che l’artista pone sul codice. Cos’è il suo codice se non il graffito proposto? Si può ipotizzare, soprattutto osservando l’immagine della telecamera, che il graffito nella sua realizzazione e nella trasmissione di senso che veicola parli, in una certa misura, di se stesso. È come se tra quei due muri adiacenti, tra la telecamera di sorveglianza e la domanda cosa stai guardando? si giochi un dialogo potenzialmente infinito in cui la telecamera sorveglia una scritta immobile che, in modo irriverente, chiede alla telecamera (e ai vigilanti che sono dall’altro lato dell’apparecchio) cosa stia fissando. In chiave metalinguistica, dunque di riflessione sul codice stesso, la risposta all’ipotetica domanda non sarebbe altro che il graffito stesso.

CONCLUSIONI La Street Art e il suo portabandiera del XXI secolo, Banksy, continueranno certamente a fornire spunti sempre più interessanti per la critica d’arte contemporanea e per gli studi sulla comunicazione. Questo breve contributo, mischiando sacro e profano, Kant e bombolette spry, ha voluto, senza pretese di esaustività, dare una lettura in chiave semiotica di quello che indubbiamente è un linguaggio potente della società contemporanea. Potente in quanto molto visibile, molto comprensibile e molto articolato, su piani diversi, per mezzo di codici spesso diversi. Sì è cercato di sottolineare l’importanza e, al contempo, la debolezza del contesto nel quale l’arte contemporanea e la Street Art nascono e prendono forma. Per comprendere l’originalità e la forza del messaggio trasmesso dall’autore sono stati presi in considerazione le strategie di sovvertimento del codice e si è data una possibile spiegazione alla domanda che sorgerebbe spontanea: come facciamo a salvaguardare la comprensione del messaggio se il codice è distorto? La reinvenzione e l’attribuzione di un sovrappiù semantico al messaggio (paradossalmente proprio grazie alla violazione della convenzione) rende Banksy unico nel suo genere. Richiamando in ballo Kant, è il genio che dà la regola all’arte. Il genio, in un certo senso, fa di più. Dà la regola, la toglie, la manipola, sovverte le precedenti. E soprattutto negozia con gli altri “giocatori” le regole, i codici, le convenzioni e gli usi attraverso i quali veicolare il messaggio, dando così modo a tutti, almeno potenzialmente, di mettere in moto lo stesso processo creativo e produttivo che genera l’arte, in una chiave sempre nuova e multiforme.

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BIBLIOGRAFIA           

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