Black Holes - E. Coccia

June 1, 2017 | Autor: Eugenio Coccia | Categoria: Physics Education
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SCIENZA IN PRIMO PIANO L’ONDA DEL SECOLO EUGENIO COCCIA Università di Roma Tor Vergata, Roma, Italia INFN, Sezione di Roma, Tor Vergata, Roma, Italia INFN - Gran Sasso Science Institute, L’Aquila, Italia

Caltech/MIT/LIGO Laboratory

Il 14 settembre 2015 i due rivelatori del Laser Interferometer Gravitational wave Observatory (LIGO) hanno simultaneamente osservato un segnale di onde gravitazionali. La forma d’onda è in accordo con le previsioni della relatività generale per l’emissione di onde gravitazionali durante lo spiraleggiamento (cioè l’avvicinamento nel loro sempre più rapido orbitare), la collisione e la fusione di una coppia di buchi neri di 36 e 29 masse solari, distanti 1 miliardo e trecento milioni di anni luce dalla Terra. Un singolo buco nero finale di 62 masse solari si è formato a seguito dello scontro e le 3 masse solari mancanti equivalgono all’energia emessa sotto forma di onde gravitazionali durante la fusione. È questa la prima rivelazione diretta di un’onda gravitazionale a 100 anni dalla previsione teorica di Albert Einstein e dopo più di 50 anni di ricerche sperimentali. È anche la prima volta che viene osservato un sistema binario di buchi neri, e che si assiste alla loro fusione. Queste misure ci danno per la prima volta un accesso diretto alle proprietà dello spaziotempo in un regime di campo gravitazionale forte e alta velocità (i due buchi neri al momento della collisione hanno una velocità superiore a metà di quella della luce). Non credo sia esagerato affermare che è un momento storico per la scienza e per l’umanità intera. Acquisiamo infatti la possibilità di percepire le vibrazioni dello spaziotempo, che può essere paragonata alla capacità di “ascoltare” l’Universo, finora solo “visto” con i fotoni e i raggi cosmici.

1 Un po’ di storia Ripercorriamo alcune delle tappe che hanno portato a questo risultato, cercando anche di capire perché ci sono voluti tanti anni. Nel 1916, l’anno dopo la formulazione finale delle equazioni della relatività generale, Einstein predisse l’esistenza delle onde gravitazionali. Egli trovò che nell’approssimazione di campo debole, in cui il tensore metrico era quello dello spazio-tempo piatto di Minkowski con l’aggiunta di una piccola perturbazione, le sue equazioni di campo si linearizzavano e avevano semplici soluzioni: onde trasversali di deformazione spaziale che viaggiano alla velocità della luce, generate da variazioni temporali del momento di quadrupolo di massa della sorgente.

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Fig. 1 L’evento osservato dai rivelatori americani LIGO di Hanford e di Livingston il 14 settembre 2015 alle 09:50:45 UTC. Le due figure superiori mostrano i dati dei rivelatori, cioè le deformazioni spaziali percepite dai due interferometri, sovrapposte alle forme d’onda previste dalla relatività generale per due buchi neri in coalescenza aventi masse di 36 e 29 masse solari, distanti 1.3 miliardi di anni luce. La terza figura sovrappone i dati dei due rivelatori. Il segnale è arrivato a Livingston 6.9 ms prima che a Hanford. La figura riporta i dati di Hanford traslati per questo ritardo (che tiene quindi conto del tempo impiegato dal segnale per viaggiare alla velocità della luce tra i due siti) e invertiti per tenere conto della diversa orientazione relativa dei bracci dei due interferometri. La figura mostra che i due rivelatori sono stati testimoni dello stesso evento, un evento invisibile per gli altri osservatori astronomici. Caltech/MIT//LIGO Laboratory

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Einstein comprese immediatamente che le onde gravitazionali sarebbero state di ampiezza piccolissima, e si aspettava che non avrebbero avuto nessuna importanza pratica. Con la tecnologia disponibile nel 1916 per esplorare l’universo, probabilmente non si potevano trarre conclusioni diverse e per molti anni il tema delle onde gravitazionali cadde nel dimenticatoio. I progressi costanti dell’astrofisica, in particolare la scoperta di oggetti compatti come stelle di neutroni e buchi neri, e i notevoli sviluppi nella tecnologia delle misure di precisione, cambiarono le prospettive, ma lentamente. Occorre considerare infatti che fino a tutti gli anni '50 era vivo un dibattito che oggi può sembrare sorprendente. Vale a dire se le onde gravitazionali fossero un vero e proprio effetto fisico misurabile, viaggiante alla velocità della luce, o non fossero piuttosto solo un effetto fittizio eliminabile con una trasformazione di coordinate e quindi viaggiante, per così dire, alla “velocità del pensiero”. Quasi incredibilmente per noi oggi, Einstein oscillava tra queste due posizioni trovandosi spesso sul secondo fronte. La Gravitazione sperimentale è sempre stato un campo difficile, in cui dati significativi sono molto difficili da ottenere. Uno dei più grandi sperimentali e innovatori del campo, Robert Dicke, diceva nel 1964 che il problema dello sperimentatore nella gravitazione differiva da quello degli altri campi: qui abbiamo una elegante e ben definita teoria ma quasi nessun esperimento, con una situazione ortogonale sia a quella della fisica delle alte energie sia quella della fisica dello stato solido. Un punto di svolta nella storia della ricerca delle onde gravitazionali avvenne in un convegno a Chapel Hill, nella University of North Carolina, nel 1957, durante la “Conference on the Role of Gravitation in Physics”. All’ordine del giorno fu posta la questione della realtà fisica (o meno) delle onde gravitazionali e la loro interazione con un possibile rivelatore. Felix Pirani presentò un contributo di chiarezza cristallina: “Measurement of Classical Gravitational Fields”. Il punto principale di questa presentazione è la

proposta di osservare gli effetti gravitazionali misurando l’accelerazione relativa di due corpi in caduta libera. Pirani fa emergere in modo trasparente la connessione tra l’equazione della deviazione geodetica nella relatività generale e la seconda legge di Newton, identificando alcune componenti del tensore di Riemann con le derivate seconde del potenziale Newtoniano, cioè con il campo di marea. Hermann Bondi, presente alla conferenza, comprende subito l’essenza del messaggio: in presenza di una perturbazione gravitazionale, o per meglio dire di un’onda gravitazionale, se tra i due corpi si mette una molla, l’accelerazione relativa farà assorbire energia al sistema, dando un effetto misurabile. Oppure se su uno dei due corpi si mette una sorgente di luce e un rivelatore e sull’altro uno specchio, all’arrivo dell’onda il tempo che impiegherà la luce per percorrere avanti e indietro la distanza tra i due corpi cambierà, poiché cambierà la loro distanza, e anche questo effetto potrà essere misurato. Richard Feynman, pure presente, benedisse con il suo straordinario senso fisico quanto era emerso con una frase poi ripetuta spesso nella comunità: “My instincts are that if you can feel it, you can make it”. A quei giorni del 1957 va fatta risalire la nascita della ricerca sperimentale delle onde gravitazionali. C’era infatti un altro fisico presente a quella conferenza, a seguire con attenzione tutti i contributi. Si chiamava Joseph Weber. Weber stava cercando un modo per contribuire al lavoro sperimentale in relatività generale. Come professore di ingegneria elettrica presso l’Università del Maryland, aveva già avuto un’idea geniale per la realizzazione di quello che poi sarebbe diventato il maser. Nel 1955, era a Princeton con una borsa di studio Guggenheim, lavorando con John Archibald Wheeler. Poco dopo la conferenza a Chapel Hill, Weber e Wheeler scrissero un lavoro dove illustravano come estrarre energia da un’onda gravitazionale. Nel lavoro si chiedono: “Può essere estratta enegia da un’onda gravitazionale? Sì, perché la distanza dL tra particelle di prova vicine varia con il tempo. Questa variazione può essere utilizzata VOL32 / NO1-2 / ANNO2016 >

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per guidare un dispositivo.” Nel febbraio del 1959, Weber andava molto più lontano, pubblicando su Physical Review “Detection and Generation of Gravitational Waves”, in cui illustrava il suo programma per la realizzazione di rivelatori di onde gravitazionali. Il suo rivelatore era costituito da un cilindro di alluminio di un paio di tonnellate di massa, di cui si monitoravano le vibrazioni del modo longitudinale fondamentale. Il cilindro svolgeva il ruolo delle due masse di prova di Pirani collegate da una molla. In definitiva, era un gigantesco diapason equipaggiato con ceramiche piezoelettriche per convertire le vibrazioni meccaniche in segnali elettrici, che venivano opportunamente registrati. Weber ne mise in funzione due negli USA a 1000 km di distanza e ne analizzò i dati in cerca di segnali in coincidenza. Infatti un’onda gravitazionale avrebbe messo in vibrazione contemporaneamente i due oscillatori (entro 3 millesimi di secondo) permettendo di distinguere il segnale dalle possibili cause di disturbo locale. Occorreva grande fede per iniziare questa ricerca: si sapeva dai calcoli di Einstein che queste onde interagiscono in modo trascurabile con la materia che incontrano. Non a caso la gravitazione è la più debole delle interazioni fondamentali. Questo se da un lato vuol dire ottenere messaggi non corrotti e non attenuati dalle sorgenti che le hanno emesse, dall’altro rende difficilissima la loro rivelazione. Apriamo una parentesi. Nella misura vincente di LIGO, la distanza L = 4 km dei due specchi di un braccio è variata di circa 10–18m. L’ampiezza h dell’onda (per definizione è una deformazione e quindi adimensionale) è stata h = dL/L = 10–21 Quello che deve sorprendere non è averci messo 50 anni a misurare una variazione di miliardesimo di miliardesimo di metro, è esserci riusciti. Chiusa parentesi. A eccitare gli animi dei ricercatori era un premio formidabile: le onde gravitazionali portano informazioni uniche sulla natura delle sorgenti cosmiche che le hanno emesse. Né i tradizionali telescopi che osservano fotoni, né i rivelatori di raggi cosmici o di neutrini 8 < IL NUOVO SAGGIATORE

SCIENZA IN PRIMO PIANO

possono fornire un racconto così dettagliato del movimento della materia cosmica dove la densità è elevata e i campi gravitazionali molto forti. Alla fine degli anni ’60, Weber trovò delle coincidenze nei suoi rivelatori e credette di aver rivelato onde gravitazionali provenienti dal centro della nostra Galassia. Seguirono anni di emozioni, nascita di nuovi gruppi in tutto il mondo a replicare l’esperimento, polemiche. Infine, dalla metà degli anni ’70, si raggiunse nella neonata comunità un crescente consenso sulla non correttezza delle conclusioni di Weber. Tuttavia, nel frattempo i semi piantati da Pirani a Chapel Hill e da Weber con il suo annuncio erano germogliati in un giardino fiorente di sforzi sperimentali per dare realtà alla misura delle onde più elusive che mai siano state immaginate. Poi arrivarono le osservazioni di Hulse e Taylor sulla perdita di energia da parte della pulsar binaria PSR 1913+16 a fornire la prima possibile evidenza, benché indiretta, dell’esistenza delle onde gravitazionali e a spronare ulteriormente gli sperimentatori. Questi, da allora e in quattro continenti, sono stati impegnati senza sosta in queste ricerche, sia usando raffinate versioni criogeniche dei rivelatori risonanti di Weber, sia costruendo giganteschi rivelatori basati sull’interferometria laser. Questi ricercatori sono eredi di due grandi tradizioni sperimentali. Una è quella degli esperimenti meccanici di grade precisione, esemplificata dal lavoro di Cavendish, Eotvos, Dicke. Nel cuore di qualsiasi esperimento di onde gravitazionali ci sono masse di test isolate da qualsiasi disturbo esterno, in condizioni più simili possibili a quelle ideali di corpi in caduta libera. L’altra è la tradizione delle misure ottiche di precisione, a partire da Michelson, corroborata poi dagli sviluppatori dei laser e dai pionieri della tecnologia delle comunicazione e delle microonde a cavallo della seconda guerra mondiale. L’Italia e l’INFN occupano da molto tempo un posto di primissimo piano in queste ricerche. Nel 1970 a Roma Guido Pizzella rispose con entusiasmo all’appello di Edoardo Amaldi e prese per primo le redini di un’attività

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italiana sulle antenne risonanti destinata a diventare protagonista per decenni a livello internazionale (l’autore dell’articolo ne sa qualcosa), prima al CERN con l’antenna Explorer, poi nei Laboratori INFN di Frascati con Nautilus e nei Laboratori INFN di Legnaro con Auriga, condotta da Massimo Cerdonio. Negli anni ’80 Adalberto Giazotto propose con successo all’INFN la realizzazione di un progetto ambizioso: un grande interferometro laser in Italia. A Cascina, vicino Pisa, dal lavoro di Giazotto e di pochi pionieri, tra cui Alain Brillet che ha portato il CNRS francese a cofinanziare il progetto, sono fioriti nel tempo il progetto Virgo e poi il laboratorio internazionale che lo ospita: EGO, l’European Gravitational Observatory. Negli Stati Uniti intanto si portava avanti la stessa visione, su due diversi siti. Sia in Italia che negli USA, l’esperienza dei gruppi risonanti si è riversata negli anni sui grandi interferometri, vincitori indiscussi della competizione. Virgo è oggi riconosciuto insieme ai due rivelatori LIGO come parte del più avanzato osservatorio mai realizzato. Ed è proprio la collaborazione LIGO-Virgo che ha appena iniziato a scrivere le pagine decisive della storia di questo campo con gli annunci simultanei della scoperta da parte delle due spokespersons Gabriela Gonzales e Fulvio Ricci, rispettivamente a Washington e a Cascina, l’11 Febbraio scorso.

2 Gli strumenti Un osservatorio di onde gravitazionali si basa su rivelatori ampiamente distanziati in modo da distinguere i segnali dal rumore strumentale e ambientale locale. Questo permette anche di individuare la posizione della sorgente dai tempi di arrivo relativi del segnale e misurare la polarizzazioni dell’onda dalle ampiezze dei segnali ricevuti dai singoli rivelatori. I rivelatori coinvolti nella scoperta sono interferometri di Michelson, e misurano la deformazione imposta nello spazio dal passaggio dell’onda gravitazionale tramite la differenza nelle lunghezze dei loro bracci perpendicolari (vedi fig. 2).

Ogni braccio è definito da due specchi a costituire le famose masse di prova in caduta libera: il primo è il separatore di luce, meglio noto come beam splitter, che invia il fascio laser in due direzioni perpendicolari, il secondo è lo specchio all’estremità del braccio che riflette la luce indietro. Questi specchi sono separati, nel caso di LIGO, da lunghezze Lx = Ly = L = 4 km. Un’onda gravitazionale, incidente perpendicolarmente al piano definito dall’interferometro e polarizzata parallelamente alle direzioni dei due bracci, cambia le lunghezze dei bracci stessi allungandone uno e accorciando l’altro, come gli detta la sua natura quadrupolare. La variazione differenziale delle lunghezze è ΔL (t) = ΔLx – ΔLy = h(t) L, dove h è l’ampiezza dell’onda gravitazionale. Questa variazione delle lunghezze altera la differenza di fase tra i due raggi di luce che tornano al beam splitter, trasmettendo in uscita al fotorivelatore una variazione del segnale ottico proporzionale all’ampiezza dell’onda gravitazionale. Ovviamente per ottenere una sensibilità sufficiente a misurare le onde gravitazionali, gli interferometri incorporano una serie di miglioramenti essenziali rispetto alla semplice versione base qui descritta. In primo luogo, ogni braccio contiene una cavità ottica risonante formata da due specchi, che cumula l’effetto dell’onda gravitazionale moltiplicandolo di un fattore 300. In secondo luogo, un’ulteriore specchio, parzialmente trasmissivo e posto in ingresso, riporta nell’interferometro luce che altrimenti ne uscirebbe, contribuendo ad un ulteriore accumulo di luce nell’interferometro. In questo modo la potenza di 20 W emessa dal laser viene aumentata a 700 W di potenza incidente sul beam splitter e a ben 100 kW in ciascuna cavità risonante. Infine, un altro specchio parzialmente trasmissivo è posto in uscita per ottimizzare l’estrazione del segnale aumentando la banda passante delle cavità. La sorgente laser è un NdYAG con lunghezza d’onda di 1064 nm, stabilizzata in ampiezza, frequenza e geometria del fascio. Queste tecniche intrferometriche sono progettate per massimizzare la conversione della deformazione delle lunghezze dei bracci in segnale ottico, minimizzando l’impatto VOL32 / NO1-2 / ANNO2016 >

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Fig. 2 IL RIVELATORE Diagramma semplificato di un interferometro LIGO. a) Posizione e orientamento dei due interferometri LIGO a Hanford (Washington) e Livingston (Luisiana) b) Densità spettrale del rumore dei due rivelatori espresso in termini dell’ampiezza della deformazione dell’onda gravitazionale equivalente. La sensibilità è limitata dallo shot noise a frequenze superiori a 150 Hz e dalla combinazione di altre sorgenti di rumore, tra cui quella sismica, a frequenze inferiori. I picchi in frequenza sono dovuti a segnali di calibrazione, rete elettrica e modi di vibrazione delle sospensioni degli specchi. Da fig. 3 di “Observation of gravitational waves from a binary black hole merger”, Ligo Scientific Collaboration and Virgo Collaboration, Phys. Rev. Lett., 116 (2016) 061102. DOI: 10.1103/PhysRevLett.116.061102

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dello shot noise dei fotoni, che costituisce la principale sorgente di rumore ad alta frequenza. Naturalmente, l’alta sensibilità richiede l’isolamento degli specchi (le masse di test) dal rumore sismico, dominante a bassa frequenza, e richiede anche che queste masse siano di materiali a bassissima dissipazione meccanica per minimizzare il rumore termico, importante alle frequenze intermedie. Il sistema di sospensione fornisce agli specchi 10 ordini di grandezza di isolamento dalle vibrazioni del terreno a frequenza superiori a 10 Hz. Le masse di test di 40 kg l’una sono fusioni di silice, con un opportuno rivestimento, e sono sospese con fibre pure loro di silice. La pressione all’interno dei tubi a vuoto di 1.2 m di diametro contenenti il fascio di luce è mantenuta in ultra alto vuoto, al di sotto di 1 microPa, per ridurre le fluttuazioni nella fase ottica causate dalla diffusione Rayleigh. Molti altri particolari sono naturalmente menzionati nella pubblicazione della scoperta, e soprattutto nelle pubblicazioni ivi citate. Nella banda di maggiore sensibilità, tra 100 e 300 Hz, i rivelatori LIGO attuali sono circa 4 volte più sensibili del LIGO iniziale che prese dati, insieme a Virgo, negli anni passati fornendo solo limiti superiori all’arrivo delle onde. A bassa frequenza, sotto 60 Hz, il miglioramento è ancora maggiore: circa 10 volte meglio del LIGO iniziale. Poiché il rivelatore risponde proporzionalmente all’ampiezza dell’onda gravitazionale, e questa diminuisce in modo inversamente proporzionale alla distanza della sorgente, il volume di spazio al quale il rivelatore è sensibile aumenta con il cubo della sensibilità. Per buchi neri binari come quello della scoperta, il volume di Universo osservabile sorpassa di un ordine di grandezza quello monitorato nel passato.

3 Il segnale La pubblicazione illustra i risultati dell’analisi dei dati di 16 giorni di osservazioni in coincidenza tra i due rivelatori LIGO, dal 12 settembre al 20 ottobre 2015. Questo è solo una parte del periodo complessivo di presa

dati, durata fino al 12 gennaio 2016 e oggetto attualmente di ulteriori analisi. Il segnale è stato battezzato come GW150914, dalla sua data di arrivo, ed è emerso da due tipi di analisi. Una è ottimizzata per individuare segnali di coalescenza di oggetti compatti, usando filtri adattati con le forme d’onda previste dalla relatività generale, ne parliamo più oltre. L’altra individua un’ampia gamma di generici segnali transienti con assunzioni minime sulla forma d’onda prevista. Entrambe le analisi hanno individuato chiaramente l’evento GW150914. Le caratteristiche di GW150914 indicano che la sua origine è la coalescenza di due buchi neri, cioè la fase finale del loro reciproco orbitare, la loro collisione e la formazione del buco nero finale. In circa 0.2 s, il segnale aumenta in frequenza e ampiezza passando in 8 cicli da 35 Hz a 150 Hz, frequenza a cui l’ampiezza raggiunge il massimo valore. La naturale spiegazione di questa evoluzione è lo spiraleggiamento di due masse m1 e m2 , dovuto a emissione di onde gravitazionali. Questa forma d’onda è chiamata convenzionalmente chirp (dal nome in inglese del cinguettio degli uccellini) e la sua evoluzione è caratterizzata dal parametro noto come chirp mass: , · dove f e f sono la frequenza osservata e la sua derivata rispetto al tempo e G e c sono la costante gravitazionale e la velocità della luce. · f e f possono essere stimate dai dati ottenendo una massa del chirp pari circa a 30 M⊙ , il che implica una massa totale m1+m2 maggiore o uguale a 70 M⊙ . Questo valore limita la somma dei due raggi di Schwarzschild delle due masse al valore . Per raggiungere una frequenza gravitazionale di 150 Hz, e quindi una frequenza orbitale di 75 Hz (la frequenza del segnale gravitazionale è il doppio della frequenza orbitale, conseguenza della natura quadrupolare della radiazione gravitazionale) i due oggetti devono essere molto vicini e quindi molto compatti. VOL32 / NO1-2 / ANNO2016 >

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FIG. 3 Stima dell’onda gravitazionale arrivata sul rivelatore di Hanford, come emerge dalla relatività numerica e dall’analisi dei templates, con le immagini dei buchi neri nelle varie fasi della coalescenza. Nel grafico inferiore è riportata la separazione Kepleriana dei due buchi neri in unità del raggio di Schwarzschild, e la velocità relativa dei due oggetti in unità di velocità della luce. Da fig. 2 di “Observation of gravitational waves from a binary black hole merger”, Ligo Scientific Collaboration and Virgo Collaboration, Phys. Rev. Lett., 116 (2016) 061102. DOI: 10.1103/PhysRevLett.116.061102

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Due masse puntiformi uguali si troverebbero ad orbitare a 75 Hz solo avvicinandosi a una distanza di 350 km. Due stelle di neutroni, benchè compatte, sarebbero molto più leggere (tipicamente 1. 4 M⊙ l’una) e d’altro canto un sistema binario costituito da un buco nero e da una stella di neutroni avrebbe una massa totale molto grande e colliderebbe a una frequenza molto più bassa. Questo lascia i buchi neri come soli oggetti compatti abbastanza da raggiungere una frequenza orbitale di 75 Hz senza entrare in contatto. Inoltre il decadimento della forma d’onda dopo il picco di ampiezza è consistente con l’oscillazione smorzata di un buco nero rotante che raggiunge la configurazione stazionaria. I parametri che emergono dall’analisi del segnale sono riportati in tabella I. Lasciando da parte la descrizione dell’analisi, riportata nei particolari nel lavoro su Physical Review Letter (PRL), diciamo qui solamente che la ricerca delle binarie coalescenti adottata dalla collaborazione LIGO-Virgo permette di individuare emissioni di onde gravitazionali da sistemi binari con masse m1 e m2 da 1 a 99 M⊙ , massa totale fino a 100 masse solari, e spin adimensionale fino al valore massimo 0,99. Per modellare i sistemi con massa maggiore di 4 masse solari, si usa il formalismo EOB (effective one body) che combina i risultati dell’approccio Post-Newtoniano con i risultati della teoria delle perturbazioni dei buchi neri e la relatività numerica. Circa 250 000 forme d’onda sono state usate per coprire questo spazio dei parametri. Naturalmente, la significatività statistica di un evento è determinato dal fondo, cioè dalla frequenza con la quale il rumore del rivelatore produce eventi grandi almeno come quello candidato. Per calcolare il fondo si usa la tecnica, nota dai tempi di Weber, dei time shift. In termini molto semplici, i tempi corrispondenti ai dati di un rivelatore vengono artificialmente traslati di un offset (maggiore del tempo di propagazione del segnale tra

Primary black hole mass Secondary black hole mass Final black hole mass Final black hole spin Luminosity distance Source redshift z

un sito e l’altro), in modo da generare una nuova lista di eventi indipendenti in coincidenza con l’altro rivelatore. Questa procedura viene ripetuta per molti offset (circa 107 nel nostro caso) generando così una stima affidabile del fondo e di conseguenza una probabilità che un particolare evento sia dovuto al caso. L’evento GW150914 così analizzato è maggiore di ogni altro nel periodo considerato e la probabilità di falso allarme è minore di 2×10–7, corrispondente a 5.1 sigma. Nel lavoro su PRL viene fatta notare la presenza di un secondo evento con una probabilità di falso allarme di 0.02, quindi non particolarmente significativa, ma che se fosse un segnale di origine astrofisica, e non rumore, sarebbe pure lui dovuto a un sistema binario di buchi neri. È bene menzionare che per raffinare le stime sui parametri del segnale GW150914, sono stati usati modelli che includono la precessione degli spin, e per ogni modello è stata usata un’analisi Bayesana coerente. Diverse altre analisi sono state inoltre compiute con l’obiettivo di determinare se GW150914 sia consistente con un sistema di buchi neri nella relatività generale, con risposta affermativa. Non si osserva una dispersione delle onde gravitazionali nel segnale osservato, cioè le componenti a diversa frequenza si sono propagate alla stessa velocità (entro i limiti dell’esperimento, naturalmente). Questo limita la lunghezza d’onda Compton del gravitone a essere maggiore di 1013 km. Il dato può essere anche interpretato come un limite sulla massa del gravitone, che deve quindi essere minore di 1.2 × 10–22 eV/c2. Questo migliora tutti gli altri limiti precedenti indipendenti dai modelli, dovuti a misure nel sistema solare e alla pulsar binaria di Hulse e Taylor. Insomma tutti i test su GW150914 sono consistenti con le predizioni della relatività generale. I titoli dei giornali “Einstein aveva ragione” non erano esagerati, una volta tanto.

⊙ 36+5 –4 M ⊙ 29+4 –4 M ⊙ 62+4 –4 M

0.67+0.05 –0.07

410+160 –180 Mpc 0.09+0.03 –0.04

Tabella I Parametri della sorgente GW150914. Sono riportati i valori medi con gli errori statistici e quelli sistematici mediando i risultati di diversi modelli di forme d’onda. Le masse sono date nel sistema di riferimento della sorgente e possono essere convertite in quello dei rivelatori moltiplicando per il fattore (1 + z). Il redshift della sorgente assume la cosmologia standard.

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4 Conclusioni GW150914 dimostra per la prima volta l’esistenza di buchi neri di massa stellare maggiori di 25 M⊙ , più massivi cioè di quelli fino ad ora individuati dallo studio delle X-ray binaries dove un oggetto compatto accresce materia presa da una stella compagna (come nel caso del famoso Cygnus X-1). E stabilisce anche, evidentemente, che un sistema binario di buchi neri può formarsi e fondersi in un tempo minore dell’età dell’Universo. Nulla di tutto ciò era ovvio. Lo studio sulle implicazioni astrofisiche dell’esistenza di un tale sistema, possibile solo come risultato di evoluzione stellare con deboli venti stellari, e quindi possibile in ambienti a bassa metallicità, è solo all’inizio. Già in corso da qualche anno sono invece degli studi nuovi ed estremamente promettenti: le analisi di osservazioni simultanee di messaggeri cosmici indipendenti. Analisi multimessenger di onde gravitazionali, fotoni (a tutte le energie) e neutrini coinvolgono già ora le antenne LIGO e Virgo, osservatori astronomici a terra e nello spazio e telescopi di neutrini. Forniranno nel prossimo futuro informazioni senza precedenti sulla fisica e sull’astrofisica di ambienti cosmici estremi. I risultati dell’analisi dei dati di LIGO per l’intero periodo di osservazione (cioè fino al 12 gennaio 2016) sono attesi nei prossimi mesi. Intanto gli sforzi puntano a migliorare ulteriormente la rete di rivelatori entro quest’anno: i due LIGO promettono di migliorare ulteriormente di un fattore 3 la loro sensibilità, Virgo si aggiungerà a completare l’osservatorio. Tra qualche anno, si aggiungerà un quarto rivelatore alla compagnia: il giapponese KAGRA. E l’installazione di un possibile quinto interferometro (fornito da LIGO) è in programma in India. Nella prossima decade si prevede di realizzare una nuova classe di interferometri di 10 km di lunghezza, situati in sotterraneo per ridurre il rumore sismico e newtoniano, e forse con gli specchi raffreddati a bassa temperatura per ridurre il rumore termico. Sono gli Einstein Telescopes, in cui l’Europa e l’Italia sono di nuovo in prima fila. È poi impossibile non pensare al progetto di maggior

fascino: l’interferometro spaziale eLISA, con le masse di riferimento a distanze di un milione di km per studiare sorgenti più lente, quali i buchi neri supermassivi al centro delle galassie e il fondo stocastico di onde gravitazionali. Il dimostratore della tecnologia, LISA PathFinder, sotto la guida italiana di Stefano Vitale, sta volando con successo proprio in questi giorni. Un periodo d’oro (finalmente) si annuncia per la gravitazione sperimentale, con il nostro Paese in primissima fila. Per finire, due date. Mi piace vederle come due pietre miliari nella storia della nostra comprensione dell’Universo. 7 gennaio 1610. Alzando il suo telescopio verso il cielo, Galileo Galilei osservava i satelliti di Giove. Un piccolo sistema solare appariva lassù dove nulla avrebbe dovuto turbare la cristallina serenità delle sfere stellate. Il grande pianeta osava mimare, agli occhi del grande scienziato, lo speciale ruolo che il Sole aveva appena assunto nella recentissima visione copernicana, testimoniando così l’universalità della gravitazione. Nulla sarebbe più stato come prima. Nuovi occhi, a guardare sempre più lontano e sensibili a nuove finestre elettromagnetiche (radio, microonde, X, gamma), si sarebbero poi aperti alle osservazioni, e inimmaginabili sorprese si sarebbero manifestate: potenti emissioni radio da centri galattici, stelle dense come nuclei atomici e più pesanti del Sole in vorticosa rotazione, l’eco del Big Bang, emissioni di fotoni di altissima energia da acceleratori di particelle che non possiamo neanche sognare qui sulla Terra, esplosioni stellari capaci di fertilizzare il cosmo formando sistemi planetari come il nostro. 15 settembre 2015. Due grandi sensibilissimi microfoni registrano per la prima volta le vibrazioni dello spaziotempo. Generati a più di un milardo di anni luce di distanza, i primi suoni cosmici percepiti dall’umanità ci indicano l’esistenza, altrimenti invisibile, di coppie di grandi buchi neri. Ed è solo l’inizio. Avevamo la vista, ora abbiamo anche l’udito. Possiamo finalmente ascoltare l’Universo, questo sarà da oggi meno oscuro e, di nuovo, nulla sarà più come prima.

Eugenio Coccia Eugenio Coccia è Professore Ordinario all’Università di Roma Tor Vergata e Direttore del Gran Sasso Science Institute dell’INFN. Fisico sperimentale, è riconosciuto per lo sviluppo dei rivelatori criogenici di onde gravitazionali. Ha diretto l’esperimento Explorer al CERN e Nautilus ai Laboratori di Frascati dell’INFN ed è membro della Collaborazione Virgo. È stato Presidente del Gravitational Wave International Committee e Direttore dei Laboratori del Gran Sasso dell’INFN.

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