Addio a Armando Cossutta, comunista

June 5, 2017 | Autor: Lorenzo Carchini | Categoria: Italian Studies, Communism, Italian Politics, Comunismo
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Addio a Armando Cossutta, comunista È morto ieri all’età di 89 anni Armando Cossutta. Da tempo malato, era ricoverato all’Ospedale San Camillo di Roma. Compagno granitico dalla forte e lunga militanza politica, è stato fra i principali rappresentanti dell’ala più filosovietica del Partito Comunista Italiano, una condizione che lo portò ad assumere posizioni divergenti rispetto alla linea dettata da Berlinguer dagli anni ’70. Figlio di un operaio della Marelli e di una operaia di una fabbrica di caramelle, Armando Cossutta nasce nel 1926 a Milano. Studia al Giosuè Carducci e nel 1943, in seconda liceo, viene arrestato dai fascisti e spedito a San Vittore. Dopo la liberazione, si iscrisse alla facoltà di Medicina, ma il richiamo della politica è talmente forte da fargli abbandonare gli studi. Nel maggio del 1946, a Sesto San Giovanni incontra per la prima volta Palmiro Togliatti; tra i due si creerà un rapporto sempre più intimo fatto di comizi ed incontri milanesi nelle vecchie trattorie della Brasera meneghina in via Torina o la Vecchia Pesa. Nello stesso anno Cossutta si sposa con Emilia “Emi” Clemente, un rapporto che durerà fino alla morte di quest’ultima, nell’agosto scorso. Dal ’45 al ’48 è segretario del mitico comitato PCI di Sesto San Giovanni, con 18.000 iscritti ed una concentrazione operaia enorme determinata dalle grandi fabbriche: Flack, Breda, Pirelli, Marelli; dal ’58 al ’64 è segretario della federazione di Milano e della Lombardia, nel ’59 entra in direzione venendo promosso alla segreteria nazionale da Luigi Longo nel ’66. Al trasferimento in via delle Botteghe Oscure, nel 1967, Cossutta è già padre di tre figli: Anna e i gemelli Maura e Dario, mentre la moglie Emi lascia l’incarico alla biblioteca del movimento operaio fondata da Giangiacomo Feltrinelli e va a lavorare alla biblioteca dell’Istituto Gramsci. Dal ’67 al ’75 Cossutta diventa il depositario dei segreti dell’amministrazione del PCI, prima con Longo e poi con Enrico Berlinguer. Un fin troppo potente numero due, interlocutore privilegiato della nomenklatura moscovita, tanto da venire allontanato dal vertice allo scopo ufficiale di “rinnovare la segreteria”. L’allontanamento fu apparentemente indolore dal momento che fu nominato responsabile degli Enti locali, dal ’75 all’83, negli anni d’oro delle giunte rosse e delle città governate dalla sinistra. Per la rottura fra i due si dovrà attendere il capodanno 1981-82, all’indomani del colpo di Stato di Jaruzelski in Polonia. Intervistato in diretta televisiva sul golpe militare, il segretario lanciò il clamoroso annuncio dell’esaurimento della “spinta propulsiva della rivoluzione d’Ottobre”, tentando di sganciare il PCI dai suoi rapporti storici con i regimi comunisti del blocco sovietico. Cossutta reagì immediatamente a quello che definì uno “strappo inaccettabile” (è sua la storica definizione, che darà il titolo al suo libro più celebre), organizzando il dissenso interno e convocando i compagni a Perugia dove, sotto gli affreschi del Palazzo della Città, avrebbe sfidato apertamente Berlinguer. Il guanto venne lanciato con un articolo durissimo contro “lo strappo” da pubblicare sull’Unità. Da quello scontro il filosovietismo e Cossutta sono diventati due termini inseparabili: con l’articolo dello “strappo” comincerà anche un lunghissimo tormentone con il giornale di partito, fatto di censure, tagli e ritardi, mentre Paolo Bufalini e Alessandro Natta sulle colonne cercavano di smontare le sue tesi pezzo per pezzo. Il PCI allora temeva infatti che l’isolatissimo Cossutta (il suo fu l’unico “no” alla risoluzione di Berlinguer) potesse in realtà contare su una discreta fetta di consensi alla base del partito. Il 6 Febbraio 1982 si consuma lo scontro frontale di Perugia, quando per la prima volta si parla di “maggioranze e minoranze all’interno del partito”. Se il PCI accusa il compagno di frazionismo, Cossutta replica con le minacce di scissione e quando Natta lo esclude nel 1986 da tutti gli incarichi di partito, lui fonda l’Associazione culturale marxista. Una linea rossa quella dell’Armando robusta ed irriducibile che lo portò ad opporsi allo scioglimento del PCI e a fondare nel febbraio 1991 con Sergio Garavini, Lucio Libertini ed altri, il Movimento per la Rifondazione Comunista, che nel dicembre dello stesso anno si unisce a Democrazia Proletaria formando il Partito della Rifondazione Comunista, di cui sarebbe stato presidente, col quale sostenne nel 1996 il governo dell’Ulivo guidato da Romano Prodi. Ma quando nel 1998 Fausto Bertinotti, allora segretario, ritirò la fiducia, Cossutta si oppose staccandosi dal partito e fondandone uno nuovo, il Partito dei Comunisti Italiani (PdCI, parte del successivo esecutivo D’Alema), con Oliviero Diliberto e Marco Rizzo. Ulteriori dissensi con Diliberto portarono, nel 2006, al definitivo abbandono della scena politica. Ciononostante mai è venuta meno la sua critica anche verso i compagni di militanza, tra cui Pietro Ingrao, accusati di un certo pentitismo, “questo cospargersi il capo di cenere, crocefiggersi” per errori propri assunti ad errori del PCI, rimettendo un pezzo di storia della Repubblica in discussione. Tornò anche a far sentire la propria voce di partigiano contro il “revisionismo culturale” teso ad oscurare l’epoca della Resistenza antifascista nella guerra di liberazione, nonché contro l’intitolazione di una strada di Roma a Giorgio Almirante. Filosovietico, certo, ma non certo “spia al soldo dell’Unione Sovietica”, come lo definì il quotidiano “Libero”, condannato in cassazione nel 2003 a 50.000 euro di risarcimento.

Se ne è andato, senza clamore, uno dei grandi vecchi della Repubblica. Da appassionato militante comunista, uomo determinato, forte delle proprie idee e che la mitologia della vecchia sinistra ha rappresentato come fedelmente ancorato alla tradizione sovietica e al mito rivoluzionario. Costruttore di un grande partito guidato dalla spinta culturale gramsciana e dalla generazione togliattiana, che ha potuto vantare dirigenti come Napolitano, Macaluso, Reichlin, Pecchioli e Fanti. Per la Segreteria nazionale ed il Comitato Centrale del Partito Comunista d’Italia “scompare una figura di spicco del comunismo italiano”. Nel partito, si legge in un comunicato, “hanno appreso con dolore della scomparsa del compagno Armando Cossutta, figura storica del movimento comunista italiano, di prestigio internazionale, e autorevole esponente della istituzioni della Repubblica. Giovanissimo aderì al Partito Comunista Italiano, fu militante antifascista, arrestato e detenuto durante gli anni bui del nazifascismo – è ricordato nel comunicato – divenne nel dopoguerra dirigente, prima lombardo poi nazionale, del PCI”. “Negli anni della ‘svolta’ della Bolognina – viene detto ancora – fu tra i principali animatori della lotta contro la liquidazione del patrimonio storico e politico del Partito Comunista Italiano e tra i fondatori di Rifondazione comunista prima, e del Partito dei Comunisti Italiani dopo. Nella nostra memoria rimane incancellabile il contributo fondamentale politico e culturale che Cossutta ha dato alla causa del comunismo e alla ricostruzione in Italia di una forza comunista dopo lo scioglimento del PCI”. Lorenzo Carchini Pubblicato al link: http://www.sinistraineuropa.it/italia/addio-ad-armando-cossutta-comunista/

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