Anacreonte erotico, «RFIC» CXLIV/2 (2016) 420-430.

May 23, 2017 | Autor: Camillo Neri | Categoria: Textual Criticism, Greek Lyric Poetry, Classical philology, Anacreon, Archaic Greek Lyric
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Volume 144

2016, fascicolo 2

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L O E S C H E R E D I TO R E TO R I N O

ANACREONTE EROTICO* Riproduzione, a distanza di qualche anno, di una tesi di dottorato (discussa a Roma ‘Tor Vergata’ il 28.6.2012) condotta sotto la supervisione di E. Dettori e H. Bernsdorff, l’Anacreonte di G. M. L(eo) è un’edizione commentata dei soli frammenti erotici del poeta di Teo, in attesa del commento complessivo di Anacreonte che lo stesso Bernsdorff ha da tempo in preparazione e che dovrebbe ormai essere «di prossima pubblicazione» (2). Dopo una breve Premessa, che definisce storia, coordinate, perimetro e debiti del lavoro (2 sg.), e un’agile Introduzione (9-32) sull’Anacreonte simposiale, erotico e giambico fra tradizione e innovazione, e sulla sua fortuna ad Alessandria, il libro consta essenzialmente di un commento perpetuo a 27 frammenti anacreontei (tutti melici, tranne fr. eleg. 2 W.2), corredati da un essenziale, ma non evasivo, apparato critico («tendenzialmente negativo», 2) subito dopo il testo, nella sezione Testo e commento (33-193), e da una Traduzione (195-200) posta al termine della serie, quasi a summa dello sforzo esegetico: una struttura che, se ha il pregio di mettere in primo piano l’elemento effettivamente più centrale e qualificante di tutto il lavoro, ne penalizza un po’ – forse – la leggibilità e la comodità di fruizione; lo stesso dicasi per la partizione tra le Abbreviazioni all’inizio (3-7) – funzionali alla lettura degli apparati, ma non solo – e la ricca Bibliografia alla fine del libro (207-223), le une e l’altra ulteriormente sottopartizionate, cosa che complica un po’ la risalita ai dati completi dai lemmi ‘all’americana’ adibiti negli apparati e nel commento: ma sono solo alcuni dei (qui meritoriamente rari) topici lasciti delle tesi di dottorato ai libri pleno iure. Coronano l’opera le Tavole di concordanza (201-206), tanto più utili in una situazione editoriale ancora piuttosto frastagliata come quella di Anacreonte, e – dopo la suddetta Bibliografia – gli indispensabili Indici (225239), delle cose notevoli, delle parole greche, dei passi discussi e dei vasi, puntualmente (e – stando ai ringraziamenti in premessa – amorevolmente) compilati da Lisa Severi. L’Introduzione, d’impianto necessariamente più panoramico che problematico, è per lo più ben calibrata, per quanto emerga qua e là qualche

* Giovanni Maria Leo, Anacreonte: i frammenti erotici. Testo, commento e traduzione (Seminari romani di cultura greca. Quaderni, 18), Roma, Edizioni Quasar 2015, pp. 239.

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residuo della tesi dottorale: a p. 10, per esempio, appaiono forse un po’ scolastiche le notazioni sul simposio, mentre a p. 11 una frase come «il suo [scil. di Anacreonte] statuto poetico fu simile, forse, a quello di Archiloco» richiederebbe precisazioni (poeta soldato? membro di eteria?); a p. 12 il ricorso a ‘prendere in moglie’ non è forse la scelta più felice per il verbo γαμέω (che può indicare, come è noto, il rapporto sessuale tout court: cfr. LSJ9 337 s. v. I 2) del fr. 19 (PMG 424), mentre alle pp. 22-24 si sarebbe forse desiderato almeno un accenno ai componimenti su Artemone (PMG 372, 388), di stampo e ritmo certamente giambici; interessante, ma certamente un po’ ardita, a p. 30, l’interpretazione dell’ὡς τὸ πάρος di Asclep. AP. 12, 46 (= 15 Sens), 4, «come in Anacreonte», con allusione diretta, quindi, a PMG 398, 445. L’interpretazione complessiva – più volte richiamata nel commento ai frammenti e nel complesso convincente – che vede in Anacreonte per molti versi un precursore degli Alessandrini stride però un po’ con la rigida convinzione che L. afferma a più riprese (per es. p. 72 n. 126: «non condivido, per un autore del tardo arcaismo come Anacreonte, l’introduzione del concetto di ambiguità nella descrizione della sua dizione. Personalmente preferisco la definizione di ‘ambivalenza semantica’, o meglio ‘ricchezza semantica’ ossia la contemporanea possibilità di due significati alternativi l’uno all’altro. Essa si sarà risolta in contesto di riuso simposiale»; vd. anche pp. 165 n. 269; 174), e che in qualche caso contrasta (felicemente) con i suoi stessi procedimenti esegetici, per cui sarebbe rischioso ammettere livelli di polisemia e ambiguità nei versi anacreontei, di natura eminentemente performativa. Le cautele sono opportune, e anzi commendevoli, ma l’idea che qualsiasi tipo di ambiguità vada programmaticamente escluso da qualsiasi tipo di poesia performativa e occasionata (anche la poesia drammatica, dunque?) continua a sembrarmi bisognoso di più persuasive argomentazioni. Generalmente puntuali la Traduzione e il Commento, talvolta persino troppo ricco (vd. per es. le nn. 120 sg. alle pp. 64 sg., sui comuni ἐράω e μαίνομαι, o quella a p. 156 su θάλαμος), per quanto la partizione tra la parte introduttiva a ogni frammento, che precede il testo greco, e il commento perpetuo vero e proprio non risulti sempre davvero funzionale (si vedano, per non fare che un solo esempio, per il fr. 2 le pp. 48-50, dove le considerazioni introduttive presuppongono in realtà la lettura del testo). Si tratta in ogni caso di un lavoro probo, scrupoloso e senza dubbio utile. Qui di séguito, alcune note di dettaglio (che privilegiano occasionali dissensi ai più frequenti motivi di consenso) sull’esegesi e sulla versione, frammento per frammento. Fr. 1 Leo = PMG 346 fr. 1 (33-48, 195). Su uno dei testimoni, Suda μ 1470 Α., cfr. anche Bossi 2007, 23 sg. L’adesione all’interpretazione gentiliana (cfr. 34 sg., con qualche distinguo a p. 44), qui, è più dichiarata che argomentata (mentre altrove, e non di rado, L. rimarca i suoi dissensi rispetto all’esegesi di Gentili). A p. 37, nella nota di apparato al v.

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6, escluderei che il papiro (P.Oxy. 2321) rechi ἀπτάλλειν e non l’atteso ἀτιτάλλειν (si noti che τ ha il tratto orizzontale che sporge a sinistra, come avviene qui, assai più di quello di π); non decisiva, a p. 42 (n. 81), pare l’obiezione contro il possibile uso strumentale di ἐκ λεπάδνων (per l’uso strumentale di ἐκ, vd. LSJ9 499 s. v. III 6), che pure sembra anche a me, qui, meno probabile. Quanto alla traduzione dei vv. 6 sg., «ma tu (sei stata?) / nei campi di giacinto» (195), non pare in linea con l’acc. τὰς ὑακιν[θίνας ἀρ]ούρας. Fr. 2 = PMG 346 fr. 4 (48-54, 195). La relazione del frammento con PMG 396 non sarà «così ‘innegabile’ come vuole Burzacchini 1977, p. 261 = Burzacchini 1987, p. 203», ma pare comunque assai probabile, data l’esplicita presenza del verbo πυκταλίζω, qui al v. 1 e là al v. 4. A p. 51, in apparato, una rappresentazione corretta della proposta (alternativa a δῖ’ Ἀφροδίτη[) di Lobel per l’intergrazione del v. 6 sarebbe «6 δι’ Ἀφροδίτη[ν (non -η[-!) vel -τη[ς». A p. 53, Teocrito precede cronologicamente le attestazioni epigrammatiche. Quanto alla χάρις, si vedano ora Neri 2009 e Pontani 2013 (entrambi con bibl.). Fr. 3 = PMG 366 (55-59, 195). L’interpretazione «tre volte saziato» (58) per ὦ τρὶς κεκορημένε non pare molto in linea con la Stimmung esplicitamente scoptica del frammento, malgrado l’ipotizzata anfibologia (‘saziato’/‘scopato’ in senso sessuale). Fr. 4 = PMG 359 (59-67, 196). A p. 60 è lodevole la prudenza circa il valore ironico dell’anafora del nome di Cleobulo, e convincente la collocazione della poesia amorosa di Anacreonte «in nuovi contesti performativi, quali la corte», ma nessuno dei paralleli addotti (frr. 6, 1-3; 7, 1-3 e 6; 8, 2; 13; 29 Gent.) per illustrare il ricorso anacreonteo alle figure di ripetizione senza intenti necessariamente ironici è davvero calzante per l’anafora incipitaria in poliptoto del nostro. A p. 64, quello di Sapph. fr. 16, 3 sg. V., come mostra κῆν(ο), non è un «gen. della persona amata o desiderata», ma un neutro universalizzante. Un po’ troppo (consapevolmente) colloquiale rispetto al greco, invece, la traduzione «Cleobulo, a me mi fa impazzire» (196, cfr. n. 320) per Κλευβούλῳ δ’ ἐπιμαίνομαι (v. 2). Fr. 5 = PMG 372 (67-71, 196). Τra le accezioni erotiche di «μέλω e derivati della stessa radice» (70), si poteva ricordare il μελέδημα di Ibyc. PMGF 288, 2. Sulla complessa tradizione del περιφόρητος Ἀρτέμων, si veda Neri 1997, 154. Fr. 6 = PMG 358 (71-92, 196). A p. 71, nei testimoni, sarebbe stato meglio indicare «(Herodian. gramm.) GG III/1 94,31» perché l’attribuzione da parte di Lentz del canone al grammatico non poggia su basi certe (vd. l’apparato ad l. dello stesso Lentz, 94 sg.); per quanto L. ipotizzi anche qui «una possibile anfibologia» (ma si tratterebbe di definire meglio lo statuto dell’anfibologia nell’ambito della poesia performativa), che πρὸς δ’ ἄλλην τινὰ χάσκει, subito dopo τὴν μὲν ἐμὴν κόμην, / λευκὴ γάρ, καταμέμφεται, possa essere riferito a una donna, e non a una chioma, pare in definitiva meno probabile alla luce della struttura sintattica del

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greco, e che χάσκει indichi solo un’attesa, «forse pure inebetita» (75, cfr. 91 sg.), non pare suffragato da paralleli convincenti – i passi regestati alle pp. 91 sg. valgono solo a dimostrare l’ampiezza della gamma semantica dell’‘aprire la bocca’ – più di quanto non lo sia l’idea gentiliana-giangrandiana della fellatio (su cui, pure, L. solleva legittimi dubbi a p. 75). Buone, alle pp. 78-80, le osservazioni su δηὖτε come «marchio distintivo» «della poesia amorosa»: avrei però aggiunto «simposiale», e non escluderei una genesi potenzialmente (anche) performativa di quel δηὖτε. Alle pp. 80 sg., sulla necessità di tenere distinte le radici di πορφύρα e πορφύρω (che L., sulla base di Weber e altri, tende invece a identificare), si veda, con il DELG 930, anche l’EDG 1223 sg. Tra le (possibili) connotazioni della ragazza di Lesbo registrate alle pp. 86-88, aggiungerei (come mera ipotesi) l’abilità orchestico-musicale (cui è spesso legata la fama di Lesbo), che la connoterebbe in via definitiva come (capace) auletride, e che potrebbe caricare pure il συμπαίζειν di valenze (anche) poetico-musicali: la Stimmung complessiva, nel caso, non sarebbe lontana da quella di Ibyc. PMGF 287 nella rilettura di Plat. Parm. 136e-137a. Un po’ iperconnotata, rispetto al greco, la traduzione di βάλλων (v. 2) con «mi ferisce» (196), che rischia di evocare contesti involontariamente comici, se lo strumento del ferimento è una palla! Fr. 7 = PMG 357 (92-106, 196 sg.). A p. 98 n. 166 era forse opportuno citare (per il termine Μιμαλλόνες) anche Hesych. μ 1367 L. A p. 101 (e alle pp. 104 sg.) non vi sono in realtà controindicazioni nette a intendere ἐπακούειν come inf. iussivo («desiderativo», lo definisce L., con una sfumatura, a p. 104). Fr. 8 = PMG 360 (106-114, 197). A p. 108, per σε, σὺ δ’, parlerei di poliptoto più che di mera allitterazione; a p. 112, posto che non etichetterei come lectio difficilior una congettura (οὐ κλύεις di Buttmann), per il valore ‘forte’ di κλύειν (‘esaudire’) si poteva rimandare anche a Aesch. Ch. 5, mentre sull’inattendibilità dell’epitomatore, che invaliderebbe, «pertanto, ogni sua lezione», occorrerà naturalmente giudicare caso per caso. La traduzione «non lo sai! della mia vita / tieni le redini» (197), per οὐκ εἰδὼς ὅτι τῆς ἐμῆς / ψυχῆς ἡνιοχεύεις (vv. 3 sg.), stacca troppo, mi pare, sintatticamente οὐκ εἰδώς da ἡνιοχεύεις. Fr. 9-11 = PMG 402a-c (114-125, 197). Interessante (e corroborata dall’ottima analisi di ἦθος alle pp. 121 sg.), ma forse un po’ rischiosa in contesti tanto frammentari, l’affermazione di p. 122, per cui in Anacreonte «non vi è compiacimento descrittivo di particolari concreti, ma esaltazione di caratteristiche personali, interiori; tale motivo nobilita il sentimento anacreonteo, ponendolo su un piano superiore di profondità e serietà: non si può scorgere ironia o scherno in affermazioni siffatte, ma forse l’autentico sentire dell’autore». Fr. 12 = PMG 413 (126-132, 197). A p. 126 n. 213 la citazione di Wilamowitz va armonizzata sintatticamente. Fr. 13 = PMG 414 (132-135, 198). A p. 134, la lezione di M, con l’ac-

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cusativo (ἁπαλὴν κόμην, in luogo di ἁπαλῆς κόμης), potrà essere definita stilisticamente deteriore, ma non certo «lectio facilior». Fr. 14 = PMG 400 (135-138, 198). A p. 137, non mi pare che vi siano alternative semanticamente congrue al costrutto apo koinou – sottolineato dall’ordo verborum – di Ἔρωτα (ma forse meglio ἔρωτα, allora, qui e a p. 136) tra κατέδυν e φεύγων: ‘(presso Pitomandro) sono sprofondato nell’eros proprio mentre cercavo di sfuggirgli’, la resa di p. 198 («Di nuovo, accanto a Pitomandro, / annego in Eros – tanto fuggirgli»), al di là del (forse troppo) ricercato «fuggirgli» non pare dar sufficientemente conto dell’aoristo. Fr. 15 = PMG 396 (138-145, 198). Nell’apparato a p. 138, la testimonianza di EM. 345, 38 sg. G. – di fatto sine verbis (πυκταλίζω è registrato con altri ‘lemmi’, infatti) e coincidente, sia pure in forma brevior, con quella di EGen. gl. 65 Cal. – poteva forse essere incorporata in quest’ultima (si tratta del resto della medesima tradizione) e non considerata separatamente, come testimonium a sé; quanto alla convinzione che «la testimonianza del mosaico di II-III d. C. garantisce la negazione» (ὡς μὴ κτλ.), essa è più asserita che argomentata (così anche a p. 144: «è preferibile dal punto di vista critico testuale»), e pare in definitiva poggiare sul lubrico puntello del testis vetustior, tanto più scivoloso se ὡς δὴ κτλ. è «importante varia lectio, la cui genesi potrebbe risalire all’antichità, perfino in contesto di riuso temporale» (141); semmai, soprattutto (ma non solo) se il carme si concludeva così, si potrà rilevare che la negazione toglie vis all’immagine del pugilato con Eros; del tutto condivisibile invece, dato il contesto simposiale (dell’agens come dell’auctor), l’idea che Anacreonte si prepari all’eros e non a una fuga da esso. La traduzione «e corone di fiori porta, su!» (198) rende forse l’iperbato con enjambement ἀνθεμόεντας … / στεφάνους dei vv. 2 sg., ma disinnesca l’insistita anafora del verbo in prima posizione frastica dei vv. 1 sg. (φέρ’ … φέρ’ … / φέρε), e lega inoltre ἔνεικον («su») a στεφάνους piuttosto che a ὡς μὴ κτλ. (come invece presupporrebbe il testo stampato a p. 142 στεφάνους· ἔνεικον κτλ.). Fr. 16 = PMG 407 (145-148, 198). A p. 146 sarebbe stato utile fornire la datazione delle testimonianze iconografiche citate, mentre a p. 147 non avrei dubbi («forse», L.) circa la natura erotica di Archil. fr. 119 W.2 Adeguata al tono ruvidamente erotico del frammento la traduzione «dai, piccolo» (198) per ἀλλὰ … ὦ φίλε. Fr. 17 = PMG 432 (148-151, 198). Convincente, nel complesso, l’interpretazione di πέπειρα come ‘avvizzita’ («sfatta», a p. 198) e non come ‘matura’ (come voleva Vetta 1989, 239). Fr. 18 = PMG 438 (151-153, 198). Manca, qui come altrove (comprensibilmente), una qualche ipotesi circa la contestualizzazione simposiale (e circa la persona loquens: rappresentazione di un amasio troppo timido?) del topos dell’amore-non amore (un po’ troppo prosastica, forse, la resa a p. 198: «e di nuovo amo e pure no, / e sono pazzo e pure no»). Fr. 19 = PMG 424 (153-157, 198). I primi quattro testimoni del frammento sono in realtà uno soltanto ([Ammon.] 31 @ 140 Nickau), e come

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tali andrebbero segnalati anche nell’apparato a p. 153. Se γαμέω allude davvero, come pare anche a me non improbabile, «con precisione al rapporto sessuale» (157), si potrebbe forse rendere altrettanto ambigua la resa di p. 198, ritoccandola in «e il letto dove non prese moglie lui, ma fu preso lui in moglie». Fr. 20 = fr. eleg. 2 W.2 (157-163, 198 sg.). La «dialettica» tra guerra e convivialità, opportunamente richiamata a p. 158, ha i suoi archetipi, in fondo, già sullo scudo di Achille di Il. 18. Fr. 21 = PMG 417 (163-175, 199). A p. 163, Imerio (Or. 9, 19) andava meglio rubricato tra i testimoni parafrastici del v. 10, cui occorre aggiungere Plut. Lib. educ. 18, 13e-f; Eraclito Allegorista, invece, può essere ora citato dall’edizione di F. Pontani (2005, 66). L’assenza dell’accento, infine, non è ovviamente sufficiente a togliere a Giovanni Lami (1742, 58), a favore di Fick 1888, 214, la correzione (non necessaria) δοκεῖς per il tràdito δοκέεις. L’ampia citazione della Rosenmeyer a p. 174 è – curiosamente – parte in traduzione italiana, parte in inglese. Quanto all’interpretazione generale del frammento, occorre chiedersi se sia più economico pensare che la puledra tracia sia un’etera da simposio (come sembra presupporre Heraclit. All. 5, che parla di ἑταιρικὸν φρόνημα) o ricorrere a una «lettura […] letterale, del tutto plausibile proprio perché priva di sovrasensi» (165: in realtà L. pensa comunque che sotto l’immagine della cavalla vi sia «una fanciulla illibata»), ritenere che l’informazione positiva data dal testimone vada «corretta, se non del tutto rifiutata» (164), e pensare (con Acosta-Hughes 2010, 156, Bernsdorff e L.) «che l’apostrofe sia immaginata, cioè che il carme sia stato eseguito a simposio, in assenza del destinatario»: sulla base di questo quadro (assai più che per uno iato forse non così problematico a fine verso), si giustificherebbe la correzione ἐμβαλοίμην, / ἡνίας (di Hanssen 1888, 460), per ἐμβάλοιμι, / ἡ-, che non pare necessaria, come pure l’interpretazione di νηλεῶς come «inevitabilmente, irrimediabilmente» (171) – o addirittura come «per sempre» (199) – piuttosto che come ‘spietatamente’ (così, meglio, i più, soprattutto se «la ‘fuga’ della puledra è solo momentanea»!); la traduzione a p. 199, «pensi un bel niente io sappia», rinuncia di fatto a tradurre σοφόν (v. 4), recuperato, in parte, al verso seguente («Sappi, c a p a c e sarei / a metterti in bocca il morso», per ἴσθι τοι, κ α λ ῶ ς μὲν ἄν τοι / τὸν χαλινὸν ἐμβαλοίμην), mentre «ti pasci dei prati», se λειμῶνας è considerato (giustamente) «acc. di estensione nello spazio» (174), è forse solo un refuso per «nei prati». Fr. 22 = PMG 378 (176-178, 199). A proposito della (possibile) testimonianza di Imerio (Or. 48, 4), non direi che «è più prudente affermare che […] il retore alluda parafrasticamente ad un componimento di Anacreonte altrimenti ignoto» (176), ciò che ne imporrebbe la registrazione come fragmentum sine verbis, ma semplicemente che non vi sono elementi per riferire le parole di Imerio a questo; opportuna è invece la prudenza che induce a non riferire necessariamente allo stesso carme questo frammento e PMG 379 e 445.

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Fr. 23 = PMG 376 (178-181, 199). Era forse opportuno precisare che il frammento menandreo (278 K.-Th.) citato a raffronto è tratto precisamente dalla Leucadia; alquanto improbabile che il frammento vada inteso «dopo essermi arrampicato [ἀρθείς!], dalla rupe verso il mare precipito» (180): meglio, a p. 199, «salto ancora una volta dalla roccia di Leucade / e piombo nel mare pallido, ubriaco d’amore». Fr. 24 = PMG 398 (181-185, 199). Per l’immagine della divinità bambina (anzi, dell’ipostasi divina in forma di παῖς) che gioca (a dadi, o al tavoliere), si poteva richiamare il celebre Heraclit. FdV 22 B 52 αἰὼν παῖς ἐστι παίζων, πεσσεύων· παιδὸς ἡ βασιληίη, poi più o meno esplicitamente ripreso (con la πεσσεία che si muta in dadi) nella discussione fisico-cosmologica del Novecento, da A. Einstein (lettera a N. Bohr del 4.12.1926) a S. Hawking (in Penrose 19961). Se il δ(έ) del v. 1 sia avversativo non è naturalmente possibile dire, in assenza di contesto: troppo confidente, perciò, il «ma» incipitario della traduzione a p. 199. Fr. 25 = PMG 439 (185 sg., 199). «Il genere di πλέξαντες» (186) non è ovviamente un argomento per escludere un rapporto eterosessuale, mentre l’assenza dell’articolo lo è per n o n tradurre «q u e l l i c h e intrecciano cosce a cosce». Fr. 26 = PMG 444 (187-189, 199). Se «la forma γεγανωμένος è invece prosaica» (187) e «non appartiene forse al dettato originale anacreonteo» (188), essa non andrebbe spazieggiata nel testo, così come neppure μύρων ἀνάπλεως, se è «parafrasi plutarchea» (188): nella traduzione a p. 199, «reso lucido» è in tondo (come testo anacreonteo) e «pieno d’unguenti» in corsivo (come parafrasi?). Fr. 27 = PMG 445 (189-193, 200). Nell’apparato a p. 190 occorrerà scrivere «quae οὐκ εἰδότες initium fragmenti alterius latere censet», mentre a p. 191 la «più recente» attestazione di P.Oxy. 3695 fr. 12, 19 Ἔρω] τος βέλος, ὦ [παῖ non può ovviamente essere invocata a supporto di Eroti, al plurale, in età (tardo-)arcaica; quando βέλος viene «usato per ‘spada’» (192) – e ai passi citati nella n. 316, Ar. Ach. 345 e Soph. Ai. 658, occorrerà aggiungere Eur. El. 1217 – il valore è piuttosto quello generico di ‘arma’. Indispensabili per un poeta variamente edito come Anacreonte, le Tavole di concordanza non sono in realtà di fruizione immediata, perché – redatte secondo il criterio economicistico degli Iambi et Elegi Graeci – gravitano in realtà sia sulla numerazione di Gentili, sia su quella dei PMG, i cui numeri sono entrambi riportati in sequenza, in neretto, nella colonna di sinistra, in modo che indicazioni del tipo

Gent.

P. (PMG)

Rosk.

P. (PMG)

Rosk.

Gent.

1 (346)

3 (348)

5

60-70 et p. 51



2 (347)

4 (349)

6

71-73

60-70 et p. 51

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vanno intese nel senso che fr. 1 Gentili = PMG 3 (348) = fr. 5 Rosokoki; fr. 2 Gentili = PMG 4 (349) = fr. 6 Rosokoki; PMG 1 (346) = frr. 60-70 (+ p. 51) Gentili mentre fr. 1 Rosokoki manca in Gentili; PMG 2 (347) = frr. 7173 Gentili e fr. 2 Rosokoki = frr. 60-70 (+ p. 51) Gentili, e così via (e forse sarebbe bastata una nota esemplificativa). Le equivalenze con i frammenti giambici ed elegiaci nell’edizione di West, non intabellate, sono date in forma discorsiva nelle righe di introduzione alle Tavole, dove suona un po’ incongrua la formulazione incipitaria «La prima è una tabella comparativa», visto che nulla si dice della seconda (si tratta, in effetti, delle due dimensioni di una stessa tabula). Completa, come si è detto, la Bibliografia, in cui non si registrano assenze di rilievo tranne forse, tra le edizioni di Anacreonte, quella edimburghese del 1754 (Αἱ του Ἀνακρεοντος ωιδαι, και τα Σαφους, και Ἐριννας λειψανα [sic], Edinburgi 1754; il solo PMG 396 è anche in Τὰ σωζόμενα τῶν ἐλεγειακῶν καί τινων τῶν λυρικῶν ποιητῶν. προστίθενται καὶ σχόλια τινά, Ὀξόνια 1759, 110) e quella di E. A. Möbius, Anacreontis quae feruntur carmina. Sapphus et Erinnae fragmenta, Gothae-Erfordiae 1826 (limitatamente alle pp. 87-95). Quanto alle Abbreviazioni, quelle come «Bgk.» per Bergk, «Schnw.» per Schneidewin sono ancora comprensibili, ma «Hll.» per Hiller e addirittura «Hffmn.» per Hoffmann, «Lbck.» per Lobeck, «Vlckn.» per Valckenaer sanno un po’ di ‘codice fiscale impazzito’. «Porro 2008» (cfr. 11 n. 8), invece, non figura in bibliografia (si tratta di Antonietta P., Al di là delle convenzioni: Anacreonte nella cultura ellenistica, «SemRom» 11/2, 2008, 199-215). Alcune indicazioni bibliografiche paiono un po’ farraginose e incoerenti (per es. a p. 3 «The Beazley Archive Pottery Database» andrebbe posto in corsivo e l’indirizzo «http:// www.beazley.ox.ac.uk/cva/default.htm» in tondo; alle pp. 4 sg. e 207 sg. indicazioni come «edidit Th. B.», «ed. E. D.», ecc. andrebbero in tondo; lo scioglimento della sigla «Bachm.» è inutilmente complicato; «H. Seidl.» è l’unica sigla dove figura anche l’iniziale del nome; per Diehl era preferibile scrivere Anthologia lyrica (Graeca) visto che l’etnico non compare in tutti i volumi e in tutte le edizioni; in qualche caso sono indicate le pagine delle sezioni anacreontee in opere più ampie e in altri no; le edizioni originali di traduzioni in altra lingua sono ora segnalate, ora no; e così via) e avrebbero potuto forse essere semplificate e regolarizzate. Negli Indici, si potevano forse unificare le voci «eros», «erotico» ed «erotismo» (227 sg.), «giambico» e «giambo» (228), «metrica» e «metro», «omoerotico», «omoerotismo» e «omosessualità» (229), «ritmico» e «ritmo», «simposiasti» e «simposio» (230), e in quello delle parole greche precisare caso e numero (e dunque funzione sintattica) in caso di ambiguità, come d’uso negli indices verborum (non ce n’era invece bisogno per «ὦναξ (voc.)» a p. 231 o per «κατῆξας (aor.)» a p. 232), mentre in quello dei passi discussi vanno invertiti i primi due lemmi s. v. «Alcmane». Lo stile, sempre molto personale, si fa non di rado un po’ faticoso e in-

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voluto, anche dal punto di vista sintattico (per es., p. 35: «L’ultima strofe e il finale descrivono l’avvenuta maturazione per Erotima, ma tale sarà stato anche per tutte quelle giovani che hanno abbandonato la tutela materna»; p. 189: «Tuttavia, nei principali studi su Eros, esso non ha trovato adeguata considerazione, anche perché dedicati solo in parte all’immagine delle frecce»), per le molte ripetizioni (per es. p. 151: «quella poesia di contrasti che sembra essere cifra di molta poesia»), per i ravvicinati cambi di soggetto (cfr. p. 45, nel commento a ……]δ’), per l’uso del gerundio pendens e di abbreviazioni anche nelle parti discorsive, per i riferimenti sovrabbondanti (con una sorta di comparatio numerorum permanente nel corpo del testo!), e soprattutto per la presenza dei frequenti incisi (parentesi, tratti inglesi, ecc.), e delle numerose citazioni – non sempre armonizzate in modo da lasciare trasparire l’interpretazione dell’A. – di cui è tramato il commento, che ricorda talora la struttura di quelli cum notis variorum. Anche la forma, nel complesso, avrebbe beneficiato di un’ulteriore revisione1.

1 Segnalo solo qualche necessaria correzione: la pagina di dedica e quelle del sommario non sono numerate; a p. 9 n. 3 r. 4 si legga «214,»; 11 r. 21 «appassionato»; 12 n. 13 r. 4 «μυθιῆται–ἱρὸν ἄστυ»; 14 r. 29 «avvenimento»; 15 rr. 5 e 18 «enjambement», n. 25 r. 1 «colonia ateniese»; 18 r. 10 «Della mia vita», r. 23 «aurochiomata»; 21 r. 15 «πόθῳ στίλβων … μύρων ἀνάπλεως καὶ γεγανωμένος» (le parole del testimone, Plut. Amat. 751a, che stanno in mezzo, non si armonizzano con il contesto citante di L.); 24 r. 1 «hemiepes» (in corsivo); 26 n. 45 r. 3 «evidenziando»; 38 r. 18 «non sembri»; 39 r. 22 «Merkelbach»; 40 r. 14 «libera»; 42 n. 80 r. 4 «κ]ὰ τῶν»; 52 r. 25 «ἐκφυγών»; 55 n. 106 r. 3 «αὐτοὶ»; 67 r. 34 «ἀπὸ τούτου» e «περιφόρητοι», rr. 41 sg. «περιφόρητος»; 68 r. 17 «τακεὶς», r. 29 «γάρ,»; 79 r. 12 «ἄπει/ρα»; 81 r. 34 «possibile»; 82 r. 9 «Νη/ρεΐδων», r. 20 «χρυσοστέφαν’ Ἀφροδίτα»; 83 n. 148 r. 3 «μᾶλλον», r. 4 «ἔθελχθεν»; 84 r. 25 «e – conclude –»; 85 r. 16 «χαλκωθεὶς»; 86 r. 2 «προκάλεσσαι», r. 3 «ἐξαῦτις»; 89 r. 17 «τοὺς τοκῆας», r. 18 «τοὺς»; 90 r. 11 «ἀνθρώπων», n. 156 r. 4 «sostegno»; 91 r. 4 «costruzione»; 92 r. 1 «ἐπὶ(ί)»; 93 n. 158 r. 2 «Panyagua»; 96 rr. 17 sg. «assogget-/tamento»; 97 r. 26 «parallelismo»; 99 r. 13 «χερσὶν»; 102 r. 14 «δ(έ)»; 103 r. 23 «degli ultimi decenni»; 104 r. 4 «superstiti», r. 11 «ebbrezza» (così anche in séguito, 140 n. 230 r. 2; 141 r. 7; 145 rr. 7 e 14; 179 r. 32; 181 r. 24), r. 27 «Panyagua»; 105 r. 12 «δεξαμένη»; 108 r. 32 «βλέπουσαν»; 109 n. 181 r. 1 «δεδορκώς»; 110 r. 18 «mutuandole»; 114 r. 20 «τῶν»; 115 r. 23 «suggellato», r. 34 «corresponsione»; 116 r. 18 «soprattutto»; 117 r. 15 «discorso χαρίεις», r. 27 «Riguardo al senso»; 119 n. 205 r. 3 «Κρονίδης.»; 120 r. 17 «τεθνεώς», r. 21 «dall’indole χαρίεσσα»; 122 r. 35 «εἶναι»; 123 n. 207 r. 2 «ὄμματα κάλ’»; 124 r. 7 «χαρίεσσαι capacità», n. 210 r. 2 «μέτωπον»; 125 r. 33 «ἐπαΐξαι», r. 34 «Ἄρηϊ /», r. 35 «ἐόντα /», «αἴ κε»; 129 r. 29 «ma anche ‘tagliare’»; 133 r. 15 «praep. soph.», r. 16 «οὕτως»; 136 r. 13 «κλίνη», r. 14 «ἔς ῥα», r. 36 «εἷμα»; 137 r. 5 «ἐλθὼν δ’»; 143 r. 23 «Φυλάκην», r. 28 «κελέβην»; 145 r. 20 «μηρούς·», r. 22 «φασί,», n. 240 r. 10 «κὰδ»; 146 r. 7 (e 238 c. I r. 32) «Sèvres»; 147 r. 2 «σοί,»; 148 r. 1 «Κυπρογένει’», r. 3 «ἐπανθοῦσαν», r. 10 «χαμαιζήλοιο», r. 15 «σχίζω»; 151 r. 18 (evitare l’a capo «Hepha-/est-»); 154 r. 29 «Symp.»; 156 n. 256 r. 4 «οὗ»; 157 r. 24 «spetterebbe a lei», r. 28 «εὐωχεῖται»; 158 n. 259 r. 6 (e p. 159 r. 7) «δακρυόεντα»; 159 n. 260 r. 1 «ἀνὲρ», r. 2 «σφυχὲ», r. 3 «hεροιάδο»; 160 n. 261

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In conclusione, si tratta di un lavoro serio e utile, che arricchisce senza dubbio il panorama degli studi anacreontei, in vista di una ormai necessaria nuova edizione critica, con traduzione e commento perpetuo. Di cui questo Anacreon in love, opera di uno studioso cresciuto alla scuola di Bernsdorff, è prima, corposa entrée. Camillo Neri

Bibliografia Acosta-Hughes 2010 = B. Acosta-Hughes, Arion’s lyre. Archaic lyric into Hellenistic poetry, Princeton-Oxford 2010. Bossi 2007 = F. Bossi, Nota a Hippon. fr. 108 (POxy. 2175,5), 10 Dg., «ZPE» 159, 2007, 23-24. DELG = P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque. Histoire de mots, 1968-1980 (19992). EDG = R. Beekes, Etymological dictionary of Greek, Leiden-Boston 2010. Fick 1888 = A. Fick, Die Sprachform der altionischen und altattischen Lyrik, «Bezzenbergers Beiträge» 13/3-4, 1888, 173-221, 208-216. Hanssen 1888 = F. Hanssen, Miscellanea Graeca, «AJPh» 9/4, 1888, 457463. Lami 1742 = Ἀνακρέοντος Τηΐου μέλη. Anacreontis Teii carmina, ed. G. Lami, Florentiae 1742. Lentz = Herodiani technici reliquiae, coll., disp., emend., expl., praef. est A. Lentz, in Grammatici Graeci, III/1, Lipsiae 1867. Neri 1997 = C. Neri, Il figlio di padre Caprese (Ar. Ach. 848-853), «Lexis» 15, 1997, 149-158. Neri 2009 = C. Neri, La χάρις degli dèi (Bacch. 3,37-39 ~ Aesch. Ag. 182s. ~ Hdt. I 207,1), «Paideia» 64, 2009, 253-302. Penrose 19961 = S. H.-R. Penrose, La natura dello spazio e del tempo, trad. it. Milano 19961, ed. or. Princeton 1996.

r. 1 «οὔτ’»; 163 rr. 33 sg. (evitare l’a capo Wil-|amowitz); 167 r. 2 «acataletto»; 168 r. 14 «πτηνὸς», r. 34 «ἀρχαία»; 169 n. 279 r. 5 (togliere il «ma» prima di «sondern»); 172 rr. 3 sg. (evitare l’a capo pra-|ecepta); 173 r. 7 «ἡνίας»; 174 r. 9 «ζείδωρον», r. 41 «divertimenti»; 175 r. 23 «ἐπεμβάτην»; 176 r. 3 «δή», r. 19 «facessero riferimento»; 178 r. 14 «(so with ἀήταις in epic)»; 179 r. 38 «μεθυσθείς,»; 181 r. 36 «κυδοιμοί, Ἀνακρέων»; 188 r. 4 «λαῷ», r. 25 «νοσώδεις»; 189 r. 11 «ὑπεροφθῇ», r. 12 «ῥήματα·», r. 14 «καλοῦ»; 210 rr. 14 sg. «Schul- und Privatgebrauch» e «Einleitungen»; 212 r. 18 «Actes»; 213 r. 14 «García-Ramón» (bis: il lemma relativo va anteposto a quello di García Yagüe); 214 r. 20 «Anacreon’s»; 216 r. 10 «un précis», r. 26 «poésie», r. 39 «impériale»; 218 r. 30 «πραγματείαν»; 219 r. 45 «γλῶσσαι»; 221 r. 37 «der griechischen»; 222 r. 25 (sopprimere la virgola prima della parentesi); 223 rr. 33, 35, 36 «Moellendorff»; 231 c. II r. 6 «δεξιός: -όν»; 232 c. II r. 40 «-έσθω»; 233 c. Ι r. 19 «ὅς», c. ΙΙ r. 12 «πτοέω».

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Pontani 2005 = Eraclito, Questioni omeriche. Sulle allegorie di Omero in merito agli dèi, introd., testo, trad. e note a cura di F. Pontani, Pisa 2005. Pontani 2013 = F. Pontani, Noblest «charis»: Pindar and the scholiasts, «Phoenix» 67/1-2, 2013, 23-42. Porro 2008 = A. Porro, Al di là delle convenzioni: Anacreonte nella cultura ellenistica, «SemRom» 11/2, 2008, 199-215. Vetta 1989 = Aristofane, Le donne all’assemblea, a cura di M. Vetta, trad. di D. Del Corno, Milano 1989.

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