Avvisaglie pregotiche nel \"Marcos de Obregón\" di Vicente Espinel

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BiBlioteca di Studi iSpanici 30

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BiBlioteca di Studi iSpanici a cura di

Giuseppe di Stefano (pisa), coordinatore Giovanni caravaggi (pavia), antonio Gargano (napoli), alessandro Martinengo (pisa), Valentina nider (trento), norbert von prellwitz (roma), Maria Grazia profeti (Firenze), aldo ruffinatto (torino), tommaso Scarano (pisa), emma Scoles (roma) carlos alvar (Ginevra), ignacio arellano (pamplona), aurora egido (Zaragoza), José lara Garrido (Málaga), José Manuel lucía Megías (Madrid, complutense)

Segreteria di redazione: elena carpi (pisa)

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a. candeloro, F. cappelli, G. Fiordaliso r. Gigliucci, S. pezzini, G. poggi l. Selvaggini, e. Ventura

Variazioni sulla picaresca intrecci, sviluppi, prospettive

a cura di Federica cappelli e Giulia poggi

Edizioni ETS

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Pubblicazione realizzata con i fondi del progetto PRIN 2008 “Relazioni intertestuali fra Spagna e Italia: riscritture e traduzioni”, Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica dell’Università di Pisa

© copyright 2013 edizioni etS piazza carrara, 16-19, i-56126 pisa [email protected] www.edizioniets.com Distribuzione Messaggerie libri Spa Sede legale: via G. Verdi 8 - 20090 assago (Mi) Promozione pde proMoZione Srl

via Zago 2/2 - 40128 Bologna iSBn 978-884674557-6

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indice

introduZione [di Giulia Poggi]

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luiSa SelVaGGini dalla letteratura didascalica alla picaresca (con una frangia antropofagica)

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Giulia poGGi tre spigolature zoomorfiche dal Guzmán de Alfarache

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Federica cappelli avvisaglie pregotiche nel Marcos de Obregón di Vicente espinel

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edoardo Ventura la pícara Justina di Barezzo Barezzi

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GioVanna FiordaliSo effetti del kitsch: le diverse facce dell’amore in Varia fortuna del Soldado Píndaro di Gonzalo de céspedes y Meneses

87

antonio candeloro una novella ‘italiana’ ne Las harpías en Madrid di castillo Solórzano

117

roBerto GiGliucci La fanciulla delle truffe: appunti preliminari

145

Sara peZZini l’indio e il viajador: la strana coppia del Lazarillo de ciegos caminantes

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AvvisAglie pregotiche nel Marcos de obregón di vicente espinel FedericA cAppelli Università di pisa

ho già avuto modo di dimostrare, in un recente lavoro1, come il tessuto narrativo del Marcos de obregón (1618) di vicente espinel sia il prodotto di una fitta rete di modelli diversi di scrittura che si alternano, si sovrappongono, si susseguono in un infinito gioco di incastri. in quell’occasione mi sono soffermata esclusivamente sui generi narrativi preponderanti nell’economia dell’intreccio. penso alla matrice picaresca che regola le vicende di Marcos studente e poi soldato, ambientate a salamanca e a siviglia; ai generi avventurosi, di stampo bizantino e moresco, che sottendono l’esperienza algerina del protagonista al servizio del rinnegato; alle descrizioni geografiche, tipiche del diario di viaggio, che suggellano i numerosi spostamenti dello scudiero; alle ripetute incursioni nella novellistica italiana e, infine, al palese debito verso le cronache dal nuovo Mondo, che fanno da corollario all’avventura americana dei coniugi sagredo. Un reticolo narrativo studiatamente fondato su tipologie di narrazione molto diffuse nella spagna del Xvii secolo, capaci di accattivare facilmente un pubblico appassionato, oltre che avvezzo a simili forme di affabulazione. tuttavia, a ben guardare, si scopre che espinel non si accontenta di attingere ai generi più frequentati e, accanto alle digressioni moraleggianti e agli apologhi di animali, inseriti ad hoc in ottemperanza al precetto oraziano del docere et delectare, 1 cfr. F. cAppelli, «oltre la picaresca: frontiera di generi nel Marcos de obregón di vicente espinel», in Frontiere: soglie e interazioni. I linguaggi ispanici nella tradizione e nella contemporaneità, atti del XXVI convegno dell’associazione Ispanisti Italiani (trento, 27-30 ottobre 2010), a cura di A. cassol, d. crivellari, F. gherardi e p. taravacci, trento, Università degli studi di trento (dip.to di lettere e Filosofia), 2013, vol. i, pp. 73-88; si veda anche F. cAppelli, «introduzione» a v. espinel, Vita dello scudiero Marcos de obregón, a cura di ead., pisa, edizioni ets, 2011, pp. 9-34. sull’ibridismo narrativo dell’opera si vedano anche: M. AgUilerA serrAno, géneros, sujeto narrativo y estructura cronotópica del Marcos de obregón, Málaga, Universidad de Málaga, secretariado de publicaciones, 1996; s. schlickers - k. Meyer-MinneMAnn, «vicente espinel, relaciones de la vida del escudero Marcos de obregón (1618)», in La novela picaresca. concepto genérico y evolución del género, k. Meyer-Minneman y s. schlickers (eds.), Madrid-Frankfurt, iberoamericana-vervuert, 2008, pp. 309-329 e A.A. heAthcote, Vicente espinel, Boston, twayne publishers, 1977, spec. capp. 3 e 4. sull’annosa questione della possibile ascrizione del romanzo di espinel al genere della picaresca, si vedano, fra gli altri: g. hAley, Vicente espinel y Marcos de obregón: biografía, autobiografía y novela, «introducción general» a v. espinel, obras completas, Málaga, diputación provincial de Málaga, 1994; J. lArA gArrido - A. rAllo grUss, «poética narrativa y discurso picaresco en la Vida del escudero Marcos de obregón», in estudios sobre Vicente espinel, Málaga, Universidad de Málaga, 1979, pp. 103-129; A. rey hAzAs, deslindes de la novela picaresca, Málaga, Universidad de Málaga, 2003; J. r. stAMM, «Marcos de obregón. la picaresca aburguesada», in La picaresca: orígenes, textos y estructuras. actas del I congreso Internacional sobre la Picaresca, M. criado del val (dir.), Madrid, Fundación Universitaria española, 1979, pp. 509-607.

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FedericA cAppelli

intesse la sua trama anche di fili più sottili, più esili, impercettibili, forse, a un primo sguardo d’insieme, ma ugualmente finalizzati a conquistarsi l’attenzione e a soddisfare il piacere del lettore. vanno appunto in questa direzione alcuni episodi connotati da un certo gusto per il macabro, il soprannaturale, il grottesco e, talvolta, il ripugnante, che sembrano anticipare le tinte lugubri e i tratti terrificanti del romanzo gotico settecentesco. come vedremo, trattasi, in alcuni casi, di vicende isolate incluse in contesti narrativi più ampi e di diversa indole e, in altri, di racconti piuttosto estesi in cui l’atmosfera negra diviene predominante informandone l’intero argomento. detto questo, è bene precisare, onde evitare possibili accuse di anacronismo, che non si tratta di spunti genuinamente gotici, ovvero dettati da una consapevolezza di genere, bensì di suggestioni, di avvisaglie, di sentori di un’estetica del narrare ancora da venire, i cui segnali erano, però, già percepibili nei secoli aurei spagnoli2. d’altronde, come suggerisce lo storico núñez Florencio, «la muerte y lo macabro ocupan un papel importante en la cultura española»3. e questo a dispetto di una tradizione critica, ormai superata, che per molto tempo si è ostinata a negare la presenza, in spagna, di un filone narrativo emulo del modello lanciato in inghilterra da horace Walpole con The castle of otranto (1764)4. A conferma di ciò viene un saggio recente di david r. castillo dal titolo baroque Horrors. roots of the Fantastic in the age of curiosities5, in cui l’autore dimostra molto efficacemente come quello di vicente espinel non sia affatto un caso isolato nel panorama letterario spagnolo del secolo d’oro6. Al contrario, a suo dire è possibile individuarvi un’autentica «gallery of horrors» all’interno della quale spiccano, in particolar modo, la prosa e il teatro, in quanto costellati di motivi, di ambientazioni e di situazioni foriere del cosiddetto «gotico originario», per dirla con david punter7, al punto che «one is struck by 2 non a caso, l’iniziatore della narrativa gotica, horace Walpole, fa risalire il castello di otranto (1764) al Xvi secolo: ricorrendo all’espediente cervantino del manoscritto ritrovato, finge che il suo romanzo sia la traduzione di un’opera stampata a napoli nientemeno che nel 1529, reperita nella biblioteca di un’antica famiglia cattolica dell’inghilterra settentrionale. A proposito del gotico letterario in senso stretto, david punter precisa che «viene più che altro applicato a un gruppo di romanzi scritti fra il 1760 e il 1820» (d. pUnter, storia della letteratura del terrore. Il gotico dal settecento a oggi, roma, editori riuniti, 2006 (ia ed.: 1985), p. 5). 3 r. núñez Florencio, «la muerte y lo macabro en la cultura española», in dendra Médica. revista de Humanidades, 13 (1), 2014, p. 56. 4 sul genere gotico si vedano, fra gli altri, M. ellis, The History of gothic Fiction, edinburgh, edinburgh University press, 2003; r. Miles, gothic Writing. 1750-1820. a genealogy, londonnew york, routledge, 1993; d. pUnter, storia della letteratura del terrore, cit. e M. skey, Il romanzo gotico, roma, theoria, 1985, iia ed. sulla corrente gotica spagnola: n. glendinning, «lo gótico, lo funeral y lo macabro en la cultura española del siglo Xviii», in anales de Literatura española, 10, 1994, pp. 101-115; M. lópez sAntos, La novela gótica en españa (1788-1833), vigo, editorial Academia del hispanismo, 2010. 5 d.r. cAstillo, baroque Horrors. roots of the Fantastic in the age of curiosities, Michigan, the University of Michigan press, 2012 (ia ed. 2010). 6 il saggio di castillo studia una serie di opere comprese in un arco di tempo che va grosso modo dal 1550 al 1680 (baroque Horrors, cit., p. xi). 7 d. pUnter, storia della letteratura del terrore, cit., p. 5.

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the richness of detail with which actions of a prodigious, horrifying and monstruous nature are consistently presented»8. È sufficiente pensare, solo per citare alcuni esempi, ai cruenti e spesso fatali castighi corporei inflitti a donne, talora innocenti, nei violenti drammi d’onore di lope de vega e di calderón de la Barca; alla brutale malvagità, sempre ai danni di personaggi femminili, che caratterizza molte novelas amorosas y ejemplares (1637) di María de zayas y sotomayor; all’uso pedagogico del macabro nel castigo de dos adúlteros (1656) di cristóbal lozano; all’atmosfera pregotica che fa da sfondo alla tragica morte del capitán céspedes in Varia fortuna del soldado Píndaro (1626); ai numerosi aneddoti macabri di matrice folclorica inclusi nelle miscellanee in voga9; al gusto per il sensazionalismo orrido delle innumerevoli relaciones che informano su presunti eventi soprannaturali o nascite di esseri mostruosi10, e così via. e come non ricordare la vanitas pittorica, che con i suoi simboli mortiferi, allusivi al tema della caducità della vita, finisce per contaminare anche la letteratura dei secoli d’oro con un generale senso di desengaño? e, infine, che dire dell’epocale malinconia e della profonda angoscia indotte dalle recenti scoperte geografiche e cosmologiche che, sovvertendo caoticamente una concezione ordinata dell’universo, vanno ad aggravare l’ossessione barocca per la fragilità dell’esistenza umana? insomma, date queste premesse, potremmo leggere il seicento spagnolo come un contesto culturale e letterario propizio, se non alla fioritura, sicuramente alla ricezione del romanzo gotico. e, come vedremo adesso, il Marcos de obregón di espinel contribuisce di buon grado a questa particolare lettura dell’epoca in cui è stato concepito. come già detto, i motivi protogotici sono disseminati, con minore o maggiore intensità ed estensione, un po’ ovunque nel romanzo. Una prima attestazione si palesa già nel quinto descanso de la relación Primera quando il protagonista riferisce ai coniugi sagredo, presso i quali presta servizio come scudiero, una vicenda della propria giovinezza dalle tinte apparentemente soprannaturali, nota come l’episodio della tomba di san ginés11. Questo il caso narrato: nel recarsi, di notte, a consegnare un omaggio gastronomico a una sua amante, Marcos, per evitare di imbattersi nella ronda notturna, si trova costretto a nascondere il cibo in una tomba posta in una piazza del quartiere di san ginés. Quando, uscito indenne dal controllo della 8

d.r. cAstillo, baroque Horrors, cit., p. 78. si vedano, ad esempio, il Jardín de flores curiosas di Antonio de torQUeMAdA (1570) o La silva curiosa (1583) di JUlián de MedrAno che, a detta di castillo, «show a distinctive taste for macabre motifs and situations and a certain stylistic affectation reminiscent of the gothic style» (baroque Horrors, cit., p. 46). 10 cfr. e. del río pArrA, Una era de monstruos. representaciones de lo deforme en el siglo de oro español, Madrid-Frankfurt, iberoamericana-vervuert, 2003. 11 Asunción rallo gruss mette in relazione questo episodio con quello analogo, boccacciano, che ha per protagonista Andreuccio da perugia in decameron ii, 5 («la ficción como novella: Boccaccio en la Vida del escudero Marcos de obregón, in cuadernos de Filología Italiana, vol. extraordinario 6, 2010, p. 77). sul tema della paura infondata si veda: i. colón, «Miedos infundados a lo sobrenatural: la narrativa hispánica de los siglos de oro y valle-inclán ante ii, 5 del decamerón», in cuadernos de filología italiana, cit., pp. 129-143. 9

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ronda, tenta di recuperare il suo fagotto nella «negra tumba»12 in cui lo aveva infilato, non lo ritrova più e cade in preda al terrore, perché sicuro che gli sia stato sottratto da un fantasma o da un demonio. il forte rumore metallico che fuoriesce dalla tomba rafforza la sua convinzione e lo suggestiona al punto da immaginare «mil cadenas, y otras tantas ánimas, padeciendo su purgatorio en aquel mismo lugar»13. la scena, connotata da un forte senso di oppressione e di sgomento indotti dalle sensazioni del protagonista («con un poco de temor», «temblando y helado», «horrible miedo», «turbación y desatiento», «un terror tan horrible»14) e dall’atmosfera sinistra evocata («a más de las once de la noche y con tan gran silencio que parecía que se había acabado el mundo», «dentro de la tumba un gran ruido de hierro»15), proietta il lettore in un contesto lugubre di innegabile suggestione che sembra preannunciare il manifestarsi di un fenomeno di natura soprannaturale. in un forte crescendo di suspense, Marcos arriva, infatti, a credere di essere inseguito da un «ejército de difuntos» e di essere afferrato per la cappa da un «cadáver descarnado»16, che poi, invece, si rivela essere «un clavo del calvario»17 a cui un lembo della sua veste era rimasto impigliato; confortato, decide, pertanto di affrontare il presunto essere sovrumano, demonio o fantasma che sia, pronunciando uno scongiuro a spada sguainata, ma, nel momento del climax, quando, malgrado l’aumentare del rumore metallico, si decide a scoperchiare la tomba, le suggestioni macabre svaniscono d’un tratto e la spiegazione, ironicamente banale, dell’arcano della tomba di san ginés riporta la narrazione nei ranghi del taglio picaresco, con il protagonista a ridere di se stesso per tanto immotivato terrore: […] púseme la espada entre los dientes, y con ambas manos así de la tumba por el agujero de abajo, y en alzándola salió corriendo por entre mis piernas un perrazo negro, con un cencerro atado a la cola, que […] se había recogido a descansar a sagrado; y como después de haber reposado olió la comida, retiróla para sí, y sacó el vientre de mal año. pero con el grande y no pensado ruido que hizo saliendo, fue tanto mi espanto que como él fue huyendo por una parte, yo fuera por otra, sino por un espinillazo que al salir me dio con el cencerro, de que no me pude menear tan presto. pero fue tanta la pasión de risa que después de quitado el dolor me dio que siempre que me acuerdo dello […] no puedo dejar de dar alguna demonstración dello (M, i, 5, 49).

posto a chiusura dell’esperienza di Marcos presso i sagredo, questo primo aneddoto in stile pregotico assume, come di prassi nel romanzo di espinel e in 12 v. espinel, relaciones de la vida del escudero Marcos de obregón, ed. de A. rallo gruss, sevilla, Fundación de José Manuel lara, 2014, p. 48; da ora in avanti tutte le citazioni del romanzo si intendono riferite alla presente edizione e, quando possibile, saranno incluse nel corpo del testo ricorrendo alla sigla M e indicando la relación in numeri romani e il descanso in numeri arabi, seguito dalla pagina. 13 M, i, 5, 48. 14 M, i, 5, 48. 15 M, i, 5, 47-48. 16 M, i, 5, 48. 17 M, i, 5, 48.

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molti usi del macabro nel siglo de oro18, un valore di esemplarità, nel pieno rispetto del monito oraziano di insegnare e divertire a un tempo; la sua funzione è, infatti, quella di dimostrare, come afferma lo stesso protagonista, quanto l’oscurità della notte possa essere ingannatrice e fuorviante, producendo timori inutili e infondati: «vense de noche cosas que se juzgan por malas, no siéndolo; ¡qué de temores y espantos cuentan los que pasean de noche, que vistos de día nos provocarían a risa!» (M, i, 5, 47). Una nuova incursione narrativa ascrivibile a un gusto che può definirsi pregotico si registra nel decimo capitolo della stessa relación Primera. A seguito di una brusca svolta retrospettiva, però, il racconto di Marcos, prima incentrato sul suo presente di anziano scudiero, è adesso imperniato sul resoconto analettico delle sue peripezie di gioventù: aspirante studente all’università di salamanca, il protagonista è vittima di furti e di angherie, come comanda la tradizione picaresca che regola questo segmento narrativo. ed è proprio in seguito a uno dei molti soprusi che gli tocca subire che Marcos torna ad avvalersi di motivi che preludono alla scrittura del terrore, questa volta per descrivere un episodio non più dettato dalla sua immaginazione suggestionata dal buio della notte, bensì vissuto realmente. la vicenda accade, appunto, durante il viaggio dall’Andalusia a salamanca, quando, per uno scherzo del mulattiere che li accompagna, Marcos e altri studenti sono costretti, di notte, a scendere dal carro che li trasporta per proseguire parte del tragitto a piedi, per pascoli e montagne, senza una guida a indicargli dove andare. Marcos ben presto smarrisce i compagni e la strada e, vinto dalla stanchezza, decide di trascorrere la notte dormendo sotto un albero. per ben due volte si desta, però, per togliersi dalla faccia quelle che crede siano formiche, ma la stanchezza è tale e tanta che si lascia nuovamente andare, fino a che non si sveglia una terza volta per effetto di un mesto suono: no mucho después, aunque el sueño no mide el tiempo, desperté a una tristísima y muy cansada voz de un ay que, al parecer, salía de las entrañas de la tierra, que hizo en las mías tal armonía, que por poco me faltara el aliento y la vida; mas teniendo la respiración, así por el temor como por tornar a escuchar con atención la dolorosa voz, sentí otra más cerca de mí que, como había unas matas un poco altas, no veía el instrumento de donde salía (M, i, 10, 83).

si apre così, dunque, la nuova deriva macabra del romanzo di espinel: con il tono lamentoso di una voce sconosciuta che, unito alla consueta ambientazione notturna – un cliché della futura narrativa negra –, è sufficiente a terrorizzare il personaggio, anche stavolta sicuro di trovarsi di fronte a un fantasma. A conferma dei suoi timori, da un lato, l’impossibilità, sulle prime, di individuare l’origine dell’inquietante lamento19 e, dall’altro, il reiterarsi di quest’ultimo in un 18 cfr. d.r. cAstillo, baroque Horrors, cit., spec. cap. ii (p. 77 e ss.): «sins of our Fathers (and spouses): the preternatural in Baroque exemplary tales». 19 il fatto che Marcos, inizialmente, non riesca a comprendere da dove provenga il lamento, ma veda soltanto un alto cespuglio davanti a sé, è interpretato da Asunción rallo gruss come una ripresa del motivo «del árbol que habla», già presente in dante (Inferno, Xiii) e in Ariosto (Furioso, vi, 26-53) (cfr. «la ficción como novella…», cit., p. 78); si veda anche la nota di commento al testo

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crescendo sia di immagini spaventose che sconfinano nella truculenza, sia di termini che rimandano al campo semantico funerario: «¡Ay de mí, más infelice y sola que cuantas padecen cautiverio y servidumbre en las mazmorras de crueles e inclementes moros! ¡Ay de mí, la más desventurada que las que han visto despedazar sus hijos en su presencia! ¡Ay, más sin remedio y consuelo que las ya condenadas por sentencia de riguroso juez! ¡oh sitio maldito, árbol descomulgado, testigo de dos muertes, por quien yo diera mil vidas, si las tuviera! ¿Qué obsequias hará quien desea morir sin ellas, siendo homicida de sí propia? ¿con qué llanto podré entregarme a la rabiosa muerte que tanto huye de mí? ¿cuántos días y noches vengo a ver si puedo acompañar a estos despedazados miembros?» (M, i, 10, 83).

e non basterà il fare del giorno, e il conseguente svelamento del mistero della «dolorosa voz»20, a dissolvere di colpo l’atmosfera pregotica sin qui evocata: anzi, la visione più chiara che offre la luce del sole appena sorto se, da un lato, permette a Marcos di individuare la provenienza del triste monologo, dall’altro, lo illumina sulla situazione agghiacciante in cui si è venuto a trovare. la voce in questione non è, infatti, quella di un essere soprannaturale, bensì di una donna dall’aspetto orribile che rivela a un Marcos sempre più in preda all’angoscia di essere l’unica sopravvissuta di un triangolo amoroso culminato con la morte del marito e dell’amante, il corpo di uno dei quali – o quel che ne resta – è a far bella mostra di sé proprio nel luogo sfortunato in cui il protagonista aveva deciso di fermarsi a riposare la notte prima: «[…] en este mismo lugar adonde estás, mi amante dio la muerte a mi esposo sin consentimiento mío, por gozarme a solas y con libertad, y […] en este mismo árbol, el amante, que me había quedado para consuelo, pagó la culpa de su delito. veslo ahí sobre ti colgado, siendo mantenimiento de aves y animales» (M, i, 10, 83).

ecco dunque che, grazie alle parole di questa «miserable mujer»21, la connotazione protogotica dell’episodio, anziché svanire improvvisamente com’era accaduto nel precedente, si intensifica arricchendosi di tratti ripugnanti e raggelanti, richiamati soprattutto dall’immagine dei vermi (non formiche, dunque, come credeva Marcos) che cadono giù dal corpo in decomposizione dell’uomo impiccato all’albero sotto cui giaceva il protagonista e dall’orrido fetore che questo emana tutto intorno. Ma ad accrescere l’orrore di questa scena spaventosa contribuiscono in buona misura anche gli efficaci ritratti dei due personaggi che la animano – lo stesso Marcos e la vedova –; ritratti, questi, che evidenziano un’inconfondibile affinità con le geniali caricature grottesche ideate dalla mordace penna di Francisco di Quevedo. vediamoli. Quando, durante il suo lamento, la donna si accorge della presenza di Marcos, gli si rivolge direttamente credendolo, a sua volta, un fantasma, un’anima (M, i, 10, 83, 45n) in cui la stessa studiosa osserva che il passo in questione «tiene reminiscencias de un pasaje del orlando Furioso de Ariosto, vi, 26-53: la voz de Astolfo que ruggiero confunde con la de una ninfa y que ha surgido de un mirto sobre el que se ha apoyado». 20 M, i, 10, 83. 21 M, i, 10, 84.

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mandata dall’aldilà a prenderla per unirsi nella morte al suo sposo e al suo amante. e questo perché, come preciserà il protagonista, il terrore, la mancanza di sonno e la fame gli avevano alterato i connotati a tal punto da ridurlo a una orrida controfigura di se stesso: y bien pudo dudar la irrimediable mujer si yo era fantasma o visión horrible de los olvidados sepulcros; porque el temor me había chupado los carrillos, alargado el rostro, y teñido el color de rojo en pajizo, la falta del sueño me tenía hundido los ojos a lo último del colodrillo, la hambre prolongado el pescuezo vara y media, y el cansancio desjarretado piernas y brazos, el ferreruelo tenía hecho turbante sobre la cabeza: miren qué figura para no juzgarme por del otro mundo, y no digo lo demás por mi honra (M, i, 10, 84).

impossibile, date le comuni enfatizzazioni caricaturali, l’affinità nelle similitudini e le analoghe pennellate essenziali, concise, a fissare decisamente i tratti deformati del personaggio, non ricordare il più famoso, oltre che più ingegnoso ed elaborato, ritratto quevediano del Licenciado cabra, incluso nel primo libro del buscón: […] era un clérigo cerbatana, largo sólo en el talle, una cabeza pequeña, los ojos avecindados en el cogote, que parecía que miraba por cuévanos, tan hundidos y escuros que era buen sitio el suyo para tienda de mercaderes; la nariz de cuerpo de santo, comido el pico, entre roma y Francia […]; las barbas descoloridas de miedo de la boca vecina […]; los dientes le faltaban no sé cuántos, y pienso que por holgazanes y vagamundos se los habían desterrado; el gaznate largo como de avestruz, con una nuez tan salida que parecía se iba a buscar de comer forzada de la necesidad; los brazos secos; las manos como un manojo de sarmientos cada una […]22.

Ma è forse nella descrizione delle terribili sembianze della donna23 che la vicinanza con Quevedo si rivela con maggiore forza, grazie anche all’impiego di quelle similitudini animalizzanti che caratterizzano molti degli impietosi ritratti femminili disseminati nell’opera dell’autore dei sueños24; è il protagonista a parlare: 22 F. de QUevedo, Historia de la vida del buscón, llamado don Pablos, ejemplo de vagamundos y espejo de tacaños, ed. de p. Jauralde pou, in obras completas en prosa, volumen ii, tomo ii, dir. de A. rey, Madrid, castalia, 2007, pp. 557-558. sebbene il buscón sia stato pubblicato per la prima volta nel 1626 – dopo, quindi, l’uscita del Marcos de obregón, avvenuta nel 1618 – la critica concorda nel farlo risalire agli anni giovanili dell’autore, ciò che confermerebbe l’ipotesi di una sua circolazione manoscritta previa e la conseguente possibilità che espinel lo avesse conosciuto e ne avesse tratto ispirazione per i ritratti che qui commentiamo. 23 «[...] el hórrido espectáculo de la desesperada mujer», la definisce Marcos (M, i, 10, 83). 24 più avanti, nel testo, si ritrovano due analoghi ritratti femminili in puro stile quevediano: il primo, tre capitoli dopo, riguarda una ventera che Marcos, in viaggio da salamanca verso ronda, tenta di corrompere affinché gli consenta di trascorrere la notte nella sua locanda: «lleguéme a la ventera, que era una mujer coja y mal tallada; tenía las narices tan romas, que si se reía quedaba sin ellas; los ojos parecían de capirote de disciplinante; echaba un tufo de ajos y vino, por unos dientes entresacados y pardos, bastantes a ahuyentar todas las víboras de sierra Morena; las manos parecían manojos de patatas; solo tenía que notar la limpieza, que parecía haber salido del naufragio de los condes de carrión» (M, i, 13, 218-219); il secondo è inserito nell’episodio del cautiverio ad Algeri e concerne una vecchia prigioniera invidiosa della benevolenza che i padroni dimostrano verso il protagonista: «[…] se entró el diablo en el corazón de una vieja cautiva de muchos años, entresacada

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no acertaba a quitarme de aquella más que horrible mujer de ojos encarnizados y hundidos, nariz prolongada, rostro arrugado y hambriento, dientes amarillos, labios negros, barba aguzada, el cuello que parecía lengua de vaca; torcíase las manos que parecían manojos de culebras, y todo los demás a esta traza (M, i, 10, 194).

Anche in questo caso, appare doveroso, considerato l’analogo meccanismo di deformazione grottesca del soggetto, riportare l’esempio di Quevedo e, precisamente, la ripugnante caricatura della celebre dueña Quintañona del sueño de la muerte, che la disperata donna incontrata da Marcos sembra prefigurare, sebbene in forma più ridotta: con su báculo venía una vieja o espantajo, diciendo: – ¿Quién está allá a las sepulturas? – con una cara hecha de un orejón; los ojos en dos cuévanos de vindimiar; la frente con tantas rayas y de tal color y hechura, que parecía planta de pie; la nariz en conversación con la barbilla, que casi juntándose hacían garra, y una cara de la impresión del grifo; la boca a la sombra de la nariz, de hechura de lamprea, sin diente ni muela […] y apuntándole ya el bozo de las calaveras en un mostacho erizado; la cabeza con temblor de sonajas y la habla danzante; unas tocas muy largas sobre el monjil negro […]; con un rosario muy largo colgando, y ella corva, que parecía con las muertecillas que colgaban dél que venía pescando calaverillas chicas25.

tornando a espinel, il ritratto dell’inconsolabile vedova fedifraga, un surrogato del processo di deformazione esperpentica estrema a cui Quevedo sottopone i suoi personaggi, suggella questa seconda parentesi pregotica che, come l’anteriore, è ricondotta dall’autore a un ambito didattico-morale, diretto, stavolta, a condannare la solitudine. sulla scorta della spaventosa disavventura ‘in solitario’ appena vissuta, Marcos si scaglia, infatti, in una violenta invettiva contro l’abitudine di molti di viaggiare da soli; abitudine, a suo giudizio, pessima, in quanto possibile fonte di timori, suggestioni, guai, sconforto e morte: […] ¿qué temores no trae? ¿qué imaginaciones no engendra? ¿qué males no causa? ¿qué desesperaciones no ofrece? los que tienen aborrecida la vida, buscan la soledad para acabarla de presto; quien huye la compañía, no quiere ser aconsejado en su mal26.

Ma se è vero che la lettura morale è caratteristica comune ai due episodi sin qui descritti, è altresì vero, come già accennato, che il secondo non è, come il primo, frutto della suggestione e dell’immaginazione del protagonista: piuttode dientes, de mala catadura, grande boca, labio caído a manera de oveja, muelas pocas o ningunas, lagrimales llenos de alhorre, contrecha de cuerpo y tan mal acondicionada que se andaba siempre quejando de los amos, diciendo que la mataban de hambre […]» (M, ii, 10, 77). sulla satira antifemminile in Quevedo, si veda il classico: A. MAs, La caricature de la femme, du mariage et de l’amour dans l’oeuvre de Quevedo, paris, hispano-Americanas, 1957; sull’assimilazione donne-animali nella poesia satirica di Quevedo, cfr. F. cAppelli, «donne e animali: per un bestiario femminile nella poesia di Quevedo», in «Però convien ch’io canti per disdegno». La satira in versi tra Italia e spagna dal Medioevo al seicento, a cura di A. gargano, napoli, liguori, 2011, pp. 275-299. 25 F. de QUevedo, sueños y discursos de verdades soñadas, descubridoras de abusos, vicios y engaños en todos los oficios y estados del mundo, ed. de i. Arellano, in id., obras completas en prosa, volumen ii, tomo i, dir. de A. rey, Madrid, castalia, 2003, pp. 439-440. 26 M, i, 10, 84.

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sto, ci è presentato come una vicenda veramente vissuta dal personaggio, ma talmente inverosimile nella sua spaventevolezza da indurlo a non farne parola con i suoi compagni di viaggio – una volta che si ricongiungerà ad essi – per timore di essere schernito. Al tema della solitudine si riallaccia, seppur indirettamente, una nuova breve parentesi da narrativa dell’orrore, posta sul finire della prima parte del romanzo, in conclusione del capitolo ventitré. il breve aneddoto suggella una vicenda dalle tinte piuttosto comiche che vede come protagonista, non più Marcos, bensì un uomo di bassissima statura a cui viene fatto credere che, in occasione del passaggio di una cometa e grazie a una ferrea dieta e a una serie di assurdi rituali, potrà vedersi miracolosamente cresciuto. convinto dagli artefici della burla di aver ‘guadagnato’ qualche centimetro e disposto a tutto, persino a «bajar al infierno»27, pur di raggiungere il suo obiettivo, l’inconsapevole ometto accetta l’ennesima improbabile condizione: […] aquella noche le mandaron que entre las once y las doce de la noche entrase en cierto aposento por un callejón muy estrecho, que estaba debajo de unas casas lóbregas y escuras, solo y sin luz, y que allí le dirían lo que había de hacer. Él se turbó todo con la dificultad que le pusieron, pero al fin dijo, con todo el miedo posible: «sí haré, sí haré» (M, i, 23, 162).

Bastano dunque pochi tratti a espinel per mutare il registro narrativo del suo romanzo che, di nuovo, si immerge nelle lugubri atmosfere pregotiche, condite dalla consueta ambientazione notturna, dall’illusione della presenza ultraterrena, dalla solitudine e dal turbamento del protagonista, descritto, come da manuale, con i capelli dritti in testa e le membra paralizzate per lo spavento: Fuese a la noche entrando por su callejón, espeluzado el cabello, cortado de brazos y piernas, sin oír perro ni gato que le pudiese hacer compañía, y en llegando al aposento, salieron por las cuatro esquinas debajo la cama cuatro carátulas de demonios, con cuatro candelillas en la boca, que con el temor que había concebido, se le representó el infierno todo […] (M, i, 23, 162).

solo che questa volta non ci sarà una banale rivelazione ad aprire gli occhi alla vittima e a farla sorridere di se stessa per un panico immotivato: quel suo iniziale turbamento sarà destinato a sfociare in una paura talmente incontenibile da indurre l’autore a cercare un finale scatologico per l’episodio del «hombrecico pequeño»28; finale che trova di certo una giustificazione alla luce della matrice umoristica che lo aveva sinora regolato: «[…] y sin saber de sí ni poder moverse de donde estaba, cayó en el suelo, dándole tan gran corrupción, que no se le pareció haber tenido dieta» (M, i, 23, 314). Malgrado l’inedito epilogo, più incentrato dunque sull’effetto repulsivo come «potenciador» – per dirla con rallo gruss29 – dell’impatto sul lettore, non manca, 27 28 29

M, i, 23, 162. M, i, 23, 158. cfr. «la ficción como novella…», cit., p. 75.

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anche in questo caso la valenza didattica dell’episodio: non sarà, però, il Marcos narratore ad esprimerla in una delle consuete parentesi moraleggianti, bensì il Marcos personaggio che, mosso da un forte senso di giustizia e di protezione verso i più deboli, rivolgerà personalmente una paternale ai beffatori della vittima. più sbilanciata sul versante del soprannaturale appare, invece, una divagazione narrativa posta in apertura della relación segunda, che Marcos riferisce al suo interlocutore privilegiato: l’eremita presso cui si è rifugiato per scampare a un temporale e al quale sta narrando la storia della propria esistenza. All’origine del racconto, questa volta, l’intenzione di sfatare la falsa credenza che i morti si presentino ai vivi in sogno, salvo casi eccezionali, come quello che qui si narra, per i quali «da dios licencia»30. come riferisce Asunción rallo gruss nell’edizione al romanzo di espinel31, nella spagna dell’epoca l’episodio in questione, accaduto a don pedro dávila, marchese di las navas, oltre che molto noto, era considerato veridico e attendibile, soprattutto in virtù dell’alta reputazione e dignità del suo protagonista. teatro della scena che funge da prologo a questa nuova deviazione che anticipa il gotico narrativo è, ancora una volta, un paesaggio in notturna, per la precisione un buio vicolo del quartiere madrileno di lavapiés, in cui il marchese, durante una passeggiata in compagnia dell’amico don Felipe de córdoba, intende appartarsi per «cierta necesidad natural»32. Qui, però, trova due loschi individui a sbarrargli l’accesso, ma il nobile cavaliere, impavido e forte della sua urgenza, ignora il loro veto e li oltrepassa, dando così involontariamente inizio a uno scontro a suon di stoccate, non privo di note truculente, da cui i due suoi avversari escono, uno morto e l’altro in fin di vita: Arrojόle uno dellos una estocada, y el marqués otra al propio; cada uno pensó que dejaba muerto al otro. con el mismo movimiento que le sacó el marqués la espada, que tenía la guarnición en el pecho, le dio al otro una cuchillada, con que le abrió la cabeza. Quedáronse los dos que no pudieron moverse: el de la estocada muerto, aunque en pie, y el de la herida fuera de sí (M, ii, s.n., 171).

Quando, poco tempo dopo, anche il duellante ferito si troverà in punto di morte, deciderà di nominare suo esecutore testamentario lo stesso marchese, che aveva riconosciuto durante il duello e che sapeva essersi salvato poiché colpito solo di striscio. ed è appunto con la morte del secondo avversario che prende l’avvio l’inciso pregotico propriamente detto, caratterizzato, in questo caso, dai tipici stilemi delle future ghost stories: l’apparizione notturna dello spettro con la sua voce rauca e spaventosa («con una voz ronca y llena de horror»); una serie di fenomeni inspiegabili, quali le coperte sollevate («llegaron y 30

M, ii, s.n., 170. M, ii, s.n., 170-171, 81n. la vicenda ha ispirato, fra l’altro, una commedia di lope de vega (che prestò servizio presso don pedro dávila dal 1583 al 1587) intitolata, appunto, el Marqués de las navas (cfr. ibid.); sulla veridicità del caso si veda anche la nota di commento di soledad carrasco Urgoiti alla sua edizione della Vida del escudero Marcos de obregón (ed. de s. carrasco Urgoiti, Madrid, castalia, 1972, ii, p. 15, 10n). 32 M, ii, s.n., 171. 31

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le quitaron la ropa de la cama») e un improvviso senso di freddo ad ogni visita del fantasma («le daba un frío y un temblor que no podía sustenerse»); i vani tentativi del protagonista di colpire con la spada un essere inconsistente («desenvainando la espada […] dio tantas cuchilladas […] hasta que se cansó sin topar en cosa»33) e, per finire, la scelta di uno scenario ad hoc – un sotterraneo cosparso di ossa di morti – per il confronto tra i due personaggi: Al fin la sombra se entró en cierta bóveda donde había huesos de muertos. entró el marqués tras della, y en pisando los huesos le fue discurriendo por los suyos tan grande temor que le fue forzoso salirse fuera a respirar y cobrar aliento, lo cual hizo por tres veces (M, ii, s.n., 172).

ne consegue uno spavento tale da cambiare definitivamente l’incarnato del marchese che, stando al suo racconto, da allora avrebbe perso il suo colorito roseo per diventare, come accaduto a Marcos nell’episodio dell’impiccato, il fantasma di se stesso: «y confiesa el marqués, que siendo tan hermoso de rostro, blanco y rojo como sus hermanos, desde esta noche quedó como está agora, sin ningún color y quebrantado el mismo rostro»34. Un nuovo accenno di ritratto, dunque, conforme ai toni e ai modi della deriva narrativa in cui è incluso35. interessa notare, infine, come l’apparizione spettrale non trovi, questa volta36, una spiegazione logica e razionale, bensì sia presentata al lettore come realmente avvenuta e motivata dalla necessità, tutta terrena, del morto di assicurarsi che don pedro dávila esegua correttamente le sue ultime volontà testamentarie come forma di risarcimento per averlo ucciso37. All’ossequioso espinel è, dunque, sufficiente aver sentito la storia «de la boca de un tan gran caballero como el marqués y don enrique su hermano, para tener el caso por más cierto»38; purtuttavia, la sua innata ragionevolezza lo porta a non pronunciarsi sulla vera entità di quella paurosa visione, lasciando ai teologi la facoltà di decidere in merito: «si fue el mismo espíritu suyo, o del ángel de su guarda, o ángel bueno o malo, dispútenlo los señores teólogos»39. come di consueto, anche la vicenda appena analizzata è chiosata da una riflessione morale, che, nella fattispecie, intende sottolineare l’eccezionalità di simili strani fenomeni, erroneamente reputati ordinari da molti. 33

per le quattro citazioni riferite nel presente paragrafo cfr. M, ii, s.n., 172. M, ii, s.n., 172. 35 Una nuova visione, solo apparentemente, demoniaca si trova poco più avanti, nel romanzo, a conclusione di un episodio di matrice picaresca in cui lo spavento subito dal protagonista gli fa assumere un aspetto indiavolato che ben s’intonerebbe con lo stile della narrativa gotica settecentesca: «[…] yo debía de estar con el rostro pálido de la turbación, y con esto y hacerles un gesto de abominable demonio, desmancharon todos, diciendo que era un diablo lo que sacaron del pozo» (M, ii, 3, 183). 36 e analogamente alla vicenda, già analizzata, dell’impiccato. 37 «lo que le quería, y pudo el marqués con la turbación percebir, era que en pago de la muerte que le había dado, le hiciese aquel bien de cumplir lo que en su testamento dejaba, que era una restitución, y poner una hija suya en estado» (M, ii, s.n., 172). 38 M, ii, s.n., 172-173. 39 M, ii, s.n., 172. 34

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con la conclusione del presente episodio si registra un momentaneo accantonamento di quei motivi macabri, ripugnanti o spaventosi che espinel aveva sinora disseminato nel romanzo allo scopo, evidente, di accrescere l’impatto emotivo sul lettore. il segmento avventuroso di stampo bizantino, che prenderà il sopravvento di qui a poco e che vedrà Marcos cadere nelle mani di un rinnegato valenzano residente ad Algeri, sarà, infatti, sufficiente di per sé a mantenere alta l’attenzione del pubblico, senza bisogno di ricorrere a ulteriori orpelli narrativi potenziatori della suspense. occorre, dunque, passare direttamente alla relación Tercera per rilevare un ritorno agli stilemi pregotici, grazie a due ultime parentesi narrative che vanno a completare il mosaico che abbiamo sin qui cercato di ricostruire; entrambe hanno come scenario l’italia settentrionale: ci troviamo, infatti, nel pieno dell’avventura italiana del protagonista che, reduce dalla prigionia algerina, trascorre un lungo soggiorno fra genova, Alessandria, torino, Milano e venezia. la prima delle due vicende narrate occupa il quarto descanso dell’ultima parte del romanzo e racconta di come Marcos, unitosi suo malgrado a un gruppo di eretici ginevrini per evitare di viaggiare da solo fino a Milano, si trovi a dover far visita «a un gran nigromántico para preguntalle ciertos secretos de mucha importancia»40. Al di là della ovvia satira contro una simile categoria di impostori – che il saggio Marcos de obregón provvederà prontamente a smascherare –, il brano appare interessante ai fini del nostro studio in quanto, soprattutto, alla sua ambientazione, che sembra preludere alle atmosfere sinistre dei racconti dell’orrore settecenteschi. vediamolo. giunti a destinazione attraverso un tortuoso sentiero boschivo, i visitatori sono accolti dal negromante – aspetto orribile, voce aspra e cavernosa41 – nella sua dimora: una grotta angusta che Marcos decide di esplorare nel tempo in cui i suoi compagni di viaggio si dedicano a interrogare l’improbabile veggente. la descrizione del ‘covo’ del negromante, a metà tra un gabinete de curiosidad 42 e una lugubre abitazione che anticipa quelle dei racconti di edgar Allan poe, prefigura certi canoni estetici della narrativa gotica, ricca com’è di oggetti assurdi e spaventosi: Mientras hablaban con él, yo miré el cuerpo de la cueva, que estaba llena de cosas que ponían temor y espanto, como era cabezas de demonios, de leones y tigres, faunos y centauros, y otras cosas deste modo, para poner horror a los que entrasen, unas pintadas y otras de bulto, con que daba a entender que tenía trato y amistad con algún demonio (M, iii, 4, 266).

si tratta di una chiara messa in scena finalizzata a persuadere – come suggerisce il testo – i creduli avventori circa l’esistenza di un legame diretto fra il 40

M, iii, 4, 266. «llamaron, y respondieron de dentro con una voz crespa, baja, y con un género de gravedad. Abriose la puerta y representose la figura del nigromántico con una ropa de color pardo, con muchas manchas, mapas, pintados en ella culebras, signos celestes, un bonete en la cabeza largo, y aforrado en pellejo de lobo, y otras cosas que hacían su persona horrible, como también lo era el lugar y casa donde habitaba» (M, iii, 4, 266). 42 sui gabinetes de curiosidad come manifestazione pregotica nella letteratura spagnola dei secoli d’oro, cfr. d.r. cAstillo, baroque Horrors, cit., p. 18 e ss. e pp. 37-75. 41

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presunto stregone e il demonio. e anche l’aiutante, con la sua presenza inquietante e minacciosa («tan fiero y espantable que me pareció que era algún demonio»43), contribuisce da parte sua a perseguire tale obiettivo e ad incrementare il clima sinistro dell’ambiente evocato; con l’unica differenza che, in questa occasione, Marcos, forte della propria fede, non si farà sopraffare dal terrore, anzi, dominerà la situazione e se stesso per arrivare a sgominare il sedicente mago. se, sotto questo aspetto, dunque, il caso in questione si distingue dai molti analizzati, poiché il protagonista rimane indenne alla suggestione della situazione paurosa in cui si viene a trovare anche qui, è offerta una spiegazione razionale per il frangente soprannaturale descritto. Marcos dimostrerà, infatti, che non è il demonio a suggerire le risposte al falso stregone, bensì un marchingegno meccanico mosso da una calamita, che quest’ultimo aveva ideato: yo, como eché de ver que para escribir cualquiera letra se quitaba el guante […] se lo arrebaté por el dedo mostrador, y hallando una dureza muy grande en el dedo, primero le pregunté al nigromántico: «Ésta no es calamita o piedra imán?». Quedó suspenso y corrido, y volviéndose a los otros, les dijo: «Bien decía yo que los españoles eran agudos, y que no quería hacer cosa delante de ellos» (M, iii, 4, 267).

e con lo smascheramento del negromante, oltre alla sua improbabile carriera, si dissolve anche l’atmosfera tetra in cui si è sviluppata l’intera vicenda. Ma non durerà molto: di lì a poche pagine la narrazione tornerà a immergersi nei meandri di un’estetica pregotica e questa volta per raggiungere un livello d’intensità mai conosciuto prima nel romanzo di espinel. Mi riferisco al cosiddetto episodio del malinconico cavalier Aurelio: una vera e propria novella intercalata, sullo stile di quelle italiane, animate da casi d’inganno e di vendetta, che si dipana per oltre due capitoli della terza parte, ovvero dal quinto al settimo. trascurando l’evidente debito con la novellistica boccacciana, già ampiamente studiato da Amos parducci, Alberto del Monte e Asunción rallo gruss44, mi interessa focalizzare l’attenzione esclusivamente sugli aspetti di questo racconto che anticipano, sia da un punto di vista tematico sia stilistico, la scrittura macabra settecentesca, le cui tracce, qui, diversamente dagli altri casi commentati, informano il testo a vari livelli: di ambientazione, tema, situazioni e personaggi. la novella prende l’avvio con l’incontro casuale fra il nobile lombardo Aurelio e Marcos, che, privato della sua cavalcatura e senza una guida, si trova solo e stanco in territorio straniero in cerca di una locanda in cui trascorrere la notte. sarà invece ospitato dal triste cavaliere italiano che, approfittando dell’intima 43

M, iii, 4, 266. cfr. A. pArdUcci, «echi e risonanze boccaccesche nella Vida de Marcos de obregón», in Mélanges de Lingüistique et de Littérature romanes offerts à Mario roques, paris, 1950-54, ii, pp. 207-217; A. del Monte, Itinerario de la novela picaresca, Barcelona, lumen, 1971, p. 108 e A. rAllo grUss, «la ficción como novella…», cit. (le novelle alla base della vicenda narrata da espinel sarebbero la iv, 9; la v, 9; la vii, 1 e la viii, 1). la storia di Aurelio è stata studiata anche alla luce di possibili influenze ariostesche da parte di J.g. FUcillA, che ne individua le fonti nei canti Xlii e Xliii dell’orlando Furioso; J. FrAdeJAs, invece, ne ravvisa le origini nella disciplina clericalis (cfr. la nota di commento al testo curato da A. rAllo grUss: M, iii, 274, 143n). 44

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atmosfera di una cena, racconterà il suo dramma a Marcos, rivelandogli il motivo della propria afflizione. l’ingresso dei due personaggi nella proprietà del nobiluomo, perfetto esempio delle dimore cupe e desolate che, nei secoli successivi, faranno da sfondo a tanti romanzi del terrore, impone un cambiamento di tono al racconto, che torna nei ranghi di uno stile di sapore protogotico: entramos por unos jardines muy grandes, que estaban cerca de su casería, aunque mal cultivados y llenos de yerba que la misma naturaleza criaba, acaso llegamos a la casería, donde salieron a recibirle unos criados llenos de silencio y melancolía. entramos en una casa, aunque de grande edificio, muy desadornada de cosa que pudiese dar gusto, sino con unas colgaduras negras y viejas, los sirvientes mustios, mudos y callados, y todo lo de la casa lleno de luto y tristeza (M, iii, 6, 273).

Ma non è solo l’ambientazione – dunque il giardino incolto, i paramenti scuri e consunti, la magnificenza sopraffatta dall’orrore e dal lutto – a denunciare la nuova deriva macabra del racconto dello scudiero e a causargli l’usuale sconforto, unito al timore per la sua sorte. sono anche le inquietanti presenze che vi si muovono: i mesti servitori, assuefatti al silenzio e costretti al mutismo, e il padrone di casa, un uomo «que traía quebradas las alas del corazón», dallo sguardo macilento «aunque furioso», che quando prende la parola per iniziare il suo racconto lo fa con «una voz baja que parecía salirle de las entrañas»45. e, ancora di più, lo è la storia che quest’ultimo si accinge a narrare: una storia di tradimenti presunti, false apparizioni spettrali, impietose vendette, efferati omicidi e crudeli e ingiuste punizioni che, oltre ad anticipare molti motivi della scrittura dell’orrore settecentesca, prefigura quelli dei drammi d’onore calderoniani. sì, perché la disgrazia dell’ospite di Marcos ha origine nella convinzione di esser stato tradito dall’adorata moglie con il più fedele e amato dei suoi domestici, cornelio. in effetti, il subdolo servitore, mosso da cattive intenzioni, per distrarre l’attenzione del padrone e costringerlo a lasciare il letto nuziale, simula più volte l’apparizione di un grosso fantasma, dotando così l’episodio di quello che sarà uno dei più classici ingredienti della scrittura gotica, ossia l’elemento soprannaturale: […] aparecíase todas las noches […] una pantasma en los jardines que alborotaba los perros y espantaba a los criados. yo […] levantábame a mirar todos los rincones de los jardines antes de volver a mi cama, para si topaba la pantasma. y en saliendo de mi cama, mi esposa se encerraba por de dentro y no abría hasta enterarse en que yo era el que llamaba, que decía que por temor de la pantasma se encerraba por de dentro (M, iii, 6, 276).

tuttavia, come già abbiamo avuto modo di dimostrare e come spesso accadrà nella vera e propria narrativa del terrore, anche in questo caso viene offerta una spiegazione logica per un fenomeno a prima vista inspiegabile come l’apparizione di uno spettro: un altro servitore rivelerà ad Aurelio che il fantasma non è altro che un’ingegnosa trovata di cornelio, «que hace este embeleco porque mientras vuesa merced sale, él está con mi señora haciendo traición a vuesa 45

M, iii, 6, 273-274 (per le tre citazioni riportate nel presente paragrafo).

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merced»46. la clamorosa rivelazione, oltre a confermare i sospetti del cavaliere, va a tirar fuori il suo lato più oscuro, innescando in lui un feroce desiderio di vendetta che prenderà l’avvio proprio con l’inaspettata e violenta uccisione del servo «che sapeva» e che si era reso delatore dell’arcano del fantasma: Fue tan encendido el furor que se me esparció por las entrañas que, arrebatándole por el cuello del jubón, le di de puñaladas, diciéndole: «porque no lo digáis a otro, y porque a mí me lo decís después de hecho» (M, iii, 6, 276).

sopraffatto dal furore, con il petto e le viscere ardenti di «celos y deshonra» e una «batalla sangrienta»47 ingaggiata dentro di sé, il nobile italiano – anticipando un altro dei canoni classici della futura narrativa gotica – mette in atto il proprio progetto di vendetta compiendo, così, il primo di una serie di efferati delitti che si susseguiranno in un forte crescendo di tensione emotiva. dopo aver nascosto il cadavere del primo servo in un ripostiglio, passa, infatti, a scagliarsi contro i due presunti infedeli: nel tendere loro una trappola, scopre un passaggio segreto che dal soffitto della camera di cornelio conduce, per l’appunto, alla camera sua e di sua moglie, il cui ingresso trova simbolicamente coperto con un dipinto di tiziano raffigurante l’adulterio di venere e Marte48. Fa allora in modo di sorprenderli in flagrante causando, così, la fuga di cornelio che, nel cadere dalla botola segreta, si rompe entrambe le gambe. deciso a portare avanti il suo terribile regolamento di conti, non prova pietà neanche di fronte al penoso spettacolo del servo strisciante a terra con le ginocchia fracassate: […] fui a recebir al caído, que iba arrastrando con las manos como toro español desjarretadas las piernas, y díjele: «¡Ah traidor, ingrato a los bienes recebidos, este es el pago que llevan los falsos desconocidos»; y, arrimándolo a un madero de la escalera, después de habelle dado muchas puñaladas, le di garrote (M, iii, 7, 280).

Ma è solo dopo il truce assassinio del traditore cornelio che, volendo completare la sua vendetta sanguinaria con l’uccisione della moglie, accade un altro fenomeno inquietante, degno, ancora una volta, delle più memorabili storie di suspense: y con la misma furia, subiendo a dar de puñaladas a mi esposa, se me cayó la daga de las manos, y todas cuantas veces intenté hacerlo me hallé incapaz de mover el brazo para herir aquel cuerpo, que tan superior había sido a mis fuerzas (M, iii, 7, 280).

È come se una forza misteriosa, una forza soprannaturale paralizzasse il braccio del cavaliere lombardo impedendogli più e più volte di compiere quel gesto crudele49; Aurelio, allora, trascurando il possibile significato recondito di quel nuovo fatto inspiegabile – che fosse la forza dell’amore foriera dell’inno46

M, iii, 6, 276. M, iii, 6, 276-277 (per entrambe le citazioni riportate). 48 come annota Asunción rallo gruss, una copia di un quadro di tiziano con questo soggetto si trova al kunsthistorisches Museum di vienna (cfr. M, iii, 7, 279, 144n). 49 s. cArrAsco Urgoiti ricorda che il motivo è ripreso da roJAs zorrillA nel suo dramma del rey abajo ninguno (cfr. v. espinel, Vida del escudero, cit., iii, 7, p. 158, 640n). 47

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cenza della donna? –, prosegue la sua vendetta ricorrendo a un’altra forma di punizione, forse ancor più disumana, di certo più conforme alle caratteristiche di un modo di narrare che anticipa il gotico, ossia lasciar morire di fame e di sete la moglie, seppellendola viva assieme ai corpi dei due uomini implicati nella vicenda e, per giunta, con il cuore del presunto amante strappato dal corpo e posto in bella vista a monito del tradimento compiuto: Al fin bajéla abajo y, poniéndola junto a su amante, ya que no pude hacerle otro daño, maniátela de pies y manos, y a él saquéle el corazón, y púselo entre los dos para que ella viese todos los días el corazón, donde tan a su gusto había vivido. y al otro criado muerto lo traje arrastrando, y le dije: «veis aquí el testigo de vuestro delito». torné a quererla matar y se me tornaron a desjarretar los brazos, y al fin determiné de matarla con hambre y sed, dándole cada día media libra de pan y muy poca agua (M, iii, 7, 280).

vicente espinel, qui, anziché ricorrere al motivo integrale del cuore strappato e mangiato, secondo un sinistro rituale di vendetta che torna a più riprese nella letteratura cavalleresca e nella novellistica medievale50 cui l’episodio si ispira, ne adotta una variante più mitigata: omette, infatti, il suo dettaglio più macabro in virtù del quale il marito tradito obbliga la moglie infedele a mangiare il cuore dell’amante di lei. di nuovo, forse, l’incertezza di Aurelio circa la colpevolezza della moglie lo spinge a una vendetta meno cruenta, seppure ugualmente terribile. Un’ulteriore versione del medesimo motivo letterario si ravvisa in un analogo episodio in stile boccacciano compreso in un altro romanzo pseudopicaresco coevo: Varia fortuna del soldado Píndaro (1626) di gonzalo de céspedes y Meneses. vale la pena di ricordarlo per mostrare sia la forte affinità tra le due novelle inserite nei rispettivi romanzi, sia per rilevare come i temi della sposa innocente e del cuore strappato costituissero una sorta di must narrativo all’epoca. nel racconto di Figueroa, il personaggio del romanzo di céspedes y Meneses protagonista della vicenda, si descrive, come nel Marcos de obregón, una situazione di falsi tradimenti, servitori sleali, disonore, gelosia e feroci vendette, che culmina in una scena degna non più solo dei futuri romanzi dell’orrore, ma, addirittura, dei ripugnanti film splatter che imperversano oggigiorno sul grande schermo: se, infatti, l’Aurelio di espinel, evidentemente dubbioso circa la disonestà della moglie, è incapace di infliggerle alcuna pena corporale, don carlos – è questo il nome del marito offeso in céspedes – non prova alcuna remora a scagliarsi con violenza contro la moglie luciana, prima, facendole a pezzi tutti i denti con il pomo della sua daga e, poi, imponendole di bere un veleno mortale per evitare un ulteriore spargimento di sangue. Questa scena raccapricciante e patetica a un tempo, che non nasconde una certa ironia dati i suoi toni esasperati, va a sommarsi all’efferato omicidio della serva lucrecia, una volta smascherata quale artefice dell’inganno. È, appunto, a lei e non al presunto amante della moglie come vorrebbe la tradizione letteraria, che don carlos, disperato per il tragico errore commesso nel punire ingiustamente e irreversibilmente la propria sposa, strappa il cuore dal petto riducendolo a pezzetti: 50

il motivo in questione si ritrova, ad esempio, in decameron, iv, 1 e 9 e X, 10.

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[…] el engañado cavallero, rompiendo el ayre con dolorosas vozes, arremetió con ella, y rasgándola el pecho, aviendo primero dádole veynte y seys puñaladas, la sacó el coraçón, y con la misma rabia enfureciéndose con él, por ser el instrumento principal donde forjó sus daños, le dividió y partió en mil menudas pieças51.

Ma, tornando al Marcos de obregón, il frammento citato sopra, binomio di eros e thanatos, amore e orrore, costituisce il punto del testo in cui le suggestioni protogotiche si sprigionano con maggiore intensità, data la presenza di un motivo chiave come l’incubo della sepoltura da vivi, nella sua futura declinazione più frequente in cui la moglie, vittima innocente, è murata in uno scantinato o in un sotterraneo o, come nel nostro caso, in un capanno posto in giardino. A questo occorre aggiungere, come abbiamo visto, la perversione macabra nel costringere la donna a convivere segregata con il cadavere del suo supposto amante, dopo avergli strappato il cuore, e, per di più, conducendola lentamente alla morte per fame e sete: ne deriva una scena che, oltre a rappresentare il climax del racconto del malinconico Aurelio, ne costituisce anche il punto catartico, nel senso psicologico del termine di momento di liberazione da un conflitto interiore, ottenuto attraverso la completa rievocazione degli eventi responsabili, che il protagonista rivive tramite il resoconto allo scudiero. Ma perché questo senso di liberazione sia completo, Aurelio, afflitto da evidenti sensi colpa per la ‘sepoltura’ affrettata della sfortunata moglie, pretende che Marcos condivida fino in fondo il suo dramma, costringendolo a farsi testimone non più solo del suo racconto, ma anche dello scempio a cui ha condotto la sua furia vendicativa. la descrizione della scena macabra che si presenta agli occhi di Marcos, non più filtrata dalla relazione di Aurelio, ma restituita direttamente dalla sua voce, va a causare un nuovo forte impatto emotivo sul lettore, che è bruscamente proiettato, assieme allo scudiero, nel capanno degli orrori, con di fronte […] uno de los más horrendos espectáculos que los ojos humanos han visto. Un hombre arrastrado con muchas puñaladas en el cuerpo, otro despedazado, por el costado abierto, y el corazón puesto en un escalón junto a uno de los más bellos rostros que naturaleza ha criado. y para mayor ocasión de dolor sucedió que en abriendo la puerta se entraron tras él algunos perros, que en viendo a la desdichada de su esposa llegaron a lamelle las manos y rostro, y hacelle tantas caricias que a mí se me enternecieron los ojos, y al marido las entrañas y el alma (M, iii, 7, 280).

il picco del brivido, raggiunto con il dispiegarsi della scena agghiacciante del capanno davanti agli occhi di Marcos (e del lettore), è stemperato dall’irruzione dei cani con le loro incondizionate manifestazioni di affetto verso la padrona ritrovata. ed è proprio dell’emozione causata da questo amore senza riserve che Marcos, assunte nuovamente le vesti di consigliere, approfitta per fare breccia nel cuore e nella coscienza di Aurelio. l’intervento di Marcos, regolato dal suo usuale equilibrio, razionalità e umanità e coadiuvato dall’ammissione di 51 g. de cÉspedes y Meneses, Varia fortuna del soldado Píndaro, ed., prólogo y notas de A. pacheco, Madrid, espasa-calpe, 1975, ii, p. 225; per l’intera vicenda di don carlos e luciana, si vedano i capp. XXvi-XXviii, pp. 211-225.

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innocenza della moglie, se da un lato conduce Aurelio al pentimento per aver compiuto un atto ingiusto contro la donna, dall’altro impone una svolta positiva e un finale rassicurante alla vicenda che, in questo senso, si allontana tanto dalle future convenzioni della scrittura gotica quanto da quelle della novellistica italiana. d’altro canto, non possiamo non notare come l’uccisione dei due uomini – il colpevole e traditore e colui che sapeva dell’onta subita da Aurelio – sia da interpretarsi, invece, come una risposta adeguata alle leggi dell’onore alla base della società spagnola del tempo, le quali, al di là delle innegabili suggestioni pregotiche, impregnano indiscutibilmente l’episodio appena commentato. A chiosare la vicenda non manca, infine, la consueta riflessione dello scudiero, in questo caso, volta a condannare più di una stortura morale: in primo luogo, l’eccessiva impulsività di Aurelio, che avrebbe potuto portarlo a compiere il più ingiusto dei delitti ai danni della sua incolpevole compagna, ma che Marcos, al contempo, giustifica alla luce della sua presunta ferita d’onore; in seconda istanza, l’ingratitudine del servo cornelio e le sue torbide macchinazioni ai danni del padrone e, in ultimo, ma forse più importante per espinel – trattandosi di un argomento che torna a più riprese nel testo –, l’indole pettegola e seminazizzanie del primo servo ucciso, per l’autore un difetto imperdonabile, radice e causa di molti mali. di contro, la scioccante esperienza presso il cavaliere Aurelio porge a Marcos l’occasione per elogiare la fedeltà, la pazienza e il rispetto che la donna ha saputo dimostrare nei confronti del marito, pur trovandosi nella più terribile delle situazioni possibili. con il caso del malinconico cavaliere italiano si esauriscono, dunque, le incursioni di espinel in quel territorio limaccioso rappresentato dalla cosiddetta «narrativa spaventosa»52. come abbiamo visto, si è trattato non tanto di un esile e quasi impercettibile filo narrativo, come avevamo creduto all’inizio, bensì di una fitta rete di suggestioni, di motivi, di stilemi, di temi e di situazioni che mostrano come già in spagna esistesse un terreno fecondo e ben predisposto alla fioritura di quel genere di romanzi che, nel secolo successivo, dall’inghilterra si sarebbe espanso a macchia d’olio in tutta europa sull’onda di una inedita sensibilità per il lato oscuro e il subconscio. tuttavia, è ancora molto presto per parlare di vere e proprie storie del terrore, così come siamo ancora ben lontani dal raggiungere l’apice dell’esplicitazione del macabro: i molti casi analizzati non costituiscono affatto degli incubi letterari, come lo saranno quelli evocati nei romanzi neri sette e ottocenteschi; le vicende sin qui esposte non si pongono l’obiettivo di suscitare nel lettore emozioni forti, di lasciargli addosso quel senso di paura, di angoscia o di turbamento che trasmetteranno, invece, le narrazioni di Walpole, radcliffe o poe, per citare solo alcuni nomi fra i più importanti e conosciuti. la paura c’è, certamente, ma sul finire del racconto è sempre dissolta, dissipata e i fenomeni paranormali spiegati, relegati a un orizzonte di razionalità e di buon senso. semmai, è la suspense a prevalere nei campioni esaminati del 52 lasciamo da parte la vicenda dei mostruosi giganti che animano la successiva avventura americana di un altro personaggio del romanzo, il dottor sagredo (M, iii, 19-23, pp. 352-368), perché assimilabili alle mirabolanti cronache delle indie più che ai futuri racconti del terrore.

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Marcos de obregón, ma anche questa, a un certo momento, finisce sempre per sfumare fino a scomparire, lasciando spazio a una spiegazione logica, rassicurante, tranquillizzante. d’altra parte, non possiamo non ricordare, a questo proposito, che il protagonista del romanzo è un attempato scudiero, il cui ruolo nella società spagnola del tempo era quello di accompagnare e proteggere le spose di cavalieri o nobiluomini dai malintenzionati in caso di assenza del marito: un ruolo positivo, dunque, che, oltre ad esigergli una morale irreprensibile e una fedeltà a prova di qualsivoglia tentazione, è all’origine di quella sua urgenza costante di spiegare, di rassicurare, di cancellare dubbi e timori, così come di fugare lo smarrimento e la paura che il fantastico, il macabro o il soprannaturale possono indurre, per poi indicare la strada giusta dell’equilibrio e della ragionevolezza.

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edizioni ets piazza carrara, 16-19, i-56126 pisa [email protected] - www.edizioniets.com

Finito di stampare nel mese di novembre 2016

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