«O nosso destino é de nos engolirmos uns aos outros». Tradurre José Eduardo Agualusa

May 27, 2017 | Autor: Giorgio de Marchis | Categoria: Translation Studies, Lusophone Literature, Literatura Angolana, Jose Eduardo Agualusa
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Oficina Lusitana riflessioni sul mondo di lingua portoghese

Direttore Valeria Tocco Università di Pisa

Comitato scientifico Isabel Almeida Università di Lisbona

Roberta Cella Università di Pisa

Davide Conrieri Scuola Normale Superiore

Monica Lupetti Università di Pisa

João Paulo Silvestre Centro di Linguistica Università di Lisbona

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Traduzione e autotraduzione: un percorso attraverso i generi letterari a cura di

Monica Lupetti e Valeria Tocco

Edizioni ETS

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www.edizioniets.com

Contributi sottoposti a referaggio anonimo È di responsabilità esclusiva di ciascun autore (oltre, ovviamente, al contenuto del contributo) la scelta di seguire o meno l’Accordo Ortografico

© Copyright 2013 Edizioni ETS Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa [email protected] www.edizioniets.com ISBN 978-884673790-8

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INDICE

Introduzione Monica Lupetti, Valeria Tocco

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TRADURRE E TRADURSI

Stefania Stefanelli (Scuola Normale Superiore - Pisa) Traduzione e variazione linguistica

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Giampaolo Vincenzi (Università degli Studi di Macerata; Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”)

Ricevere l’alterità e recepire l’alternativa: la traduzione poetica in teoria

29

Joaquim Feio (Universidade de Coimbra) La mano del poeta: dall’idioletto al dialetto

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TRADURRE POESIA

Matteo Lefèvre (Università di Roma “Tor Vergata”) Traduzione poetica e poetica della traduzione. Giovan Battista Conti e la riscrittura neoclassica di Garcilaso

55

Daniele Corsi (Università degli Studi di Siena) L’Ultraismo spagnolo in traduzione: i lessici neologici e la pagina-schermo nella poesia di Guillermo de Torre

79

Arlindo J. Nicau Castanho (Università di Bari) Pessoa traduttore: il caso di Hymn to Pan

103

Benedetta Campennì, Francesca Giannelli, Lisa Franchini, Rebecca Martignoni (Università di Pisa) Tradurre Knopfli: dalla teoria alla pratica

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Traduzione e autotraduzione: un percorso attraverso i generi letterari

TRADURRE PROSA LETTERARIA

Giovanna Fiordaliso (Università degli Studi della Tuscia) L’ispanista Alain-René Lesage, traduttore del Guzmán de Alfarache di Mateo Alemán

125

Federica Cappelli (Università di Pisa) Le prime traduzioni italiane dei Sueños di Quevedo (1644-1728). Studio bibliografico 153 Alessandra Ghezzani (Università di Pisa) La libertà modernista: una riflessione a margine di Los raros di Rubén Darío

171

Valeria Tocco (Università di Pisa) Le inquietudini dell’Inquietudine. Tradurre il Livro do Desassossego

183

Giorgio de Marchis (Università degli Studi Roma Tre) «O nosso destino é o de nos engolirmos uns aos outros». Tradurre José Eduardo Agualusa

199

TRADURRE L’ECONOMIA

Marco E.L. Guidi (Università di Pisa) Attori traduttori e reti: la circolazione dell’economia politica in Europa e nel mondo attraverso le traduzioni (XIX-XX secolo)

215

Elena Carpi (Università di Pisa) Léxico e ideología en la traducción italiana de la Theórica y Práctica de Comercio y de Marina de Gerónimo de Uztáriz

237

TRADURRE E IMPARARE

Sónia Duarte (Universidade do Porto) Ideias sobre tradução na Gramática completa grecolatina y castellana (Madrid 1798[1791]) de Juan Antonio González de Valdés

253

Luisa Selvaggini (Università di Pisa) Analisi comparata delle traduzioni a fini didattici (spagnolo-italiano)

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Indice

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Monica Lupetti (Università di Pisa) Tradurre per imparare: il ruolo della traduzione nella storia della didattica dell’italiano per lusofoni (sec. XIX)

279

Gian Luigi De Rosa (Università del Salento) Traduzione audiovisiva e adeguatezza sociolinguistica

319

ADDENDA

Alessandra Ghezzani (Università di Pisa) Borges y la traducción: estudios críticos

337

Vincenzo Arsillo (Università Ca’ Foscari - Venezia) Grande sertão: veredas. Tradurre il tempo

345

Elisa Lupetti (Università di Brescia e Université Lumière Lyon 2) Albert Bensoussan à l’ombre du géant

357

Tommaso Testaverde Aspetti teorici e prassi traduttoria in Oreste Macrì

363

Alessandro Ghignoli (Universidad de Málaga) La transduzione verbovisiva nella poesia di Antonio Porta

375

Marco E.L. Guidi (Università di Pisa) Traduzione ed emulazione: a proposito di un libro di Sophus Reinert

385

POSTFAZIONE

Carme Riera

Unas notas apresuradas sobre la auto-traducción

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«O NOSSO DESTINO É O DE NOS ENGOLIRMOS UNS AOS OUTROS» TRADURRE JOSÉ EDUARDO AGUALUSA

Giorgio de Marchis Università degli Studi Roma Tre

Sebbene José Eduardo Agualusa sia, oggi, uno degli scrittori di lingua portoghese più noti a livello internazionale e senza dubbio il romanziere angolano più tradotto, non si può fare a meno di cogliere una certa diffidenza nei suoi confronti (se non una vera e propria avversione) da parte di alcuni critici angolani che, più di una volta, hanno messo in discussione l’opportunità di inserire l’autore di Estação das chuvas all’interno del canone nazionale, considerandolo non pienamente riconducibile ai valori di una supposta angolanidade. Così, se António Tomás (2005), parlando degli scrittori angolani orbitanti intorno a Lisbona, lamenta che la letteratura angolana abbia dovuto interrompere il proprio “dialogo interno” in favore di un’apertura verso i lettori portoghesi, considerati ora i destinatari privilegiati di opere altrimenti condannate a rimanere ai margini del mercato editoriale; Luís Kandjimbo, nel 2001, accusava esplicitamente José Eduardo Agualusa di veicolare, attraverso le proprie opere, fantasmi coloniali, attribuendo alla teoria della creolità – che Agualusa, come è noto, recupera dal pensiero di Mário António – la responsabilità di un’interpretazione della letteratura nazionale riduzionista, funzionale agli interessi del Portogallo: Por outras palavras, sobrevivendo o colonialismo através das suas sequelas, aos escritores, investigadores, professores que habitam o espaço da CPLP, impõe-se um grande esforço de exorcização dos fantasmas que ainda resistem à morte. Um destes fantasmas é a chamada teoria da crioulidade esboçada em fins da década de 60 pelo ensaísta Mário António. Mas encontra hoje em Portugal muitos seguidores, entre os quais o escritor José Eduardo Agualusa e o professor universitário José Carlos Venâncio todos nascidos em Angola. Aliás, o modo como se difunde tal teoria da crioulidade não deixa de ser manifestação de uma forma de violência, na medida ela (sic) tem o seu fundamento no mito do mestiço teoricamente defendido por Gilberto Freyre, o pai do lusotropicalismo. (KANDJIMBO 2001)

Un’accusa ricorrente, visto che Arthur Queiroz, nel 2008, sul «Jornal de Angola» la ribadisce, arrivando a definire Agualusa un angolano tardio e un cipaio nostalgico del colonialismo lusitano: Quando a arrogância se associa à ignorância e ao despeito, só pode dar

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Agualusa. Mas por muito que lhe custe, o império colonial caiu mesmo e já não volta a ressurgir dos escombros (QUEIROZ 2008).

Dovendo riflettere su traduzione e autotraduzione, soffermarsi sul grado di angolanidade di uno scrittore angolano può sembrare fuorviante. Tuttavia, come ricorda Ana Mafalda Leite, quando si parla di «textualidade africana em língua portuguesa», il primo aspetto da prendere in considerazione è sempre quello linguistico perché, in queste letterature, la lingua portoghese (e, soprattutto, il modo in cui lo scrittore africano se ne impossessa, facendola propria) è il campo di negoziazione privilegiato delle pratiche identitarie (LEITE 2003: p. 19). Ora, il portoghese di José Eduardo Agualusa non presenta in maniera significativa nessuna delle principali caratteristiche che generalmente si riscontrano negli scrittori considerati più rappresentativi delle letterature africane d’espressione portoghese. Non è ovviamente mia intenzione sostenere l’esistenza di un “portoghese letterario africano”, all’interno del quale diluire, in un’unica dimensione afro-lusofona, le specificità di ogni singolo contesto quando non di ogni singolo autore. In questo caso, mi limito a fare riferimento a quell’esperienza di un português-outro che la lettura di opere di scrittori angolani o mozambicani non di rado trasmette al lettore portoghese. Ebbene, non è un “portoghese-altro” quella che si sperimenta leggendo Agualusa. La sua lingua non presenta particolari segni di ibridismo e appare molto distante, ad esempio, dall’eversiva operazione compiuta da Luandino Vieira che, come è noto, calibanizza il português padrão, innestando contestualmente nella tradizione orale angolana forme sperimentali tratte da modelli estranei alla cultura locale. Volendomi limitare ai quattro romanzi di José Eduardo Agualusa da me tradotti1, posso dire di non aver rintracciato prestiti attinti dalle altre lingue nazionali. Per quanto riguarda, poi, gli angolanismi ho identificato appena una quarantina di termini – per lo più parole kimbundo lessicalizzate in portoghese, la maggior parte delle quali, però, note e ormai familiari ai lettori di lingua portoghese non angolani: aka, baicar, bué, bumbo, cacimbado, cacimbo, calulu, caxexe, candongueiro, catorzinha, costagueiro, fraccionista, matabicho, camanguista, caluanda, camba, chicoronho, cota, funje, jindungo, langa, liamba, maca, machimbombo, malembelembe, mais-velho, maninho, matumbo, matumbola, mbaca, muadiê, 1 O ano em que Zumbi tomou o Rio (Quando Zumbi prese Rio, La Nuova Frontiera, Roma, 2002), O vendedor de passados (Il venditore di passati, La Nuova Frontiera, Roma, 2008), As mulheres do meu pai (Le donne di mio padre, La Nuova Frontiera, Roma, 2010) e Barroco tropical (Barocco tropicale, La Nuova Frontiera, Roma, 2012).

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muamba, mujimbo, musseque, muxiluanda, muxima, muxoxar, pula, quissonde, soba, tuga, ya.

Una manciata di angolanismi, quindi, sparsi lungo quattro romanzi che proprio non reggono il confronto con i 180 lemmi che costituiscono gli apontamentos para um glossário para uso exclusivo do autor, con cui si conclude il breve romanzo di Luandino Vieira João Vêncio: os seus amores e senza il quale il libro risulterebbe quasi incomprensibile per un lettore del Portogallo. Non si rintraccia nell’opera di Agualusa neanche una spiccata propensione alla creazione di formazioni neologiche. Volendo prendere in considerazione anche Milagrário pessoal – un romanzo ancora inedito in Italia –, si rintracciano appena un paio di neologismi (encornar e palarvas), il primo dei quali creato solo per prendere le distanze da uno stile che, almeno per quanto riguarda la letteratura lusofona contemporanea, è saldamente associato all’opera del mozambicano Mia Couto: Se me fosse possível encarnar num animal, quanto mais não fosse para repousar um pouco desta nossa natureza humana, preferia ser rinoceronte. (O escritor moçambicano Mia Couto diria, neste caso, encornar num animal; poderia escrever também empeixar, se se tratasse, por exemplo, de encarnar num pargo. Quanto a mim, cultivo certo temor reverencial em relação aos trocadilhos) (AGUALUSA 2009: p. 116). Não, não! Não são tal coisa! Essas palavras, ou palarvas, eu diria palarvas, porque a mim é o que se me afiguram, larvas nojentas se alimentando da carne do nosso idioma (AGUALUSA 2010: p. 85).

Questo non significa che nei romanzi di Agualusa non ci si imbatta in passaggi impervi nell’ottica di una resa traduttiva. A mo’ d’esempio, trascrivo tre brani tratti da altrettanti romanzi: Sou-Todo-Ouvidos. Eras assim que me chamavam. Meu nome de guerra. Eu gostava. Gostava de ouvir. E, então, zás!, caiu-nos em cima o murro de Berlim. Pópilas, paizinho! Num dia agente, no outro ex-gente (AGUALUSA 2004: p. 184). Era um tipo muito tranquilo, dicreto, mas não podia ver uma gaja bonita. Mal a gente se distraía ele comia-nos a mulher, as filhas, até a mãe, dependendo da idade. Há malta aqui que não pode nem ouvir a música dele. Conheço um que é alérgico. Basta eu colocar, por exemplo, Luanda ao crepúsculo e ele começa a tossir, e a engasgar-se, e a respirar mal. A menina sabe qual era a alcunha do Faustino, entre nós em Quelimane? – Piscou-me o olho enquanto me servia mais uma cerveja – O Paulatino. Quero dizer, o Pau Latino… (AGUALUSA 2007: p. 345).

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Agora sou capaz de discorrer, repara que até digo discorrer, de um jeito tão afinado que mesmo em Lisboa, nas lojas de luxo, os empregados me julgam alfacinha legítima, doutora. – A senhora doutora é da Linha? – Não, querido, não aprecio. Nunca fui de andar na linha. Quem anda na linha arrisca-se a ser atropelado por um comboio (AGUALUSA 2009: p. 222).

Nel primo caso, tralasciando il gioco di parole tra ‘agente’ ed ‘exgente’, abbiamo una paronomasia per richiamo implicito che, sfruttando la somiglianza fonetica della coppia minima, gioca sui diversi significati di muro (‘muro’) e murro (‘pugno’); il secondo esempio è costruito su un gioco di parole realizzato tramite la scomposizione dell’aggettivo paulatino (‘lento’) in pau latino (‘bastone latino’); infine, il terzo esempio è una battuta che, per essere compresa, richiede al lettore competenze socio-culturali della realtà di Lisboa; Linha, infatti, oltre a significare ferrovia, nella capitale portoghese identifica i quartieri più eleganti che, appunto, si trovano lungo la linea ferroviaria che collega Lisbona a Cascais. Questi procedimenti, però, per quanto ricorrenti nell’opera di Agualusa2, non sono particolarmente significativi e, soprattutto, non credo aiutino a cogliere l’operazione che lo scrittore angolano realizza in romanzi che, in un’altra occasione, ho definito anatra-lepre (DE MARCHIS 2008). L’autore di Barroco tropical ha più volte rivendicato il diritto dell’artista africano di valicare le anguste frontiere culturali imposte dall’Occidente; nel suo caso, ha rivendicato la possibilità di poter uscire dall’Angola:

2 Un’altra paronomasia implicita – è «O luto continua» (AGUALUSA 2012: p. 34) – scritta che campeggia su un muro davanti al quale è stata appena eseguita un’esecuzione. Qui, inoltre, si richiedono al lettore un minimo di competenze culturali, poiché nella frase riecheggia l’incitamento con cui si conclude la dichiarazione d’indipendenza dell’Angola: «A luta continua! A vitória é certa!». Altre scomposizioni si ritracciano in Barroco tropical – «A melodia? Pois o mel que há na palavra, com a sua docura e cor, mais a mansa lucidez do dia» (AGUALUSA 2009: p. 99) – e in Milagrário pessoal – «Grandiloquente, eu? O que eu sou é um grande e louco ente» (AGUALUSA 2010: p. 165). Infine, un altro esempio di gioco di parole costruito su riferimenti culturali si trova in As mulheres do meu pai: «– Queres conversar sobre quê? – Sobre nós! – Sobre nós?! Não sou marinheira, e nem sequer fui escuteira. Não entendo nada de nós… – Não? E então sobre laços? Que laços nos ligam a nós? – Sobre laços e nós é melhor perguntares ao Alçada Baptista. Conta-se que certa ocasião, numa feira do livro, um tipo foi ter com ele, entusiasmado, “Há anos que procurava este livro!”, disse, estendendo-lhe Os nós e os laços. Era um velho marinheiro…» (AGUALUSA 2007: pp. 330-331).

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Una cosa che mi disturba molto qui in Europa è che si impongono agli artisti africani, scrittori e musicisti, delle frontiere: “voi dovete scrivere o comporre solo sulla vostra cultura”. Ossia, si apprezza molto che uno scrittore europeo faccia un viaggio in Africa e scriva un libro sull’Africa, in questo atteggiamento si riconosce un esempio di multiculturalismo, di apertura al diverso. Ma se un musicista africano viene in Europa e decide di integrare strumenti europei (violini o pianoforti) nella sua composizione si parla subito di imbastardimento. È lo stesso con gli scrittori: immaginiamo un grande scrittore africano che decide di scrivere un libro su Churchill o un romanzo dove si proponga di attualizzare il Re Lear di Shakespeare. Lo guarderanno con sospetto e io credo che in questo atteggiamento ci sia una forma di razzismo, non avvertito come tale ma pur sempre razzismo. È tempo di capire che gli africani hanno diritto al mondo quanto tutte le altre persone, quanto gli occidentali. Perché il negro africano deve restare nel suo orticello e l’occidentale può prendersi il mondo? Si deve rompere questo pregiudizio, è ora che gli scrittori africani comincino ad appropriarsi di tutto. Il mondo è anche degli scrittori africani che hanno il diritto di riconoscere le loro molteplici eredità culturali. Abbiamo il diritto di mangiare sushi e di apprezzare Vivaldi (AGUALUSA 2003: p. 35).

Ora, se si osserva la produzione romanzesca di questo autore – undici romanzi pubblicati tra il 1989 e il 2012 – si coglie chiaramente un movimento centrifugo, che porta al progressivo abbandono di temi legati alla sola storia angolana e a un’apertura allo spazio culturale lusofono, che evolve in una vera e propria ficcionalização da lusofonia, ossia in una traduzione in forme romanzesche del diasistema della lingua portoghese: Angola

Geografia lusofona

Ficcionalização della lusofonia

A conjura (1989) Estação das chuvas (1996) Nação crioula (1997) Um estranho em Goa (2000) O ano em que Zumbi tomou o Rio (2002) O vendedor de passados (2004) As mulheres do meu pai (2007) Barroco tropical (2009) Milagrário pessoal (2010) Teoria geral do esquecimento (2012) A vida no céu (2013)

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Ovviamente, questa griglia è accettabile solo a patto di non considerare le colonne come dei compartimenti stagni: O ano em que Zumbi tomou o Rio e As mulheres do meu pai, ad esempio, sono romanzi in cui Agualusa esplora la geografia lusofona e in cui si affrontano anche temi legati alla recente storia angolana. Tuttavia, in queste due opere, l’elemento dominante è la lingua portoghese. Con Teoria geral do esquecimento, invece, si assiste a un deciso ritorno in Angola – forse inevitabile, alla luce del fatto che Milagrário pessoal è certamente l’opera che più di ogni altra si propone come romanzo della lingua portoghese, esaurendo così una fase iniziata nel 2002 con O ano em que Zumbi tomou o Rio. In sostanza, Agualusa, in particolar modo con le opere pubblicate tra il 2002 e il 2010, sembra tentare un’ambiziosa mappatura integrale della lusofonia e si direbbe che questo scrittore angolano si sia proposto di tracciare la cartografia romanzata di uno spazio culturale costruito sulla comunanza linguistica. Un progetto che, per essere compreso, richiede, però, un’analisi complessiva dei romanzi pubblicati in questo periodo. Azzardare delle conclusioni a partire da un solo romanzo – come fa, ad esempio, Alcir Pécora recensendo Barroco tropical 3 – rischia, infatti, di fraintendere l’operazione tentata da questo autore. In questi romanzi luso-afro-brasiliani (popolati di personaggi che, vagando per la geografia della lingua portoghese, incidono nella propria biografia la dimensione lusofona), la lingua – tutti i diversi e legittimi modi di parlare il portoghese – diventa così un elemento determinante per la definizione identitaria dei protagonisti. Si vedano, ad esempio, questi tre dialoghi tratti da O ano em que Zumbi tomou o Rio, As mulheres do meu pai e Barroco tropical: «Como vai, angolano? Fico feliz por rever você. Vem connosco? A Doutora Bárbara já chegou? O Jacaré teimou e teimou em fazer a entrevista no morro. Nem sei como vai ser, tenho ali uma combi com o material todo, dois câmaras e um técnico de som. Entro em directo daqui a uma hora e cinco minutos. Acha que nos vão colocar vendas nos olhos, como da última vez?» Euclides cumprimenta-o. Confunde-o a eloquência, o entusiasmo do outro. Elogia-lhe a elegância: «Belo terno!» 3 «Para amarrar o conjunto, Agualusa lança mão de comentários metalinguísticos irônicos ou didáticos do escritor, que circula com desenvoltura por Luanda, Lisboa, Amsterdã e Rio, citando autores, cantores e até celebridades de TV, como Marília Gabriela. Um dos comentários diz: “Sinto muito, mas não há realmente forma de explicar a palavra saudade a quem não vem de nossa língua”. Não poderia haver melhor clichê para referir o tipo de mitologia reciclada pelo livro. Ao fim, faz pensar que a ideia de “angolano” diz menos respeito a uma história vivida como dor e contradição num país conflagrado do que a uma senha exótica de acesso a postos globalizados, numa espécie de arrivismo pós-colonial» (PÉCORA 2009: p. 7).

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Pedro Bueno sorri. Imita o sotaque português: «Terno, pá? Pensei que não usasses brasileirismos. Esperava que um gajo como tu dissesse fato… camisa de noite em vez de camisola, bicha em vez de fila, paneleiro em vez de bicha, autocarro em vez de ónibus. Estás finalmente a render-te ao Brasil?…» (AGUALUSA 2002: pp. 155-156). Um dos membros do grupo é um rapaz loiro, muito magro e desajeitado, que dá pelo nome de MC Bué. Um dia foi lá a casa. Ao fim de alguns minutos de tranquila cavaqueira, cerveja e tremoços, o meu pai perguntou-lhe se tinha nascido em Luanda. – Não, cota, nasci na Amadora. – Não nasceste em Angola?!… – Eu não, cota! Sou puro tuga mesmo… – Mas os teus pais são angolanos, é claro… – Não, não são! São da Amadora, os dois… – Essa agora! Tu falas como se fosses angolano. Tens sotaque luandense e tudo… – Ah, cota, no meu bairro só tinha manos. Na escola também. Era eu e mais cinco pulas. Melhor, quatro pulas e um cigano. A gente escolhia entre ser caboverdiano ou ser angolano. Eu escolhi ser angolano (AGUALUSA 2007: p. 71). Daquela vez tive sorte. Índio já lá estava. Movia-se de um lado para o outro, tossindo muito como um querubim asmático, a conferir cabos, a instruir técnicos, enquanto o tempo se espreguiçava, demorado, por sob as enormes estantes carregadas de velhos livros. Ao ver-me gritou o meu nome, correu a abraçar-me: – Maravilha, chegou o gajo! (Não uso a palavra gajo, não gosto. Sei que tem origem no linguajar dos ciganos ibéricos. Um gachó era o nome que eles davam a quem não fosse cigano. Eu ouço essa palavra e vejo logo tabernas sórdidas, homens gordos, suados, palitando os dentes, megeras magérrimas vendendo roupa usada em feiras do interior de Portugal. Há palavras que trazem com elas um universo inteiro. Aquele, assegurovos, não é o meu universo.) Índio insiste em tratar-me por gajo, ao mesmo tempo que se esforça por reproduzir o que supõe ser o meu sotaque português. Isto aborrece-me. Disselhe, como lhe digo sempre: – Não tenho sotaque português… (AGUALUSA 2009: pp. 42-43).

Nel primo caso, una conversazione a Rio de Janeiro tra un carioca e un kaluanda è tutta giocata sull’alternanza tra la varietà nazionale brasiliana – inizialmente usata da Pedro Bueno – e la varietà nazionale portoghese, imitata dal giornalista non solo attraverso la pronuncia (imita o sotaque português), ma anche pragmaticamene passando subito alla seconda persona singolare, rafforzata dalla presenza del sostantivo gajo e dal portoghesissimo segnale discorsivo pá, aferesi del termine rapaz, in

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uso nel portoghese europeo con diversi effetti espressivi e molte funzioni, tra le quali quella di esprimere stupore o riempire una lacuna argomentativa. Infine, per quanto riguarda l’ambito lessicale, Agualusa, in questo brano, sfrutta la rideterminazione semantica subita in Brasile da alcuni termini portoghesi; risemantizzazione che Castro considera all’origine della genesi di inquietanti falsi amici (CASTRO 2006: p. 216). Nel secondo dialogo, siamo, invece, nei dintorni della capitale del Portogallo e un giovane portoghese della periferia nord di Lisbona si rivolge, con uno spiccato accento di Luanda e usando diversi angolanismi (cota, tuga, pula) a uno stupefatto angolano. Infine, nel terzo esempio, un brasiliano, parlando con un angolano di cui fraintende la pronuncia, imita erroneamente l’accento portoghese, ricorrendo ancora una volta al termine gajo. Un’esplorazione dei meandri della lusofonia che non si arresta neanche di fronte alle divisioni dialettali brasiliane o portoghesi, spingendosi fino ai più profondi abissi del parlato sub-standard di Rio de Janeiro e Luanda: «Estas rindo do quê?! Vou aí e quebro a tua cara!…» Euclides repara que ele trata o soldado por tu, e além disso respeitando a gramática, como apenas se escuta em algumas cidades gaúchas (AGUALUSA 2002: p. 250). Pôs-se a palitar os dentes, os olhos perdidos no passado. Finalmente prosseguiu: – Xerto. Era como se o mar estibexe xeio de bojes. O que querem? Mesmo a falar Halípio Onrado erra a ortografia (AGUALUSA 2009: p. 75). «Tu não é daqui, certo? Tu não é brasileiro. Pela figura deve ser africano» (AGUALUSA 2002: p. 85). O velho Mateus sorri. Um sorriso manso. Quente como um abraço: – Boa terra. Mossâmedes. Fui nascido aqui (AGUALUSA 2007: p. 125).

Di fronte a questi esempi, la prima domanda che è inevitabile porsi è come rendere tutto ciò in un’efficace traduzione italiana? Come tradurre il senso dell’alternanza tra il você di un narcotrafficante carioca e il tu di un militare gaúcho? Come rielaborare in maniera convincente il dialetto beirão dell’analfabeta Halípio Onrado, nato a Viseu ma da anni trapiantato in Angola? Oppure, in termini sociolinguistici, come trasmettere al lettore italiano tutto ciò che la scomparsa di un morfema flessionale nel parlato di un brasiliano dice a un lettore di lingua portoghese? E infine, coniugando il verbo nascere in un’assurda forma

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transitiva, si potrà mai far cogliere in italiano l’interferenza semantica propria del portoghese parlato a Luanda da un madrelingua kimbundo, che Amélia Mingas, in passato, ha già chiarito ricorrendo a un esempio analogo?: a) Eu ainda não nasci a minha mãe é que me nasceu A análise da frase permite-nos constatar que, embora seja formalmente portuguesa, existe nela uma referência semântica à língua materna kimbundu. Com efeito, ela está, sem qualquer dúvida, presente neste exemplo, na medida em que em kimbundo não existe o verbo “nascer”, mas sim o verbo “dar à luz” e/ou “parir”, o que pressupõe uma acção passiva do filho no acto da nascença; em português diz-se /nasci em Luanda/, mas em kimbundo, diz-se /mam’ami wangivalela ku Lwanda/, isto é, “a minha mãe deu-me à luz (pariu-me) em Lwanda”. Deste mondo, como ainda não tinha dado à luz, ela não poderia ter nascido (MINGAS 2000: p. 82).

Questi esempi sono, a mio avviso, molto più significativi degli angolanismi e dei neologismi di cui si è parlato in precedenza perché, nei romanzi di José Eduardo Agualusa, è la presenza simultanea delle varietà nazionali, generalmente designate Portoghese Europeo (PE) e Portoghese Brasiliano (PB), così come delle varietà nazionali in via di formazione (portoghese angolano e portoghese mozambicano), ma anche dei creoli di base portoghese e delle varietà dialettali e sub-standard proprie di ogni contesto nazionale, a risultare un elemento indispensabile, tanto da un punto di vista estetico quanto da un punto di vista ideologico. Perché attraverso le molteplici incomprensioni, i continui malintesi e gli innumerevoli equivoci che la lingua comune provoca ai suoi personaggi4, Agualusa afferma una concezione frattale dell’arcipelago linguistico-culturale della lusofonia, invalidando l’idea di una norma unica, possibile per tutte le “isole” linguistiche (CASTRO 2005). Un’interpretazione – molto vicina alla lusofonia come eteronimia e come spazio della differenza, plurale e pluricentrico, teorizzata in passato da Eduardo Lourenço (1999) – nella quale si ribadisce l’unità di una costruzione identitaria – variegata e geograficamente dispersa – che trova nella lingua comune il suo elemento di stabilità. La riformulazione estetica di questa premessa ideologica fa sì che nei romanzi di Agualusa tutti i diversi e legittimi modi di parlare il portoghese costituiscano unità autonome, rette da proprie leggi, nell’ambito, però, di una struttura superiore, all’interno della quale, ogni unità 4 «Vou sair. Se esperares por mim tomamos juntos o mata-bicho, quero dizer o café da manhã» (AGUALUSA, 2002: p. 84).

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dipende dall’organizzazione dell’insieme. Insomma, dal punto di vista della ricezione, la lingua portoghese, in romanzi come O ano em que Zumbi tomou o Rio, As mulheres do meu pai, Barroco tropical e Milagrário pessoal, conferma una delle premesse della teoria della Gestalt, secondo la quale esistono insiemi (in questo caso, il diasistema della lingua portoghese) il cui comportamento non è determinato dalle parti che lo costituiscono; al contrario, è la natura intrinseca dell’insieme a determinare i processi parziali. L’esempio più celebre è l’anatra-lepre di Wittgenstein, dove non è possibile vedere contemporaneamente i due animali (nel caso di Agualusa, cogliere contemporaneamente il PE e il PB del dialogo di O ano em que Zumbi tomou o Rio), che percepiamo distinti e alternati, pur sapendo che condividono tutti gli elementi che li costituiscono, sebbene con funzioni diverse. Insomma, leggendo Agualusa, il lettore portoghese, brasiliano o angolano (e, purtroppo, temo non il lettore italiano…) sperimenta un’immediata deterritorializzazione della propria lingua (l’esperienza del português-outro), ma, al contempo, la compresenza di standard diversi e varietà sub-standard, racchiusi all’interno di una cornice indipendente dal loro comportamento, a quello stesso lettore trasmette soprattutto anche la nitida sensazione di una fondamentale unità. In conclusione, i lettori e i traduttori di Agualusa sono costretti a confrontarsi con una lusopolifonia sfuggente a ogni riduzione essenzialista; uno spazio geograficamente disperso ma fondato sulla condivisione di un’eredità linguistica e letteraria comune (e si potrebbero ricordare i numerosi poeti e romanzieri angolani, portoghesi, mozambicani e brasiliani che Agualusa cita più o meno esplicitamente nei propri romanzi)5. Uno spazio che, in As mulheres do meu pai, si traduce nella «esplêndida confusão de raças, línguas, sotaques, apitos, buzinas e atabaques» (AGUALUSA 2007: p. 66) che ogni giorno si sovrappongono per le vie di Luanda e che 5 Jorge Amado, Eugénio de Andrade, Mário Pinto de Andrade, Sophia de Mello Breyner Andresen, Machado de Assis, Alçada Baptista, Manoel de Barros, Olavo Bilac, Aldir Blanc, Luís de Camões, Ruy Duarte de Carvalho, Camilo Castelo Branco, Mia Couto, Tomás António Gonzaga, Ferreira Gullar, Nuno Júdice, Alberto de Lacerda, Lya Luft, Eça de Queirós, Rui Knopfly, Luís Carlos Patraquim, Camilo Pessanha, Fernando Pessoa, Nelson Rodrigues, João Guimarães Rosa, Mário de Sá-Carneiro, Glória de Sant’Ana, Jorge de Sena, Luandino Vieira.

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in Barroco tropical viene ampiamente discusso dai protagonisti nel XIX capitolo, intitolato O vendedor de espelhos, seguido de um debate sobre línguas e identidades destinado a confundir os meus detractores neonativistas (AGUALUSA 2009: pp. 267-282), finendo con l’occupare l’intero romanzo seguente, Milagrário pessoal, vera e propria ficcionalização da língua portuguesa. In tal senso, due citazioni tratte da queste ultime due opere sono, a mio avviso, particolarmente significative: (…) não lhe chame um troféu de guerra. A língua portuguesa é uma construção colectiva de todos os que a falam e conta desde o início com a contribuição africana. Muito antes dos portugueses colonizarem África já os africanos haviam atravessado o Mediterrâneo para se fixarem na península ibérica. Portugal é o resultado dessa colonização africana, árabe no caso, tanto quanto da colonização romana. Depoi, à medida que os portugueses se espalhavam pelo mundo, a nossa língua foi assimilando palavras do quimbundo, do tupi, do malaio e do japonês, entre tantas outras. Experimente retirar todas as palavras árabes e bantus do português e depois veja o que acontece. Olhe, por exemplo, não conseguiria sequer pedir açúcar para o seu café. Ambas as palavras, café e açúcar, chegaram ao português vindas do árabe. Tente a seguir pedir tabaco para o seu cachimbo. Também não conseguirá. Cachimbo vem do quimbudo kixima, que signifca poço, e tabaco, mais uma vez, é um termo árabe (AGUALUSA 2009: pp. 280-281). Escreve Moisés da Conceição que a língua portuguesa, sendo já africana na sua matriz, pelo demorado convívio com o árabe, que muito a contaminou, necessita de enegrecer ainda mais, afeiçoando-se à geografia dos lugares onde estão os seus abundosos falantes. O nosso destino é o de nos engolirmos uns aos outros, disse-me Moisés da Conceição quando há alguns anos o encontrei, nesta nossa cidade de Luanda, onde o trouxera o negócio da cera. Se os portugueses comeram dos angolenses, e estão comendo, hão-de os angolenses comer também seu pedaço dos portugueses, e, desta forma, todos bem nutridos, melhor enfrentaremos o porvir e a cobiça dos povos alheios (AGUALUSA 2010: p. 32).

Il nostro destino è ingoiarci a vicenda. In questa reciproca deglutizione della lingua dell’Altro si intravede il problema posto ai suoi traduttori da questo scrittore deliberatamente luso-afro-brasiliano. Non si tratta di partecipare alla brincriação traducendo un português-outro. Tradurre Agualusa impone l’inevitabile confronto con una “poetica della relazione”, con la creolizzazione che Luís Kandjimbo tanto disprezza (KANDJIMBO 2004) e che, tuttavia, oggi appare indispensabile per narrare il caos-mondo di cui parla Édouard Glissant (1998). Perché? Perché il caos-mondo in cui viviamo si può narrare solo attraverso opere imprevedibili, scritte in una lingua che non teme di assorbire i più disparati elementi eterogenei. Una lingua che, nel caso di Agualusa, potremmo anche chiamare português-todo.

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Bibliografia AGUALUSA 2002 = José Eduardo Agualusa, O ano em que Zumbi tomou o Rio, Dom Quixote, Lisboa, 2002. AGUALUSA 2003 = José Eduardo Agualusa, Area lusitana, «Lo Straniero», VII, 37, luglio 2003, pp. 29-36. AGUALUSA 2004 = José Eduardo Agualusa, O vendedor de passados, Dom Quixote, Lisboa, 2004. AGUALUSA 2007 = José Eduardo Agualusa, As mulheres do meu pai, Língua Geral, Rio de Janeiro, 2007. AGUALUSA 2009 = José Eduardo Agualusa, Barroco tropical, Dom Quixote, Lisboa, 2009. AGUALUSA 2010 = José Eduardo Agualusa, Milagrário pessoal, Dom Quixote, Lisboa, 2010. AGUALUSA 2012 = José Eduardo Agualusa, Teoria geral do esquecimento, Dom Quixote, Lisboa, 2012. CASTRO 2005 = Ernesto Manuel de Melo e Castro, Da língua portuguesa (notas para uma interpretação), «Lusografias», I, 1, 2005, pp. 8-12. CASTRO 2006 = Ivo Castro, Storia della lingua portoghese, Bulzoni, Roma, 2006. DE

MARCHIS 2008 = Giorgio de Marchis, The duck side of lusophony: o romance coelho-pato ou a ficcionalização da lusofonia, in Diálogos com a Lusofonia, Instituto de Estudos Ibéricos e Ibero-Americanos da Universidade de Varsóvia, Varsavia, 2008, pp. 244-254 http://iberystyka-uw.home.pl/content/ view/392/113/lang.pt/ [ultima consultazione in data 29/7/2013].

GLISSANT 1998 = Édouard Glissant, Poetica del diverso, Roma, Meltemi, 1998. KANDJIMBO 2001 = Luís Kandjimbo, A Literatura Angola, a Formação de um Cânone Literário Mínimo de Língua Portuguesa e as Estratégias da Sua Difusão e Ensino, Texto apresentado ao Seminário para Edificação do Instituto Internacional de Língua Portuguesa (IILP), realizado pela CPLP, Lisboa 5-8 de Junho de 2001, disponibile a partire da http://www.ueangola.com KANDJIMBO 2003 = Luís Kandjimbo, A crioulidade não existe, in Pessoas com quem falar, I, União dos Escritores Angolanos, Luanda, 2003, pp. 327-341. LEITE 2003 = Ana Mafalda Leite, Literaturas africanas e formulações pós-coloniais, Colibri, Lisboa, 2003. LOURENÇO 1999 = Eduardo Lourenço, A nau de Ícaro seguido de Imagem e Miragem da Lusofonia, Gradiva, Lisboa, 1999. MINGAS 2000 = Maria Amélia Mingas, Interferência do Kimbundu no português falado em Lwanda, Campo das Letras, Porto, 2000.

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PÉCORA 2009 = Alcir Pécora, Excessos enfraquecem nova obra do angolano Agualusa, «Folha de São Paulo», 12 de Dezembro de 2009. QUEIROZ 2008 = Arthur Queiroz, O comerciante desalmado, «Jornal de Angola», 16 de Março de 2008. TOMÁS 2005 = António Tomás, Letteratura angolana: decolonizzazione o ricolonizzazione, in Il colore rosso dei jacaranda. A 30 anni dalle indipendenze delle ex colonie portoghesi, a cura di Livia Apa e Mario Zamponi, Aiep, San Marino, 2005, pp. 130-139.

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2013

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