· L’architettura a Trieste fra eclettismo e liberty

July 18, 2017 | Autor: Maurizio Lorber | Categoria: Architectural History, Art Nouveau, Trieste
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MAURIZIO LORBER

L’ARCHITETTURA A TRIESTE FRA ECLETTISMO E LIBERTY Nei primi anni del Novecento ad un progressivo incremento demografico corrispose un cospicuo sviluppo edilizio che a Trieste interessò la committenza del ceto medio la quale, non troppo vincolata da esigenze rappresentative, contribuì a diffondere una tipologia architettonica che, ponendosi in alternativa agli stili storici trovò nel liberty quel "codice decorativo" che poteva essere adattato su di una griglia compositiva di tradizione eclettica. Questi elementi stilistici, conosciuti dapprima attraverso le riviste, divennero familiari al vasto pubblico che li ritrovava in quegli oggetti di uso quotidiano, nelle vetrate, nei ferri battuti e negli stucchi decorativi delle proprie abitazioni. Questo nuovo "gusto" si sviluppò e si diffuse in tutta Europa, seppure con accezioni diverse, negli anni fra il 1890 e il 19151. Trieste, come ben noto, aveva assunto una dimensione di carattere europeo soltanto nel periodo neoclassico, in seguito si era confrontata con un altro fenomeno a largo raggio: il recupero degli stili storici. Riguardo al liberty invece e al riflesso che poteva esercitare sulla città la Scuola di Wagner, le opere furono per molto tempo considerate episodiche, spesso di dubbio valore. Una rivalutazione ed una riscoperta di queste realizzazioni si ebbe solamente dalla seconda metà del Novecento e, a proposito, è importante ricordare come in città abbiano operato architetti di notevole rilevanza quali Giuseppe Sommaruga, Max Fabiani, Giorgio Zaninovich, Giovanni Maria Mosco e Umberto Fonda. Nonostante la loro presenza è comunque innegabile che, a Trieste, il liberty non riuscì ad affermarsi al pari degli stili storici e, forse, il motivo va ricercato nell’importanza che assunse Ruggero Berlam nello sviluppo edilizio di tutta la città2. La 1) Come ben noto questo periodo, storicizzato come Art Nouveau, assunse diverse denominazioni che variano da paese a paese. La definizione Art Nouveau, che prende il nome dal negozio-galleria di oggetti artistici di Samuel Bing inaugurato a Parigi nel 1895, indica la produzione francese, mentre per quella inglese e statunitense si utilizza anche l’appellativo di Modern Style. In Germania il movimento è noto come Jugendstil, dal titolo della rivista Die Jugend, così come in Austria la rivista Ver Sacrum contribuì a diffondere il movimento della Wiener Secession con attività di mostre dal 1897. In Italia si parla invece di floreale o liberty facendo derivare il termine dalla ditta fondata a Londra da Arthur Lasenby Liberty. Si trattò pertanto di un fenomeno internazionale, sebbene vadano evidenziate delle diversità sostanziali - basti pensare alle differenze fra la Wiener Secession e l’Art Nouveau francese - che si estese in tutta Europa con notevole rapidità ed altrettanta caducità. 2) Pozzetto 1999 e la voce, particolarmente critica, di Manfredo Tafuri, in Tafuri 1967, pp. 111-112.

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figura dell’architetto è significativa perché, dal 1878, la sua biografia è strettamente connessa alla crescita edilizia di Trieste3. Egli continuò la tradizione eclettica riproponendo il neo-fiorentino o lo stanco accademismo neo-cinquecentista rileggendone gli aspetti coloristici. Formatosi alla scuola di Boito, Berlam utilizzò con moderazione gli elementi desunti dallo stile liberty e si dimostrò scarsamente interessato a quanto veniva elaborato negli altri paesi europei. Aveva ben presto appreso come gli stili storici tradizionali (gotico, rinascimentale, manierista, …) offrivano, nella loro codificazione sintattica e lessicale, la possibilità di essere ri-attualizzati magari ibridandoli secondo il gusto proprio dell’architetto4. Non vi è, in sostanza, un linguaggio architettonico che egli non abbia considerato, imponendo indirettamente anche agli altri architetti e costruttori di Trieste la sua personale concezione eclettica. Tale interpretazione ancora ottocentesca dell’architettura è pertanto presente anche in molti degli edifici triestini che, più correttamente, dovremmo qualificare come pseudo-liberty. Ci riferiamo, a proposito, a molte delle realizzazioni di Giovanni Maria Mosco. Certamente il Berlam accademico riscosse maggior successo di quanto avrebbe potuto sortire con elaborazioni che prescindessero dagli stili storici ben presenti a Trieste, che ne conferivano il volto tipico. L’adozione del neo-fiorentino venne particolarmente apprezzata da alcuni eminenti triestini che ne valutarono la componente ideologica intesa quale rifiuto dello "stile austriaco" a favore di un’elaborazione autenticamente italiana. Lo stralcio da un articolo di Silvio Benco, a firma Falco, da “L’Indipendente” del 16 agosto 1903 risulta particolarmente significativo a tale proposito: “Da tutte le parti, ibrida e nauseabonda, la volgarità del cosidetto nuovo stile architettonico, che urla con le boccacce della sua pazzia contro il nubile positivismo della nostra epoca [...] Intorno alla grigia profondità della via si affastellano sui muri aridi e bianchi le curve smorfiose del modern style, le teste leonine di gesso, le cascate di fiori zuccherine e le ghirlandette massicce: il cielo è tagliato dalle sagome carnovalesche dei coronamenti cincischianti di creste di gallo e di pinnacoli da pasticcere sovra le sinuosità d’un’arte floscia: talune di queste case giovani è fasciata a metà da una simulazione di rivestimento di pietra come volesse darsi un’aria d’una vecchia idropica: e sotto il peso dell’incubo di senilità e d’impotenza espresse dalla falsa pietra, parmi veder baluginare nei 3) Budinis 1921, pp. 263-275, 339-357. 4) Interessante a tale proposito l’invenzione di uno stile vero e proprio modificando una tipologia già codificata: Barillari, Carbi, Travaglini 1986. Ma riflessioni di metodo su questi temi di carattere generale, particolarmente originali, vennero elaborate da Decio Gioseffi in Gioseffi 1989, pp. 105-121. 5) Benco 1910 (1973).

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tetri chiaroscuri della via i serafici volti dei borghesi che hanno messo a lucro il loro denaro nell’edificazione di questo mondo grottesco“6. Purtroppo le motivazioni ideologiche non sempre trovano adeguata corrispondenza nel risultato creativo, cosicché la casa Leitenburg progettata nel 1887 divenne un modello per innumerevoli edifici abitativi solamente perché costituiva un esempio di autentica "architettura italiana". Scrive, a proposito, Silvio Benco che la costruzione “eserciterà su la città un incanto dal quale essa non si trarrà più”.

Via del Torrente (attuale Carducci)

Pertanto, le scelte architettoniche, nonostante la presenza del liberty, rimasero sostanzialmente fedeli agli stili storici che vennero adottati soprattutto negli edifici di "rappresentanza"7. Le stesse costruzioni generalmente qualificate come liberty utilizzarono gli schemi compositivi eclettici sui quali venne apposto il repertorio decorativo floreale senza che questo, peraltro, alterasse la concezione progettuale dell’edificio. Come anticipato, le ragioni di questa adesione episodica e superficiale al gusto liberty vanno ricercate nel ruolo egemone ricoperto a Trieste da Ruggero Berlam il quale, nelle sue realizzazioni, ricorse di rado al vocabolario liberty che lo interessò sostanzialmente poiché gli consentiva di ottenere una policromia di facciata. Analizzando la sua attività possiamo considerare 6) Silvio Benco ebbe più volte modo di esprimersi negativamente sull’architettura liberty anche successivamente (ad esempio in Benco op. cit., p. 102). L’articolo da “L’Indipendente” mi è stato gentilmente segnalato da Lorenzo Nuovo. 7) Per una panoramica dell’eclettismo a Trieste il testo di Brizzi 2003, pp. 103-141, inoltre Campailla, Walcher 1992. Da un punto di vista più generale Walcher 1967; Caputo 1992, pp. 15-71 e Zanni 1996, pp. 75-95.

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come egli, da un lato, abbia ostacolato la sua diffusione, ma non sia riuscito, dall’altro, a sottrarsi completamente al fascino di questo stile, che venne comunque interpretato alla luce del suo personale linguaggio architettonico. Egli cercò nel colorismo quella unità stilistica che difficilmente poteva venirgli dall’uso di un vocabolario quanto mai eterogeneo che includeva tanto il gusto fiorentino con archi acuti e bifore albertiane quanto le superfici a bugnato contrapposte al mattone. Così, in via Giulia 6 (1898), i motivi cinquecenteschi o veneziani sono evidenti nel recupero del basamento a loggiato di Palazzo Ducale, mentre in casa Berlam (via Piccardi 36, 1903-1904) non mancano i tipici inserti floreali che caratterizzano l’Art Nouveau ben esemplificati nel Pavillion di Otto Wagner presente sulla Karlsplatz di Vienna. Il carattere eclettico dei suoi edifici divenne un simbolo di opposizione all’"architettura austriaca" - che allora si identificava con il palazzo delle Poste ed il palazzo del Lloyd Austroungarico8 - assurgendo così a modello per un’autentica "architettura italiana". Il Berlam divenne quindi un riferimento per il "corretto costruire" in opposizione al modern style che, secondo Benco, adesca i giovani, pur rimanendo un’alternativa "eclettica" agli stili storici "austriaci". Le sue ”citazioni” dal vocabolario liberty possono essere considerate come l’accettazione di una moda passeggera: “Per un momento l’architetto Berlam pare voglia farsi precursore del modern style nella città: la sua versatilità di disegnatore, il suo istinto della visione pittorica, lo traggono all’esperimento: fa qualche cosa, qualche villetta. Ma subito se ne disgusta, e torna alle forme italiane”9. D’altra parte lo stesso ambito culturale in cui operava il Berlam si opponeva all’affermazione del liberty, come si può evincere dal testo commemorativo che Sticotti redasse nel 1921 per la morte dell’architetto. In esso si ricercano i motivi e le cause per cui vennero respinte alcune realizzazioni portando ad esempio i villini Modiano i quali adattarono “al nostro gusto gli arzigogoli inorganici e nipponizzanti dello stile liberty o floreale o Secession che dir si voglia: maniera che non attecchì nei nostri climi o fu talmente snaturata dai nostri artefici da diventare sempre più la caricatura della caricatura, finché si inaridì e cessò del tutto”10. Il tardo eclettismo proprio non solo di Ruggero Berlam ma anche di altri architetti presenti a Trieste, quali ad esempio Giorgio Polli11 ed Enrico Nordio, è caratterizzato da una pluralità di fonti visive che vanno dall’architettura veneziana quattrocentesca al tardo rinascimento tosco-romano. Della prima tipologia, particolarmente copiosa nell’edilizia residenziale del 8) Carboni Tonini 1986. 9) Benco, op. cit., pp. 101-102. 10) Sticotti 1921, pp. 367–379. 11) Zanni 1980, pp. 91-111.

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centro cittadino, sarà sufficiente ricordare la casa Cohen-Ara (1851), testimonianza precoce rispetto all’Italia del genere neoveneziano. Rimane tuttavia significativo il fatto che la sua diffusione a Trieste è spiegabile sulla base di motivazioni ideologiche con un chiaro richiamo all’italianità12.

Palazzo Viviani-Giberti, dettaglio, viale XX Settembre

Eppure, nonostante perplessità e ritrosie, nel tessuto urbano penetrarono ugualmente costruzioni che denunciarono un loro avvicinamento al liberty, citiamo ad esempio l’edificio di via Battisti 16 (1902-1904) che combina motivi rinascimentali a decorazioni liberty. La casa, a cinque piani, presenta nel basamento una serie di archi ribassati, mentre nella parte superiore sviluppa una serie copiosa di finestre che sono evidenziate da chiavi d’arco e modanature scultoree e dall’inserto di tre scudi collegati da ghirlande al centro della facciata13. Sempre sulla facciata spiccano inoltre due fasce orizzontali: l’una a foglie d’ulivo, l’altra a foglie d’acanto, delle quali la prima è particolarmente interessante poiché collega le finestre esplicando la sola funzione decorativa senza considerare la partizione tra primo e secondo piano. È significativo il fatto che questo edificio, il primo che presenti delle caratteristiche innovative per la città, seppur solo di facciata, sia stato progettato e realizzato da due ingegneri: Luzzato e Piani, probabilmente meno condizionati dalle direttive accademiche vigenti14. 12) Brizzi, op. cit., p. 120. 13) La particolare quadratura delle finestre verrà ripresa dallo stesso Ruggero Berlam nella casa liberty di sua proprietà, in via Piccardi 36 nella quale confluiscono soluzioni derivate dal Sommaruga. 14) A tal proposito alcune considerazioni dell’architetto Dino Tamburini presenti in Tamburini 1980, testo dattiloscritto inedito.

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Prendendo in considerazione le realizzazioni del periodo si individuano abbastanza facilmente alcune aree urbane nelle quali si realizzarono piccole “isole liberty”; quali l’area delimitata a nord dal viale dell’Acquedotto (attuale viale XX Settembre) e ad ovest dalla via del Torrente (attuale via Carducci). Non a caso si tratta di una zona il cui sviluppo edilizio era legato ad interessi privati propri della piccola e media borghesia, classe sociale che ovunque in Italia si dimostrò più sensibile al nuovo gusto europeo. A tal riguardo meritevoli di citazioni sono la via Boccaccio, parallela a viale Miramare e le attigue vie Tor San Piero e Udine. Ivi la casa progettata da Giovanni Baschmidt rappresenta quella sintesi stilistica tra liberty e stili storici che ebbe notevole fortuna a Trieste. Nell’edificio predominano le partizioni decorative verticaleggianti e lineari che preannunciano, quasi, lo stile art decò o stile anni Trenta. Se la punta di maggiore qualità si raggiunge in via Commerciale all’angolo di salita Trenovia con gli edifici di Giorgio Zaninovich e Umberto Fonda, la maggiore intensità decorativa si ottiene in piazza Cornelia Romana e nell’isolato attiguo di via Tigor e via San Vito ad opera di Giovanni Maria Mosco. A livello decorativo numerosi esempi di penetrazione del gusto liberty sono individuabili anche in via Piccardi, in via Canova e in via Rossetti, i quali tuttavia non raggiungono la vivacità pittorica delle facciate di via Boccaccio, sulla quale insistono solo edifici con simili caratterizzazioni. Tuttavia, proprio l’ampiezza di queste aree testimonia di come il liberty sia stato ibridato con gli stili storici senza peraltro assumere un ruolo rilevante nel processo di trasformazione del volto della città. La differenziazione dalla facies più ottocentesca è dovuta all’inserimento di ricche decorazioni a stucco quali festoni, elementi nastriformi e mascheroni tipici della Secessione viennese. Questo inserimento avviene però sempre su di una griglia classica, nella quale primeggia l’ordine gigante o sovrapposto di lesene, nonché il quasi immancabile basamento a bugnato, caratteristiche queste che sanciscono la continuità fra questi edifici e quelli ottocenteschi. Esempi tipici possono essere la casa d’abitazione di via Piccardi 6 o gli edifici in piazza Cornelia Romana. Cronologicamente assistiamo ad una progressiva diffusione di questi edifici dai primissimi anni del Novecento fino al 1906, quindi il loro sviluppo rimane costante fino al 1910 per spegnersi pressoché definitivamente a tre lustri dagli esordi. Va comunque ribadito come in città l’egemonia architettonica non fu degli architetti più innovativi, quelli che, ad esempio, si formarono a Vienna, ma di quelli che, ben lungi dal rinnovare profondamente la pratica progettuale, avevano rapporti privilegiati con la grande committenza pubbli-

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ca e privata, nella fattispecie i Berlam e, successivamente, i Nordio, i quali protrassero spesso stancamente i modelli dell’eclettismo. Di questa pressione risentì anche Giorgio Zaninovich, formatosi a Vienna sotto la guida di Otto Wagner, di cui ricordiamo l’edificio del 1904 sito in via Pauliana 6. L’architetto comprese subito che a Trieste non sarebbe stata accettata una soluzione che rompesse definitivamente con la tradizione degli stili storici, così elaborò, in prima battuta, una decorazione che potesse adattarsi all’ambiente architettonico circostante, nella quale coesistevano alcuni riferimenti del rinascimento "libero", recuperato dalla tradizione locale, ed altri invece di matrice secessionista: lesene ioniche, nastri intrecciati, teste femminili15 che costituiscono il vocabolario di facciata ritenuto più adatto alla "situazione" triestina.

Casa Valdoni, dettaglio

Dell’architetto rimane comunque a Trieste l’esuberante edificio sito al numero 25 di via Commerciale nel quale si sperimenta un “eclettismo modernista” ove vengono associati in maniera inedita elementi del liberty italiano con ascendenze della Wagnerschule. Non è improbabile che vi sia un rapporto di relazione fra questa vulcanica realizzazione di Giorgio Zaninovich con la ben nota opera di Giuseppe Sommaruga, antecedente di un anno (1906), di viale XX Settembre. L’edificio in questione, allora Teatro Filodrammatico16, è immediatamente riconoscibile per la sua esuberanza plastica quasi barocca. Di esso non sono purtroppo sopravvissute le 15) Coop Alea, Monai 1990, pp. 1-4 n.n. 16) Guacci 1967.

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decorazioni interne: i fregi in cemento, i foglioni, i pampini, i puttini, i fiorami in ferro battuto che, ideati dal Sommaruga e realizzati da Ambrogio Pirovano17, si espandevano lungo la balaustra della platea e costituivano probabile modello per Zaninovich e per la bizzarra "galleria" realizzata dal Mosco nell’edificio di via Tigor 12. Ma il passaggio di Sommaruga a Trieste, sebbene fosse l’unico dei tre grandi autori liberty italiani presente nella città (gli altri due, come ben noto, sono Ernesto Basile e Raimondo D’Aronco), rappresentò un unicum piuttosto che un’occasione per nuovi modelli architettonici. In maniera riassuntiva è possibile individuare le due principali direttrici che caratterizzano il liberty architettonico a Trieste. Da un lato vi sono quegli edifici che coniugano l’eclettismo con le più recenti istanze decorative floreali. Figura di primo piano per queste elaborazioni è Giovanni Maria Mosco, a cui si accompagnano, seppure in maniera più episodica, il già citato Ruggero Berlam e, in maniera più bizzarra, Romeo Depaoli. Dall’altro ritroviamo quegli edifici progettati da architetti direttamente o indirettamente legati alla Wagnerschule: Max Fabiani18, Giorgio Zaninovich19 e Umberto Fonda20. Fabiani, il più rilevante fra i tre, alla fine del suo viaggio di studio europeo compiuto grazie alla borsa di studio della Fondazione Ghega, venne introdotto da Joseph Maria Olbrich nello studio di Otto Wagner. Malauguratamente, realizzò soltanto tre edifici a Trieste: la casa Bartoli, il palazzo de Stabile e l’edificio polifunzionale per la comunità slovena, la Slovenski Narodni Dom (hotel Balkan). Con tali costruzioni dovettero confrontarsi Giorgio Zaninovich e Umberto Fonda, i quali contribuirono in maniera determinante a far giungere in città il riverbero di ciò che si andava realizzando a Vienna, dimostrando che era possibile progettare case d’abitazione a costi contenuti, funzionali e mai anonime. È proprio grazie all’opera di questi architetti che l’egemonia passatista del Berlam trovò un’alternativa che non fosse l’ennesima commistione di stili afferenti ad epoche diverse. 17) Ricordiamo che Giuseppe Sommaruga era assurto a celebrità nazionale dopo la realizzazione del palazzo Castiglioni a Milano. Tuttavia, come ben noto, le statue della facciata raffiguranti figure femminili, scolpite da Ernesto Bazzaro, furono rimosse per "indecenza" e collocate in un altro palazzo dello stesso Sommaruga: Villa Romeo, ora Clinica Columbus, poiché volgevano irrispettosamente le terga al passante essendo appoggiate ai davanzali delle finestre soprastanti il basamento in bugnato. Furono sostituite da due "austere cimase" del Pirovano, lo stesso autore a cui venne commissionata la decorazione scultorea del palazzo Viviani-Giberti. 18) Pozzetto 1998 e Celigoj 2006. 19) Carboni Tonini 1984, pp. 239-276. 20)L’Architettura Italiana 1913 (a), pp. 123–125; L’Architettura Italiana, 1913 (b), pp. 33-35.

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Hotel Balkan

In conclusione, è necessario ribadire come a Trieste, nei primi decenni del Novecento, gli stili architettonici si prestarono ad una lettura di tipo ideologico21 che bene viene esemplificata da due palazzi, l’uno di Ruggero Berlam (palazzo Vianello) e l’altro di Max Fabiani (Slovenski Narodni Domhotel Balkan) che, fronteggiandosi, riassunsero la sempiterna contrapposizione locale, non architettonica bensì culturale22. L’eclettismo di Berlam, con le sue varianti neo-veneziane e neo-fiorentine, rappresentò l’italianità di Trieste, mentre le novità progettuali di Fabiani assunsero, loro malgrado, una connotazione estranea alle radici italiane tanto che i due edifici finirono per guardarsi in cagnesco anziché rappresentare la ricchezza propria della diversità.

21) Lorber 1999, pp. 175-194. 22) "Ebbene, ricordate il leone alato nel palazzo Vianello che sovrastava la facciata d’angolo sulla piazza Oberdan? Non pareva uno scherno e un’allegra minaccia al glabro edificio balcanico lì presso? E come una sfida fu anche interpretato e odiato, e durante la guerra si avventò contro quel fiero segnacolo veneto una vile orda di cacciatori di leoni e lo distrusse; ma fu breve la gioia, che la profanazione fu vendicata dal più bel rogo che mai sia stato visto a Trieste", Sticotti 1921, pp. 367–379 [p. 374].

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