Caldaico, caldeo

July 19, 2017 | Autor: Pasquale Terracciano | Categoria: Giordano Bruno
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♦ Caldaico, caldeo (Chaldeus) - I Caldei sono un popolo dell’Asia Minore, stanziatosi intorno al IX secolo nella fascia sud-orientale della Mesopotamia, intorno agli estuari del Tigri e dell’Eufrate. Poiché i Caldei riuscirono a ottenere il potere sulla vicina Babilonia, divenendo la dinastia dominante (tra il VII e il VI sec. a.C.), spesso anche quest’ultima civiltà è stata designata con il nome di Caldea. Per il mondo greco e giudaico ‘caldeo’ divenne dunque sinonimo di ‘babilonese’ (Bidez-Cumont 1938, pp. 33-6). Al nome dei Caldei è generalmente associata la diffusione di culti misterici legati a una casta di sapienti. Quando l’impero babilonese venne assorbito dai Persiani, ‘caldeo’, più che designare una provenienza geografica, aveva già iniziato a indicare una classe sociale: quella appunto dei sapienti e dei maghi. Attestazioni in tal senso sono presenti sia nella Bibbia (Dn 1, 4; 2, 2) sia nei testi classici. I Caldei, secondo Filone, sarebbero il popolo più versato nell’astronomia e negli oroscopi; tramite rapporti matematici e musicali essi avrebbero compreso l’armonia del cosmo. Il nome dei Caldei, nella tradizione filosofia antica, richiama inoltre la teurgia e le sue pratiche. Esso è infatti strettamente legato agli Oracoli caldaici, opera composta di frammenti sincretici databili intorno al II secolo a.C. Gli Oracoli, che risultano permeati di elementi platonici, gnostici e persiani, sono rivelazioni sapienziali in esametri, attribuite a Giuliano il Caldeo o al figlio Giuliano il

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Teurgo. Secondo lo schema proposto negli Oracoli vi è una divinità assolutamente trascendente, rappresentabile come un fuoco immateriale (il Padre), dal cui potere promana l’Intelletto che contempla le realtà intelligibili e governa il mondo materiale. A dividere mondo intelligibile e mondo materiale provvede la figura di Ecate, da cui derivano in un processo successivo di emanazioni/implicazioni l’Anima del Mondo, la Natura, il Fato. L’anima umana è di natura divina, una scintilla del fuoco originario che si ritrova nel corpo come in un carcere. La fortuna degli Oracoli era stata grande in vari autori medioplatonici, in particolare in Giamblico, che frequentemente vi fa riferimento e che costituisce una delle possibili fonti per Bruno. Commentati, tra gli altri, da Porfirio e da Proclo, vengono polemicamente citati in diversi luoghi anche da Agostino di Ippona (des Places, 1996, pp. 18 sgg.). Un riassunto degli Oracoli era stato tramandato da Michele Psello, che ne cita e ne commenta 41. Gli Oracoli nel Rinascimento La fama degli Oracoli caldaici e la fiducia nei loro confronti nel corso del Rinascimento è assai ampia. Gemisto Pletone aveva lavorato a un’edizione con commento; egli legò il nome di Zoroastro agli oracoli (tramite il titolo Detti dei maghi zoroastriani) e tale nome accompagnò la loro diffusione (Dannenfeldt 1960, Masai 1956, pp. 136 sgg.). Gli oracoli furono ben presto tradotti in latino, forse non da Marsilio Ficino, come si è ritenuto per vario tempo, ma da Giano Lascaris (Marsilio Ficino e il ritorno di Platone 1984, scheda 20, pp. 25-7; Klutstein 1987). Che fosse o meno il traduttore, Ficino li considerò in ogni caso tramite fondamentale del pensiero del saggio persiano, che poneva all’apice, nella Theologia Platonica, della sua successione della prisca theologia (cfr. Ficino 2011, p. 427). Ficino del resto riteneva che il culto caldaico fosse preferibile allo stesso culto egizio (Ficino 1576, p. 433). Una delle vicende più significative riguarda Giovanni Pico, anch’egli convinto di poter leggere Zoroastro tramite «i monumenti dei caldei». Come si evince dal suo epistolario, Pico cerca di istruirsi nella lingua caldaica attraverso Flavio Mitridate e sostiene di avere, tra i suoi codici, ulteriori, e misteriosi, Oracoli caldaici non compresi tra quelli già noti (lettera a Ficino, autunno 1486, in Kristeller 1937, pp. 272-3). È certamente Mitridate il tramite di questi peculiari Oracoli, che dalle citazioni sparse nei manoscritti dell’Oratio de hominis dignitate e nelle tesi parrebbero testi aramaici scritti in caratteri etiopici (Wirszubski 1989, pp. 241-4), forse dei falsi confezionati dallo stesso Mitridate. Da questi frammenti Pico si sente confermato nelle sue teorie sulla natura e sull’ascesa dell’anima. I Caldei testimoniano della centralità dell’essere umano nell’universo; la teologia caldaica affermerebbe, secondo il persiano Evante, che l’uomo non ha alcuna immagine innata di sé. Secondo un detto dei Caldei, «l’uomo è un essere di natura varia, multiforme e cangiante» (Pico della Mirandola 2003, p. 21). Gli interpreti caldei riportano inoltre la dottrina di Zoroastro secondo cui l’anima è alata e quando perde le

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ali precipita nel corpo (p. 63). Nell’Oratio Pico scrive ancora che «le lettere veramente sacre e i misteri più segreti è necessario chiederli prima agli ebrei e ai caldei, poi ai greci»: le verità che appaiono incerte nelle opere dei Greci rifulgono negli Oracoli nella loro pienezza e perfezione (p. 150). Nei libri caldaici si trova l’esposizione degli stessi misteri presenti nelle Sacre Scritture: la centralità che Pico accorda a questi testi oscuri deriva del resto proprio dal tentativo di fondere la Bibbia con la prisca theologia. Nel secolo successivo la fortuna degli Oracoli non declina. Nel 1538 viene pubblicata a Parigi l’edizione di Gemisto Pletone, che ebbe diverse ristampe. Nel 1591 in appendice alla sua Nova de universis philosophia Francesco Patrizi arricchì l’edizione pletoniana con frammenti inediti tratti da autori medioplatonici. I Caldei in Bruno I Caldei appartengono dunque sicuramente alla tradizione della prisca theologia, e in questa veste compaiono in diversi punti del corpus bruniano a testimonianza delle principali verità filosofiche degli antichi. Come gli altri prisci theologi i Caldei sostengono la dottrina dell’immaterialità dell’anima e della sua caduta nel corpo (Lampas trig. stat., om, p. 1462). Negli Eroici furori vengono citati più volte, insieme a pitagorici e platonici, tra coloro che fruttuosamente si dedicarono alla contemplazione e allo studio della natura e di Dio (dfi, p. 820); danno inoltre man forte a cabalisti, maghi, platonici e teologi cristiani nella teoria dei nove ordini in cui sono suddivise le intelligenze celesti (p. 769). Più significativa appare la citazione che compare nel secondo dialogo della seconda parte dei Furori, laddove si descrivono i tentativi di raggiungere la verità oltre il piano delle esperienze corporee. Sono brani cruciali, che compongono un rapido affresco di storia della filosofia sul filo delle metafore silvane, nel quadro generale della grande metafora venatoria che sorregge i Furori. Secondo i Caldei non si può affermare nulla della verità: bisogna invece lavorarvi per sottrazione. Essi «procedevano» dunque «senza cani de demostrazioni e sillogismi; ma solamente si forzaro di profondare rimovendo, zappando, isboscando per forza di negazione de tutte specie e predicati comprensibili e secreti» (p. 919). Lungo il cammino del furioso i Caldei rappresentano quindi uno dei passaggi cruciali – ben lontani dalla logica aristotelica ma legati alla necessità di disvelare il sapere esoterico – del tentativo di ‘stanare’ la divinità, rimuovendo definizioni e predicati come in un’opera di disboscamento. Nell’Oratio valedictoria, i Caldei, insieme a orfici, cabalisti, Magi e pitagorici, testimoniano delle fasi storiche in cui si è insediata ed è stata riverita la Sapienza. In particolare essi costituiscono, insieme agli Egizi, la prima «casa» nella quale la Sapienza decise di fermarsi tra gli uomini, prima di giungere tra i Persiani e i Magi (ol I, 1, p. 16). L’equivalenza tra la ricerca della verità e la sua ‘permanenza’ presso i Caldei ricorre altre volte nel testo (pp. 19, 22). La verità e l’antichità dei Caldei vengono talvolta proposte in contrapposizione all’aristotelismo. Così, nel primo dialogo della

Cena de le Ceneri, sono citati – ancora una volta insieme a Egizi, Magi, orfici e pitagorici – a testimonianza di un sapere anteriore a quello aristotelico promosso da Prudenzio in virtù del suo considerarsi «amico de l’antiquità», secondo una concezione statica del tempo, che Bruno avversa (dfi, p. 33). Nella «ruota del tempo» di Bruno invece le civiltà si susseguono, la sapienza si alterna alla barbarie; ma è proprio nel tempo dei «Caldei e Pitagorici» che la «scienza naturale e divina» è stata «in exaltazione» (Cabala, dfi, p. 724), in opposizione al punto bassissimo rappresentato dall’aristotelismo. I Caldei sono tenuti in maggiore onore dai neoplatonici: la credenza di Plotino nel potere dei nomi personali come segno del destino, ad esempio, deriverebbe dal suo essere imbevuto di pensiero caldaico e persiano (De rer. princ., om, p. 700). Anche alcune pagine bibliche, in particolare quelle del Libro di Giobbe, sarebbero intrise di «profunda arcana» caldaici (De monade, ol I, 2, pp. 390, 418). L’Asino cillenico verrà ironicamente chiamato «matematico o caldeo», quando nell’accademia gli concederanno di esporre le proprie opinioni (Cabala, dfi, p. 745). Non è infatti raro il richiamo cosmologico e astrologico delle dottrine dei Caldei, che vengono considerati i veri e propri fondatori della dottrina astrologica (De rer. princ., om, p. 648). Si fa dunque riferimento ad essi riguardo ai poteri e alle caratteristiche degli astri (p. 656): Caldei e Babilonesi stabilirono le sette case, nelle quali si esplicano le virtù dei sette pianeti, e le 48 case che richiamano le virtù dei segni (p. 662; cfr. anche De monade, ol I, 2, p. 427). Essi sono inoltre un’autorità fondamentale nella discussione sulla natura sostanziale delle luce, che non consideravano una realtà ontologica diversa dalle altre (De rer. princ., om, p. 596; De minimo, ol I, 3, p. 171). I Caldei venerano il Sole, che mettono al centro dei sette pianeti, quasi come tabernacolo divino (Camoer. Acrot., ol I, 1, p. 177). Tale venerazione (così come quella per il fuoco e le stelle) è richiamata anche nel Sigillus sigillorum (omn II, p. 269) e nella Lampas (om, p. 1124). Considerando Dio come fuoco, i Caldei gli attribuiscono un corpo e ritengono suoi ministri le fiamme (De monade, ol I, 2, p. 408). Cursorie citazioni sul loro modo di concepire il fuoco, gli astri e le intelligenze dei pianeti sono presenti anche nel De immenso (ol I, 1, p. 376). P. Terracciano Vedi anche Antichità, antico; Astronomia; Babilonia / Babelle; Magia; Sapienza; Sole Opere des Places 1996, Ficino 1576, Ficino 2011, Pico della Mirandola 2003 Bibliografia Bidez-Cumont 1938, Bori 2000, Dannenfeldt 1957, Dannenfeldt 1960, Klutstein 1987, Kristeller 1937, Lewy 1978, Masai 1956, Wirszubski 1989

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