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Vincenzo Fontana Bramante e Venezia

E’ stato osservato ripetutamente che l’illusionismo prospettico della facciata della scuola di San Marco a Venezia di Pietro Lombardo dal finto coro di Bramante nella chiesa di Santa Maria presso San Satiro. L’importante e ben documentato saggio di Wendy Stedman Sheard tratta in particolare dell’attività scultorea e decorativa di Pietro e soprattutto di Tullio che nella loro bottega si specializzarono in effetti di bassorilievo prospettico a trompe l’oeil, partendo dallo di Donatello e arrivando allo di Leonardo. Bramante ricostruisce e trasforma San Satiro fra il 1480 e il 1487 mentre i Lombardo iniziano nel 1485 la ricostruzione della scuola di San Marco, semidistrutta da un incendio, secondo lo schema di due sale longitudinali sovrapposte con accanto l’albergo. La facciata ha una funzione urbana pubblica e si compone con il portale dei Santi Giovanni e Paolo, ideato da Bartolomeo Bon con una turgida plastica tardogotica (1459-63), a formare uno dei fulcri urbani più importanti di Venezia, reso decisamente rinascimentale dall’erezione del monumento equestre al Colleoni di Verrocchio (21 marzo 1496) con il basamento di Alessandro Leopardi scandito da splendide colonne appaiate; non a caso questo campo sarà scelto per le cerimonie dogali che useranno il prospetto marmoreo della scuola come fondale. A differenza che nel coro illusorio della chiesa milanese qui si tratta di un esterno e la visione simultanea di due coppie di pannelli con due diversi punti di fuga prospettici rende meno efficace l’effetto; ciò non toglie che esso sia di esempio per gli affrescatori di facciate a Venezia e nel Veneto . Precedentemente Bramante lo era stato con le grandi figure dipinte sulle pareti esterne del Palazzo del Podestà a Bergamo (1477) per commissione di Sebastiano Badoer podestà e di Giovanni Moro prefetto. Lavoro noto a Venezia, come ricorda Marin Sanudo nel 1483 e più tardi Marcantonio Michiel. Nel 1489-90 Codussi viene messo a capo del cantiere della Scuola; a lui si deve il secondo ordine , decisamente architettonico nelle grandi finestre con colonne e timpani, simili a quelli coevi della facciata interna del Palazzo Ducale, e il coronamento a lunette dalla ascendenza bizantino-balcanica, tutte sottilmente variate nel disegno. Anche in architettura è stato notato da Lodz il rapporto fra la navata voltata a botte della cappella del Perdono a Urbino (ante 1480) e la finta volta lignea della chiesa dei Miracoli a Venezia, eretta dai Lombardo fra il 1481 e l’89, che però trova un illustre precedente gotico nella vicina Cappella Scrovegni padovana. Già Arnaldo Bruschi aveva ipotizzato l’impegno di Bramante nell’ultima grande opera all’interno del palazzo di Federico II di Montefeltro, mentre Lodz ha messo in luce come molti degli artisti scalpellini lombardi passarono da Urbino a Venezia, nella attivissima bottega dei Lombardo, da ciò le affinità che Lodz ha notato nella decorazione dei Miracoli con il palazzo ducale di Urbino. Ambrogio Barocci inoltre aveva lavorato a Venezia il portale di San Michele in Isola e con Pietro Lombardo aveva eseguito l’altar maggiore di San Giobbe, viceversa Pietro aveva lavorato ad Urbino probabilmente prima del 1474 e là probabilmente si era recato intorno al 1470. Un altro spazio voltato imponente, dove però non si sa se prevalga qui l’esempio della basilica marciana piuttosto che il nuovo linguaggio rinascimentale è la piccola chiesa di San Teodoro che Giorgio Spavento, proto marciano, costruì accanto a San Marco, a cominciare 1486, forse ripetendo l’ antico modello della chiesa bizantina fondata secondo la leggenda da Narsete.

Pietro Lombardo e bottega scuola di San Marco dal 1485

A parte questo, i Solari, cioè i Lombardo, mantenevano contatti con la Lombardia; loro parenti lavoravano negli stessi anni al cantiere della Certosa di Pavia; opere, come la decorazione del palazzo del Podestà a Bergamo (1477) dai forti effetti di illusione prospettica, o il coro di San Satiro dovevano essere ai Lombardo ben note per la loro novità. Anche un altro Lombardo, Mauro Codussi (1440-1504) coetaneo quasi di Bramante, faceva il pendolare fra Bergamo e Venezia. Sappiamo che a novembre il cantiere di San Michele era interrotto, si coprivano le murature di paglia per riprendere poi il lavoro a marzo, né per Codussi c’era come per i Lombardo l’importante attività scultorea che poteva in parte svolgersi a pié d’opera durante il riposo invernale. Una prima osservazione su motivi e ricerche compositive che accomunano Donato e Mauro può essere fatta a proposito del dei monaci (1480 c.a) che interrompe la navata principale di San Michele in Isola, per creare una galleria da dove i monaci potevano assistere alla messa senza uscire dalla clausura. Qui gli archi sono inclusi in un ordine composito trabeato secondo i precetti di Leon Battista Alberti, l’esempio del Tempio Malatestiano è certo fondamentale per entrambi gli architetti, ma se sostituiamo alle semicolonne le paraste che poco più tardi Bramante usa a San Satiro, vediamo in entrambi i casi usati gli archi trabeati. E’ un motivo apparso per la prima volta a Venezia nella Magna Porta dell’arsenale (1457-60), ma che solo Codussi usa in maniera costante: da palazzo Zorzi a San Severo, a palazzo Lando Corner Spinelli, fino a giungere nel palazzo Loredan Vendramin Calergi ad una travata ritmica che si potrebbe paragonare a quella della casa di Raffaello a Roma. Solo dopo la morte di Codussi gli archi trabeati entrano nell’articolazione degli spazi interni delle chiese veneziane che tra poco esamineremo, ma solo nella Loggetta di Sansovino si compongono in spazi brevi e lunghi alternati, definiti da von Geymueller e poi da Wittkower. James Ackerman ha preso spunto da John Mc Andrew e dalla sua storia dell’architettura veneziana del Rinascimento per attirare l’attenzione sulla serie di chiese veneziane a pianta centrale costruite fra il 1480-90 (come Sant’Andrea della Certosa, oggi distrutta) e il 1529 (inizio della costruzione di San Felice). Per cinquant’anni cioè in laguna vi fu la renovatio marciana e si seguì un modello che aveva radici storiche ben precise veneto-bizantine in San Giacometto di Rialto, San Geminiano e San Salvador (chiese tutte fondate secondo la leggenda da Narsete riferita da Marin Sanudo).

Mauro Codussi Barco dei monaci a San Michele in Isola dal 1480 circa.

Tipologia di chiese veneziane a quinconce piante schematiche di San Michele, Santa Maria Formosa e San Giovanni Crisostomo da CONCINA, Storia dell’architettura di Venezia…., cit.)

James Ackerman ha preso spunto da John Mc Andrew e dalla sua storia dell’architettura veneziana del Rinascimento per attirare l’attenzione sulla serie di chiese veneziane a pianta centrale costruite fra il 1480-90 (come Sant’Andrea della Certosa, oggi distrutta) e il 1529 (inizio della costruzione di San Felice). Per cinquant’anni cioè in laguna vi fu la renovatio marciana e si seguì un modello che aveva radici storiche ben precise veneto-bizantine in San Giacometto di Rialto, San Geminiano e San Salvador (chiese tutte fondate secondo la leggenda da Narsete riferita da Marin Sanudo. Mauro Codussi è certamente architetto di ben altro spessore rispetto allo scultore-architetto Pietro Lombardo. Nella ricostruzione di Santa Maria Formosa 1492—1504, probabilmente rielaborò l’impianto originale veneto-bizantino in uno spazio complesso, scandito per moduli, dove le proporzioni della cupola, della navata centrale, del transetto e del presbiterio, coperti da volte a crociera su pennacchi, sono confrontabili visivamente con quelle delle navate laterali, coperte da cupole su pennacchi, e con quelle delle profonde cappelle, voltate a botte, separate da setti dove si aprono bifore. Gli effetti di trasparenze e proporzioni vengono esaltati dalla semplicità dei pilastri e dei fregi privi di ogni decorazione, quasi in contrappunto polemico con la ricchezza decorativa dei Lombardo. Questa volta non è l’ordine architettonico a modulare lo spazio, ma sono gli spazi modulari che si concatenano con una complessità inconcepibile nella Firenze di Brunelleschi. L’interno di questa chiesa offre al visitatore che la percorra un gran numero di vedute diverse. La veduta dalla navata centrale verso le navate laterali e le cappelle, e quelle attraverso le bifore delle cappelle, cambiano e si riallineano continuamente in una sequenza estremamente interessante. Ma è soprattutto nella chiesa di San Giovanni Crisostomo, iniziata nel 1497, che si possono osservare le maggiori somiglianze e analogie con lo spazio del tempio della incisione Prevedari (1481). Essa rappresenta infatti un tempio con cupola centrale su pennacchi retta da quattro pilastri con i bracci della croce greca coperti con volte a botte e quattro cupolette a vela ai lati. E a proposito di questo Arnaldo Bruschi ha avanzato l’ipotesi di un interesse di Bramante per l’architettura bizantina. Nella chiesa parrocchiale di San Giovanni Crisostomo le strutture lapidee disegnano una gabbia prospettica di ascendenza toscana e la differente altezza fra l’ordine maggiore corinzio e il minore toscano è risolta nei quattro pilastri isolati al centro con una compenetrazione che li rende ambivalenti. Al quinconce di base si aggiungono due tipi di cappelle: le tre absidali seguono la forma bizantina; quelle laterali sono tipicamente rinascimentali nella loro pianta rettangolare. Come già Ackerman , poi Tafuri e infine Concina, hanno scritto, ciò rientra nel revival tardo antico e bizantino che connota Venezia come nuova Costantinopoli: il modello delle chiese bizantine più antiche della città viene a coincidere con quello dei monasteri serbi del medioevo. John McAndrew giustamente la giudica tradotto in una lingua nuova e dotato di vita propria. Essa discende dalla parte anteriore di Sant’Andrea Certosa (come ha osservato Ackerman che ha avanzato l’attribuzione a Codussi) e nello stesso tempo è la capostipite di tutta una serie di chiese veneziane a croce greca.

Mauro Codussi, Santa Maria Formosa dal 1492, interno.

Mauro Codussi, Santa Maria Formosa dal 1492, interno.

Mauro Codussi, Santa Maria Formosa dal 1492, interno.

Mauro Codussi interno di San Giovanni Crisostomo iniziata nel 1497

Restituzione prospettica del tempio dell’incisione Prevedari (disegno di G.C. Miletti da Bruschi, Bramante…, cit.).

Codussi e Bramamante furono contemporanei e studiarono la tematica degli spazi sacri fra loro concatenati a croce inscritta che fu un tema cruciale dell’architettura della loro epoca Bruschi ha scritto che :. Inoltre egli ha messo in relazione la pianta di tempio a quinconce con le illustrazioni di templi antichi del Vitruvio di Cesariano, con la chiesa della Madonna di Mongiovino e con i disegni di chiese attribuiti a Bramante conservati nella Biblioteca Ambrosiana di Milano Nel 1504 si inizia la ricostruzione della chiesa parrocchiale di Santa Maria Mater Domini, che non è a pianta greca, ma che presenta due campate coperte da volte a crociera e una cupola centrale, attuando così una contaminazione fra il modello di Santa Maria Formosa e quello di San Giovanni Crisostomo. Qui però non si trovano più i semplici pilastri lombardeschi ma semicolonne dalla forte entasi che sorreggono la trabeazione inquadrando gli archi. L’ordine architettonico con colonne corinzie e una pesante trabeazione diventa qui per la prima volta a Venezia l’elemento di organizzazione dello spazio e la cupola priva di tamburo è retta da colonne che sembrano liberarsi dalla muratura. La struttura dell’ordine trabeato caratterizza anche la ricostruzione di San Geminiano e Mena a opera di Cristoforo del Legname a iniziare dal 1505, oggi distrutta, con una delle prime cupole rinascimentali veneziane con tamburo fortemente rialzato, come si può vedere in un disegno della Bibliothèque Nationale di Parigi pubblicato da Concina. Essa si rifaceva probabilmente alla chiesa preesistente con una disposizione a quincoce simile a San Giovanni Crisostomo, ma vi era un uso misto di semicolonne scanalate con capitelli corinzi e pilastri, le prime usate nella croce centrale e a sostenere i pennacchi sotto la cupola, i secondi usati per gli spazi minori circostanti. E stata notata la coincidenza fra l’inizio dei lavori per il nuovo San Pietro e quella di San San Salvatore a Rialto L’8 agosto del 1506 viene approvato il progetto di Giorgio Spavento, proto dei Procuratori de Supra, e i lavori iniziano l’anno successivo, per poi passare sotto la guida di Tullio Lombardo dopo la morte di Spavento nel 1509; Questa opera è eccezionale perché usa il quinconce marciano per una ricerca spaziale non definibile semplicemente come neobizantina. La distrutta chiesa di San Nicolò a Castello, consacrata nel 1503 e attribuita a Spavento, può essere un precedente nel quinconce risolto in alzato come travata ritmica. Inoltre fra il 1505 e il 1506 Fra Giocondo inviò da Venezia la sua opinione per San Pietro a Roma (Firenze, Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi, UA6r) che presenta una navata maggiore coperta da cupole su pilastri quadrupli. Il chiaro riferimento al modello marciano non esclude una ricerca originale che si arricchisce delle suggestioni della basilica francescana di Sant’Antonio a Padova.

Santa Maria Materdomini dal 1515, San Geminiano

San Salvador iniziata da Giorgio Spavento progetto approvato 8 agosto 1506, fra Giocondo idea per San Pietro 1505.1506, Firenze, Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi, UA6r.

Ma in questa opinione non si ritrova il senso delle grandi murature piene che regola gia il “piano di pergamena” di Bramante. Resta però il fatto che in San Salvador il sistema spaziale a quinconce è e in alzato la travata ritmica – che non è più solo parete, bensì spazio e volume - presenta un ordine minore ionico e uno maggiore corinzio (è la prima volta che l’ordine gigante appare in un interno veneziano), raccordati da un attico alla cornice di imposta delle volte e dei pennacchi delle cupole. Si tratta di un’architettura colta, basata su rigorose ricerche geometriche, dove la bicromia della pietra grigia e dell’intonaco bianco fa risaltare le proporzioni teorizzate da Luca Pacioli e da Fra Giocondo. Nel 1509 Bramante dà inizio alla piccola chiesa dei Santi Celso e Giuliano ai Banchi a Roma, la costruzione interrotta poco dopo l’inizio fu demolita. Dalle due piante e dalle due vedute che restano dell’interno essa era una specie di modellino in scala ridotta di San Pietro nella prima versione espressa dal piano di pergamena. Quinconce, cupola centrale, e quattro cupole minori, braccia voltate a botte e absidi semicircolari; ma vi sono anche vistose differenze con il San Giovanni Crisostomo di Codussi. La cupola ampia domina la composizione, essa poggia su setti diagonali articolati da lesene e non su pilastri puntiformi, lo spazio centrale ampio e luminoso per l’uso del tamburo finestrato non è più la scarna griglia prospettica, e i pilastri puntiformi (come erano ancora nel tempio in rovina dell’incisione Prevedari) diventano masse murarie diagonali articolate da lesene. Più vicina alle chiese parrocchiali veneziane è la parrocchiale di Roccaverano (1509 e sgg.) con la cupola priva di tamburo e posta su pennacchi retti da semplici pilastri, ma il profondo presbiterio è piuttosto simile a quello di Santa Maria del Popolo. Codussi usa spesso la colonna libera in facciata come elemento plastico ornamentale. Appare ripetutatemente in coppia nella facciata di San Zaccaria (1483-90), dove la ricca ed elegante ornamentazione si articola su piani sovrapposti, riunificata però dal forte chiaroscuro prodotto dalla cornice della lunetta centrale e di quelle laterali. Così un doppio ordine di colonne binate regge l’arcone del profondo protiro nella facciata di Santa Maria Nascente ad Abbiate Grasso iniziata nel 1497 o poco prima. La plasticità è albertiana, ma il motivo della facciata di Roccaverano ad arco trionfale che ispira la Sagra di Carpi e poi il San Giorgio di Palladio, non è molto distante dal grande polittico di San Zaccaria. Colonne con dado brunelleschiane si trovano nel cortile e nella polifora in facciata di palazzo Zorzi a San Severo, attribuito a Codussi, e in costruzione fino al 1490 circa come nel chiostro di Sant’Ambrogio a Milano.

La resa plastica della facciata mediante colonne aggettanti è un tema che accomuna Codussi a Bramante. Il palazzo Loredan poi Vendramin Calergi (1502?-1508 c.a) riprende l’effetto prospettico di superfici sovrapposte, già sperimentato nel fronte di San Zaccaria, risolvendolo in maniera compiuta con il triplice ordine corinzio trabeato che avanza rispetto al piano delle bifore per fingere una duplice facciata dalle trasparenze multiple. I pieni sono ridotti ai soli segmenti ai lati della parte centrale e agli angoli, senonché la decorazione classica a clipei li risolve in superfici di sfondo alle colonne accoppiate che definiscono la tripartizione verticale. Nel primo piano del distrutto palazzo di Raffaello in via Alessandrina, Bramante inaugura un nuovo tipo di architettura civile cinquecentesca con il colonnato binato dorico che inquadra le finestre con architrave diritto coronato da timpano. Analoga è la soluzione del risvolto d’angolo con la ripetizione della colonna del palazzo Vendranin Calergi che inoltre presenta nelle parti ai lati delle logge centrali il motivo della con due intervalli brevi ai lati del lungo occupato dalla bifora. Nel 1507 Sebastiano da Lugano inizia la ricostruzione di San Fantin poi completata da Antonio Abbondi detto Scarpagnino sul modello di San Salvador. Il modello però viene frainteso e impoverito: si ripetono i pilastri raggruppati a quattro che sostengono un frammento di volta a botte, ma al posto di una cupola il vano più alto e più largo della navata viene coperto da una volta a crociera anziché da una cupola come in San Marco. La cupola compare solo nel presbiterio, sopra l’altare maggiore. Sempre Scarpagnino inizia fra il 1527 e il 1529 la costruzione della chiesa di San Giovanni Elemosinario a Rialto. La collocazione nel cuore dell’emporio realtino è simile a quella romana ai Banchi dei Santi Celso e Giuliano, come pure l’impostazione a quinconce, che però tiene conto dell’esperienza di San Salvador, attraverso la versione impoverita di San Fantin. Ampi pilastri si articolano in paraste per reggere le volte a botte e la cupola centrale con occhio, ma il braccio longitudinale ha maggior sviluppo di quelli laterali e il presbiterio è illuminato da una cupola a tazza con occhio centrale. Nel 1529 Giovanni e Antonio da Carona danno inizio alla ricostruzione della parrocchiale di San Felice a Cannaregio dove si ritorna alla semplicità dei pilastri senza colonne e alla bicromia codussiana priva di ordini. La navata longitudinale prevale in lunghezza su quelle laterali e le volte a botte si incontrano nell’unica cupola priva di tamburo. Quasi conterranei di Codussi, Carona dista pochi chilometri da Lenne sempre nella val Brembana, questi costruttori sono però enormemente distanti sul piano artistico e inventivo, epigoni di una tradizione che ormai si deve confrontare con la presenza a Venezia di colti architetti come Sansovino e Serlio, che pure sapranno con umiltà chinarsi alle conoscenze pratiche dei e alle consuetudini locali, impersonate dalla figura di un altro lombardo: Antonio Abbondi detto lo Scarpagnino.

Mauro Codussi facciata di San Zaccaria 1483-90, facciata di palazzo Loredan a San Marzuola 1502?-1508

San Felice dal 1529 Scarpagninio San Giovanni Elemosinario dal 1529

W. STEDMAN SHEARD, Bramante e il Lombardo: ipotesi su una connessione. in Venezia e Milano , Milano, Electa 1984, pp. 25-56 e in particolare la nota 1 a p. 49. P. SOHM, The Scuola grande di San Marco (1437-1550), the architecture of a Venetian Lay Confraternity, New York & London, Garland 1982, p. 133 P. PAOLETTI, L’architettura e la scultura del Rinascimento a Venezia, Venezia, Ongania 1893, vol. II, pp. 103, 109-110 H. A. VON GEYMUELLER, Die urspruenglichen Entwuerfe fuer Sanct Peter in Rom, Wien-Paris, 1875, p.7 R. WITTKOWER, Principi architettonici nell’età dell’umanesimo, (1949), Torino, Einaudi 1964, p. 56. J.S. ACKERMAN, Observations. on Renaissance church planning in Venice and Florence, 1470-1570, in Florence and Venice: Comparisons and Relations, II Cinquecento, Villa i Tatti, Firenze, Olschki 1980, pp. 287-307. E. CONCINA, Storia dell’architettura di Venezia dal VII secolo al XX secolo, Milano, Electa 1995, pp. 120-151. J. ACKERMAN, Observations…. Cit., pp. 289-90; MC ANDREW, Venetian Architecture…, cit. p. 303; M. TAFURI, La . La rappresentazione della nella Venezia dell’Umanesimo (1450-1509), in , 9, 1982, pp. 25-38 E. CONCINA, Storia dell’architettura di Venezia…, cit., pp. 120-125, 136-151. A. BRUSCHI, Bramante architetto, Bari, Laterza 1969, p. 153. C’è da notare che la prima cupola con tamburo rinascimentale a Venezia è quella di Santa Maria dei Miracoli (1481-89), quasi contemporanea è quella di San Rocco, iniziata nel 1485 da Bartolomeo Bon, e poi quella di San Sebastiano iniziata nel 1508 da Antonio Scarpagnino. Ma. sull’esempio marciano, già quella San Giobbe (1471-76) presenta finestre aperte nell’intradosso mentre all’esterno essa appare come un cilindro coperto da un semplice tetto di coppi a forma di cono. La volontà del doge Cristoforo Moro era quella di essere sepolto in un luogo che ricordasse l’altar maggiore della chiesa ducale, ma per ragioni economiche non fu possibile elevare una cupola esterna con struttura in legname e copertura in piombo, come a San Marco. M. TAFURI, Venezia e il Rinascimento, Torino, Einaudi 198 5, pp. 46-48. V. FONTANA, Fra Giovanni Giocondo architetto (1435 circa- 1514), Vicenza, Neri Pozza 1988, pp. 65-66, figg. 71-72-73..

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