Artemisia: tra arte e cronaca nera

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Giuseppe Esposito

Artemisia Gentileschi

Artemisia Tra arte e cronaca nera

(2007 ) 1

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Artemisia Gentileschi, “Allegoria dell’Inclinazione”1613 -1614, olio su tela, Firenze Casa Buonarroti. Si tratta forse di un autoritratto; originariamente nuda, venne “rivestita” nel 1684 da Baldassarre Franceschini –detto “il Volterrano”- su ordine di Michelangelo Buonarroti, bisnipote del committente, Michelangelo Buonarroti, a sua volta, detto “il Giovane”, nipote del grande Michelangelo. C:\Users\giuseppe.esposito\Documents\C_Word\CoseMie\11. Arte\Artemisia\Documenti\2016_GiudittaOloferne.doc

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Giuseppe Esposito

Artemisia Gentileschi

L’arte è stata sempre appannaggio quasi esclusivo dei maschi, ma di tanto in tanto donne coraggiose sono riuscite ad emergere dimostrando che nulla avevano a che invidiare ai colleghi. Nel ‘600 due sono le pittrici di spicco nel panorama che vedeva operare grandi pittori tra cui, uno su tutti, Michelangelo Merisi “Caravaggio”: Sofonisba Anguissola (Cremona 1531 - Palermo 1626), peraltro la maggiore di sei sorelle tutte artiste, così famosa (per la sua epoca) da essere chiamata ad essere ritrattista alla corte di Spagna; Artemisia Gentileschi, figlia d'arte (il padre era Orazio Lomi che cambierà il proprio cognome in Gentileschi in onore della famiglia che lo “proteggeva”), di cui si interesserà questa piccola monografia che, oltre ad un giro nell'arte dei “caravaggeschi”, permetterà anche di aprire una finestra sulla condizione femminile e sulla tenuta dei processi nel '600. Artemisia lavorerà a Roma, Firenze, Napoli, alla Corte d'Inghilterra... e suo soggetto preferito (ritratto svariate volte) sarà il racconto biblico di “Giuditta e Oloferne”... ma perché? Cominciamo con una specie di indovinello: chi sono gli autori di questi quadri?

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Tutti rappresentano la stessa scena ed hanno lo stesso titolo “Giuditta ed Oloferne”

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Artemisia Gentileschi, Firenze, Uffizi (1618).

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Artemisia Gentileschi: Napoli, Capodimonte (1612).

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Caravaggio: Roma, Galleria Nazionale di arte antica (1599). C:\Users\giuseppe.esposito\Documents\C_Word\CoseMie\11. Arte\Artemisia\Documenti\2016_GiudittaOloferne.doc

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Mentre ci pensate, mi sembra però giusto ricordare a me stesso, ed a chi non lo ricordasse, chi erano i personaggi dei quadri. Nabucodonosor, re di Assiria, invia il generale Oloferne per punire le nazioni che si sono rifiutate di allearsi a lui nella guerra contro i Medi. Tra queste Israele; ed è qui che il generale assiro pone l’assedio alla città di Betulia, nei pressi di Gerusalemme. L’assedio prosegue a lungo e di pari passo aumentano i timori delle conseguenze a carico degli abitanti quando il nemico riuscirà nell’intento; a questo punto si fa avanti la bella e pia vedova Giuditta che, recatasi nell’accampamento assiro fingendosi una traditrice del suo popolo, irretisce Oloferne, e, dopo averlo fatto ubriacare, con l’aiuto della serva Abra lo decapita nel sonno. Il nemico, privato del suo comandante, fugge in preda al panico. E torniamo ai tre dipinti da cui abbiamo preso le mosse: il n.ro 3 è di Michelangelo Merisi (o se preferite Caravaggio), mentre i primi due sono stati dipinti dalla stessa persona che ha dipinto anche questi che seguono e che, guarda caso, ancora una volta rappresentano “Giuditta e Oloferne”:

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...in entrambi i casi, però, la decapitazione è già avvenuta e Giuditta e la serva Abra stanno portando via la testa di Oloferne... ...quasi un'ossessione, insomma... ci sarà un motivo? ...e, secondo voi, c'è differenza tra il dipinto di Caravaggio e gli altri due? ...aldilà dei dipinti in se, vi garantisco che la storia che c'è dietro è davvero interessante e spazia dalla storia dell'arte alla gestione della giustizia nel '600. Bene, proviamo ad “entrare” nei quadri (e per il momento prendiamo quello di Caravaggio ed uno dei due di Artemisia che sono pressoché identici).

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Giuditta e la fantesca (1613-14), Firenze Palazzo Pitti.

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Giuditta con la serva e la Testa di Oloferne (1625), Detroit Institute of Arts. C:\Users\giuseppe.esposito\Documents\C_Word\CoseMie\11. Arte\Artemisia\Documenti\2016_GiudittaOloferne.doc

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Caravaggio…

…e Artemisia

Già a primo impatto, ben diverse appaiono le due rappresentazioni ed, in particolare, colpisce la maggiore crudezza del dipinto di Artemisia. Ed ancor più chiara è la differenza se si osservano dei particolari, ad esempio Oloferne:

…in Caravaggio

...e lo stesso volto in Artemisia

Ma la stessa Giuditta non è da meno:

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Artemisia Gentileschi

…in Caravaggio

...e lo stesso volto in Artemisia

...guardiamo ora la posizione dei personaggi nei due quadri: in Caravaggio: Giuditta e la serva Abra sono quasi distaccate ed il viso di Giuditta è quasi disgustato da quello che sta facendo... Oloferne, dal canto suo, sembra quasi ben disposto a farsi tagliare la testa... la vecchia Abra, infine, sembra più una massaia che aspetta che il macellaio le abbia tagliato una bistecca che non la complice di un efferato omicidio. Inoltre, tagliare la testa di un uomo (muscoloso per di più) non deve essere lavoro semplice, eppure Giuditta sembra farlo senza sforzo. In sostanza a me sembra, e lo ripeto, che le due donne siano totalmente distaccate ed il sangue che sprizza dal collo reciso è quasi una rappresentazione vignettistica e direi addirittura infantile. Ma poiché sappiamo che Caravaggio sapeva dipingere altro che questo, c'è da ritenere che tale effetto sia voluto! ...ora Artemisia: c'è lotta.... Abra è sul letto, in ginocchio probabilmente, e lotta per tenere fermo Oloferne che, a sua volta, lotta forsennatamente per la sua vita... qui il Generale è umano; per quanto ubriaco si difende, tenta di divincolarsi... c'è il movimento che non c'è nel quadro, pur splendido, di Caravaggio. E Giuditta? con la sinistra stringe i capelli dell'uomo mentre con la destra lo ferisce... le braccia sono forti, muscolose, tese nello sforzo...non sono più le braccette eleganti e ben tornite della Giuditta di Caravaggio, ma braccia e mani forti, o rese tali dall'odio verso il nemico. Lo stesso volto di Giuditta non è disgustato come quello caravaggesco ma fermo, deciso, quasi freddo mentre esegue la sua vendetta... Il sangue, questa volta, non è “vignettistico”, ma sangue VERO, che sprizza dalla giugulare ed intride il lenzuolo di raso e sporca l'abito di Giuditta ed addirittura il suo décolleté come ben visibile nel dipinto degli Uffizi.

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È giunto però il momento di fare un passo indietro. Chi era Artemisia Gentileschi? Artemisia8, è figlia di un altro famoso pittore del medesimo periodo, Orazio Gentileschi9 (amico del Caravaggio con il quale verrà peraltro processato per l’irriverente sonetto su Giovanni Baglione 1573 ca. – 1643) e allieva di Agostino Tassi10. Ed è proprio il volto di quest'ultimo che sarebbe rappresentato, guarda caso, nel volto di Oloferne. Una interpretazione in chiave psicoanalitica? Forse, ma non è quello che farà proprio il Caravaggio con il suo autoritratto nel capo reciso del suo “Davide con la testa di Golia”? Ma già in un altro dipinto Artemisia aveva inserito il volto del Tassi, ed anche in questo caso con una particolare e non proprio encomiastica accezione:

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Il dipinto degli Uffizi in cui sono evidenziate la macchie di sangue sul decolletè.

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Roma 1593 – Napoli 1653.

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Pisa 1563 – Londra 1639.

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Agostino Buonamici, entrato a servizio del Marchese Tassi ne prese il cognome, Ponzano Romano 1578 ca. – Roma 1644 C:\Users\giuseppe.esposito\Documents\C_Word\CoseMie\11. Arte\Artemisia\Documenti\2016_GiudittaOloferne.doc

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Si tratta della “Susanna e i vecchioni”11 e, narra il racconto biblico, che mentre si stava bagnando, Susanna venne sorpresa da due vecchi che frequentavano la casa del marito e che la ricattarono: se non avesse accettato di sottostare alla loro libidine, i due l’avrebbero accusata di adulterio con un giovane amante. In questo caso il volto di Agostino Tassi sarebbe quello del “vecchio” di sinistra. Perchè? Secondo gli atti del processo intentato da Orazio nei confronti di Agostino perchè questi avrebbe violentato Artemisia, complice una tal Tuzia. È interessante notare che procedimento durante, ma poi ritorneremo su questo argomento, per dimostrare l'accusa sarà proprio Artemisia ad essere torturata! In effetti, che il volto della Giuditta di Artemisia sia molto simile ad un suo autoritratto (qui accanto) è stato ufficialmente riscontrato; quanto a Tuzia, la re-incontreremo quando parleremo degli atti del processo ad Agostino Tassi e sarà da decifrare se poi, effettivamente, stupro ci fu o se Orazio (e di questo Artemisia mai lo perdonerà tanto che per un periodo firmerà le sue opere come “Artemisia Lomi”-il vero cognome di famiglia- e non “Gentileschi”) non abbia preso la palla al balzo ed usato la relazione tra la figlia ed il pittore per togliersi qualche sassolino dalle scarpe e tentare il recupero di alcuni quadri sottratti. Certo Tassi non era uno stinco di santo (peraltro era già sposato), ma all'epoca, la potestà genitoriale era totale ed al padre spettava promuovere l'azione legale nei confronti del presunto stupratore della figlia. 11

1610, Pommersfelden Schloss Weissenstein, collezione Graf von Schönborn. Considerato il primo dipinto di Artemisia venne dal padre presentato proprio per dimostrare le capacità artistiche della figlia. C:\Users\giuseppe.esposito\Documents\C_Word\CoseMie\11. Arte\Artemisia\Documenti\2016_GiudittaOloferne.doc

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"Beatissimo Padre…”, scrive Orazio Gentileschi a Papa Paolo V12 perchè istruisca il processo a Tassi “…Horatio Gentileschi Pittore, umilissimo servo della Santità Vostra, con ogni reverentia, Le narra come per mezzo e a persuasione di Donna Tutia sua piggionante, una figliola dell'oratore è stata forzatamente sverginata e carnalmente conosciuta più e più volte da Agostino Tassi pittore et intrinseco amico et compagno dell’oratore... intendendo oltre allo sverginamento...con sua chimera habbia cavato dalle mane della medesima zitella alcuni quadri di pittura di suo padre et ispecie una Iuditta di capace grandezza..." E dal tono di questa supplica non è ben chiaro se stesse più a cuore ad Orazio il presunto stupro della figlia, piuttosto che la sottrazione dei quadri… Ma torniamo al volto della “Giuditta” di Artemisia dacché se è vero che questo è somigliante a quello della pittrice è altrettanto vero che stranamente somigliante ad Agostino Tassi è il volto di Oloferne. Il volto della Giuditta di Artemisia, come scrivevo più sopra, non è disgustato come quello caravaggesco ma fermo, deciso, quasi freddo mentre esegue la sua vendetta... Qui Giuditta sta uccidendo Oloferne... qui Artemisia sta uccidendo un uomo, forse Agostino Tassi... in Caravaggio, invece, il “simbolo Giuditta”, eroina pura che si sacrifica per il suo popolo, sta eliminando il “simbolo Oloferne”, nemico del popolo eletto. ...a ben guardare, inoltre, è possibile notare che il viso della Giuditta di Artemisia, il suo stesso corpo, pur avvolto dai larghi abiti, è stranamente sensuale, ma anche il decolleté, così in primo piano, sembra voler focalizzare l'attenzione dell'osservatore sul simbolo stesso della femminilità e chissà che anche questo effetto non fosse voluto da Artemisia... era la donna in quanto palesemente tale che uccideva l'uomo. Il viso della Giuditta di Artemisia, in effetti, non è particolarmente bello, come lo è invece quello caravaggesco, ma io credo che quel seno, così esposto, così florido, così macchiato di sangue (ripeto nell'immagine non si vede, ma nell'originale ci sono un paio di gocce di sangue) volesse proprio sottrarre gli sguardi dal viso per spingerlo nell'essenza della femminilità dell'eroina. Mi ripeto, in Caravaggio Giuditta (che in ebraico si diceva, guarda un po’, “Giudea”) vince il nemico Assiro e salva il suo popolo. Nel secondo quadro, il fatto storico diventa solo una scusa per consentire a Giuditta/Artemisia di uccidere il suo violentatore Oloferne/Agostino o, se preferite, il maschio prevaricatore (cosa che si ripete anche in altre opere della pittrice). In quanto alla sensualità della morte, credo che siano stati scritti fior di saggi e di romanzi sull'argomento... la morte attrae... qualcuno dice che si guarda una corsa di Formula 1 non tanto per vedere chi vince...ma chi muore! E forse i giochi gladiatorii, pur nella loro crudeltà, non erano un inno alla sensualità della morte? Le matrone non si “intrattenevano” forse con i morituri prima dei combattimenti proprio perché l'eccitazione era alle stelle da parte di entrambi gli amanti? ...se siete arrivati sin qui a leggere, forse può significare che l’argomento è di vostro interesse e passerei ora a scrivere del processo cui Tassi venne sottoposto poiché è sintomatico anche di come venisse amministrata la giustizia (in questo caso nello Stato Pontificio) nel '600. Artemisia, stante l’atto d’accusa del padre Orazio, viene così sottoposta a visita ginecologica a cura di due levatrici, Diambra e Caterina, e quest’ultima dichiarerà: “…trovo che lei è sverginata perché il velo e panno verginale è rotto, e questo è stato da un tempo in qua e non di fresco”.

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Paolo V, al secolo Camillo Borghese, Roma 1552/Papa dal 1605 – 1621. C:\Users\giuseppe.esposito\Documents\C_Word\CoseMie\11. Arte\Artemisia\Documenti\2016_GiudittaOloferne.doc

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Ne deriva l’arresto di Tassi, che viene condotto alle Carceri di Corte Savella, e l’inizio dell’istruttoria processuale. “Die 26 mensis Martii 1612” inizia l'interrogatorio di Agostino Tassi; le domande sono in latino, le risposte in “volgare” (non allarmatevi, non ho intenzione di scrivere tutto): ... “Interrogatus a quo tempore citra reponatur carceribus, in quo loco fui captus et an sciat seu valeat excogitare causam suae capturae...” fermiamoci subito: il giudice chiede all'imputato da quanto tempo sia stato arrestato, dove e se sappia il motivo del suo arresto. Vi rendete conto? L'imputato NON sapeva perchè veniva processato! “Io mi trovo priggione da venardì feci otto giorni in qua che fui preso nella strada della Lungara su le 22 hore incirca e fui preso solo e non so né mi posso imaginare la causa per la quale sia stato preso e che Vossignoria mi voglia essaminare” ...insomma, sono già più di otto giorni che sta in galera e non sa neanche perchè... ma Agostino non è certo uno stinco di santo se più avanti, quando gli viene chiesto se è stato arrestato altre volte e perchè, risponde: “io sono stato priggione da doi o tre volte che una volta fui priggioniero in Borgo sotto pretesto ch'io avessi avuto che trattare carnalmente con una mia cognata chiamata Costanza13...poi fui cacciato di ordine di Nostro Signore, assoluto... son stato anco inquisito e processato in Livorno per haver dato a uno (ndr: verosimilmente per lesioni) e fui assoluto...” ...per inciso, la moglie di Agostino sarebbe stata uccisa a Lucca da sicari che si suppone mandati dal marito che, a proposito della consorte, dice: “...io stavo a Lucca con detta mia moglie14 et ella inavvertitamente (ndr: bellissimo l'inavvertitamente) mi fece un robbamento di sette o otto cento scudi di denari, robbe ori et argenti e se ne fuggì via et io la lassai andare alle forche (ndr: al diavolo) ...” Ma proseguiamo nell'esame del processo a carico di Agostino Tassi, pittore, per la presunta violenza carnale ai danni di Artemisia Gentileschi, pittrice. Il 26 marzo 1612, come abbiamo sopra visto, Agostino dichiara di essere stato arrestato almeno 8 giorni prima, ovvero il 18 marzo. Al momento del primo interrogatorio non sa ancora quale sia l'accusa a suo carico. Tuttavia, anche se ancora dice di non sapere quale sia l’accusa, in realtà un altro testimone dichiara: “La sera innanzi che Agostino fusse preso preggione venne con Cosmo da Tutia e tutti e tre insieme s’accordorno et istruirno di quello che dovevano dire se fussero stati presi”. Gli interrogatori si susseguono e Tassi cerca in tutti i modi di allontanare da se ogni accusa tirando in ballo la presunta “facilità di costumi” di Artemisia tanto che Tuzia, la pigionante di Orazio, sarebbe da questi stata accolta proprio per controllare la figlia “sfrenata” e che conduceva “…cattiva vita, e perciò lui era disperatissimo…” Ma durante uno degli interrogatori di Tuzia, che sulle prime cerca di dar man forte a Tassi, si apprende che: “…non si poteva dare un passo in compagnia di Artimitia che Agostino sempre non li fosse appresso…” e che, avendo sorpreso più volte Artemisia a letto con il pittore, lo aveva

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I rapporti tra cognati venivano trattati alla stregua dell’incesto.

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Maria Cannodoli. C:\Users\giuseppe.esposito\Documents\C_Word\CoseMie\11. Arte\Artemisia\Documenti\2016_GiudittaOloferne.doc

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invitato a desistere ottenendo, per tutta risposta, che “…ciò faceva perché gli aveva promesso di pigliarla in moglie”. Fermo restando che dagli interrogatori successivi, e dalla stessa dichiarazione testimoniale sopra vista, Agostino sapeva bene di cosa veniva accusato, sotto un profilo prettamente di garantismo giudiziario, sapete quando finalmente gli viene mossa formalmente l'accusa? L’ 11 maggio 1612, ovvero quasi due mesi dopo durante i quali è stato sempre detenuto nelle carceri di Corte Savella prima, e Tor di Nona poi. "Die 11 Maii 1612 ...interrogatus et in specie an ipse consitutus rem carnalem unquam habuerit cum Artimitia filia Horatii Gentileschi, respondit: Io non ho che dir'altro et io non ho havuto che trattare carnalmente con questa Artimitia et non posso dir altro" ...ovviamente Agostino nega ed allora il Giudice dispone un confronto con Artemisia che si svolge il 14 maggio 1612: “…come ho detto mi fidavo di lui, et non haveria mai creduto havesse ardito d'usarmi violenza et far torto et a me et alla amicitia che ha con detto mio Padre, et non mi accorsi se non quando ... mi si mise attorno per violentarmi…”. Alla domanda sul perché non avesse denunciato prima l’avvenuto stupro del settembre 1611, Artemisia si giustificherà ammettendo la promessa di matrimonio del Tassi, e di aver raccontato al padre dell’accaduto solo dopo aver saputo che l’amante era già sposato e che le promesse erano, perciò, mendaci. Nel corso di questo confronto, il Giudice chiede inoltre ad Artemisia se sia disposta a confermare l'accusa anche sotto tortura... attenzione non è lei l'imputata, ma è lei che verrà torturata, alla presenza di Agostino, per confermare l'accusa... è Artemisia che risponde: “Signor si che son pronta anco a confirmare nelli tormenti il mio essamine et dove bisognarà...” ...alla presenza di Agostino, viene perciò chiamato il custode del carcere, che funge anche da boia, il quale: “ mandat...accomodari sibila et iunctis manibus ante pectus et inter singulos digitos sibilii accomodatis de more et secondum usum...“ ...vengono così applicati ad Artemisia i “sibilli” ovvero uno strumento di tortura che prevede lo schiacciamento delle dita della mano (per capire di cosa stiamo parlando, provate a mettere una matita tra un dito e l'altro e poi a fatevi stringere la mano da qualcuno...): “...eodem custode carcerum funicolo corrente dicta sibila comprimente” ...ed Artemisia conferma la sua accusa anche sotto tortura: “E' vero, è vero, è vero…” e il verbalizzante annota ancora: “pluries atque pluries praedicta verba replicando et postea dixit: Questo è l'annello che tu mi dai et queste son le promesse” Al momento dei fatti, Artemisia aveva 17-18 anni e, ad aggravare ancora la tortura, si consideri che era una pittrice e che proprio le mani, perciò, le servivano per dipingere. La stretta dei sibilli viene ripetuta per confermare ancora l'accusa: “E' vero, è vero, è vero tutto quello che ho detto…”

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E, a proposito delle promesse del Tassi, sarà un’altra testimone, tale Porzia Stiattesi15, a dichiarare che il 1° maggio, nelle Carceri di Corte Savella (le visite avvenivano con una certa semplicità), questi avrebbe confermato ad Artemisia: “…Signora Artemitia mia sapete che voi havete da essere mia et non havete da essere d'altri, et sapete ch'io vi ho promesso et quel che vi ho promesso ve lo voglio mantenere. Se io non vi piglio per moglie mi possa entrare tanti diavoli addosso quanti capelli ho in testa, nella barba et per tutta la vita…”. Il processo si concluderà il 27 novembre 1612 con la condanna del Tassi per la deflorazione di Artemisia, per diffamazione nei confronti di Orazio Gentileschi, per falsa testimonianza e corruzione dei testimoni. Condannato a scegliere tra cinque anni di lavori forzati e l’esilio da Roma, Tassi sceglierà il secondo e lascerà la città il giorno dopo la sentenza. Artemisia, dal suo canto, il 29 novembre 1612 –ovvero due giorni dopo la sentenza- convolerà a nozze con il pittore fiorentino Pierantonio Stiattesi (forse parente di Giovan Battista marito di Porzia). Si tratta, come è evidente, di un matrimonio organizzato verosimilmente da Orazio per restituire alla figlia l’onore e la dignità e che comporterà il trasferimento della nuova famiglia a Firenze. Qui Artemisia, lontana dai clamori e dai pettegolezzi romani, venne accettata, prima donna ad ottenere tale prestigio, all’Accademia delle Arti e del Disegno ed instaurò rapporti con la corte medicea nonché con nomi importanti della vita cittadina tra cui Galileo Galilei e Michelangelo Buonarroti “il giovane”, nipote del grande artista. Questi le commissionò, tra l’altro, l’“Allegoria dell’inclinazione”, che fa da copertina a questo breve lavoro, e che pagò più del doppio del normale prezzo (25 fiorini a fronte di 10) a dimostrazione, certo, della stima e della considerazione di cui l’artista godeva nella realtà fiorentina, ma anche per agevolarla data la situazione debitoria del marito. Nel 1621, lasciato il marito Pierantonio Stiattesi anche a causa dei fortissimi debiti da lui contratti, Artemisia torna a Roma con l’unica dei quattro figli sopravvissuta, Prudenzia, e qui, nel 1627, dà alla luce una seconda figlia (non è noto chi ne fosse il genitore). Pur essendo stata encomiasticamente ammessa all’ “Accademia dei Desiosi”16, il suo esser donna la taglia purtroppo fuori completamente dai circuiti più importanti di produzione artistica, come gli affreschi o le molteplici pale d’altare necessarie per l’abbellimento della chiese di Roma, e deve limitarsi ad opere di minor conto nel campo della ritrattistica.

Cattedrale di Pozzuoli, 1636-37, “San Gennaro nell’anfiteatro di Pozzuoli”

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Cattedrale di Pozzuoli, 1636-37, “L’Adorazione dei Magi”

Il cui marito, Giovan Battista Stiattesi, era stato chiamato in causa dal Tassi come presunto amante di Artemisia.

Un suo ritratto inciso per l’occasione, riporta in calce la dicitura: “Pincturae miraculum invidendum facilius quam imitandum”. C:\Users\giuseppe.esposito\Documents\C_Word\CoseMie\11. Arte\Artemisia\Documenti\2016_GiudittaOloferne.doc

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Artemisia Gentileschi

Nel 1630 si trasferisce a Napoli e qui, per la prima volta, dipinge tre tele per una chiesa: la Cattedrale di Pozzuoli ove vengono venerati i “sette martiri puteolani” tra cui Procolo e Gennaro, santo patrono di Napoli. Per tale chiesa realizza il “San Gennaro nell’anfiteatro di Pozzuoli”, “L’Adorazione dei Magi” e i “Santi Procolo e Nicea”. Nel 1638 Artemisia, raggiunge a Londra il padre Orazio (che morirà l’anno seguente nel 1639), ormai pittore alla corte di Carlo I, ma lascerà l’Inghilterra nel 1642 alle prime avvisaglie della Guerra Civile (1642-1651) che porterà Carlo I sul patibolo. Da questo momento, di Artemisia si perdono quasi le tracce; sappiamo che è a Napoli nel 1649 grazie a lettere scambiate con Don Antonio Ruffo di Sicilia, suo mecenate, e conosciamo alcune sue opere di questo periodo, ma l’ultima lettera dell’epistolario reca l’anno 1650. Morirà, a Napoli, nel 1653.

Roma, rev. 2016

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