Arbitrato e accertamento tecnico preventivo

July 3, 2017 | Autor: Giovanni Bonato | Categoria: ARBITRAGEM
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Diritto Processuale Civile a cura di Sergio Chiarloni con Chiara Besso e Achille Saletti

ARBITRATO E TUTELA CAUTELARE Corte costituzionale, 28 gennaio 2010, n. 26, pag. 1647. L’arbitrato, l’accertamento tecnico preventivo e la Corte costituzionale, di Giovanni Bonato.

MORTE DELLA PARTE Cassazione civile, Sezioni unite, 16 dicembre 2009, n. 26279, pag. 1652.

SOSPENSIONE DEI TERMINI PROCESSUALI Cassazione civile, Sezioni unite, 24 novembre 2009, n. 24665, pag. 1656. Brevi note sulla disciplina della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale di Elisa Annamaria Daniele.

INCOMPETENZA TERRITORIALE Tribunale Milano, 10 novembre 2009, pag. 1662. Rilevabilita` d’ufficio dell’incompetenza territoriale in materia di contratti stipulati tra professionista e consumatore: un principio che si consolida nel tempo, di Ida Usuelli.

Tribunale Catanzaro, 30 ottobre 2009 (ordinanza), pag. 1667. Sul rispetto dell’onere di contestazione anche in caso di incolpevole ignoranza e sugli effetti della mancata contestazione, di Giorgio Frus.

INTERESSI COLLETTIVI DEI CONSUMATORI Tribunale Milano, VI Sezione, 6 ottobre 2009 (ordinanza), pag. 1671. Tribunale Milano, VI Sezione, 21 dicembre 2009 (ordinanza), pag. 1672. Tutela individuale e tutela collettiva del consumatore dalle pratiche commerciali scorrette fra diritto sostanziale e processo, di Andrea Giussani.

PENALE PER INADEMPIMENTO Tribunale Trani, Sezione distaccata Andria, 24 ottobre 2008, pag. 1679. Sul rapporto tra la domanda di adempimento e quella per la penale per inadempimento di Valeria Citarella.

ARBITRATO E TUTELA CAUTELARE Corte costituzionale, 28 gennaio 2010, n. 26 — Amirante Presidente — Criscuolo Relatore — T.M.E. s.p.a. ed altri (avv. Bussoletti) - Veolia Servizi Ambientali s.p.a. e altri.

parte in cui, escludendo l’applicazione dell’art. 669 quinquies, impedisce, in caso di stipulazione di una convenzione d’arbitrato o di pendenza di un giudizio arbitrale, l’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo, di cui all’art. 696. I provvedimenti di istruzione preventiva hanno natura cautelare e, visto il divieto dell’art. 818, non possono essere concessi dagli arbitri (1).

Provvedimenti cautelari — Convenzione d’arbitrato — Pendenza di giudizio arbitrale — Accertamento tecnico preventivo — Espletamento — Esclusione — Illegittimita` costituzionale — Sussistenza (Cost. artt. 3, 24;C.p.c.artt.669quinquies,669quaterdecies,696,818).

(1) L’arbitrato, l’accertamento tecnico preventivo e la Corte costituzionale

E` costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., l’art. 669 quaterdecies c.p.c. nella

1. Con la sentenza del 28 gennaio 2010, n. 26, la Corte costituzionale interviene sul rapporto tra arbi-

Per il testo della sentenza v. www.giurcost.it oppure www.cortecostituzionale.it

Giurisprudenza Italiana - Luglio 2010

DIRITTO PROCESSUALE CIVILE

CONTESTAZIONE GENERICA

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Diritto Processuale Civile | ARBITRATO E TUTELA CAUTELARE

trato e tutela cautelare per dichiarare «l’illegittimita` costituzionale dell’articolo 669 quaterdecies del codice di procedura civile, nella parte in cui, escludendo l’applicazione dell’articolo 669 quinquies dello stesso codice ai provvedimenti di cui all’art. 696 cod. proc. civ., impedisce, in caso di clausola compromissoria, di compromesso o di pendenza di giudizio arbitrale, la proposizione della domanda di accertamento tecnico preventivo al giudice che sarebbe competente a conoscere del merito». Questa la vicenda giudiziaria nell’ambito della quale e` sorto l’incidente di costituzionalita` sull’art. 669 quaterdecies c.p.c. Chiesto l’espletamento di un accertamento tecnico preventivo ante causam, al fine di verificare lo stato e la qualita` di alcuni impianti inceneritori, il Presidente del Tribunale di La Spezia rigetta la relativa istanza, in seguito all’eccezione di patto compromissorio proposta dalla controparte, ritenendo che in caso di stipulazione di una convenzione d’arbitrato resti preclusa alle parti la possibilita` di ottenere un provvedimento d’istruzione preventiva, ostandovi il disposto dell’art. 669 quaterdecies. Adito in sede di reclamo, il Tribunale di La Spezia solleva la questione di legittimita` costituzionale dell’art. 669 quaterdecies nella parte in cui, escludendo — salva l’eccezione dell’art. 669 septies — l’applicazione del rito cautelare uniforme (e, in particolare, dell’art. 669 quinquies che interessa nel caso di specie) ai provvedimenti di istruzione preventiva, preclude la proposizione della domanda di accertamento tecnico preventivo, qualora sia stata stipulata una convenzione d’arbitrato o sia pendente il relativo giudizio. Ricordato che l’art. 818 c.p.c. impedisce agli arbitri di emanare dei provvedimenti cautelari, la stipulazione di un patto compromissorio, ad avviso del giudice a quo, provoca un evidente e incostituzionale vuoto di tutela, non essendo possibile ovviare al pregiudizio irreparabile dato dall’alterazione dello stato dei luoghi e, in generale, di tutto quello che puo` essere oggetto di accertamento tecnico preventivo. Invocando come parametri costituzionali gli artt. 3 e 24 Cost., il rimettente specifica, altresı`, che il dubbio di costituzionalita` della disposizione impugnata non e` superabile ne´ con il ricorso all’analogia ne´ grazie all’interpretazione costituzionalmente orientata 1. La questione di legittimita` costituzionale viene accolta dalla Corte, la quale, incidendo sull’art. 669 quaterdecies, ammette che, in caso di compromesso, di clausola compromissoria o di pendenza di giudizio ar-

bitrale, la domanda di accertamento tecnico preventivo e` proponibile al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito. Nello stabilire che l’assunzione anticipata della prova possa essere disposta anche in presenza di una convenzione d’arbitrato, la sentenza in esame merita la nostra approvazione in quanto evita un’evidente menomazione del diritto di difesa, che sarebbe derivata dall’accoglimento della soluzione contraria. Tuttavia, la motivazione elaborata dalla Corte delle leggi solleva alcune perplessita`, sia in relazione al tipo di decisione emanata (di accoglimento, anziche´ di manifesta inammissibilita` o, quantomeno, di rigetto, come sarebbe stato, all’opposto, preferibile) sia rispetto ad alcuni dubbi interpretativi che potrebbero sorgere sull’individuazione del giudice competente a decidere sulla domanda di cautela del diritto alla prova.

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Sull’ordinanza di rimessione del Tribunale di La Spezia, del 31 ottobre 2008, v., in senso critico, Delle Donne, Ancora sui rapporti tra arbitrato (anche irrituale) e accertamento tecnico preventivo: e` davvero illegittimo l’art. 669 quaterdecies nella parte in cui non prevede l’applicabilita` a tali cautele dell’art. 669 quinquies?, in www.judicium.it. 2 Sulla natura cautelare dell’istruzione preventiva, tra gli altri, v. Calvosa, voce “Istruzione preventiva”, in Noviss. Dig. It., IX, Torino, 1963, e 310 segg.; Trisorio Liuzzi, voce “Istruzione preventiva”, in Digesto Priv., X, Torino, 1993, 242 e segg., spec. 244, secondo cui «risulta con chiara evidenza, la natura cautelare del procedimento in questione»; Salvaneschi, I provvedimenti di istruzione preventiva, in Riv. Dir. Proc., 1998, 800 e segg., spec. 801; Romano, La tutela cautelare della prova nel processo civile, Napoli, 2004, 3 e segg.; Besso, La prova prima del Giurisprudenza Italiana - Luglio 2010

2. Soffermiamoci, innanzitutto, sugli argomenti condivisibili della decisione. Richiamando la propria precedente sentenza del 16 maggio 2008, n. 144 (su cui v. infra), la Corte ribadisce che i provvedimenti di istruzione preventiva hanno natura cautelare, come, d’altra parte, viene generalmente riconosciuto 2. A questo proposito, si puo` solo ricordare che in ragione dell’oggetto delle misure in discorso (la tutela del diritto processuale alla prova dal pericolo che questa non possa piu` essere assunta durante il giudizio di merito) una parte della dottrina parla di «natura solo latamente cautelare» 3. Sempre in relazione alla tutela cautelare, nella motivazione della sentenza in commento si ricorda che «tale forma di tutela rappresenta una componente della stessa funzione giurisdizionale» 4. Successivamente la Corte aggiunge che: «l’autonomia tra gli atti di istruzione preventiva e il giudizio principale, non esclude la natura cautelare delle relative misure, ne´ fa venir meno il collegamento con il giudizio di merito»; «non sussiste incompatibilita` tra la normativa generale sui provvedimenti cautelari e la disposizione concernente l’accertamento tecnico preventivo», in ragione del fatto che quest’ultimo «non richiede l’instaurazione entro un dato termine del giudizio ordinario, mentre nel procedimento uniforme, se la domanda sia stata proposta prima della causa di merito, l’ordinanza di accoglimento deve fissare un termine perentorio per l’inizio del giudizio stesso, ai sensi e con le modalita` di cui all’art. 669 octies cod. proc. civ.». Anche questo punto e` pacifico: l’attenuazione del processo, Torino, 2004, 224, la quale afferma che «la natura cautelare del procedimento di istruzione preventiva non e` mai stata negata». 3 Cosı` Punzi, Il processo civile. Sistema e problematiche, Torino, 2010, III, 40 e 76. 4 Forse non sarebbe stato superfluo un esplicito riferimento all’essenzialita` della tutela cautelare, destinata a garantire la stessa effettivita` della tutela giurisdizionale dei diritti, come avvenuto, tra le altre, in Corte cost., 23 giugno 1994, n. 253, in Giur. It., 1995, 409, con nota di Consolo, ove si legge che la tutela cautelare e` «strumentale all’effettivita` della stessa tutela giurisdizionale»; e Id., 7 novembre 1997, n. 326, nella quale si afferma che «il principio secondo cui ogni situazione giuridica deve poter trovare un suo momento cautelare, che va raffigurato come componente essenziale della stessa tutela giurisdizionale».

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vincolo di strumentalita` con il giudizio di merito per i provvedimenti di istruzione preventiva non ha fatto sollevare ragionevoli dubbi sulla loro natura cautelare, semmai ha potuto giustificare (insieme alla particolarita` del loro oggetto) la previsione di una disciplina procedimentale distinta e autonoma, rispetto a quella disegnata dagli artt. 669 bis e segg. 5 Sull’argomento la Corte sembra, tuttavia, dimenticare che la legge n. 80/2005 ha introdotto il regime della c.d. strumentalita` “attenuata” o “allentata” per i provvedimenti d’urgenza, per gli «altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, previsti dal codice civile o da leggi speciali» e per «i provvedimenti emessi a seguito di denunzia di nuova opera o di danno temuto ai sensi dell’articolo 688» (art. 669 octies, comma 6) 6. Attualmente, quindi, l’attenuazione della strumentalita` con il giudizio di merito non e` una caratteristica dei soli provvedimenti di istruzione preventiva, riguardando anche i provvedimenti cautelari dell’art. 669 octies, comma 6. Quanto al rapporto che intercorre nel sistema italiano tra la tutela cautelare e l’arbitrato, la Corte rileva che in forza dell’art. 669 quinquies e in ragione del disposto di cui all’art. 818, gli arbitri, salva diversa disposizione di legge, non hanno il potere di pronunciare provvedimenti cautelari, la cui emanazione va chiesta al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito, anche in caso di arbitrato irrituale 7.

Sul punto non sorge nessun dubbio interpretativo, poiche´ in presenza del chiaro — ma criticabile — dato testuale dell’art. 818, non possiamo che prendere atto del divieto per gli arbitri di emanare provvedimenti cautelari 8, divieto in cui si devono ricomprendere anche i provvedimenti di istruzione preventiva 9. A questo proposito, possiamo aggiungere che ammettere l’istruzione preventiva arbitrale non solo sarebbe contrario al divieto dell’art. 818, ma, quantomeno in relazione alle istanze proposte ante causam, risulterebbe anche inopportuno dal momento in cui i tempi richiesti per pervenire alla costituzione del collegio arbitrale impedirebbero di acquisire rapidamente la prova a rischio di dispersione, frustrando le esigenze di tutela del diritto 10. Condivisibile fino a questo punto, la sentenza in commento solleva, tuttavia, alcune perplessita`. 3. La Corte, facendo proprie le censure elaborate dal giudice a quo in riferimento alla disposizione impugnata, sceglie di emanare una sentenza di accoglimento additiva 11, considerata una soluzione obbligata: poiche´ «il dato testuale», di cui all’art. 669 quaterdecies, «rileva in modo univoco» l’inapplicabilita` del rito cautelare uniforme ai provvedimenti di istruzione preventiva, il giudice statale non puo` disporre l’assunzione anticipata della prova in presenza di una convenzione d’arbitrato o in caso di pendenza del relativo giudizio, non potendo fondare la propria competenza sull’art.

5 Cosı` prima della legge n. 80/2005 v. Trisorio Liuzzi, op. cit., 243; Salvaneschi, op. cit., 800 e seg., che parla di vincolo di strumentalita` «estremamente attenuato». 6 Sul punto si rinvia, per tutti, a Punzi, op. cit., 50 e segg. Per la critica alla nozione di strumentalita` attenuata in relazione ai provvedimenti cautelari anticipatori v. Carratta, I nuovi riti speciali fra «decodificazione» e «sommarizzazione», in Davanti al giudice. Studi sul processo societario a cura di Lanfranchi, Carratta, Torino, 2005, 67 e segg., spec. 132 e segg. 7 La legge n. 80/2005, modificando l’art. 669 quinquies, ha esplicitamente ammesso che il giudice statale puo` emanare un provvedimento cautelare anche in presenza di una convenzione per arbitrato irrituale. Sul punto si rinvia a Punzi, op. cit., 42 e seg. 8 Il divieto per gli arbitri di disporre provvedimenti cautelari, confermato dalla terza riforma dell’arbitrato, di cui al D.Lgs. n. 40/2006, dipende da una precisa scelta di politica legislativa che appare criticabile in quanto estesa anche ai provvedimenti cautelari in corso di causa, come dimostra, tra l’altro, il fatto che la maggioranza dei sistemi stranieri adotta la soluzione opposta a quella del legislatore italiano. In questo senso, Carpi, I procedimenti cautelari e l’esecuzione nel disegno di legge per la riforma urgente del c.p.c.: la competenza e il procedimento, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 1990, 1255 e segg., spec. 1259; Luiso, Arbitrato e tutela cautelare nella riforma del processo civile, in Riv. Arb., 1991, 253 e segg.; Punzi, op. cit., 218 e segg., che parla di «una precisa scelta di politica legislativa non certo imposta dalla natura dell’arbitrato»; Odorisio, Il potere degli arbitri di disporre la sospensione dell’efficacia delle delibere assembleari, in Davanti al giudice. Studi sul processo societario a cura di Lanfranchi, Carratta, cit., 491 e segg., spec. 505; G.F. Ricci, Art. 818. Provvedimenti cautelari, in Arbitrato a cura di Carpi, Bologna, 2007, 481 e segg.; Auletta, Cognizione sommaria e giudizio arbitrale, in Diritto dell’arbitrato rituale a cura di Verde, Torino, 2005, 493 e segg.; Carlevaris, La tutela cautelare nell’arbitrato internazionale, Padova, 2006, 260, secondo cui «nessuna intrinseca ragione teorica si oppone al riconoscimento agli arbitri di poteri in materia cautelare»; Ghirga, Art. 818 (Provvedimenti cautelari), in La nuova disciplina dell’arbitrato a cura di Menchini, Padova, 2010, 310 e segg. Si ricorda che, in deroga al generale

divieto di cui all’art. 818, e` stato conferito agli arbitri il potere cautelare di sospendere l’efficacia della delibera impugnata nell’ambito dell’arbitrato societario (art. 35, comma 5, D.Lgs. n. 5/2003) su cui si rinvia, tra gli altri, a Carratta, Art. 2378. Procedimento di impugnazione, in Il nuovo processo societario a cura di Chiarloni, Bologna, 2004, 1134 e segg., spec. 1196 e segg.; Odorisio, op. cit., 491 e segg. 9 In questo senso, oltre agli autori citati alla nota precedente, v. anche E.F. Ricci, La prova nell’arbitrato rituale, Milano, 1974, 69; Tarzia, Istruzione preventiva e arbitrato, in Riv. Arb., 1991, 719 e segg.; Salvaneschi, Sui rapporti tra istruzione preventiva e procedimento arbitrale, ivi, 1993, 617 e segg.; Cecchella, Il processo e il giudizio arbitrale, in L’arbitrato a cura di Cecchella, Torino, 2005, 201, nota 28; Tota, Arbitrato e istruzione preventiva, in Arbitrato, ADR conciliazione a cura di Rubino-Sammartano, Bologna, 2009, 557 e segg. Al contrario, La China, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, 3a ed., Milano, 2007, 148, ritiene che gli arbitri, ma solo nel corso del giudizio, possano disporre l’assunzione preventiva della prova, ma al tempo stesso afferma «che stesso codice sembra escludere dal novero delle misure propriamente cautelari» i provvedimenti di istruzione preventiva; in senso analogo Rubino-Sammartano, Il diritto dell’arbitrato, 5a ed., Padova, 2006, 715, ammette l’istruzione preventiva da parte degli arbitri dopo la proposizione dell’atto introduttivo del giudizio. 10 Per queste considerazioni v. E.F. Ricci, op. cit., 69 e seg.; Salvaneschi, op. cit., 619; Carlevaris, op. cit., 267; Tota, op. cit., 557 e seg. 11 Come ricordato da Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, Padova, 1984, II, 2, 403 e seg., le sentenze additive, appartenenti alla categoria delle decisioni «interpretative di accoglimento» o «manipolative», dichiarano l’incostituzionalita` di un’omissione «che, a volte, significa propriamente esclusione, ed in tali casi l’annullamento della parte (idealmente scorporabile) della disposizione che «non dice» elimina un ostacolo all’espandersi, e conseguentemente all’applicabilita`, della norma in essa contenuta alle ipotesi implicitamente (ed illegittimamente) escluse». Sulla struttura delle sentenze additive si rinvia anche a Cerri, Corso di giustizia costituzionale, Milano, 2008, 260 e segg. Giurisprudenza Italiana - Luglio 2010

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669 quinquies. Quindi, dopo aver ricordato che, in presenza di un «univoco tenore della norma» impugnata, il tentativo dell’interpretazione conforme al dettato costituzionale «deve cedere il passo al sindacato di legittimita` costituzionale», la Corte osserva che «l’esclusione dell’accertamento tecnico preventivo dall’ambito applicativo definito dall’art. 669 quaterdecies cod. proc. civ., con conseguente inapplicabilita` dell’art. 669 quinquies», viola: l’art. 3 Cost., nella misura in cui l’art. 669 quaterdecies crea un’irragionevole disparita` di trattamento rispetto agli altri provvedimento cautelari (in particolare con il sequestro giudiziario di beni, di cui all’art. 670, n. 2, c.p.c., avente anch’esso la funzione di garantire l’effettivita` dell’istruzione probatoria di un giudizio di merito), la cui concessione non e` impedita dalla stipulazione di una convenzione d’arbitrato; l’art. 24, comma 2, Cost., in quanto «compromette il diritto alla prova [...] con conseguente pregiudizio per il diritto di difesa». Pertanto, visto il divieto dell’art. 818, nonche´ le ricordate difficolta` pratiche e strutturali per ammettere l’istruzione preventiva arbitrale, al fine di evitare che, in presenza di una convenzione d’arbitrato (o in caso di pendenza del relativo giudizio), il diritto della parte istante subisca un pregiudizio irreparabile, risulta evidente che l’espletamento di un accertamento tecnico preventivo e, in generale, l’assunzione preventiva di una prova, a norma degli artt. 692 e segg., debbano poter essere chiesti al giudice statale, pena la violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. 12 Tuttavia — ed e` questo un punto sul quale ci permettiamo di dissentire rispetto alla motivazione della sentenza in commento — le disposizioni codicistiche in questione non impedivano affatto di percorrere la strada dell’interpretazione “adeguatrice” e “costitu-

zionalizzante”. Si poteva, in effetti, giungere in via interpretativa — alla luce della valenza costituzionale della tutela cautelare — a ritenere il giudice statale competente a concedere un provvedimento di istruzione preventiva quando la lite e` deferita agli arbitri, strada che avrebbe condotto la Corte ad emanare una pronuncia di manifesta inammissibilita` della questione o, quantomeno, una sentenza interpretativa di rigetto, anziche´ una “drastica” pronuncia di accoglimento, come avvenuto in concreto 13. Bisogna, a questo proposito, ricordare che sul punto non esisteva nessun consolidato orientamento — idoneo ad assurgere al rango di “diritto vivente” — tendente a escludere l’esperibilita` di un accertamento tecnico preventivo in caso di stipulazione di una convenzione d’arbitrato. Al contrario, prima dell’intervento della Corte, la dottrina non aveva mai dubitato che, in presenza del divieto di cui all’art. 818 e (anche) in ragione degli impedimenti strutturali all’espletamento di un’istruzione preventiva arbitrale, la domanda di assunzione anticipata della prova dovesse essere rivolta al giudice statale, invocando, a questi fini, un’applicazione analogica dell’art. 669 quinquies 14 oppure l’applicazione degli artt. 692 e segg. 15 Allo stesso modo, una giurisprudenza di merito aveva ritenuto di dover applicare «in via estensiva, o quanto meno analogica, l’art. 669 quinquies» per permettere l’espletamento di un accertamento tecnico preventivo anche in presenza di una convenzione d’arbitrato, nel presupposto che «le norme di legge vanno interpretate in modo conforme alla Costituzione» 16. Ma di tali prospettive non vi e` alcuna traccia nella motivazione della sentenza in commento. Se le richiamate soluzioni interpretative — favorevoli alla proponibilita` al giudice statale dell’istanza volta a

12 Sulla necessita` costituzionale della tutela cautelare per garantire la pienezza e l’effettivita` della tutela giurisdizionale dei diritti, alla luce dei principi del “giusto” processo, v., tra gli altri, Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, 2010, 591 segg. Sul giusto processo in generale si rinvia, tra gli altri, a Lanfranchi, La roccia non incrinata, Torino, 2004, 3 e segg.; Id., Del «giusto» procedimento sommario di cognizione, in Davanti al giudice. Studi sul processo societario a cura di Lanfranchi e Carratta, cit., 1 e segg. In relazione alla tutela cautelare della prova come componente del “giusto” processo civile v. Romano, op. cit., 205 e segg. 13 In materia si rinvia a Zagrebelsky, La giustizia costituzionale, Bologna, 1988, 292 e segg., il quale ricorda che, rispetto alla scelta del tipo di sentenza (interpretativa di rigetto, interpretativa di accoglimento, di accoglimento puro e semplice), la Corte costituzionale deve preferire la «soluzione meno incidente». 14 In questo senso Besso, op. cit., 222 e segg., la quale, propendendo per l’applicabilita` di tutte le disposizioni del rito cautelare uniforme compatibili con il procedimento d’istruzione preventiva, ritiene che in caso di patto compromissorio per arbitrato domestico l’art. 669 quinquies debba essere esteso anche all’istruzione preventiva poiche´ «si tratta sicuramente di una disposizione compatibile con le peculiarita` procedimento», mentre in caso di arbitrato estero si dovrebbe applicare l’art. 669 ter che attribuisce la competenza al giudice del luogo in cui il provvedimento cautelare deve essere eseguito. Per l’applicazione analogica dell’art. 669 quinquies anche Romano, op. cit., 295, e Tota, op. cit., 559. 15 In questa direzione v. Trisorio Liuzzi, op. cit., 251, il quale, considerando l’art. 669 quinquies inapplicabile al procedimento di istruzione preventiva, afferma che «trovano cosı`

piena applicazione gli artt. 693 e 696»; Giallongo, Accertamento tecnico preventivo e tutela cautelare nell’arbitrato irrituale dopo la legge n. 80 del 2005, in Giur. It., 2005, 214 e segg., spec. 223. Oltre agli autori gia` citati, la dottrina praticamente unanime era favorevole ad ammettere, in via interpretativa, la competenza del giudice statale a disporre un provvedimento di istruzione preventiva. Tra gli altri, v. in questa prospettiva Calvosa, op. cit., 319; E.F. Ricci, op. cit., 69 e seg.; Nicotina, L’istruzione preventiva nel codice di procedura civile, Milano, 1979, 50; Balena, voce “Istruzione. II) Procedimento di istruzione preventiva”, in Enc. Giur. Treccani, XVIII, Roma, 1990, 3; Punzi, op. cit., 219 e seg.; Ghirga, op. cit., 310, nota 1; Rubino-Sammartano, op. cit., 715. Inoltre, Tarzia, op. cit., 720 e segg., seguito poi da Salvaneschi, op. cit., 623 e segg., aveva proposto l’idea di ricorrere all’istruzione preventiva in modo alternativo per permettere di superare la carenza di poteri coercitivi degli arbitri (su tale proposta v. anche le considerazioni di Auletta, L’istruzione probatoria, in Diritto dell’arbitrato rituale a cura di Verde, cit., 292 e segg., spec. 301). 16 Cosı` Trib. Catania, 22 gennaio 1995 (ord.), in Giur. It., 1995, I, 2, 820, con nota di Puleo. Ma in senso contrario, per l’inammissibilita`, in caso di controversia oggetto di patto compromissorio per arbitrato irrituale, della consulenza tecnica preventiva ai fini della conciliazione della lite, in ragione della natura non cautelare dell’istituto e (anche) dell’inapplicabilita` dell’art. 669 quinquies ai procedimenti di istruzione preventiva, v. Trib. Torino, 17 gennaio 2008 (ord.), in Giur. It., 2008, 2274 e segg., con nota di Frus, Osservazioni sulla dubbia utilizzabilita` della consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, in relazione a controversia oggetto di clausola compromissoria (v. anche infra).

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cautelare il diritto alla prova anche in presenza di una convenzione d’arbitrato — fossero state vagliate dal giudice a quo, questi non avrebbe dovuto sollevare la questione di legittimita` costituzionale dell’art. 669 quaterdecies, difettando una condizione per la sua proponibilita` 17. Dal canto suo, la Corte avrebbe dovuto emanare una decisione di manifesta inammissibilita`, per non avere il giudice rimettente esattamente valutato la possibilita` di pervenire a un’interpretazione conforme al dettato costituzionale, oppure, quantomeno, una sentenza interpretativa di rigetto, proponendo l’interpretazione costituzionalmente orientata della norma impugnata 18. Come accennato, tale interpretazione — a nostro modesto avviso — non era affatto esclusa, considerati, da un lato, la valenza costituzionale della tutela cautelare e, dall’altro lato, il dato testuale, non univoco e, anzi, del tutto neutrale, delle disposizioni sul rapporto tra arbitrato e tutela cautelare del diritto processuale alla prova. La praticabilita` della strada dell’interpretazione “adeguatrice” era agevolata, inoltre, dalla presenza del fermo orientamento dottrinale, precedentemente ricordato, favorevole a ritenere il giudice statale competente per la concessione di un provvedimento di istruzione preventiva in caso di deferimento della lite agli arbitri 19. Volendo, a questo proposito, effettuare un breve paragone con la sentenza del 16 maggio 2008, n. 144, con la quale la Corte e` intervenuta sul rapporto tra rito cautelare uniforme e istruzione preventiva, dichiarando «l’illegittimita` costituzionale degli articoli 669 quaterdecies e 695 del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevedono la reclamabilita` del provvedimento di rigetto dell’istanza per l’assunzione preventiva dei mezzi di prova di cui agli articoli 692 e 696 dello stesso codice» 20, possiamo

rilevare che, in quest’ultimo caso, la scelta della decisione di accoglimento sembrava piu` appropriata, in presenza dell’ostacolo testuale della previsione della non impugnabilita` dell’ordinanza, di cui all’art. 695 21.

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Sul punto, tra le tante, Corte cost., 5 giugno 2003, n. 198, ha affermato che il giudice a quo deve seguire, «quale canone ermeneutico preminente, il principio di supremazia costituzionale che impone all’interprete di optare, fra piu` soluzioni astrattamente possibili, per quella che rende la disposizione conforme a Costituzione». Nel senso che il giudice a quo, prima di sollevare la questione, debba cercare di interpretare la legge in modo conforme alla Costituzione v. Zagrebelsky, op. cit., 205; Ruggeri-Spataro, Lezioni di giustizia costituzionale, Torino, 2009, 183 e seg., secondo cui il tentativo dell’interpretazione “adeguatrice” integra una terza condizione di ammissibilita` della questione di legittimita` costituzionale, insieme alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza. 18 Per un’ipotesi di decisione di manifesta inammissibilita` della questione, in ragione della possibilita` di fornire un’altra interpretazione della disposizione impugnata, v., tra le tante, Corte cost., 18 gennaio 2008, n. 3 (ord.), secondo cui «avendo omesso i giudici rimettenti di sperimentare adeguate soluzioni ermeneutiche — diverse da quelle praticate — idonee a rendere la disposizione impugnata esente dai prospettati dubbi di legittimita`, le questioni proposte devono essere dichiarate manifestamente inammissibili». Per altri riferimenti giurisprudenziali si rinvia a Ruggeri-Spataro, op. cit., 139, i quali ricordano che «il mancato esperimento dell’interpretazione adeguatrice da parte del giudice comporta sempre l’inammissibilita`» della questione di legittimita` costituzionale. 19 Delle Donne, op. cit., par. 3, commentando l’ordinanza di rimessione del Tribunale di La Spezia, afferma che «la questione di illegittimita`, cosı` come prospettata, dovrebbe essere dichiarata inammissibile». 20 La sentenza n. 144/2008, che suscita alcune perplessita` nella parte in cui ammette il reclamo solo nei confronti dell’or-

5. Ma alla sentenza si puo` muovere un’altra critica. Nel richiamare l’art. 669 quinquies, la pronuncia della Corte potrebbe indurre a ritenere che, in caso di stipulazione di una convenzione d’arbitrato, la competenza a disporre l’accertamento tecnico preventivo spetti ad un giudice diverso da quello individuato dagli artt. 693 e 696. Infatti, rispetto al rapporto tra arbitrato e tutelare cautelare, dal coordinamento degli artt. 669 quinquies e 669 ter discende che se, in mancanza di patto compromissorio, competente per decidere la causa di merito e` il giudice di pace, la domanda cautelare dovra` comunque essere proposta al Tribunale 22. L’applicazione dell’art. 669 quinquies ai procedimenti di istruzione preventiva potrebbe comportare l’esclusione della competenza del giudice di pace in materia di accertamento tecnico preventivo in ragione della stipulazione di una convenzione d’arbitrato, la cui presenza porterebbe, pertanto, a derogare la regola di competenza stabilita dagli artt. 693 e 696 23. Una conclusione di questo tipo, oltre a concedere alle parti la possibilita` di modificare attraverso una convenzione d’arbitrato le regole di competenza previste per l’assunzione preventiva della prova, provocherebbe l’insorgere di inutili complicazioni durante la fase di autorizzazione del provvedimento, determinate dalla necessita` di individuare il giudice competente, in conseguenza della proposizione dell’eccezione di patto compromissorio. Per evitare, quindi, i descritti inconvenienti riteniamo che l’applicazione dell’art. 669 quinquies ai provdinanza di rigetto dell’istanza per l’assunzione preventiva dei mezzi di prova, si puo` leggere in Giur. It., 2008, 2255 e segg., con nota di Delle Donne. 21 Una parte della dottrina riteneva necessario, infatti, un intervento della Corte costituzionale per rendere reclamabile il provvedimento in materia di istruzione preventiva; cosı` Cipriani, L’impugnazione dei provvedimenti di istruzione preventiva, in Foro It., 1996, I, 2271 e segg., spec. 2276; Salvaneschi, I provvedimenti di istruzione preventiva, cit., 814; Romano, op. cit., 304 e segg. All’opposto Besso, op. cit., 283 e seg.; Id., Istruzione preventiva e reclamo: una «relazione» davvero inammissibile?, in Giur. It., 2008, 174 e segg., riteneva che la reclamabilita` potesse gia` essere desunta grazie all’interpretazione costituzionalmente orientata. 22 Cosı`, tra gli altri, Luiso, op. cit., 255; Punzi, op. cit., 220; Recchioni, Il processo cautelare uniforme, in I procedimenti sommari e speciali a cura di Consolo, Chiarloni, Torino, 2005, II, 398 e seg. 23 ` E la prospettiva seguita da Delle Donne, Ancora sui rapporti tra arbitrato (anche irrituale) e accertamento tecnico preventivo, cit., par. 3, la quale — commentando l’ordinanza di rimessione del Tribunale di La Spezia del 31 ottobre 2008 — afferma che: «se si desse corso alla dichiarazione di illegittimita` costituzionale dell’art. 669 quaterdecies, si finirebbe proprio per ottenere un risultato contrario a quello voluto dal legislatore del procedimento cautelare uniforme, e cioe` la conservazione della specialita` procedimentale dell’istruzione preventiva. L’esito della declaratoria sarebbe infatti la sostituzione di un criterio di competenza (segnatamente quello previsto dall’art. 669 quinquies) ad un altro (quello previsto dagli artt. 692 e 696), in uno all’invasione dell’ambito della discrezionalita` legislativa in materia di regole processuali, senza una giustificabile superiore esigenza». Giurisprudenza Italiana - Luglio 2010

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vedimenti di cui all’art. 696 — derivante dalla dichiarazione d’illegittimita` dell’art. 669 quaterdecies — comporti esclusivamente il conferimento al giudice statale del potere di disporre l’assunzione preventiva della prova, senza incidere allo stesso tempo sull’individuazione del giudice competente, che potra` essere anche il giudice di pace 24. Tale conclusione non ci sembra esclusa dalla lettera dell’art. 669 quinquies, che parla solo di «giudice che sarebbe competente a conoscere del merito», senza escludere, necessariamente, il giudice di pace. Nella stessa direzione, vista l’impossibilita` di applicare in materia l’art. 699, in caso di pendenza del procedimento arbitrale (ma prima della costituzione del collegio), nonche´ in caso di sua sospensione, la domanda di istruzione preventiva andra` proposta al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito (che, come detto, potra` essere anche il giudice di pace) 25. Tuttavia, per attuare il principio della «identita` del giudice dell’istruzione col giudice della decisione» 26, una volta costituito il collegio arbitrale sembra piu` opportuno riservare ai soli arbitri il potere di assumere i mezzi di prova 27. Infatti, alla condizione che cio` non sia impedito dalle regole del procedimento determinate dalle parti, il carattere deformalizzato del processo arbitrale e la facolta` che hanno gli arbitri di regolare il suo svolgimento, «nel modo che ritengono piu` opportuno» (art. 816 bis, comma 1), permette loro di anticipare l’acquisizione di un mezzo di prova rispetto alla normale tempistica processuale. In tal caso, non si avrebbe una violazione del divieto dell’art. 818, poiche´ gli arbitri pronuncerebbero, non un provvedimento cautelare, ma un’ordinanza istruttoria, accogliendo in via anticipata e accelerata un’istanza di ammissione di una prova e procedendo alla sua assunzione 28. Sempre per evitare che la stipulazione di un patto compromissorio comporti uno stravolgimento della disciplina dell’istruzione preventiva, qualora in caso di eccezionale urgenza la prova debba essere assunta inaudita altera parte, e` preferibile applicare i criteri di 24 La prospettiva elaborata nel testo e` confortata dall’opinione di chi (Romano, op. cit., 295, anche in nota) afferma che l’applicazione analogica dell’art. 669 quinquies non escluda la competenza del giudice di pace. Come accennato nel testo, Trisorio Liuzzi, op. cit., 251, richiama, invece, direttamente gli artt. 693 e 696 c.p.c. per individuare il giudice competente a decidere sull’istanza di istruzione preventiva, in caso di stipulazione di una convezione d’arbitrato; seguito sul punto da Giallongo, op. cit., 223. Per il richiamo agli artt. 692 e segg. anche Salvaneschi, Sui rapporti tra istruzione preventiva e procedimento arbitrale, cit., 662. 25 Tarzia, op. cit., 725, il quale in caso di pendenza del giudizio arbitrale, vista l’impossibilita` di applicare l’art. 699, richiama l’art. 693. 26 Cosı` ancora Tarzia, op. cit., 720, per il quale il principio della coincidenza soggettiva tra giudice dell’istruzione e della decisione, «apprezzabile [...] nel processo ordinario [...], lo e` ancora maggiormente in quello arbitrale»; seguito sul punto da Salvaneschi, op. cit., 619. 27 Una prospettiva analoga e` seguita dalla Corte di cassazione francese, I civ., 25 aprile 2006, in Revue de l’arbitrage, 2007, 79 e segg., con nota di El Abda, secondo cui dopo la costituzione del collegio arbitrale non puo` essere piu` validamente proposta istanza al giudice statale per ottenere una mesures d’instruction in futurum, a norma dell’art. 145 del Code de proce´dure civile. Si

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competenza indicati dagli artt. 697 e 693, nonche´ il relativo procedimento, anziche´ la disciplina prevista in materia dal rito cautelare uniforme all’art. 669 sexies. 6. Nonostante la sentenza in commento abbia ad oggetto il solo (ridefinito) rapporto tra arbitrato e accertamento tecnico preventivo (come imposto dal principio di «corrispondenza tra chiesto e pronunciato»), il ragionamento della Corte puo` agevolmente estendersi anche agli altri mezzi di prova rispetto ai quali la legge prevede l’assunzione anticipata della prova, a norma degli artt. 692 e segg., ossia la c.d. testimonianza a futura memoria e l’ispezione giudiziale, ma non anche alla «consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite», di cui all’art. 696 bis, data la natura non cautelare di quest’ultimo istituto, diretto ad ottenere la conciliazione delle parti a fini deflattivi 29. Non credo che, per ammettere l’espletamento di un’ispezione giudiziale e l’assunzione di una testimonianza a futura memoria in presenza di una convenzione d’arbitrato, sia necessaria un’ulteriore sentenza di incostituzionalita` dell’art. 669 quaterdecies (che, come abbiamo visto, era superflua anche rispetto all’accertamento tecnico preventivo), essendo sufficiente una decisione interpretativa di rigetto (se non di manifesta inammissibilita`), potendo la Corte, a questo proposito, richiamarsi ai principi ricavabili dalla decisione in commento circa il rapporto tra arbitrato e istruzione preventiva. Giovanni Bonato

MORTE DELLA PARTE Cassazione civile, Sezioni unite, 16 dicembre 2009, n. 26279 — Carbone Presidente — Bucciante Relatore — Martone P.M. (diff.) — C.C. (avv. Bovio) - G.G. (avv.ti Cipriani, La Pesa). ricorda che nell’ordinamento francese la stipulazione di una convenzione d’arbitrato non impedisce di chiedere al giudice dei re´fe´re´s la concessione di una misura di istruzione in futurum, come deciso, tra le altre, da App. Parigi, 30 luglio 1986, in Revue de l’arbitrage, 1989, 113 e segg., e da Cass., I civ., 11 ottobre 1995, ivi, 1996, 228 e segg. V. in argomento, da ultimo, Loquin, voce “Arbitrage. Compe´tence arbitrale. Conflit entre la compe´tence arbitrale et la compe´tence judiciaire”, in JurisClasseur Proce´dure civile, Parigi, 2010, MXXXIV, par. 23. 28 Per una simile prospettiva Romano, op. cit., 296, nota 34. 29 In tal senso Trib. Torino, 17 gennaio 2008 (ord.), cit. In senso contrario Frus, op. cit., 2276, il quale propende per la generale utilizzabilita` della consulenza tecnica preventiva, di cui all’art. 696 bis, anche in caso di stipulazione di una convenzione d’arbitrato, per «l’assenza di un esplicito divieto normativo al riguardo», nonche´ per la «sostanziale innocuita` dell’istituto rispetto ai poteri degli arbitri». Sulla consulenza tecnica preventiva ai fini della conciliazione della lite si rinvia, tra gli altri, a Besso, Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, in Commentario alle riforme del processo civile a cura di Chiarloni, Bologna, 2007, II, 1316 e segg.; Panzarola, Artt. 696 e 696-bis, in Commentario alle riforme del processo civile a cura di Briguglio, Capponi, Padova, 2007, 254 e segg.; Picozza, Brevi osservazioni sulle novita` in tema di istruzione preventiva, in Riv. Dir. Proc., 2006, 1023 e segg.

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(1) Con la sentenza che si annota le Sezioni unite della suprema Corte tornano ad affrontare il problema dell’ammissibilita` dell’impugnazione proposta contro una parte morta nel corso del giudizio, quando il suo procuratore non abbia reso la dichiarazione prevista dall’art. 300 c.p.c. Si pone, inoltre, il connesso problema di individuare il luogo di notifica dell’impugnazione: se presso gli eredi o presso il procuratore costituito per la parte nel frattempo defunta. Sul regime da applicare al caso in esame la giurisprudenza e` divisa e non e` la prima volta che la questione viene rimessa alle Sezioni unite della suprema Corte. Nel caso di specie, soggetto alla disciplina anteriore alla riforma del 1990, la parte era deceduta durante il giudizio di primo grado, dopo l’udienza finale di discussione e prima del deposito della sentenza. Il caso e` ora equiparabile a quello (oggi di gran lunga piu` frequente) di morte successiva alla scadenza dei termini per il deposito delle memorie ex art. 190 c.p.c. quando non si fa luogo a udienza di discussione. Lo stesso problema si pone inoltre quando la morte della parte precede tali momenti ma non viene dichiarata dal suo procuratore costituito; come anche nel caso di morte successiva al deposito della sentenza ma anteriore alla proposizione dell’impugnazione. Un primo indirizzo e` stato fornito dalle contestuali pronunce nn. 1228, 1229 e 1230 del 1984 1, che la Corte di cassazione aveva gia` reso a Sezioni unite.

In queste occasioni la suprema Corte ha sancito che, nel caso in cui il procuratore non dichiari o non notifichi l’evento che ha colpito la parte da lui rappresentata, «la posizione giuridica di questa resta stabilizzata, rispetto alle altre parti ed al giudice, quale persona ancora esistente od ancora capace, con correlativa ultrattivita` del mandato alla lite, pure nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto processuale mediante proposizione di impugnazione, fino a quando, nel procedimento di impugnazione, non si costituisca l’erede del defunto, od il rappresentante della parte divenuta incapace, ovvero il procuratore di tale parte, originariamente munito di procura valida anche per gli ulteriori gradi, dichiari in udienza o notifichi alle altre parti il verificarsi di quegli eventi». Dunque la notifica dell’impugnazione si potra` considerare perfezionata altresı` se indirizzata al procuratore della parte, a prescindere dall’eventuale conoscenza aliunde dell’evento interruttivo da parte del notificante 2. Cio` e` stato affermato sulla scorta del rilievo che l’art. 300 c.p.c. rappresenta una fondamentale deroga all’art. 1722 c.c., che prevede l’estinzione del mandato in caso di decesso del mandante. Infatti, essendo l’interruzione del processo, ex art. 300 c.p.c., stata qualificata come «fattispecie complessa» costituita dalla verificazione dell’evento e dalla dichiarazione in udienza (o dalla notificazione) compiuta dal procuratore della parte, in mancanza di uno di questi due elementi essa non si verifica e lo stesso mandato al procuratore ad litem non perde efficacia. Ora, se all’evento non e` stata, a suo tempo, attribuita rilevanza dall’unico soggetto legittimato, ossia dal procuratore costituito, qualora si ammettesse la successiva possibilita` per la controparte di dare rilevanza allo stesso evento mediante la notifica al successore della parte, si contrasterebbe la ratio sottesa all’art. 300 c.p.c. 3 Un’“inversione di rotta” rispetto all’orientamento appena esposto e` stata registrata nella giurisprudenza di legittimita` degli anni Novanta con la sentenza che le Sezioni unite hanno reso il 19 dicembre 1996 4. Traendo ispirazione dalla sentenza n. 3888/1980 5 e dal principio di chiovendiana memoria secondo cui le parti, una volta definito un grado di giudizio, tornano

1 Cass., Sez. un., 21 febbraio 1984, nn. 1228, 1229, 1230, in Foro It., 1984, I, 664. 2 Le tre pronunce individuano i singoli momenti processuali in cui l’evento puo` verificarsi, applicando ad ognuno di essi la normativa corrispondente. Cosı`, nel caso in cui l’evento si verifichi “dopo la chiusura della discussione”, l’ultrattivita` del mandato, anziche´ ricollegarsi alla disciplina dettata dall’art. 300 c.p.c., si ricolleghera` a quella di cui all’art. 286 c.p.c., poiche´, secondo le ridette pronunce, la lettera della norma lascerebbe aperta la possibilita` di notificare altresı` al procuratore costituito nel precorso grado di giudizio per la parte che ha subito l’evento. 3 Questo orientamento ha avuto molta fortuna anche negli anni successivi, nonostante le intervenute pronunce contrastanti delle Sezioni unite. Cfr., ex multis, in tema di perdita della capacita` processuale anche in seguito a fusione per incorporazione ed al raggiungimento della maggiore eta`, Cass., 10 gennaio 2006, n. 144, in Mass., 2006, 7; Id., 12 aprile 2002, n. 5305, ivi, 2002, 386; Id., 22 febbraio 2001, n. 2599, ivi, 2001, 191; Id., 4 luglio 2000, n. 8930, in Giur. It., 2001, 232; Id., 16 febbraio 2000, n. 1721, in Mass., 2000, 198; Id., 22 giugno 1999, n. 6298, in Foro It., 2000, I, 379; Id., 29 maggio 1999, n. 5237, in Mass., 1999, 626; Id., 27 aprile 1999, n. 4195, ibid., 501; Id., 1o dicembre 1998, n.

12195, ivi, 1998, 1288; Id., 25 novembre 1998, n. 11966, ibid., 1259; Id., 7 ottobre 1998, n. 9911, ibid., 1034; Id., 15 settembre 1998, n. 9175, in Foro It., 1999, I, 583; Id., 6 giugno 1998, n. 5593, in Mass., 1998, 627; Id., 26 maggio 1998, n. 5230, ibid., 577; Id., 3 aprile 1998, n. 3431, in Arch. Civ., 1999, 244; Id., 5 giugno 1997, n. 5002, in Mass., 1997, 481; Id., 14 maggio 1997, n. 4237, ibid., 383; Id., 3 marzo 1997, n. 1865, in Arch. Giur. Circolaz., 1997, 597; Id., 26 agosto 1996, n. 7821, in Mass., 1996, 710; Id., 21 agosto 1996, n. 7704, in Foro It., 1997, I, 1911; Id., 27 febbraio 1996, n. 1540, in Mass., 1996, 162; Id., 24 gennaio 1995, n. 791, ivi, 1995, 98; Id., 2 dicembre 1994, n. 10350, in Giur. It., 1995, I, 1, 1702; Id., 13 aprile 1994, n. 3427, in Mass., 1994, 305; Id., 13 ottobre 1992, n. 11174, ivi, 1992, 940. 4 Cass., 19 dicembre 1996, n. 11394, in Giust. Civ., 1997, I, 612. 5 Cass., 18 giugno 1980, n. 3888, in Mass., 1980, 983, secondo la quale «il problema della notificazione dell’atto di impugnazione e della instaurazione di una valida o non valida fase processuale di gravame va risolto non gia` alla luce degli accennati criteri dell’ultrattivita` del mandato al procuratore costituito e della non automaticita` dell’interruzione ex art. 300 c.p.c., bensı` in base alle norme di cui all’art. 328 c.p.c.».

Cassazione civile — Ricorso — Morte della parte — Procura alle liti — Impugnazione (C.p.c. artt. 286, 291, 300, 325, 327, 328). L’atto di impugnazione della sentenza, nel caso di morte della parte vittoriosa, deve essere rivolto e notificato agli eredi, indipendentemente sia dal momento in cui il decesso e` avvenuto sia dalla eventuale ignoranza dell’evento, anche se incolpevole, da parte del soccombente; ove l’impugnazione sia proposta invece nei confronti del defunto, non vi e` luogo all’applicazione dell’art. 291 c.p.c. (1). V. gia` Recentissime dalla Cassazione civile a cura di Carbone, in Giur. It., 2010, 1, 7.

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nella situazione in cui si trovava l’attore nel momento di intraprendere l’azione, il supremo Collegio ha, in questa occasione, statuito che «certamente inaccettabile e` la tesi che vuol comunque ed in generale condizionare il dovere di indirizzare l’impugnazione contro i “soggetti reali” al fatto che l’impugnante abbia avuto notizia dell’evento morte o perdita della capacita`, senza che l’impugnazione stessa, per una sorta di perpetuatio del precedente soggetto e dunque, ancora una volta, per effetto di una fictio, sarebbe validamente instaurata nei confronti della parte defunta o divenuta incapace». Tale ipotesi, secondo l’argomentazione portata avanti dalla Corte, si rivelerebbe «incompatibile con la logica stessa della costruzione normativa, quale risulta dalla complessiva disciplina dell’art. 328 c.p.c., fondata com’essa e` sull’obbiettiva esigenza che il processo di impugnazione si instauri fra i soggetti reali; e renderebbe incomprensibili le stesse garanzie che l’art. 328 appresta contro l’eventualita` che l’impugnante, ignorando l’evento, spenda in direzione soggettivamente sbagliata il suo potere impugnatorio». L’esigenza, manifestata dalla pronuncia, di tutelare l’instaurazione del contraddittorio tra le parti reali del processo evitando qualunque finzione giuridica spiega altresı` il rifiuto della tesi giurisprudenziale che vorrebbe l’applicazione dell’art. 291 c.p.c. qualora il soggetto che ha “mal indirizzato” l’impugnazione dimostri di aver incolpevolmente ignorato l’evento 6. L’unica sanatoria ammessa dalla sentenza n. 11394/ 1996 alla nullita` dell’impugnazione 7 e` rappresentata dalla costituzione in giudizio dei successori, purche´ effettuata nelle forme e nei limiti previsti. Dalla lettura introdotta da questa pronuncia si e` dipanato quindi un secondo filone interpretativo 8, che ha acuito il contrasto che le Sezioni unite sono state chiamate a dirimere una terza volta nel 2005. Con sentenza n. 15783/2005 9, la suprema Corte ha sostanzialmente accolto la tesi da ultimo illustrata, attribuendo pero` rilevanza alla mancata conoscenza incolpevole dell’evento 10, come gia` auspicato da precedenti pronunce 11.

In quest’ultima occasione, con la sentenza n. 26279/ 2009 annotata, e` stata invece resa una interpretazione sostanzialmente adesiva a quella contenuta nella pronuncia del 1996. La Corte di cassazione ha inteso adottare la linea maggiormente restrittiva sulla base delle considerazioni che seguono. Innanzitutto nessuna previsione del codice di rito consente l’estensione dell’ultrattivita` del mandato oltre il grado di giudizio in cui l’evento si e` verificato. Relativamente alla morte della parte avvenuta durante la decorrenza dei termini per impugnare soccorrono gli artt. 328 e 330 c.p.c., i quali presuppongono che l’atto di impugnazione debba essere in ogni caso indirizzato agli eredi, indipendentemente dal momento in cui la parte sia deceduta. Cio` in consonanza, altresı`, al principio del contraddittorio consacrato dall’art. 111 Cost. e richiamato dall’art. 101 c.p.c., che porta con se´ il concetto di “giusta parte”, quale non puo` essere considerata la persona deceduta. In ogni caso, il soccombente ignaro dell’evento avrebbe piu` di un anno 12 per verificare l’eventuale decesso della controparte, e tale lasso di tempo e` tanto ampio da non pregiudicare il diritto di azione dell’impugnante. A parere di chi scrive, il principio oggi sancito a Sezioni unite crea un eccessivo “dislivello” processuale tra le parti in giudizio, benche´, a dire della Corte, esso sia stato posto come baluardo del principio del contraddittorio. Ne´ convincono sino in fondo le argomentazioni dalla stessa pronuncia adottate. La sentenza in commento, a sostegno della propria tesi, assume che «nessuna previsione della norma consente di estendere la “stabilizzazione” della posizione della parte e la “ultrattivita`” del mandato oltre il grado di giudizio nel quale l’evento si e` verificato». Cio` e` senz’altro vero, tuttavia la mancanza di una norma espressa non basta a dimostrare la volonta` del legislatore di escludere questi effetti. Infatti, proprio in ragione di tale mancanza, il principio della c.d. “perpetuatio dell’ufficio di difensore”, di cui e` espressione l’art. 85 c.p.c., e` stato in seguito

6 Cosı`, a “mitigare” la posizione dell’impugnante, Cass., 21 giugno 1995, n. 7023, in Foro It., 1996, I, 639; Id., 25 giugno 1990, n. 6404, in Mass., 1990, 782; Id., 9 giugno 1987, n. 5039, in Giust. Civ., 1987, I, 2858; Id., 27 aprile 1983, n. 2881, in Mass., 1983, 761; Id., Sez. un., 21 luglio 1978, n. 3630, in Giust. Civ., 1979, I, 327. 7 La categoria della nullita` e` condivisa dalla sent. n. 11394/ 1996 poiche´ «non si tratta, infatti, di impugnazione rivolta contro soggetto tutt’affatto diverso da quello che e` stato in giudizio nel precedente grado, nel qual caso l’impugnazione sarebbe come non proposta e non verrebbe in rilievo se non sotto il profilo dell’inesistenza-inammissibilita`». 8 Cfr., per esempio, Cass., Sez. un., 10 maggio 2006, n. 10706, in Dir. e Giust., 2006, 23, 27; Id., 9 gennaio 2003, n. 134, in Mass., 2003, 18; Id., 1o agosto 2003, n. 11736, ibid., 1089; Id., 6 agosto 2002, n. 11759, in Giur. It., 2003, 1131; Id., 9 aprile 1998, n. 3694, in Foro It., 1998, I, 2909; Id., 13 settembre 1996, n. 8263, in Mass., 1996, 742; Id., 29 marzo 1995, n. 3762, ivi, 1995, 452; Id., 22 ottobre 1993, n. 10504, ivi, 1993, 959; Id., 16 luglio 1992, n. 8616, in Giust. Civ., 1993, I, 653. 9 Cass., Sez. un., 28 luglio 2005, n. 15783, in Giur. It., 2006, I, 87. 10 E cio` in quanto «non puo` omettersi di considerare che la scelta ermeneutica adottata, se riconosce piena tutela alla parte legittimata a proseguire il giudizio, non ne riserva in pari mi-

sura all’altra parte incolpevolmente ignara dell’evento che ha colpito il suo antagonista, tenuto soprattutto conto che il meccanismo di proroga del termine annuale non elimina del tutto il rischio che essa non venga a conoscenza dell’evento stesso, che puo` verificarsi anche nella imminenza della scadenza del termine pur prorogato: e sono stati appunto i ricorrenti dubbi di incostituzionalita`, sotto opposti profili, suscitati dalle varie opzioni interpretative, che hanno ispirato il filone giurisprudenziale intermedio in precedenza richiamato, incline ad attribuire rilevanza alla buona fede del notificante ed a ravvisare l’ammissibilita` dell’atto di impugnazione notificato a soggetto non piu` legittimato in ogni caso in cui la parte impugnante sia stata senza colpa all’oscuro dell’evento che ha interessato la controparte». 11 Cfr., tra le altre, Cass., 19 novembre 2004, n. 21884, in Giust. Civ., 2005, 3, I, 636; Id., 2 giugno 1998, n. 5420, in Foro It., 1998, I, 2402; Id., 29 maggio 1998, n. 5308, in Mass., 1998, 593; che ricalcano, a loro volta, il meno recente orientamento di Cass., 15 gennaio 1982, n. 256, in Foro It., 1983, 771; Id., 22 aprile 1981, n. 2349, in Mass., 1981, 636; Id., 11 maggio 1979, n. 2689, ivi, 1979, 665; Id., 9 maggio 1979, n. 2641, ibid., 656; Id., 25 gennaio 1979, n. 587, ibid., 159. 12 L’efficacia di tale argomentazione, tuttavia, risulta gia` “dimezzata” dalle ultime modifiche al codice di rito, che hanno portato il “termine lungo” per impugnare da un anno a sei mesi.

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Diritto Processuale Civile | MORTE DELLA PARTE

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“allargato” 13 dalla giurisprudenza di legittimita` altresı` al caso di mancata comunicazione dell’evento interruttivo da parte del difensore della parte deceduta o divenuta incapace, probabilmente al fine “tamponare” la carenza di conseguenze, relativamente all’efficacia della procura alle liti, nel periodo compreso tra l’emissione della sentenza di primo grado e l’eventuale successivo giudizio d’appello. Tale estensione interpretativa delle prime Sezioni unite deve ritenersi sintomatica della giusta esigenza di non far gravare eccessivamente una scelta processuale (quella di non comunicare o di non notificare l’evento, appunto) sulla parte incolpevolmente ignara dell’accadimento. Infatti, se da un lato e` vero che «le norme sulla interruzione del processo, [...], sono rivolte a tutelare la parte nei cui confronti tali eventi si siano verificati» 14, dall’altro e` altrettanto vero che la loro mancata applicazione non deve nemmeno pregiudicare la controparte. Proprio l’accennato favor per la parte deceduta, che ha guidato il legislatore nella formulazione della disciplina dell’interruzione del processo, potrebbe aiutare a comprendere la ragione per cui, in essa, egli non abbia tenuto conto delle sorti della procura alle liti dopo l’emissione della sentenza, in caso di mancata comunicazione o notificazione dell’evento: il legislatore, invero, ha probabilmente considerato come remota l’ipotesi che il difensore della parte defunta non si avvalesse di questa facolta` prevista nel suo esclusivo interesse. Questa lettura renderebbe altresı` piu` comprensibile la previsione dell’obbligo di notifica dell’appello agli eredi voluto nei successivi artt. 328 e 330 c.p.c. Dovrebbe infatti ritenersi ingiustificatamente vessatorio il legislatore che con una mano preveda apertamente la possibilita` di non notificare l’evento all’altra parte, e con l’altra imponga alla medesima parte ignara dell’evento la notifica dell’impugnazione ai successori. Proprio alla luce di questa presunta lacuna legislativa si ritiene che non abbia senso sopravvalutare la lettera degli artt. 328 e 330 c.p.c., al fine di confinare l’ultrattivita` della procura alle liti nell’ambito del giudizio di primo grado, stante altresı` l’identita` delle situazioni soggettive in cui si trovano ad operare le parti prima e dopo l’emissione della relativa sentenza. Al contrario, una lettura “costituzionalmente orientata” degli articoli medesimi, che, in caso di mancata comunicazione dell’evento interruttivo, includesse la notifica dell’atto d’appello anche al procuratore della

parte colpita, sarebbe molto piu` rispettosa del principio del contraddittorio. Le ultime Sezioni unite fondano infatti buona parte della decisione proprio sul principio del contraddittorio, cosı` come disciplinato nel nuovo testo dell’art. 111 Cost., ma sottolineando che «esso implica e contiene anche quello di “giusta parte”, quale non puo` evidentemente essere considerata la persona non piu` in vita, nel cui universum ius sono subentrati i successori». Tuttavia anche le precedenti pronunce richiamavano lo stesso principio del contraddittorio, per motivare, pero`, l’orientamento opposto; cio` in quanto l’art. 111 Cost., oltre a corroborare il principio di “giusta parte”, sancisce espressamente altresı` quello di “pari condizioni processuali”. E tali non si puo` ritenere che siano quella di chi conosce l’evento interruttivo e scientemente non lo dichiari e quella di chi non lo conosce per cause non imputabili, e per questo si veda rigettare un atto di appello senza nemmeno la possibilita` di rinnovare la notifica 15. L’impostazione suggerita dalla sentenza annotata crea, come anticipato, un eccessivo dislivello di oneri processuali a scapito della parte non colpita dall’evento che, a questo punto, rimane la sola a subirne gli effetti negativi 16. Senza contare, poi, che il dislivello sarebbe esponenzialmente maggiore qualora si versasse non in un caso di decesso della persona fisica, bensı` in un caso di estinzione della personalita` giuridica in seguito a vicende societarie, quale, ad esempio, una fusione per incorporazione 17. Infatti, dal momento che quest’ultima ipotesi di perdita della capacita` processuale non e` un evento che, come la morte, sfugge alla sfera di disponibilita` delle persone fisiche interessate, cio` potrebbe originare ipotesi di abuso 18. In definitiva, l’odierna pronuncia non solo rischia di concretizzare (al contrario di quanto in essa affermato) una situazione di effettiva sperequazione tra le parti costituite, ma, inevitabilmente, svuota altresı` il comma 1 dell’art. 300 c.p.c. della sua reale portata applicativa, in quanto incoraggia il difensore a non dichiarare o notificare l’evento verificatosi, confidando che la sua inerzia procurera` agli eredi (o alla stessa parte colpita da altro evento interruttivo) un “benefico effetto” 19 nell’eventuale successivo grado di giudizio. In questo modo, si favorisce un ribaltamento dei rapporti tra regola (comunicazione) ed eccezione (non comunica-

13 L’art. 85 c.p.c. l’aveva previsto unicamente per le ipotesi di revoca o di rinuncia della procura. 14 Cosı` per consolidata giurisprudenza. V., a titolo d’esempio, Cass., 6 maggio 1982, n. 2831, in Mass., 1982, 705; Id., 8 marzo 1971, n. 625, ivi, 1971, 247. 15 Invero, non si puo` non notare come la parte che conosce l’evento abbia una posizione di indubbio vantaggio processuale rispetto alla parte che lo ignora. Ne´ decisivo appare l’argomento secondo cui la parte impugnante avrebbe comunque tutto il tempo per verificare se la controparte del giudizio di primo grado sia ancora in vita, dal momento che tale principio sarebbe altresı` applicabile ex adverso agli eredi «esposti al concreto rischio di dover subire gli effetti di una sentenza pronunciata all’esito di un processo del quale non avevano avuto notizia». Come il difensore impugnante potrebbe verificare la morte della parte, infatti, gli eredi (peraltro gia` a conoscenza della morte)

potrebbero verificare se il de cuius fosse parte in un procedimento civile. 16 Contrariamente a quanto sostenuto dalle citate Cass., nn. 2831/1982 e 625/1971, secondo cui le altre parti non risentono dell’irregolare prosecuzione del processo. Cio` e` sı` vero, ma solo sino a quando le stesse sono “tutelate” dall’ultrattivita` della procura. Laddove questa non oltrepassi la sentenza di primo grado, il problema tornerebbe inevitabilmente a presentarsi. 17 Cfr. Giorgetti, Omessa dichiarazione dell’evento interruttivo del processo di primo grado e notifica dell’impugnazione della societa` estinta, in Giust. Civ., 2001, 5, 1258. 18 Si pensi al caso in cui, in pendenza del periodo di impugnazione, una societa` ponga in essere una serie di operazioni sociali volte al solo fine di trarre giovamento da un eventuale futuro difetto di legittimazione passiva. 19 I.e. la nullita` insanabile dell’atto d’appello notificatogli. Giurisprudenza Italiana - Luglio 2010

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Diritto Processuale Civile | SOSPENSIONE DEI TERMINI PROCESSUALI

zione), e il precetto contenuto nel comma 1 dell’art. 300 c.p.c. sara` piu` facilmente disatteso. In definitiva, l’irrilevanza processuale della morte e l’istituto dell’ultrattivita` della procura alle liti in caso di mancata comunicazione dell’evento appaiono piu` che adeguate a tutelare gli eredi, l’effettivita` delle parti in giudizio ex art. 101 c.p.c., nonche´ la parita` dei mezzi processuali tra le parti. In caso di mancata comunicazione, dunque, e` fondato sostenere che l’evento non potra` produrre alcun effetto, in alcun grado di giudizio, e lo stesso difensore titolare della “facolta` di informazione”, nonche´ unico reale depositario della conoscenza dell’evento, non potra` in sede di impugnazione contestare l’ultrattivita` della procura ad litem rilasciata dalla parte colpita dall’evento interruttivo 20. Maurizio Marangon

SOSPENSIONE DEI TERMINI PROCESSUALI Cassazione civile, Sezioni unite, 24 novembre 2009, n. 24665 — Papa Presidente — Salvago Relatore — Iannelli P.M. (diff.) — Giannetti (avv. Senese) - Fallimento Tartan di Martinetti Antonio & Bevilacqua Maria s.n.c. Conferma App. Napoli, 22 dicembre 2003. Termini processuali civili — Domanda di ammissione tardiva al passivo di un credito di lavoro — Sospensione dei termini di impugnazione nel periodo feriale — Inapplicabilita` — Fondamento (L. 7 ottobre 1969, n. 742; R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 92, comma 1). In materia di procedure concorsuali, sebbene in virtu` del combinato disposto degli artt. 92, “Ordinamento giudiziario” e 1 e 3 legge n. 742/1969 le controversie aventi per oggetto l’ammissione tardiva al passivo fallimentare non si sottraggono, in linea generale, al regime della sospensione, quest’ultima va tuttavia esclusa ove le opposizioni medesime riguardino controversie in tema di crediti da lavoro, nonostante le stesse debbano essere trattate con il rito fallimentare (1). (Massima non ufficiale) Omissis. — Motivi: 2. Con il ricorso, G.A., lamentando violazione di legge con riferimento all’affermata inapplicabilita` della legge sulla sospensione dei termini processuali alla controversia in esame, censura la sentenza impugnata per non aver considerato che l’impugnazione in oggetto era da collegarsi alla decisione del Tribunale di Napoli pronunciata con il rito ordinario a seguito della disposta istruzione della causa a norma dell’art. 175 c.p.c. e segg.; nonche´ la circostanza che il rito adottato costituiva per le parti criterio di riferimento anche ai fini del computo dei termini per la proposizione dell’impugnazione, prevalente quindi sulla natura sostanziale della lite. Pertanto nel caso in esame doveva applicarsi il regime della sospensione dei ter-

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In caso contrario, cio` eluderebbe altresı` la volonta` del legislatore che ha voluto subordinare l’efficacia dell’evento proprio alla sua comunicazione o alla sua notificazione. Salvo il legislatore, in futuro, pur in presenza di un procuratore costiGiurisprudenza Italiana - Luglio 2010

mini processuali e, considerato che la sentenza di primo grado era stata pubblicata il 16 maggio 2002 e l’atto di citazione in appello notificato il 25.6.2003, l’impugnazione, contrariamente a quanto ritenuto, doveva essere dichiarata tempestiva. Questa Corte con ordinanza interlocutoria 30418/2008, ha osservato che alla stregua della normativa vigente (R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 92, comma 1 e L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1, comma 1) nella materia concorsuale sono escluse dal regime della sospensione dei termini solo le cause relative alla dichiarazione e alla revoca dei fallimenti, e che analoga esclusione vale anche per quanto concerne le cause previdenziali e di lavoro. E, tuttavia, che per dette ultime controversie la Cassazione, pronunciando a sezioni unite (Cass. 11978/2001) ha precisato che e` comunque applicabile il regime della sospensione dei termini di impugnazione nel periodo feriale, quando la controversia sia stata decisa con il rito ordinario poiche´ il rito “assume una funzione enunciativa della natura della controversia, indipendentemente dall’esattezza della relativa valutazione; e percio` detto rito costituisce per le parti criterio di riferimento anche ai fini del computo dei termini per la proposizione dell’impugnazione, secondo il regime previsto dalla L. n. 742 del 1969, art. 3”. Tale principio appariva in contrasto con quello affermato in precedenti statuizioni delle sezioni semplici (Cass. 10525/2001; 1091/2000; 10273/1994), nelle quali era stato espressamente evidenziato come le eccezioni al principio della sospensione dei termini feriali fossero stabilite dalla L. n. 742 del 1969, art. 3, sulla base della natura della controversia, e non in relazione al rito previsto e poi ribadito in successive decisioni (Cass. 6523/2002 e indirettamente 17073/2007); pur se disatteso da due decisioni della Corte (sent. 17953/2005 e 1743/2006), nelle quali e` stato evidenziato come sarebbe la natura del credito a determinare le esigenze di speditezza che giustificano l’inapplicabilita` della sospensione dei termini processuali. — Omissis. 3. Il Collegio ritiene che il denunciato contrasto fra i due suddetti orientamenti giurisprudenziali sia soltanto apparente e non effettivo. Al riguardo giova anzitutto precisare che ne´ la sentenza impugnata ne´ le parti mostrano di dubitare dell’applicabilita` del rito fallimentare per l’accertamento del passivo in relazione alle domande dirette a reclamare crediti di lavoro; ne´ dell’applicabilita` in materia fallimentare della disciplina di diritto comune ai giudizi di appello ed al ricorso per cassazione, in essa compresa quella della sospensione dei termini prevista per il periodo feriale dagli art. 1 e 3 della Legge che l’ha esclusa soltanto per le controversie relative alla dichiarazione ed alla revoca dei fallimenti indicate dall’art. 92 ord. giud., cui la normativa del 1969 espressamente rinvia. Ne´ che tali deroghe abbiano mantenuto natura eccezionale pur dopo la riforma compiuta dal D.Lgs. n. 5 del 2006, avendo l’art. 36 bis limitato le eccezioni alla regola della sospensione — percio` rimasta tale — ai soli reclami di cui alla L. Fall., artt. 26 e 36: nei quali non rientra la controversia in esame, avente per oggetto domanda di ammissione tardiva al passivo del fallimento. — Omissis. Ora, le Sezioni Unite con la ricordata decisione 10978/ 2001, in una controversia avente per oggetto un rapporto di lavoro subordinato, ed in particolare la determinazione dell’indennita` di anzianita` dovuta ad un lavoratore subordinato da un Consorzio, ma trattata con il rito ordinario sia in primo grado dal Pretore, che in appello dal Tribunale, hanno dichiarato ammissibile il ricorso dell’ente datore di lavoro, pur proposto entro il termine risultante dalla somma di quello annuale e della durata della sospensione di cui alla L. n. 742 del 1969, art. 1 (percio` applicata): in quanto la causa — malgrado la materia del contendere riguardasse un rapporto compreso tra quelli indicati dall’art. 409 o art. 442 cod. proc.

tuito, voglia subordinare l’interruzione del processo non alla comunicazione o alla notifica dell’evento, bensı` alla sua verificazione, cosı` come previsto nel “nuovo” comma 3 dell’art. 43 L. fall., come modificato dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

Diritto Processuale Civile | SOSPENSIONE DEI TERMINI PROCESSUALI civ. — era stata decisa con il rito ordinario; sicche´ doveva applicarsi il regime della sospensione dei termini di impugnazione nel periodo feriale, dato che il rito adottato dal giudice assume una funzione enunciativa della natura della controversia, indipendentemente dall’esattezza della relativa valutazione. E percio` detto rito costituisce per le parti criterio di riferimento anche ai fini del computo dei termini per la proposizione dell’impugnazione, secondo il regime previsto dalla L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 3. — Omissis. Come piu` volte rilevato da questa Corte, detto indirizzo trova dunque la sua giustificazione “nella evenienze di una errata deductio”, vale a dire nella inesatta attribuzione alla controversia di una natura che non ha; ed intende evidenziare la vincolativita` della scelta del modello processuale comunque osservato e diverso da quello di cui all’art. 409 cod. proc. civ., e segg., a dispetto della competenza erroneamente, ma irrimediabilmente, non radicata in capo al giudice del lavoro. Ma esso non puo` che restare circoscritto alla sola ipotesi che ne ha costituito la fonte: senza percio` assurgere ad espressione o soltanto ad indice rivelatore di un principio di carattere generale — infatti mai affermato da alcuna delle decisioni che lo hanno recepito — della prevalenza comunque del rito — ed in particolare di quello speciale — in base al quale la controversia deve essere trattata rispetto alla considerazione della natura di questa — e quindi della materia laburistica cui e` stata ancorata la deroga introdotta dalla L. n. 742, art. 3. — Omissis. Ed allora, soltanto con un salto logico puo` attribuirsi alla stessa ed all’orientamento recepito l’intendimento di introdurre l’obbligo di astrazione “dalla natura della controversia”, nonche´ quello di incentrare sul regime cui e` assoggettata quest’ultima il criterio per decidere se la sospensione sia o non applicabile: con la conseguenza di ammetterla sempre e comunque nel caso di adozione di un rito speciale che la prevede (quale, nel caso, quello fallimentare), e di escluderla in caso contrario; e l’indirizzo in questione non consente affatto neppure attraverso logiche deduttive di pervenire al risultato che l’attrazione di un credito di lavoro, per il relativo accertamento, nella speciale competenza della l. Fall., art. 24, sia d’ostacolo all’applicazione della disciplina sulla sospensione che pur il legislatore ha voluto prevedere per le relative controversie. — Omissis. 5. Questa Corte non ha tuttavia mancato di interrogarsi, gia` nei decenni passati, sulla possibile estensione delle funzioni del rito, e particolarmente di quello speciale in cui puo` essere attratta una causa (come dimostra proprio la legge fallimentare) fino a ritenerne la prevalenza (con conseguente applicazione anche della sospensione feriale) a svantaggio della considerazione della sua natura anche se laburistica: invece determinante agli effetti della L. n. 742 del 1969, art. 3. La risposta, anche della piu` qualificata dottrina e` stata costantemente negativa, essendosi considerato che l’inosservanza di quest’ultima disposizione trova giustificazione esclusivamente nell’evenienza patologica dell’attribuzione alla controversia di una natura diversa da quella reale ed al fine di non esporre la parte che ha subito o comunque seguito il modello processuale errato al mutamento in corso di causa della disciplina delle impugnazioni e dei relativi termini; per cui l’effettualita` del rito piu` non puo` essere utilizzata quando la natura della controversia risulti ab origine esattamente identificata: anche se la sua trattazione eccezionalmente non aderisce per ragioni di connessione con il rito che le e` proprio. In quest’ultimo caso non vi e` infatti piu` ragione per non tener conto del riferimento “alla natura della controversia”, dato che l’operativita` derogatoria delle circostanze che ne avevano determinato la recisione dal cordone ombelicale del proprio rito non e` piu` configurabile, ed il rapporto ha quindi riacquistato, anche sul piano processuale, la propria specificita` e l’attitudine ad essere coerentemente regolato con il rispetto, tra l’altro, delle esigenze di speditezza che la disposizione della L. n. 742, art. 3, intende tutelare. Si e` altresı` rilevato che il rito (ancorche´ erroneamente) in concreto osservato per la trattazione della causa deve essere

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considerato determinante, per l’applicazione o meno delle regole della sospensione dei termini nel periodo feriale, solo quando lo stesso sia di per se´ rivelatore della natura laburistica o meno della controversia (nei sensi di cui si e` detto); mentre, allorche´ la controversia deve svolgersi per legge in base a un rito, quale quello fallimentare, che e` speciale, non solo rispetto a quello ordinario, ma anche riguardo a quello del lavoro, detto rito non puo` essere di per se´ significativo di alcuna valutazione in ordine alla natura della controversia ed assume, percio`, un rilievo sostanzialmente neutro ai fini della identificazione del regime dei termini processuali. Alla quale deve dunque procedersi indagando circa la natura della controversia senza il punto di riferimento altrimenti fornito dalle forme della sua trattazione in concreto (cfr. Cass. 583/1985; 324/1987; 807/1987; 1823/1987; 5690/1989; 12044/1991). — Omissis. Conclusivamente, la sentenza impugnata che ha dichiarato inammissibile l’appello della G., tardivamente proposto oltre il termine di cui all’art. 327 cod. proc. civ., sull’erroneo presupposto che alla controversia fosse applicabile la sospensione dei termini feriali di cui alla L. n. 742 del 1969, merita conferma; e deve essere enunciato il seguente principio di diritto: In tema di sospensione dei termini nel periodo feriale la L. n. 742 del 1969, art. 3, nel disporre che la stessa non si applica alle controversie previste dall’art. 409 cod. proc. civ. e segg., fa riferimento alla loro specifica natura avente per oggetto rapporti individuali di lavoro. Consegue che, in materia di procedure concorsuali, mentre in virtu` del combinato disposto dell’art. 92 dell’ordinamento giudiziario e degli L. n. 742 del 1969, artt. 1 e 3, le controversie aventi per oggetto l’ammissione tardiva al passivo del fallimento non si sottraggono, in linea generale, al regime della sospensione, quest’ultima va tuttavia esclusa ove le opposizioni stesse riguardino controversie in tema di crediti da lavoro, nonostante le stesse debbano essere trattate con il rito fallimentare. Nessuna pronuncia va emessa in ordine alle spese processuali perche´ il Fallimento, cui l’esito del giudizio e` stato favorevole, non ha spiegato difese. — Omissis.

(1) Brevi note sulla disciplina della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale La pronuncia in commento trae origine dalla seguente fattispecie: la Corte d’appello di Napoli ha dichiarato inammissibile l’appello proposto avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Napoli aveva rigettato la domanda di ammissione tardiva al passivo fallimentare di un credito di lavoro, sul presupposto che a tali giudizi, in ragione della loro natura sostanziale, non si applichi la sospensione dei termini nel periodo feriale; conseguentemente, l’appello proposto con atto di citazione in data 25 giugno 2003 avverso la sentenza del Tribunale di Napoli del 16 maggio 2002 e` stato dichiarato tardivo, in quanto proposto oltre l’anno dalla pubblicazione della sentenza. Avverso la decisione di appello e` stato proposto ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., per violazione di legge con riferimento all’art. 3 legge n. 742/1969. Il ricorrente, richiamando molteplici pronunce della Corte di cassazione, ha sostenuto l’applicabilita` della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale alle controversie di lavoro o di previdenza e assistenza obbligatorie ogni qual volta siano state decise con il rito ordinario, sul presupposto che il rito adottato costituisce per le parti l’unico criterio di riferimento ai fini dell’individuazione sia della forma dell’impugnazione, sia del computo dei termini per la relativa proposizione. Giurisprudenza Italiana - Luglio 2010

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Con ordinanza interlocutoria 30 dicembre 2008, n. 30418, la decisione del ricorso e` stata rimessa alle Sezioni unite, affinche´ componessero il contrasto tra un primo orientamento giurisprudenziale 1, secondo cui l’applicabilita` della disciplina della sospensione feriale dei termini processuali si determina sulla base del rito concretamente adottato dal giudice, e un secondo 2, in base al quale le eccezioni al principio generale della sospensione dei termini nel periodo feriale sono stabilite dall’art. 3 della legge n. 742/1969 sulla base della natura della controversia e non in relazione al rito. L’individuazione della ratio sottesa alle eccezioni alla regola della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, oggetto precipuo della pronuncia delle Sezioni unite in commento, costituisce il vero nodo gordiano della legge n. 742/1969, che, come noto, ha regolato ex novo la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, abrogando la previgente disciplina contenuta nella L. 15 luglio 1965, n. 818 3. Orbene, l’art. 3 della succitata legge stabilisce, in deroga all’art. 1, che non sono soggetti alla sospensione feriale le cause e i procedimenti elencati all’art. 92 “Ordinamento giudiziario” (e cioe` le cause relative agli alimenti, i procedimenti cautelari, i procedimenti di adozione di ordini di protezione contro gli abusi familiari, i procedimenti per l’adozione di provvedimenti in materia di amministrazione di sostegno, di interdizione, di inabilitazione, i procedimenti di sfratto e di opposizione all’esecuzione, le cause relative alla dichiarazione ed alla revoca dei fallimenti e in genere quelle rispetto alle quali la ritardata trattazione potrebbe produrre grave pregiudizio alle parti), nonche´ le controversie previste dagli artt. 429 e 459 c.p.c. (oggi, per effetto della legge n. 533/1973, artt. 409 e 442), ossia le controversie di lavoro e quelle di previdenza e assistenza obbligatorie. L’orientamento consolidato e costante della dottrina 4, suffragato da numerose pronunce giurisprudenziali 5, ravvede da sempre nella natura della controversia il fondamento dell’inapplicabilita` della sospensione 1

Cfr. Cass., Sez. un., 9 agosto 2001, n. 10978, in Nuova Giur. Comm., 2002, I, 524 e segg.; Id., Sez. un., 12 marzo 2004, n. 5184, in Giust. Civ. Mass., 2004, 3; Id., Sez. un., 26 luglio 2004, n. 13970, ibid., 7-8. Per maggiore completezza in ordine ai precedenti giurisprudenziali conformi a tale orientamento, si rinvia infra nota 7. 2 Cfr. Cass., Sez. un., 18 marzo 1999, n. 156, in Mass. Giur. It., 1999. Per la disamina delle precedenti statuizioni conformi a tale orientamento, si rinvia infra nota 5. 3 Nel senso favorevole all’abrogazione implicita, Picardi, Dei termini, in Comm. C.P.C. a cura di Allorio, Torino, 1973, I, I, 1562. 4 Tarzia, Note in margine alle leggi processuali. Una nuova legge sulla nuova legge di sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, in Riv. Dir. Proc., 1970, 95; Picardi, op. cit., 1564 e seg.; Sandulli, Sull’inapplicabilita` della sospensione dei termini processuali al regolamento di giurisdizione promosso in causa di lavoro, in Giur. It., 1984, I, 1, 677; Grossi, voce “Termine (dir. proc. civ.)”, in Enc. Dir., XLIV, Milano, 1992, 247249; Picardi-Martino, voce “Termini (dir. proc. civ.)”, in Enc. Giur. Treccani, XXXI, Roma, 1994, 14. 5 Cass., Sez. lav., 1o agosto 2001, n. 10525, in Mass. Giur. It., 2001; Id., Sez. I, 1o febbraio 2000, n. 1091, in Fallimento, 2000, 1272; Id., Sez. un., 18 marzo 1999, n. 156, cit.; Id., Sez. III, 6 maggio 1996, n. 4199, in Foro It., 1997, I, 1928; Id., Sez. III, 1o dicembre 1994, n. 10273, in Giust. Civ. Mass., 1994, XII; Id., Giurisprudenza Italiana - Luglio 2010

feriale, attribuendo, in tal modo, all’art. 3 legge n. 742/ 1969 carattere strumentale rispetto a quelle indubitabili esigenze di speditezza e celerita` che sono connaturate ad alcune categorie di cause e procedimenti. In particolar modo, si ritiene che il rinvio dell’art. 3 legge n. 742/1969 alle controversie di cui agli artt. 409 e 442 c.p.c. sia sorretto dalla necessita` di non prolungare i tempi processuali di controversie che possono incidere sulla libera e dignitosa esistenza del lavoratore e della sua famiglia 6. Tuttavia, in piu` occasioni la suprema Corte 7 si e` pronunciata su controversie di lavoro trattate con il rito ordinario, stabilendo l’operativita` della sospensione feriale. Il principio di diritto enunciato e posto alla base di tali decisioni e` che «alla controversia, che, pur riguardando un rapporto compreso tra quelli indicati agli artt. 409 e 442 c.p.c., sia stata decisa con il rito ordinario, e` applicabile il regime della sospensione dei termini nel periodo feriale, giacche´ il rito adottato dal giudice assume una funzione enunciativa della natura della controversia, indipendentemente dall’esattezza della relativa valutazione, e percio` detto rito costituisce per le parti criterio di riferimento anche ai fini del computo dei termini per la proposizione dell’impugnazione, secondo il regime previsto dall’art. 3 della l. 7.10.1969, n. 742» 8. In tal modo, il rito concretamente adottato dal giudice assurge ad unico criterio in base al quale le parti possono determinare la forma dell’atto di impugnazione e i relativi termini, finanche con riguardo al regime della sospensione feriale. Tale interpretazione dell’art. 3 legge n. 742/1969 persegue evidentemente lo scopo di sottrarre il regime dei termini per impugnare alle dispute in ordine alla natura della controversia. Si e` scelto, cioe`, di privilegiare l’affidamento delle parti nelle forme del processo o — se si preferisce — di dare prevalenza al criterio della forma processuale seguita sulla natura della controversia 9. Le Sezioni unite sono state, dunque, chiamate a chiarire se si debba far discendere l’applicabilita` delle disposizioni in tema di sospensione feriale dei termini Sez. III, 23 agosto 1990, n. 8611, in Arch. Civ., 1991, 314; Id., Sez. III, 29 ottobre 1981, n. 5706, in Foro It., 1981, I, 2941. 6 Cfr. Cass., 1o marzo 1995, n. 2376, in Giust. Civ. Mass., 1995, 493, secondo cui «lo scopo sollecitatorio, perseguito dal legislatore con tale articolo, deve operare in ogni fase concernente il processo del lavoro». 7 Cass., Sez. un., 12 marzo 2004, n. 5184, cit., 3; Id., Sez. un., 26 luglio 2004, n. 13970, cit., 7-8; Id., Sez. I, 7 maggio 2002, n. 6523, in Giust. Civ., 2003, II, 2535; Id., Sez. un., 9 agosto 2001, n. 10978, cit., 524; Id., Sez. lav., 8 luglio 1999, n. 7171, in Sett. Giur. Mass., 1999, II, 1762; Id., Sez. lav., 19 agosto 1987, n. 6943, in Giust. Civ. Mass., 1987, 8-9; Id., Sez. lav., 14 ottobre 1983, n. 6011, ivi, 1983, IX; Id., Sez. lav., 29 ottobre 1981, n. 5717, in Foro It., 1981, I, 2941; Id., Sez. lav., 12 dicembre 1980, n. 6433, ibid., I, 19. 8 Cosı`, Cass., Sez. un., 9 agosto 2001, n. 10978, cit., 524. E` opportuno precisare che, in molte occasioni, la suprema Corte si e` pronunciata anche sulla fattispecie inversa, ossia di controversie ordinarie trattate col rito del lavoro. In tali casi, i giudici di legittimita` hanno escluso l’applicabilita` della sospensione feriale, precisando che tali decisioni, pur giungendo ad una soluzione diametralmente opposta, si fondano sulla medesima ratio decidendi delle pronunce sulle controversie di lavoro trattate con il rito ordinario. Cfr. ex multis, Cass., Sez. lav., 27 novembre 2007, n. 24649, in Giust. Civ. Mass., 2007, 11. 9 Cosı`, Cass., Sez. lav, 27 novembre 2007, n. 24649, cit., 11.

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processuali dalla natura della controversia o dal rito concretamente applicato 10. Orbene, con la decisione in epigrafe il plenum, premesso che il contrasto giurisprudenziale prospettato e` «apparente e non effettivo», chiarisce che tra i due orientamenti intercorre un rapporto di regola ad eccezione. In buona sostanza, il principio di diritto secondo cui per determinare il regime della sospensione feriale occorre fare riferimento, piuttosto che all’aspetto formale assunto dalla lite, all’effettiva natura del rapporto sostanziale dedotto in giudizio costituisce la regola. Ne consegue l’inapplicabilita` della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale ai sensi dell’art. 3 della citata legge, allorquando si sia in presenza di una controversia di lavoro o previdenziale. La prevalente rilevanza della natura della controversia ai fini dell’esclusione della sospensione feriale dei termini processuali trova ulteriore conferma in quell’orientamento giurisprudenziale consolidato e costante che afferma l’applicabilita` della sospensione feriale alle controversie in materia di immobili urbani che, pur non essendo riconducibili nell’alveo dell’art. 409 c.p.c., si svolgono, ai sensi dell’art. 447 bis c.p.c., secondo le forme del processo del lavoro 11. Tali decisioni muovono dal presupposto che l’art. 3 legge n. 742/1969 stabilisce le eccezioni al principio generale della sospensione feriale sulla base della specifica natura della controversia e non della specialita` del rito. Pertanto, l’applicabilita` a tali controversie del rito del lavoro non puo` in alcun modo implicare la loro equiparazione sul piano della disciplina dei termini processuali alle controversie di cui all’art. 409 c.p.c. 12 10

Cass., Sez. un., 24 novembre 2009, n. 24665, in Corriere Giur., 2010, 1, 19 con nota di Carbone, Ammissione al passivo fallimentare: crediti ordinari e di lavoro. 11 Cfr., ex multis, Cass., 18 aprile 2006, n. 8947, in Giur. It., 2007, 6, 1463; Id., 1o agosto 2002, n. 11444, in Giust. Civ. Mass., 2002, 1429; Id., 1o febbraio 2001, n. 1396, in Giur. It., 2001, 12; Id., 12 settembre 2000, n. 12028, in Giust. Civ. Mass., 2000, 1922. 12 Ex multis, Cass., 1o dicembre 1994, n. 10273, cit., in cui si legge: «L’art. 3 della legge n. 742 del 1969, stabilendo che la sospensione dei termini processuali [...] non si applica, tra le altre, alle controversie previste dall’art. 429 c.p.c. (sostituito dall’art. 409, nuovo testo, per effetto dell’art. 1 l. 11 agosto 1973 n. 533), si riferisce alle controversie individuali di lavoro e non, invece, a tutte le controversie che sono regolate dal rito del lavoro, facendo tale norma richiamo alla natura della causa e non al rito da cui essa e` disciplinata». La suprema Corte si e` pronunciata analogamente anche con riferimento alle controversie agrarie che, come noto, devono svolgersi secondo il rito laburistico ai sensi dell’art. 5 L. 2 marzo 1963, n. 320. Emblematica, in tal senso, Cass., 6 maggio 1996, n. 4199, cit., 1928, in cui si legge espressamente che «ancorche´ per le controversie di competenza delle sezioni agrarie deve osservarsi il rito del lavoro, cio` non importa l’automatica applicazione dell’art. 3 l. n. 742 del 1969, costituendo tale articolo norma di natura eccezionale, ai sensi dell’art. 14 preleggi». Ritenendo, dunque, indispensabile una verifica da parte del giudice sulla riconducibilita` della controversia agraria nell’ambito dell’art. 409 c.p.c., la suprema Corte e` giunta alla conclusione che la sospensione dei termini non opera per le sole controversie agrarie che ricadono sub n. 2 dell’art. 409, ossia : «Le controversie relative a [...] rapporti di mezzadria, di colonı`a parziaria, di compartecipazione agraria, di affitto a coltivatore diretto, nonche´ rapporti derivanti da altri rapporti agrari». In senso

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Ancora, la prevalenza della materia controversa sulle forme processuali adottate e` suffragata dall’inoperativita` della sospensione dei termini per ferie, sempre che si tratti di controversie di lavoro o di previdenza, anche nella fase di Cassazione, che si svolge sempre e comunque nelle forme del rito ordinario 13. Per converso, la portata dell’indirizzo secondo cui il regime della sospensione feriale dei termini si determina in base al rito concretamente adottato dal giudice viene espressamente ridimensionata «in funzione della sola fattispecie applicativa» che lo ha originato 14. Ne discende che, ogni qual volta la natura della controversia sia identificata correttamente, non vi e` ragione per aderire al c.d. principio di ultrattivita` del rito a svantaggio della considerazione della natura della controversia. A questo punto, la suprema Corte, rivolgendo la propria attenzione alle controversie che devono svolgersi secondo il rito fallimentare (fattispecie da cui la pronuncia in commento trae origine), afferma che, allorquando la legge preveda che il giudizio debba svolgersi in base ad un rito che presenta caratteri di specialita` rispetto sia al rito ordinario, sia a quello del lavoro, nessun rilievo possa attribuirsi a tale rito ai fini dell’individuazione del regime dei termini processuali 15. Piuttosto tale individuazione deve necessariamente passare attraverso un’indagine sulla natura della controversia. Non si puo` non osservare che il principio di diritto ora enunciato non costituisce una novita` nel panorama giurisprudenziale; al contrario, esso risulta conforme a numerosi precedenti 16. La suprema Corte prosegue, poi, coordinando tale principio con l’interpretazione, non messa in discusconforme, Cass., 23 agosto 1990, n. 8611, cit., 314; Id., 20 gennaio 1988, n. 421, in Mass. Giust. Civ., 1988, 120; Id., 17 settembre 1983, n. 5616, ivi, 1983, 1999; Id., 16 maggio 1981, n. 3224, ivi, 1981, 1125. 13 Cass., 5 luglio 1997, n. 6075, in Giust. Civ. Mass., 1997, 1145; Id., 20 giugno 1994, n. 5932, in Giust. Civ. Mass., 1994, 6; Id., 30 marzo 1994, n. 3106, ibid., 418. 14 Cass., Sez. un., 24 novembre 2009, n. 24665, cit., in cui si legge che «detto indirizzo trova dunque la sua giustificazione “nella evenienza di una errata deductio”, vale a dire nella inesatta attribuzione alla controversia di una natura che non ha [...]. Ma esso non puo` che restare circoscritto che alla sola ipotesi che ne ha costituito la fonte: senza percio` assurgere ad espressione o soltanto ad indice rivelatore di un principio di carattere generale — infatti mai affermato da alcuna delle decisioni che lo hanno recepito — della prevalenza comunque del rito — e in particolare di quello speciale — in base al quale la controversia deve essere trattata rispetto alla considerazione della natura di questa — e quindi della natura laburistica cui e` stata ancorata la deroga introdotta dall’art. 3 della legge 742». La suprema Corte coglie l’occasione anche per chiarire il significato dell’affermazione secondo cui “la scelta del rito assume una funzione enunciativa della natura della controversia”, che deve intendersi nel senso che «il rito adottato in concreto dal giudice assume una tipica funzione indicativa del fatto che essa sia stata, seppur erroneamente, considerata ordinaria o previdenziale». 15 Cass., Sez. un., 24 novembre 2009, n. 24665, cit., in cui i giudici di legittimita` parlano esplicitamente di «un rilievo sostanzialmente neutro [del rito fallimentare, n.d.r.] ai fini dell’identificazione del regime dei termini processuali». 16 Cosı`, Cass., 19 dicembre 1989, n. 5690, in Giust. Civ. Mass., 1989, 12; Id., 20 febbraio 1987, n. 1823, ivi, 1987, 2; Id., 28 gennaio 1987, n. 807, ibid., 1; Id., 16 gennaio 1987, n. 324, Giurisprudenza Italiana - Luglio 2010

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sione ne´ dalle parti ne´ dalla sentenza impugnata, dell’art. 3 legge n. 742/1969 nella parte in cui, mediante il richiamo espresso all’art. 92 “Ordinamento giudiziario”, stabilisce in materia concorsuale la sottrazione alla disciplina della sospensione feriale delle sole cause relative alla dichiarazione e alla revoca dei fallimenti. Ne discende che, se e` vero che le controversie aventi ad oggetto l’ammissione tardiva di un credito al passivo e i giudizi di opposizione allo stato passivo, di regola, soggiacciono alla sospensione feriale dei termini, e` altrettanto vero che, ogni qual volta tali controversie abbiano ad oggetto un credito che trova origine in uno dei rapporti elencati agli artt. 409 c.p.c., si ricade nell’inoperativita` della sospensione dei termini per ferie 17. Al fine di evitare ulteriori perplessita` in ordine all’effettiva portata applicativa del principio di diritto enunciato, i giudici di legittimita` forniscono agli operatori del diritto un’ultima precisazione. I procedimenti di opposizione alle ordinanze-ingiunzione relative all’applicazione di sanzioni amministrative soggiacciono alla sospensione feriale anche quando le violazioni amministrative concernono la materia del lavoro o della previdenza e assistenza obbligatorie, in quanto l’art. 35 legge n. 689/1981 stabilisce l’applicabilita` dell’art. 3 legge n. 742/1969 esclusivamente nei casi di violazioni consistenti nell’omissione totale o parziale di contributi e premi o di violazioni da cui derivi l’omesso versamento degli stessi. Con la pronuncia in epigrafe, si precisa che l’adesione delle Sezioni unite 18 a tale interpretazione del combinato disposto degli artt. 1 e 3 legge n. 742/1969 e 35 legge n. 689/1981 «non rappresenta un’ipotesi di prevalenza del rito speciale del procedimento oppositivo in questione rispetto alla materia laburistica, ma [...] una “valutazione legale tipica” del legislatore del 1981 del contenuto di dette controversie attratte nel tema della verifica della legittimita` della pretesa punitiva espressa dal provvedimento sanzionatorio» 19. Dunque, la compressione della natura laburistica o previdenziale della controversia non ha origine nella prevalenza del rito speciale, bensı` nella rilevanza che si riconosce alla peculiare natura delle opposizioni avverso un provvedimento sanzionatorio. In conclusione, la suprema Corte osserva che l’assunto secondo cui l’art. 3 legge n. 742/1969, nel disporre che la sospensione feriale dei termini proces-

suali non opera con riguardo alle controversie indicate agli artt. 409 e 442 c.p.c., fa riferimento alla natura della controversia, lungi dall’essere contraddetto dall’indirizzo in tema di opposizione ad ordinanza-ingiunzione relativa a sanzioni amministrative concernenti la materia del lavoro o previdenziale, trova in esso conferma, dal momento che ancora una volta il regime della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale viene determinato in considerazione della natura della controversia e non in relazione al rito. La pronuncia in epigrafe offre, oltretutto, l’occasione per svolgere alcuni brevi rilievi in ordine alla disciplina della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale disposta dalla legge n. 742/1969. Al di la` delle difficolta` in punto di individuazione della ratio sottesa alle eccezioni alla regola generale della sospensione di cui si e` detto, la succitata legge pone all’attenzione del giurista due ulteriori profili problematici, ovvero l’ambito di applicazione e la nozione di “termini processuali”. Ambedue devono necessariamente essere affrontati alla luce degli interventi della Corte costituzionale e della variegata gamma di pronunce emanate dalla suprema Corte di cassazione. In primo luogo, la formulazione del comma 1 dell’art. 1 legge 742/1969, secondo cui «il decorso dei termini processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie ed a quelle amministrative e` sospeso di diritto dal 1o agosto al 15 settembre di ciascun anno, e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione», ha suscitato gravi incertezze intorno all’ambito di applicazione dell’istituto della sospensione feriale. La scelta del legislatore di riferire specificamente la disciplina della sospensione feriale alle giurisdizioni ordinarie 20 e amministrative ha fatto dubitare della possibilita` di estenderla anche alle giurisdizioni speciali non espressamente menzionate. Infatti, sebbene l’art. 1 L. 15 luglio 1965, n. 818 non contenesse nessuna indicazione al riguardo, era opinione dominante estendere la sospensione anche ai termini dei procedimenti dinanzi alle giurisdizioni speciali 21. Rispetto all’orientamento sviluppatosi nel previgente sistema, dunque, il dettato del comma 1 dell’art. 1 legge n. 742/1969 e` apparso restrittivo. Orbene, alla luce dei numerosi interventi della Corte costituzionale la disposizione in esame viene unanime-

ibid., 1; Id., 30 gennaio 1985, n. 583, ivi, 1985, I, 1945. E con specifico riferimento al rito fallimentare, cfr. Id., 27 gennaio 2006, n. 1743, in Fallimento, 2006, 11, 1334; Id., 8 settembre 2005, n. 17953, ibid., 4, 475. Perfino la Sezione lavoro, in seno alla quale si e` sviluppato l’orientamento che determina il regime della sospensione feriale dei termini sulla base del rito concretamente adottato dal giudice, ha recentemente aderito, proprio con riferimento alle controversie che devono svolgersi con un rito speciale rispetto sia al rito ordinario, sia al rito del lavoro, a tale interpretazione dell’art. 3 legge n. 742/1969. V., Cass., Sez. lav., 16 settembre 1993, n. 9545, in Riv. critica dir. lavoro, 1994, 598; Id., Sez. lav., 12 novembre 1991, n. 12044, in Sett. Giur. Mass., 1992, II, 271. 17 Per una disamina completa delle problematiche connesse al tema, cfr. Caiafa, Sospensione dei termini nel periodo feriale e giudizio di opposizione allo stato passivo fallimentare concernente crediti di lavoro, in Mass. Giur. Lav., 2001, 118. 18 Cass., Sez. un., 30 marzo 2000, n. 63, in Corriere Giur., 2000, 5, 579 con nota di Carbone, Sanzioni amministrative; in Dir. e Giust., 2000, 13; in Giust. Civ., 2000, I.

19 ` E opportuno precisare che il richiamo alla “valutazione legale tipica”, qui mutuato dalla sentenza n. 24665/2009, era gia` presente nella sentenza n. 63/2000. 20 ` E appena il caso di rilevare che nel riferimento alle giurisdizioni ordinarie e` compresa la giurisdizione civile sia contenziosa, sia volontaria. Proprio nel senso dell’applicabilita` delle disposizioni di cui alla legge n. 742/1969 alla giurisdizione volontaria, cfr. Picardi-Martino, op. cit., 14; e in giurisprudenza, ex multis, Cass., 4 febbraio 2009, n. 2706, in Dir. e Giust., 2009; Trib. Pescara, 16 ottobre 2008, in Fallimento, 2009, 10, 1212; Id. Firenze, 27 agosto 1981, ivi, 1982, 268, in tema di giudizio di omologazione del concordato preventivo; e ancora, Cass., 23 maggio 1990, n. 4669, ivi, 1990, 1101; Id., 10 marzo 1971, n. 687, in Giust. Civ., 1971, I, 1087 in tema di giudizio di omologazione del concordato fallimentare. 21 In tal senso, Andrioli, Inapplicabilita` della legge 14 luglio 1965, n. 818 ai giudizi avanti la Corte costituzionale?, in Giur. Cost., 1967, 128 e seg.; Tarzia, op. cit., 94.

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mente letta nel senso che minus dixit lex quam voluit 22. Con riguardo al processo tributario, la posizione dominante 23, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, assoggetta le Commissioni tributarie alle disposizioni di cui alla legge n. 742/1969 24, sul presupposto che si tratti di organi giurisdizionali speciali (seppur distinti da quelli della giustizia amministrativa), nonche´ in virtu` della portata generale ed omnicomprensiva della legge stessa. Dal canto suo, la Consulta ha ulteriormente esteso l’ambito di applicazione della sospensione feriale dei termini al processo penale militare in tempo di pace 25 e anche al termine stabilito per ricorrere avverso le delibere dei Consigli provinciali al Consiglio nazionale degli architetti, cui si riconosce natura di «giurisdizione professionale» rientrante tra le giurisdizioni speciali «sopravvissute» in forza della VI disposizione transitoria della Costituzione 26. Invece, e` orientamento giurisprudenziale consolidato e costante escludere

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Cfr. Andrioli, op. cit., 133; Tarzia, op. cit., 95. Per tutti, Baglione-Menchini-Miccinesi, Il nuovo processo tributario, Milano, 1997, 208. Nello stesso senso, ex multis, Comm. trib. centr., 25 febbraio 1991, n. 5779, in Comm. Trib. Centr., 1991, I, 664; Cass., 30 luglio 1984, n. 4541, in Foro It., 1985, I, 1774; Id., 26 maggio 1980, n. 3438, in Fisco, 1981, 741; Id., 17 luglio 1979, n. 4174, in Comm. Trib. Centr., 1979, II, 1799; Comm. trib. centr., 15 marzo 1979, n. 411, ibid., I, 137; Id., 2 febbraio 1979, n. 610, ibid., I, 66; Cass., 2 luglio 1977, n. 2880, in Riv. Dir. Fin., 1978, II, 253. 24 Vigente la legge n. 818/1965, l’estensione della sospensione ai termini dei procedimenti dinanzi alle commissioni tributarie era fortemente dibattuta. In senso favorevole, cfr. Andrioli, op. cit., 128 e seg. In senso dubitativo, Tarzia, La sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, in Riv. Dir. Proc., 1965, 611 e seg., il quale subordina l’estensione della disciplina della sospensione feriale dei termini ai procedimenti dinanzi alle commissioni tributarie all’inclusione delle stesse tra le giurisdizioni speciali, piuttosto che tra gli organi amministrativi. 25 Corte cost., 23 luglio 1987, n. 278, in Giur. It., 1988, I, 1, 1932. 26 Cosı`, Corte cost., 29 luglio 1992, n. 380, in Giur. It., 1993. Sulla qualificazione del Consiglio nazionale degli architetti in termini di «giurisdizione professionale», cfr. Id., 23 dicembre 1986, n. 284, ivi, 1988, I, 1, 1300. 27 Sul punto, Corte cost., 19 giugno 1974, n. 174, in Giur. It., 1974, I, 1586; Id., 28 marzo 1973, n. 30, in Giur. Cost., 1973, 304. In dottrina, in senso conforme, Tarzia, Note in margine alle leggi processuali. Una nuova legge sulla nuova legge di sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, cit., 95, testo e nota 15, ove l’Autore sostiene che la teoria elaborata, vigente la legge n. 818/1965, da Andrioli (op. cit., 130-133), secondo il quale era esclusa la sospensione feriale del termine per la proposizione del ricorso costituzionale (perche´ stabilito dalla legge costituzionale e, dunque, non modificabile con legge ordinaria), non anche quella dei termini per il compimento di atti intermedi, ossia posti in essere nel corso del procedimento. 28 Cfr. Rascio, in Diritto dell’arbitrato rituale a cura di Verde, 1a ed., Torino 1997, 224; Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato, Padova, 2000, III, 9; Cecchella, Il termine per la pronuncia arbitrale, in Riv. Arb., 2000, 837 e segg., spec. 842; Grossi, Il “giusto processo” arbitrale: la nuova disciplina del termine per la pronuncia del lodo, ivi, 2006, 625 e segg., spec. 658 per ulteriori citazioni; Id., “voce Termine”, cit., 234 e segg., spec. 247. Conformemente in giurisprudenza, App. Napoli, 11 aprile 1997, in Gius, 1997, 1646 e segg.; e, da ultimo, Cass., 8 ottobre 2008, n. 24866, in Riv. Dir. Proc., 2009, 5, 1401, in cui si legge espressamente che «l’istituto della sospensione dei termini in periodo feriale e` tipico della “giurisdizione” e, come e` reso 23

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l’applicabilita` di tale disciplina al processo costituzionale 27. L’erosione dell’espressa limitazione dell’ambito di applicazione della disciplina della sospensione feriale ai termini processuali relativi alle “giurisdizioni” non e`, pero`, giunta fino al punto di assoggettare a tale normativa i termini del giudizio arbitrale rituale. L’orientamento, assolutamente prevalente in dottrina e maggioritario in giurisprudenza, esclude difatti l’applicabilita` della sospensione feriale al termine per la pronuncia del lodo di cui al comma 2 dell’art. 820 c.p.c. 28 In secondo luogo, non e` stato facile determinare l’esatta portata della nozione di “termini processuali”. Il legislatore del 1969 ha reintrodotto nella legge n. 742/1969 la medesima locuzione utilizzata nella legge n. 818/1965, senza chiarire se la stessa si riferisce esclusivamente ai termini stabiliti per il compimento degli atti del processo 29 o anche ai termini posti a pena di decadenza per la proposizione dell’azione 30.

chiaro dalla lettera della L. n. 742 del 1969, art. 1, concerne esclusivamente il “decorso dei termini processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie ed a quelle amministrative”. La sua applicabilita` e`, quindi, condizionata dalla sussistenza di un requisito soggettivo, consistente nella celebrazione del processo da parte di un giudice, il quale faccia parte di una giurisdizione ordinaria o amministrativa. [...] L’arbitrato non e`, invece, riconducibile alla giurisdizione; rinviene il suo fondamento nel potere delle parti di disporre dei diritti soggettivi e costituisce espressione di autonomia negoziale, senza che, a questo fine, rilevi la distinzione tra arbitrato rituale ed irrituale». Sulla base di queste argomentazioni i giudici di legittimita` giungono ad escludere l’applicabilita` dell’istituto della sospensione dei termini processuali in periodo feriale al termine stabilito dall’art. 820, comma 1, c.p.c. (hodie, per effetto della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40/2006, comma 2). In senso contrario, cfr. App. Milano, 9 agosto 1999, in Riv. Arb., 2000, 481 e segg.; Id. Palermo, 20 luglio 1988, in Temi sic., 1989, 39. Sempre nel senso della sottrazione dei termini del processo arbitrale alla normativa sulla sospensione feriale, sia pure con riferimento al termine annuale per il deposito del lodo ai fini dell’omologazione di cui all’art. 825 c.p.c. ante riforma del 1994, cfr. Trib. Roma, 5 gennaio 1988, in Riv. Dir. Proc., 1988, 538 e segg., con nota critica di Tarzia, Sospensione feriale del termine per il deposito del lodo arbitrale? 29 In tal senso Tarzia, Note in margine alle leggi processuali. Una nuova legge sulla nuova legge di sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, cit., 93 e seg., testo e nota 9; e, in giurisprudenza, Trib. Foggia, 10 novembre 1966, in Daunia, 1967, 87; Cass., 13 luglio 1973, n. 2033, in Foro It., 1973, I, 2389, ove i giudici di legittimita` desumono la portata restrittiva della nozione di “termini processuali” dall’art. 152 c.p.c., che si riferisce esclusivamente ed inequivocabilmente ai termini stabiliti per il compimento degli atti del processo; Id., 10 dicembre 1984, n. 6484, in Giust. Civ. Mass., 1984, 12; Id., 23 agosto 1985, n. 4494, ivi, 1985, 8-9; Id., 12 aprile 1990, n. 3143, in Repertorio Giust. Civ., 1990, voce “Procedimento civile”, n. 159. 30 Per tutti, Andrioli, op. cit., 127 e seg., Id., Diritto processuale civile, Napoli, 1979, I, 460 e segg.; Picardi, op. cit., 1565 e segg. In giurisprudenza, cfr. Cass., 12 luglio 1974, in Foro It., 1974, I, 1995, in cui sostiene che «il carattere processuale di un atto non si ricollega soltanto al suo compiersi nel processo ma anche al suo valere per il processo»; Id., 20 marzo 1972, n. 835, ivi, 1972, I, 893. Merita, inoltre, di essere ricordata la giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha riconosciuto carattere processuale, con conseguente soggezione alla disciplina della sospensione feriale, anche ai termini per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi. Sul punto, Cons. di Stato, 31 maggio 1967, n. 202, in Cons. Stato, 1967, I, 858; Id., 5 luglio 1967, Giurisprudenza Italiana - Luglio 2010

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Diritto Processuale Civile | INCOMPETENZA TERRITORIALE

Sul punto, e` intervenuta la Corte costituzionale, che con la celeberrima sentenza del 2 febbraio 1990, n. 49 31 ha dichiarato la parziale illegittimita` costituzionale, in relazione all’art. 24 Cost., dell’art. 1 legge n. 742/1969, nella parte in cui non dispone che la sospensione feriale dei termini si applichi anche al termine di trenta giorni per l’impugnazione delle delibere condominiali ex art. 1137 c.c. I giudici delle leggi hanno, cosı`, ritenuto che la sospensione feriale debba trovare applicazione anche rispetto ai termini per la proposizione dell’azione posti a pena di decadenza da norme sostanziali, sempre che «la possibilita` di agire in giudizio costituisca per il titolare l’unico rimedio per far valere un suo diritto». Tale decisione della Consulta non e`, pero`, esente da rilievi critici: la Corte ha di fatto omesso di prendere posizione sull’effettiva portata della nozione di “termini processuali” di cui alla legge n. 742/1969, prediligendo la logica del caso per caso 32. Con la pronuncia n. 49/1990, infatti, non si accoglie totaliter la tesi che estende la sospensione feriale a tutti i termini per la proposizione dell’azione previsti a pena di decadenza da norme di diritto sostanziale, bensı` si subordina l’estensione alla brevita` del termine 33 e alla necessarieta` dell’azione, quale unico strumento di difesa di quel diritto. In buona sostanza, la Corte costituzionale ha fornito all’interprete una nozione di “termini processuali” ai sensi e agli effetti dell’art. 1 legge n. 742/1969 di compromesso tra le due contrapposte correnti di pensiero. Tuttavia, in virtu` dell’equiparazione tra atti di natura sostanziale e atti di natura processuale che e` alla base della recente sentenza delle Sezioni unite in tema di impedimento della decadenza dal potere di impugnare il licenziamento 34, nonche´ della celeberrima pronuncia della Consulta che ha affermato il principio della scissione soggettiva del momento perfezionativo del procedimento notificatorio 35, pare oggi ragionevole propendere per l’estensione generalizzata della disciplina della sospensione feriale ai termini decadenziali per la proposizione dell’azione previsti da norme di diritto sostanziale.

INCOMPETENZA TERRITORIALE

Elisa Annamaria Daniele

n. 264, ibid., I, 1083; Id., 11 marzo 1977, n. 177, ivi, 1977, I, 310; Id., Ad. plen., 17 febbraio 1978, n. 5, in Foro It., 1978, III, 464; Id., 13 maggio 1980, n. 535, in Foro Amm., 1980, I, 666. 31 Corte cost., 2 febbraio 1990, n. 49, in Giur. It., 1990, I, 1, 1026, con nota di Celotto, La Corte costituzionale estende l’applicabilita` della sospensione dei termini nel periodo feriale all’impugnazione delle delibere condominiali; in Arch. loc., 1990, 451, con nota di Accordino, La sospensione dei termini per il periodo feriale si applica pure al termine per impugnare una deliberazione condominiale; in Rass. dir. civ., 1991, 170, con nota di Criscuolo, Termini processuali e sostanziali: una breccia nella tradizionale classificazione; e in Riv. dir. proc., 1992, 360, con nota di Biffi, La sospensione feriale dei termini: l’ambito di applicazione della legge 7 ottobre 1969 n. 742 nell’interpretazione della Corte Costituzionale. 32 Cfr. Corte cost., 13 febbraio 1985, n. 40, in Foro It., 1988, I, 2473, che ha dichiarato l’illegittimita` costituzionale del presente articolo, nella parte in cui non dispone che la sospensione ivi prevista si applica anche al termine di cui all’art. 5, commi 1 e 2, L. 25 giugno 1865, n. 2359 e Id., 13 luglio 1987, n. 255, che ha dichiarato l’illegittimita` costituzionale del medesimo articoGiurisprudenza Italiana - Luglio 2010

Tribunale Milano, 10 novembre 2009 — Bondı` Giudice — Sky Italia s.r.l. (avv. Brigo) - Nassar Ashraf. Competenza e giurisdizione civile — Contratto di somministrazione — Pagamento penale — Contratto stipulato da consumatore — Foro esclusivo speciale del luogo in cui il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo — Incompetenza territoriale — Rilevabilita` ex officio — Ammissibilita` (D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 33, comma 2, lett. u). Il giudice adito deve rilevare ex officio la propria incompetenza territoriale qualora al contratto, cioe` al titolo dedotto in giudizio, risulti applicabile la disciplina prevista per i contratti stipulati tra professionista e consumatore e quindi l’art. 1469 bis, comma 3, n. 19 c.c. (ora art. 33, comma 2, lett. u), D.Lgs. n. 206/2005, c.d. codice del consumo), che prevede la competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo in cui il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo trattandosi di competenza inderogabile, salvo specifica trattativa individuale (1). Omissis. — Premesso che la Sky Italia Srl ha reclamato il pagamento della somma di euro 6.960,00 a titolo di penale prevista dall’art. 5 del contratto di fornitura di servizi di televisione satellitare ad uso residenziale, erogati a parte convenuta, per l’affermata violazione, da parte di questa, delle modalita` di fruizione del servizio medesimo; dato atto che l’art. 5, lett. a) del suddetto contratto impone all’abbonato di “usufruire del servizio esclusivamente presso l’indirizzo indicato nella richiesta di abbonamento, tramite l’uso di un solo apparecchio televisivo per ciascuna smart card e nell’ambito familiare e domestico” con esplicito divieto di “diffondere il segnale od i programmi decodificati, oggetto del servizio, in ambienti e locali pubblici o aperti al pubblico, o comunque in luoghi diversi dall’ambito familiare e domestico” etc. osservato che, in base al tale prospettazione di parte attrice, viene allegata la qualita` soggettiva dei litiganti rispettivamente in termini di “professionista” e di “consumatore”, in ordine alla fornitura dei servizi predetti, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1469 bis e segg. c.c., come ora sostituiti dal D. Lgs. 206/2005 attenendo ovviamente al merito l’afferma-

lo, nella parte in cui non dispone che la sospensione opera anche per il termine di cui all’art. 19, comma 1, L. 22 ottobre 1971, n. 865, nel testo sostituito dall’art. 14 L. 28 gennaio 1977, n. 10. 33 Biffi, op. cit., 369, la quale mette in rilievo le difficolta` che l’interprete incontra nella ricostruzione del concetto di brevita`, a causa della mancanza di qualsiasi indicazione o criterio-guida al riguardo nella sentenza. 34 Cfr. Cass., Sez. un., 14 aprile 2010, n. 8830, in Dir. e Giust., 2010, in cui il plenum riconosce piena efficacia impeditiva della decadenza all’impugnativa di licenziamento spedita per posta prima del decorso del termine di 60 giorni disposto dall’art. 6 legge n. 604/1966, quand’anche pervenuta successivamente al datore di lavoro. In senso conforme, Cass., 4 settembre 2008, n. 22287, in Mass. Giur. Lav., 2008, 872. 35 Corte cost., 26 novembre 2002, n. 477, in Corriere Giur., 2003, 1, 23. E` opportuno precisare che una parte della dottrina, prima ancora che intervenissero le succitate pronunce della suprema Corte, estendeva il principio di scissione del momento perfezionatore della notificazione anche agli atti stragiudiziali, in forza del suo carattere generale. Per tutti, Virga, Eliminata l’alea della notifica per posta, www.giust.it, 2002, 11.

Diritto Processuale Civile | INCOMPETENZA TERRITORIALE to abuso della carta magnetica affidata al privato consumatore con suo utilizzo in locali di proprieta` di una societa`, o comunque di soggetto terzo (assunto che si chiede di — ed e` tutto da — dimostrare in giudizio) nell’ambito di un contratto che si dice violato proprio perche´ stipulato per prestazioni da rendere al di fuori di esigenze professionali od imprenditoriali dell’abbonato; ritenuta preliminarmente necessaria la verifica della competenza territoriale del giudice adito. — Omissis. Dato atto che le SSUU con ord. n. 14669/2003 hanno statuito che l’art. 1469 bis, terzo comma, numero 19, cod. civ. “si interpreta nel senso che il legislatore, nelle controversie tra consumatore e professionista, ha stabilito la competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo in cui il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo, presumendo vessatoria la clausola che preveda una diversa localita` come sede del foro competente, ancorche´ coincidente con uno di quelli individuati sulla base del funzionamento dei vari criteri stabiliti dal codice di procedura civile per le controversie nascenti da contratto” (orientamento ormai costantemente seguito dal S.C.); considerato quindi che normativa introdotta dal dlgs 206/2005 (che sotto questo aspetto ha lasciato immutata la precedente disciplina) ha prescritto e confermato la sussistenza di un vero e proprio foro esclusivo speciale, derogabile dalle parti solo con trattativa individuale; dato atto che fino a tempi recenti questa sezione dell’adito tribunale riteneva, nelle controversie come la presente, applicabile l’art. 38.2 in relazione all’art. 28 cpc e, di conseguenza, non rilevabile d’ufficio l’incompetenza territoriale, considerando che tale conclusione avrebbe postulato l’espressa inderogabilita` del c.d. foro del consumatore, laddove, al contrario, l’art. 1469 ter c.c., comma quarto (ora comma 4 del D. Lgs. 205/2005: “non sono vessatorie le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa individuale”) stabilisce, come or ora accennato, che, seppure con particolari modalita`, anch’esse previste espressamente dalla legge, la competenza del foro della localita` di residenza o domicilio elettivo del consumatore, pure esclusiva, puo` essere derogata; ritenuta l’opportunita` di discostarsi da tale opzione interpretativa anche alla luce degli sviluppi della giurisprudenza di legittimita`; richiamata a questo proposito la sent. 4208/2007 con la quale la S.C. nel ribadire la presunzione di vessatorieta` ex art. 1469 bis cod. civ. “della clausola che stabilisca come sede del foro competente una localita` diversa da quella della residenza o del domicilio elettivo del consumatore, anche se il foro competente coincida con uno dei fori legali di cui agli articoli 18 e 20 cod. proc. civ.”. — Omissis; osservato che in motivazione la S.C. ha esplicitamente fatto riferimento alla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunita` Europee ed in particolare alla sentenza 21-6-2000 emessa nelle cause riunite C-240/9 e C-244/98 Oce´ano Grupo Editorial SA contro Rocio` Marciano Quintero SA ed aa.; rilevato che dal canto suo la Corte comunitaria in quella sede non ha mancato di sottolineare che “la tutela assicurata ai consumatori dalla direttiva 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, comporta che il giudice nazionale, nell’esaminare l’ammissibilita` di un’istanza propostagli, possa valutare d’ufficio l’illiceita` di una clausola del contratto di cui e` causa” e che “nell’applicare le disposizioni di diritto nazionale precedenti o successive a tale direttiva, il giudice nazionale deve interpretare quanto piu` possibile alla luce della lettera e dello scopo della stessa”, onde “l’obbligo di interpretazione conforme impone al giudice nazionale di preferire l’interpretazione che gli consenta di declinare d’ufficio la competenza attribuitagli da una clausola abusiva”; dato atto che, sempre secondo la Corte di Giustizia, la sostanza dell’abusivita` sta nell’imporre “al consumatore

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Interessante, in punto di rilevabilita` d’ufficio dell’incompetenza territoriale, Trib. Nocera Inferiore, 11 novembre 2003, in

1663 l’obbligo di assoggettarsi alla competenza esclusiva di un tribunale che puo` essere lontano dal suo domicilio il che puo` rendergli piu` difficoltosa la comparizione in giudizio” e, nelle “controversie di valore limitato” puo` esporre al rischio di affrontare spese processuali, le quali a loro volta “potrebbero risultare dissuasive e indurlo a rinunziare a qualsiasi azione o difesa” con “significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti derivanti dal contratto” posto che l’opposta soluzione permetterebbe invece “al professionista di concentrare tutto il contenzioso attinente la sua attivita` professionale presso il tribunale nel cui foro si trova la sede di tale attivita`, il che agevola la sua comparizione in giudizio e, nel contempo, la rende meno onerosa”; ritenuto per tutto cio` che: da un lato, appare contrario a logica ed ai principi sinora sintetizzati interpretare l’art. 33.2 lett. “u” cit. nel senso di limitare la regola dell’iniziativa officiosa alla sola declaratoria della nullita` della clausola istitutiva di una competenza territoriale abusiva. — Omissis. dall’altro lato, una volta assodato, dopo la summenzionata pronuncia a SSUU del 2003, che quello del consumatore costituisce un vero e proprio foro esclusivo speciale. — Omissis; infine, se questa e` la disciplina applicabile e se questi sono i canoni ermeneutici da seguire, perde ormai di vero interesse il tema del collegamento tra la rilevabilita` d’ufficio e la natura inderogabile della competenza territoriale (artt. 38.2/28 cpc) nel senso che si potra` indifferentemente ragionare in termini di necessaria equiparazione tra competenza inderogabile e competenza derogabile solo con comprovata trattativa individuale. — Omissis; dato atto che parte convenuta risulta, dal contratto versato in atti, risiedere a Spinone al Lago (BG). — Omissis; il Giudice dichiara l’incompetenza del tribunale adito e la competenza del tribunale di Bergamo; assegna per la riassunzione innanzi a quest’ultimo il termine di sei mesi da oggi. Nulla per le spese. — Omissis.

(1) Rilevabilita` d’ufficio dell’incompetenza territoriale in materia di contratti stipulati tra professionista e consumatore: un principio che si consolida nel tempo La sentenza che si annota propone una lettura sistematica e coerente delle norme processuali afferenti la competenza territoriale in materia di contratti stipulati tra professionista e consumatore ed e` apprezzabile, poiche´ l’analisi proposta e` basata non solo sulle norme e sulla giurisprudenza nazionali, ma anche sulle norme e sulla giurisprudenza comunitarie di cui e` stata fatta applicazione in un’ottica anche sovranazionale che non puo` che apprezzarsi. Nella fattispecie in esame, il Tribunale di Milano e` stato chiamato a pronunciarsi su una controversia scaturente da un asserito inadempimento di un contratto stipulato tra professionista e consumatore e promossa dal primo nei confronti del secondo. Il Tribunale, rilevato che sul punto non poteva esservi alcuna contestazione atteso che la qualificazione giuridica del contratto, nei termini indicati (professionista-consumatore), emergeva anche dalla prospettazione attorea, ha dichiarato ex officio, nella contumacia del convenuto, la propria incompetenza territoriale a favore del Tribunale di Bergamo, nella cui circoscrizione il convenuto risultava risiedere, trattandosi di un’ipotesi di «foro esclusivo speciale» 1. Gius, 2004, 265 ove il giudice, in un procedimento monitorio, non ha messo il decreto ingiuntivo, rilevando d’ufficio la propria Giurisprudenza Italiana - Luglio 2010

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Diritto Processuale Civile | INCOMPETENZA TERRITORIALE

Il giudicante e` approdato alla conclusione delineata in sentenza dopo aver richiamato ed esaminato, nella parte motiva, non solo l’art. 33, comma 2, lett. u), D.Lgs. n. 206/2005 e la Dir. 93/13/CEE 2, ma anche i principi enunciati nell’ordinanza della Corte di cassazione a Sezioni unite n. 14669/2003 3 (che, come e` noto, ha composto il contrasto giurisprudenziale sulla portata e sull’applicabilita` ratione temporis della presunzione di vessatorieta` di cui al n. 19 dell’art. 1469 bis c.c., statuendo che tale disposizione «si presta ad essere interpretata nel senso per cui essa presenta il contenuto logico di una disposizione che, da un lato, configura il pertinente criterio di collegamento di competenza territoriale, dall’altro, ne esclude in linea di principio la deroga, ma, in quanto non la esclude in modo assoluto, indica la condizione alla quale puo` essere ammessa: ed a questo fine richiede al professionista di provare che, nel caso concreto, la deroga non determina squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto» e che «ha natura di norma processuale e si applica nelle cause iniziate dopo la sua entrata in vigore, anche se relative a controversie derivanti da contratti stipulati prima») e nella sentenza della medesima Corte n. 4208/2007 4, nonche´ nella sentenza n. 240/2000 della Corte di giustizia delle comunita` europee 5, offrendo cosı` un’ampia panoramica della giurisprudenza in materia. Anche solo sulla base dei principi enucleati dalle teste´ citate pronunce, senza cioe` necessita` alcuna di riferirsi alle altre numerose e conformi pronunce in materia 6, dovrebbe considerarsi principio consolidato nel nostro ordinamento processuale quello secondo cui il giudice adito, in materia di contratto stipulato tra professionista e consumatore, deve preliminarmente chiedersi se la parte che ha invocato la tutela giudiziale lo abbia fatto nel rispetto dell’art. 1469 bis, comma 3, n. 19, c.c., come ora sostituito dall’art. 33, comma 2, lett. u), D.Lgs. n. 206/2005 (c.d. codice del consumo). E` solo con tale disamina preliminare che il giudice subito assicura lo svolgersi di un processo nel rispetto del principio di difesa, che costituisce e deve costituire uno dei principi cardine del nostro ordinamento processuale.

In ragione di tale rilevanza, il principio di difesa, sotto questo profilo, deve trovare tutela non solo nell’ambito di un giudizio a cognizione piena in cui il convenuto ha comunque la facolta`, anche a prescindere dal potere officioso del giudice, di formulare tempestivamente la relativa eccezione di incompetenza territoriale del giudice adito dalla controparte, ma anche nell’ambito di ogni altro giudizio in cui il giudice sia chiamato ad esaminare una fattispecie in cui il titolo posto a fondamento della domanda sia costituito da un contratto stipulato tra consumatore e professionista. Ci riferiamo, in particolare, al procedimento monitorio ove, come noto, il contraddittorio tra le parti e` posticipato ed eventuale, attesa la particolare struttura del procedimento, ed il decreto ingiuntivo e` emesso inaudita altera parte. A tal proposito merita di essere citata, in quanto lungimirante nella materia di cui stiamo discettando ed ancorata ad un’importante sentenza della Corte costituzionale in tema di rilevabilita` ex officio dell’incompetenza territoriale da cui non puo` prescindersi in questa analisi, un precedente decreto del Tribunale di Milano 7, in cui il giudice adito rigettava un ricorso per decreto ingiuntivo, rilevando d’ufficio la propria incompetenza per territorio in quanto, alla fattispecie, doveva applicarsi la disciplina a tutela del consumatore, la quale prevede la competenza territoriale esclusiva ed inderogabile del giudice del luogo in cui il consumatore ingiunto ha la residenza o il domicilio elettivo e in considerazione del tenore della sentenza, interpretativa di rigetto, della Corte costituzionale 3 novembre 2005, n. 410 8 di cui dicevamo poc’anzi. Con questa sentenza, la Corte costituzionale, mostrandosi sensibile alle esigenze di tutela dell’equilibrio difensivo tra le parti in qualsivoglia fase processuale, ha rigettato la questione di legittimita` costituzionale dell’art. 637 c.p.c., con riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui non avrebbe previsto la rilevabilita` d’ufficio dell’incompetenza territoriale derogabile nella fase senza contraddittorio del procedimento per ingiunzione, «dovendosi ritenere [invece] che il giudice abbia detta potesta` di rilevazione» 9. Anche alla luce di tale pronuncia della Corte costituzionale, la sentenza che si annota spicca quindi per la

incompetenza territoriale ed avendo l’istante radicato il procedimento in Foro diverso dal c.d. “Foro del consumatore” ai sensi dell’art. 33, comma 2, lett. u), D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206. Sulla figura del consumatore si rimanda a Macario, Dalla tutela del contraente debole alla nozione giuridica di consumatore nella giurisprudenza comune, europea e costituzionale, in Obbligazioni e Contratti, 2006, 872. V. anche Trib. Milano, 12 dicembre 2006, in Giur. It., 2007, 2007, con nota di Usuelli. 2 Ricordiamo che la Comunita` europea e` intervenuta in tema di contratti stipulati con i consumatori con la Dir. 93/13/CEE, pubblicata in G.U.C.E. 21 aprile 1993, n. L 95, entrata in vigore il 16 aprile 1993. 3 Cass., 1o ottobre 2003, n. 14669, in Corriere Giur., 2003, 11, 1427, con nota di Conti. 4 Cass., 23 febbraio 2007, n. 4208, in Contratti, 2007, 12, 1071, con nota di Rocco di Torrepadula. 5 Corte giust. CE, 27 giugno 2000, n. 240, in Foro It., 2000, IV, 413; in Giornale dir. amm., 2000, 10, 1017, con nota di Chiti; e in Corriere Giur., 2000, 12, 1658. Con tale sentenza, per la prima volta i giudici di Lussemburgo si pronunciano sulla interpretazione della Dir. 93/13/CEE a seguito di cinque ordinanze rese, nell’ambito di controversie pressoche´ identiche, dal

medesimo ufficio giudiziario avente sede nella principale citta` catalana. 6 Sulla competenza per territorio esclusiva nella disciplina a tutela del consumatore v. Cass., 13 giugno 2006, n. 13642; Id., 24 aprile 2006, n. 9532; Id., 5 agosto 2005, n. 16574; Id., 29 settembre 2004, n. 19594 e Id., Sez. un., 1o ottobre 2003, n. 14669, in Foro It., 2003, I, 3298, con nota di Palmieri. In dottrina Dalmotto, Un foro esclusivo per il consumatore?, in Giur. It., 1997, IV, 161. 7 Trib. Milano, 12 dicembre 2006, cit. 8 La si legge in Giur. It., 2006, 1219, con note di Conte, Valenza costituzionale dei criteri della competenza e procedimento monitorio, e di Tota, La (supposta) irrilevabilita` d’ufficio dell’incompetenza territoriale «semplice» nel rito monitorio ancora al vaglio della Consulta. 9 ` E doveroso sul punto ricordare che con sentenza 28 novembre 1986, n. 251, che si legge in Foro It., 1986, I, 2969, la Corte costituzionale dichiarava infondata la questione di legittimita` costituzionale dell’art. 38, comma 3, c.p.c. in riferimento agli artt. 24, comma 2, e 25, comma 1, Cost. nella parte in cui preclude al giudice di rilevare d’ufficio la propria incompetenza per territorio nel procedimento in contumacia del convenuto,

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sua coerenza e per la sua capacita` di dare piena applicazione al principio di difesa, che appare monco senza un ausilio ed un intervento da parte dell’organo giudicante nel senso di preliminarmente esaminare la sussistenza della propria competenza territoriale quando sia chiamato a pronunciarsi in relazione ad un’ipotesi contrattuale a cui debba applicarsi la normativa dettata a tutela del consumatore. Nella fattispecie oggetto della sentenza in commento, poi, la questione della rilevabilita` d’ufficio dell’incompetenza territoriale del giudice adito appariva ancor piu` delicata, poiche´ il convenuto, come si e` accennato, non si era costituito in giudizio e quindi era stato dichiarato contumace 10. E` stato infatti correttamente rilevato, ancorche´ in merito al procedimento monitorio (ma il principio mi pare debba valere in ogni ambito del nostro ordinamento processuale civile e sopratutto in un processo contumaciale), che «il sistema della contestabilita` solo da parte del convenuto nella prima difesa e dell’irrilevabilita` ex officio dell’incompetenza, in funzione della formazione di un accordo sulla competenza territoriale derogabile, puo` essere fondatamente predicato solo laddove il convenuto abbia la concreta possibilita` di contestare la “scelta” del giudice ovvero di aderire all’indicazione factis operata dall’attore; ma, allorquando tale possibilita` sia negata dalla stessa, particolare struttura del contraddittorio che esclude la convocazione del convenuto prima dell’emanazione del provvedimento (se del caso emesso in forma esecutiva), non sembra illogico ritenere che il giudice adito, che e` in primo luogo il giudice della propria competenza, possa accertare, tra le condizioni del provvedimento favorevole, la sussistenza della propria competenza, anche

prescindendo dalle regole di rilevabilita` che l’art. 38 c.p.c. pone con riferimento al processo nel quale il contraddittorio e` preventivo e non eventuale e differito» 11. Salvatore Satta osservava, al riguardo, che «si legge spesso nei testi che, essendo la competenza territoriale derogabile e il suo difetto non rilevabile ex officio il giudice al quale sia stato richiesto il decreto non possa rifiutarlo per motivi di incompetenza. Siamo dell’avviso che la soluzione sia assolutamente sbagliata, perche´ nel procedimento sommario la competenza agisce da condizione di ammissibilita` e pertanto il Giudice non ha limiti nei poteri di disposizione delle parti» 12. Come dicevamo, delineare il diritto-dovere in capo al giudice adito di rilevare ex officio in chiave costituzionale il proprio difetto di competenza territoriale amplia anche la portata e l’applicazione dei principi, appunto di rango costituzionale, dell’inviolabilita` del diritto di difesa «in ogni stato e grado del procedimento» (art. 24, comma 2, Cost.) e del contraddittorio tra le parti (art. 111 Cost.), che costituiscono, a loro volta, corollario del principio di eguaglianza 13. E` merce´ una lettura come quella offerta dal Tribunale di Milano con la sentenza in commento, coerente con la normativa nazionale e comunitaria e nel solco della giurisprudenza nazionale di legittimita` e di merito nonche´ comunitaria, che si evita, ad una delle parti, un esercizio piu` gravoso del diritto di difesa e si permette cosı` di addivenire ad un piu` equo bilanciamento del rapporto tra le parti processuali: il che, in ultima analisi, vuol dire accordare maggiore rispetto alle norme della Costituzione sopra indicate. Aggiungasi che un’interpretazione rigorosa delle norme a tutela del consumatore, come quella proposta

precisando che «non e` lecito chiosare che la nozione di giudice naturale precostituito per legge nulla ha da vedere con la ripartizione della competenza territoriale tra giudici, dettata da normativa nel tempo anteriore alla istituzione del giudizio». Con successiva ordinanza 25 giugno 1996, n. 218, che si legge in Foro It., 1997, I, 1020, con nota di Romboli, la Corte costituzionale rilevava che «gli inconvenienti fattuali e gli abusi applicativi che prospetta l’autorita` rimettente, non incidono, proprio in quanto tali, sulla legittimita` della norma denunciata e trovano peraltro sanzione e rimedio all’interno della stessa disciplina processuale potendo le “difficolta`”, in tesi, artatamente create dal creditore al debitore ingiunto, essere valutate dal giudice dell’opposizione (innanzi al quale va eccepita l’incompetenza) ai fini della liquidazione delle spese» anche per la lite temeraria. A tale ultima pronuncia sono seguite due ordinanze del medesimo tenore: Corte cost., 26 luglio 1996, n. 320, in Giur. Cost., 1996, 26 20, e Id., 16 dicembre 1996, n. 394, in Giur. It., 1996, 3635. Non e` possibile in questa sede ripercorrere le fasi della questione e ivi basti citare che, secondo l’orientamento prevalente — almeno fino alla pronuncia della Corte costituzionale n. 410/2005 —, il giudice della fase monitoria deve rilevare ex officio la propria incompetenza — rigettando quindi il ricorso — allorquando ravvisi un caso di competenza inderogabile ex art. 28 c.p.c. o, secondo la giurisprudenza prevalente, ravvisi un caso di competenza per territorio esclusiva inderogabile ai sensi dell’art. 33, comma 2, lett. u), D.Lgs. n. 206/2005, quale quello considerato nel provvedimento in commento. Tale potere di controllo ex officio non era invece riconosciuto al giudice investito della fase monitoria di fronte ad un’ipotesi di incompetenza territoriale derogabile, sul rilievo che, ai sensi dell’art. 38, comma 2, c.p.c., tale incompetenza poteva essere eccepita solo dal convenuto con l’atto di opposizione ex art. 645 c.p.c. V. in dottrina Gar-

bagnati, Il procedimento d’ingiunzione, Milano, 1991, 277; Andrioli, Commento al codice di procedura civile, IV, Napoli, 1964, 48; D’Onofrio, Commento al codice di procedura civile, II, Torino, 1957, 246; in giurisprudenza, Cass., 6 febbraio 1969, n. 400, in Giur. It., 1969, I, 1, 1348; Id., 17 giugno 1974, n. 1786. 10 La giurisprudenza prevalente non ritiene che la contumacia comporti ammissione dell’esistenza dei fatti dedotti dall’attore a fondamento della domanda; cosı`, ex multis, Cass., 6 febbraio 1998, n. 1293; Id., 9 marzo 1990, n. 1898, in Giur. It., 1990, 259. Tale principio non trovava pero` applicazione nel processo societario ove, ai sensi dell’art. 13, comma 2, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 e successive modificazioni, i fatti affermati dall’attore che avesse formulato istanza di fissazione dell’udienza si intendevano non contestati e idonei a fondare la decisione in caso di mancata o tardiva costituzione del convenuto. Tale disposizione non e` tuttavia sfuggita alle critiche di autorevole dottrina e sul punto si rimanda a Dalmotto, Il procedimento ordinario, sommario e cautelare nel nuovo processo societario, finanziario e bancario, in Il nuovo diritto societario, Commentario a cura di Cottino, Bonfante, Cagnasso e Montalenti, Bologna, 2004, 2844. La norma, peraltro, come e` noto, fu dichiarata incostituzionale, sebbene per eccesso di delega, da Corte cost., 12 ottobre 2007, n. 340, in Giur. It., 2008, 1, 153 e in Corriere Giur., 2007, 12, 1741. 11 Capponi, Procedimento monitorio e competenza territoriale semplice, in Corriere Giur., 1996, 101. 12 Satta, Commentario al codice di procedura civile, IV, 1, Milano, 1968, 49. 13 Proto Pisani, Principio del contraddittorio, in Comm. C.P.C. a cura di Allorio, I, 2, Torino, 1973, 1086; Martinetto, voce “Contraddittorio (principio del)”, in Noviss. Dig. It., IV, Torino, 1964, 459. Giurisprudenza Italiana - Luglio 2010

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dal Tribunale di Milano nella sentenza in commento, dovrebbe costringere ed indurre l’attore ad adire correttamente il giudice competente al fine di evitare un provvedimento di rigetto e cio` non puo` che portare anche ad una piu` concreta applicazione, non solo dell’art. 24 Cost., ma anche dell’art. 25 Cost., di cui la Corte ha fatto applicazione anche nella sentenza 8 febbraio 2006, n. 41 14, rilevando che «e` costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt. 24 e 25 Cost., il combinato disposto degli artt. 38 e 102 c.p.c., nella parte in cui, in ipotesi di litisconsorzio necessario, consente di ritenere improduttiva di effetti l’eccezione di incompetenza territoriale derogabile proposta non da tutti i litisconsorti convenuti» 15. La Corte di cassazione, peraltro, da tempo si e` mostrata attenta e sensibile alla normativa a tutela del consumatore, delineando i profili della sua applicabilita` e via via configurando le sfumature di tale normativa che devono portare ad una corretta ed uniforme applicazione della stessa da parte dei giudici di merito. Cosı` la Corte ha delineato i confini della figura del consumatore, precisando che deve essere considerato consumatore solo «la persona fisica che, pur svolgendo attivita` imprenditoriale o professionale, conclude un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio di dette attivita`» 16, mentre il professionista e` la persona fisica o giuridica, sia pubblica che privata, che «utilizza il contratto nel quadro della sua attivita` imprenditoriale o professionale» 17. Gli sforzi della giurisprudenza piu` attenta si sono orientati anche nel senso di definire le ipotesi di esclusione dell’applicabilita` della normativa a tutela del consumatore quando una delle parti processuali non riveste tale qualita`, poiche´ «l’acquisizione del bene o del servizio e` finalizzata allo svolgimento di un’attivita` di impresa, a prescindere dall’eventuale utilizzazione diretta del bene o del servizio da parte dell’acquirente» 18. Allo stesso modo, secondo la giurisprudenza di legittimita`, il garante per fideiussione non puo` invocare la disciplina a tutela del consumatore ed eccepire, in forza della stessa, l’incompetenza del giudice adito quando il debitore principale, per cui e` stata prestata la garanzia, sia un imprenditore professionale 19, atteso che «la qualita` del debitore principale attrae quella del fideiussore ai fini della individuazione del soggetto che deve rivestire la qualita` di consumatore», mentre e` sta-

to ritenuto che il condominio, in relazione ai contratti stipulati dal suo amministratore, assuma la qualifica di consumatore 20 e possa quindi beneficiare della tutela che tale qualifica comporta. Di recente la Corte di cassazione, con un’ordinanza di notevole interesse per la sua profonda analisi anche del tessuto sociale ed imprenditoriale, ha escluso che rivestisse la qualita` di consumatore, con conseguente inapplicabilita` dell’art. 1469 bis c.p.c., «la parte contrattuale che abbia stipulato il contratto per pubblicizzare la propria attivita` commerciale sulle pagine degli elenchi telefonici confezionati dal commissionario» 21. Anche la giurisprudenza comunitaria si e` sforzata di delineare l’ambito di applicazione della disciplina a tutela del consumatore affinche´ i giudici dei Paesi membri diano una corretta ed uniforme applicazione alla Dir. 93/13/CEE in materia. Cosı`, l’orientamento espresso dalla Corte di giustizia delle Comunita` europee e richiamato dalla sentenza in commento e` stato ribadito dalla medesima Corte di giustizia anche recentemente, in una pronuncia alquanto interessante poiche´ nella stessa si sancisce il principio secondo cui «il giudice nazionale deve esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine. Se esso considera abusiva una siffatta clausola non la applica tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga. Tale obbligo incombe al giudice nazionale anche in sede di verifica della propria competenza territoriale» 22. La Corte di giustizia era stata chiamata a pronunciarsi in merito all’interpretazione della Dir. 93/13/CEE nell’ambito di una controversia tra una societa` ed una cliente in relazione all’esecuzione di un contratto di abbonamento di telefonia mobile stipulato tra dette parti e concluso tramite sottoscrizione di un formulario che includeva le condizioni contrattuali generali e che costituiva parte inscindibile del contratto. Tra tali condizioni era previsto, quale Foro competente per la definizione delle controversie derivanti dal contratto o ad esso connesse, quello ove la societa` aveva la propria sede, ma tale clausola attributiva di competenza non risultava essere stata negoziata tra le parti. La Corte ha precisato, nella parte motiva della sentenza che qui interessa, che «il giudice adito ha dunque il compito di garantire l’effetto utile della tutela cui mirano le disposizioni della direttiva. Di conseguenza, il ruolo cosı` attribuito al giudice nazionale dal diritto

14 La si legge in Foro It., 2006, 4, 1, 973, con nota di Costantino. 15 A ben guardare, l’esistenza di uno stretto collegamento tra i principi costituzionali e norme regolatrici della competenza sembra essere dimostrato da alcune precedenti sentenze della Corte costituzionale la cui portata oggi, dopo la citata sentenza n. 410/2005, potrebbe essere notevolmente rivalutata. In proposito v. Corte cost., 24 gennaio 1969, n. 4, in Giur. It., 1969, I, 1, 385; Id., 7 ottobre 1993, n. 369, in Cons. Stato, 1993, II, 1659; Id., 9 marzo 1990, n. 117, in Foro It., 1990, I, 2431; per un piu` approfondito esame sugli interventi della Corte costituzionale in materia di norme sulla competenza si rinvia alla nota di Conte, cit. 16 La descrizione del consumatore qui offerta dalla suprema Corte all’interno dello stesso codice del consumo non e` l’unica che si rinviene. Sul punto si richiama a Chine` , Uso ed abuso

della nozione di consumatore nel codice del consumo, in Corr. del Merito, 2006, 431. 17 Cass., 9 novembre 2006, n. 23892, in Contratti, 2007, 6, 576 e in Notariato, 2007, 2, 142; conformi Id., 8 giugno 2007, n. 13377, in Contratti, 2007, 10, 898; Id., 10 luglio 2008, n. 18863, in Danno e Resp., 2009, 4, 385, con nota di Batolini, e ibid., 10, 944, con nota di Garatti. 18 Cass., 23 febbraio 2007, n. 4208, in Foro It., 2007, I, 2439. 19 Cass., 11 gennaio 2001, n. 314, in Giust. Civ., 2001, I, 2151, con nota di Di Marzio, e Id., 13 maggio 2005, n. 10107. Contra Trib. Palermo, 13 dicembre 2005, in Corr. del Merito, 2006, 2006, 317, con nota di Conti. 20 Cass., 24 luglio 2001, n. 10086. 21 Cass., 6 giugno 2009, n. 13033. 22 Corte giust. CE, 4 giugno 2009, n. 243, in Obbligazioni e Contratti, 2009, 8-9, 755, con nota di Rossolillo.

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comunitario nell’ambito di cui trattasi non si limita ad una semplice facolta` di pronunciarsi sull’eventuale natura abusiva di una clausola contrattuale, bensı` comporta parimenti l’obbligo di esaminare d’ufficio tale questione, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, incluso il caso in cui deve pronunciarsi sulla propria competenza territoriale». In un tale contesto nazionale e comunitario pare che perda di pregnanza, come rilevato anche dal giudice estensore della sentenza in commento, la querelle, relativa alla sussistenza o meno in capo al giudice, di un potere di controllo ex officio in punto competenza territoriale anche nelle ipotesi di incompetenza territoriale derogabile che, secondo dottrina e giurisprudenza prevalenti, poteva essere eccepita solo dalle parti ai sensi dell’art. 38, comma 2, c.p.c. In base a quanto sopra delineato, in materia di contratti stipulati tra consumatore e professionista, deve ormai ravvisarsi un parallelismo tra competenza inderogabile e competenza derogabile in settori, per cosı` dire, “sensibili”, in cui, cioe`, vi e` una presunzione di vessatorieta` di una clausola derogativa della competenza, la quale puo` essere superata solo dimostrando che la sua sottoscrizione ha costituito l’esito di una consapevole trattativa al riguardo e non la supina accettazione dell’altrui volonta`, imposta con le condizioni generali di contratto 23 e a cui e` associato, a tal fine, un potere officioso del giudice di rilevare il proprio difetto di competenza in mancanza di prova sulla trattativa individuale tra le parti sul punto. Tale onere probatorio grava sulla parte che ha interesse ad avvalersi della clausola derogatoria della competenza, secondo i principi generali in tema di onere della prova. Ida Usuelli

CONTESTAZIONE GENERICA Tribunale Catanzaro, 30 ottobre 2009 (ordinanza) — Nania Giudice unico — Z. s.r.l. - Banco. Procedimento civile — Contestazione generica — Inefficacia (C.p.c. art. 115). Procedimento civile — Contestazione generica — Non contestazione — Effetto (C.p.c. art. 115). La semplice negazione di un fatto, non accompagnata dall’indicazione di un altro fatto positivo, incompatibile con quello negato, equivale a contestazione generica (1). Il fatto contestato genericamente non necessita di prova (2). Omissis. — 1. Con ricorso ex art. 700 c.p.c. la Z s.r.l. lamentava l’illegittimita` e/o erroneita` del protesto levato nei suoi confronti per il mancato pagamento di una cambiale — domiciliataria il Banco ... — con scadenza .... 2009 e rilasciata in favore della Y s.r.l. La Z, in particolare, deduceva che la suddetta cambiale faceva parte di un gruppo di effetti cambiari di importo pari 23

1667 a euro 4.145,46 ciascuno, con scadenze mensili consecutive. — Omissis. La Z evidenziava il puntuale pagamento di tutte le precedenti cambiali e deduceva di aver debitamente ordinato alla banca domiciliataria il pagamento anche di quella con scadenza ... 2009, mediante nota (prodotta in giudizio) spedita a mezzo fax in pari data. Tuttavia, la banca domiciliataria — come e` dato evincere dalla documentazione prodotta dalla ricorrente, relativa ad una comunicazione del Banco ... del 16 luglio 2009 — mandava in pagamento l’effetto cambiario del mese successivo, con scadenza 16 agosto 2009. Non effettuato il pagamento della cambiale del 16 luglio 2009, veniva levato protesto in data 17 luglio, iscritto al repertorio il 14 agosto 2009 dalla CCIAA di Catanzaro, sulla scorta del seguente motivo: “il domiciliatario non paga per mancanza di istruzioni”. La Z allegava quindi i pregiudizi subiti a causa del suddetto protesto, e relativi alle conseguenze derivanti dalle procedure pubblicitarie del protesto medesimo (revoca di fidi, blocco dei crediti). La ricorrente, quindi, chiedeva in via d’urgenza la cancellazione del proprio nominativo dal registro dei protesti della CCIAA di Catanzaro. 2. Si costituiva nel presente procedimento il Banco ..., lamentando (Omissis) l’infondatezza nel merito della pretesa cautelare del ricorrente. — Omissis. 4. Nel merito, il ricorso e` fondato e deve pertanto essere accolto. Deve preliminarmente affermarsi il principio per il quale la levata di protesto di cambiale e` illegittima ogniqualvolta il mancato pagamento al portatore del titolo sia dipeso dal fatto colposo di un soggetto terzo rispetto al debitore traente. Orbene, nella fattispecie risulta dimostrato che il debitore traente, la Z s.r.l., aveva con precisione e con puntualita` impartito alla banca domiciliataria l’ordine di pagamento della cambiale successivamente protestata. Cio`, nel dettaglio, emerge dalla ricevuta fax del 16 luglio 2009, con la quale era stato impartito l’ordine di pagamento della cambiale con scadenza in pari data, e dalla ricevuta del Banco ..., sempre del ... 2009, da cui emerge che l’effetto cambiario pagato dal domiciliatario era quello del ... 2009. Tanto dimostra l’errore in cui e` incorso il Banco ..., mandando in pagamento la cambiale successiva a quella per la quale era stato impartito l’ordine. — Omissis. Inoltre, deve sottolinearsi come generiche — e pertanto inefficaci — siano le contestazioni mosse dal Banco ... alle deduzioni del ricorrente. E` bene infatti precisare che l’art. 115 c.p.c., nuova formulazione, trova applicazione al presente procedimento, trattandosi di ricorso cautelare introdotto successivamente all’entrata in vigore della legge n. 69/2009. Detto articolo afferma che il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal p.m. nonche´ i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita. La disposizione traduce in norma cogente un principio gia` affermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte, per la quale l’assunto di aver “...impugnato e contestato la domanda formulata dalla controparte perche´ infondata in fatto ed in diritto” riguarda una affermazione difensiva assolutamente generica (Cass. civ. 5 marzo 2009 n. 5356). E`, al contrario, specifica una contestazione che contrasta il fatto avverso con un altro fatto diverso o logicamente incompatibile oppure con una difesa che appare seria per la puntualita` dei riferimenti richiamati. Il principio della necessaria contestazione specifica dei fatti addotti dalla controparte, come rileva la dottrina, e` “di importanza essenziale per non rendere impossibile o comunque eccessivamente difficile l’onere probatorio delle parti ed

Cosı` Cass., 23 febbraio 2007, n. 4208, cit. Giurisprudenza Italiana - Luglio 2010

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in specie dell’attore, per evitare il compimento di attivita` inutili e quindi realizzare esigenze di semplificazione e di economia processuale”. Cio` premesso, devono allora ritenersi del tutto generiche le contestazioni del Banco ..., che si limita a contestare alla ricorrente la mancata prova: 1) che il numero di fax cui e` stata spedito l’ordine di pagamento fosse effettivamente quello dell’ufficio cassa cambiali del Banco ...; 2) della natura del contratto in forza del quale la Banca avesse l’obbligo di pagare la cambiale; 3) della capienza del conto corrente della Z al momento dell’ordine di pagamento. La genericita` e` evidente posto che sarebbe stato onere dell’istituto di credito: 1) indicare il reale numero di fax dell’ufficio cambiali; 2) indicare la natura il contratto o i contratti che legano il Banco alla Z; 3) indicare l’effettiva somma esistente sul conto corrente della Z al momento del pagamento. E` bene precisare che il principio della contestazione specifica non implica inversione dell’onere della prova. L’onere di cui all’art. 115 c.p.c. non e` onere probatorio, ma onere di allegazione: la parte non puo` limitarsi a negare i fatti affermati dalla controparte, ma deve contrastarli indicando altri ed ulteriori fatti positivi che siano con essi incompatibili. Se manca tale indicazione, la contestazione e` generica, e pertanto il fatto genericamente contestato non ha necessita` di prova. Altrimenti detto, la contestazione specifica ha il compito di delimitare il thema probandum: solo con una contestazione specifica il fatto oggetto di contestazione assurge a fatto oggetto di prova, ed ovviamente le conseguenze di una eventuale mancata prova vengono ripartite secondo il criterio generale di cui all’art. 2697 c.c. Se, al contrario, siffatta contestazione non viene posta in essere, il fatto non contestato (o contestato genericamente) non ha bisogno di essere provato. Tale principio, peraltro, va coordinato con il principio di vicinanza della prova: cioe`, la specificita` della contestazione variera` a seconda della vicinanza del contestatore al fatto da contestare. Infatti, la Cassazione afferma che “negare il fatto avverso”, tout court, equivale a contestazione generica e ribadisce che: I) contestare sostenendo che la parte avversaria non ha provato i fatti dedotti ed allegati costituisce una contestazione meramente apparente, come tale equivalente alla “non contestazione”; II) in tanto puo` operare il principio di non contestazione in quanto le circostanze oggetto della contestazione siano “nella sfera di conoscenza e di disponibilita` del contestatore” (Cass. civ. 15 aprile 2009 n. 8933). Orbene, e` di per se´ evidente come nel caso di specie il Banco ... fosse perfettamente in grado non solo di offrire una contestazione specifica dei fatti allegati dall’odierno ricorrente, ma addirittura di provare documentalmente fatti in contrasto con la tesi difensiva della Z: e` certamente nell’immediata disponibilita` dell’istituto di credito il contratto o i contratti intercorrenti con la ricorrente, cosı` come e` di facile allegazione (e di facilissima dimostrazione) per la banca l’indicazione delle somme presenti sul conto corrente della Z alla data del 16 luglio 2009. Ed e` altresı` di elementare contestabilita` la circostanza della trasmissione fax ad un numero errato: sarebbe stato sufficiente per l’istituto di credito l’indicazione dell’eventuale corretto numero di fax dell’ufficio cambiali del Banco. — Omissis. 6. Sussistono quindi i presupposti per la concessione della richiesta tutela innominata d’urgenza. — Omissis.

(1-2) Sul rispetto dell’onere di contestazione anche in caso di incolpevole ignoranza e sugli effetti della mancata contestazione

1 Pubblicata in Foro It., 2002, I, 2019, con nota di Cea, Il principio della non contestazione al vaglio delle sezioni unite, con massima riprodotta ivi, 2003, I, 604, con nota di Proto Pisani, Allegazione dei fatti e principio di non contestazione nel processo civile, pubblicata anche in Giust. Civ., 2002, I, 1245 e 1909, con nota di Cattani, Sull’onere della specifica contestazione da parte del datore di lavoro dei conteggi relativi alle spettanze richieste dal lavoratore, e in Dir. Lav., 2003, II, 131, con nota di Brizzi, Il

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1. Il provvedimento che si annota presenta piu` profili di interesse relativi ad un tema riportato prepotentemente all’attenzione dei pratici dalla nota sentenza delle Sezioni unite n. 761/2002 1, del quale e` facile prevedere la crescente diffusione applicativa, a seguito dell’intervenuta modifica dell’art. 115 c.p.c. ad opera della legge n. 69/2009: l’operativita` del principio di non contestazione (ovvero, visto sotto altra prospettiva, dell’onere di contestazione, rectius dell’onere di prendere posizione). L’ordinanza del Tribunale di Catanzaro si caratterizza, anzitutto, per una significativa chiarezza espositiva della motivazione: il che non sempre accade nei provvedimenti a contenuto processuale, i cui mancati richiami alla situazione di fatto rendono talora assai difficoltoso per il lettore comprendere (e valutare) il ragionamento seguito dal giudice. Si tratta di una misura cautelare successiva all’entrata in vigore della legge n. 69/2009, nella quale il Tribunale da` atto dell’applicazione del novellato art. 115 c.p.c. (anche nel procedimento cautelare, stante la collocazione della norma nel primo libro del codice di rito), e precisa in cosa debba consistere la contestazione specifica della parte, in assenza della quale il fatto deve essere considerato dal giudice come «non contestato». Ma andiamo con ordine, accennando al contenuto della lite, la cui conoscenza puo` facilitare la valutazione ad opera del lettore dei principi giuridici affermati nel provvedimento. 2. La societa` Z ha convenuto in giudizio in via d’urgenza la propria banca, lamentando che essa non avesse dato seguito ad un ordine di pagamento di una cambiale, cosı` determinando la levata del protesto a carico della societa` Z, con la seguente motivazione: «il domiciliatario [id est, la banca della societa` Z: n.d.e.] non paga per mancanza di istruzioni». In questo contesto, la societa` Z ha allegato di aver ordinato alla propria banca di pagare la cambiale protestata (come gia` aveva fatto, senza problemi, per quelle precedenti) tramite una comunicazione spedita a mezzo telefax, e prodotta in giudizio. Avendo verificato, qualche giorno dopo, che era stata erroneamente pagata una cambiale del mese successivo a quello oggetto dell’ordine, aveva immediatamente contattato la banca, ma si era sentita tranquillizzare con l’affermazione che la cambiale non pagata (e poi protestata) non era mai giunta alla banca. A fronte di tali allegazioni, la banca ha contestato alla ricorrente la mancata dimostrazione: (i) della corrispondenza del numero di fax cui era stata inviata la comunicazione del cliente con quello del suo ufficio principio di non contestazione nel processo del lavoro; cfr. anche Del Core, Il principio di non contestazione nel processo civile: profili sistematici, riferimenti di dottrina e recenti acquisizioni giurisprudenziali, in Giust. Civ., 2004, II, 111 e segg.; Oriani, Il principio di non contestazione comporta l’improponibilita` in appello di eccezioni in senso lato?, in Foro It., 2003, I, 1516 e segg.; Rascio, Note brevi sul principio di non contestazione (a margine di un’importante sentenza), in Dir. e Giur., 2002, 78 e segg.

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cambiali; (ii) della clausola contrattuale che avrebbe imposto alla banca il pagamento della cambiale; (iii) della capienza del conto corrente su cui avrebbe dovuto essere addebitato il pagamento. Non vi e` bisogno di spendere molte parole per comprendere l’assoluta genericita` e la palese strumentalita` di tali contestazioni. Nel qualificarle tali, il Tribunale le considera inidonee a rispettare l’onere di contestazione specifica gravante sulla banca, la quale avrebbe invece dovuto indicare: (i) l’esatto numero di fax dell’ufficio cambiali; (ii) l’effettivo contratto che legava la banca alla societa` Z; (iii) la somma giacente sul conto corrente al momento del pagamento. Tali prescrizioni sono dettate in ossequio all’onere di contestazione gravante sulle parti, per il cui puntuale assolvimento, a detta del giudice catanzarese, la parte non puo` limitarsi a negare genericamente le allegazioni avversarie, dovendole invece contrastare «indicando altri ed ulteriori fatti positivi che siano con ess(e) incompatibili», pena, in caso contrario, una contestazione generica, inidonea a rendere il fatto bisognoso di prova. Inoltre, secondo il Tribunale il principio di non contestazione «va coordinato con il principio di vicinanza della prova: cioe`, la specificita` della contestazione variera` a seconda della vicinanza del contestatore al fatto da contestare». Infine, quanto alle conseguenze della mancata (o generica) contestazione, il Tribunale afferma che il fatto «non ha bisogno di essere provato». Tali affermazioni toccano alcuni nodi teorici di non facile soluzione, su cui non vi e` uniformita` di opinioni in dottrina e giurisprudenza. 3. Riguardo il rispetto dell’onere di contestazione 2, ci si chiede se, a fronte di una allegazione specifica 3 di una parte, comune ad entrambi 4, la controparte 5 abbia l’onere di semplicemente negarla, oppure — come afferma il Tribunale di Catanzaro — di contrastarla contrapponendo altri fatti positivi incompatibili con l’allegazione contrastata. In relazione ai fatti esaminati dal Tribunale, la correttezza di tale affermazione pare indiscutibile; ovvio essendo che negare — come ha fatto la banca — la riferibilita` all’ufficio cambiali di un certo numero di 2 Anche se frequentemente si parla di «onere di contestazione», a livello di diritto positivo l’art. 167 c.p.c. pone a carico del convenuto l’onere di «prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda», e l’art. 416 c.p.c. precisa che tale «presa di posizione» deve essere effettuata «in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione». 3 Sulla necessaria specificita` dell’allegazione, per renderla oggetto dell’onere di contestazione da parte dell’avversario, in forza della «necessaria circolarita` tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova», cfr. Cass., Sez. un., 17 giugno 2004, n. 11353, in Giur. It., 2005, 324. 4 Sulla necessita` che l’allegazione su cui la parte ha l’onere di prendere posizione sia comune a entrambi le parti cfr. Balena, La nuova pseudo-riforma del processo civile, in www.judicium.it, par. 12. 5 Ovviamente, per quanto gli artt. 167 e 416 c.p.c. gravino il convenuto dell’onere di prendere posizione, deve ritenersi che il medesimo onere si estenda all’attore, in forza del principio costituzionale di parita` della parti nel processo: in tal senso cfr. Cea, La tecnica della non contestazione nel processo civile, in

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fax, senza al contempo fornire il numero di fax ritenuto corretto, sicuramente non equivale a sollevare una contestazione specifica. Peraltro, prima di individuare in tale affermazione una regola generale, ritenendo che, ogniqualvolta la parte non contrapponga ad un’allegazione altrui contrastata un fatto positivo con essa incompatibile, l’allegazione debba ritenersi incontestata, occorre procedere con cautela, considerando che non sempre per la parte e` concretamente possibile attuare un tale comportamento processuale. Infatti: — da un lato, nessuno dubiterebbe che, a fronte della specifica narrazione della dinamica di un sinistro stradale da parte di un attore danneggiato nei confronti di un convenuto asserito danneggiante, quest’ultimo non possa limitarsi a negare la dinamica affermata dall’attore, ma debba “prendere posizione” descrivendo un’altra dinamica alternativa (e, cioe`, un fatto positivo incompatibile con quello contestato), per non vedersi qualificare la sua contestazione come meramente generica, non rispettosa dell’onere posto a suo carico dalla legge; — dall’altro, qualora l’attore alleghi che il convenuto ha accettato la sua proposta contrattuale nel corso di un certo colloquio telefonico, quest’ultimo potrebbe limitarsi a negarlo, senza necessariamente poter contrapporre un altro fatto incompatibile con l’asserita accettazione della proposta contrattuale; ma, non per questo, la sua negazione potrebbe definirsi come contestazione generica. I due esempi di cui sopra evidenziano che nell’innumerevole varieta` delle singole fattispecie riesce difficile stabilire, una volta per tutte, quali caratteri debba avere la contestazione della parte per non essere considerata insufficiente o generica 6, ma invece rispettosa dei precetti degli artt. 167 e 416 c.p.c.: in taluni casi sara` sufficiente una semplice negazione, mentre in altri casi dovra` contrapporsi un fatto positivo incompatibile con quello negato. 4. Non solo: a ben vedere non mancano casi in cui anche l’omessa negazione ad opera della parte nei confronti di un’allegazione avversaria non la rende incontestata. Giusto Processo Civ., 2006, 190; in giurisprudenza cfr. Cass., 4 dicembre 2007, n. 25269, in Lav. nella Giur., 2008, 270, con nota di Iarussi, Onere di contestazione tempestiva dei fatti e giusto processo; Id., 13 giugno 2005, n. 12636, in Foro It., 2006, I, 1492, con nota senza titolo di De Santis, secondo cui «nel rito del lavoro, ad ogni onere di allegazione si contrappone l’onere dell’altra parte di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile»; Trib. Ivrea, 17 ottobre 2007, in Foro Pad., 2007, I, 586, con nota di Rosito, Sulla gravita` dell’inadempimento che legittima dimissioni, per giusta causa. 6 In giurisprudenza, escludono che la contestazione generica equivalga a non contestazione Cass., 3 maggio 2007, n.10182, in Repertorio Foro It., 2008, voce “Lavoro e previdenza (controversie)”, n. 84, nonche´ in Riv. Dir. Proc., 2008, 559, con nota di De Santis, Sul concetto di «non inequivocabilita`» della non contestazione; Id., 2 maggio 2007, n. 10098, in Repertorio Foro It., 2007, voce cit., n. 72; contra, cfr. Trib. Ivrea, 22 dicembre 2006, in Foro It., 2007, I, 968, con nota di De Santis; App. Venezia, 15 marzo 2006, in Informazione prev., 2006, 575.

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Si pensi, ad esempio, alla dinamica di un infortunio accaduto alla presenza di colleghi di lavoro, allegata dal lavoratore attore che domanda il risarcimento del danno al datore di lavoro persona giuridica; se i colleghi dell’infortunato che hanno assistito all’infortunio non sono piu` dipendenti del datore di lavoro ne´ reperibili, pur essendo in astratto tale allegazione qualificabile come “comune” ad entrambi le parti (lavoratore e datore di lavoro persona giuridica), quest’ultimo potra` limitarsi a dichiarare di “non conoscere” la dinamica dell’infortunio in ragione dell’impossibilita` di assumere informazioni al riguardo, senza che tale dichiarazione di incolpevole ignoranza possa venire giudizialmente equiparata ad una mancata contestazione; cosı` come l’art. 214, comma 2, c.p.c. consente agli eredi o aventi causa di «dichiarare di non conoscere la scrittura o la sottoscrizione del loro autore», senza che da cio` discenda il tacito riconoscimento della scrittura privata. Alla base della regola di cui all’art. 214, comma 2, che costituisce una delle applicazioni della tecnica della non contestazione 7, sta infatti il principio secondo cui l’incolpevole ignoranza dell’altrui allegazione non consente di ritenerla non contestata. La stessa regola puo` applicarsi estensivamente all’intera tematica della non contestazione: non si potra` ritenere non contestato un fatto che la parte non nega, ma al contempo non ammette, dichiarando — e dimostrando — di ignorarlo senza sua colpa 8; poiche´, cosı` facendo, essa avra` pur sempre «preso posizione in maniera specifica» sull’allegazione altrui. Naturalmente, ci potranno essere: — casi in cui l’ignoranza incolpevole della parte sull’altrui allegazione e` di tutta evidenza, ad esempio perche´ il fatto non e` comune a entrambi le parti (come nel caso in cui il datore di lavoro non prenda posizione sull’asserita compromissione della vita di relazione del lavoratore che lo ha convenuto in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni di un asserito illegittimo demansionamento); — ed altri casi in cui, invece, l’incolpevole ignoranza della parte sull’altrui allegazione deve essere dalla stessa formalmente esplicitata (come, nell’esempio sopra ricordato dell’infortunio sul lavoro, dalla dinamica ignorata dal datore di lavoro). Nelle prime ipotesi il silenzio della parte sara` privo di rilievo, non essendo il fatto comune, e non sara` valutato in suo danno anche in assenza di precisazioni da parte sua (essendo evidente che essa nulla avrebbe potuto fare di diverso); nelle seconde, invece, per evitare pregiudizi processuali la parte dovra` esplicitare — cosı` “prendendo posizione” — che essa ignora incolpevol7 Cfr. Carratta, Il principio della non contestazione nel processo civile, Milano, 1995, 337 e segg. 8 Diversamente la dichiarazione di ignoranza colpevolmente non colmata potrebbe essere valutata quanto meno come argomento di prova, similmente all’ignoranza, «senza gravi ragioni», del procuratore speciale della parte chiamato a rispondere all’interrogatorio libero (cfr. artt. 185 e 420, comma 2, c.p.c.). 9 Sottolinea che il carattere omissivo della non contestazione «rende particolarmente delicata l’individuazione da parte del giudice di quando un fatto sia effettivamente non contestato» Proto Pisani, op. cit., 606.

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mente il fatto allegato dall’avversario e, per tale ragione, non puo` dichiararsi sulla sua veridicita`. 5. Se quanto precede risulta condivisibile, l’affermazione del Tribunale di Catanzaro (secondo cui per evitare di rendere il fatto incontestato la parte ha l’onere di prendere posizione contrapponendo un fatto positivo e incompatibile rispetto a quello negato), pur mantenendo la sua condivisibilita` teorica, vede ristretto il suo ambito applicativo solo ad alcune ipotesi. Ed allora, quando la parte a fronte di un’allegazione altrui non possa contrapporne una positiva incompatibile, per ragioni oggettive o soggettive, la semplice negazione, o, addirittura, la dichiarazione di una dimostrabile giustificata ignoranza del fatto in questione, non lo fara` diventare incontestato, dovendosi ritenere che in tal modo la parte abbia comunque preso posizione su di esso “in maniera specifica”. Sara` il giudice che dovra` interpretare le dichiarazioni delle parti effettuate nei loro atti difensivi 9, per qualificare le semplici negazioni, le contestazioni generiche, le mancate contestazioni motivate da ignoranza, come comportamenti processuali riconducibili alla mancata contestazione, ovvero, ove li ritenga giustificati dalle caratteristiche oggettive della fattispecie o dalla situazione soggettiva della parte, come una sua “presa di posizione” adeguata, suscettibile di far qualificare il fatto che ne forma oggetto come controverso 10. Come si puo` intuire, si tratta di una valutazione tutt’altro che agevole, sulla quale le opinioni delle parti ben potranno divergere; pertanto, pur non potendosi ritenere che la “non contestazione” di un fatto posta a fondamento della decisione sia una «questione rilevata d’ufficio» che ai sensi del nuovo art. 101 c.p.c. impone di sollecitare sulla stessa il contraddittorio delle parti 11, sara` in ogni caso opportuno che il giudice si sforzi di far esplicitare l’atteggiamento delle parti sulle altrui allegazioni, chiarendo in sede di interrogatorio libero le eventuali ambiguita` dei loro scritti difensivi; cosı` da evitare che la suddetta valutazione giudiziale sulla contestazione/non contestazione di un certo fatto sia conosciuta dalle parti solo con la lettura della motivazione, generando una probabile impugnazione ad opera della parte che non la condivide. 6. Quanto agli effetti della mancata contestazione, il Tribunale afferma che il fatto contestato solo genericamente va qualificato come non contestato e, pertanto, non necessita di prova. Cosı` opinando, il giudice catanzarese aderisce ad un orientamento tradizionale, in forza del quale la man10 Per la riconducibilita` del silenzio e della contestazione generica al fenomeno della non contestazione, cfr. Cass., 3 luglio 2008, n. 18202, in Repertorio Foro It., 2008, voce “Lavoro e previdenza (controversie)”, n. 82; Id., 21 maggio 2008, n. 13079, ibid., voce “Prova civile in genere”, n. 16; Id., 25 maggio 2007, n. 12231, ivi, 2007, voce “Procedimento civile”, n. 181; contra, per la ritenuta pacificita` unicamente dei fatti ammessi dalla controparte esplicitamente o implicitamente, attraverso una difesa incompatibile con la loro negazione, cfr. Id., 23 maggio 2006, n. 12119, ivi, 2006, voce “Prova civile in genere”, n. 16. 11 Cfr. Fabiani, Contraddittorio e questioni rilevabili d’ufficio, in Foro It., 2009, V, 264 e segg.; Balena, op. cit., par. 8.

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cata contestazione di un fatto ne comporta la relevatio ab onere probandi 12, nel senso che il giudice dovra` considerare il fatto come esistente, sempre che non debba indursi ad una contraria opinione dall’esame del restante materiale probatorio, non determinando la non contestazione la prova legale dei fatti non contestati 13. Accanto a tale opinione, peraltro, si registra un diverso orientamento, che tende a considerare il fatto non contestato non tanto come fatto non bisognoso di prova, ma come fatto che, proprio in forza della mancata contestazione, deve ritenersi in una qualche misura assistito da una prova 14, in quanto il legislatore non avrebbe inteso utilizzare la non contestazione «come metodo per la fissazione formale dei fatti, bensı`, piu` congruamente, come comportamento processuale significativo e rilevante sul piano della prova dei fatti» 15; con la conseguenza che il difetto di contestazione specifica, che dovrebbe indurre a ritenere esistente il fatto non contestato, potrebbe essere contraddetto dal quadro probatorio complessivo, che, in taluni casi, potrebbe anche essere prevalente 16. E` difficile prevedere se, a seguito dell’entrata in vigore del novellato art. 115 c.p.c., la giurisprudenza si attestera` su di un orientamento uniforme, in ordine agli effetti della non contestazione. Infatti tale norma, imponendo al giudice di porre a fondamento della decisione il fatto non contestato, non chiarisce se egli lo possa utilizzare a tal fine ritenendolo dimostrato in causa, proprio a seguito della mancata

contestazione, oppure se non debba formarsi su di esso un convincimento, dovendolo reputare pacifico. Cio` che rileva sottolineare, peraltro, e` che il fatto non contestato non potra` mai acquisire un’efficacia probatoria assimilabile a quella della prova legale e sara` sempre smentibile da risultanze probatorie contrarie; a seguito della non contestazione, pertanto, si creera` una sorta di presunzione di verita` del fatto non contestato 17, che resistera` fino a quando non emergano in causa elementi probatori che depongano, invece, per la sua insussistenza. In tal caso, peraltro, la parte interessata a dimostrarne l’esistenza, sollevata dall’onere della prova proprio per la mancata contestazione del fatto stesso ad opera della controparte, avra` il diritto di dedurre le prove a suo tempo non dedotte inconseguenza della relevatio ab onere probandi, ovvero potra` richiedere l’ammissione delle prove dedotte ma non ammesse, per la stessa ragione.

12 In tal senso cfr. ad esempio Bove, Lineamenti di diritto processuale civile, Torino, 2009, 201, secondo cui il fatto non controverso vincola il giudice analogamente a quanto accade con la prova legale; Cea, La modifica dell’art. 115 c.p.c. e le nuove frontiere del principio di non contestazione, in Foro It., 2009, V, 272; Proto Pisani, op. cit., 606; Fabiani, Il valore probatorio della non contestazione del fatto allegato, in Corriere Giur., 2003, 1346 e seg.; Patti, Prove. Disposizioni generali, in Comm. C.C. a cura di Scialoja, Branca, Bologna-Roma, 1987, 68; Verde, L’onere della prova nel processo civile, Napoli, 1974, 454 e segg.; Taruffo, Studi sulla rilevanza della prova, Padova, 1970, 450 e seg.; per la distinzione dei casi in cui la non contestazione serve ad accertare un fatto da quelli in cui, invece, e` diretta ad accertare un diritto, cfr. Carratta, op. cit., 334 segg, e spec. le considerazioni conclusive di tale distinzione, 481-485. In giurisprudenza, per l’affermazione che il fatto non contestato non necessita di prova, fra le molte cfr. Cass., 3 luglio 2008, n. 18202. in Repertorio Foro It., 2008, voce “Lavoro e previdenza (controversie)”, n. 82; Id., 27 febbraio 2008, n. 5191, ibid., voce “Prova civile in genere”, n. 23 (con la precisazione che il difetto di contestazione implica ammissione dei soli fatti principali, mentre vale come argomento di prova per i fatti secondari); Id., 25 maggio 2007, n. 12231, ivi, 2007, voce “Procedimento civile”, n. 181; Trib. Ivrea, 22 dicembre 2006, cit.; App. Venezia, 15 marzo 2006, cit.; Cass., 13 giugno 2005, n. 12636, cit., Id., Sez. un., 17 giugno 2004, n. 11353, cit.; Id., 17 aprile 2002, n. 5526, in Foro It., 2002, I, 2017. 13 Per la precisazione che la non contestazione riguarda i fatti concretamente non rilevabili dal giudice, sicche´ essa — se pure sottrae l’attore all’onere di provare fatti non controversi — non determina comunque la prova legale dei medesimi, cfr. Cass., 15 maggio 2007, n. 11108, in Giust. Civ., 2008, I, 2957 in motivazione, con nota di Buffa, La “non contestazione” nel processo del lavoro, tra principio dispositivo e principio di economia processuale; conf. Id., 8 agosto 2006, n. 17947, in Repertorio Foro It., 2006, voce “Lavoro e previdenza (controversie)”, n. 133. 14 Da chi aderisce a tale filone di pensiero talora si evidenzia che la mancata contestazione si risolve pur sempre in un com-

portamento processuale della parte (o del suo difensore) suscettibile di valutazione sul piano probatorio: cfr. Ferri, Contraddittorio e poteri decisori del giudice, in Studi Urbinati, 1980-1982, Rimini, 1984, 107. Non e` mancato chi ha equiparato la mancata contestazione, quanto a efficacia probatoria, all’ammissione (cfr. Redenti, Diritto processuale civile, Milano, 1985, II, 49 e seg.; De Marini, voce “Ammissione”, in Enc. Dir., II, Milano, 1958, 242 e segg., 246); altri hanno ritenuto — relativamente alle controversie di lavoro — che da essa potessero trarsi argomenti di prova (De Stefano, Sui limiti dei poteri istruttori del giudice nel processo del lavoro, in Giur. It., 1979, I, 2, 42; Proto Pisani (-Pezzano-Barone-Andrioli), Le controversie in materia di lavoro, Bologna-Roma, 1987, 718 e seg.; infine, taluno ha ricollegato il difetto di contestazione allo schema probatorio dell’indizio, utilizzabile dal giudice nei limiti stabiliti dagli artt. 2729 c.c. e 116 c.p.c.: cfr. Grasso, Dei poteri del giudice, in Comm. C.P.C. a cura di Allorio, I, II, Torino, 1973, 1300; sottolinea come nei processi aventi ad oggetto diritti indisponibili la non contestazione operi come contegno processuale valutabile dal giudice Proto Pisani, Allegazione dei fatti e principio di non contestazione nel processo civile, cit., 607; conf. Cea, La tecnica della non contestazione nel processo civile, cit., 204, specie nelle cause su diritti indisponibili caratterizzate da elevata conflittualita`, nelle quali «il comportamento non contestativo potrebbe rivelarsi idoneo a fondare un’inferenza presuntiva capace di accertare il factum probandum ignoto». In giurisprudenza, considera il fatto non contestato come provato Cass., 7 aprile 2009, n. 8389, in Repertorio Foro It., 2009, voce “Prova civile in genere”, n. 17; per la valutazione della non contestazione come argomento di prova cfr. Id., 27 febbraio 2008, n. 5191, cit.; Id., 4 febbraio 2005, n. 2273, ivi, 2005, voce cit., n. 16; nello stesso senso, con riferimento alla contestazione generica, cfr. Id., 3 maggio 2007, n. 10182, cit. 15 Cosı` Balena, op. cit., par. 12. 16 Ibid. 17 Cfr. Cea, La modifica dell’art. 115 c.p.c. e le nuove frontiere del principio di non contestazione, cit., 273.

Giorgio Frus

INTERESSI COLLETTIVI DEI CONSUMATORI I. Tribunale Milano, VI Sezione, 6 ottobre 2009 (ordinanza) — Brat Giudice — Associazione Movimento Consumatori - CNP Unicredit Vita s.p.a.

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Consumatore (Contratti del) — Associazioni — Interessi collettivi — Inibitoria — Procedimento cautelare (D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 140). La tutela inibitoria cautelare degli interessi collettivi dei consumatori da parte delle associazioni legittimate ai sensi dell’art. 140 c. cons. puo` concedersi anche se il numero dei consumatori interessati e` limitato, e ricomprende, oltre agli ordini di non fare, anche quelli di fare (1). II. Tribunale Milano, VI Sezione, 21 dicembre 2009 (ordinanza) — Consentini Presidente — Simonetti Relatore — Associazione Movimento Consumatori (avv.ti Fiorio, Pacchioli) - CNP Unicredit Vita s.p.a. (avv.ti Dal Martello, Sciarrillo). Consumatore (Contratti del) — Associazioni — Interessi collettivi — Inibitoria — Procedimento cautelare (D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 140). L’associazione legittimata ad agire per la tutela inibitoria cautelare degli interessi collettivi dei consumatori puo` conseguire un provvedimento di condanna del professionista a rettificare le informazioni scorrette, ma non a non eseguire i contratti conclusi grazie ad esse, poiche´ la decisione di agire per rescinderli rientra nella disponibilita` di ogni singolo consumatore (2). I. Omissis. — B) Con riferimento all’eccezione di CNP concernente l’inammissibilita` delle domande, in quanto attinenti al diritto soggettivo individuale di ciascun cliente, va premesso che a tale riguardo si sono formati due orientamenti dottrinari. Il primo reputa che l’azione delle associazioni dei consumatori dia luogo ad una legittimazione autonoma, fondata su posizioni giuridiche soggettive diverse da quelle individuali riconosciute ai consumatori; la seconda fa, invece, riferimento al fenomeno della sostituzione processuale di cui all’art. 81 c.p.c. Nel primo caso, la tutela degli interessi collettivi si affianca a quella individuale, potendo restare da questa totalmente svincolata. Nel secondo caso, invece, l’intervento delle associazioni costituisce un mero intervento ad adiuvandum della posizione giuridica soggettiva individuale. In questa ottica gli interessi collettivi dei consumatori corrisponderebbero, in sostanza, alla sommatoria degli interessi individuali dei singoli consumatori in capo ai quali debba accertarsi la lesione. A tale proposito, si rileva, pero`, che il comma IX dell’art. 140 del C.d.C. stabilisce che l’esercizio dell’azione inibitoria non preclude il diritto ad azioni individuali dei consumatori, in linea con quanto affermato dalla direttiva comunitaria n. 98/27, che al secondo considerando espressamente stabilisce che “per interessi collettivi si intendono gli interessi che non ricomprendono la somma degli interessi di individui lesi da una violazione; che cio` non pregiudica i ricorsi e le azioni individuali proposti da privati lesi da una violazione”. Pertanto, la dicitura della norma del Codice del Consumo sembrerebbe confermare l’intenzione del legislatore di attribuire alle associazioni la legittimazione ad agire in via diretta ed autonoma quando siano pregiudicati gli interessi collettivi dei consumatori; con tali intendendosi situazioni giuridiche soggettive diverse, pur potendo alle stesse essere correlati diritti facenti capo al singolo. In sostanza, i consumatori a livello individuale sono titolari dei propri diritti soggettivi, mentre spetta all’associazione l’inibitoria dei comportamenti lesivi ed ogni altro rimedio ripristinatorio consentito dalla legge. Ne segue che certamente gli effetti del giudicato dell’azione collettiva non rifluiscono sic et simpliciter nella sfera giuridica individuale. Ben potrebbe darsi, tuttavia, che l’azione individuale fosse Giurisprudenza Italiana - Luglio 2010

rafforzata dal risultato giudiziale conseguito dall’azione collettiva, risultato, tuttavia, non vincolante, in quanto res inter alios acta. Ad avviso di questo giudice, pertanto, sulla base dell’interpretazione letterale della disposizione di cui all’art. 140, con particolare riguardo anche al IX comma, non sussiste alcun ostacolo alla configurazione, in capo alla ricorrente, di interessi collettivi tutelabili rispetto a ritenute condotte lesive, fonte, contestualmente, di specifici danni attinenti alla sfera giuridica individuale. Ne´ ha pregio l’affermazione di CNP relativa al numero limitato di attuali titolari delle polizze de quibus. In primo luogo, infatti, i provvedimenti richiesti si riferiscono non solo agli attuali titolari delle polizze assicurative, ma anche a quei clienti che hanno aderito ad una delle proposte transattive di cui alle lettere del 14 e del 16 gennaio 2009: ed, invero, l’Associazione Consumatori ha chiesto di inibire a CNP Vita “la conversione e/o la monetizzazione delle polizze oggetto del presente giudizio secondo le proposte” di cui alle lettere del 14 e del 16 gennaio 2009; ha chiesto, inoltre, sempre con riguardo a chi avesse aderito ad una delle proposte transattive, che la resistente fosse condannata ad inviare lettera agli stessi con l’indicazione della possibilita` di chiedere l’annullamento degli accordi per errore e per dolo. In secondo luogo, non si ritiene che il numero piu` o meno limitato possa assumere valenza di discrimine per l’ammissibilita` dell’invocata tutela collettiva, posto che nessuna previsione legislativa fornisce un’indicazione del genere che, quindi, sarebbe del tutto arbitraria. C) Con riferimento al contenuto dell’inibitoria di cui all’art. 140, VIII comma, C.d.C, parte resistente propone una lettura restrittiva, ancorata alla specifica terminologia adoperata dal legislatore. Questi, infatti, secondo la resistente, al I comma della citata disposizione, ha espressamente previsto che le associazioni dei consumatori e degli utenti inserite nell’elenco di cui all’art. 137 possono richiedere al tribunale di inibire gli atti ed i comportamenti lesivi dei consumatori, di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate, di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o piu` quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicita` del provvedimento puo` contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate. All’VIII comma, invece, il legislatore specifica che “nei casi in cui ricorrano giusti motivi di urgenza, l’azione inibitoria si svolge a norma degli articoli da 669 bis a 669 quaterdecies del codice di procedura civile”. Di qui la resistente deduce che la tutela cautelare puo` estrinsecarsi solo nell’azione inibitoria e non anche negli altri rimedi di cui al comma I, che, quindi, potrebbero dispiegare i loro effetti esclusivamente nel giudizio di merito. Tale lettura non consentirebbe affatto un’interpretazione estensiva, analoga a quanto previsto, ad esempio, dall’art. 700 c.p.c; che, tuttavia — va detto — prevede letteralmente l’adozione di provvedimenti d’urgenza che appaiono, secondo le circostanze, piu` idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito. Tale rimedio atipico, come noto, consente al giudice di spaziare nell’ambito dei provvedimenti idonei ad assicurare gli effetti della decisione di merito. Ebbene, secondo la difesa della resistente, una simile estensione non sarebbe affatto giustificata proprio alla luce del tenore letterale della disposizione, cosicche´ il rinvio agli articoli sul provvedimento cautelare avrebbe solo valenza procedimentale. L’interpretazione letterale non appare soddisfacente, in quanto in contrasto con la ratio del Codice del Consumo e con le direttive comunitarie che nello stesso sono state trasfuse. Ora, al fine di comprendere l’effettiva portata della tutela di cui all’art. 140 si deve aver presente la disposizione di cui all’art. 2 del C.d.C. ove si fa riferimento alla inderogabile esigenza di forte tutela nell’ambito di una vastissima gamma di settori rilevanti per i consumatori, quali salute, sicurezza e qualita` dei prodotti, pubblicita` commerciale, trasparenza nelle informazioni su prodotti e servizi. E`, quindi, chiara la finalita` dell’inibitoria che, incidendo sugli strumenti di tutela collettiva, viene a rafforzare i diritti dei consumatori. In questa prospettiva, deve, quindi, ammettersi la possibilita` di adottare misure implicanti l’obbligo di eliminare gli effetti

Diritto Processuale Civile | INTERESSI COLLETTIVI DEI CONSUMATORI della condotta lesiva. Sebbene, dunque, il concetto di inibitoria richiami, prima facie, un ordine di non fare, vale a dire una condotta a contenuto negativo, e` indubitabile che ogniqualvolta la violazione dei diritti dei consumatori si sostanzi in una condotta omissiva l’unica possibile inibitoria e` quella consistente nella imposizione di un facere. In questo caso, quindi, il concetto di azione inibitoria va rapportato alla matrice europea di cui alla direttiva 98/27 CE che, al secondo considerando espressamente evidenzia che “i meccanismi esistenti attualmente sia sul piano nazionale che su quello comunitario per assicurare il rispetto di tali direttive non sempre consentono di porre termine tempestivamente alle violazioni che ledono gli interessi collettivi dei consumatori”; l’art. 2 della stessa direttiva, intitolato “provvedimenti inibitori” cosı` prevede: 1. Gli Stati membri designano gli organi giurisdizionali o le autorita` amministrative competenti a deliberare su ricorsi o azioni proposti dagli enti legittimati a norma dell’articolo ai seguenti fini: a) ordinare con la debita sollecitudine e, se del caso, con procedimento d’urgenza, la cessazione o l’interdizione di qualsiasi violazione; b) se del caso, prevedere misure quali la pubblicazione, integrale o parziale, della decisione, in una forma ritenuta adeguata e/o la pubblicazione di una dichiarazione rettificativa al fine di eliminare gli effetti perduranti della violazione; c) nella misura in cui l’ordinamento giuridico dello Stato membro interessato lo permetta, condannare la parte soccombente a versare al Tesoro pubblico o ad altro beneficiario designato nell’ambito o a norma della legislazione nazionale, in caso di non esecuzione della decisione entro il termine fissato dall’organo giurisdizionale o dalle autorita` amministrative, un importo determinato per ciascun giorno di ritardo o qualsiasi altro importo previsto dalla legislazione nazionale al fine di garantire l’esecuzione delle decisioni. In sostanza, gli obiettivi dettati dalle fonti comunitarie ben possono dare concretezza di contenuti ai “diritti fondamentali” sopra citati e, conseguentemente, alla tutela giurisdizionale degli stessi. Pertanto, i provvedimenti cautelari richiesti ben possono essere considerati quali misure idonee a correggere ed a prevenire condotte lesive degli interessi collettivi. Tale conclusione si era imposta, del resto, gia` con la L. n. 281/1998 (in questo senso, v. Trib. Milano, 15 settembre 2004; Trib. Torino, 20 novembre 2006; Trib. Palermo 22 giugno 2006). D) Passando, ora, al merito della vertenza, e` necessario riportare il contenuto delle disposizioni delle condizioni generali concernenti le prestazioni assicurate, facendo presente che tali articoli sono uguali in tutte le polizze prese in esame. L’art. 2.1, intitolato “prestazioni assicurate” cosı` statuisce: “la Societa` alla scadenza contrattuale del 26/7/2009 corrisponde al Beneficiario la somma dei seguenti importi: il capitale iniziale pari al premio versato. E` comunque garantito che il capitale minimo liquidabile a scadenza non e` inferiore al capitale iniziale. Nella polizza questo importo e` definito capitale minimo garantito alla scadenza; la capitalizzazione di 8 cedole annuali di importo variabile; lo stacco della singola cedola avverra` ad ogni ricorrenza annuale a partire dal 26 luglio 2002 fino al 26 luglio 2009” (v. doc. n. 4c di parte ricorrente, denominato Performance 9). L’art. 3.2 intitolato “il titolo obbligazionario” prevede: “le prestazioni previste contrattualmente sono collegate al titolo obbligazionario in euro Lehman Brothers Treasury bv NOTE DUE 26TH July 2009, emesso specificatamente per questa serie di contratti aventi decorrenza 26/07/2001, dalla Lehman Brothers Treasury Co.B.V. (ente emittente) e interamente garantito dalla Lehman Brothers Holding Inc., primaria banca di investimento americana che ha attualmente un rating Moody’s di A2 e Standard & Poors di A. Tale titolo obbligazionario prevede la corresponsione di una cedola annua. Ad ogni anniversario del contratto e comunque in qualsiasi momento a seguito di richiesta scritta, la Societa` comunica al Contraente la quotazione del titolo (vedi punto 4). Eventuali variazioni della normativa fiscale relativa alla tassazione del titolo potranno avere un’incidenza sul rendimento del titolo e pertanto potranno comportare una diminuzione del capitale liquidabile. La Societa` ha selezionato un titolo obbli-

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gazionario di adeguata sicurezza e negoziabilita` considerato che, in caso di inadempimento da parte dell’Ente Emittente di tali attivita` finanziarie, eventuali effetti economici pregiudizievoli sono in capo al Contraente” (questo comma e` riportato in neretto). L’art. 5 intitolato “capitale liquidabile a scadenza” cosı` precisa: “il capitale liquidabile alla scadenza contrattuale del 26/07/2009 sara` dato dalla somma dei seguenti importi: il capitale iniziale pari al premio versato. E` comunque garantito che il capitale minimo liquidabile a scadenza non e` inferiore al capitale iniziale. Nella polizza questo importo e` definito “capitale minimo garantito alla scadenza”; la capitalizzazione di 8 cedole annuali di importo variabile: lo stacco della singola cedola avverra` ad ogni ricorrenza annuale a partire dal 26 luglio 2002 fino al 26 luglio 2009” (in neretto e` riportata la frase relativa alla garanzia del capitale minimo liquidabile). Orbene, cosı` riportato il contenuto di dette clausole, non pare sostenibile l’interpretazione proposta dalla ricorrente, che vede a carico dell’odierna resistente l’assunzione della garanzia in ordine alla restituzione del capitale minimo liquidabile come illustrato all’art. 5 delle condizioni generali. Ed, invero, ancorche´ venga ripetuto spesso il concetto di capitale minimo garantito come equivalente al capitale iniziale e tale dicitura costituisca anche una forma evidente di presentazione della polizza stessa laddove nella prima pagina sotto la scritta “progetto performance 9” compare la scritta, sempre in neretto, “con capitale garantito e rendimento annuo variabile”, non puo` sottacersi che nelle stesse condizioni e` espressamente riportato il concetto dell’assunzione della garanzia da parte di Lehman Brothers Treasury (v. art. 3.2). Non solo, la banca ha anche posto in risalto espressamente e con caratteri tipografici di particolare rilievo (cd. neretto), la circostanza che essa si e` attivata al fine di reperire un titolo obbligazionario di adeguata sicurezza e negoziabilita` proprio in considerazione della ricaduta sul contraente di eventuali effetti economici pregiudizievoli (art. 3, comma III, pag. 11 della polizza performance 9). Ne´ dalla lettura complessiva dei vari commi dell’art. 3 intitolato “prestazioni” e` possibile desumere l’assunzione in senso tecnico della garanzia di restituzione del capitale da parte di CNP Vita nell’ipotesi di rispetto della scadenza contrattuale e l’esclusione della stessa garanzia per le ipotesi di morte del contraente o di recesso anticipato da parte del sottoscrittore. L’art. 3, comma IV si limita, infatti, ad indicare i parametri utilizzati nei casi di recesso anticipato o di morte, ma nulla stabilisce in merito all’esclusione della garanzia di restituzione del capitale da parte di CNP in tali ipotesi; ne´, dunque, e` possibile arguire il contrario, alla luce dell’espressa menzione della ricaduta di effetti economici negativi sul cliente, disposizione valida per tutti i casi di riscossione del capitale, indipendentemente dalla causa del venir meno dei vincolo contrattuale. Tanto che coerentemente la banca si e` tutelata anche sul versante fiscale: con l’art. 3.2 delle predette polizze, CNP Vita ha reso, infatti, noto che il capitale liquidabile alla scadenza avrebbe potuto subire diminuzioni in ragione di variazioni delle normativa fiscale relativa alla tassazione del titolo, con evidenti effetti negativi a carico del contraente. Pertanto, alla luce delle sopra esposte considerazioni, e` quanto meno dubbia l’interpretazione del testo contrattuale delle polizze de quibus sotto il profilo dell’assunzione di garanzia in senso tecnico a carico della resistente. Ne segue che non possono essere accolte: la domanda di condanna della resistente ad inviare una lettera ai sottoscrittori delle polizze in cui CNP Vita dichiara che con le predette polizze essa garantiva la restituzione del capitale, pari all’intero premio versato; la domanda di condanna di CNP Vita ad inviare una lettera ai sottoscrittori con la quale essa A dovrebbe riconoscere di non aver fornito informazioni veritiere in relazione alla garanzia di restituzione del capitale. Di conseguenza, proprio in considerazione del carattere dubbio delle polizze in questione, non puo` essere accolta la domanda volta ad inibire alla resistente la conversione o la monetizzazione delle polizze rispetto a coloro che hanno aderito ad una delle proposte transattive; e cio` a prescindere dall’ulteriore problema derivante dalla possibilita` di statuire in ordine ad un diritto individuale, quale il diritto a transigere ai sensi dell’art. 1965 c.c. al fine specifico di prevenire una lite. Se, Giurisprudenza Italiana - Luglio 2010

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infatti, i presupposti inerenti la garanzia in ordine al capitale non sono stati sottaciuti dalla banca, ma semplicemente esposti, sia pure con una visione unilaterale ed in un contesto certamente non chiaro, ne deriva come ovvia conseguenza, giuridicamente ineccepibile, che la transazione non ha in se´ alcun vizio tale da poterne comportare l’annullamento sia pure nei limiti consentiti dal codice civile. Per le stesse ragioni non vanno accolte la domanda volta ad inibire a CNP Vita di respingere le richieste di restituzione alla scadenza dell’intero premio versato da parte dei sottoscrittori, la domanda di condanna della resistente a restituire alla scadenza gli importi versati a titolo di premio dai clienti e cio` a prescindere dalla pregiudiziale rappresentata dall’inammissibilita` di un’azione di condanna, quale e` certamente l’ordine di restituzione del capitale versato a titolo di premio; le domande, consequenziali, di ordinare la pubblicazione del provvedimento su almeno tre quotidiani a diffusione nazionale con relativa fissazione di un termine per l’adempimento e di una penale per ogni inadempimento o per ogni giorno di ritardo. — Omissis. II. Omissis. — 5. Sul merito del reclamo. Il reclamo e` fondato e va accolto. Il Collegio ritiene in via di sommaria delibazione quale deve essere la valutazione del fumus del diritto azionato dall’associazione in via cautelare che CNP, societa` contraente delle polizze index linked denominate Performance, attraverso le comunicazioni del 18 settembre 2008, di novembre 2008 e la successiva corrispondenza inviata dal mese di gennaio 2009 ai suoi contraenti, abbia tenuto un comportamento lesivo degli interessi e dei diritti dei consumatori; che i fatti allegati e i documenti prodotti consentono allo stato di dire che CNP abbia violato il diritto dei contraenti consumatori ad una adeguata informazione, alla correttezza, trasparenza ed equita` nei rapporti contrattuali, diritti, questi, tutti garantiti dall’art. 2 comma 2 del Codice del consumo (di seguito Cdc), e dal generale principio di cui all’art. 1175 c.c. che si fonda sul dovere di solidarieta` stabilito dall’art. 2 della Costituzione; “esso impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra e costituisce un dovere giuridico autonomo a carico di entrambe, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da norme di legge” (Cass. 1618/2009). La condotta di CNP, caratterizzata dalle comunicazioni inviate ai consumatori con cui aveva stipulato polizze index linked collegate alle emissioni obbligazionarie di Lehman Brothers, va infatti collocata, da un lato, nell’ambito dell’esecuzione dei contratti Performance, atteso che essi erano giunti tutti in prossimita` della loro scadenza e la societa` doveva eseguire la sua obbligazione contrattuale e, dall’altro, nell’ambito della fase delle trattative che hanno portato alla conclusione degli accordi che, sinteticamente, si possono identificare come proposta cash e proposta transazione (sub a) e b)). Il Collegio ritiene allo stato degli atti che CNP abbia agito non con la correttezza dovuta, abbia omesso di rendere ai clienti consumatori le necessarie e obiettive informazioni inviando la comunicazione del 18.9.2008 (doc. 5 a) AMC), effettuando il comunicato stampa del 28.11.2008 (doc. 5 b) AMC) e spedendo le lettere del 16.1.2009 8doc. 6 a) AMC) con cui ha affermato: 1. che le polizze Performance non prevedevano contrattualmente alcuna garanzia di restituzione del capitale nominale a scadenza e che l’investitore-contraente assumeva sia il rischio di mercato connesso alla variabilita` della struttura, sia il rischio di credito connesso all’insolvenza di Lehman Brothers; (cio` nella informativa generalizzata del 18.9.2008); 2. di aver deliberato, sulla base delle premesse di cui alla comunicazione 18.9.2008, un piano di intervento a protezione degli investimenti in polizze index linked collegate ad obbligazioni del Gruppo Lehman Brothers e a tal fine promosso un’operazione mirata a tutelare gli assicurati coinvolti nel fallimento Lehman Brothers per riaffermare piu` in generale il patto di fiducia con la propria clientela, oltre che Giurisprudenza Italiana - Luglio 2010

prevenire ogni possibile contenzioso; (cio` nel comunicato stampa 28.11.2008); 3. che aveva predisposto una iniziativa di carattere straordinario volta a tutelare gli interessi dei sottoscrittori delle polizze collegate alle emissioni Lehman Brothers coinvolti dagli accadimenti che hanno riguardato l’emittente; che la sospensione delle contrattazioni delle obbligazioni emesse da Lehman Brothers e l’impossibilita` di indicare la data in cui fosse disponibile una nuova quotazione non consentono di determinare il valore delle polizze ad esse collegate, come nel caso delle polizze sottoscritte dai clienti cui la corrispondenza sia stata inviata nel mese di gennaio 2009 (doc. 6 a) AMC). Puo` ritenersi che la societa` CNP abbia violato i diritti dei consumatori e il generale dovere di buona fede e correttezza perche´, con il susseguirsi delle comunicazioni sopra riportate, pare abbia fornito come dato certo, indiscutibile il fatto che i contraenti delle polizze index linked Performance 05/09 collegate alle emissioni obbligazionarie del Gruppo Lehman Brothers, non avevano il diritto di percepire alla scadenza della polizza il capitale investito al momento della stipulazione del contratto. Questa affermazione, fatta da CNP nella comunicazione del 18.9.2008 e ribadita nella corrispondenza inviata a ciascun suo cliente contraente delle polizze (la sospensione delle contrattazioni delle obbligazioni... non consentono di determinare il valore delle polizze ad esse collegate), non avrebbe dovuto essere ritenuta come dato certo da CNP considerando il contenuto dei contratti index linked denominati Performance. Se la societa` avesse usato la diligenza dovuta nell’attivita` interpretativa di quei contratti, diligenza esigibile da un contraente come CNP considerando la sua qualifica di professionista del settore assicurativo, facente parte di primario gruppo bancario internazionale, che ha a disposizione uffici legali interni e mezzi per assicurarsi la consulenza dei migliori legali professionisti, sarebbe giunta ad avere, quantomeno, il dubbio di essere essa stessa il soggetto obbligato, alla scadenza contrattuale, al rimborso del capitale minimo garantito alle controparti, giammai la certezza di nulla dovere in conseguenza del fallimento del Gruppo Lehman Brothers per essere il rischio dell’emittente contrattualmente riversato sugli assicurati alla scadenza delle polizze. Il Collegio ritiene di non dover offrire del contenuto delle polizze index linked Performance un’interpretazione certa, dovendo questa essere condotta nella fase di merito a cognizione piena o nell’ambito di ogni singolo rapporto tra la societa` e i suoi contraenti, ma per giustificare l’affermazione sopra fatta, circa il convincimento che CNP avrebbe dovuto maturare (o aveva maturato) sul contenuto dei contratti Performance, e` d’obbligo una qualche considerazione sul contenuto delle polizze prodotte come doc. 4 da AMC. Numerosi sono gli indici testuali contenuti nelle polizze, presenti nella DENOMINAZIONE, nella parte dedicata alle DEFINIZIONI, nella NOTA INFORMATIVA, nella parte propriamente contrattuale delle CONDIZIONI DI POLIZZA, che avrebbero dovuto indurre la societa` a ritenere che probabilmente quelle polizze assicurative di natura finanziaria comportino l’obbligazione di restituzione, alla scadenza finale del contratto, del capitale di investimento versato come premio unico iniziale dal contraente e che il rischio finanziario riguardi, invece, solo il rendimento annuale capitalizzato, legato ad un sottostante paniere di 20 titoli azionari. In tal senso depongono i seguenti elementi del contratto: — la DENOMINAZIONE delle polizze include il concetto di capitale versato non a rischio e di variabilita` del solo rendimento periodico capitalizzabile: le polizze infatti si chiamano “Progetto Performance 5 (o 6 o 7 e cosı` via) con capitale garantito e rendimento annuale variabile”; — nelle DEFINIZIONI il premio unico e` definito come “l’importo dovuto dal Contraente alla Societa` in unica soluzione”, il capitale iniziale come “il premio unico versato” e il capitale minimo garantito alla scadenza come “il 100% del capitale iniziale”, il Titolo come “il titolo obbligazionario in Euro emesso dalla Lehman Brothers Treasury Co.B V .(Ente Emittente) e interamente garantito dalla Lehman Brothers

Diritto Processuale Civile | INTERESSI COLLETTIVI DEI CONSUMATORI Holding Inc. denominato... con capitale minimo garantito alla scadenza e cedole annuali variabili ed acquistato dalla societa` per fare fronti agli impegni derivanti dalla presente polizza”, la riserva matematica “l’importo accantonato dalla Societa` per fare fronte ai suoi obblighi contrattuali”; — nella NOTA INFORMATIVA al punto 2 e` spiegato che Progetto Performance 5 e` una assicurazione sulla vita a premio unico di tipo index linked con prestazioni collegate all’andamento di un basket di 20 titoli azionari presi a riferimento, che il rischio finanziario a carico del Contraente e` riconducibile all’andamento dell’indice di riferimento (cioe` basket dei 20 titoli azionari) a cui sono collegate le prestazioni, che la Societa` a norma dell’art. 30 comma 2 D.Lgs 174/95 ha investito gli attivi rappresentativi delle riserve matematiche nel titolo obbligazionario in Euro Lehman Brothers ...che prevede lo stacco di cedole annuali variabili; che il contratto e` direttamente collegato al titolo obbligazionario strutturato LB suddetto e che la societa` ha selezionato un titolo di adeguata sicurezza e negoziabilita` considerato che, in caso di inadempimento da parte dell’Emittente di tali attivita` finanziarie, eventuali effetti secondari pregiudizievoli sono in capo al contraente; (il neretto e` del testo della polizza); — al punto 2.1 e` spiegato che “la societa` alla scadenza contrattuale del... corrisponde al beneficiario la somma dei seguenti due importi: il “capitale iniziale” pari al premio versato. E` comunque garantito che il capitale minimo liquidabile a scadenza non e` inferiore al “capitale iniziale”. Nella polizza questo importo e` definito “capitale minimo garantito alla scadenza”; (il neretto e` del testo della polizza); la capitalizzazione di 8 cedole annuali di importo variabile data dal capitale iniziale moltiplicato per una percentuale pari al 8,50% + 8,50% della media della variazione percentuale positiva o negativa del prezzo di due titoli azionari che tra i 20 presi a riferimento hanno registrato l’andamento meno favorevole rispetto al loro valore iniziale... — al punto 3 e` dichiarato che le prestazioni previste contrattualmente sono collegate al titolo obbligazionario in Euro Lehman Brothers... E che la societa` ha selezionato un titolo di adeguata sicurezza e negoziabilita` considerato che, in caso di inadempimento da parte dell’Emittente di tali attivita` finanziarie, eventuali effetti secondari pregiudizievoli sono in capo al contraente; (il neretto e` del testo della polizza); — nelle CONDIZIONI DI POLIZZA all’art. 2 si prevede l’obbligazione del contraente di pagare il premio unico senza il quale la polizza non si perfeziona; all’art. 3 sono dettate le Prestazioni cui e` tenuta la societa` contraente, ovvero di corrispondere alla scadenza contrattuale, a fronte del versamento fatto dal contraente inizialmente di un premio unico, il capitale descritto all’art. 5. L’art. 5, intitolato Capitale liquidabile a scadenza, cosı` descrive le prestazioni della societa`: “il capitale liquidabile alla scadenza contrattuale sara` dato dalla somma dei seguenti due importi: — “il capitale iniziale” pari al premio versato. E` comunque garantito che il capitale minimo liquidabile a scadenza non e` inferiore al capitale iniziale. Nella polizza questo importo e` definito “capitale minimo garantito alla scadenza”, — La capitalizzazione di 8 cedole annuali di importo variabile... ( segue con le indicazioni sulla determinazione del valore delle cedole), — l’art. 14 Pagamento delle Prestazioni stabilisce che i pagamenti dovuti dalla societa` a qualsiasi titolo in esecuzione del contratto vengono effettuati entro 30 giorni dal ricevimento dei documenti comprovanti il diritto del contraente e/o beneficiari etc. I criteri ermeneutici previsti dagli artt. 1363, 1366 e 1370 c.c., considerando il senso letterale delle parole e, in particolare, il contenuto dell’art. 3 primo comma e dell’art. 5 primo comma delle condizioni di contratto (“Alla scadenza contrattuale a fronte del pagamento di un premio unico la societa` garantisce ai beneficiari la corresponsione del capitale di cui al successivo art. 5” cioe` “il capitale iniziale pari al premio versato. E` comunque garantito che il capitale minimo liquidabile a scadenza non e` inferiore al capitale iniziale. Nella polizza questo importo e` definito “capitale minimo ga-

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rantito alla scadenza”) avrebbero dovuto portare CNP a ritenere che essa alla scadenza naturale della polizza era obbligata a restituire il 100% del premio unico versato e che il rischio finanziario per il cliente era costituito da uno scarso rendimento del capitale durante la durata del contratto se l’indice dei 20 titoli azionari avesse dato un risultato in ribasso. Alla copiosita` dei riferimenti in contratto circa l’oggetto della prestazione della societa`, di restituire alla scadenza del contratto il capitale inizialmente versato dal contraente, corrisponde, in senso opposto, una sola indicazione sul collegamento tra la polizza e le emissioni obbligazionarie Lehman Brothers del contenuto sopra riportato (art. 3.2 della nota informativa “le prestazioni previste contrattualmente sono collegati al titolo obbligazionario in Euro Lehman Brothers... la societa` ha selezionato un titolo di adeguata sicurezza e negoziabilita` considerato che, in caso di inadempimento da parte dell’Emittente di tali attivita` finanziarie, eventuali effetti secondari pregiudizievoli sono in capo al contraente). La portata di tale disposizione non pare come dato certo direttamente collegabile con l’individuazione della prestazione cui e` tenuta la societa` alla scadenza della polizza perche´: — nella nota informativa e` scritto che l’investimento in obbligazioni LB e` la modalita` di costituzione della riserva cui e` obbligata la societa` ai sensi dell’art. 30 co. 2 D.Lgs 174/1995; — in nessun punto della polizza e` stato direttamente collegato l’adempimento delle prestazioni contrattuali della societa` all’andamento delle obbligazioni LB, se non nell’ipotesi di riscatto anticipato in cui e` invece previsto espressamente, al punto 2.6. della nota informativa, l’avvertimento che “Il valore di riscatto puo` essere inferiore al versamento iniziale. Il contraente dovra` dunque valutare con particolare attenzione: prima di stipulare il contratto, l’impegno che sta assumendo in termini di durata e di premio corrisposto; le conseguenze generalmente negative che comporta l’interruzione di un contratto in corso”. Tale avvertimento e` stato formulato solo con riferimento all’ipotesi di riscatto anticipato della polizza: non vi sarebbe stata ragione di dare tale avvertimento se questo fosse stato, come sostiene CNP, il regime di rischio ordinario della polizza anche in ipotesi di manutenzione del contratto fino alla sua scadenza. A fronte di tale avvertimento per l’ipotesi di riscatto si contrappone, invece, la reiterata dichiarazione, in ipotesi di scadenza naturale della polizza, che la societa` assicuratrice garantiva il pagamento di una somma composta in parte dal capitale minimo garantito, costituito dal 100% del capitale iniziale pari al premio unico versato; — in nessun punto della polizza e` stato spiegato in che cosa consisterebbero “gli eventuali effetti economici pregiudizievoli che stanno in capo al Contraente” in ipotesi di inadempimento da parte dell’ente emittente LB: ora, poiche´ l’espressione usata e` “di eventuali effetti pregiudizievoli” in ipotesi di inadempimento dell’ente emittente, effetti che nella nota informativa vengono definiti addirittura “secondari”, e` lecito dubitare che con tali espressioni si sia voluto dichiarare che la prestazione finale era collegata al pagamento dell’emissione obbligazionaria, infatti in una tale prospettiva il rischio sarebbe stato costante e non eventuale, primario e non secondario. Se si volesse attribuire all’indicazione e all’avvertimento contenuto al punto 2 della nota informativa e nell’art. 3 delle Condizioni di Polizza “le prestazioni previste contrattualmente sono collegate al titolo obbligazionario in Euro Lehman Brothers... la societa` ha selezionato un titolo di adeguata sicurezza e negoziabilita` considerato che, in caso di inadempimento da parte dell’Emittente di tali attivita` finanziarie, eventuali effetti secondari pregiudizievoli sono in capo al contraente) il significato che vuole attribuirvi CNP, si dovrebbe giungere alla conclusione che i contratti in esame hanno un contenuto speculativo, meramente finanziario in contrasto con la causa giuridica del contratto di assicurazione vita che e` incompatibile con l’esposizione ad un puro rischio finanziario del capitale investito. Inoltre, se si intendesse che la garanzia delle emissioni obbligazionarie LB e` offerta ai clienti della Giurisprudenza Italiana - Luglio 2010

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polizza CNP direttamente dalla holding dell’emittente LB, significherebbe ammettere una espressa limitazione di responsabilita` della societa` di assicurazione parte contrattuale della polizza, limitazione di responsabilita` della cui validita` sarebbe ragionevole dubitare in quanto, data la sua natura vessatoria, non risulta che nelle polizze sia stata debitamente accettata dai contraenti non predisponenti il testo contrattuale redatto in modo generale e standardizzato da CNP (all’epoca impresa assicuratrice Roma Vita spa). E` ragionevole ritenere dunque che, se CNP ha avuto dubbi sul contenuto dei contratti, essi hanno riguardato la sua possibile esposizione diretta al rischio di insolvenza di Lehman Brothers e che, a fronte di tale suo rischio concreto e imminente, data la prossima scadenza delle polizze, si sia mossa prospettando ai contraenti le soluzioni transattive/ sostitutive dei contratti index linked. La proposta ai contraenti delle polizze di sostituire i contratti in essere, o comunque di modificarne in parte il contenuto concludendo transazioni, sarebbe stata cosa legittima se CNP avesse prospettato ai clienti non certezze sul contenuto dei contratti Performance e sulla distribuzione dei rischi connessi all’insolvenza dell’emittente, ma il dubbio sulle sue obbligazioni e sui rischi; il comportamento sarebbe stato legittimo se CNP avesse omesso di dichiarare che agiva in via straordinaria a protezione dell’interesse della sua clientela; invece la societa` nelle sue comunicazioni ha inviato un messaggio del tutto differente. Sottolineare, come la societa` ha fatto nella sua comunicazione 18.9.2008 (doc. 5a reclamante) e nella corrispondenza inviata a gennaio 2009 ai clienti (doc. 6o reclamante), la non quotazione del titolo LB e quindi l’assenza di valore delle polizze come evento di grave danno per i titolari, idoneo a dissolvere qualunque aspettativa di rientro anche del solo capitale investito, non puo` che supporre come dato di certezza — mentre tale dato non avrebbe dovuto avere la societa` — l’assoluta inoperativita` della clausola di garanzia di capitale minimo garantito dalla societa` alla scadenza della polizza, clausola di garanzia prospettata invece ai clienti come primaria e specifica caratteristica del prodotto assicurativo. Sotto altro profilo poi, pur non contestandosi la natura transattiva degli accordi proposti con i clienti, non si comprenderebbe l’interesse alla transazione da parte di CNP se effettivamente, come ha dichiarato nelle comunicazioni inviate ai clienti, fosse stata convinta, in base alle condizioni delle polizze, di non essere tenuta in alcun modo a rifondere alla scadenza il premio unico versato inizialmente dai clienti, per essere questa un’obbligazione condizionata all’adempimento dell’emittente LB del titolo obbligazionario sottostante la polizza. Pare dunque al Collegio che la societa` abbia agito per un suo interesse, quello di evitare, attraverso le transazioni, contenziosi rischiosi, assicurandosi un risultato positivo rispetto alle prospettive contrattuali delle polizze index linked Performance; tutto cio` CNP, consapevole dei rischi contrattuali derivanti per essa dalle polizze Performance, lo ha conseguito dichiarando, in cio` sta la violazione della buona fede e dei diritti dei consumatori alla correttezza e trasparenza nei rapporti contrattuali, che le sue intenzioni erano quelle di protezione degli investitori e di tutela degli assicurati. Per i motivi sopra esposti il Collegio ritiene che sussista la fondatezza nel merito dell’azione proposta dall’AMC il che impone di considerare se ricorre il presupposto del periculum. 6. Il periculum. L’art. 140 comma 8 CdC indica come presupposto per la concessione della misura cautelare a tutela di interessi collettivi la sussistenza di giusti motivi di urgenza. Il comportamento illegittimo di CNP potrebbe giustificare azioni risarcitorie o di annullamento ex art. 1971 c.c. da parte di singoli consumatori coinvolti nella vicenda delle polizze Performance sostituite dagli accordi descritti sopra. Il tempo occorrente all’associazione per agire in via ordinaria con azione inibitoria ex art. 140 CdC potrebbe portare all’adozione di una pronuncia non piu` efficace per la tutela degli interessi perche´ emessa a distanza dal compimento dell’illeGiurisprudenza Italiana - Luglio 2010

cito e in un momento in cui potrebbero essere prescritte le azioni individuali risarcitorie o di invalidazione dell’atto. L’eliminazione o riparazione degli effetti dannosi di una condotta che si e` sostanziata, in danno di una pluralita` di consumatori, in una informazione non corretta posta in essere nell’ambito dell’esecuzione di un contratto (nel caso Polizze index linked Performance) e nella fase delle trattative dei contratti sostitutivi, in tanto puo` ritenersi efficace in quanto e` posta in essere in un periodo di tempo non eccessivamente lontano rispetto al fatto lesivo, quanto i termini della questione sono ancora attuali e l’interesse effettivo. 7. Il provvedimento inibitorio. Data la natura cautelare del provvedimento richiesto ritiene il Collegio, sulla base dell’accertamento della illegittimita` del comportamento di CNP, di poter accogliere quelle domande che hanno ad oggetto un ordine di informazione a carico CNP a rettifica delle informazioni ritenute scorrette, la cui diffusione puo` essere idonea a correggere ed eliminare gli effetti dannosi delle violazioni che in questa fase si e` ritenuto abbia posto in essere CNP con il comunicato di settembre 2008, di novembre 2008 e con la corrispondenza di gennaio 2009. Vanno rigettate tutte le domande proposte in ricorso con cui si chiede di inibire a CNP la conversione e/o monetizzazione delle polizze Performance secondo la Proposta Cash e Proposta Trasformazione, data la natura cautelare del presente procedimento, e dato che tali inibitorie implicano l’accertamento della fondatezza di azioni costitutive o dichiarative finalizzate a rescindere i contratti conclusi dai consumatori in sostituzione delle Polizze Performance, azioni individuali sul cui esercizio ed esito nessuna previsione puo` farsi, rientrando la decisione di agire nella sfera di disponibilita` esclusiva di ogni singolo contraente. Va pertanto disposto, in accoglimento parziale del ricorso ex artt. 140 comma 1 lett. b) e comma 8 del D.Lgs 206/2005 proposto dall’ASSOCIAZIONE MOVIMENTO CONSUMATORI contro CNP UNICREDIT VITA S.P.A., l’ordine alla resistente CNP Unicredit Vita spa di inviare a tutti i sottoscrittori delle polizze index linked Performance 5, 6, 7, 8, 9 entro il giorno 1.3.2010 una comunicazione che abbia il seguente contenuto: “II Tribunale di Milano sez. VI civile, all’esito del procedimento cautelare RG 73484/2009 promosso dall’Associazione Movimento Consumatori contro CNP Unicredit Vita spa, accogliendo il ricorso dell’associazione, ha ordinato alla societa` di inviare ai contraenti delle polizze index linked Performance 5, 6, 7, 8, 9 la seguente comunicazione: II Tribunale di Milano ha ritenuto probabilmente come non rispondente ai principi di buona fede, correttezza e lealta` e comportamento lesivo dei diritti dei consumatori sanciti dall’art. 2 comma 2 lett. e) d.lgs 206/2005 la diffusione, nel periodo da settembre 2008 a gennaio 2009, da parte di CNP Unicredit Vita spa — delle comunicazioni, rivolte ai sottoscrittori delle Polizze Performance 5, Performance 6, Performance 7, Performance 8 e Performance 9, che presupponevano e affermavano, come dato certo, che le polizze non prevedono contrattualmente alcuna garanzia di restituzione del capitale nominale a scadenza e che, in considerazione degli eventi accaduti, ovvero il fallimento della banca statunitense Lehman Brothers, il valore delle polizze avrebbe potuto subire consistenti riduzioni e l’investitore conseguire rilevanti perdite sul capitale investito; — delle comunicazioni che indicavano le proposte di transazione denominate Proposta Cash e Proposta Trasformazione come volte a tutelare gli interessi dei sottoscrittori di polizza in relazione agli accadimenti che hanno riguardato l’emittente Lehman Brothers. Il Tribunale di Milano ha ritenuto come probabilmente non corretto il comportamento di CNP Unicredit Vita spa perche´ fondato su un’interpretazione non univoca del contenuto contrattuale delle polizze Performance 5, 6, 7, 8, 9, interpretazione che ha valorizzato unicamente i profili di esonero dalla responsabilita` della societa` CNP Unicredit Vita spa.”. — Omissis.

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(1-2) Tutela individuale e tutela collettiva del consumatore dalle pratiche commerciali scorrette fra diritto sostanziale e processo I due provvedimenti interessano soprattutto perche´ suggeriscono alcune considerazioni sul complesso tema delle interferenze fra tutela individuale e tutela collettiva del consumatore dalle pratiche commerciali scorrette, anche in vista del nuovo meccanismo costituito dalla c.d. azione di classe. Nella prima decisione, infatti, il ricorso cautelare e` integralmente respinto per carenza di fumus sulla sussistenza dell’illecito, previo rigetto pero` di varie difese processuali: il Tribunale esclude esplicitamente che la tutela cautelare degli interessi collettivi dei consumatori sia ammissibile solo se il numero dei consumatori interessati e` elevato, e che possa concretizzarsi solo in ordini di non fare, articolando altresı` esplicitamente l’idea che si configuri una legittimazione straordinaria senza alcuna sostituzione processuale e senza alcuna interferenza con la tutela delle situazioni soggettive individuali dei singoli consumatori lesi dall’illecito. In sede di reclamo, il Collegio ravvisa invece il fumus, ma pur facendo propria tale interpretazione, accoglie solo in parte il ricorso, rifiutando comunque di inibire l’esecuzione dei contratti conclusi grazie a condotte commerciali riconosciute come scorrette ed illecite, per non interferire con la disponibilita` in capo al singolo consumatore della sua tutela individuale. In questa sede non e` opportuno — ne´ sarebbe possibile — passare in rassegna tutte le possibili ipotesi ricostruttive della disciplina di riferimento 1, ma sembra doveroso formulare qualche rilievo intorno a quest’ultima interpretazione alla luce della distinzione solitamente accettata fra le situazioni di vantaggio a contenuto sostanziale e quelle a contenuto processuale. Se, infatti, si muove dall’idea che l’associazione dei consumatori legittimata a far valere l’interesse collettivo della categoria puo` conseguire un provvedimento che ordini al professionista di eliminare gli effetti dannosi delle violazioni commesse, e` inevitabile che le situazioni sostanziali dei singoli consumatori sembrino spesso influenzate dal provvedimento giurisdizionale: nel caso di specie, il problema riguarda non certo l’azione per impugnare il contratto concluso grazie alle informazioni commerciali scorrette evocata dal Collegio, o per conseguire il risarcimento dei danni individualmente subiti (a cui non deriverebbe alcun pregiudizio ne´ dall’accoglimento ne´ dal rigetto della domanda proposta dall’associazione nel caso di specie), ma, al contrario, il diritto del singolo consumatore di pretenderne l’esecuzione, che sembra estinguersi perche´ il professionista potrebbe invocare l’inibitoria conseguita dall’associazione per rifiutare l’adempimento. Tuttavia si potrebbe argomentare che se un’attivita` promozionale lede un interesse collettivo, lo lede anche il conseguimento del vantaggio concorrenziale che ne deriva, sicche´ l’estinzione dei diritti che ne siano sorti in capo ai singoli consumatori potrebbe discendere gia` 1

Per una recente e ampia rassegna v. Donzelli, La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, Napoli, 2008, spec. 754 e segg. 2 Intorno al dibattito dottrinale innescato da questo genere di

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sul piano sostanziale dall’illiceita` del loro acquisto mediante un negozio concluso tramite una violazione di norme imperative (qualificando come tali quelle relative a pratiche commerciali scorrette, come quella denunciata nel caso di specie, in vista della loro soggezione a sanzioni anche meramente a%ittive), del tutto a prescindere dall’esercizio dell’azione da parte dell’associazione: la tutela dell’interesse collettivo ricomprenderebbe allora la facolta` di ottenere l’eliminazione delle conseguenze dannose dell’illecito in quanto appunto dannose per l’interesse collettivo, a prescindere dalla loro dannosita` per i singoli consumatori 2. In tale prospettiva, ne´ la disponibilita` del diritto individuale, ne´ quella della sua tutela subirebbero alcuna influenza dall’esercizio da parte dell’associazione della situazione di vantaggio a contenuto processuale (l’azione) attribuitale a tutela della situazione di vantaggio di portata superindividuale configurata dal legislatore (l’interesse collettivo), perche´ ad essere influenzata — ma dalla vicenda sostanziale — sarebbe l’esistenza stessa del diritto individuale, sicche´ la domanda di adempimento del consumatore verrebbe eventualmente rigettata nel merito e non in rito, qualunque sia l’esito della lite promossa dall’associazione, ed anche ove l’associazione non agisca affatto. L’adempimento del contratto sarebbe infatti una conseguenza dell’illecito dannosa per l’interesse collettivo, quand’anche non lo fosse per il singolo consumatore, e la sua eliminazione sarebbe doverosa sul piano sostanziale, a prescindere dalla questione della risarcibilita` del danno all’interesse collettivo (nonche´ della determinazione di tale eventuale risarcimento, o dell’individuazione del suo destinatario). Il rifiuto del Tribunale di inibire l’esecuzione dei contratti individuali deve dunque fondarsi, a monte dell’esigenza di proteggere la disponibilita` del diritto individuale (e, quale conseguenza pratica, anche la facolta` di scelta del singolo consumatore di agire per l’annullamento o per il mero danno da dolo incidente, o di non agire affatto, oltre che di agire per l’adempimento), sul riconoscimento della sua esistenza anche quando essa possa ritenersi in conflitto con l’interesse collettivo della categoria, negando che il contratto concluso grazie a informazioni scorrette sia in quanto tale nullo per violazione di norme imperative: si tratta di interpretare in tal senso la previsione dell’art. 19, comma 2, c. cons. che le norme sulle pratiche commerciali non pregiudichino l’applicazione delle disposizioni sulla formazione, validita` ed efficacia del contratto. In questione, quindi, non e` l’ammissibilita` (che non potrebbe comunque essere pregiudicata dal giudizio promosso dall’associazione contro il professionista), ma la fondatezza dell’azione individuale di adempimento: se infatti potesse prevalere l’interesse collettivo, ma si dovesse proteggere la situazione di vantaggio individuale a contenuto processuale del singolo consumatore con riferimento a situazioni di vantaggio individuali a contenuto sostanziale incompatibili con la tutela dell’interesse collettivo, il provvedimento corretto non sarebbe prospettiva interpretativa v., anche per riferimenti, gia` Mirone, Pubblicita` e invalidita` del contratto: la tutela individuale contro le pratiche commerciali sleali, in Annali Italiani del Diritto d’Autore, della Cultura e dello Spettacolo, 2008, 309 e segg. Giurisprudenza Italiana - Luglio 2010

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il rigetto della domanda dell’associazione, ma tutt’al piu` la pronuncia di un ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti dei singoli consumatori titolari dei contratti di cui si chieda che si inibisca l’esecuzione 3. L’affermata prevalenza del diritto individuale sull’interesse collettivo fatto valere, come nel caso di specie, ai sensi dell’art. 140 c. cons. non impedisce tuttavia che nei confronti delle pratiche commerciali scorrette sia possibile una forma di tutela giurisdizionale collettiva idonea a imporre l’effettiva eliminazione di tutte le conseguenze dannose dell’illecito per i singoli consumatori: lo puo` permettere, infatti, l’esercizio dell’azione collettiva a tutela di diritti individuali. Di quest’ultimo istituto si sono a lungo discusse le possibili configurazioni, facendo in particolare riferimento alle class actions statunitensi: se si riconosce che il proprium dell’azione collettiva, quale situazione di vantaggio a contenuto processuale avente ad oggetto il conseguimento di una pronuncia sul merito in favore dei componenti di una categoria, consiste nell’attribuzione della legittimazione ad agire a soggetti rappresentativi della categoria stessa, si possono ascrivere all’istituto sia le class actions nordamericane, sia l’azione collettiva risarcitoria prevista dall’art. 140 bis c. cons., ribattezzata “azione di classe” in occasione della modifica di tale disposizione da parte della legge n. 99/2009 4. Naturalmente la completezza dell’eliminazione delle conseguenze dannose dell’illecito richiede che tutti i diritti individuali lesi formino oggetto del giudizio collettivo: negli Stati Uniti cio` e` a volte possibile anche senza il consenso dei loro singoli titolari, ovvero sulla base di un loro consenso tacito, mentre la normativa italiana richiede loro di attivarsi, permettendo solo di ricorrere a una modalita` semplificata di proposizione della domanda giudiziale con cui avvalersi degli effetti degli atti di impulso processuale di chi esercita l’azione nella veste di campione rappresentativo del gruppo interessato 5; pero` la tutela richiesta non puo` comunque, in tali casi, negarsi affermando la 3

Quando si richiede una condanna a una prestazione di non fare indivisibile (come quella a non adempiere ai contratti conclusi grazie alle pratiche commerciali scorrette) nei confronti di piu` soggetti contitolari del medesimo rapporto giuridico (nel caso di specie, tutte le parti contraenti), si riconosce sovente l’applicabilita` dell’art. 102 c.p.c. (v., per es., Cass., 1o aprile 2008, n. 8441; Id., 23 febbraio 2009, n. 4382), anche se di tale soluzione si potrebbe dubitare quando ciascuno dei coobbligati potrebbe essere chiamato a rispondere in proprio dell’inottemperanza al provvedimento; l’art. 102 vale naturalmente anche nel procedimento cautelare (v., per riferimenti alla giurisprudenza di merito, Querzola, Art. 669 sexies, in Commentario breve al codice di procedura civile a cura di Carpi, Taruffo, Padova, 2009, 6a ed., 2224 e segg.; l’esclusione, nella prima ordinanza, dell’intervento dell’associazione collegittimata, con provvedimento non reclamato, si deve d’altronde alla sua tardivita`, a prescindere dai possibili dubbi intorno all’ammissibilita` dell’intervento adesivo autonomo in quanto tale nel procedimento cautelare, v., per riferimenti al dibattito dottrinale sul punto ancora Id., loc. ult. cit.). 4 Secondo Chiarloni, Per la chiarezza di idee in tema di tutele collettive dei consumatori, in Riv. Dir. Proc., 2007, 567 e segg., l’azione di classe e` promossa dal singolo e la sentenza vincola gli appartenenti al gruppo interessato anche se sfavorevole, mentre l’azione collettiva e` promossa dall’associazione e la sentenza produce effetti verso gli appartenenti al gruppo inteGiurisprudenza Italiana - Luglio 2010

subordinazione dell’interesse collettivo alla situazione sostanziale di vantaggio individuale. L’esperimento di un’azione collettiva risarcitoria con riferimento alla controversia decisa nel caso di specie richiede tuttavia di affrontare uno speciale problema interpretativo: quello della disciplina transitoria, caratterizzata dalla compresenza di due diverse disposizioni derogatorie dei principi generali in tema di efficacia della legge nel tempo. Per un verso, infatti, l’applicazione dell’art. 140 bis e` stata differita rispetto all’entrata in vigore della norma che lo ha introdotto (risalente al gennaio 2008), con una disposizione ripetutamente modificata per aumentare progressivamente il differimento, sino a prolungarlo, nell’ultima versione, al gennaio 2010. Per altro verso, la menzionata legge n. 99/ 2009 ha stabilito che l’art. 140 bis, come da essa modificato, si applichi solo agli illeciti commessi prima del 15 agosto 2009, data di entrata in vigore della stessa legge n. 99. Le due disposizioni operano ovviamente su piani diversi: la prima individua il momento a partire dal quale possono avviarsi azioni collettive risarcitorie producendo gli effetti processuali contemplati dall’art. 140 bis; la seconda individua il momento a partire dal quale gli illeciti produrranno effetti sostanziali passibili di formare oggetto di azioni di classe. Delle due e` naturalmente soprattutto la seconda a essere strana: di solito si ritiene opportuno (e a volte perfino costituzionalmente doveroso) permettere agli interessati di essere consapevoli in anticipo degli effetti processuali degli atti processuali che compiranno, ovvero degli effetti sostanziali degli atti sostanziali che compiranno, ma non anche degli effetti degli atti processuali che compiranno per risolvere le controversie generate dagli atti sostanziali che compiranno 6. Puo` darsi che la scelta del legislatore del 2009 si debba a una qualificazione dell’azione di classe come istituto di portata anche sostanziale. In proposito si puo` ricordare che la distinzione fra norme sostanziali e processuali e` sovente sfumata e non e` identica in tutti ressato solo secundum eventum litis, ma dato che sia la legittimazione del singolo ex art. 140 bis, sia quella dell’associazione ex art. 140, dipendono dalla loro rappresentativita` (benche´ diversamente valutata), e che la produzione di pieni effetti di giudicato nei confronti degli appartenenti al gruppo dipende in realta` dall’oggetto del giudizio (ossia dalla circostanza che si deducano situazioni di vantaggio di portata individuale, come i diritti soggettivi, o di portata superindividuale, come gli interessi collettivi), si e` preferito inquadrare l’azione di classe fra le azioni collettive a tutela di diritti individuali omogenei, distinguendo poi fra vari tipi di azioni di classe a seconda, fra l’altro, del tipo di provvedimento richiesto e dei tipi di criteri di definizione del gruppo interessato in Giussani, Azioni collettive risarcitorie nel processo civile, Bologna, 2008, 16 e segg. 5 In proposito v. gia` Giussani, L’azione collettiva risarcitoria nell’art. 140 bis c. cons., in Riv. Dir. Proc., 2008, 1232 e segg., e con riferimento alla nuova versione della norma Id., Il nuovo art. 140 bis c. cons., ivi, 2010. 6 Intorno al classico dibattito sui principi generali in materia di efficacia della legge processuale nel tempo cfr., per es., Fazzalari, Efficacia della legge processuale nel tempo, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 1989, 898 e segg., Caponi, Tempus regit processum. Un appunto sull’efficacia delle norme processuali nel tempo, in Riv. Dir. Proc., 2006, 449 e segg.; Capponi, La legge processuale civile. Fonti interne e comunitarie (applicazioni e vicende), Torino, 2009, 3a ed., 113 e segg.

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gli ordinamenti: negli Stati Uniti, ad esempio, anche in vista delle caratteristiche del sistema delle fonti, si e` relativamente piu` restrittivi di quanto accada in Italia nell’attribuire alle norme portata strettamente processuale, e si e` ripetutamente prospettato che alla disciplina delle class actions possa attribuirsi portata sostanziale, soprattutto quando le pretese dei componenti del gruppo vengono dedotte in giudizio senza il loro consenso (neppure tacito), e la standardizzazione della liquidazione del danno determina una riallocazione della distribuzione del risarcimento alle vittime dell’illecito 7. In Italia, pero`, appare arduo ravvisare una portata sostanziale nella normativa sull’azione di classe, dato che la pronuncia su ogni pretesa individuale presuppone l’iniziativa giudiziaria del suo titolare (ancorche´ con modalita` semplificate) 8: l’ampliamento dell’ambito di applicazione della liquidazione equitativa del danno, contemplato dalla nuova versione dell’art. 140 bis, puo` sospettarsi di avere una portata sostanziale, ma solo ripudiando gli orientamenti in precedenza formatisi, nel senso che le modificazioni dell’ambito di applicazione del giudizio d’equita` si applichino anche ai giudizi relativi a fattispecie perfezionatesi prima dell’entrata in vigore delle modificazioni stesse 9. In ogni caso, la disciplina transitoria della legge n. 99 non puo` e non deve essere intesa nel senso che gli illeciti commessi prima del 15 agosto 2009 non possano formare oggetto di azioni collettive risarcitorie: ad essi non si applica la nuova versione dell’art. 140 bis, ma si applica di conseguenza la normativa previgente, e per tale deve intendersi quella contemplata dalla precedente versione dell’art. 140 bis, tecnicamente entrata in vigore anche se ne era stata sospesa l’efficacia. Ben7

V., anche per riferimenti, gia` Giussani, Studi sulle “class actions”, Padova, 1996, 155 e segg., e ancora Id., Azioni collettive risarcitorie, cit., 63 e segg., 93 e segg., 107 e segg., 112 e segg. 8 Il rifiuto della nozione di azione in senso astratto suggerisce la conclusione opposta a Punzi, L’“azione di classe” a tutela dei consumatori e degli utenti, in Riv. Dir. Proc., 2010, ma qualificando l’azione collettiva come ipotesi particolare del diritto al provvedimento sul merito sembra naturale attribuirle portata processuale: v. Giussani, Azioni collettive risarcitorie..., cit., 13 e segg.; inoltre, diversamente dalla regola ubi ius ibi remedium, la regola ubi remedium ibi ius non e` costituzionalmente garantita, e nell’art. 140 bis, anche nella sua versione originaria, non e` ravvisabile altro che una diversa modalita` di esercizio delle preesistenti azioni concrete, configurandosi l’accoglimento della domanda come favorevole all’associazione solo in quanto parte meramente formale: v. nuovamente Id., op. ult. cit., 1227 e segg.; riprendendo una metafora ripetutamente utilizzata in questa materia, si puo` sottolineare che l’azione collettiva a tutela di diritti individuali omogenei e` un veicolo e non una destinazione: v. Id., Il consumatore come parte debole nel processo civile italiano: esigenze di tutela e prospettive di riforma, in Consumatori e processo. La tutela degli interessi collettivi dei consumatori a cura di Chiarloni, Fiorio, Torino, 2005, 38 e segg. 9 Merita specialmente ricordare che l’idea di introdurre un’azione collettiva risarcitoria a tutela dei consumatori nacque come contropartita politica dell’eliminazione del giudizio d’equita` necessario per le controversie sui contratti conclusi tramite moduli o formulari di valore inferiore ai 1100 euro, compiuta con il D.L. n. 18/2003 di modifica dell’art. 113 c.p.c. (poi convertito con legge n. 63/2003), proprio per l’urgenza di applicarsi a fattispecie sostanziali gia` perfezionatesi, escludendosene quindi l’applicazione, con esplicita disposizione transi-

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che´ possa sembrare strano che una normativa processuale si riferisca solo alle cause relative a illeciti commessi prima che si rendesse applicabile, deve sottolinearsi che tale conclusione, oltre a non destare dubbi di legittimita` costituzionale sotto il profilo dell’istituzione di giudici straordinari, va anzi considerata costituzionalmente doverosa, rinvenendo in capo al legislatore ordinario, alla luce delle tendenze evolutive della giurisprudenza sovranazionale in materia, un obbligo di agire secondo buona fede e nel rispetto delle aspettative create: dopo aver indotto gli interessati ad attendere l’applicazione delle nuove norme, non dovrebbe ritenersi legittimo deluderli 10. Andrea Giussani

PENALE PER INADEMPIMENTO Tribunale Trani, Sezione distaccata Andria, 24 ottobre 2008 — Labianca Giudice — D’Avanzo (avv.ti Massaro, Memeo) - Matera (avv. Codispoti) ed altri. Obbligazioni e contratti — Contestuale proposizione delle domande di adempimento e di pagamento della penale per inadempimento — Rigetto allo stato (C.c. art. 1383). Nel caso in cui vengano proposte in via principale le domande di adempimento e di pagamento della penale per l’inadempimento, il giudice, non potendo effettuare una scelta che compete esclusivamente alla parte, deve rigettarle entrambe allo stato (1). toria, appunto ai soli giudizi gia` pendenti alla data di entrata in vigore della nuova disciplina (v., sulla vicenda, i cenni di Fiorio, Deterrenza e riparazione: la tutela degli interessi collettivi e dei diritti individuali omogenei dei risparmiatori negli Stati Uniti, in Francia e in Italia, in Consumatori e processo, cit., 184). 10 Nel senso che impedire la tutela in via collettiva dei diritti sorti prima dell’entrata in vigore della legge n. 99 non sia costituzionalmente legittimo v. gia` Caponi, Il nuovo volto della “class action”, in Foro It., 2009, V, 383; nello stesso senso, e per una piu` ampia formulazione del ragionamento qui sintetizzato, v. poi Gitti-Giussani, La conciliazione collettiva nell’art. 140 bis c. cons., dalla l. n. 244 del 24 dicembre 2007 alla l. n. 99 del 23 luglio 2009, alla luce della disciplina transitoria, in Riv. Dir. Civ., 2009, II, 639 e segg.; sulla giurisprudenza in materia di tutela dell’affidamento come limite della discrezionalita` del legislatore ordinario in materia di diritto transitorio v. Matucci, Tutela dell’affidamento e disposizioni transitorie, Padova, 2009, 181 e segg.; la circostanza che la prima versione dell’art. 140 bis affidi la liquidazione del danno a “camere di conciliazione” costituite presso l’ufficio giudiziario con funzioni arbitrali, salvo risultare costituzionalmente garantito il diritto del convenuto di pretendere che la liquidazione sia compiuta dal giudice ordinario (v. in proposito l’analisi svolta in Giussani, Azione collettiva risarcitoria e determinazione del quantum, in Riv. Dir. Proc., 2009, 346 e segg.), potrebbe sollevare un ulteriore dubbio di compatibilita` della disciplina con l’art. 102 Cost., dato che la norma si applicherebbe alle sole controversie relative a fattispecie perfezionatesi prima dell’attivazione di tali organi; ma l’esperienza pregressa con le c.d. Sezioni-stralcio di cui alla legge n. 276/1997 permette di fugarlo (v., su tale vicenda, le considerazioni sviluppate da Capponi, op. cit., 61 e segg.). Giurisprudenza Italiana - Luglio 2010

1680 Omissis. — Motivi: Tra le varie eccezioni sollevate da parte convenuta, merita di essere esaminata preliminarmente quella relativa all’inammissibilita` della domanda, per il divieto di cumulo tra la domanda diretta all’esecuzione in forma specifica del preliminare rimasto inadempiuto e la richiesta di pagamento della penale per l’inadempimento (art. 1383 c.c.), posto che essa e` idonea a definire il merito del giudizio. Giova premettere che parte attrice, nell’atto introduttivo, ha spiegato due domande, entrambe in via principale: la prima, previo accertamento e la declaratoria di inadempimento dei promittenti venditori, diretta ad ottenere sentenza ex art. 2932 c.c., costitutiva degli effetti del contratto non concluso; la seconda, volta alla condanna dei convenuti “... alla corresponsione della somma di euro 61.974, 83, a titolo di penale per la mancata conclusione del contratto definitivo, come previsto in sede di stipula del preliminare.” Si tratta, com’e` evidente, di due domande poste nello stesso giudizio ed in via principale, non formulate cioe` ne´ in via accessoria ne´ subordinata. In sede di precisazione delle conclusioni, i Procuratori di parte attrice hanno poi formulato le seguenti conclusioni: “... in applicazione dell’art. 2932 c.c., voglia pronunziare nei confronti di tutti i convenuti la sentenza che produca gli effetti del contratto preliminare non concluso; condannare gli stessi a corrispondere a D’Avanzo Nicola la somma di euro 61.974,83 a titolo di penale per la mancata tempestiva conclusione del contratto definitivo di compravendita cosı` come previsto in sede di stipula del preliminare mai adempiuto in favore della parte non in colpa, in applicazione dell’art. 1382 c.c.” Parte attrice non ha, dunque, rinunciato ad alcuna delle due domande ed, in particolare, a quella diretta ad ottenere il pagamento della penale per la mancata conclusione del contratto definitivo. Cio` chiarito, e` evidente come l’attore ha richiesto, cumulativamente, domanda diretta ad ottenere l’adempimento in forma specifica e domanda diretta ad ottenere il risarcimento dei danni derivanti dall’inadempimento dei promittenti alienanti. Sul punto, occorre rilevare che la giurisprudenza della suprema Corte e` fermissima nel ritenere che la ratio del divieto di cumulo di cui all’art. 1383 c.c. e` diretta a evitare che il contraente adempiente ottenga, contemporaneamente, la realizzazione dell’interesse perseguito con la richiesta di adempimento del contratto ed un risarcimento che, invece, presuppone tale mancata realizzazione. Il principio e` stato affermato, tra le tante (v. anche Cass. 13924/2002), dalla suprema Corte con la sentenza 20 aprile 2001 n. 5887, secondo la quale “... nel caso in cui il creditore abbia proposto contemporaneamente, nello stesso giudizio, la domanda diretta ad ottenere la prestazione principale e quella di pagamento della penale prevista per l’inadempimento, entrambe le domande vanno (naturalmente allo sta-

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In dottrina, sulla clausola penale: Mazzarese, Clausola penale, artt. 1383-1384, in Comm. C.C. a cura di Schlesinger, Milano, 1999, 557 e segg.; Id., Le obbligazioni penali, Padova, 1990; Zoppini, La clausola penale e la caparra, in Trattato dei Contratti a cura di Rescigno, Gabrielli, in I contratti in generale, I, 2a ed., a cura di Gabrielli, Torino, 2006, 1011 e segg.; Id., La pena contrattuale, Milano, 1991; Sacco-De Nova, Il contratto, in Tratt. Dir. Civ. a cura di Sacco, 2a ed., X, Torino, 1999, 159 e segg.; Marini, La clausola penale, Napoli, 1984; Mirabelli, Dei contratti in generale, in Commentario del cod. civ. dell’Utet, 3a ed., IV, Torino, 1980, 337 e segg.; Magazzu` , voce “Clausola penale”, in Enc. Dir., VII, Milano, 1960, 186 e segg. 2 Tuttavia, come e` stato rilevato da attenta dottrina: «a) la richiesta della penale preclude l’azione di esatto adempimento ma ne´ presuppone necessariamente ne´, al contrario, preclude quella di risoluzione del contratto; b) la domanda di esatto adempimento non preclude ne´ la successiva richiesta della penale, ne´ la successiva azione di risoluzione del contratto; c) la Giurisprudenza Italiana - Luglio 2010

Diritto Processuale Civile | PENALE PER INADEMPIMENTO to) rigettate, non potendo il giudice effettuare una scelta che compete alla parte”. Com’e` noto, poi, l’art. 1383 c.c. vieta il cumulo tra la domanda della prestazione principale e quella diretta ad ottenere la penale per l’inadempimento, ma non esclude che si possa chiedere tale prestazione insieme con la penale per il ritardo. Pur tuttavia, nel caso di specie, la penale non era stata pattuita nel contratto per il ritardo; nel preliminare si legge, invero, che “... si stabilisce una penale di euro 61.974,83, pari a lire 120.000.000 a favore dell’altro non in colpa, oltre alle spese della presente con le successive ed inerenti.” Evidente, pertanto, dalla lettura del contratto, che la penale non era stabilita per il mero ritardo; in tal senso convergono sia il fatto che nel testo della clausola manchi qualsiasi riferimento all’osservanza del termine ed all’eventuale ritardo, sia l’ammontare complessivo della penale, a fronte di un prezzo complessivo convenuto in euro 196.253,62, quindi 1/3 del prezzo interamente convenuto. Deve, pertanto, riconoscersi che la clausola penale in oggetto risultava strettamente legata al mancato adempimento all’obbligo di stipulare il contratto definitivo di compravendita, con la conseguenza che in essa sono coperti soltanto i danni connessi a tale specifico inadempimento. — Omissis. Dal che consegue che le domande devono entrambe rigettarsi, avendo l’attore proposto, nello stesso giudizio ed in modo non subordinato, ne´ accessorio, due domande principali, vertenti la prima sulla richiesta di adempimento in forma specifica e la seconda sul pagamento della penale a titolo di risarcimento del danno per l’inadempimento, incorrendo, in tal guisa, nel divieto di cumulo di cui all’art. 1383 c.c. Non potendo allora l’odierno Giudicante effettuare una scelta che “compete alla parte”, non resta che rigettare allo stato entrambe le domande (v. Cass. 5887/2001). — Omissis.

(1) Sul rapporto tra la domanda di adempimento e quella per la penale per inadempimento 1. La decisione in commento merita di essere segnalata perche´ affronta un problema scarsamente trattato in dottrina e in giurisprudenza: quello delle conseguenze della contestuale proposizione nel processo della domanda di adempimento e di quella diretta a conseguire la penale per l’inadempimento 1. L’art. 1383 c.c., che si occupa del rapporto tra le due domande, si limita a vietarne il cumulo, stabilendo che «il creditore non puo` domandare insieme la prestazione principale e la penale se questa non e` stata stipulata per il semplice ritardo» 2, ma non chiarisce quale conseguenza derivi dalla loro contestuale proposizione. Nella specie, il domanda di risoluzione del contratto preclude l’azione di esatto adempimento ma non preclude ne´, al contrario, presuppone necessariamente la richiesta della penale»; cosı` Mazzarese, op. cit., 583. In giurisprudenza, v. Cass., 13 gennaio 2005, n. 591, in Rep. Giur. It., 2005, voce “Obbligazioni e contratti”, n. 198, e, per la motivazione, in Impresa, 2005, 686: «In tema di clausola penale, volta al rafforzamento del vincolo contrattuale e alla liquidazione preventiva del danno, l’art. 1383 c.c., nel vietare il cumulo della penale pattuita per l’inadempimento con la prestazione principale, non esclude che la penale per il ritardo possa cumularsi, nel caso di risoluzione del contratto, con il risarcimento del danno da inadempimento; in tale ipotesi peraltro, per evitare un ingiusto sacrificio dell’obbligato ed il correlativo indebito arricchimento del creditore, dovra` tenersi conto, nella liquidazione della prestazione risarcitoria, dell’entita` del danno per il ritardo, che sia stato gia` autonomamente considerato nella determinazione della penale» (conf. Id., 22 agosto 2002, n. 12349, in Mass. Giur. It., 2002; Id., 13 luglio 1984, n. 4120, ivi, 1984).

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giudizio traeva origine dalla stipula di un contratto preliminare di compravendita immobiliare che prevedeva, a carico della parte inadempiente, la corresponsione di una somma a titolo di penale per la mancata conclusione del contratto definitivo. Sul presupposto che i promittenti venditori, non essendosi presentati dinanzi al notaio per la stipula del contratto definitivo, si erano resi inadempienti all’obbligo assunto con il contratto preliminare, il promissario acquirente li aveva convenuti in giudizio per sentirli dichiarare inadempienti e, per l’effetto, sentir pronunziare sentenza sostitutiva degli effetti del contratto non concluso, in applicazione dell’art. 2932 c.c. Il promissario acquirente, pero`, aveva chiesto anche la corresponsione della penale pattuita per la mancata conclusione del contratto definitivo. Il Tribunale di Trani, Sezione distaccata di Andria, poiche´ «la giurisprudenza della Suprema Corte e` fermissima nel ritenere che la ratio del divieto del cumulo di cui all’art. 1383 c.c. e` diretta ad evitare che il contraente adempiente “ottenga”, contemporaneamente, la realizzazione dell’interesse perseguito con la richiesta di adempimento del contratto ed un risarcimento che, invece, presuppone tale mancata realizzazione», ha rigettato “allo stato” sia la domanda di esatto adempimento sia quella volta alla corresponsione della penale per l’inadempimento. 2. A sostegno della decisione presa, il Tribunale ha richiamato due pronunce della suprema Corte di cassazione: la n. 5887/2001 3 e la n. 13924/2002 4, entrambe dovute alla seconda Sezione ed allo stesso estensore. Nel primo caso, le due domande non erano state proposte contestualmente: l’attore, ottenuta la condanna del convenuto ad eseguire la prestazione principale, aveva chiesto, in un altro giudizio, anche la condanna all’adempimento dell’obbligazione penale. La suprema Corte, in analogia con la disciplina delle obbligazioni alternative, aveva statuito che la scelta del creditore tra la prestazione principale e la penale era stata effettuata irrevocabilmente a favore della prestazione principale con la proposizione della prima delle due domande: il creditore, verificatosi l’inadempimento, avrebbe la facolta` di scegliere tra l’adempimento e la penale e, una volta optato per una delle due, resterebbe vincolato alla propria scelta e non potrebbe mutarla. Solo quale obiter dictum, poi, il supremo Collegio aveva aggiunto che, qualora le due prestazioni fossero state richieste nello stesso procedimento, il giudice, 3

Cass., 20 aprile 2001, n. 5887, in Rep. Giur. It., 2001, voce “Obbligazioni e contratti”, n. 386 e, per la motivazione, in Contratti, 2002, 573, con nota di Pollaroli, Domanda di adempimento e successiva richiesta della penale: «L’art. 1383 c.c. vieta il cumulo tra la domanda della prestazione principale e quella diretta a ottenere il pagamento della penale prevista per l’inadempimento; pertanto, nel caso in cui il creditore abbia adito l’autorita` giudiziaria con due distinte domande il giudice deve ritenere che, in analogia con quanto previsto per le obbligazioni alternative, l’attore con la proposizione della prima domanda ha operato la scelta, con la preclusione della possibilita` di chiedere successivamente l’altra prestazione. Nell’ipotesi, invece, di proposizione delle due domande nello stesso giudizio da parte del creditore, queste vanno rigettate, non potendo il giudice effettuare una scelta che compete alla parte».

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non potendo effettuare una scelta che compete esclusivamente al debitore, avrebbe dovuto rigettare «la domanda allo stato». Nella trasposizione in massima, pero`, la statuizione subı` una sostanziale modifica. Infatti, il massimatore finı` per affermare che, in quel caso, non gia` «la domanda» bensı` «entrambe le domande» vanno rigettate, che e` cosa ben diversa 5. La massima divenne poi “principio” con la seconda delle richiamate sentenze, la n. 13924/2002. Questa volta, pero`, la Cassazione affronto` effettivamente un caso in cui l’attore aveva chiesto allo stesso tempo la condanna all’adempimento della prestazione principale e quella alla corresponsione della penale per l’inadempimento. Tuttavia, ad onta del “principio” richiamato, la suprema Corte non dubito` della validita` della prima domanda e, quindi, non casso` senza rinvio, ne´ rigetto` allo stato entrambe le domande, ma casso` con rinvio. Inoltre, sul punto, non si rinvengono altre pronunce: quello che il Tribunale di Trani definisce un principio fermissimo attiene alla ratio del divieto di cumulo, non alle conseguenze che derivano dalla violazione di tale divieto. 3. Come accennato, nella sentenza del 2001, la suprema Corte, a supporto della decisione presa, ha richiamato la disciplina delle obbligazioni alternative applicando, in via analogica, l’art. 1286, comma 2, c.c., ai sensi del quale «la scelta [di una delle prestazioni oggetto dell’obbligazione alternativa] diviene irrevocabile con l’esecuzione di una delle due prestazioni, ovvero con la dichiarazione di scelta, comunicata all’altra parte, o ad entrambe se la scelta e` fatta da un terzo». Pertanto, si tratta di verificare l’opportunita` dell’applicazione analogica della disciplina delle obbligazioni alternative all’obbligazione penale. In realta`, dottrina e giurisprudenza sono concordi nel negare tale assimilazione. In particolare, dal punto di vista strutturale, l’obbligazione alternativa e` unica e ha ad oggetto due prestazioni; la clausola penale, invece, e` fonte di un’obbligazione autonoma rispetto alla prestazione principale, anche se con essa concorrente 6; inoltre,nellaclausolapenale,ledueprestazioni—principale e penale — «non stanno affatto sullo stesso piano» 7, perche´ nonsonoinseriteall’internodiununicorapporto obbligatorio, ma ciascuna e` oggetto di una distinta obbligazione, ognuna con la propria autonoma fonte e posta in relazione di alternativita` rispetto all’altra 8. 4

Cass., 25 settembre 2002 n. 13924, in Rep. Giur. It., 2001, voce “Obbligazioni e contratti”, n. 386, e in Dir. e Giust., 2002, n. 41, 34, con nota di Garufi, Le condizioni di trascrivibilita` delle scritture private autenticate. 5 Cio` e` rilevato da Cipriani, Il divieto del cumulo di domande ex art. 1383 c.c. e un pericoloso «principio» della Cassazione, in Il giusto processo civile, Bari, 2009, 1171. 6 Rubino, Delle obbligazioni, in Comm. C.C. a cura di Scialoja, Branca, 2a ed., IV, Delle obbligazioni, Bologna-Roma, 1968, 51 e segg. 7 Cosı` Cipriani, op. cit., 1173. 8 Magazzu` , op. cit., 193.

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Inoltre, vi e` chi si limita a sottolineare l’inopportunita` del richiamo allo schema dell’obbligazione alternativa, essendo inammissibile, tra l’altro, che la scelta tra l’adempimento e la penale, se non e` effettuata dal creditore, passi al debitore 9. Emerge, quindi, come il carattere proprio dell’obbligazione alternativa consista nel fatto che in essa sono dedotte due o piu` prestazioni, di cui una sola deve essere effettuata; cio` non toglie, pero`, che l’obbligazione sia unica. Nell’ambito di questa sola obbligazione concorrono due o piu` prestazioni poste in posizione di reciproca parita`. Il debitore puo` e deve adempiere all’obbligazione alternativa, eseguendo una delle prestazioni dedotte, soltanto dopo aver effettuato la scelta 10; all’inclusione di tutte le prestazioni nell’oggetto del rapporto obbligatorio fa riscontro, evidentemente, l’unicita` dell’adempimento 11. Infatti, ove il creditore, in caso di inadempimento, chiedesse entrambe le prestazioni, la domanda sarebbe infondata e dovrebbe essere rigettata nunc et semper, e non “allo stato”; invero, formatosi il giudicato, quella domanda non potrebbe certamente piu` essere proposta negli stessi termini 12. L’inadempimento della prestazione principale, invece, costituisce il naturale presupposto della richiesta dell’obbligazione penale per l’inadempimento 13; la penale, quando venga fissata per il caso dell’inadempimento, con funzione sia di coercizione all’adempimento sia di predeterminazione della misura del risarcimento, e` pattuita proprio per consegnare al creditore uno strumento di tutela per l’ipotesi in cui il debitore non esegua la prestazione principale, la sola a cui il creditore abbia interesse ed in funzione della quale si e` determinato alla conclusione di un accordo; in altre parole, la clausola penale costituisce pur sempre un patto accessorio del contratto. Pertanto, salvo che il creditore non chieda al giudice la sola condanna del debitore all’esecuzione dell’obbligazione penale, cosı` rivelando di non avere piu` in-

teresse alla prestazione principale, la logica impone di ritenere che, ove domandi espressamente la condanna all’esecuzione della prestazione principale, e` a questa che ha interesse. La contestuale richiesta della penale potrebbe, al piu`, fondare una causa di inammissibilita` di questa domanda, ma giammai determinare una pronuncia di rigetto di entrambe le pretese 14. Cio` e` tanto vero che la suprema Corte, nella seconda delle richiamate sentenze, la n. 13924/2002, quando si e` trovata effettivamente ad affrontare un caso in cui la domanda di esatto adempimento e quella volta alla corresponsione della penale pattuita per l’inadempimento erano state poste nell’ambito dello stesso processo, ha salvato la domanda principale. Inoltre, lo stesso Tribunale di Trani ha affermato che la ratio del divieto di cumulo e` volta ad evitare che il contraente adempiente ottenga contemporaneamente la condanna del convenuto all’adempimento della prestazione principale e a corrispondere la penale per l’inadempimento: cio` non esclude, pero`, che abbia diritto ad ottenere la (sola) condanna del contraente inadempiente all’esecuzione della prestazione principale.

9 Secondo quanto avviene, specularmente, nello schema delle obbligazioni alternative, ai sensi dell’art. 1287, comma 1, c.c. che prevede: «Quando il debitore, condannato alternativamente a due prestazioni, non ne esegue alcuna nel termine assegnatoli dal giudice, la scelta spetta al creditore» (Bianca, Diritto Civile, V, Milano, 1994, 230). Invece, nel caso di cui all’art. 1383 c.c. «la “scelta” e` fatta gia` dal legislatore che considera principale la prestazione di cui alla domanda per l’adempimento», Cipriani, op. cit., 1173. 10 Cass., 17 novembre 1995, n. 11899, in Mass. Giur. It., 1995. 11 Bianca, op. cit., 125. 12 Cosı` Cipriani, op. cit., 1173. 13 Cio` e` tanto vero che, secondo parte della dottrina, il fondamento del divieto di cumulo di cui all’art. 1383 c.c. sarebbe meramente logico (Mirabelli, op. cit., 337, esclude che la domanda della penale possa da sola precludere la successiva do-

manda di adempimento: l’efficacia preclusiva viene attribuita non alla domanda, ma all’effettiva esecuzione della prestazione). Marini, op. cit., 168, a sua volta sostiene che l’ipotesi del concorso sia, in realta`, del tutto apparente: «l’azione di adempimento dell’obbligazione principale, essendo concepibile solo in assenza di un inadempimento definitivo della prestazione principale viene, logicamente, a risultare inconciliabile con l’azione al pagamento della penale che per volonta` delle parti risulta condizionata proprio al verificarsi dell’inadempimento definitivo. Sotto tale aspetto l’esclusione del cumulo di cui alla citata norma vale a ribadire l’incompatibilita` logica che si pone tra l’azione per l’adempimento dell’obbligazione principale e quella per l’adempimento della penale». 14 Cosı` Cipriani, op. cit. Di questo avviso anche Pollaroli, op. cit. 15 Dello stesso avviso Cipriani, op. cit., 1173.

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4. Per concludere, sembra che nella sentenza che si annota sia stato applicato un principio di diritto che non e` mai stato effettivamente enunciato ma che, probabilmente, deve la sua esistenza al fatto che l’estensore della sentenza n. 13924/2002 era lo stesso della sentenza n. 5887/2001 15. Il Tribunale di Trani, quindi, non ha approfondito le ragioni a fondamento del “principio”, ma si e` limitato ad applicarlo, omettendo cosı` di rilevare l’inopportunita` del richiamo alla disciplina delle obbligazioni alternative per regolare il rapporto tra la prestazione principale e la clausola penale pattuita per l’inadempimento quando siano chieste contestualmente nell’ambito dello stesso giudizio. Valeria Citarella

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