Caravaggio, 2010

July 18, 2017 | Autor: M. Terzaghi | Categoria: Caravaggio
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Caravaggio, 2010 MARIA CRISTINA TERZAGHI

Sybille Ebert-Schifferer, Caravaggio: Sehen – Staunen – Glauben. Der Maler und sein Werk, Monaco di Baviera, Beck, 2009 (trad. fr.: Caravage, Parigi, Hazan, 2009).

Sebastian Schütze, Caravaggio. L’opera completa, Colonia, taschen, 2009.

Mina Gregori (ed.), Caravaggio e la modernità. I dipinti della Fondazione Roberto Longhi, (catalogo della mostra: Firenze, Villa Bardini, 22 maggio17 ottobre 2010), Firenze, Giunti, 2010.

Valeria Merlini, Daniela Storti (ed.), Caravaggio: Adorazione dei pastori, (catalogo della mostra: Roma, Camera dei Deputati, 11-14 febbraio 2010), Milano, Skira, 2010.

Rossella Vodret (dir.), I colori del buio. I caravaggeschi nel Fondo Edifici di Culto, (catalogo della mostra: Roma, Palazzo Ruspoli, 15 aprile18 luglio 2010), Milano, Skira, 2010.

Francesca Cappelletti, Caravaggio. Un ritratto somigliante, Milano, Electa, 2009

Claudio Strinati (dir.), Francesco Buranelli, Rossella Vodret (ed.), Caravaggio, (catalogo della mostra: Roma, Scuderie del Quirinale, 20 febbraio13 giugno 2010), Milano, Skira, 2010.

Gianni Papi (ed.), Caravaggio e caravaggeschi a Firenze, (catalogo della mostra: Firenze, Galleria Palatina – Galleria degli Uffizi, 22 maggio17 ottobre 2010), Firenze, Giunti, 2010.

Il Fatto Cito dal blog di un noto giornalista: “Ho contato tra gli scaffali nella mia libreria. E ho scoperto di avere 42 libri su Caravaggio (solo Picasso lo batte con 51). Dovessi tenermi aggiornato con quel che sta uscendo dovrei uscire di casa e aprire un mutuo” 1. Un piccolo censimento, che comprende l’autunno-inverno 2009 (le strenne natalizie fanno parte del nuovo anno per l’industria dell’editoria) e il 2010 (giusto a metà) ha sortito infatti i seguenti risultati: sei monografie (di cui due tradotte in più lingue), e otto esposizioni dedicate all’artista: in media più di una monografia e un’esposizione al mese. Senza contare i tascabili, le riedizioni (di libri, ma anche di film e di fiction), gli articoli e i saggi in riviste più o meno specializzate 2.

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Di fronte ad una simile escalation di pubblicazioni, non si può che prendere atto che il quarto centenario della morte del pittore si è rivelato una ghiotta occasione non solo per gli studiosi, ma anche per gli editori: ciascuno ha voluto il “suo” Caravaggio. Business is business. Se il marketing non presenta troppe sorprese, e può facilmente rientrare nella ben nota industria delle celebrazioni, dal punto di vista della storia dell’arte, dei cosiddetti “contenuti”, raccogliere le fila di questa vasta produzione è un’impresa che sgomenta. E, come, nel 1973, in occasione di quello che allora si riteneva il centenario della nascita dell’artista, due importanti convegni e alcune imprese editoriali diedero nuovo impulso agli studi, ci si chiede se parleremo di un “Caravaggio post 2010” 3. troppo presto per dirlo. Ma, senza alcuna pretesa definitoria, mi pare si possano già enucleare alcuni snodi critici che segnano la nuova letteratura intorno all’artista, e sui quali è forse bene iniziare a ragionare.

l’IDEntItà PERDUta? “Per restituire a Caravaggio l’integrità e il fascino della sua straordinaria grandezza di artista si è ritenuto opportuno partire da una rigorosa selezione delle sole opere autografe del maestro – quelle citate dai documenti e dalle fonti e quelle unanimemente accettate dalla critica moderna – costituendo così un corpus di poco più di sessanta capolavori assoluti” 4, un’esigenza, quella messa in campo dai curatori della mostra in corso a Roma, Scuderie del Quirinale 5, che viene ribadita dalla stessa Rossella Vodret ad apertura della monografia dedicata all’artista 6, e, con argomenti che privilegiano forse la lettura documentaria, da Francesca Cappelletti, autrice di un’altra delle recenti uscite monografiche sul pittore 7. Il passo citato mi pare estremamente significativo almeno da due punti di vista: innanzitutto l’esigenza di recuperare una chiarezza nel corpus delle opere dell’artista, e, in secondo luogo, i criteri sui quali si debba fondare questo tentativo di tirare le redini di un cavallo che si ritiene imbizzarrito: fonti, documenti e unanime consenso critico 8. Il risultato dovrebbe essere un Caravaggio senza ombre, destino singolare per un artista che dell’ombra fece la sua bandiera. non è difficile capire come, dalle colonne del Giornale dell’Arte, Mina Gregori abbia obiettato ad un simile programma con la seguente osservazione: “Hanno azzerato cinquant’anni di studi” 9. negli ultimi cinquant’anni in effetti di Caravaggio se ne sono incontrati tanti: filippino quello di Calvesi, libertino quello di Bologna, tiracampare quello di Spezzaferro, poi è stata la volta del Caravaggio delle incisioni, e via dicendo. nessuno però ha mai dubitato dell’identità pittorica dell’artista: quadro più, quadro meno, parlando del Merisi si sapeva bene a cosa ci si riferiva. Merito in primis di Roberto longhi, che con la storica esposizione milanese del 1951, consegnò una vivida immagine dell’artista agli studi 10, immagine resa sempre più nitida grazie ad importanti contributi successivi 11. ad essi diede piena voce il catalogo scientifico di Mia Cinotti 12. l’equilibrio dell’approccio scientifico, la puntuale ricognizione critica, documentaria, iconografica, l’acutezza nella lettura dell’opera, rendono questo testo per certi aspetti esemplare e normativo: una parola precisa e puntuale sul catalogo di un artista che, all’indomani del 1983, quando quel contributo vide la luce, poteva in buona parte considerarsi assestato e, per quanto possibile in quella che non è una scienza esatta, a grandi linee definito. non sembra un caso che tra la fine degli anni ottanta e il principio dei novanta, si siano ritrovati ben due Caravaggio ritenuti perduti: i Bari di Fort Worth e la Cattura di Cristo di Dublino. la comunità scientifica non ebbe allora grandi difficoltà a dichiararsi d’accordo con quelle attribuzioni (ampiamente confortate, tra l’altro, dalla ricerca documentaria e dalle fonti): la pietra di paragone non mancava 13. Gli ultimi vent’anni di studi sembrano invece attraversati da una profonda crisi di

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identità, caratterizzata dalla insistenza di un dibattito critico che ha visto il repechâge di attribuzioni già in passato scartate, e, in seguito convalidate, spesso grazie a nuovi restauri 14. Impossibile in questa sede inseguire in dettaglio il rincorrersi delle attribuzioni a Caravaggio, divenuto esponenziale negli ultimi anni. Un utile viatico può comunque essere considerata la recente riedizione della monografia di Maurizio Marini, che appare densa di novità attributive 15, accanto alla lettura di alcuni numeri di Paragone 16. Un ulteriore saggio di quanto il dibattito sia vivace si è avuto nella mostra napoletana del 2004, dove era stata allestita una sezione di “nuove proposte”, proprio per dare spazio alla vicenda 17, e alla più recente esposizione di Düsseldorf, dove veniva affrontata la questione delle copie 18. Per un aggiornamento delle problematiche al 2009, la cosa più semplice, tuttavia, è forse attingere alla sontuosa monografia che Sebastian Schütze ha dato alle stampe per i tipi della taschen, approntando un catalogo delle opere di Caravaggio scandito in due sezioni: la prima dedicata ai dipinti certi e alle relative copie, alcune delle quali già attribuite al maestro; la seconda riservata invece alle opere che non sono unanimemente accettate dalla critica 19. a giorno di un simile apparato iconografico, ci si rende certamente conto che le questioni sono scottanti e di non facile risoluzione. Già sulle cosiddette opere “unanimemente accettate dalla critica moderna” non è così semplice intendersi. nonostante la letteratura si sia generalmente espressa in modo favorevole, per Schütze, ad esempio, l’Ecce Homo di Palazzo Bianco a Genova non è un originale, e della stessa opinione sembra Sybille Ebert-Schifferer 20. Un problema ancora più spinoso è quello posto dal Ragazzo morso dal ramarro della Fondazione longhi, sul quale ha sempre aleggiato un unanime consenso, e che invece troviamo declassato a copia da Schütze 21. a conti fatti, dunque, al di là delle opere pubbliche, e dei quadri di documentata provenienza sembra che questo “unanime consenso critico”, quantomeno in taluni casi, sia più virtuale che reale. E, del resto, la cosa pare assolutamente legittima: il dibattito scientifico su questa o quella attribuzione è parte integrante della storia della critica e dell’arte in generale, ed anzi ne è costante alimento 22. Il volume di Francesca Cappelletti, ben consapevole della difficoltà della questione, decide dunque di cambiare strada e, anziché addentrarsi nel ginepraio delle recenti attribuzioni, sceglie di seguire un rigoroso filo storico. È difficile per chi ha qualche trascorso accademico (quantomeno italiano) non riconoscersi in questa monografia: scorrevole, piana, aggiornata, corredata da macro fotografie generalmente ben stampate. ai propri studenti, infatti, la Cappelletti dedica l’opera, che, a mio avviso, ha il grande pregio di essere condotta con metodo. Sulla scorta di quello che la studiosa dichiara uno dei propri principali modelli: la biografia di Helen langdon (effettivamente un testo equilibrato, e che, per di più, ha l’intelligenza del formato tascabile e del prezzo accessibile) 23, la Cappelletti non si sofferma in spinose questioni attributive, mantenendosi, se necessario, nel campo delle ipotesi, e mettendo invece l’accento su quanto è possibile affermare con certezza attraverso la lettura di fonti, documenti e indagini tecniche. Con alcune licenze: tra le più vistose il Rosario di Vienna ricondotto agli anni romani, e il già ricordato dubbio sull’Ecce Homo di Palazzo Bianco 24. ancora più “restrizionista” sembra il testo di Rossella Vodret. Da esso sono infatti bandite alcune opere presentate dalla Cappelletti come problematiche: il Sacrificio di Isacco della Piasecka Johnson, e il Cavadenti fiorentino, ad esempio 25. Unica eccezione il Narciso di Palazzo Barberini, un quadro sul quale la studiosa è tornata più volte in questi anni, ribadendo l’attribuzione al maestro, e che è diventato oggetto di una delle appendici del volume dove, a dispetto delle perplessità di parte della critica recente, la Vodret riafferma con vigore l’autografia della tela, anzi “la dà per scontata” 26. Il tono del volume è discorsivo e certamente diretto a un pubblico colto, interessato, ma non specialistico, come dimostra, tra l’altro, l’assenza delle note. Di particolare interesse è la scelta di enucleare alcune tematiche rivelatesi cruciali nel percorso storico critico dell’artista, dandone conto a margine del racconto, a vantaggio di una divulgazione di alto profilo.

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la preoccupazione di una lettura il più possibile oggettiva dell’œuvre caravaggesca, sembra dunque il punto di partenza dei volumi cui si è accennato. Solo in parte diversi i presupposti di Sybille Ebert-Schifferer, che, per quanto si dichiari decisamente “restrictionniste” contro gli “expansionnistes”, che identifica soprattutto con gli studiosi italiani 27, sembra invece fortemente interessata a mettere in luce i più recenti contributi critici, tentando una sorta di sincretismo tra diversi approcci e metodologie, nel serio proposito di abbattere in particolare gli steccati linguistici. Il testo, molto ben informato, pensato inizialmente a beneficio del pubblico di lingua tedesca, è stato contemporaneamente tradotto anche in francese, e si pone a metà strada tra il racconto biografico e la monografia di taglio anglosassone, proponendo in coda alla narrazione un capitolo stilistico nel quale si individuano i caratteri peculiari della rivoluzione pittorica di Caravaggio, ed un catalogo dei dipinti autografi, che raccoglie la bibliografia a partire dalla fine degli anni novanta, una scelta che effettivamente permette di entrare nel vivo del dibattito critico con maggiore immediatezza. Di particolare interesse mi sembra il capitolo sugli anni lombardi. In esso la EbertSchifferer, pone l’accento sull’importanza della figura di Simone Peterzano come mediatore del venetismo di Caravaggio, proponendo anche il confronto con opere realizzate da artisti che appartenevano alla stessa cerchia tizianesca, come la Suonatrice di liuto di Parrasio Micheli 28. Certamente il Peterzano che ci hanno consegnato i più recenti contributi critici ha una produzione profana di gusto decisamente veneto, di grande modernità e di indiscutibile qualità. tuttavia, anche alla luce di queste importanti acquisizioni, non mi sentirei tranquilla nel mettere sul conto del maestro l’intera sapienza veneta dell’allievo. nonostante l’esibita sensualità, l’acceso cromatismo, la sensibilità luministica di opere quali l’Angelica e Medoro (collezione privata), Peterzano resta un artista profondamente tardomanierista, nel senso di una produzione rigorosamente impostata sul più schietto disegno accademico, come dimostrano tra l’altro in modo straordinario i moltissimi disegni provenienti dalla sua bottega, solo in parte pubblicati 29. Caravaggio poté forse giungere alla profonda comprensione stilistica della pittura veneta del Cinquecento anche attraverso altre, forse parallele, sollecitazioni pittoriche. I “precedenti” longhiani sono ben noti e non mette qui conto rivogarli, ma di fronte alla zaffata di luce che illumina il fondo del Ragazzo col cesto di frutta della Borghese, l’immagine che viene ancora in mente per prima, nonostante le pur legittime incursioni nella scultura ellenistica, o nella pittura leonardesca di primo Cinquecento 30, è il fondo grigio del Sarto di Moroni, attraversato dalla stessa sciabolata di chiarore. Un approfondimento delle posizioni longhiane lo vedrei, dunque, nella direzione di una rinnovata riflessione su certo Cinquecento veneziano. “Che rumore è mai questo? Io non ci vedo altro che il pensiero di Giorgione”, la celeberrima esclamazione di Federico Zuccari di fronte alla cappella Contarelli, riferita da Giovanni Baglione 31, mi sembra infatti una lettura critica talmente pertinente ed appropriata da invogliare a vederci più chiaro: che si intendeva con “Giorgione” nella Roma del 1600 32?

RoBERto lonGHI SI, RoBERto lonGHI no Più o meno latente, da qualche anno è in atto una profonda revisione nei confronti del Caravaggio di Roberto longhi, circoscritta in particolare al problema dei “doppi” e delle seconde versioni 33. le celebrazioni caravaggesche non sembrano aliene dal nuovo trend critico. tocca a Firenze, città longhiana per elezione, la parte del leone in questa vicenda. a differenza della mostra romana, che si propone una sorta di rappel à l’ordre nel catalogo del pittore, l’esposizione Caravaggio e Caravaggeschi a Firenze curata da Gianni Papi, che presenta una rassegna di opere dell’artista e dei suoi seguaci ubicate a Firenze 34, si muove con maggiore libertà, proponendo un paio di nuove attribuzioni al maestro 35. In entrambi i casi si tratta di ritratti. Il primo è un dipinto già inserito nel catalogo

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dell’artista da John Spike. l’iscrizione vergata sulla tela suggerisce che il personaggio effigiato sia il cardinale Cesare Baronio, Papi tuttavia giudica la scritta apocrifa e propone invece di identificare il prelato con Benedetto Giustiniani 36. Il secondo invece è il Ritratto di Maffeo Barberini, di proprietà Corsini, un’opera già espunta dal catalogo dell’artista, e, in seguito ad un recente restauro, attribuita a Caravaggio congiuntamente da Keith Christiansen, che firma la scheda in catalogo, e da Gianni Papi 37. In quella sede lo studioso americano, giustificando la propria presa di distanza dal parere dell’autorevole critico, elenca, tra l’altro, una serie di “papere” longhiane 38. In realtà, nonostante le sviste di longhi, non mi pare che l’autografia del quadro Corsini sia facilmente sostenibile. Quantomeno bisognerebbe spiegare come uno straordinario naturamortista come Caravaggio nel 1597 circa, quando Christiansen pensa abbia eseguito questo quadro, possa aver realizzato una caraffa di fiori stilisticamente e concettualmente tanto lontana da quella che compare, mirabile nella sua eccellenza, nel Suonatore di liuto dell’Ermitage, anche questa un’opera giovanile. Se non basta il confronto con quel pezzo di bravura, varrà forse la pena rileggere la rapita descrizione di Bellori di fronte al quadro che il Merisi aveva realizzato per il cardinal Del Monte all’incirca nello stesso periodo, oggi perduto: “Dipinse una caraffa di fiori con le trasparenze dell’acqua e del vetro e co’ i riflessi della finestra d’una camera, sparsi li fiori di freschissime rugiade” 39.

InDaGInI tECnICHE al di là del dibattito attributivo, la vicenda del Maffeo Barberini Corsini chiama in causa un problema che mi pare tra i più scottanti nell’odierno approccio a Caravaggio: quello della diagnostica. l’esposizione allestita e curata da Mina Gregori tra Firenze e Roma nel 1992 ha infatti messo a fuoco l’importanza di indagini tecniche che aiutino a comprendere la tecnica esecutiva dei dipinti caravaggeschi 40. Si trattava di un nuovo metodo per comprendere più a fondo la portata dell’innovazione pittorica di Caravaggio. E fu accolto con entusiasmo dalla comunità scientifica. Da quel momento in poi, l’utilizzo di strumenti tecnici, tra l’altro sempre più sofisticati, è stato largamente introdotto nelle indagini sulle opere caravaggesche, rivelandosi talvolta risolutivo di problemi che sembravano inestricabili 41. lo strumento in sé e per sé appare dunque non solo legittimo, ma necessario, e anche una certa enfasi ed entusiasmo nei confronti della novità della metodologia, è del tutto comprensibile. Quello che invece si vorrebbe rilevare in questa sede è il pericolo di una lettura dei risultati della diagnostica svincolata dagli altri fattori che concorrono ad una corretta attribuzione: innanzitutto il linguaggio figurativo e la qualità dell’opera e in seconda battuta gli eventuali dati storici che possono provenire da fonti e documenti. Il nulla osta delle indagini tecniche, non equivale insomma ad una certezza. appena più sotto la superficie di una simile prassi, sembra infatti serpeggiare una sorta di abdicazione della storia dell’arte alla “gaia” scienza, di marca positivista. a ben guardare infatti questo genere di argomentazione nasce dalla medesima esigenza di una assoluta oggettività nella ricostruzione dell’opera del Merisi che, come si diceva, caratterizza i più recenti studi sull’artista. Il raggiungimento di una simile certezza è consegnato da taluni a fonti e documenti, da altri alla diagnostica. ad essere in crisi sembra, insomma, non tanto il catalogo di Caravaggio, ma la connoisseurship, e, con essa, la storia dell’arte in quanto tale, una disciplina che non può non tenere conto, oltre che delle fonti, dei documenti, delle indagini e delle prove positive di qualunque tipo, anche dell’occhio del conoscitore, sinora il solo strumento a poter giudicare dello stile 42.

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D’altro canto, in un’epoca di pensiero debole come quella che stiamo attraversando, la sfiducia nelle capacità umane è all’ordine del giorno in ogni campo, e non ci si può troppo stupire che la storia dell’arte, in quanto disciplina umanistica, non sia stata risparmiata. la sostanza della questione mi si è fatta trasparente, varcando la soglia della mostra allestita a Roma a Palazzo Ruspoli, che espone i dipinti caravaggeschi del Fondo Edifici di Culto. Vi sono raccolti importanti tele di artisti caravaggeschi che, bene o male allestite, bene o male restaurate, bene o male schedate (in un catalogo che presenta contributi di genere molto diversificato, e talvolta, bisogna dirlo, sconcertante), sono state comunque tolte dalla penombra di altari secondari, dal buio pesto di altezze irraggiungibili o sottratte alla chiusura delle sagrestie 43. la gioia di essere al cospetto di queste opere agevolmente visibili, di un materiale ancora in parte intatto su cui lavorare, sollecita immediatamente il confronto con chi nel 1951 ammirava a Palazzo Reale i dipinti della cappella Contarelli, sottratti dall’ombra di San luigi dei Francesi e praticamente mai visti: un cortocircuito talmente imponente da innescare cinquant’anni di studi 44. lo stupore mette dunque al lavoro, e, in definitiva, lo si percepisce come il bene da non perdere.

Note 1. www.robedachiodi.wordpress.com, 8 maggio 2010. Il frequentato blog di Giuseppe Frangi, esteticamente molto curato e aggiornatissimo nei contenuti, può essere utilmente tenuto d’occhio da chi ritiene che la storia dell’arte sia qualcosa di vivo e vitale. 2. Elenco qui di seguito le monografie: CaPPEllEttI, 2009; EBERt-SCHIFFERER, 2009; PaPa, 2009; SCHütZE, 2009 (edizione originale in tedesco, tradotta in inglese, francese e italiano); SGaRBI, 2010; VoDREt, 2009; e le esposizioni: Caravaggio Bacon…, 2009; Ritorno al Barocco…, 2009; Caravaggio: Adorazione…, 2010; Caravaggio…, 2010; Caravaggio e la fuga…, 2010; I colori del buio…, 2010; Caravaggio e caravaggeschi…, 2010; Caravaggio e la modernità…, 2010. 3. Per quanto riguarda le celebrazioni del 1973-1974, si veda in particolare: Colloquio sul tema…, 1974 (ricordo i contributi di Ferdinando Bologna, “Il Caravaggio nella cultura e nella società del suo tempo”, p. 149-187, che presenta i primi studi dello studioso sul tema, sfociati poi nel volume: BoloGna, 2006; e di PéREZ SánCHEZ, 1974, per il problema dei rapporti con il caravaggismo spagnolo); MaRInI, 1974; RöttGEn, 1974; Novità sul Caravaggio…, 1975. Che il momento fosse cruciale per la fortuna critica di Caravaggio, mi pare sottolineato dall’importante testo di Mina Gregori, “Significato delle mostre caravaggesche dal 1951 ad oggi”, in Novità sul Caravaggio…, 1975, p. 27-60. 4. BURanEllI, VoDREt, 2010, p. 18. 5. Caravaggio…, 2010. la mostra è stata coronata da un notevolissimo successo di pubblico: 580 000 visitatori, con apertura straordinaria 24 hours la notte del 12 giugno, vigilia della definitiva chiusura dell’esposizione, la stampa ha dato grande risalto all’ evento (per i dati ufficiali si veda: www.ansa.it, 13 giugno 2010). Questi dati, che sembrano strabilianti, mi pare prendano un’altra luce, se letti in

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filigrana con quelli relativi alla mostra milanese del 1951, curata da Roberto longhi (Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi, a cura di Roberto longhi, Milano, Palazzo Reale 1951), il cui successo fu, se possibile, ancora più sbalorditivo (cfr. qui avanti, nota 10). 6. VoDREt, 2009, p. 16. 7. CaPPEllEttI, 2009, p. 9: “Questo libro è essenzialmente una biografia che riparte da una rilettura delle opere e dei documenti – rilettura che, per quanto paradossale possa sembrare, riserva aperture e ancora sorprese – e dal desiderio di una sintesi degli studi su singoli dipinti e personalità in rapporto con Caravaggio emersi negli ultimi anni. Un tentativo di rimettere nel suo ritratto, nelle sue mani, il pennello vicino alla spada; di riflettere, con l’aiuto dei documenti, su un catalogo di opere che possano essere considerate una base realistica per ulteriori proposte attributive”. 8. Va tenuto presente, come sottolinea Mina Gregori, in Caravaggio e la modernità…, 2010, p. 15-16, che queste erano anche le premesse della monografia di lionello Venturi (VEntURI, 1951), e dei Caravaggio Studies di Walter Friedlander (FRIEDlanDER, 1955). 9. Si veda Vernissage. Il fotogiornale dell’arte, allegato a Il Giornale dell’arte, anna XI, n° 112, febbraio 2010, p. 3. la studiosa ha più ampiamente espresso il proprio punto di vista nell’introduzione all’esposizione delle opere caravaggesche della Fondazione Roberto longhi, cfr. Caravaggio e la modernità…, 2010, p. 13-17 (in particolare p. 15-16). 10. lonGHI, 1951. Mi piace qui ricordare che la mostra ebbe 500 000 visitatori in soli 85 giorni di apertura, nonostante la sede (Milano era certamente meno facilmente raggiungibile per i mezzi di trasporto del tempo) e le capacità di comunicazione dell’epoca. Si calcola infatti che l’esposizione fu visitata dal 75-80% della popolazione milanese. Per di più, nel 1951 il nome di Caravaggio non era certamente noto come oggi (per i dati qui riportati si veda recentemen-

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te BERnE-JoFFRoy, 2005, p. X-XI). lo stesso longhi appare stupito del risultato (lonGHI, 1951[b], p. 3-9). Mi sembrano altamente significative in proposito le parole di un testimone oculare come Giorgio Galansino, all’epoca studente in medicina, ed acuto corrispondente di andré Berne Joffroy: “la mostra continua fino a giugno. nei primi giorni c’è stato quello che in inglese si chiama: a terrific reception. l’hanno visitata più di ventimila persone al giorno. Something more like a footbal match than an exhibition” (BERnE-JoFFRoy, 2005, p. XVI). 11. Ricordo in particolare in relazione alla cronologia elle opere romane, quelli di Denis Mahon, MaHon, 1951(b), p. 223-234; MaHon, 1951(a), p. 286-292; MaHon, 1952, p. 3-23; FRoMMEl, 1971, p. 5-52; RöttGEn, 1974; la monografia di Howard Hibbard (HIBBaRD, 1983); gli apporti di Ferdinando Bologna (BoloGna, 1991, p. 15-180 e BoloGna, 2006) e di Vincenzo Pacelli (PaCEllI, 1991, p. 167-188 e BoloGna, PaCEllI, 1980, p. 24-45) per gli anni napoletani; la spettacolare mostra del 1985 The Age of Caravaggio (The Age of Caravaggio…, 1985), curata da Mina Gregori, che consacrò il grande successo internazionale del pittore, aprendo una nuova fase degli studi. 12. CInottI, 1983, p. 203-641. 13. Il ritrovamento dei Bari, oggi conservato al Kimbell art Museum di Fort Worth, fu annunciato da Denis Mahon (MaHon, 1988, p. 10-25) e Keith Christiansen (CHRIStIanSEn, 1988, p. 26-27). Per la scoperta della Cattura di Cristo in deposito alla national Gallery of art di Dublino, si veda BEnEDEttI, 1993, p. 731-741; CaPPEllEttI, 1993, p. 742-746 e Caravaggio. The Master…, 1993. 14. È quanto accaduto, ad esempio, con La vocazione dei Santi Pietro e Andrea della Royal Collection di Hampton Court: non più copia da originale perduto, come era ritenuto, ma “the King’s Caravaggio” (si veda Come lavorava Caravaggio…, 2006, p. 51). torneremo più avanti sul problema delle indagini tecniche e dei restauri. 15. MaRInI, 2005. 16. In particolare: GREGoRI, 1990, p. 19-27 e PaPI, 1990, p. 28-48; GREGoRI, 1993, p. 3-20; GREGoRI, 1999, p. 3-14; GREGoRI, 2000, p. 11-22. alle proposte di Mina Gregori, e di Gianni Papi, vanno aggiunte anche quelle di Sir Denis Mahon: MaHon, 1990, p. 5-20; MaHon, 2005 e Caravaggio: i “Bari”…, 2008. 17. Caravaggio. L’ultimo…, 2004, p. 150-170. 18. Caravaggio: Originale…, 2006. 19. SCHütZE, 2009, p. 244-298 dell’edizione italiana. ovviamente il dibattito critico coinvolge anche le copie in corsa per la patente di autografia incluse nella prima sezione, quindi la faccenda risulta piuttosto intricata. Mi pare che una simile suddivisone trovi il suo precedente nella già ricordata mostra longhiana che attuava una scansione in originali, copie da Caravaggio e dipinti attribuiti a Caravaggio. l’approccio soprattutto iconografico e in generale “ecumenico” nei confronti delle diverse posizioni assunte in questi anni dagli studiosi che caratterizza il lavoro di Sebastian Schütze, risulta per certi versi affine a quello del volume di Sybille Ebert-Schifferer, per il quale si veda più avanti.

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20. EBERt-SCHIFFERER, 2009, p. 258-298 non include infatti la tela nel catalogo delle opere sicure. In proposito in realtà anche Francesca Cappelletti (CaPPEllEttI, 2009, p. 129-131) esprime delle riserve, se ne parlerà anche più avanti nel testo. a proposito della difficoltà nel raggiungere un accordo su questioni attributive si veda anche il testo di antonio Paolucci, che, presentando l’esposizione in corso alle Scuderie del Quirinale sulle pagine del Sole 24 Ore, ha dichiarato che le opere in mostra sono tutte unanimemente accettate dalla critica, “tranne, forse una”. Personalmente ho visitato la mostra una decina di volte, e nel susseguirsi della turnazione di opere caravaggesche che arrivavano e partivano per altre contemporanee esposizioni, mi sono spesso chiesta a quale dipinto si riferisse lo studioso, senza riuscire a risolvere il quesito. 21. SCHütZE, 2009, p. 245, scheda 3a. Bocciato il Ragazzo morso dal ramarro longhi, e tenuta per autografa la sola versione della national Gallery di londra, cade uno dei capisaldi di chi sostiene l’esistenza di repliche autografe di opere del Merisi. Gli studi degli ultimi anni hanno infatti acclarato che delle due redazioni del San Francesco in meditazione, soltanto quella di Carpineto, oggi a Palazzo Barberini, può essere considerata autografa (sulla questione si veda VoDREt, 2004, p. 45-78). allo stesso modo il San Giovanni Battista della Galleria Doria Pamphili ha ceduto il passo all’autografia dell’esemplare conservato alla Pinacoteca Capitolina (sul problema si veda recentemente Sergio Guarino, scheda in GUaRIno, MaSInI, 2006, p. 338-341 e GUaRIno, 2010, p. 124-131). Il dibattito sul tema delle doppie versioni delle opere del Merisi è ad oggi accesissimo, altrove ne ho dato conto in modo dettagliato in tERZaGHI, 2008 (in particolare p. 169-170, n. 106). Qui riassumo sinteticamente la questione. longhi ebbe a notare in più occasioni che Caravaggio mai replicò se stesso e, nei casi in cui esistano due quadri identici ritenuti entrambi autografi, la critica si trova primo o poi fatalmente costretta a decidere dell’autografia dell’uno o dell’altro. Su posizioni diverse si trovano in-vece Denis Mahon, Maurizio Marini e Mina Gregori. Sulla questione si veda comunque il paragrafo successivo. 22. lo fu, del resto, anche all’epoca della mostra longhiana del 1951. Per una disamina delle accese dispute suscitate all’indomani dell’esposizione, si veda BERnE-JoFFRoy, 2005, p. XII-XVe p. 350 sgg. 23. lanGDon, 1998, tradotta nel 2005 da Sellerio e ristampata in occasione del 2010. 24. CaPPEllEttI, 2009, p. 129-131; 134-136. a proposito della provenienza dell’Ecce Homo, la cui tenuta stilistica lascia in effetti perplessi, e risulta dunque passibile di reticenze attributive, se non è possibile allo stato attuale degli studi stabilire una relazione tra il dipinto genovese e la committenza di Massimo Massimi (CaPPEllEttI, 2009, p. 131), va comunque rilevata l’importanza dell’inventario Massimi del 1644, pubblicato da lothar Sickel (SICKEl, 2003, p. 244-247), e in seguito riproposto all’attenzione degli studi con nuovi argomenti da Fausto nicolai (nIColaI, 2008, p. 28-31). In esso sono citati inequivocabilmente due dipinti nella camera da letto di

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Massimo Massimi nel palazzo alle Colonne, raffiguranti un’Incoronazione di spine e un Ecce Homo, entrambi coperti da un drappo di taffettà verde, come si usava per le opere più preziose. Va rilevato che l’Ecce Homo in questione non può essere né quello del Cigoli e quasi certamente nemmeno quello dipinto da Passignano per il cardinale, a rigor di logica dovrebbe dunque trattarsi di quello caravaggesco. ne fa fede tra l’altro lo stesso dipinto del Cigoli, che sappiamo doveva essere esemplato sul modello di Caravaggio di proprietà del Massimo, ed iconograficamente dipende da esso. la ricostruzione di una doppia committenza del Massimi al Cigoli e al Merisi, appare dunque piuttosto attendibile, tutto da provare è invece il collegamento tra di essa e l’Incoronazione di Spine di Prato e l’Ecce Homo di Palazzo Bianco. 25. CaPPEllEttI, 2009, p. 120-121, fig. 69-70; p. 125 e 223, fig. 102. 26. VoDREt, 2009, p. 242. l’attribuzione al Merisi è invece problematica per CaPPEllEttI, 2009, p. 26. 27. EBERt-SCHIFFERER, 2009, p. 11-12. la EbertSchifferer sottolinea infatti decisamente come le differenze linguistiche abbiano determinato la mancanza di dialogo tra diverse metodologie (EBERtSCHIFFERER, 2009, p. 11). Dal punto di vista della storia dell’arte, la questione se esista un approccio critico “italiano” in qualche modo unitario, così come la imposta la studiosa mi pare piuttosto nuova e merita forse una riflessione a parte. 28. EBERt-SCHIFFERER, 2009, p. 35; la celebre tela rientra nel gusto di artisti che gravitavano nella cerchia di tiziano e Veronese, come Peterzano, su questi problemi si vedano in particolare i fondamentali contributi di Mina Gregori (GREGoRI, 2002, p. 21-39 e GREGoRI, 1992, p. 263-269). Su Peterzano e Caravaggio nel 2002 si è tenuta una giornata di studi alla Fondazione Roberto longhi, i cui atti sono raccolti in un numero monografico della rivista Paragone. 29. Mi pare di grande interesse in relazione al pittore e ai suoi disegni il recentissimo contributo di GnaCColInI, 2010, p. 179-189. Per il fondo dei disegni dell’artista, conservato presso le Civiche Raccolte d’arte di Milano, si veda inoltre FIoRIo, 1974, p. 87100; GIaMPaolo, 2000, p. 353-354; BoRa, 2002, p. 3-20. 30. Per il rapporto con la Flora attribuita a Francesco Melzi (Roma, Galleria Borghese), secondo Kristina Hermann-Fiore, in Il Cinquecento lombardo…, 2000, p. 34, forse pendant del Fruttaiolo, si veda SCHütZE, 2009, p. 40-41, e EBERt-SCHIFFERER, 2009, p. 58-59. Un contributo denso di rimandi alla cultura figurativa di epoca classica in rapporto al Ragazzo con canestro di frutta è quello di BERRa, 2007, p. 3-54. 31. BaGlIonE, 1642, p. 137. 32. Sul tema del rapporto tra Caravaggio e Venezia ha recentemente avanzato alcune ipotesi PaPI, 2010, p. 70-72. 33. Ho richiamato il pensiero di longhi sull’argomento in tERZaGHI, 2009, p. 96-98 e, soprattutto, tERZaGHI, 2008, p. 69-70, n. 106. Si veda anche qui sopra nota 22. Sulla questione ha espresso a più riprese un’opinione diversa rispetto alla presa di

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posizione longhiana, Mina Gregori. oltre ai testi della studiosa, cui faccio riferimento nei passi qui sopra citati, mi sembra significativa la scheda di GREGoRI, 2010, p. 107-109 dove, accreditando la versione della Medusa pubblicata da Maurizio Marini, ed esposta alla mostra Il Cinquecento lombardo…, 2000 come autografa, la Gregori coglie l’occasione per ribadire il proprio punto di vista in proposito. Una critica all’idea di longhi è proposta, con toni decisamente accesi anche da MaRInI, 2007, p. 19-25. 34. E non solo nelle Gallerie pubbliche: Uffizi e Palatina, come aveva inteso fare la memorabile esposizione di Evelina Borea (BoREa, 1970). 35. Caravaggio e caravaggeschi…, 2010. l’esposizione si articola in due sedi: la Galleria Palatina e la Galleria degli Uffizi. l’intento è quello di analizzare in modo capillare le presenze di Caravaggio e dei suoi stretti seguaci nel contesto fiorentino (è questo il tema della sezione allestita alla Palatina), e di misurarne la ricezione sulla pittura dei contemporanei fiorentini (trait d’union dei dipinti esposti agli Uffizi). 36. Gianni Papi, scheda in Caravaggio e caravaggeschi…, 2010, p. 110-112. non è questa la sede per entrare nel merito dell’attribuzione della tela, che tuttavia non mi pare facilmente collocabile tra gli autografi dell’artista (la materia pittorica troppo vaporosa, il taglio delle luci troppo tradizionale), vorrei invece soffermarmi un istante sull’identità del ritrattato. Seppure le perplessità di Papi sull’identificazione del prelato con il cardinale Cesare Baronio, tra i protagonisti della vita spirituale romana di tardo Cinquecento, sono condivisibili ritengo che sia bene, come del resto fa lo studioso, mantenere la prudenza anche sull’identificazione con il cardinale Benedetto Giustiniani. Due dei ritratti noti del porporato, infatti (la tela attribuita a Bernardo Castello, conservata a Bari, collezione de Vanna, e il disegno conservato alla Biblioteca apostolica Vaticana, per i quali si veda da ultima DanESI SQUaRZIna, 2001, p. 185-187), sono difficilmente accostabili alla tela degli Uffizi. 37. CHRIStIanSEn, 2010, p. 100-103. 38. Ibidem. 39. BElloRI, 1672 (1976), p. 224. Il dibattito sul quadro Corsini è comunque antico – e non può non coinvolgere anche la versione pubblicata a suo tempo da longhi e conservata in collezione privata, di indiscutibile qualità e autografia (lonGHI, 1963, p. 3-11) – e spiace doverlo qui liquidare in poche righe. Importa comunque ricordare che un tentativo di superare l’empasse stilistico suscitato dalla caraffa (ma, a mio avviso non è questa l’unica situazione problematica della tela: anche il panneggio delle maniche dell’abito del prelato mi pare infatti privo della qualità, della morbidezza, dei passaggi di tono che normalmente caratterizzano gli straordinari bianchi di Caravaggio) è stato fatto da Clovis Whitfield (WHItFIElD, 2007, p. 9-19), che ipotizza una collaborazione, attribuendo la sola natura morta a Prospero orsi, mentre le altre parti del dipinto (in particolare la testa e le mani) sarebbero dello stesso Caravaggio. 40. Caravaggio. Come nascono…, 1991. 41. Si veda, ad esempio, la già ricordata vicenda del San Francesco in meditazione di Carpineto, oggi

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a Roma, Palazzo Barberini e quello di Santa Maria della Consolazione (vedi qui sopra nota 21). 42. In proposito mi sembra quasi superfluo ricordare il discorso di luigi lanzi sull’importanza della connoisseurship giusto in rapporto alla distinzione degli originali dalle copie, e sulla difficoltà della materia: “È più raro trovare un vero conoscitore che un pittor buono. È questa un’abilità a parte: vi si arriva con altri studi, vi si cammina con altre osservazioni; il poter farle è di pochi, di pochissimi il farle con frutto” (lanZI, 1824, p. 22-27). 43. I colori del buio…, 2010. 44. Vorrei ricordare in proposito le stupende pagine dedicate dal grande architetto luigi Moretti (di cui il caso vuole sia in corso in questi giorni a Roma, in contemporanea all’esposizione caravaggesca, una retrospettiva nei nuovi spazi del MaXXI), sulla

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neonata rivista Spazio, di fronte al Martirio e alla Vocazione di San Matteo visto in quei giorni a Milano: “la ‘Cesta di frutta’ ha una realtà tinnante, accentrata contro un fondo quasi svuotato, appositamente monotonico, quasi privo di esistenza formale autonoma. Ma nelle due grandi tele dei fatti di San Matteo la nuova vetta è già al sommo raggiunta; lo spazio rinascimentale è fratturato, il fondo è ombra ove non vivono forme; la forma vive come tale e rifiuta ogni altra logica e struttura; la luce diventa unico avvertimento della forma […]. In questa espressione del mondo che è e di quello che non è e che è ombra – morte, punizione, terrore – si solleva, sopra ogni pretesto narrativo, la tragicità strutturale della rappresentazione di Caravaggio” (MoREttI, 1951, p. 1-8 e 91. Ringrazio Giovanni Duranti per aver richiamato la mia attenzione su questo testo).

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MARIA CRISTINA TERZAGHI Caravaggio, 2010

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Studiolo 8 - 2010

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