\"Sub specie panis\". L\'Ultima Cena a Venezia nel Cinquecento

September 3, 2017 | Autor: Alessandro Cosma | Categoria: Iconography, Painting, Christian Iconography, Iconology, Venice, 16th century Venice
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Alessandro Cosma La Sapienza - Università di Roma

Sub specie panis: l’Ultima Cena a Venezia nel Cinquecento

Nel 1560 esce a Venezia La Singolare Dottrina di Domenico Romoli, soprannominato Panunto, un vero e proprio best seller sull’arte di organizzare i banchetti, che si apre con una precisa descrizione del modo di apparecchiare la tavola in un convito nobile: «la tavola [sarà] coperta di un bellissimo tappeto, che intorno intorno tocchi la terra, & quel polito credenziere l’apparecchierà con la prima tovaglia profumata e piegata a quadretti ordinarij: […] Qui ponerete prima quattro saliere nobili, & dovendo porvisi in quest’hora il pane, [metterete le salviette] piegate & profumate per l’ordinario, & quando il pane, ciambelle & il coltello saran nel tondo, questa si poserà di sopra, & per coperta di questo servigio»1. Il Panunto ci informa così che alla metà del secolo il pane, definito in seguito «il fondamento di tutti gli altri cibi»2, è uno degli elementi caratterizzanti della tavola per segnare il posto dei commensali nel cosiddetto “coperto”. Non stupisce, quindi, ritrovarlo ben in vista sostanzialmente in tutte le raffigurazioni di banchetti, siano essi profani, come quello di Psiche affrescato da Giulio Romano a Palazzo Te (1526-1528)3; o tratti dalla Bibbia, come quello di Ester o le varie versioni della Cena in casa di Simone. Se in questi episodi il pane è funzionale sostanzialmente alla messa in scena del banchetto, esistono alcune tipologie di cene in cui la sua presenza è, invece, parte costituiva e imprescindibile, anche e soprattutto da un punto di vista del significato. Tra queste, un posto d’onore spetta certamente all’Ultima Cena,

1

D. ROMOLI, La singolare dottrina di m. Domenico Romoli sopranominato Panunto, in Venezia per Michele Tramezzino, 1560, p. 9v. 2

In un capitolo interamente dedicato al pane, dove si raccomanda anche di servirlo «che non passi un giorno o dui dalla sua cottura» (ROMOLI, La singolare dottrina, pp. 203r-204v). 3

Dove, per di più, il pane è servito proprio da Pan da cui, secondo alcune etimologie, sarebbe nato il termine, vd. S. MALAGUZZI, Arte e cibo, Firenze 2014, p. 24.

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la cui iconografia a Venezia nel corso del Cinquecento subisce una serie di modifiche che investono in primo luogo proprio la presenza e il ruolo del pane4. Pur con tutte le cautele dovute alle generalizzazioni, si può infatti affermare che fino agli inizi del XVI secolo l’immagine dell’Ultima Cena è generalmente incentrata sulla narrazione del tradimento di Giuda5. Quest’ultimo costituisce così uno dei protagonisti assoluti della scena, caratterizzato tra le altre cose dalla borsa dei denari, dall’isolamento, dall’assenza dell’aureola e, spesso, proprio dalla relazione con il pane, sulla base del celebre passo di Giovanni (Gv 13,18): «colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno»6. Nel corso del Cinquecento, però, le cose cambiano radicalmente e, anche sulla scia di un nuove esigenze devozionali, si assiste al diffondersi di raffigurazioni del Cenacolo che mettono al centro l’eucarestia: il banchetto pasquale, l’istituzione del sacramento e la vera e propria comunione degli apostoli. Da questo punto di vista, Venezia costituisce un contesto particolarmente ricco grazie, da un lato, alla straordinaria abilità di artisti come Tintoretto, Tiziano e Veronese e, dall’altro, alle numerose commissioni promosse dalle Scuole del Sacramento, confraternite di laici – in gran parte cittadini e artigiani – che avevano proprio la funzione di gestire opere di carità e promuovere la devozione all’eucarestia7. Nella città lagunare, infatti, il fulcro di questo cambiamento è costituito proprio dalle Cene commissionate per decorare il banco di queste confraternite, 4

L’altra tipologia in cui il pane riveste un ruolo centrale è, ovviamente, quella della Cena di Emmaus di cui non ci occuperemo in questa sede e per la quale si rimanda, per l’ambito veneziano, a F. SARACINO, Vincitore e Pellegrino. I pittori veneziani e l’immagine del Risorto, in La Cena di Tiziano: immagini del Risorto tra Louvre e Ambrosiana, Catalogo della mostra (Milano, Pinacoteca Ambrosiana, 6 aprile-30 novembre 2006), a cura di G. Morale, Milano 2006, pp. 33-89. 5

Nella sterminata bibliografia sull’iconografia dell’Ultima Cena, si rimanda almeno a L. VERTOVA, I cenacoli fiorentini, Torino 1965; D. RIGAUX, A la table du Seigneur: l’eucharistie chez les primitifs italiens (1250 - 1497), Paris 1989; Alla mensa del signore. Capolavori dell’arte europea da Raffaello a Tiepolo, Catalogo della mostra (Ancona, Mole Vanvitelliana, 3 settembre 2011-8 gennaio 2012), a cura di G. Morello, Torino 2011. 6

Da un punto di vista figurativo, basti pensare all’iconografia della cosiddetta Comunione di Giuda o ai numerosi casi in cui il traditore è raffigurato con in mano il boccone dopo il quale «Satana entrò in lui» (Gv 13,27) come, ad esempio, il celebre Cenacolo di Ghirlandaio per San Marco a Firenze. Sul ruolo di Giuda nei Cenacoli: B. MONSTADT, Judas beim Abendmahl: Figurenkonstellation und Bedeutung in Darstellungen von Giotto bis Andrea Del Sarto, München 1995. 7

Sulle confraternite o Scuole del Sacramento a Venezia resta ancora fondamentale M.E. COPE, The Venetian chapel of the Sacrament in the sixteenth century, New York - London 1979; vedi anche P. HILLS, Piety and patronage in Cinquecento Venice: Tintoretto and the Scuole del Sacramento, «Art history», VI (1983), pp. 30-43; G. SARTI, “Figurar nell’immaginatione”: la cappella del Sacramento e il ciclo cristologico, «Venezia Cinquecento», VIII, 16 (1998), pp. 81-104.

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vale a dire il luogo che ne caratterizzava la presenza in chiesa e dove prendeva posto il gruppo dirigente8. La prima in ordine di tempo è quella realizzata da Tintoretto9 in San Marcuola nel 1547 su istanza del gastaldo della Scuola del Sacramento Isepo Morandello (fig. 1). Se l’ambientazione molto modesta, dominata da una semplice tavola con sgabelli in legno, ben si adattava al contesto “popolare” di queste confraternite, è da un punto di vista narrativo che la Cena di Tintoretto diverge maggiormente dalla tradizione precedente. Il dipinto, infatti, raffigura la benedizione dell’agnello pasquale compiuta da Cristo sotto lo sguardo attento e devoto di Pietro e Giovanni. Davanti a loro, il pane, la brocca di vino e il calice alludono al successivo momento eucaristico, funzionale alle esigenze devozionali della scuole, che viene così collegato esplicitamente al tema del sacrificio di Cristo, nuovo agnus dei10. Ai due lati della tavola, gli altri apostoli sono invece intenti a discutere tra di loro, riprendendo la più consueta iconografia dell’annuncio del tradimento, sebbene il pittore non abbia dato particolare rilievo al ruolo di Giuda, riconoscibile nell’apostolo di spalle con la borsa dei denari. Ai margini del dipinto, però, compaiono anche due figure femminili, identificate fin da Boschini con la Fede, a sinistra con il calice e la brocca del vino, e con la Carità, a destra con i bambini in braccio e il gatto11. Una novità che anticipa due delle valenze principali di cui l’Ultima Cena si caricherà nella seconda parte del secolo in reazione e in polemica con le posizioni delle chiese riformate: il problema delle specie eucaristiche e quello della carità, ovvero della necessità delle buone opere.

8

Sul ruolo del banco e sulla sua decorazione: T. WORTHEN, Tintoretto’s paintings for the Banco del Sacramento in S. Margherita, «The art bulletin», 78, 4 (1996), pp. 709-713. 9

I dati essenziali sono ricordati nell’iscrizione sullo sgabello in primo piano. Sul dipinto, che doveva in origine decorare il banco della Scuola: WORTHEN, Tintoretto’s paintings, pp. 719-720; M. MATILE, “Quadri laterali” ovvero conseguenze di una collocazione ingrata: sui dipinti di storie sacre nell’opera di Jacopo Tintoretto, «Venezia Cinquecento», VI, 12 (1996), pp. 151-156; B. PERIA, Tintoretto e l’Ultima Cena, «Venezia Cinquecento», VII, 13 (1997), pp. 84-86 e, da ultimo, R. ECHOLS, Scheda in Tintoretto, Catalogo della mostra (Madrid, Museo del Prado, 30 gennaio-13 maggio 2007), ed. M. Falomir, Madrid 2007, pp. 229-240. 10

Il riferimento al sacrificio, del resto, sembra essere ulteriormente rinforzato dalla presenza del coltello, posto significativamente in primo piano e con la punta rivolta proprio verso Cristo. Molto particolare è anche la presenza del calice vuoto sulla tavola che tornerà in maniera molto frequente negli anni successivi in riferimento al problema della comunione sotto le due specie: vedi infra.

11

«La Cena con la Fede, e la Carità» (M. BOSCHINI, Le miniere della pittura. Compendiosa informazione, Venezia, per Francesco Nicolini, 1648, p. 480). Sull’identificazione delle due figure vedi anche WORTHEN, Tintoretto’s paintings, pp. 719-720; PERIA, Tintoretto e l’Ultima Cena, pp. 84-86.

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Nel 1547, però, la questione non era ancora definita12 ed è proprio in questo lasso di tempo, tra 1546 e 1548, che Battista Erizzo commissiona a Jacopo Bassano la Cena oggi alla Galleria Borghese (fig. 2) una raffigurazione unica e sostanzialmente irripetibile, perché allineata alle posizioni dello spiritualismo evangelico13. Il dipinto, infatti, non illustra nessuno dei momenti canonici del banchetto, ma mostra Cristo al centro che indica allo spettatore il suo essere l’agnello del sacrificio. Nessuno dei commensali, tuttavia, se ne accorge, intenti come sono in una accesa discussione sulle specie eucaristiche provocata da uno degli apostoli che sta bevendo del vino. Pietro è scioccato e si rivolge ad Andrea che, però, non sa che fare, dietro di loro anche gli altri si confrontano sul problema del numero e nella discussione riesce a dissimularsi persino il traditore Giuda, riconoscibile in primo piano per la borsa di denari e la vicinanza al malefico gatto14, mentre indica «falsamente» il suo pezzo di pane – quello del tradimento – all’apostolo all’altro lato del tavolo che invece indica il calice. Di qui a poco, posizioni religiose come questa – e di conseguenza anche immagini come questa – non saranno più possibili. Nel 1551, infatti, il concilio di Trento sancisce in maniera chiara e inequivocabile che «sotto una sola specie si contiene tanto, quanto sotto l’una e l’altra. Cristo, infatti, è tutto e intero sotto la specie del pane e sotto qualsiasi parte di questa specie; e similmente è tutto sotto la specie del vino e sotto le sue parti», confermando così per i laici solo la comunione sub specie panis15. Una scelta che, a Venezia, verrà ripresa e sottolineata esplicitamente nelle nuove immagini della Cena. Ad aprire il discorso è ancora una volta Tintoretto, nel dipinto realizzato intorno al 1561-1562 per la cappella del Sacramento in San Trovaso (fig. 3)16. Qui, infatti, sulla

12

Le definizioni del Concilio di Trento sulla questione delle giustificazione sono del 13 gennaio 1547 (sessione VI, Decreto sulla giustificazione); quelli sulle due specie, invece, del 11 ottobre 1551 (sessione XIII, Decreto sul santissimo sacramento dell’eucaristia) e del 16 giugno 1562 (sessione XXI, Dottrina della comunione sotto le due specie e dei fanciulli): Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cura di G. Alberigo, G.L. Dossetti Perikles, P. Joannon, C. Leonardi, P. Prodi, Bologna 1991, rispettivamente pp. 671-678, 695-697, 726-729. 13

Secondo la lettura magistrale di A. GENTILI, G. LOVATO, La borsa di Giuda e il dito di Tommaso, in «Venezia Cinquecento», IX, 18 (1999), pp. 173-181, di cui si sintetizziamo qui parte delle conclusioni. 14

Il gatto è un consueto simbolo negativo, in particolare nel contesto del Cenacolo. Per un riepilogo: M. LEVI Lo zoo del Rinascimento. Il significato degli animali nella pittura italiana dal XIV al XVI secolo, Lucca 2001, pp. 137-138. D’ANCONA,

15

Si veda infra, nota.

16

Il dipinto venne realizzato in coppia con una Lavanda dei piedi, forse quella oggi alla National Gallery di Londra. La datazione ai primi anni del settimo decennio è stata convincentemente proposta in MATILE, “Quadri laterali”, pp. 158-164. Sull’opera vedi anche PERIA, Tintoretto e l’Ultima Cena, pp. 86-94 e, da ultimo, M.

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Fig. 1. Venezia, chiesa di San Marcuola, Jacopo Tintoretto, Ultima cena.

Fig. 2. Roma, Galleria Borghese, Jacopo Bassano, Ultima cena.

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Fig. 3. Venezia, chiesa di San Trovaso Jacopo Tintoretto, Ultima cena.

Fig. 4. Venezia, basilica dei Santi Giovanni e Paolo, Benedetto Caliari, Ultima Cena.

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tavola troviamo la saliera e i consueti pani, ma le portate principali sono ancora intatte. Cristo sta infatti annunciando il tradimento, suscitando l’agitazione degli apostoli tanto che Giuda, posizionato in asse con Gesù e posto vicino al pezzo di pane della colpa, è letteralmente caduto dalla sedia17. Ma nel dipinto di Tintoretto il traditore è caratterizzato soprattutto da un altro – inedito – atteggiamento, messo in luce da uno studio magistrale di Beatrice Peria18: tiene con una mano il fiasco del vino e con l’altra l’unico bicchiere pieno presente sulla tavola, visto che gli altri due sono clamorosamente vuoti. A questa altezza cronologica non può certo trattarsi di un caso: sovvertendo completamente la tradizione iconografica precedente che lo vedeva prevalentemente legato al pane, nella Cena di San Trovaso Giuda si carica di un nuovo “problematico” attributo, quello del vino. Si tratta di una scelta che negli anni successivi ritornerà più volte, come nella Cena19 di Benedetto Caliari per San Nicolò della Lattuga in cui, mentre Cristo benedice solo il pane, Giuda si china nuovamente a prendere il fiasco del vino, un fiasco del resto inutile, visto che sul tavolo sono spariti finanche i bicchieri (fig. 4). Lo stesso dettaglio si ritrova poi nel dipinto20, forse di Leandro Bassano, che decorava il tabernacolo della chiesa del Redentore (fig. 5), o nella Cena21 di Francesco Bassano oggi al Prado dove il traditore, identificato con certezza dalla borsa dei denari dietro la schiena, è circondato proprio dal bicchiere pieno e dal fiasco (fig. 6). Nel corso della seconda metà del secolo, quindi, in alcune immagini del cenacolo Giuda,

BINOTTO, Scheda, in Tintoretto, Catalogo della mostra (Roma, Scuderie del Quirinale, 25 febbraio-10 giugno 2012), a cura di V. Sgarbi, G. Morello, Milano 2012, pp. 98-100. 17

Nel quadro di San Trovaso, la mancanza della borsa dei denari rende problematica l’identificazione di Giuda per la quale la critica ha avanzato diverse proposte (per un riepilogo vedi BINOTTO, Scheda, in Tintoretto, p. 98). A mio parere, però, la vicinanza al pezzo di pane sul tavolo e la relazione con il vino, di cui si dirà, rendono estremamente plausibile l’identificazione con il personaggio in primo piano argomentata, tra gli altri, in PERIA, Tintoretto e l’Ultima Cena, pp. 91-94. Al riguardo, però, va segnalato che, contrariamente a quanto si dice, anche questa figura aveva l’aureola, di cui resta una traccia ben visibile proprio vicino al bicchiere. 18

PERIA, Tintoretto e l’Ultima Cena, pp. 91-94, 118-120.

19

L’opera, realizzata intorno al 1582, è oggi in deposito presso la basilica dei Santi Giovanni e Paolo: T. PIVeronese, 1, Venezia 1976, p. 214; B. PERIA, Ancora sull’iconografia dell’Ultima Cena: tra i Santacroce e Palma il Giovane, «Venezia Cinquecento», VIII, 16 (1998), p. 153. La vicinanza tra Giuda e il fiasco è ribadita dal pittore anche nella Cena per San Zulian, vedi S. MASON RINALDI, «Hora di nuovo vedesi…». Immagini della devozione eucaristica a Venezia alla fine del Cinquecento, in Venezia e la Roma dei papi, Milano 1987, pp. 172-175. GNATTI,

20

Parte di un ciclo eucaristico databile tra il 1585 e il 1594, cfr. MASON RINALDI, «Hora di nuovo vedesi…», pp. 190-191. 21

Per i dati di riferimento sul dipinto: M. FALOMIR FAUS, Los Bassano en la España del siglo de oro, Catalogo della mostra (Madrid, Museo del Prado, 29 marzo-27 maggio 2001), Madrid 2001, p. 150.

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Fig. 5. Venezia, chiesa del Redentore, Leandro Bassano (?), Ultima Cena.

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Fig. 6. Madrid, museo del Prado, Francesco Bassano, Ultima Cena.

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«imbriaco del vino della cupidigia»22, diviene in sostanza rappresentazione visiva e concreta dell’eretico, di colui che reclama o usa anche il vino, ribaltando in negativo l’immagine della Cena23 dipinta da Cranach nel 1547 per la chiesa di Wittenberg dove è proprio Lutero – nelle vesti mascherate di Jünker Jorg – a consegnare al servo il bicchiere di vino (fig. 7). La Cena di San Marcuola, però, aveva introdotto un altro elemento chiave per la storia dei cenacoli figurati veneziani: l’inserimento della personificazione della Carità. Un discorso per immagini che sarà approfondito intorno al 1574 nella Cena24 commissionata dalla Scuola del Sacramento di San Polo ancora a Tintoretto (fig. 8). Si tratta, questa volta, della comunione degli apostoli, la prima apparsa in immagine a Venezia, ovviamente e rigorosamente sub specie panis, tanto che per evitare equivoci i bicchieri sul tavolo sono tutti vuoti. Cristo, per di più, sta comunicando due apostoli, un espediente figurativo che permette di alludere alla crocifissione e di segnalare visivamente quanto avviene in primo piano, dove un altro apostolo si volge a consegnare un pane a quello che, data la postura, sembra un infermo. Si tratta ancora una volta di un gesto nuovo, inedito, raddoppiato per di più dall’apostolo sulla destra che consegna una mela ad una piccola mendicante25. Nel dipinto, però, il personaggio che sta consegnando il pane è inequivocabilmente il traditore, come indicato dalla presenza della borsa dei denari dietro la schiena. La scena potrebbe quindi riferirsi ad un passo del vangelo di Giovanni (Gv 13,27-29) in cui Cristo si rivolge a Giuda dopo l’annuncio del tradimento: «Gesù quindi gli disse: “Quello che devi fare fallo al più presto”. Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo; alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: “Compra quello che ci occorre per la festa”, oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri»26. Ma il dettaglio sembra, allo 22

Come lo definisce un’omelia di Basilio Ponce da Leon (Discorsi nuoui sopra tutti gli Euangelij della Quaresima, Venezia 1614, p. 301). 23

Sull’opera e sul ritratto di Lutero: B. NOBLE, Lucas Cranach the Elder: art and devotion of the german reformation, Lanham 2009, pp. 97-137. Del resto, l’associazione tra Lutero è Giuda torna più volte anche nelle fonti scritte, come nel Colloquium di Johann Cochleus del 1521 (vedi M. U. EDWARDS, Luther’s Last Battles: politics and polemics, 1531-1546, London 1983, p. 59), fino a Louis MAIMBOURG (Histoire du luthéranisme, Paris 1680, p. 52). 24

Il dipinto doveva essere collocato sopra il banco della Scuola: MATILE, “Quadri laterali”, pp. 165-167; PERIA, Tintoretto e l’Ultima Cena, pp. 94-96 e, da ultimo, BINOTTO, Scheda, in Tintoretto, pp. 114-115. 25

Identificata in maniera davvero poco plausibile da Mazzucco (M.G. MAZZUCCO, Jacomo Tintoretto e i suoi figli. Storia di una famiglia veneziana, Milano 2009, p. 276), con Lucrezia, una delle figlie di Tintoretto.

26

A. MANNO, Tintoretto. Sacre rappresentazioni nelle chiese di Venezia, Venezia 1994, Scheda 9.1; PERIA, Tintoretto e l’Ultima Cena, p. 96.

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Fig. 7. Wittenberg, Stadtkirchengemeinde Lutherstadt, Lucas Cranach, Ultima Cena, particolare.

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Fig. 8. Venezia, chiesa di San Polo, Jacopo Tintoretto, Ultima Cena.

Fig. 9. Venezia, chiesa di Santa Margherita, Jacopo Tintoretto, Ultima Cena.

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stesso tempo, alludere al dibattuto tema della validità del sacramento indipendentemente da chi lo amministra27. L’episodio, infatti, avviene sotto gli occhi attenti della figura in piedi al margine destro, ovvero il gastaldo della Scuola, che sovrintende in questo modo ai due atti che mettono in figura gli scopi prioritari della confraternita: portare il sacramento agli infermi e compiere atti di carità. Questi ultimi, del resto, in un contesto come questo assumevano anche un’ulteriore e più profonda valenza: ricordare visivamente la necessità delle opere per la giustificazione, sancita dal concilio di Trento fin dal 1547, e diffusa da una mole sterminata di letteratura devozionale secondo cui, per dirla con Cornelio Musso, come «il fuoco si nudrisce di legna, la carità di buone opere»28. Pochi anni dopo, nella Cena consegnata nel 1576 alla Scuola del Sacramento di Santa Margherita (fig. 9)29, Tintoretto riprenderà lo stesso tema declinandolo però in maniera molto differente. Il dipinto raffigura di nuovo Cristo intento a comunicare uno degli apostoli, anche questa volta rigorosamente solo sub specie panis, tanto che il bicchiere vicino a lui è vuoto, così come quello che l’apostolo inturbantato sta posando (o prendendo) dal vassoio per terra30. Dietro di lui, Giuda è quasi completamente nascosto, estraneo a quanto accade e riconoscibile solo per la borsa di denari e per l’assenza dell’aureola, mentre gli altri assistono con reverenza e adorazione al gesto di Cristo, segnalando allo spettatore l’importanza e il ruolo del sacramento31. Sebbene nessuno in questo caso stia compiendo un gesto di carità, il tema è evidenziato attraverso la presenza di alcune figure collocate ai margini della scena. A destra, l’uomo

27

R. CARACCIOLO, Specchio della Fede, Venezia 1555, p. 141: «corpo e sangue di Christo non dipendono dalla validità del celebrante, ma dalla parola del creatore». Per la questione vedi anche PERIA, Tintoretto e l’Ultima Cena, p. 96.

28

C. MUSSO, Delle prediche quadragesimali, II parte, Venezia 1588, p. 16, Predica I, del martedì, XXI giorno di quaresima. 29

Il dipinto, insieme ad un’Orazione nell’orto e ad una Lavanda dei piedi, doveva essere collocato sul banco della Scuola ed è oggi conservato nella sacrestia della chiesa di Santo Stefano. Per i dati di committenza: WORTHEN, Tintoretto’s paintings, pp. 709-710; PERIA, Tintoretto e l’Ultima Cena, p. 96. 30

MANNO, Tintoretto. Sacre rappresentazioni, Venezia 1994, Scheda 3.2. Di parere diverso Worthen (WOR-

THEN, Tintoretto’s paintings, pp. 714-715) che non vede nel dipinto un’allusione al problema delle due specie.

A questo proposito, però, sembra importante notare come la costante raffigurazione della sola comunione sub specie panis, sia già per se stessa un riferimento visivo chiaro ed esplicito che evidenziava esclusivamente questo aspetto della comunione. 31

Non sembra, infatti, condivisibile la proposta di identificare Giuda con l’apostolo che tiene il bicchiere avanzata dubitativamente da PERIA, Tintoretto e l’Ultima Cena, p. 96.

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sdraiato alla base dei gradini che si rivolge alla tavola è immagine consueta ed esplicita del mendicante32. Dopo di lui, però, un bambino intento a giocare con un gatto si contrappone all’attenzione del cane fermo a fissare il gesto di Cristo, e della donna che si inginocchia al margine sinistro. Si tratta di un esplicito riferimento figurativo al celebre racconto della Cananea (Mt 15,21-28) che, gettatasi ai piedi di Gesù, ottenne la guarigione della figlia rispondendo al rifiuto di Cristo – «non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini» – proprio con la metafora del cane in attesa: «anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padrone». Il gruppo di personaggi ribadisce, così, il tema del mendicare e della carità, rinforzato dalla figura in secondo piano sullo sfondo che porge proprio la mano aperta verso la tavola33. Se l’allusione alla Cananea tornerà anche in altri dipinti delle Cene34, sarà però principalmente il passaggio del pane visto a San Polo che nel corso del secolo diverrà il vero e proprio topos figurativo per indicare l’atto di carità all’interno delle immagini sacre35. Lo ritroviamo, così, nei monumentali cenacoli immaginati da Veronese per il refettorio di San Giorgio Maggiore a Venezia e per quello del Santuario di Monte Berico a Vicenza (figg. 10, 11). In questo caso, non si tratta più delle dimesse cene tintorettiane legate alla committenza – decisamente più “popolare” – delle Scuole del Sacramento, ma di grandiosi “conviti nobili” ricchi nell’ambientazione e nel dispiego di servitù, in perfetto parallelismo con le descrizioni dei trattati come quello del Panunto. Ma pur in tutta questa abbondanza, la messa in scena prevede sempre l’opera di carità ed è proprio il pane che ne diviene un esplicito indicatore visivo. Nella cosiddetta Cena in casa di Levi, ad esempio, che come ha chiarito Maria Elena Massimi è invece una raffigurazione unica e assolutamente originale del Cena del fariseo narrata da Luca36, il pane qualifica i personaggi positivi: Pietro in primo luogo e poi il ritratto di Camillo Spera, “il buon prelato” voluto dai domenicani come riformatore del convento (fig. 10). E non sembra quindi un caso che sia proprio davanti a lui che un uomo si sporge dalla balaustra per

32

Per un analisi di questa tipologia: F. MOZZETTI, Educare per immagini: gesti di carità e attivismo caritatevole, «Venezia Cinquecento», VIII, 16 (1998), pp. 53-80.

33

Differente sembra essere in questo caso il ruolo del bambino, disinteressato alla cena e invece intento a giocare con un gatto, consueto simbolo negativo. 34

Il ruolo del cane “mendicante” in accezione positiva in ambito veneziano si ritrova, ad esempio, anche nella Cena della chiesa dell’Arcangelo Gabriele, forse di Bonifacio Veronese, e in quella di Veronese oggi a Brera su cui vedi infra.

1370

35

Sul ruolo e l’immagine dei gesti di carità a Venezia in questi anni: MOZZETTI, Educare per immagini.

36

M.E. MASSIMI, La “Cena in Casa di Levi” di Paolo Veronese: il processo riaperto, Venezia 2011.

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Sub specie panis: l’Ultima Cena a Venezia nel Cinquecento

Fig. 10. Venezia, Gallerie dell’Accademia, Paolo Veronese, Cena in casa del fariseo, particolare.

Fig. 11. Vicenza, santuario di Monte Berico, Paolo Veronese, Cena di San Gregorio, particolare.

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consegnare un pane ad una giovane fanciulla. Anche nella Cena di San Gregorio37 di Vicenza, che già di per sé illustra un atto di carità38, ritroviamo lo stesso identico gesto di passare il pane ai bisognosi, posto proprio dietro il ritratto del priore del convento, probabilmente quel Damiano Grana che era anche lo zio del pittore (fig. 11). In questo contesto, stupisce ritrovare un gesto simile nell’Ultima Cena di Tiziano oggi all’Escorial (fig. 12), iniziata intorno al 1557-1558 ma giunta in Spagna divisa in due solo nel 156639. Qui, all’interno della più consueta iconografia dell’annuncio del tradimento, è infatti “l’apostolo spagnolo” Giacomo a prendere in mano il pane, girandosi però a dialogare con tranquillità con la sorprendente apparizione di un turco40. Le motivazioni di questa inedita apertura andranno, probabilmente, ricercate nel clima iberico precedente l’irrigidimento contro i moriscos del 1567, perché la figura dell’infedele, di norma, è invece posta programmaticamente ai margini delle cena, come avviene in quella di Tintoretto in San Simeone Profeta, dove è raffigurato sullo sfondo, fuori dalla sala e intento a farsi luce da solo con una torcia41, metafora della sua incomprensione (fig. 13). Lo stesso avviene anche nella complessa raffigurazione approntata da Veronese intorno al 1585 per la Scuola del Sacramento di Santa

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Che l’usanza di consegnare il cibo ai poveri dopo i grandi banchetti fosse una pratica anche reale e ben nota, lo conferma il Panunto che al riguardo scrive: «quando sia il convito finito, & sparecchiate le tavole, & riposti gli argenti […] si spalanchino le porte, & se alla turba desiderosa di entrare non bastan le porte, lasciatela pur entrar per le finestre, né voi curate punto, se ben vi fosse la vostra dama, & quella fosse vagheggiata & motteggiata, bastandovi solo di haver condotto a buon fine il vostro convito» (ROMOLI, La singolare dottrina, p. 22). 38

Ovvero il celebre episodio narrato dalla Legenda Aurea in cui Cristo apparve alla cena di papa Gregorio con dodici poveri. Sul dipinto di Veronese, documentato al 1572, vedi T. PIGNATTI, F. PEDROCCO, Veronese, Milano 1995, I, pp. 287-288. 39

L’opera è presentata da Tiziano in una lettera a Filippo II del 28 luglio 1563 come «un quadro di pittura già sei anni da me incominciato». La lettera è pubblicata, così come i dettagli sull’arrivo dell’opera a Madrid, in M. MANCINI, Tiziano e le corti d’Asburgo nei documenti degli archivi spagnoli, Venezia 1998, pp. 291-292, 339. Sul dipinto: P. HUMFREY, Titian. The complete paintings, New York 2007, p. 324; C. GARCÍA-FRÍAS CHECA, Análisis crítico de dos obras restauradas de Tiziano en el Monasterio de El Escorial, in Tiziano. Técnicas y restauraciones, Madrid 1999, pp. 139-145. 40

Nella versione oggi alla Pinacoteca di Brera, che probabilmente riprende con alcune modifiche la tela dell’Escorial, il turco reca in mano una brocca che forse era presente anche nel decurtato dipinto spagnolo. Nella versione milanese, però, l’apostolo che dialoga con l’orientale è privo della conchiglia che identifica san Giacomo, segno che si trattava di un dettaglio destinato esplicitamente all’esemplare dell’Escorial. Sulla relazione cronologica tra le due opere vedi ora E.M. DAL P OZZOLO, L’Ultima Cena di Tiziano e altri dipinti veneti del Cinquecento in Palazzo Liria a Madrid, «Studi tizianeschi», V (2007), pp. 128-133. 41

L’opera venne realizzata per la Scuola del Sacramento intorno al 1560-1565: PERIA, Tintoretto e l’Ultima Cena, pp. 86-88.

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Sub specie panis: l’Ultima Cena a Venezia nel Cinquecento

Sofia e oggi a Brera42, dove il turco mangia su un altro tavolo, senza alcun collegamento – e alcun interessamento – con quanto avviene in primo piano (fig. 14). Nel grandioso telero43, del resto, l’estraneità di questo personaggio è messa a contrasto con il gesto di carità raffigurato con l’ormai consueto passaggio del pane. Un gesto che, in questo caso, è non solo raddoppiato, visto che l’apostolo in verde si volge verso un mendicante cui una bambina ha già dato del pane, ma anche ulteriormente rafforzato dalla presenza del cane in attesa delle «briciole che cadono dalla tavola dei loro padrone», secondo la metafora positiva già utilizzata da Tintoretto in Santa Margherita. Rispetto agli esempi precedenti, però, c’è anche un dato dissonante: se Cristo sta comunicando uno degli apostoli – questa volta con la particola –, accanto a lui un altro apostolo tiene devotamente un fiasco, pronto, si direbbe, a distribuirlo, mentre sul tavolo c’è un calice pieno impugnato per di più da Giovanni44. Si tratta di uno scarto alla regola che richiederebbe una contestualizzazione più appropriata, ma che preliminarmente sembra possibile riferire alla comunione sotto le due specie riservata agli apostoli come figura dei sacerdoti, sulla scorta di quanto scrive, ad esempio, Callisto da Piacenza: «quando il Signore comunicò gli apostoli nella spetie del pane erano anchora laici, poi li fece sacerdoti […] e allora gli diede il sacramento sotto la spetie del vino»45. Del resto, ad indicare l’esclusività dello spazio e dell’evento, Giuda si è alzato per allontanarsi dalla tavola, mentre l’apostolo che si sta avvicinando al sacramento si è tolto addirittura i calzari, guardati con attenzione da un gatto dietro cui compare un altro fiasco, questa volta inutile ed in ombra46. Il caso di Santa Sofia è, comunque, sostanzialmente unico nel panorama delle Cene veneziane dell’ultima parte del secolo che continuano costantemente a raffigurare la comunione sub specie panis, sottolineandone l’ortodossia e le implicazioni

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Nel fondamentale studio di P. H. D. KAPLAN, Veronese’s last “Last Supper”, «Arte veneta», 41 (1987), pp. 51-62 si suggerisce che la presenza del turco nel dipinto fosse da legare ad una più tollerante politica verso gli infedeli da parte della Serenissima dopo la pace del 1573. Ipotesi accolta anche da P. HUMFREY, La pittura veneta del Rinascimento a Brera, Firenze 1990, pp. 206-209 e PERIA, Ancora sull’iconografia, pp. 156-162 e che qui, invece, non si condivide. 43

Dimensioni: 230 x 523 cm.

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Che il personaggio con il fiasco sia un apostolo, contrariamente a quanto scritto costantemente dalla critica, è dimostrato ad evidenza dal conteggio dei presenti a tavola. 45

C. DA PIACENZA, Cento soliloqui del verbo d’Iddio, Firenze 1550, p. 430.

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Anche l’apostolo con il fiasco, del resto, è a piedi scalzi. Sulla complessa iconografia del dipinto di Veronese conto di tornare più estesamente in altra occasione con ulteriori riferimenti.

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Immagini e architetture del pane

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Fig. 12. Madrid, monastero dell’Escorial, Tiziano Vecellio, Ultima Cena. Nella pagina a fianco: Fig. 13. Venezia, chiesa di San Simeone profeta, Jacopo Tintoretto, Ultima Cena, particolare.

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La civiltà del pane

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Fig. 14. Milano, Pinacoteca di Brera, Paolo Veronese, Ultima Cena.

Fig. 15. Venezia, chiesa di San Moisè, Jacopo Palma il giovane, Ultima Cena.

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teologiche, in polemica più o meno scoperta con le prese di posizione delle chiese riformate. Così avviene, ad esempio, nella tela che Palma il giovane realizza intorno al 1587 per la Scuola del Sacramento di San Barnaba, in cui Cristo comunica gli apostoli solo con il pane, mentre in alto l’epifania di Dio e degli angeli con gli strumenti della passione ne ricorda il sacrificio e, ovviamente, la presenza reale e completa nell’eucarestia sub specie panis47. Sulla destra, invece, l’ormai consueto atto di carità di uno degli apostoli che distribuisce il pane a due mendicanti ricorda il valore delle opere e la necessità della diffusione del sacramento, in perfetta simmetria con i compiti della Scuola48. Elementi simili si ritrovano anche nella Cena realizzata dallo stesso pittore per la cappella del Sacramento della chiesa di San Moisè49 (fig. 15) e in cui Cristo sta comunicando Giovanni, ovviamente solo con il pane visto che sulla tavola non solo non c’è il vino, ma nemmeno i bicchieri50. Sempre al centro del dipinto, inoltre, Giuda sta mettendo la mano nel piatto di Cristo a segnare così il suo tradimento, mentre sulla destra si confrontano in opposizione la “carità” del servitore che distribuisce il pane ai mendicanti e la scelta di “isolamento” fatta dal turco con il turbante che sembra indicare la sua prossima dipartita al trinciante51. Lo stesso meccanismo, anche se con diverse argomentazioni, si ritrova anche in due straordinari teleri di Tintoretto la cui commissione non si deve, questa volta, alle confraternite del Sacramento. Il primo, infatti, venne realizzato per la sala superiore della Scuola Grande di San Rocco (fig. 16), all’interno di un complesso programma teologico fatto di rimandi tra antico e nuovo testamento che, in questo caso, sono tutti all’insegna del pane, ribadendo la proposta cattolica del sacramento e della carità sulla

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Sul dipinto: MASON RINALDI, «Hora di nuovo vedesi…», p. 181; PERIA, Ancora sull’iconografia, pp. 163-165. COPE (The Venetian Chapel, p. 124) ipotizza che la parte superiore possa essere stata aggiunta successivamente. 48

Gli stessi elementi tornano anche nella più tarda Cena di Palma per il Duomo di Cividale (1606 circa) ancora su commissione di una Scuola del Sacramento: S. MASON RINALDI, Palma il giovane. L’opera completa, Milano 1984, p. 81. 49

Sul dipinto, databile intorno al 1585: PERIA, Ancora sull’iconografia, pp. 165-170; L. FINOCCHI GERSI, Scheda, in, La Basilica dei Santi Giovanni e Paolo: Pantheon della Serenissima, a cura di G. Pavanello, Venezia 2013, p. 308.

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I bicchieri e le brocche del vino, infatti, stanno entrando in scena sulla sinistra portate su un vassoio da un servitore. Sul problema di questo dettaglio: PERIA, Ancora sull’iconografia, p. 170.

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Con la mano destra, infatti, indica la porta e la direzione opposta a quella del gesto di carità del servo. Che il personaggio con cui sta dialogando sia il trinciante, ovvero l’incaricato al taglio della carne nei banchetti, è confermato ad evidenza dai suoi attributi: il coltello e il piatto con la carne.

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Fig. 16. Venezia, Scuola Grande di San Rocco, Jacopo Tintoretto, Ultima Cena.

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base di celebri prefigurazioni bibliche52. Sulla volta della parte orientale della sala troviamo infatti la Raccolta della Manna, affiancata da Eliseo che moltiplica il pane (2 Re 4,42-44) ed Elia nutrito dall’angelo (1 Re 19,4-8), che anticipano le tele delle pareti con le raffigurazioni affrontate della Moltiplicazione dei pani e dei pesci e dell’Ultima Cena. Non stupisce, allora, che in quest’ultima sia raffigurata la comunione degli apostoli e che Cristo stia comunicando con la particola proprio Pietro, mentre in primo piano l’uomo e la donna con il pane e il vino, volti di spalle rispetto alla scena, divengono metafora di coloro che accettano la comunione sotto le due specie e sono, di conseguenza, messi fuori dallo spazio sacro, così come il cane che questa volta sembra avere una valenza negativa, in riferimento alla sequenza liturgica del Corpus Domini: «ecce panis angelorum […] non mittendibus canis»53. E il «pane degli angeli» è anche quello messo in scena nella straordinaria Cena di Tintoretto per il presbiterio della chiesa di San Giorgio Maggiore (fig. 17), in cui il momento evangelico diviene momento liturgico e l’eucarestia è presentata come completamento e superamento della manna raffigurata nel telero di fronte54. Siamo alla fine della cena, come confermano la frutta e i dolci sul tavolo, ma resta ancora un pane, proprio vicino a Cristo che comunica uno degli apostoli. Un momento che nell’immagine diviene una vera e propria celebrazione liturgica, suggerita dalla pisside e dall’aspersorio vicino al tavolo e dagli angeli che appaiono nella stanza a confermare la transustanziazione. Ecco perché al mendicante, questa volta, viene indicato di attendere la conclusione del rito, mentre al centro uno dei servitori rifiuta coerentemente il piatto tenuto dalla donna, ricolmo di una delle varie tipologie di

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I teleri del soffitto della sala superiore vennero realizzati tra il 1575 e il 1581, mentre quelli delle pareti tra il 1578 e il 1581. Per un riepilogo sui dati materiali e sul programma iconografico della sala superiore si rimanda a A. MANNO, La Sala superiore, in Tintoretto. La Scuola Grande di San Rocco, a cura di G. Romanelli, Milano 1994, pp. 172-174. 53

L’inno, attribuito a Tommaso d’Aquino, è basato proprio sulla prima parte del racconto della Cananea narrato nel vangelo di Matteo (15, 21-28). Per il ruolo negativo del cane in questa scena si rimanda a J. F. MOFFIT, The uninvited dinner-guest: why a barking dog at Tintoretto’s Last Supper?, «Arte cristiana», LXXV, 723 (1987), pp. 403-408. La caratterizzazione negativa dei due personaggi in primo piano in riferimento al dibattito sull’eucarestia è stata proposta per la prima volta in PERIA, Tintoretto e l’Ultima Cena, p. 101. 54

I due dipinti sono databili intorno al 1591-1593: E. T. COOPER, The history and decoration of the Church of San Giorgio Maggiore, Princeton 1990, pp. 223-225. Per un’analisi della complessa iconografia dei dipinti si rimanda, per ora, a N. IVANOFF, Il ciclo Eucaristico di San Giorgio Maggiore a Venezia, «Notizie da Palazzo Albani», IV, 2 (1975), pp. 50-57; MANNO, Tintoretto. Sacre rappresentazioni, Schede 22.1, 22.2; PERIA, Tintoretto e l’Ultima Cena, pp. 104-110; A. GENTILI, Tintoretto. I temi religiosi, Firenze 2006, pp. 25-27.

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Fig. 17. Venezia, chiesa di San Giorgio Maggiore, Jacopo Tintoretto, Ultima Cena.

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Fig. 18. Venezia, Scuola Grande di San Rocco, Jacopo Tintoretto, Crocifissione, particolare.

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confetti per chiudere il pasto55, ma che risultano figurativamente identici alla manna del dipinto di fronte, ora superata dal nuovo sacramento. Sullo sfondo, infine, uno degli apostoli apre le braccia a croce ricordando il sacrificio di Cristo, mentre Giuda, con la veste e la berretta rossa, è ormai isolato nel suo gesto “eretico” di richiedere ancora le due specie eucaristiche56. Nel corso del Cinquecento, in sostanza, il pane nelle cene eucaristiche diviene sempre più protagonista, caricandosi di nuovi e più complessi significati che ne fanno un simbolo esplicito e inequivocabile della versione cattolica del sacramento. Non sembra allora davvero un caso ritrovarlo vicino ai soldati che giocano a dadi nella straordinaria Crocifissione dipinta da Tintoretto per la Sala dell’Albergo della Scuola di San Rocco, posto proprio sopra la veste inconsutile che non doveva essere divisa (fig. 18)57.

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Citati, ad esempio, in ROMOLI, La singolare dottrina, pp. 109v-110r. Piatti con dolcetti molto simili si ritrovano anche nella straordinarie Nozze di Cana di Veronese realizzate per il refettorio di San Giorgio Maggiore e oggi al Louvre dove, per inciso, sulla tavola non compare alcun pane, proprio perché in ossequio con il dettato evangelico viene raffigurato il momento conclusivo della cena. 56

Secondo la suggestiva ipotesi avanzata da A. NIERO, Riforma Cattolica e Concilio di Trento a Venezia, in Cultura e società nel Rinascimento tra riforme e manierismi, a cura di V. Branca, C. Ossola, Firenze 1984, pp. 94-95, ripresa poi da PERIA, Tintoretto e l’Ultima Cena, p. 108. 57

Sul dipinto si veda, da ultimo, A. MANNO, Tintoretto. La Crocifissione nella Scuola Grande di San Rocco a Venezia, Venezia 2013.

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