Assertività russa, ambiguità UE e disimpegno USA

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imperi

N. 3 6 ANNO 12 - 2015 N.

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RIVISTA QUADRIMESTRALE DI GEOPOLITICA E GLOBALIZZAZIONE

ANNO 12 2015

imperi

ISSN 2038-8942

EURODUBBI

Indice

Direttore Eugenio Balsamo Direttore responsabile Luciano Lucarini Rivista quadrimestrale Anno 12 n. 36-2015 Issn 2038-8942

Editoriale 5 Ma la crisi non è quella greca: è l’Europa in debito con se stessa Eugenio Balsamo

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Muore l’Irlanda, muore l’Europa Italo Inglese

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Grecia, il disastro rimandato Alberico Travierso

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“Noi ad Atene facciamo così” Maria Grazia Leo

Viale delle Medaglie d’Oro, 73 00136 Roma Tel. 06/45468600 Fax 06/39738771 Rivista fondata da Aldo Di Lello COMITATO DI REDAZIONE: Luciano Garibaldi, Raffaele Cazzola Hofmann, Andrea Marcigliano, Alberico Travierso, Pietro Romano, Antonio Pannullo, Salvatore Santangelo, Bruno Tiozzo, Giorgio Torchia COMITATO SCIENTIFICO: Franco Cardini, Salvatore Prisco, Daniela Santus, Francesco Crocenzi, Gianfranco De Turris, Federico Eichberg, Domenico Fisichella, Gennaro Malgieri, Adolfo Morganti, Enrico Nistri, Gaetano Rasi, Raoul Romoli Venturi, Antonio Saccà, Fabio Torriero HANNO COLLABORATO A “IMPERI” Carlo Jean, Adolfo Urso, Alfredo Mantica, Nazzareno Mollicone, Luca Galantini, Gerardo Picardo, Luigi Ramponi, Aleksandr Dugin, Paolo Quercia, Luciano Arcella, Michele Guerriero, Francesco Demattè, Giano Accame, Andrea Cucco, Shaykh ‘Abd al-Wahid Pallavicini, Sara Buzzurro, Gianluca Scagnetti, Alessandro Grossato, Federico Guiglia, Giovanni Perez PROGETTO GRAFICO: Francesco Callegher

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Le (troppe) incertezze europee nel ‘mare di casa’

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Osservatorio Globale

Raffaele Cazzola Hofmann

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I “nodi” di Ankara: metamorfosi della geopolitica turca

La “nuova” Spagna tra ripresa e politica “non convenzionale” Alberico Travierso

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Andrea Marcigliano

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Debito estero, orgoglio nazionale: l’Europa sudamericana

Antonio Saccà

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Assertività russa, ambiguità Ue e disimpegno americano Massimo Ciullo

Democrazia, aristocrazia e il nichilismo indifferenziato

Geoscaffale

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Assertività russa, ambiguità Ue e disimpegno americano Le nuove tensioni tra Stati Uniti e Russia, sebbene per nulla paragonabili alla passata contrapposizione, hanno in comune con la vecchia guerra fredda di “giocarsi” sul suolo europeo. Ancora una volta sono soprattutto i confini orientali del Vecchio continente a vivere il confronto Est-Ovest Massimo Ciullo

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el 2009, l’allora segretario di Stato, Hillary Clinton, incontrando a Ginevra il suo omologo russo Sergei Lavrov, gli regalò un grande pulsante rosso con la scritta “reset” in inglese e peregruzka in russo: un gesto simbolico e distensivo a significare la volontà della nuova amministrazione americana, da poco insediatasi alla Casa bianca, di normalizzare i rapporti tra Washington e Mosca, dopo la fine dell’era Bush. Il plenipotenziario russo accettò di buon grado il simpatico presente, evidenziando però l’errore di traduzione (reset in russo si traduce con “perezagruzka”): la scritta stampigliata sul bottone significava “sovraccarico”. LE RELAZIONI TRA RUSSIA, STATI UNITI E EUROPA E con un sovraccarico di tensioni si era concluso il secondo mandato del predecessore di Barack Obama, che aveva rinverdito i fasti della guerra fredda con un confronto duro e serrato con gli eredi dell’ex potenza sovietica. Il programma dello scudo stellare, l’empasse sul trattato Start, l’invasione russa in Georgia a sostegno delle rivendicazioni indipendentiste di osseti e abkhazi, avevano raffreddato i rapporti tra le due sponde dell’Atlantico, facendo tornare in mente scenari pre-1989. Pur di mantenere fede al nuovo corso della sua amministrazione, Barack Obama non ha esitato a buttare a mare il progetto di difesa missilistica (lasciando in serie difficoltà i governi di Polonia e Repubblica Ceca che su quel progetto avevano investito capitali e credibilità politica); ha accettato le condizioni di Mosca per il nuo-

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vo trattato Start, scaduto a dicembre 2009, (d’altro canto era stato da poco insignito con il Nobel per la Pace) firmando a Praga ad aprile 2010 il nuovo accordo ed acconsentì anche ad uno scambio di spie (per una strana concezione di reciprocità, dieci agenti russi per quattro americani). L’alternanza tra George Bush Jr e Barack Obama ha prodotto un mutamento fondamentale dell’atteggiamento statunitense nei confronti della Russia, senza per altro conseguire nessuno degli effetti sperati. Non è così nel caso della coppia Putin-Medvedev che si alterna da circa un decennio al potere in Russia senza soluzione di continuità in fatto di politica estera. Il gioco del falco e della colomba impersonato dai due, soprattutto nei rapporti con gli Usa, non ha mai sostanzialmente messo in discussione le linee-guida di politica internazionale del Cremlino: l’obiettivo dichiarato di entrambi è sempre stato quello di cercare di rinverdire i fasti della gloriosa Unione Sovietica. Sia Putin, sia il suo attuale premier, hanno fortemente resistito a all’“accerchiamento” da parte della Nato, quando l’Alleanza atlantica ha inglobato buona parte dei paesi dell’Europa dell’Est, ex membri del Patto di Varsavia. Alla posizione “morbida” di Medvedev, soprattutto dopo l’elezione di Barack Obama, ha sempre fatto da contraltare l’estrema durezza di Putin, che ha indotto l’inquilino della Casa Bianca a congelare i

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piani del suo predecessore, G. Bush jr., per l’installazione di postazioni radaristiche e missilistiche in Polonia e Repubblica Ceca, il famoso “Scudo Stellare” di reaganiana memoria, considerato una minaccia diretta contro Mosca. AMBIGUITÀ EUROPEE L’intenzione di normalizzare i rapporti con la Russia è sempre stata presente in alcuni leader europei dell’ultimo decennio. Da Jacques Chirac a Romano Prodi, da Silvio Berlusconi a Gerhard Schroeder, c’è stata una specie di gara per ingraziarsi gli ospiti del Cremlino. Vladimir Putin, ripreso lo scranno presidenziale dopo l’ennesima staffetta con il fedelissimo Dmitri Medvedev, è stato ospite fisso in Sardegna nelle ville di Berlusconi. L’ex cancelliere tedesco già dal 2005 era stato cooptato da Gazprom, il colosso russo del gas, e chi ha preso il suo posto, vale a dire Angela Mekel si è guardata bene dal compiere il minimo gesto di disappunto nei confronti di chi aveva dato il suo placet alla riunificazione delle due Germanie. E solo la crisi ucraina ha impedito alla Francia di portare a compimento l’affaire Mistral, le famose portaelicotteri commissionate dalla Russia e pronte a salpare verso qualche porto sul Baltico o sul Mar Nero. Ora Parigi sarà costretta pure a risarcire Mosca con un miliardo e duecento milioni di euro per la mancata consegna.

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La faccia cattiva dell’Unione europea nei rapporti con la Russia è stata appannaggio esclusivo dei suoi ex alleati del Patto di Varsavia. Chi ha conosciuto la materiale presenza dell’Armata rossa non si mai fidata dei suoi eredi. Così, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Estonia, Lituania e Lettonia hanno sempre cercato di mettere in guardia i propri partner Ue sulle reali intenzioni di Mosca, ricevendo spesso in cambio l’accusa di essere “russofobe”. A Varsavia come a Praga, le oscillazioni di Bruxelles su questo tema hanno sempre provocato una certa irritazione. Polacchi, cechi, bulgari, rumeni hanno ancora vivo il ricordo della Cortina di Ferro e della soggezione imposta dall’Unione sovietica. Ciò è fonte di grande preoccupazione, alimentata anche dal nuovo corso della politica di potenza russa. Ed è quasi scontato che quando devono pensare alle strategie di difesa rispetto all’ex alleato, gli occhi si rivolgano verso Washington e non Bruxelles. Una situazione molto gradita alla Casa Bianca, che può continuare a dettare l’agenda della difesa europea senza dover ricorrere neanche allo strumento del “divide et impera”, tanto più divisi di così. La recente annessione della Crimea e il sostegno ai separatisti delle regioni orientali dell’Ucraina hanno dato ragione a chi sostie-

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ne che la sindrome di accerchiamento di cui soffre Mosca è una foglia di fico per ridisegnare i vecchi confini dell’ex Unione sovietica. Il nuovo presidente polacco Andrzej Duda nei suoi primi interventi da capo dello Stato ha sottolineato l’urgente necessità di una maggiore presenza della Nato sul territorio e la prima visita ufficiale l’ha compiuta in Estonia, Paese con cui condivide i timori per la nuova aggressività russa. Con un certo ritardo, alcuni analisti hanno iniziato a prendere sul serio gli ammonimenti provenienti dai leader dell’Europa orientale e hanno cominciato a riconsiderare la Russia come una minaccia alla sicurezza dello spazio europeo. NESSUNA “NORMALIZZAZIONE” Alcuni importanti messaggi che i tre attori internazionali si sono scambiati negli ultimi mesi, hanno lasciato intendere che diversi punti di frizione persistono e rischiano di produrre nuove escalation. Partiamo dal documento del Pentagono sulla Strategia militare nazionale per il 2015, firmato dal generale Martin Dempsey, che presiede il Joint Chiefs of Staff. Stiamo parlando dunque, delle nuove linee-guida per la politica militare statunitense dopo quelle adottate quattro anni fa con un documento simile. Ebbene, nel 2011, le teste d’uovo del Pentagono avevano riservato una piccola menzione alla Russia, focalizzando la loro attenzione sul disimpegno statunitense dai teatri afgano e irakeno. A quattro anni di distanza, gli eredi dell’ex-Unione Sovietica tornano a far paura e compaiono accanto a minacce come l’Isis, la Cina e la Corea del Nord. A far cambiare opinione ai generali del Pentagono sono bastate le “intrusioni” di Mosca (qualcuno ha parlato di velleità neoimperialistiche del Cremlino) in tutte le situazioni “calde” ai confini dell’ex impero sovietico: il massiccio sostegno agli insorti filorussi del Donbass nel teatro ucraino; la creazione di governi fantoccio nelle auto-proclamate repubbliche di Abkhazia e Ossezia del Nord in Georgia; l’aggressività nei confronti delle Repubbliche Baltiche e

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gli sconfinamenti aerei e sottomarini nel quadrante scandinavo. Naturalmente, il nuovo atteggiamento statunitense ha avuto le sue le prime ripercussioni in ambito Nato, partendo proprio dall’estremo nord. La Norvegia infatti, ha deciso di portare al due per cento del prodotto interno lordo il suo investimento nel sistema di difesa missilistico dell’Alleanza atlantica. I rapporti tra Mosca e Oslo, hanno subito un brusco raffreddamento lo scorso anno, all’indomani dell’annessione della Crimea alla Federazione russa. La risposta norvegese si è concretizzata nel congelamento di ogni forma di cooperazione militare con la Russia.

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Il sistema di difesa a cui sta lavorando la Nato è cominciato nel 2012 e coinvolge numerosi paesi e installazioni militari, tra cui nuove batterie anti-missile a terra in Romania e in Polonia. Ne fanno già parte un sistema radar in Turchia e almeno due navi. L’obiettivo finale è un coordinamento tra tutti i sistemi di difesa dai missili balistici del continente e la Nato prevede che il sistema sarà a pieno regime a breve. “OTTOBRE ROSSO” TRA BALTICO E MARE DEL NORD Lo scorso ottobre, la Svezia è stata costretta a lanciare una mas-

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siccia operazione navale di guerra sottomarina (Asw, Anti-Submarine Warfare), per cercare di stanare alcuni sommergibili non identificati che avrebbero violato le sue acque territoriali. Non accadeva dai tempi della guerra fredda e naturalmente i primi sospetti si sono rivolti verso la Russia, anche se da Mosca sono giunte immediate e vigorose smentite sulla presenza di propri mezzi navali russi nelle acque sottoposte a verifica. Il governo di Stoccolma ha cercato di mantenere un profilo basso, sostenendo di aver autorizzato un’operazione di intelligence con lo scopo di monitorare le proprie acque territoriali, ma gli esperti sostengono che l’incursione sottomarina (e si tratta dell’ultima di una lunga serie) ha messo in serie ambasce l’esecutivo svedese preoccupato per la presenza di sommergibili nelle acque prospicienti la capitale. La marina militare scandinava sostiene di avere avuto almeno tre segnalazioni credibili di attività sottomarina straniera per un periodo di 72 ore al largo di Stoccolma; indiscrezioni provenienti dall’intelligence svedese (non confermate da fonti ufficiali) hanno lasciato intuire che sono state intercettate delle comunicazioni d’e-

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mergenza, provenienti da un sottomarino in difficoltà, tra Kaliningrad (l’enclave russa in Lituania, quartier generale della Flotta Russa del Baltico) e l’arcipelago di Stoccolma. Inoltre, nelle stesse ore, una nave mercantile russa, la Ns Concord, è rimasta per alcuni giorni alla fonda, poco fuori dalle acque territoriali svedesi, senza alcuna ragione apparente, elemento che ha messo in ulteriore allerta le autorità svedesi. Che la tensione nel Baltico e nel Mare del Nord stia tornando ai livelli del periodo della Guerra Fredda è, oramai, un dato di fatto. Poche settimane prima degli avvistamenti svedesi, si è conclusa l’operazione “Northern Archer”, un’esercitazione navale congiunta tra Svezia, Danimarca, Polonia e Olanda; tra gli altri obiettivi delle manovre navali, anche la verifica delle risposte in caso di minaccia sottomarina. Secondo l’opinione diffusa tra molti analisti, la presenza di unità sottomarine russe nell’area, si giustificherebbe con la volontà della marina di Mosca di spiare le manovre tra svedesi e membri della Nato e le reali capacità delle forze navali in campo. L’incidente del sottomarino “fantasma” giunge in un momento par-

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ticolarmente delicato per il governo di minoranza di Stoccolma poiché pone al centro dell’attenzione nuovamente i temi della sicurezza e difesa. Nel paese, il dibattito sull’eventuale adesione all’Alleanza atlantica è molto acceso, anche se l’esecutivo svedese ha sempre cercato di minimizzare la partnership con la Nato, enfatizzando invece, il ruolo guida della Svezia all’interno di un sistema regionale di cooperazione per la sicurezza e difesa nell’ambito di una struttura sotto l’egida delle Nazioni Unite. La tradizionale posizione “neutralista” di Stoccolma, molto radicata nell’opinione pubblica, difficilmente potrà spostarsi in maniera repentina verso

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una richiesta di adesione al Patto atlantico in tempi brevi. Anche il pesante ridimensionamento che la flotta militare ha subito nell’ultimo decennio è un indice inequivocabile della tenuta delle lineeguida nelle politiche di difesa dei vari governi svedesi, succedutisi dall’implosione dell’ex impero sovietico a oggi. Un cambiamento radicale di scenario potrebbe essere provocato solo dal comportamento di Mosca, che negli ultimi mesi ha messo in atto una serie di provocazioni per testare la capacità di reazione dei suoi vicini scandinavi. Lo scorso anno, l’azione più clamorosa ha visto nuovamente al centro delle attenzioni particolari della Russia, proprio la capitale svedese: in un’esercitazione aera di cacciabombardieri è stato simulato un attacco su Stoccolma. Un atto gravissimo che ha provocato le vibrate proteste del governo svedese e ha, di fatto, determinato un decisivo riavvicinamento della Svezia verso la Nato. IL VENTRE MOLLE DELL’ALLEANZA Ma non c’è solo la Svezia nel mirino del Cremlino: la nuova aggressività russa si è manifestata verso tutti i paesi dell’area scandinava e baltica. Le intercettazioni di aerei-spia di Mosca sulle Repubbliche baltiche non si contano più. Incursioni simili si sono registrate nello spazio aereo finlandese. Il timore che possano accendersi focolai come quelli scoppiati nel Caucaso e in Ucraina, fomentati da Mosca, non è poi così infondato. Estonia, Lettonia e Lituania sono considerate il “ventre molle” del Patto atlantico nel quadrante nord-orientale. Il ministero della Difesa della Federazione Russa, ha confermato che i battaglioni delle forze missilistiche operanti nel settore occidentale dei confini russi e nell’enclave di Kalinigrad, hanno ricevuto in dotazione e stanno già effettuando lanci di esercitazione con i missili Iskander, i nuovi sistemi d’arma in grado di colpire obiettivi strategici dell’Europa centrorientale. Bersagli ad oltre 400 chilometri di distanza dal loro punto di lancio non dovrebbero avere scampo: il missile ha un accuratezza nominale di 200 metri, ma le ultime versioni in

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possesso dell’esercito russo posseggono una precisione impressionate di soli 10-15 metri di Cep (Circular Error Probability). Inoltre, l’Iskander è posizionato su un veicolo di trasporto e lancio totalmente indipendente, in grado di viaggiare per oltre 1000 chilometri senza rifornimento, protetto dalla minaccia nucleare, batteriologica e chimica. Il veicolo è per di più anfibio ed è indipendente anche per la gestione e il lancio del missile. Questa estrema accuratezza rende gli Iskander in grado di colpire bersagli ad alto valore strategico come postazioni di comando e controllo, postazioni antiaeree, aeroporti, sistemi missilistici strategici come il sistema antimissile americano di prossima installazione in Europa. Ma i missili Iskander posseggono un’altra caratteristica che lo rende unico. La testata del missile, in fase di rientro, dopo essersi separata dal resto del vettore, dispiega delle false testate in grado di confondere i sistemi radar delle difese antimissile. La stessa testata è inoltre dotata di superfici di controllo che permettono di eseguire manovre evasive a oltre 30G. La combinazione delle capacità di manovra e della presenza delle false testate rende i missili Iskander bersagli estremamente difficili per i sistemi antimissile, ecco perché la presenza di queste armi ai confini con l’Europa, incute timore a molti paesi della Nato. Le tre repubbliche baltiche, che hanno conquistato l’indipendenza da Mosca solo nel 1991, restano ad alto rischio sia per la loro ridotta capacità difensiva, sia per la forte presenza di minoranze russofone che Mosca aizza contro gli esecutivi più schiacciati su posizioni filo-occidentali. Per questa ragione, i comandi Nato hanno cercato di intensificare la loro presenza nell’area aumentando il numero delle esercitazioni nel Mar Baltico negli ultimi dodici mesi, lasciando intendere al Cremlino che l’Alleanza è pronta ad intervenire in caso di minacce concrete contro i suoi membri (Repubbliche baltiche, in primis) ed anche contro partner storici come Finlandia e Svezia. A surriscaldare un clima già infuocato, sono arrivate le ammonizioni di Sergei Lavrov su una eventuale adesione alla Nato di Finlan-

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dia e Svezia. Lavrov ha parlato della “russofobia” che allignerebbe negli establishment politici finlandesi e svedesi, assicurando che la Russia non ha alcun atteggiamento aggressivo nei confronti dei suoi vicini baltici e scandinavi. Lo scorso anno, Sergei Markov, uno dei più fidati consiglieri politici del presidente Vladimir Putin, in un’intervista rilasciata ad un giornale svedese, ha detto che “la Finlandia dovrebbe ponderare attentamente un’eventuale adesione alla Nato. L’antisemitismo scatenò la II guerra mondiale; la russofobia potrebbe innescare la III”. Secondo Markov, un’alleanza come quella atlantica, controllata in tutto e per tutto da Washington, non può avere un “ruolo positivo” nelle politiche di difesa europee, e ha rincarato la dose affermando che i membri della Ue sono delle “colonie” Usa. Che il presidente russo e il suo entourage non nutrano più alcun timore reverenziale nei confronti di Usa e Nato è evidente anche dal mutamento di linguaggio operato dall’establishment del Cremlino. Nell’ultima dichiarazione di Putin al consiglio di sicurezza nazionale della Federazione russa, il 3 luglio 2015, il leader russo ha usato il termine, parlando delle altre potenze, di “oppositori geopolitici” (se non “avversari geopolitici”). Finora Putin, almeno nelle occasioni ufficiali, aveva sempre parlato dei “nostri partner occidentali”. Ad accorgersene è stata Danielle Ryan, analista di Politico.com, che ha sottolineato in particolare, una frase del presidente russo:“Non possiamo aspettarci un cambiamento nelle politiche ostili di certi nostri avversari geopolitici nell’immediato futuro”. Sul deterioramento dei rapporti tra Russia e Europa si è discusso anche al Global Security Forum di Bratislava, lo scorso giugno. In uno dei panel più interessanti, c’è stato un dibattito sulle nuove forme di propaganda russa e ha suscitato scalpore l’uscita di un documentario della televisione russa sulla repressione della Primavera di Praga, presentata ancora una volta come il soccorso prestato ad un popolo fratello minacciato da un colpo di stato fascista…

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DISARMO EUROPEO L’ultimo vertice europeo sul tema della difesa comune ha deluso le aspettative dei più. Nella, oramai, consolidata tradizione dell’Unione Europea, quando si tratta di affrontare un capitolo decisivo del percorso d’integrazione, riemergono puntualmente tutti i pregiudizi e tutte le diffidenze campanilistiche, che portano a chiedersi se è ancora valido il progetto della costruzione della casa comune europea. Nonostante la grande enfasi conferita all’incontro tra i capi di Stato e di governo degli allora 27, nessun leader ha brillato per chiarezza di vedute e lungimiranza in un settore cruciale per la stessa sopravvivenza dell’Unione. Ciò che più sorprende sta nel fatto che quasi tutti i decision-maker condividono la necessità ineluttabile di una maggiore integrazione nel campo della Politica comune di sicurezza e difesa (Pcsd); ad eccezione dei britannici, (legati a doppio filo alla special relationship con gli Usa), tutti gli altri leader europei, almeno a parole, concordano sul fatto che un’Europa disarmata è esposta ad enormi rischi sullo scenario geopolitico attuale. Nessuno però, riesce ad andare oltre la semplice petizione di principio. Lo sforzo per arrivare alla dichiarazione finale condivisa da tutti, la dice lunga sul futuro prossimo della Pcsd. Basti pensare alla questione dell’industria militare: il consiglio ha accolto le raccomandazioni della commissione, volte a rilanciare il ruolo dell’Agenzia europea di difesa nell’attuazione delle due direttive del 2009 in materia di difesa. Quando e come ciò avverrà però, non è dato sapere. È chiaro, si tratta di un settore, quello dei prodotti destinati alla difesa, estremamente delicato e nessuno è disposto a condividere a cuor leggero con i partner europei i propri segreti militari. Alla fine, è stata stabilita una sorta di roadmap che porterà all’implementazione di una base comune per l’industria militare europea. Un percorso che prevede un sostegno alla pmi che operano nel settore, investimenti nella cyber-difesa e nello sviluppo di aerei senza pilota e aerei di lunga autonomia ed

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alte quote… in pratica, un libro dei sogni. Dal lancio al consiglio europeo di Colonia del giugno 1999 sono passati circa sedici anni per quello che era considerato, insieme alla politica estera, il “secondo pilastro”, dell’edificio europeo destinato ad ospitare non solo istituzioni economiche, ma anche politiche. In questo lungo lasso temporale, nessuno dei nodi emersi dal secondo dopoguerra ad oggi, è stato sciolto. Primo fra tutti, il rapporto ambiguo tra politica di difesa europea e Alleanza atlantica. Gli europei non hanno ancora deciso di diventare grandi e sembrano ancora ben disposti a ripararsi sotto l’ombrello statunitense, costi quel che costi. Ventuno paesi Ue sono anche membri del club atlantico e sono molti a chiedersi quale sia la necessità di avere una politica di difesa europea quando esistono già le strutture della Nato. In realtà, questa esigenza è stata molto più avvertita un decennio fa, quando soprattutto dalle parti dell’Eliseo, si pensò che fosse giunta l’ora di risolvere il patto con l’altra sponda dell’Atlantico. All’inizio del nuovo millennio, l’Unione europea ha velatamente cullato l’idea di potersi affrancare dalla soggezione Usa e di potersi ritagliare un ruolo anche di potenza militare nel nuovo sistema internazionale multipolare, nato dalle ceneri della guerra fredda. L’asse portante del modello europeo di difesa e sicurezza sarebbe dovuto quello tra Parigi e Berlino. Peccato che francesi e tedeschi abbiano sempre avuto idee divergenti in merito. Posizioni che sono emerse ancora una volta all’ultimo vertice belga e che si possono riassumere nella tendenza francese a vedere la difesa europea proiettata verso l’esterno (un’attitudine che dia spazio all’interventismo transalpino nei principali teatri di crisi), e la propensione tedesca a rimanere ancorati ad un sistema di sicurezza fondamentalmente “interno”. La Francia ha sempre dimostrato un interesse strumentale verso la difesa europea, vista come una possibilità per i membri del club di Bruxelles di coordinare a livello intergovernativo i loro sistemi di difesa, fermo restando il principio intangibile della sovranità nazionale sull’argomento. Un princi-

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pio ribadito recentemente dal presidente François Hollande che, nel licenziare il testo sulle linee-guida in materia di difesa, ha confermato il postulato che la Francia debba intervenire sempre per prima nelle situazioni di conflitto. Una dottrina di cui si è vista la piena applicazione nel caso della crisi libica del 2011, sotto la presidenza di Nikolas Sarkozy, quando i caccia francesi entrarono in azione senza avvertire i partner della coalizione “Odyssey Dawn”. Per Parigi, la Psdc rimane dunque uno strumento al servizio dei singoli membri Ue per rinforzare e collegare le loro capacità d’intervento nei conflitti internazionali nel mondo e solo marginalmente uno strumento per approfondire l’integrazione europea. La Germania invece, riassume la posizione comune anche ad altri paesi, compresa l’Italia, per cui la Psdc deve essere concepita come un’ulteriore possibilità di rafforzamento dei legami europei attraverso l’integrazione delle forze armate, delle forze di polizia e dei sistemi d’intelligence. Solo in misura minore, questo capitolo della politica europeo deve occuparsi della proiezione internazionale della Ue. Massimo Ciullo Direttore di “Eunomia”, rivista di Storia e politica internazionale, già docente di Scienza politica e Relazioni internazionali presso l’Università del Salento Bibliografia Anne Applebaum (2015), “Obama and Europe, Missed Signals, Renewed Commitments”, in Foreign Affairs, September-October 2015 https://www.foreignaffairs.com/articles/europe/obama-and-europe Mike Dorning, “Obama saw to late Putin’s return would undermine reset”, in Bloomberg, 19 february 2015, http://www.bloomberg.com/news/articles/2015-0219/obama-putin Anita Orban, Power, Energy and the New Russian Imperialism, Prager Security

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International, Westport, 2008, p. 121-124 http://www.defensenews.com/story/defense/policy-budget/policy/2015/07/31/russiasays-mistral-compensation-deal-reached—france-afp/30932247/ Carol J. Williams, New Polish President demands better Nato protection from Russia, in Los Angeles Times, http://www.latimes.com/world/europe/la-fg-poland-president-nato-russia-20150806story.html http://www.jcs.mil/Portals/36/Documents/Publications/National_Military_Strategy_201 5.pdf Gerard O’Dwyer, “Norway’s Nato Missile Defense Aid Irks Russia”, june 2015, in Defence News, http://www.defensenews.com/story/defense/policybudget/budget/2015/06/17/norway-missile-defense-budget-nato-russia-high-north-2relations-cooperation/71021708/ Elias Groll, “The Swedish Navy is hunting a Russian Submarine and doesn’t have the tools for it”, in Foreign Policy, October 2014, http://foreignpolicy.com/2014/10/20/the-swedish-navy-is-hunting-a-russiansubmarine-and-doesnt-have-the-tools-for-it/ Jakub Palowsky, “Iskander Missiles To Be Stationed Permanently In The Kaliningrad Area By 2018”, in Defence 24, may 2015, http://www.defence24.com/226796,iskander-missiles-to-be-stationed-permanently-inthe-kaliningrad-area-by-2018 Danielle Ryan, Putin interesting choice words Friday security council meeting, in Russian Insider, may 2015, http://russia-insider.com/en/putins-interesting-choicewords-fridays-security-council-meeting/ri8500 F. Di Camillo-V. Miranda (a cura di), L’Unione Europea e la politica di sicurezza e di difesa comune: elementi, Istituto Affari Internazionali, Documenti IAI, 2012

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