A Campodipietra un misterioso documento settecentesco (2016)

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Giovanni Mascia A Campodipietra un misterioso documento settecentesco (2016) Tra i reperti di famiglia di Casa Pietrantuono-Faivano, una testimonianza della vivacità commerciale della Napoli borbonica.

Tra i gli antichi reperti di famiglia, incorniciati e messi in mostra nella residenza dei coniugi Guido Pietrantuono e Alfonsina Faivano a Campodipietra, campeggia un documento, che di primo acchito appare misterioso. Le sue dimensioni, 41 x 30 cm., lo rendono sovrapponibile a un moderno foglio di formato A3. Piegato a metà, presenta quattro facciate di cui solo la prima è impressa a stampa con tutta una serie di ghirigori e arabeschi, scritte e vignette. La seconda e la terza facciata sono bianche, mentre sull’ultima è riportata un’annotazione di difficile lettura, a causa della scarsa qualità dell’inchiostro usato. Certo, l’azione concomitante del pessimo inchiostro, del tempo, dell’umidità e delle pieghe, ha ridotto il documento in condizioni assai precarie. Non tali, comunque, da impedirne la sommaria decrittazione, resa possibile anche grazie alla decisiva collaborazione di Stefano Vannozzi, artista, studioso e ricercatore romano di origini cercesi, cui vanno i ringraziamenti più sinceri.

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Frontespizio del misterioso documento settecentesco caratterizzato da volute, ghirigori e arabeschi

Salta all’occhio la data del documento, Napoli lì 5 ott(obre) 1782, che è annotata, parte a stampa, parte a mano, a metà del frontespizio, subito sotto l’ammasso di fronzoli e volute:

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Pure evidente, in alto, a sinistra del frontespizio, l’immagine di un vescovo benedicente, caratterizzato dall’ampio panneggio delle vesti, dalla mitra e dal bastone pastorale:

Il dubbio che possa identificarsi in San Gennaro patrono di Napoli è assai forte. Altrettanto forte è il dubbio che sia la sirena Partenope, fondatrice, protettrice ed emblema della città di Napoli, la donna che sempre a sinistra, poco oltre la metà del frontespizio, è ritratta semisdraiata, in atteggiamento meditabondo, il gomito sinistro poggiato a un tronco di colonna, la mano sinistra a sorreggere la testa coronata e la destra lo scettro, mentre una lira s’intravvede alla base della colonna.

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Il dubbio che sia proprio Partenope diventa certezza, grazie alla comparazione con una stampa ottocentesca, che la presenta con gli stessi elementi iconografici...

E grazie alla figura impressa in filigrana e racchiusa in uno stemma ovale, accartocciato e sormontato da una corona a otto fioroni, di cui solo cinque visibili: cioè la stessa Partenope con la chioma fluente, la corona turrita, lo scettro nella mano destra, che il disegno di Stefano Vannozzi permette di apprezzare meglio.

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Stefano Vannozzi, Cercemaggiore 8 maggio 2016

Da scartare, invece, l’identificazione dell’immagine del vescovo benedicente con San Gennaro. Il nome vero del presule, santo a sua volta, è svelato nella iscrizione che compare tra i ghirigori e gli arabeschi del frontespizio. Precisamente nel primo dei due righi, facendo attenzione proprio alle volute che in buona parte non sono altro che le iniziali maiuscole di molte parole del testo, perlopiù abbreviate.

Cioè: “Noi Gov(ernatori) del B(anco) di S. Eligio Mag(giore) f(accia)mo fede ten(ere) Cred(itori)”… Mentre nel secondo rigo si legge:

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“Quali Pot(ranno) dis(porre) a suo Piac(imento) Colla Rest(ituzione) Della Pres(ente) fir(mata)… Nello spazio tra il primo e il secondo rigo sono riportati a mano, con inchiostro di mediocre qualità, i nominativi dei creditori e l’importo di cui potranno beneficiare: “Sig.ri D. Filippo e D. Simone D’Amelia1, p(er) cinquecento D(ucati).”

In altri termini, sciogliendo in parte il mistero del documento, siano davanti a una fede di credito settecentesca, una sorta di assegno circolare dell’epoca, rilasciata con numero di serie S 1648 (si legge a sinistra, alla sommità del frontespizio), per 500 ducati a favore di Filippo e Simone D’Amelia, dal Banco napoletano di Sant’Eligio Maggiore, che prendeva il nome dalla chiesa omonima, edificata in epoca angioina nel centro storico della città, vicino alla zona del mercato2. 1

Il Dott. Fis. Simone D’Amelia compare come contitolare del beneficio della SS. Annunziata nel Catasto Onciario del casale di Quindici per aver dato a censo nel 1792 un castagneto sito al Campo. 2 Il Banco di Sant’Eligio, uno degli antichi banchi pubblici napoletani da cui ha tratto origine il Banco di Napoli, fu eretto nel 1592 quando i responsabili dell’antica opera pia di Sant’Eligio, convinti che con la gestione di un banco si potesse meglio provvedere alle esigenze degli istituti di beneficenza da essa governati (la chiesa, l’ospedale, e l’educandato femminile), aprirono gli sportelli in un quartiere di Napoli, dove più vivace era il movimento commerciale: il Mercato. La nuova istituzione favorì l’attività dei mercanti che potevano regolare i loro affari, grazie ad un più comodo uso della fede di credito. Anche ai giorni nostri, con tale denominazione si continua a indicare un titolo assimilabile all`assegno circolare, la cui emissione, in ossequio alle origini, è riservata al Banco di Napoli ed al Banco di Sicilia, previa costituzione di un deposito in contante.

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Emblema di Sant’Eligio impresso sulla fede di credito emessa dal Banco di Sant’Eligio Maggiore a Napoli nel 1782

Le prime fedi di credito a stampa sembrano essere state quelle del Banco dello Spirito Santo che, a partire dal 1749, cominciò a metterle in circolazione, caratterizzandole con un trionfo di ghirigori e arabeschi che avevano il compito di rendere difficile l’opera dei contraffattori, con l’aggiunta del sigillo della banca (nel nostro caso, scomparso) e la firma del cassiere (nel nostro caso illeggibile per l’inchiostro scolorito). Per rendere ancora più difficile la falsificazione della fede di credito, si introdusse, a partire dal 1760, l’apposizione di un ulteriore bollo ad olio, sempre con le iniziali del Banco (nel nostro caso ridotto a macchia informe). In calce ai ghirigori della nostra fede di credito, è annotato in cifre e in lettere l’importo. Rispettivamente: “Sono D. cinquecento cont(anti)” e “500 cont(anti)”, ma la scritta in lettere è appena leggibile. Del tutto illeggibile, come già detto, è la firma del cassiere mentre del previsto suggello a secco del Banco di Sant’Eligio Maggiore resta solo il tassello incollato sul retro del frontespizio.

L’assimilazione della fede di credito all’assegno circolare è data anche dalla possibilità di girarla, accordando al girante la facoltà di indicare sia la causa del pagamento sia le condizioni particolari alle quali il pagamento era condizionato. Ne derivava che, finché non fosse stato dimostrato l’adempimento delle condizioni, il banco sospendeva il pagamento. A una girata con tali caratteristiche sembra rimandare l’annotazione evanescente e largamente incomprensibile presente sull’ultima facciata nel riquadro basso a sinistra. Dai suoi otto righi si riesce e decifrare: “… Brigida Faivano … / la fede … / … / Olim Dr. N(ota)r D. Carlo Faibano / … ordinò … prelegare pagar- / … doc(a)ti 500 liberi, e senza / … a D. Gi(ovanni) / Faibano suo Nipote”.

Dettaglio della girata sulla quarta facciata della Fede di Credito S 1648, datata Napoli 5 ottobre 1782

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Bene, prima di provare a interpretare il senso della girata, pare giusto e interessante contestualizzare i 500 ducati della fede di credito per rapportarli ai salari e agli stipendi di allora. Tenuto conto che un muratore napoletano guadagnava non più di 40 grani (centesimi di ducato) al giorno, ne derivava che solo a condizione di lavorare sei giorni a settimana per tutte e 52 le settimane, sarebbe riuscito a mettere insieme un salario annuo di 124,8 ducati (0,40x6x52). Quindi gli sarebbero occorsi quattro anni giusti di duro e ininterrotto lavoro per percepire 500 ducati (500/124,8)3. Molto più critica la situazione di un bracciante, il quale era remunerato con 25 grani al giorno, pari a 78 ducati annui (0,25x6x52). Il poveretto avrebbe dovuto penare ininterrottamente per quasi sei anni e mezzo, all’acqua, al sole e al vento, per incassare la stessa somma (500/78)4. Sostanzialmente analogo il salario di un facchino, per quanto chiamato a svolgere lavori meno pesanti. Precise informazioni al riguardo ci arrivano da una pubblicazione edita in quel torno di tempo, proprio dal Banco di Sant’Eligio, con un ricognizione sullo stato dell’istituto e dei vari uffici, con le norme e le disposizioni cui erano tenuti gli impiegati, dal più umile, il facchino per l’appunto, che percepiva 73 ducati all’anno, ai più importanti, come il razionale e il cassiere maggiore, che percepivano rispettivamente, 487 e 476 ducati, passando, ad esempio, per il portiere, 98 ducati, il cassiere dei pegni, 252 ducati, i suoi aiutanti, e via discorrendo5. Insomma, il beneficiario della nostra fede di credito, si vedeva riconoscere una somma superiore allo stipendio annuo del cassiere maggiore e del razionale, ovvero del funzionario di maggior prestigio del Banco, al quale erano affidati il compito di tenere la contabilità generale dell’istituto e la funzione di capo di tutto il personale. Somma corrispondente al doppio dello stipendio annuo di un cassiere dei pegni, a quattro volte il salario di un muratore, cinque volte quello del portiere e sei volte e mezzo quelli di un bracciante o di un facchino. Ignoriamo chi fosse la signora Brigida Faivano che ha tutta l’aria di essere la girante della nostra fede di credito. Tuttavia non pare azzardato ipotizzarla coniuge di D. Filippo o di D. Simone D’Amelia, dai quali ha derivato la titolarità del documento. Neppure è azzardato ipotizzare che possa essere stata stretta congiunta del defunto dottor notaio D. Carlo Faivano (da lei citato come Faibano, quasi a sancire la 3

Cfr. Paolo Malanima, Prezzi e salari, in Il Mezzogiorno prima dell’Unità. Fonti, dati, storiografia, a cura di P. Malanima, N. Ostuni, Rubbettino, Soveria Mannelli 2013, pp. 352-353 4 Ivi. 5 Cfr. Nuova situazione, e graduazione degli offici, e nuove regole, ed istruzioni per gli Officiali del Real Banco di S. Eligio Maggiore, Stamperia di Francesco Morelli, Napoli MDCCLXIX.

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toponimicità del cognome di famiglia, legandolo a Faibano, che era ed è una frazione del comune di Marigliano, compreso nella Napoli metropolitana di oggi). È noto, invece, che l’Archivio di Stato di Avellino conserva gran parte dei rogiti notarili stilati dal notaio Carlo Faivano, che ha operato attivamente sulla piazza di Lauro, in provincia di Avellino, per oltre mezzo secolo, dal 1720 al 1773. Sappiamo inoltre che lo stesso “notar Carlo Faivano nel 5 aprile 1779 trapassò”, senza lasciare eredi diretti. E che per mano di un non meglio precisato notaio Mercogliano aveva stilato il suo testamento, erigendo “un Monte di tutti i suoi fondi, e capitali”, al quale aveva dato “il nome della famiglia Faivano: al cui godimento chiamò tre suoi nipoti Pasquale, Giovanni e Carmine”, figli del fratello Ignazio, dichiarando che la rendita annua (assai cospicua) del Monte all’epoca della sua istituzione era di 2400 ducati. Sulla scorta di tali notizie che si leggono in una allegazione forense, datata Napoli 7 aprile 1839, firmata dagli avvocati Giovan Battista Aloi e Raffaele Beltrani, avente per oggetto gli strascichi giudiziari legati alla primigenia contestata amministrazione del Monte Faivano, di cui cinquant’anni prima si era occupato il nipote Pasquale, sembrerebbe che il D. Gi. Faivano, giratario e beneficiario dei 500 ducati della fede di credito, a titolo di prelegato, non sia altri che Giovanni, il secondo dei tre figli di Ignazio, e in quanto tale erede e nipote anch’egli del notaio Carlo. Come la fede di credito, anche l’allegazione forense a stampa è conservata a Campodipietra, tra le carte di famiglia di Alfonsina Faivano, nata a Marzano di Nola, ma originaria di Lauro ed erede in linea diretta della famiglia Faivano, per parte del padre Ennio. Il titolo completo del documento stampato a Napoli, nel 1839, presso la tipografia di Porcelli, suona A pro de’ Sig. Carmina, e Mattia Faivano, quali discendenti di Carmine, Carlo discendende [sic] da Giovanni - contro - D. Pasquale, D. Ignazio. D. Emmanuela, D. Giovanni e D. Carmina, quali discendenti da Pasquale Faivano. Nel frontespizio è precisato inoltre che la lite pendeva nella Terza Camera della Gran Corte Civile, a rapporto del degnissimo sig. Giudice Trivisani. Chissà se e quando la lite tra i discendenti dei tre fratelli Faivano fu finalmente composta e in quali termini. Nel dubbio, gioverà accontentarsi della discreta luce che anche grazie a quella lite è stata fatta sul documento settecentesco di Campodipietra, che continua ad essere suggestivo sì, ma assai meno misterioso.

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Frontespizio dell’allegazione forense, datata Napoli 7 aprile 1839 a firma degli avvocati Giovan Battista Aloi e Raffaele Beltrani

APPENDICE

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Fede di credito (fronte e retro) del Banco di Santa Maria del Popolo datata 17 agosto 1781 Nel segnalarla, Stefano Vannozzi sottolinea la buona conservazione del documento che rende agevole il confronto con il contemporaneo e analogo titolo del banco di Sant’Eligio conservato a Campodipietra

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