L\'etnicismo como spettro contemporaneo del razzismo

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Spagna L’etnicismo come spettro contemporaneo del razzismo

di Giuseppe Aricò (*)

cato storico e politico. In modo spesso equivoco, con tale termine non solo si suole definire ogni atteggiamento razzista e xenofobo, ma si tende anche a trasformare un vocabolo riferito a una precisa esperienza storica in un'ipotetica categoria sociologica. La storiografia insegna che è indispensabile situare storicamente le dinamiche che attengono ai movimenti politici in generale. Si tratta di riconoscere come nei confronti delle politiche nazifasciste la riflessione sia stata così spesso marcata dal concetto di razzismo, che si è finito col dimenticare quali siano le cause e le condizioni socio-culturali che ne permettono l’affermazione all’interno delle società. Il risultato è stato quello di naturalizzare un attegiamento, e di indulgere in letture semplicistiche delle modalità di costruzione di un “sentimento xenofobo” che non affetta solo il pubblico o il privato, ma in maniera trasversale anche l’insieme dell’apparato istituzionale. Non vi è dubbio che razzismo e xenofobia s i a n o caratteristiche tipiche di qualsiasi partito o gruppo nazifascista, ma credo che oggi non sia piú tanto la razza quanto l’etnia ad essere stata convertita nel fondamento teorico del nazifascismo contemporaneo. Anche se ufficialmente e pubblicamente scartata come categoria di ascrizione, l’idea di razza continua a far parte dell’immaginario dominante grazie all’uso dell’etnia come una lente privilegiata, attraverso la quale l’appartenenza alla condizione sociale degli individui viene disugualmente determinata. Lungi dall’essere un ricordo appartenente al passato, lo spettro del razzismo biologico riecheggia tuttora nelle cosiddette società civili, rivelando la persistenza di un fenomeno che non è per nulla mutato. Ciò che è cambiato sono solo le forme attraverso le quali la xenofobia viene perpetuata, e forse dovremmo cominciare a pensare alla minaccia di un nuovo razzismo: l’etinicismo.

Parlare di nazifascismo richiederebbe, in primo luogo, una precisa contestualizzazione storico-politica. Non dimentichiamo che, benché non costituisca un fenomeno esclusivamente europeo, il nazifascismo ha avuto origine in Europa come conseguenza della grave crisi politica ed economica seguita alla prima guerra mondiale. In questo sconvolgimento sociale, dove l'inefficienza economica favorì lo sviluppo di un sistema politico ostile alle istituzioni liberali e parlamentari, il rafforzamento dei partiti di massa nell’Italia di Mussolini e nella Germania di Hitler giunse al proprio apice. Tuttavia, fu solo con la nascita dell'asse RomaBerlino che il nazi-fascismo cominciò ad essere noto a tutti gli effetti come “movimento”. Con l’intenzione di propagare nel mondo democratico la propria dottrina, il movimento nazifascista articolò una forte propaganda che rivelò presto l’aspetto peggiore della sua aberrante ideologia: il razzismo. Vero e proprio fondamento dottrinale del movimento, il razzismo funzionò come concetto cardine dell’ideologia nazifascista basandosi sull’idea di una presunta superiorità della razza ariana. Giá da molto tempo le scienze bioantropologiche sono giunte alla conclusione che non esistono razze pure, e che la razza è un concetto schematico. La stessa Europa è stata ricettora durante secoli di una gigantesca confluenzia di razze, culture e civiltà che priva di qualsiasi scientificità le teorie razziali del nazifascismo. Affrontare la questione delle razze nella storia dell’uomo implica, piuttosto, considerare la duplicità che è propria e inerente ad ogni individuo. L’essere umano possiede una natura animale e una natura sociale, frutto di migliaia di anni di evoluzione storica: una duplicità che esige essere studiata tanto antropologicamente quanto socialmente. Non è la razza, ma la condizione sociale ad essere decisiva nell’individuo, ragion per cui la storia della società si differenzia radicalmente dallo sviluppo del mondo naturale in cui si situa la storia dell’uomo considerato antropologicamente. Al contrario, la teoria razziale riduce l’uomo alla sua condizione meramente animale, dimenticando la sua condizione di essere eminentemente sociale, che vive ed agisce in un mondo creato da lui stesso e che si regge sulle proprie leggi. E non è un caso che qualunque teoria razzista si opponga a tali leggi o prescinda da (Fonte foto: http://www.adpunch.org) esse, come lo fece il nazifascismo in forma radicale. Tuttavia, nel linguaggio contemporaneo il termine nazifascismo ha finito per acquistare un valore pole- (*) Dottore in Antropologia, Università di Barcellomico e spregiativo, spingendosi al di là del suo signifi- na)

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