CARAVAGGIO BREVE CRITICA COMPARATA

June 3, 2017 | Autor: Francesco Giornetta | Categoria: Giovan Pietro Bellori, Caravaggio, Bernard Berenson, Roberto Longhi, Vittorio Sgarbi
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FRANCESCO R. GIORNETTA

CARAVAGGIO BREVE CRITICA COMPARATA

ascoltando Bernard Berenson, Roberto Longhi e Vittorio Sgarbi

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I^ Edizione Libro mandato in stampa nel mese di Luglio 2015 II^ Edizione Libro mandato in stampa nel mese di Novembre 2015

Tutto questo sarebbe stato sicuramente più difficile senza l’aiuto di mio fratello Nicola.

©Francesco R. Giornetta www.lagelateriadellarte.it

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“Il giorno più bello? Oggi. L’ostacolo più grande? La paura. La cosa più facile? Sbagliarsi. L’errore più grande? Rinunciare. La felicità più grande? Essere utili agli altri. Il sentimento più brutto? Il rancore. Il regalo più bello? Il perdono. Quello indispensabile? La famiglia.” (Madre Teresa di Calcutta)

Al mio dono indispensabile Grazie



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Prefazione Mi sono innamorato di Caravaggio dal primo momento che l’ho visto. E’ strano, ma non ricordo di che dipinto si trattasse, probabilmente La sepoltura di Cristo ai Musei Vaticani, oramai più di 25 anni fa. Pensavo di essermi innamorato della sua capacità di rappresentare la luce, oggi invece scopro di amare le sue ombre e di come “interrompono le figure”. “Interrompono le figure” è un’invenzione di Roberto Longhi, probabilmente il più grande critico che l’arte abbia mai avuto. Longhi io non sapevo nemmeno che esistesse! Purtroppo la mia è una formazione tecnica, dove la Storia dell’Arte è una citazione di passaggio (forse) in qualche altra materia. L’ho sentito nominare per la prima volta durante una lezione di Storia dell’Arte Moderna, e collegando le due cose, l’amore per Caravaggio e la curiosità per Longhi, ho recuperato il suo libro, Caravaggio, curato da Giovanni Previtali - Editori Riuniti, 1992, e visto che c’ero ho cercato di confrontare la sua parole su Caravaggio con quelle di Bernard Berenson, un altro pilastro della critica d’arte, suo contemporaneo, anche se più anziano, ed anche lui autore di un libro sul pittore lombardo: Caravaggio – Delle sue incongruenze e della sua fama curato da Luisa Vertova - Abscondita, 2006. Ne è venuto fuori questo scritto, nato più come un articolo da pubblicare su www.lagelateriadellarte.it che come libro a se stante. Un articolo di “ricerca comparativa” potremmo quindi definirlo, che ha trovato un suo senso solo successivamente, quando ho capito, nel prosieguo dei miei studi accademici, la vera collocazione di questi due “mostri” nel panorama non solo della critica, ma anche della metodologia dell’arte. -5-

Berenson, personaggio particolare, si definisce amante dell’arte, il suo lavoro di connoisseurship si manifesta attraverso opere che parlano dei pittori rinascimentali veneziani, fiorentini, dell’Italia del nord e del centro. Non cerca coerenza nelle sue analisi, anzi secondo lui il suo perseguimento rischia di lasciare per strada pezzi di verità che ancorché incongruenti esistono comunque. Sulla scorta del pensiero di Konrad Fiedler e della teoria della Pura Visibilità, che negherà di aver letto, dice che l’opera d’arte ha due elementi costitutivi: i valori descrittivi ed i valori illustrativi. In verità questa è una suddivisione utile solo ai fini dell’analisi perché in sostanza lo stesso Berenson dice che sono una cosa sola. I primi (sensazioni tattili, movimento, gestione dello spazio, colore, tono) sono quelli che devono interessare di più il critico e rendono eterna un’opera d’arte, sono quelli che lui ritrova in Giotto e Masaccio quando parla di restituzione della plasticità, in Pollaiolo per il movimento, nei pittori umbri per la composizione spaziale o ancora nel colore e nel tono nei pittori veneti; i secondi (legati ai contenuti come ad esempio l’iconografia, i sentimenti, le connotazioni ideologiche o la storia stessa) perdono valore nel momento in cui cambia il contesto che li ha generati. Parlare di Berenson significa anche parlare dell’Einfühlung, ossia della teoria dell’Empatia. Il fruitore dell’opera deve immedesimarsi completamente con la stessa. Nel momento in cui parla di “Ideated Sensations”, è come se l’opera d’arte solidificasse qualcosa che si sente fisicamente, significa attribuire all’opera d’arte sentimenti propri, renderla “umana”. Questo spiega anche il suo essere refrattario all’analisi delle storiografie basate sul contesto in cui l’opera nasce. Esiste solo il rapporto diretto tra il fruitore e l’opera d’arte, qualsiasi altra analisi porta lontano dall’immedesimazione. L’unica fonte di informazione è l’opera d’arte stessa. -6-

Non meno particolare è la figura di Longhi. E’ a lui che si deve la riscoperta di Caravaggio, che “rischiava di ridiventare l’ultimo dei superuomini cinquecenteschi, una specie di portiere di notte del Rinascimento” (Caravaggio e la sua cerchia a Milano – R. Longhi – Einaudi. pag. 19), dopo il timido interesse che si stava creando intorno a lui agli inizi del secolo scorso. Creatore di un approccio alla critica decisamente teatrale, che va oltre l’Ekphrasis. Capacità di un linguaggio critico che attraverso le sue famose “equivalenze verbali”, trasmutano il linguaggio pittorico dell’artista in un linguaggio nuovo, letterario. Quello che l’occhio vede diventa parola scritta. Ovviamente non è pura invenzione o sensazione, alla base c’è una profonda ricerca filologica di impostazione positivista e dai tratti caratteristici dei grandi conoscitori ottocenteschi come Morelli e Cavalcaselle, nota è la sua ammirazione per Berenson infatti (almeno fino a quando i loro rapporti non si deterioreranno). Per Longhi l’arte è solo forma; la lettura dell’opera d’arte deve essere scevra di ogni approccio psicologico da parte del fruitore. Il messaggio figurativo consiste nella percezione visiva e nei suoi valori formali. I suoi scritti possiedono una grande capacità prosaica, una scrittura colta e ricercata che avvicina il suo stile a quello di un romanziere, e lo si capisce in ogni parte del suo libro, un esempio su tutti: «La Sant’Anna, vecchia ciociara; la Madre in veste rimboccata da lavandaia, il Bambino, nudo come Dio l’ha fatto; una robusta famiglia non c’è che dire (persino i nimbi, che per forza dovevano figurare, ridotti ad anellucci dorati come la «fede» della povera gente), che si sofferma nell’androne della scuderia (dei -7-

palafrenieri?) a schiacciarvi quell’innocuo biscione da fossi. Perché buttarsi così allo sbaraglio?....»(Longhi, pag 61). Sta descrivendo la “Madonna del Serpe” per l’altare dei Palafrenieri in San Pietro. Infine, la ricerca non poteva dirsi completa se non “ascoltavo” anche il punto di vista di uno storico dell’arte a me contemporaneo, e la scelta non poteva che ricadere su Vittorio Sgarbi (Il punto di vista del cavallo - Bompiani, 2014), che reputo il massimo conoscitore vivente del patrimonio artistico italiano, di ogni angolo di questo Paese. Anzi la voglia di approfondire Caravaggio mi è venuta proprio ascoltandolo in una trasmissione televisiva. Ad ogni buon modo, a chi volesse approfondire l’argomento, consiglio vivamente di leggere i libri che vi ho indicato, senza però dimenticare che le ultime note di Berenson vengono scritte tra il 1947 ed il 1949, cioè prima dell’apertura della mostra longhiana sul Caravaggio ed i caravaggeschi (Milano aprile-giugno 1951). Il testo è diviso in tre parti: - Adolescenza e prime opere romane - Verso la “grande maniera personale” e le grandi tele romane - Fuga da Roma e produzione finale Ho impostato questo scritto sull’indice dettato da Longhi, incrociando alcuni commenti alle opere da parte di Berenson, e i punti di vista di Sgarbi, sempre attenti, puntuali ed a volte risolutivi. Come noto, la produzione caravaggesca è abbastanza estesa, e non è assolutamente mia intenzione inserirla tutta in questo -8-

componimento. Mi interessava di più, specialmente nella prima parte, cercare di entrare in punta di piedi nelle origini della sua pittura e nelle sue caratteristiche. Cercherò di essere breve sulla parte anagrafica, specialmente quella adolescenziale, che a quan to pare è priva di eventi di rilievo e mi concentrerò sulla differenze di feelings che i “nostri” critici hanno sentito sulle opere principali dal periodo romano in poi. Spero incontri il vostro gradimento. Da più parti mi sono arrivati suggerimenti su come un libro deve essere scritto, quali sono le sue componenti, quali sono i riferimenti e le note da inserire, in poche parole quale dovrebbe essere la struttura standard di una produzione libraria. Ho ringraziato, ma semplicemente non ne ho tenuto conto! Francesco Rosario Giornetta

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Parte prima Adolescenza e prime opere romane Michelangelo Merisi, nasce probabilmente nell’anno della Battaglia di Lepanto (1571) a Caravaggio, piccolo centro proprio in mezzo a quello che Longhi chiama il santuario dell’arte semplice. Vale a dire il territorio racchiuso tra Milano, Bergamo, Brescia, Cremona e Lodi, luogo in cui un gruppo di pittori quali Moretto, Savoldo, Moroni, Lotto nel cinquecento e prima di loro Foppa e Borgognone, avevano dato vita ad una pittura sempre più distaccata da quella veneta, a loro confinante, una pittura in cui le ombre diventavano più marcate ed il colore più reale, ed allo stesso tempo con «… una disposizione a meglio capire la natura degli uomini e delle cose…» (Longhi) Fin dall’inizio, dagli storiografi del seicento, al nostro Michelangelo viene attribuita una personalità popolare, intesa nel senso più negativo possibile, plebea. Soltanto nei primi anni del secolo scorso, grazie a critici come Longhi, per Caravaggio si è avuta una rivalutazione in senso positivo del personaggio. A undici anni, e per quattro anni, è a bottega da Simone Peterzano, periodo sicuramente fecondo per la sua formazione, che avrà importanti ritorni nei suoi dipinti di qualche anno dopo. Un esempio su tutti, e lo vedremo meglio dopo, è l’approccio alla sua seconda Conversione di San Paolo, che come impianto avrà avuto sicuramente l’esempio di Moretto a Santa Maria presso San Celso a Milano. Purtroppo Longhi, che fa un elenco nutrito di opere che sicuramente Caravaggio ha visto durante la sua formazione adolescenziale, non dà a supporto nessun immagine e, visto che siamo nell’era di internet, vi voglio mettere di seguito le immagini di quello che il critico intendeva. - 11 -

Moretto Madonna Paesana (Paitone – Brescia)

Moroni Il Sarto (National Gallery Londra)

Savoldo San Matteo e l’Angelo (Metropolitan Museum New York)

Bernardino Gatti Cristo Morto (Louvre)

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Savoldo Natività (Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia)

Callisto Piazza Cristo inchiodato alla Croce

E’ curioso come vedendo queste immagini, venga da pensare: “sembra un Caravaggio!”, dimenticandoci che tutto questo è precedente a Caravaggio, è parte del suo bagaglio culturale.

Antonio Campi – 1577 – Morte della Vergine (Museo Parrocchiale Chiesa San Marco – Milano)

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Figino – 1586 – San Matteo (Chiesa di San Raffaele – Milano)

Una formazione giovanile di rottura con il tradizionale, come tutti i giovani, fatta avendo davanti a se le opere dei Campi, del Figino, che in quel periodo stavano portando avanti una pittura di tipo naturalistico in contrapposizione a quella tradizionale e di “maniera più antica”. A Roma arriva (probabilmente tra il 1589 e 1590) dopo aver assimilato la pittura di Annibale Carracci a Parma e di Masaccio a Firenze (Caravaggio non è un ignorante). Guardate qui sotto il dettaglio della Madonna svenuta nella Deposizione con la Vergine e i santi Chiara, Francesco, Maddalena e Giovanni del 1585 di Annibale Carracci nella Chiesa dei Cappuccini a Parma. La ritroveremo tra qualche anno nella Morte della Vergine.

Nel Trattato del Lomazzo (1584), Masaccio viene descritto come colui che «solamente allumava, ed ombrava le figure senza contorno» e sicuramente sul banco da lavoro del Peterzano non sarà mancata una copia di questo libro, come sicuramente non è mancata ai suoi studi la prima grande opera di Storia dell’Arte: le Vite di Giorgio Vasari. Gli inizi a Roma sono difficili, passa dalla bottega di Lorenzo Siciliano «che di opere grossolane tenea bottega» alloggiando forse da un certo Pandolfo Pucci, alla bottega di Antiveduto Gramatica. Si ammala e successivamente arriva presso un altro pittore, Giuseppe - 14 -

Cesari d’Arpino e, probabilmente, è questo il periodo in cui dipinge il Bacco malaticcio, evidentemente autoritratto adolescenziale. Provando a lavorare per se stesso, alloggia da monsignor Fantin Petrignani. Periodo, questo, della produzione dei quadri più noti della prima fase: Bacco degli Uffizi, le varie versioni de La zingara che dà la

ventura, Il Riposo nella Fuga in Egitto, Maddalena convertita, Il giovinetto morso dal ramarro. Finalmente si arriva all’incontro con il rivenditore di quadri a San Luigi dei Francesi, Valentino, che lo metterà in contatto con il Cardinale Dal Monte (probabilmente 1592/93) Il disagio di Caravaggio nell’affermarsi è evidente. Nella Roma manieristica e bigotta di Sisto V (1585 - 1590), la sua pittura fedele alla realtà, tipica della provincia lombarda, ha poco spazio in cui muoversi. «A Roma non si chiedeva verità alla pittura, ma devozione o nobiltà» (Longhi) Quindi, pittura di rottura dicevo, almeno quando la fa per se - 15 -

stesso. Non è interessato ai soggetti della mitologia sacra o profana, lo farà solo su imposizione o su richiesta ed in modo del tutto originale. Le sue realizzazioni, fedeli al suo credo nella pittura naturalista, specchio della realtà, metteranno in difficoltà i critici nel dare anche un titolo alle sue opere, dato che genericamente, in quella Roma, quel tipo di rappresentazioni si preferiva chiamarle con il nome di “mezze figure”, o “capocce”. (Putto morso da racano che tiene in mano, Un fanciullo che monda una pera con il cortello) Cinquant’anni dopo, per questi dipinti, decifrato il loro nuovo messaggio, Caravaggio verrà accusato di aver dipinto i simili e cioè la povera gente…non la historia. Non devozione, non nobiltà. Certamente, a Roma, venne in contatto con una tecnica pittorica già in uso nel cinquecento, vale a dire l’uso dello specchio. Il suo, però, non era lo specchio del Parmigianino, o del Savoldo, era

Parmigianino Autoritratto entro uno specchio convesso

Savoldo – Gastone di Foix

uno specchio invisibile che rifletteva la realtà senza interferire; non vedremo mai lo specchio nei suoi dipinti (fatta eccezione per una Maddalena del 1597), ma solo quello che esso riflette. Un po’ alla volta Caravaggio si accorge che la figura umana non è indispensabile, poteva anche uscire dal campo, ma lo specchio avrebbe continuato a riflettere l’immagine del tavolo o del pavimento o di qualsiasi altra cosa. Questa progressiva perdita di - 16 -

centralità dell’uomo, che si accentuerà ancora di più con quello che viene definito il ringagliardimento degli scuri, porterà nuove e più pesanti critiche negative all’artista. Mantenere questa via non lo avrebbe condotto da nessuna parte. Prendiamo ad esempio il Bacchino Malato, i confronti da parte dei suoi detrattori con le opere di Michelangelo e Sansovino, apologeti del corpo umano, o di Bellini e Tiziano, magnificatori

Caravaggio

Michelangelo

Sansovino

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Bellini

Tiziano

dell’uomo e della natura allo stesso modo, mettono inevidenza il contrasto con «… questo torpido e assonnato garzone di osteria romanesca» (Longhi, pag. 16) I modelli di Caravaggio sono i ragazzi romani popolani, della classe sociale più bassa, che vengono rappresentati nella loro autenticità. Sgarbi, giocando sul fil rouge che lega Caravaggio, Longhi, Pasolini (allievo bolognese di Longhi), paragona i ragazzi di vita di quest’ultimo ai modelli caravaggeschi, ma paragona lo stesso Caravaggio a Paso- 18 -

lini, tutti e due una sorta di dottor Jeckyll e Mr Hyde, tutti e due, ancorché tacciati di debolezze private, assurgono agli onori della fama grazie alle loro opere. L’impiego di modelli provenienti dalla strada va ricercato non solo nelle possibilità economiche del Caravaggio, ma anche e forse soprattutto nell’angelismo di quegli anni (1585/95) che era di moda a Roma. La città è invasa da queste rappresentazioni, da Giambattista Pozzo a Gaspare Celio, a d’Arpino fino anche, successivamente, a Guido Reni a San Gregorio al Celio (immagine precedente). Sono giovinetti coetanei, della Roma popolane che a causa della giovine età hanno quella presenza ambigua che tanto ha fatto parlare, e che ha fatto scambiare più volte, ad esempio, il Suonatore di Liuto con una suonatrice. Un po’ alla volta la figura umana esce dallo specchio e rimane solo il liuto o la canestra con i frutti, anche loro popolani, reali, come la natura li ha fatti. L’impianto non prevede la scelta ad uno ad uno dei soggetti da dipingere, alla mela bella e turgida viene affiancata quella bacata. Il filone della natura morta o inferior natura come il Rinascimento l’aveva chiamata, ritorna con Caravaggio negli ambienti romani. Si badi bene questo tipo di rappresentazioni già esistevano, solo che mancavano di verità, di descrizione naturalistica. Imperava l’asservimento al lusso, alla nobiltà. I soggetti erano bicchieri di vetro di Murano, frutta scelta e perfetta, cristalli di Boemia. Altro punto su cui Caravaggio si trovò a difendersi fu la mancanza di azione nelle sue opere, di - 19 -

movimento nei suoi dipinti. «Caravaggio è molto osservante del vero che sempre lo tiene davanti mentre opera; fa bene una figura sola, ma nelle composizioni dell’historia … non mi par che vi vaglino essendo impossibile di mettere in una stanza una moltitudine d’huomini che rappresentino l’historia…» (Considerazioni sulla Pittura . G. Mancini - 1620) Come si può definire mancante di moto il giovinetto appena morso dal ramarro. Ed aggiungo moto sia di intenzione, di sentimento: il dolore; sia fisico di movimento: la mano che si ritrae in uno scatto (dà o no l’impressione di uno scatto fulmineo?) Ed è perché è sempre fedele alla sua pittura di natura che l’urlo della Medusa (probabilmente lo stesso modello) non va oltre quello del Ragazzo morso dal ramarro. Il dolore fisico, a meno di non finire nella stilizzazione, è solo uno. E, probabilmente inconsapevole, anche Berenson lanciando uno dei suoi strali contro Caravaggio, paragonando l’urlo di Medusa a quello di una riproduzione della testa di un ghigliottinato, avalla la capacità dell’artista nel rappresentare il dolore. «Probabilmente il Caravaggio aveva gli stessi gusti sanguinari della gente che va oggi ad assistere alle pene di morte»(Berenson, pag. 72) Sgarbi, per contro, sottolinea come Caravaggio per la prima volta nella storia dell’arte, dipinge un soggetto non in posa, «rappresenta ciò che accade nella realtà, e lo fa mentre accade» (Sgarbi, pag. 36), - 20 -

paragonando il Ragazzo morso dal ramarro alla famosa foto del Miliziano cadente di Robert Capa. Le opere con soggetti sacri del primo Caravaggio sono rappresentazioni molto laiche, al limite del profano, ma come dice Berenson «doveva piacergli di essere originale, d’épater le bourgeois» Ne è un buon esempio il Riposo durante la fuga in Egitto. E’ uno dei pochi dipinti in cui i personaggi sono immersi in un paesag-

gio esterno che, pur denotando una fine rappresentazione, risulta essere sicuramente in secondo piano rispetto al tema di per sé fuori dal comune, con la Madonna ed il Bambino in disparte e San Giuseppe e l’Angelo protagonisti assoluti della scena. Mi piace riportarvi la descrizione che del dipinto fa Berenson nel suo libro, quando parlando della modella che interpreta la Madonna, e che presumibilmente è la stessa della Maddalena penitente dice: «Qui rappresenta la Madonna alla quale un profondo - 21 -

sopore ha inclinato la testa su quella del Bambino, anch’egli immerso nel sonno… A sinistra, un episodio unico nella storia della pittura, e verrebbe la voglia di sapere se fu il Caravaggio stesso ad averne l’idea o se gli fu dettata da altri, letterati o poeti», parlando dell’angelo, avvicinandolo al Correggio, lo descrive come «… una tenera e slanciata creatura con le ali semi piegate…» e paragona il paesaggio ad un idillio shakespeariano, dipinto da un artista romantico più vicino al Tintoretto che al Tiziano. Sarà una delle poche critiche positive che Berenson regalerà a Caravaggio. I paesaggi caravaggeschi, localizzati non immaginati, assumono sempre un’importanza secondaria rispetto alla composizione, e se quelli esterni sono rarissimi, quelli interni, immersi nell’oscurità, sono avari di dettagli. L’Angelo della Fuga è espressione della capacità del Caravaggio di rappresentare la “Grazia”, ma condizione essenziale è che essa non sia il tema dominante dell’opera. Il Bellori, detrattore caravaggesco, lo definisce bellisimo. Tre anni dopo, nel 1599, arriva la commissione da parte del banchiere Costa, per la Giuditta che taglia la testa ad Oloferne, opera che si va a collocare alla fine del periodo giovanile dell’artista e che in qualche modo anticipa le tematiche che saranno sviluppate nel suo ultimo periodo, quasi una premonizione. Giuditta, convince gli anziani israeliti a non arrendersi all’invasore e si offre volontaria per risolvere la questione. Arriva all’accampamento, con la sua ancella Abra, fingendo di voler tradire il suo popolo. Il capo dell’esercito nemico, Oloferne, la accoglie nella sua tenda. Il terzo giorno decide di invitarla al banchetto, e magari pensa anche ad un dopocena peccaminoso. Però si ubriaca e si addormenta. Giuditta non si fa sfuggire l’occasione e decapita il generale. Questa brevemente la storia, adesso vediamo come la rappresenta Caravaggio. - 22 -

Siamo all’interno della tenda di Oloferne, il drappo rosso sullo sfondo, tipico elemento caravaggesco, contribuisce a drammatizzare la scena, che sembra una rappresentazione teatrale. Caravaggio sceglie il momento della decapitazione per il dipinto. Non prima, né dopo come di solito l’episodio veniva presentato. Il Generale ha un corpo possente, muscoloso, ben modellato; e Giuditta? In mezzo alla composizione, tra il Generale che si contorce nel dolore e l’ancella che quasi indifferente, attende da brava servitrice, con il sacco in mano dove metterà la testa del nemico, Giuditta sembra una delle incongruenze che Berenson sottolinea sempre in Caravaggio. Questa Fornarina del naturalismo come la chiama Longhi contrapponendola ovviamente a quella di Raffaello, non ha il viso feroce di una vendicatrice di popoli, ma - 23 -

risoluto si. Ma è questa forse la forza del messaggio? O come nella Maria di Cleofa della Sepoltura vaticana (la vedremo nella seconda parte), la posa è troppo teatrale a discapito della drammaticità della scena? Giovane, bella, timorosa del suo stesso gesto; lo fa tendendo il più possibile le braccia, ha paura di sporcarsi; non lo vorrebbe fare, ma deve farlo, come dice Sgarbi “schifata“, sembra quasi chiedere scusa mentre sta concludendo la sua missione di mozzare la testa del Generale nemico che, a quanto pare, è l’autoritratto del ventottenne Caravaggio. Il tutto immerso nelle tenebre che “interrompono le figure” (Longhi, pag. 30), in questa luce che doveva sembrare provenire da un lampo e spalmarsi casualmente sulla scena. Sono dipinti che si indirizzano ad una committenza privata, non ancora l’obbiettivo del Caravaggio, e cioè la fama ed il successo, che nella Roma pontificia si conquistava con la committenza chiesastica.

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Parte Seconda Verso la “grande maniera personale” e le grandi tele romane. «La storia dei fatti sacri gli appariva come un seguito di drammi brevi e risolutivi la cui punta non può indugiarsi sulla durata sentimentale della trasparenza, anzi inevitabilmente si investe del lampo abrupto della luce rivelante fra gli strappi inconoscibili dell’ombra» (Longhi pag. 30) Troppo forte Longhi, il termine abrupto l’ho dovuto cercare su Google, significa improvviso e quindi lampo improvviso. Caravaggio aveva già messo l’essere umano fuori dallo specchio con le sue nature morte, adesso sposta la funzione dell’uomo fuori dalla visione umanistica che lo vedeva come eterno protagonista e signore del Creato. La luce (e quindi le ombre) non subisce la presenza dell’uomo, ma al contrario gli studi del Caravaggio si incentrano sull’incidentalità della sua manifestazione, che doveva apparire quanto più casuale possibile. La cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi è stato il primo palcoscenico pubblico per Caravaggio. Aveva messo piede nella chiesa nei primi anni dell’ultimo decennio del secolo con la prima versione del San Matteo e l’Angelo. Un dipinto, purtroppo andato perso nel 1945 a Berlino, subito criticatissimo al punto che fu ritirato per poi andare a far parte della collezione del marchese Giustiniani. Non so se ricordate il San Matteo citato nella prima parte di questo scritto, quello del Figino nella chiesa di San Raffaele a Milano… Ma perché fu criticato? - 25 -

Perché Caravaggio, seguendo i modelli della sua adolescenza ha rappresentato un San Matteo del popolo, «… semplicione di pelle spessa, questo analfabeta che al solo pensiero di metter penna in carta ha fatto le rughe profonde…» (Longhi, pag. 25). Caravaggio, dimentica che San Matteo era un pubblicano, un gabelliere, una persona istruita; e che dire dell’angelo che letteralmente guida la mano del Santo nello scrivere il testo? Per Berenson, invece, proprio l’angelo potrebbe aver aggiunto imbarazzo a causa delle trasparenze nei panneggi. Comunque, anni dopo, quando fu richiamato in San Luigi per i due dipinti laterali nella stessa cappella, il nostro artista sentì la necessità di porre rimedio. Ed in effetti una nuova maturità traspare dalla seconda versione del San Matteo e l’Angelo. Qui siamo in quella che Longhi chiama la “grande maniera personale”, con una classicità «inclusiva al proprio modo naturale». L’angelo non guida più la mano del Santo, ma gli detta il testo; adesso vola (che con Caravaggio è una novità) e costringe il Santo, che sale sullo sgabello con un ginocchio, ad un’acrobazia per ascoltarlo meglio. Per Berenson, invece, questo «vecchio maestoso, mezzo appollaiato su uno sgabello, quasi fosse saltato dal letto per buttar giù un’idea…» (Berenson, pag. 53), è una delle incongruenze che caratterizzano la produzione del Caravaggio come illustratore. San Matteo è diventato una persona istruita. Le polemiche si placano, diventano un leggera discussione. Nonostante varie indagini documentali sugli altri due dipinti (Vocazione e Martirio) non si è giunti a nessuna soluzione sul perché della commissione al Caravaggio. Fatto sta - 26 -

che la realizzazione di queste opere (che giova ricordarlo sono delle tele e non degli affreschi) gli spalancheranno le porte sul mondo pittorico romano in un modo del tutto inconsueto, uso com’era a vedere come pale d’altare degli affreschi. La cappella Contarelli (francese Cointrel) è la prima commissione pubblica, e come sua abitudine, Caravaggio agisce in modo del tutto originale. Chi si aspettava la luce chiara di Raffaello e Michelangelo rimarrà deluso e meravigliato. «Egli voleva che la figura fosse cristallina come nel Mantegna e, nel medesimo tempo, che emergesse imprevedutamente da un confuso abisso di tenebre, invece di stagliarsi contro lo sfondo chiaro usato dai pittori quattrocenteschi e ancora da Michelangelo nel soffitto della Sistina»(Berenson, pag. 51) Da un San Matteo rappresentato alla stregua di un grosso analfabeta della prima rappresentazione siamo passati alla citazione di un San Matteo pubblicano, gabelliere, istruito, citazione evidente anche nella nuova versione del San Matteo. Probabilmente la scena (al solito con Caravaggio non riusciamo quasi mai a capire dove siamo!) si svolge all’interno di questo ambiente dedicato non solo alla riscossione dei tributi, ma, forse, anche al gioco d’azzardo.

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Il Sandrart, biografo tedesco, da un’indicazione in più sull’impianto del dipinto. Egli rievoca i Giocatori e la Morte dello Holbein del 1526. In ambedue le opere la parte rilevante del tema si svolge al tavolo dei giocatori. Il Cristo del Caravaggio, come ricorda Longhi, sembrava «un che di citazione iconografica suppletiva» che si concretizza in quella folata di luce che viene dalle sue spalle e lo anticipa nel suo gesto verso gli altri personaggi. Gli esami radiologici hanno appurato che quella luce è stata oggetto di varie correzioni da parte dell’autore, a dimostrazione che il gioco degli scuri, sempre più importante per il Caravaggio, era diventato il punto centrale e drammatico del racconto. «Non tanto il rilievo dei corpi, quanto la forma delle tenebre che li interrompono.» (Longhi, pag. 30) E’ bella la riflessione di Longhi quando nel sottolineare la crescente drammaticità donata alla composizione dall’accentuare, ringagliardire e rinforzare le ombre, specchio dell’anima dell’artista che sta mutando, cita i versi neoelisabettiani di un grande della letteratura inglese, Eliot: «And we shall play a game of chess – pressing lidless eyes and waiting for a knock upon the door». Sembra evidente che l’idea dell’impianto della composizione abbia forti legami con le precedenti tele di soggetto feriale, penso ai Bari, ma la spensieratezza delle scene dell’adolescenza, con i suoi colori vivaci, sta lasciando la scena ad un nuovo modo di dipingere. Ma come promesso all’inizio di questo scritto, e cercando di es- 28 -

sere imparziale, è il caso che vi riporti anche le impressioni di Berenson a proposito di queste opere. Il suo non è sicuramente un feeling alla Longhi, non a caso nella sua analisi riporta un passo dello Zuccaro (o Zuccheri oppure Zuccari), principe degli accademici di allora che, condotto a vedere le due tele esclamò «Che romore è questo? Io non ci vedo altro che il pensiero di Giorgione nella tavola del Santo.»1 Già a partire dalla descrizione dell’ambiente, la sua critica sembra essere negativa. Usa la similitudine «stambugio di una calle veneziana» per descrivere l’ambientazione. La luce che proviene da una finestra (Longhi e Sgarbi la fanno provenire da una porta, io sono d’accordo con Berenson) lo fa rimanere perplesso, la paragona ad una scarica elettrica o, peggio ancora, come un abbaglio improvviso di un riflettore. Si sofferma sulle gambe dei personaggi al tavolo “che si aprono scompostamente”; discute sulla lunghezza del braccio del Cristo e sull’incertezza a chi appartenga. Lamenta il fatto che il tema comunque sacro della Vocazione di San Matteo, anche se si presta ad una rappresentazione di tipo familiare, con Caravaggio è diventata una scena di genere talmente nuda e cruda da sembrare un fatto di cronaca nera, con l’intervento del Cristo 1 Probabilmente queste parole si riferiscono solo alla tela della Vocazione, avallando la tesi che le due tele siano state messe in opera in tempi diversi. Per quanto riguarda il merito di quest’affermazione, il probabile riferimento è, come spiega Lionello Venturi, il Miracolo del neonato che parla nella scuola del Santo a Padova, in quel periodo erroneamente attribuito al Giorgione, ma poi attribuito a Tiziano. Venturi giudica la composizione assai simile alla Vocazione di San Matteo per la disposizione delle immagini con flessione al centro, ma anche per l’uso delle ombre (a sinistra) e della luce (a destra).

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che sembra più un commissario di polizia che fa irruzione nel covo dei banditi. Vorrei tornare un attimo sulla provenienza della luce di questo dipinto. Come accennato sopra, Longhi e Sgarbi la fanno provenire da una porta, ma entrando nella cappella in questione risulta subito evidente (almeno per me è stato così) una stretta connessione tra la luce strutturale sulla parete del San Matteo e quella

rappresentata nella Vocazione. Guardate quest’immagine, a voi non sembra una continuazione della lunetta finestrata sull’altare? Meno dura è invece la critica della tela posta di fronte nella cappella, Il Martirio di San Matteo. Berenson si limita a dire che è molto convenzionale, con «… gruppo giorgionesco a sinistra, i nudi accademici, la monumentale prigione prepiranesiana, lo scorcio ultracorreggesco dell’angelo». Ammette che si tratta comunque di un’opera senza rivali nell’Italia di fine XVI inizio XVII secolo, e che si può considerare come «… un anello di congiunzione fra Tintoretto e Gèricault». Per la verità anche Longhi e Sgarbi valutano il Martirio come - 30 -

un’opera con un messaggio pittorico molto più fievole rispetto alla Vocazione.

Longhi parla di «…nudoni retorici di manigoldi scamiciati…» e «… odiosi ricordi manieristici…». Per Sgarbi la Vocazione porta Caravaggio nella storia dell’arte «… il dipinto scatenerà la curiosità del mondo dei pittori e inizia a destare meraviglie in tutta Europa» (Sgarbi, pag. 78), e lo fa in un modo talmente nuovo ed originale che farà fatica a misurarsi anche con se stesso (leggi il Martirio di San Matteo). Da questo momento Caravaggio, a parte la nuova versione del Suonatore di liuto e la citazione mitologica del Narciso (che potrebbe benissimo intitolarsi semplicemente Ragazzo che si guar- 31 -

da nello stagno), che riportano a temi della sua prima età, dedica la sua attenzione al sacro. Alla Cappella Contarelli, oltre ai due dipinti accennati, segue la Madonna col Bambino2, che Longhi con una riflessione suggestiva e un po’ maliziosa, lega come seguito narrativo alla Maddalena Penitente.

Madonna con Bambino Galleria Nazionale di Arte Antica (Roma)

Maddalena penitente Galleria Doria Pamphili (Roma)

La costante dei modelli popolari è presente anche in questa Madonna, dove a parte l’aureola, la donna sembra la stessa, vestita allo stesso modo con quel corsetto a bretelle uguale a quello della Maddalena. Dopo una serie di quadri, che come al solito, attirarono su di lui le critiche dei suoi detrattori a proposito di composizione e sintassi negativamente condizionate da quella luce e principalmente 2 Ho inserito questo quadro tra quelli di Caravaggio, ma sinceramente non sono certo della sua attribuzione. Attualmente si trova presso la Galleria Nazionale di Arte Antica – Roma, e sul loro sito il dipinto è attribuito a Orazio Gentileschi con questa descrizione: “È stato Roberto Longhi il primo ad avanzare il nome di Orazio Gentileschi quale autore dell’opera, nota anche come Madonna dello svezzamento”. Io sto seguendo il libro di Longhi su Caravaggio dove la Madonna viene attribuita a Caravaggio (Longhi, pag. 40 e Tav. 29 pag. 113).

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da quelle ombre, si arriva alla fine di quegli anni che Longhi chiama di San Luigi. Caravaggio ritorna su un tema che ritiene forse autobiografico, e cioè il San Giovanni Battista. Scorbutico, ostinato e principalmente naturista al quale basta una cannuccia a croce, una scodella ed un caprone per essere rappresentato. In quello della Galleria Nazionale di Roma, il ragazzo di strada è cresciuto emerge luminoso in un vorticare di ombre; nell’esemplare di Kansas City la posa è quella della maniera grande del San Matteo dell’altare di San Luigi dei Francesi, il paesaggio si limita a poche foglie ed arbusti di un colore brunito, una rappresentazione ormai incamminata sulla classicità. Le ombre scavano il torso e dissolvono l’interno della gamba destra, della sinistra si intravvede solo il ginocchio, il drappo rosso è sontuoso. L’espressione è seria e pensierosa, i capelli, bruniti come il paesaggio, quasi si confondono nello scorcio di bosco retrostante. Sono passati poco più di cinque anni, ma come è lontano il Bacchino malato. Forse mi lascio suggestionare, ma questo frammento di fregio narrante le gesta di Telefo sull’Ara di Pergamo (183174 a.C.) non mi sembra lontano, e mi conforta leggere Berenson che richiama Lisippo nel descrivere la testa, il torso ed il braccio del David della Galleria Borghese, successivo nel filone di trasformazione di questi giovani ragazzi romani da Giovanni Battista ad eroi biblici. - 33 -

«Ma quale testa e torso e braccio – degni di Lisippo». (Berenson pag. 34) e, forse in vena di complimenti, gli attribuisce anche un sentimento, «Forse il David della Borghese tradisce una certa amarezza, mentre regge la testa che si dice essere l’autoritratto del pittore» (Berenson, pag. 71) Poco prima dei 29 anni (24 settembre 1600), a dimostrazione della fama ormai raggiunta, Caravaggio, riceve la commissione per due importanti opere per la Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo. Egli è appellato come egregius in urbe pictor, descrizione ancora più importante se si pensa che l’altro dipinto della Cappella, quello sull’altare fu commissionato ad Annibale Carracci. Praticamente i due più importanti pittori della Roma a cavallo tra il 1500 ed il 1600. Due dipinti che a causa della loro buia collocazione rimasero per lungo tempo semisconosciuti alla cultura europea. Bella ed intrigante la descrizione che Sgarbi dà della Conversione di San Paolo, riprendendo e sviluppando l’analisi di Longhi (pag. 56). La chiesa diventa una stalla, l’uomo sullo stesso livello rappresentativo nella Canestra di frutta, qui diventa meno importante del cavallo che è rappresentato con un bellissimo brano di pittura. Il dipinto è la storia di un doppio ribaltamento, sia fisico che psicologico, concetti chiarissimi ed espliciti. Ribaltamento fisico perché Paolo è caduto, psicologico perché Paolo perde la sua posizione di potere.

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E la genialità di Caravaggio sta nel riproporre, a suo modo quello che aveva visto nella sua adolescenza a Santa Maria presso San Celso a Milano, in un’altra conversione, quella del Moretto (immagine successiva).Vale a dire il punto di vista del cavallo (che è poi il titolo del libro di Sgarbi). Nella Vocazione la luce proviene da una fonte luminosa la cui sorgente è quasi sicuramente un’apertura sull’esterno (finestra o porta non importa), nella Conversione, invece, si ha difficoltà a capire se si tratti di luce del sole o divina. La forza della composizione è concentrata tutta nel gesto trattenuto del cavallo che evita di calpestare il Santo, la cui santità inizia proprio nel momento della sua caduta da cavallo. La storia dei dipinti nella Cappella Cerasi necessita di una spiegazione. La commissione da parte di Tiberio Cerasi, tesoriere generale della Camera apostolica, riguardava la rappresentazione del Martirio di San Pietro e della Conversione di San Paolo da effettuare su tavola di cipresso e risale al 1600. Nel 1601 il commit- 36 -

tente muore. Dal 1605, la cappella ospita due nuovi dipinti, questa volta su tela. Della prima versione del Martirio di San Pietro si sono perse le tracce; la prima Conversione di San Paolo, invece, da quando non più nella cappella Cerasi, è parte di collezione privata (Collezione Odescalchi, immagine successiva)). - 37 -

Ma perché questa sostituzione? Nonostante le dichiarazioni screditanti di Giovanni Baglione (nemico del Caravaggio), secondo le quali le tavole furono rifiutate dai committenti, «Questi quadri prima furono lavorati da lui in altra maniera, ma perchè non piacquero al Padrone, se li prese il cardinale Sannesio, e lo stesso Caravaggio vi fece questi, che hora si vedono» (Baglione), sembrerebbe che lo stesso Caravaggio, una volta che il Maderno ebbe finito di costruire la cappella, in accordo con i committenti, abbia deciso a causa dell’angusto spazio, di sostituire i dipinti con gli attuali. Il motivo stava tutto nell’impianto della composizione che era stata progettata per una visione d’insieme da una posizione distante. Ora, a causa del poco spazio, l’impianto doveva essere fruibile da una posizione ravvicinata. Alla luce di questo, quindi, probabilmente ha ragione Longhi quando categoricamente esclude, per evidenti differenze di stile, che la prima versione sia quasi contemporanea della seconda, ma la sua collocazione ad almeno 10 anni prima forse è un po’ eccessiva. Di fronte alla Conversione si trova la Crocifissione di San Pietro. I «…nudoni retorici di manigoldi scamiciati…» lasciano il posto a degli operai ripresi nello svolgimento dei loro compiti. Non più carnefici, ma serventi. Personaggi calati completamente nel popolo plebeo della sua epoca, coi loro baveri sgualciti e le braghe povere e consu- 38 -

mate. E davanti a tutti, quei piedi in primissimo piano che tanto hanno fatto discutere per la loro naturalezza, piedi reali, sporchi. Tutti ripresi nella tensione dei muscoli in questo lavoro che sembra quasi routine, «Sembra quasi di sentire i loro versi gutturali da bestie da soma» (Sgarbi pag. 95). Qui l’unico ribaltamento è quello fisico, quello del Santo non per volontà dell’artista, ma proprio perché la storia lo impone. E’ raffigurato a testa in giù, «… ci guarda calmo, cosciente come un moderno eroe laico…» (Longhi pag. 56). Nella composizione non interviene nessun aspetto sacro, Caravaggio tira fuori dalla realtà delle cose l’aspetto religioso. Ed è vero quello che dice Longhi, visto questo quadro si ha l’impressione che la storia sia andata esattamente così. Per Berenson le tele sono piene di incongruenze. La Conversione è una sciarada dove le sue parti sono costituite da un vecchio cavallo che solleva le zampe anteriori e un ufficiale disteso per terra «che apre le braccia in deliquio» (Berenson pag. 26) L’evidenza data al cavallo rispetto al Santo, quello che per Longhi è forse il punto di vista più rivoluzionario dell’arte sacra, per Berenson è quanto di più incongruo ci possa essere. Una scena popolana e non sacra, dove manca completamente l’evento miracoloso, «la rappresentazione dell’acquetarsi di un cavallo impennato» (Berenson, pag. 53) Per quanto riguarda la Crocifissione, invece, «… la fatica dei serventi…» di Longhi, diventa per Berenson una disumanizzazione del tema. Egli lamenta il fatto che gli operai sono dei semplici meccanismi all’interno della composizione, «… vediamo dell’uno il sedere e dell’altro la schiena; di nessuno dei due vediamo il viso.» (Berenson pag. 27), «uno studio di natiche, in un disegno a diagonali incrociate» (Berenson, pag. 53). Giusto per inciso nella sua introduzione Berenson mette subito in guardia il lettore «Intorno ad essi (i quadri del Caravaggio), - 39 -

mi lascerò andare a dire qualunque cosa mi passi per la testa, una testa che ha meditato per lunghi anni sull’arte, dal punto di vista estetico, storico, morale. E infine mi prenderò la libertà di esprimere quanti pensieri l’esame dell’opera caravaggesca mi ha suggerito» A voi la scelta del punto di vista più corretto. I tempi della natura morta sono ormai lontani, il lavoro dell’artista prosegue sul filone della rappresentazione della figura umana e questo, in quanto inteso come segno di classicità, riscuote anche i favori della critica.

Nel 1601 riceve una nuova commissione, messa in opera nel 1604. Si tratta della Sepoltura del Cristo per l’altare Vittrici alla - 40 -

Chiesa di Santa Maria in Vallicella (comunemente chiamata Chiesa Nuova). I personaggi della Sepoltura sembrano sorpresi da un lampo di luce, quasi rimasti senza parole, paralizzati nella loro azione, ma

sono sicuramente personaggi popolani. Il Nicodemo che prende le gambe del Cristo da sotto le ginocchia, è un personaggio della Roma popolana che si poteva incontrare per le vie romane nell’epoca caravaggesca. In questo dipinto Caravaggio si spinge ad una rappresentazione del dolore dal mio punto di vista veritiero nella Madonna e nella Maddalena, ma teatrale, troppo impostato nella Maria di Cleofa dietro tutti i personaggi. Purtroppo io ho sempre nella mente la deposizione di Donatello sul retro dell’altare del Santo a Padova, dove le donne piangenti trasmettono un dolore puro, senza identità e senza tempo difficilmente ripetibile. Su questo in qualche modo sono d’accordo con Berenson, - 41 -

che trova anche lui il gesto della discepola non di suo gusto. Lirico, invece, è a suo dire il gioco del chiaroscuro su Giovanni e sulla Maddalena, mentre la scena è rovinata dalla sproporzionata testa del Nicodemo al centro della composizione. Questo dipinto ha fatto scuola, specialmente se si pensa alla Deposizione di Rubens, ora a Vaduz nella galleria dei principi di Liechtenstein, quasi integralmente copiata nell’impianto dal Caravaggio. E’ del 1604, presumibilmente, la Madonna dei Pellegrini. Mancano due anni alla sua fuga da Roma. L’opera è collocata in mezzo alle due Cena in Emmaus, ed è una commissione dei signori Cavalletti, bolognesi, per la Chiesa di Sant’Agostino. La Madonna in questione è quella di Loreto. E’ attestata una permanenza di Caravaggio per alcuni giorni nella cittadina marchigiana un anno prima. Adesso, provate ad immaginare di essere nella Roma di inizio ‘600. Diciamo anche che apparteniate alla parte colta della società, e magari siete anche degli artisti. Che sentimento provate nel vedere un tema, dove l’iconografia ufficiale era rappresentata da angeli che trasportano la casa della Vergine fino alla cittadina marchigiana, stravolto completamente, dove gli angeli non ci sono, le uniche strutture della casa sono lo stipite al quale è appoggiata la Madonna, un muro con dell’intonaco caduto ed il - 42 -

gradone, ai piedi del quale si inginocchiano due pellegrini in abiti lisi e in primo piano i piedi nudi, callosi e sporchi (tema ricorrente quello dei piedi in Caravaggio!)? Va da se che l’altra parte della società, quella povera, popolana, che con quest’opera sale letteralmente “sugli altari”, non può che esaltarsi e tessere le lodi dell’artista, e lo fa “facendone estremo schiamazzo”. Ma si sa, a Caravaggio gli piace “d’épater le bourgeois”. Per quanto riguarda l’aspetto estetico, la critica  è concorde. E Sgarbi in questo mi aiuta nel descrivere le loro impressioni: «la Madonna di Loreto… per Berenson era “la figura del Caravaggio più avvenente, e insieme più regale, che sia giunta fino a noi” e Longhi la paragona all’Irene di Cefisodoto» E continuerà, a sorprendere il borghese, e a ricevere critiche denigratorie anche per le opere successive. Subirà lo smacco di un scarto nella gara con il Cigoli ed il Passignano per la committenza per un Ecce Homo da parte di monsignor de’ Massimi. Questa sua originalità, lo porterà anche a fallire l’opera per la commissione più importante che un artista della Roma di inizio ‘600 potesse aspettarsi: la pala per un altare a San Pietro. Sto parlando della Madonna del serpe per l’altare dei Palafrenieri, rifiutata perché non celebrativa, non aulica, ma come al solito “plebea”. - 43 -

Vi confesso che io, se continuassi a trovare in questa lettura sempre gli stessi aggettivi di “plebeo” e “popolano” ad ogni dipinto che viene presentato, un po’ mi stuferei. Questa volta voglio lasciare a voi ogni commento, e lo voglio fare mettendovi il confronto con l’altro artista con il quale divideva le scene e le committenze del periodo. Trovate le differenze! Un aiuto? Paesaggio, abbigliamento, luce...

Caravaggio Madonna del Serpente (o dei Palafrenieri) Galleria Borghese (Roma)

A. Carracci “Pietà con San Francesco e Maria Maddalena” Cappella Mattei in San Francesco a Ripa Roma (1602 – 1607), oggi al Louvre.

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In chiusura di questa parte dello scritto, l’ultimo dipinto: Morte della Vergine.

Rappresentazione plebea e popolana… no scherzi a parte, questa volta il dipinto fu proprio levato dall’altare! - 45 -

Ricordate il dettaglio del Carracci che vi avevo proposto nella prima parte, quando parlavo delle origini di Caravaggio. Quella Madonna svenuta di Parma, la ritroviamo uguale in quest’opera. Secondo la critica, la colpa di Caravaggio fu di aver usato una prostituta annegata nel Tevere, ancora gonfia d’acqua, in una stanza scarna e poco consona alla persona della Madonna, unico

collegamento con il Cristo morto e poi risorto. E sempre quei piedi nudi in primo piano, piedi della Vergine e degli apostoli. Fu accusato di aver rappresentato la morte non della Vergine, ma di una “popolana del rione” (Longhi pag, 63). Però, sotto quel drappo rosso disordinato si respira davvero il dolore; la donna china sulle ginocchia, anche se con il volto nascosto, sembra piangere lacrime calde; San Giovanni sta ricordando i momenti vissuti insieme, gli apostoli sono addolorati sul serio. Mi sono accorto, rileggendo Berenson che non faccio più riferimento nelle descrizioni dei dipinti alla luce che Caravaggio dona ai suoi quadri, allora eccovi la sua di descrizione: «Essa rimbalza su crani pelati, sul viso della Vergine, sul dorso e le braccia della donna piangente, non senza effetti drammatici» (Berenson, pag. 37). Stimava questo quadro, apprezzava «la solenne - 46 -

maestosità delle figure, ma anche la sapienza degli aggruppamenti» (Berenson, pag. 55), gli piaceva «come la Vergine sembra dormire, col braccio destro abbandonato nel sonno, indifferente alla compagnia raccoltasi intorno a lei» (Berenson, pag. 37). Se ne avete la possibilità scorrete questo quadro con un sottofondo musicale adeguato (Ludovico Einaudi in Corale o Walk ad esempio), diventa a dir poco commovente. Sono stato al Louvre a marzo 2015 con l’intenzione, tra le altre, di vedere questo quadro, ma come a volte accade quando si va per musei, l’opera non era al suo posto. Peccato. La bellezza del dipinto non sfuggì a Rubens, che mettendolo in salvo per il duca di Mantova, Vincenzo Gonzaga, nel 1607 ne allestì addirittura una pubblica esposizione «per soddisfar all’università delli pittori». Prima di passare alla terza ed ultima parte di questa breve storia, credo che sia utile incominciare a preparare il lettore su quello che succederà a seguito dell’evento cardine di questa svolta, vale a dire l’assassinio da parte di Caravaggio di Ranuccio Tommasoni, con una riflessione su quello che sarà il cambiamento d’animo dell’artista. Un buon argomento per anticipare questa mutazione credo sia la doppia realizzazione della Cena in Emmaus. La prima (1601) National Gallery Londra

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La prima è quella tra le due che meno mi piace. Il volto del Cristo mi sembra fuori luogo, direi fuori personaggio, “incongruo” (Berenson pag. 28). Troppo leggero il pathos che si respira. L’espressione dell’oste sembra quasi irriverente, il suo unico pensiero è accertarsi che i commensali abbiano il denaro per pagare; gli atteggiamenti di meraviglia dei due apostoli sono troppo teatrali, come il dolore di Maria di Cleofa nella Sepoltura vaticana. Intendiamoci, questo non oscura, la grandissima capacità descrittiva della natura morta e degli altri elementi che imbandiscono il tavolo, o della tovaglia ripresa nei minimi particolari. Che dire poi del particolare della manica strappata del commensale di spalle, o dell’acqua nella brocca! La seconda (1606) Pinacoteca di Brera Milano

La seconda. Il fattaccio è successo, e lo stato d’animo è cambiato. L’opera è realizzata già fuori Roma (Palestrina o Zagarolo) I colori sono più cupi, la meraviglia dei discepoli più contenuta, l’oste osserva con interesse, la cameriera (personaggio nuovo) attende rispettosa, la tavola è più povera sotto questa cappa di malinconia, la tavolozza dei colori sembra conoscere un unico tono. - 48 -

Lo stato d’animo dell’artista condiziona i personaggi… misurati, riflessivi, più reali e non teatrali, che vengono analizzati quasi alla ricerca di un sentimento interiore, a differenza della precedente versione dove balza subito agli occhi la sorpresa, lo stupore, la vitalità e vivacità dei colori. Tranne per l’oste e per la cameriera, anche gli abiti dei due commensali sono cambiati, non parlano più una lingua contemporanea all’artista, ma sono quelli della tradizione. Sono stato a Milano il 27 dicembre del 2014, alla Pinacoteca di Brera, nevicava, e quel gesto di benedizione, positivo in se, contrastante con l’espressione triste del volto, scatena una commozione senza aggettivi, se non “pura”.

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Parte Terza Fuga da Roma e produzione finale Quindi, ricapitolando, Caravaggio a causa sia del suo incrollabile credo nella “pittura della realtà” che, come abbiamo visto negli ultimi tempi romani gli causerà non pochi rifiuti, sia a causa di un temperamento intollerante, attaccabrighe, invidioso ed “omicida” (Berenson, pag. 70) che il 29 maggio 1606, in una sorta di duello tra bande, lo porterà a commettere l’omicidio di Ranuccio Tommasoni, è costretto a lasciare Roma per sfuggire alla condanna a morte che il papato gli stava per infliggere. All’inizio la fuga, nell’attesa della cancellazione della condanna, è limitata alla campagna romana sotto la protezione di Marzio Colonna, successivamente vedendo che la revoca non arrivava si diresse dapprima verso Napoli, poi verso Malta, e ancora in Sicilia per chiudere, infine, il suo peregrinare e la sua vita, a Porto Ercole (anche se c’è chi sostiene altre versioni). Napoli per Caravaggio, pittore della realtà, doveva essergli sembrata un paradiso di suggestioni con la sua quotidianità “disperatamente popolare” (Longhi, pag. 65). Centro della strategia spagnola nel mediterraneo, la Napoli di inizio ‘600 è una città ricca, attiva, frenetica e caotica. In questo contesto vengono a collocarsi le opere di questo periodo. Per la verità, a causa del suo doppio passaggio per la capitale del Regno, la datazione delle opere ha dato qualche problema. Sicuramente al primo passaggio risale le Sette opere di misericordia presso la Chiesa del Monte della Misericordia. Per capire questa tela, va da se che bisogna conoscere quali sono le opere di misericordia. - 51 -

Innanzitutto va detto che esistono quelle spirituali e quelle corporali. Caravaggio in questo dipinto si dedica a quelle corporali, e cioè: • • • • • • •

Dar da mangiare agli affamati; Dar da bere agli assetati; Vestire gli ignudi; Alloggiare i pellegrini; Visitare gli infermi; Visitare i carcerati; Seppellire i morti.

Nell’immagine che segue ho cercato di didascalizzare l’opera. Per sfruttare al meglio lo spazio a disposizione sulla tela, per far in modo di rappresentare tutte e sette le opere, Caravaggio è stato costretto a sovrapporre le scene. Per la verità l’angolo in alto a destra è ancora libero, messaggero forse, di quello che accadrà nelle opere successive, quando Michelangelo si misurerà con un nuovo concetto di spazialità nelle tele maltesi e siciliane. Molte le citazioni dal classico, alcune più comuni come la condivisione della cappa da parte di San Martino nel Vestire gli ignudi, altre più ricercate come la storia di Cimone e Pero, ovvero della Carità Romana per la scena del Dar da mangiare agli affamati. Per chi non conoscesse la toccante storia di Cimone e Pero, vi riporto di seguito un breve riassunto. Il vecchio Cimone è rinchiuso in carcere e condannato a morire di fame. La figlia Pero vorrebbe salvarlo ma non sa come fare. Ottiene il permesso di fargli visita a patto di non portare cibo con se. Pero ha appena partorito e così dopo aver saziato il figlio porge il seno al padre e lo sfama. Col passare del tempo, non vedendo il deperimento di Cimone, il carceriere si insospettisce e segue le mosse della donna. Scoperto l’inganno la denuncia, ma le autorità impietosite per il bel gesto, liberano Cimone. - 52 -

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Lo stesso soggetto è usato dal Caravaggio per il Visitare i carcerati. Altra citazione dal classico è quella del Dar da bere agli assetati con un Sansone che beve dalla mascella di un asino. Più contemporanea sembra invece la scena Alloggiare i pellegrini, con il pellegrino, identificato dalla conchiglia appesa alla giacca. Difficile da intendere, per colpa soprattutto del buio che la interrompe, la scena del Visitare (o curare) gli infermi, coperto dal busto del personaggio che impersona l’ignudo, si intravvede nell’angolo in basso a sinistra un uomo a terra con un bastone ed un piede in evidenza. Ma come ne parlano i nostri critici? Per Longhi «la camera scura è trovata all’imbrunire in un quadrivio napoletano sotto il volo degli angeli-lazzari che fanno la «voltatella» all’altezza dei primi piani, nello sgocciolio delle lenzuola lavate alla peggio e sventolanti a festone sotto la finestra cui ora si affaccia una «nostra donna col bambino»; belli entrambi come un Raffaello «senza seggiola» perché ripresi dalla verità nuda di Forcella o di Pizzofalcone» (Longhi, pag. 67) Per Berenson la composizione è originale e non è “priva di un suo fascino strano” (pag. 54), ma prima di arrivare a dirlo…” ci vengono presentati i soli piedi di un cadavere portato a seppellire, una giovane isterica che offre il petto a un vecchio, alcune figure giorgionesche occupate in indecifrabili attività, e un uomo… che guarda controluce il contenuto di un bicchiere. Il tutto stipato in un interno tenebroso” (Berenson, pag. 54) Sgarbi riprende i concetti di Longhi e introduce l’aspetto teatrale dell’impaginazione e la capacità di «Caravaggio di superare se stesso dando veste reale a concetti di forte valore simbolico e teologico.» (Sgarbi, pag. 116). La realizzazione seguente fu La Madonna del Rosario, oggi al Kunsthistoriches Museum di Vienna. Per la verità la datazione di questo dipinto è un po’ confusa. C’è chi la pensa realizzata per il Duca di Modena, Cesare d’Este, - 54 -

a causa di somme versate nel 1605 in acconto per un’opera, quando Caravaggio era ancora a Roma. Altre ipotesi la fanno risalire, appunto, al periodo napoletano ed individuano i committenti nella famiglia Colonna per due mo-

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tivi, uno iconografico individuato nella colonna a sinistra della tela alla quale è allacciato il drappo rosso, molto più composto di quello della Morte della Vergine, e l’altro di ordine storico, conseguenziale al fatto che avo di Luigi Carafa-Colonna, presunto committente (l’uomo con collare alla sinistra della tela), fu quel Marcantonio Colonna protagonista della Battaglia di Lepanto nel 1571. Va ricordato, infatti, che la festività del Rosario fu istituita nel 1573 a seguito della battaglia. Longhi la colloca nel periodo napoletano. Secondo lui l’artista «l’aveva dipinta, come si dice, col cuore in mano, in un momento eccezionale di schiarita» (dello stato d’animo evidentemente). Berenson, anche lui concorda (anche se non completamente convinto) sulla periodizzazione, ammira il gruppo delle figure inginocchiate, ma dal Caravaggio, “artista dotato”, si aspettava più che un quadro “accademico ed insulso” (Berenson, pag. 37). Sgarbi pone ancora l’accento sulla teatralità della rappresentazione in questa scena, delimitata dal drappo rosso, affollata da pezzenti e domenicani. Ed ancora in evidenza i piedi nudi e sporchi. Ma quando hanno inventato le scarpe? Da questo momento per la produzione napoletana ci sono delle incertezze di datazione dovute, come già accennato, al doppio soggiorno dell’artista a Napoli. Le due precedenti sono le tele che Longhi per certo fa risalire al primo periodo napoletano, mentre con qualche incertezza colloca nel secondo periodo La Flagellazione, che il Bellori però data tra le prime, «Prese dopo il cammino per Napoli, nella quale Città trovò subito impiego, essendovi già conosciuta la maniera, eì suo nome. Per la Chiesa di San Domenico mag- 56 -

giore gli fu data a fare nella cappella de’ Signori di Franco la flagellazione di Christo alla colonna, e in Santa Anna de’ Lombardi la Risurrettione.» (Le vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, G.P. Bellori – 1672) L’opera si ispira a quella, con lo stesso tema, di Sebastiano del Piombo in San Pietro a Montorio a Roma. Notevole è la resa plastica dei corpi muscolosi dei carnefici e del Cristo, capacità questa che abbiamo già avuto modo di constatare nelle ultime tele romane. La luce che arriva da sinistra crea dei chiaroscuri molto marcati sugli aguzzini che emergono dal buio, contribuendo a dare drammaticità alla scena, e illumina completamente il corpo di Gesù. Nel personaggio a destra, qualcuno ha voluto vedere lo stesso

che scava la fossa nella Santa Lucia di Messina, mentre quello di sinistra probabilmente è lo stesso modello della Salomè con la testa del Battista oggi a Londra e dipinto probabilmente tra il 1609 ed il 1610, e quindi durante il secondo soggiorno napoletano. Berenson fa notare come la figura dell’aguzzino a sinistra sia “deliberatamente bestiale” (Berenson, pag. 38) cosa che si vede spes- 57 -

so nelle opere dei caravaggeschi, ma difficilmente nel Caravaggio stesso. E ancora, come l’autore copia da se stesso nel personaggio ai piedi di Cristo simile al David oggi a Madrid. In questa composizione paratattica l’eterna lotta tra il Bene ed il Male è posta sullo stesso piano, a differenza di quello che per esempio abbiamo visto nel Martirio di San Pietro, dove le diagonali incrociate ponevano, anche per soddisfare la tradizione, il Santo inclinato verso il basso. Di più certa collocazione temporale sono le tele maltesi, caratterizzate da una visione nuova nella gestione dello spazio. Caravaggio giunge a Malta per la prima volta nella seconda metà del 1607, e dopo un breve rientro a Napoli, nella primavera del 1608 ritorna sull’isola dove nel luglio dello stesso anno sarà insignito come Cavaliere di Grazia da parte del Gran Maestro dei Cavalieri dell’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme Alof de Wignacourt, per il quale dipingerà il ritratto oggi custodito al Louvre. Longhi giudica questo dipinto come una buona realizzazione che, però non regge il confronto con gli altri ritratti che l’artista ci aveva regalato, principalmente a quelli che vengono fuori dalle pale d’altare ad esempio di Napoli, come il committente nella Madonna del Rosario o all’oste delle Sette Opere di Misericordia. Anche Berenson giudica questo dipinto come non completo, «sebbene si tratti di un indubitabile capolavoro, manca a questo dipinto qualcosa, un saggio di quel fascino che emana dai ritratti del grande veneziano (sta parlando di Tiziano)» (Berenson, pag. 42). Credo che Berenson si riferisse alla capacità da parte di Tiziano di scrutare e rappresentare nelle sue opere l’animo del soggetto, cosa che evidentemente i nostri critici, pur apprezzando la realizzazione, non riescono a vedere in questa tela. Ad esclusione dei ritratti del Gran Maestro, del soggiorno maltese tre sono le opere che con certezza possono essere attribuite a Caravaggio, e nell’ordine sono la Decollazione del Battista, il San - 58 -

Gerolamo e Amore Dormiente, qui di seguito daremo un’occhiata alle prime due. - 59 -

La Decollazione di San Giovanni Battista

La scena è spostata tutta sulla sinistra, con questa composizione piramidale, oserei dire conica date le posizioni a semicerchio delle figure, dove Salomè (o una sua ancella) è pronta a ricevere in un bacile di rame la testa del profeta. La donna, più anziana si mantiene la testa in un gesto di disperazione, o forse orrore, per l’atrocità che si sta commettendo, ma è impotente, nulla può, anche perché al suo fianco l’ufficiale barbuto sta indicando con gesto perentorio, meglio dire sta ordinando, al carnefice dove mettere la testa mozzata. L’esecutore materiale dell’assassinio è ripreso nell’atto di finire il suo lavoro con il coltello nella mano destra dietro la schiena e raccogliere da terra la testa del Battista; alle sue spalle da una grata, presumibilmente la finestra di una cella, due uomini osservano con interesse la scena. E chissà se il nostro artista, pensando al suo destino, non si sia visto per un momento al posto di uno dei due figuri imprigionati o si sia sentito coinvolto nella parte del Battista, per la condanna che pendeva, letteralmente, sulla sua testa. - 60 -

La luce che arriva da sinistra ed illumina a giorno la schiena del carnefice da alla rappresentazione un colore rossastro che la colloca forse verso il tramonto. Questo è uno dei pochi dipinti del Caravaggio in cui si capisce dove siamo, e le proporzioni tra le strutture architettoniche e le figure umane vengono rispettate. Questa rappresentazione teatrale (la prigione e tutto il cortile non sembra una quinta?) non è però solo una questione di prospettive e proporzioni, è un nuovo modo di collocare la scena nello spazio che continuerà, come vedremo, nelle tele siciliane. Un’ultima particolarità su questo dipinto è data dalla firma. E’ la prima volta che Caravaggio firma un’opera e lo fa usando il sangue del Battista. Si firma come Fra (che qui sta per Cavaliere) Michelangelo «come se incredulo, volesse affermare per primo a se stesso l’onorabilità appena conquistata». (Sgarbi, pag. 125). Il San Gerolamo

A torso nudo, coperto dalla cintola in giù in un abbondante panneggio, questo San Gerolamo, “scrivente” anche lui, sembra più - 61 -

pensieroso e meditabondo rispetto a quello del periodo romano intento nella realizzazione della sua Vulgata. Sembra più giovane e più vecchio allo stesso tempo di quello della Galleria Borghese. Più giovane nel fisico, più vecchio nel volto pensieroso e scavato dalle rughe. L’ambiente è illuminato da sinistra, la luce si staglia sul Santo e si sofferma sulle poche cose sul tavolo, illumina il teschio, l’ombra del braccio sembra scavargli il petto. Da notare come il suo volto sia molto somigliante a quello del Gran Maestro Alof de Wignacourt, probabile omaggio da parte dell’artista o semplicemente facente parte del proprio bagaglio di modelli (non ha anche la fisionomia e la posizione dell’apostolo al centro della Morte della Vergine?). A Malta Caravaggio non dura nemmeno un anno. Il suo temperamento ribelle, nell’ottobre del 1608 lo porterà allo scontro con un Cavaliere di Giustizia, più importante di lui nella scala sociale maltese, (vi ricordo che lui fu insignito di Cavaliere di Grazia perché non aristocratico) e sarà rinchiuso in carcere, da dove il 6 ottobre scapperà per approdare sulle coste siciliane. In sua assenza sarà espulso dall’Ordine «tamquam membrum putridum et foetidum». Io non conosco il latino, ma penso che in questo caso sia superfluo. Al periodo siciliano, tra Siracusa, Messina e Palermo, appartengono importanti lavori dell’artista, che confermano il suo nuovo concetto di spazialità iniziato a Malta con la “Decollazione di San Giovanni Battista”. A Siracusa realizza il Seppellimento di Santa Lucia, martire e padrona della città. Secondo alcune interpretazioni, sullo sfondo si vede l’ingresso della latomia siracusana più comunemente nota come Orecchio di Dioniso, nome datogli proprio da Caravaggio. Le figure nei confronti dell’ambiente sono minuscole, solo l’ufficiale in armatura e i due carnefici in primo piano, ma probabilmente è meglio considerarli semplicemente dei becchini, sono - 62 -

di dimensioni tali da sovrastare completamente i dolenti posti in secondo piano, forse per accentuare, in questo gioco di dimensioni, il senso di drammaticità che la scena, secondo l’artista, doveva trasmettere. - 63 -

La luce, che arriva da destra, sembra assegnare il ruolo di protagonisti della scena ai due giganteschi manovali della morte, passa sulle facce della piccola folla addolorata e si posa sul volto della Santa e sul suo braccio disteso, dolorosamente esanime. Non fosse per il drappo rosso al collo dell’affranto personaggio che veglia sul corpo della donna, tutta la scena avrebbe una gradazione di tono basata su un’unica tinta. Ma, a mio avviso, l’intensità del dolore di questa rappresentazione tragica non raggiunge quella che si respira nella Morte della Vergine. Il corpo di Lucia sembra quello della Vergine nel quadro al Louvre, e la stessa critica ha subito questo dipinto. Non fosse per la presenza del vescovo e del prete in secondo piano, potremmo tranquillamente dire di essere in presenza del funerale di una popolana e non di una santa. Per Berenson Caravaggio in questo quadro rasenta il cinismo, mettendo in evidenza il fatto materiale (seppellimento) piuttosto che il dolore degli astanti, relegati in una posizione secondaria nei confronti di questi “bestioni” che scavano la fossa, «che nel chinarsi fanno sfoggio di natiche» (Berenson, pag. 39) Non ci sono angeli che attendono l’anima della martire in cielo, eppure lo spazio la in alto basta ed avanza, ma evidentemente Caravaggio «vuole comunicare il senso di un abisso del male... un luogo dove non c’è grazia , non c’è speranza» (Sgarbi, pag. 130) Peccato per lo stato di conservazione di questa tela che nonostante il restauro è ancora in condizioni rovinose; una delle più grandi, in termini di misure, realizzate dall’artista insieme alla Decollazione di Malta e alla Resurrezione di Lazzaro di Messina. Vorrei aggiungere un ultimo particolare su questo dipinto, secondo San Gregorio Magno la Santa fu martirizzata per decapitazione, ma negli Atti Latini la condanna a morte è descritta per taglio della giugulare. - 64 -

Perché vi sto dicendo questo? Guardate attentamente il collo della Santa e ve ne accorgerete. Nel 1609, il nostro Michelangelo lascia Siracusa, si avvia verso Messina e continua nella realizzazione di opere di grandi

dimensioni. La Resurrezione di Lazzaro, realizzata per la Chiesa di San Pietro dei Pisani, ha una dimensione di 380 cm per 275 cm, e nonostante sia stato da poco restaurato presenta ancora problemi di carattere conservativo. Probabili cause sono i materiali usati dall’artista. Caravaggio infatti, un po’ per la fretta di tornare a Roma, dove si incominciava a parlare di un probabile perdono papale, un po’ per la mancanza di denaro, non fu in grado di usare materiali di buona qualità. Secondo un articolo del Corriere della Sera, a firma di Lauretta Colonnelli, fu proprio la fretta la causa madre della cattiva conservazione del dipinto. La necessità di fare in fretta suggerì all’artista di coprire con un fondo bruno la tela, e negli anni successivi, i restauratori, convinti che fosse sporcizia si accanirono a lavare la tela per cercare di schiarirla, scolorendola irrimediabilmente. Questa è un immagine dal Corriere della Sera che ci mostra a sinistra la tela prima del restauro ed a destra a lavoro ultimato. Quella che segue è l’immagine che ho estrapolato dal mio libro su Caravaggio della Taschen, a cura di Sebastian Schütze. La tela presenta, gia a livello iconografico, alcune particolarità, come ad esempio, la - 65 -

posizione di Lazzaro che generalmente è rappresentato seduto o in piedi mentre esce dal sepolcro; la sua quasi completa nudità  è un altro elemento di rottura con la tradizione.

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La luce, che anche su questa tela entra prepotentemente da sinistra, ha sul Cristo lo stesso effetto che abbiamo incontrato nella Vocazione di San Matteo” e d’altra parte anche la posizione del Cristo, che come la luce è speculare a quella della “Vocazione”, è la stessa. Mi sento di dire, non me ne voglia nessuno, che anche in questo caso il Cristo, non fosse perché la storia lo vede protagonista, potrebbe benissimo uscire dalla scena, perché il focal point dell’opera si concentra tutto sul corpo di Lazzaro, completamente illuminato dalla luce, sulla schiena dell’uomo che lo regge e sui volti di Marta, piegato sul viso del risorto, e di Maddalena felice per quello che sta succedendo. Non fosse per quella mano di Lazzaro, centro fisico della tela ed ambasciatrice del messaggio sacro del miracolo, mano che raccoglie la luce proveniente da Gesù che è vita, non sembrerebbe anche a voi di vedere una deposizione? Con Lazzaro prefigura del Cristo? La posizione del risorto è carica di significati, sembra un uomo in croce. Il braccio sinistro verso resti di uomini che furono, che Longhi definisce «natura morta di teschi e tibie» (Longhi, pag. 71) e il destro a raccogliere la luce. Il tutto in questo spazio delimitato in alto dal vuoto, in basso dal sepolcro e sullo sfondo l’ambiente, probabilmente la cripta di una chiesa. La scena sembra divisa in due dal gioco di diagonali e verticali. A sinistra la concitazione data da questa diagonale che parte dalla testa di Lazzaro ed arriva a quella dell’uomo dietro al braccio del Cristo, che secondo alcuni è l’ennesimo autoritratto del Caravaggio, e a destra una situazione più calma con questa verticale che parte dalla testa di Maddalena, passa per quella di Marta e di Lazzaro ad arriva alla sua mano sinistra. Dice bene Sgarbi «lo spirito e la presenza del Cristo non si rappresentano con effetti straordinari ma come un lento riprendere vita, un lento tornare dal buio alla luce…» (Sgarbi, pag. 134) Giusto per completezza di informazioni, infine, riporto l’incon- 67 -

gruenza che Berenson ha trovato in questo dipinto, «La ritroviamo (l’incongruenza) ancora più provocante... con quel cadavere oscillante tra il drizzarsi e il cadere…» (Berenson, pag. 53) Sempre del periodo messinese, del 1609, è l’Adorazione dei Pastori.

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Sgarbi, mettendola a confronto con una Natività di Rubens dello stesso periodo, evidenzia la capacità di Caravaggio, superiore a Rubens, di rappresentare la vera povertà della Sacra Famiglia. Tutto in questo dipinto è essenziale, gli animali si immagina che ci siano, si intravvedono appena, la luce illumina le persone e lascia fuori tutto il resto. I pastori sembrano Santi o profeti, «o Re dell’antico Oriente» (Berenson, pag. 55), a parte l’uomo a torso nudo, non fosse per l’esilissima aureola ed il bastone, avremmo difficoltà ad individuare un pensieroso San Giuseppe. Che bello il gesto del Bambino che cerca di abbracciare il collo della Madre, e quanto amore emana quel volto stanco. E non poteva mancare in un Caravaggio «tovagliolo, pagnotta e pialla da falegname, in tre toni di bianco, bruno e nero… «natura morta dei poveri» (Longhi, pag. 71). Forse solo con Caravaggio si ha la possibilità di vedere una Sacra Famiglia così umile ed essenziale, molto lontana dalla magnificenza dei palazzi vaticani, in una cristianità molto più vicina alla povertà popolana che al prestigio dei suoi potenti rappresentanti. Concludo la descrizione di questa tela condividendo la riflessione di Sgarbi secondo il quale «una volta rappresentata la Natività in questo modo , qualunque altra rappresentazione fosse o troppo retorica o troppo teatrale» (Sgarbi, pag. 139). Dopo Messina, Caravaggio, sulla via del ritorno a Napoli si ferma a Palermo, dove ci regala un’altra Adorazione dei pastori questa volta con i Santi Francesco e Lorenzo. Tutta la scena sembra un fermo immagine, forse a causa delle luci provenienti come dalla ribalta del proscenio che illuminano tutti i personaggi lasciando in penombra l’ambiente. Il bambino sul panno bianco ai piedi della Madonna, in abiti come al solito popolani, sembra echeggiare l’Amore Dormiente a Palazzo Pitti. - 69 -

La composizione, in quest’armonia di linee verticali crea un senso di pace e tranquillità, confermata dalla scritta GLORIA IN ECCELSIS DEO trasportata dall’angelo che piomba dal cielo. Come al solito Berenson trova un’incongruenza, e questa vol- 70 -

ta sono d’accordo con lui, nel San Giuseppe che ha le gambe «troppo sode e carnose… troppo scattanti le spalle e la testa, per l’età che suol essergli attribuita! Un San Giuseppe giovanile, che incongruenza!» (Berenson, pag. 41) Ma alla fine la giudica un’opera meravigliosa. Di questo quadro non si hanno più notizie dalla notte tra il 17 ed il 18 ottobre 1969, quando ignoti lo hanno rubato dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo. Logicamente dell’accaduto non c’è menzione nei testi di Berenson e Longhi visto che erano già passati a miglior vita. E sembrerebbe che tutte le speranze di rivederla siano definitivamente tramontate, se sono vere le parole di Gaspare Spatuzza, pentito di mafia, secondo il quale sarebbe stata «mangiata dai topi e dai maiali e perciò venne bruciata» (articolo di Repubblica – edizione di Palermo del 10 dicembre 2009). A fine estate (1609) Caravaggio torna a Napoli. La storia delle sue opere nel secondo periodo napoletano è fumosa priva di basi certe e si basa su supposizioni. Per questo motivo vi rimando a qualche riga sopra, quando ho parlato della Flagellazione oggi al Museo di Capodimonte (pag. 52). Lo stesso Longhi quando affronta il secondo periodo napoletano lo fa con la consapevolezza di andare su congetture. Come quella che vede, a causa di un braccio che si protende verso lo spettatore nella Salomè di Londra, la chiave di lettura per la datazione del David alla Galleria Borghese, collocandolo agli ultimi giorni napoletani. Questo punto di vista è condiviso da Sgarbi, ed aggiungo, è un punto di vista suggestivo perché permette di chiudere la carrellata sulla produzione artistica di un grande Maestro dell’Arte italiana quale è stato Caravaggio, su un dipinto che ha permesso alla pancia dei critici e degli amanti dell’arte di esprimere la pietà - 71 -

per un artista che si incamminava verso la fine. Questo ragazzo di vita delle prime opere romane è cresciuto, ed è suggestivo vedere nel suo volto lo stato d’animo dell’artista, timoroso di un destino che forse si concluderà come si è concluso quello di Golia la cui testa è nella sua mano, il cui volto è un autoritratto di se stesso. Ma questo doveva essere un momento di sconforto, perché Michelangelo spera ancora nel perdono, nella revoca del bando di condanna a morte da parte di Paolo V, Papa Borghese.

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Infatti si mette in viaggio, su una feluca diretta a Porto Ercole per evitare i controlli, con destinazione intermedia Ladispoli, 40 km a nord di Roma, dove avrebbe atteso la comunicazione del condono. Ha con se preziose tele, prezzo dell’accordo con il Cardinal Scipione Borghese. Qui la storia diventa ingarbugliata, Caravaggio sbarca a Ladispoli ma non il suo bagaglio, per recuperarlo gli viene offerta un’imbarcazione per raggiungere Porto Ercole. Altre versioni lo fanno giungere direttamente a Porto Ercole, ma venendo scambiato per un altro ricercato non riesce a sbarcare il suo bagaglio dalla nave perdendolo per sempre. La conclusione però è sempre la stessa. Malato, febbricitante, mal curato il 18 luglio 1610, uno dei più grandi pittori italiani, che molto avrebbe potuto ancora dare all’Arte, muore nel fiore dell’età, aspettando quel perdono che, ironia della sorte, arriverà dopo poco tempo.  

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Conclusione Amato dal popolo, aspramente e subdolamente combattuto dalla critica che vedeva nella sua pittura della realtà un pericolo per la tradizione artistica romana, completamente asservita al sacro e al nobile; accusato di dipingere i propri simili, il popolo, ma con l’accezione spregiativa di “plebeo”, Caravaggio con i suoi attori dichiaratamente popolani ha sicuramente introdotto un nuovo modo di dipingere. Cosa poteva dipingere un pittore “naturale” come lui, svezzato all’insegna del naturalismo lombardo, se non l’apparenza, le cose come gli occhi le vedono e non come la tradizione le vuole? Ha spostato il centro della composizione, dedicata dalla cultura umanistica all’uomo come Signore del creato, prima a quello che rimaneva della scena senza l’uomo e poi alla luce che irrompendo nei suoi dipinti in modo improvviso, con una casualità studiata, crea quelle ombre che interrompono le figure con drammatico sentimento. Lo spettatore romano era abituato alla luce anodina dell’altro Michelangelo o di Raffaello, una luce universale che tutto illumina. La luce di Caravaggio “forma le ombre” (Caravaggio e la sua cerchia a Milano – R. Longhi – Einaudi. pag. 10), ombre che incidono i corpi. Dopo un breve periodo di gloria, subito dopo la sua morte, denigrato dai critici tradizionalisti, ha fatto presto a cadere nell’oblio fino agli inizi del secolo scorso. Ed anche questo riesame ha rischiato di vederlo di nuovo massacrato a causa di questa sua caratteristica di “naturalista”, di nuovo intesa in senso spregiativo. Come scrive Longhi, «rischiava di ridiventare l’ultimo dei superuomini cinquecenteschi, una specie di portiere di notte del Rinascimento» (Caravaggio e la sua cerchia a Milano – R. Longhi – Einaudi. pag. 19). Mi è capitato di parlare, ultimamente, di questo lavoro con una carissima amica, ed è subito venuto fuori il problema della collocazione dell’artista nelle varie età dell’arte. Secondo lei Caravaggio è senza dubbio barocco o, comunque il - 75 -

suo precursore. Ne siamo sicuri? Aprire adesso un discorso sul barocco, in chiusura di quest’articolo, richiederebbe almeno altrettanto spazio alla trattazione, cosa che non è possibile, ma in modo molto semplice cercare di spiegare perché Caravaggio non è barocco è d’obbligo. Ma prima, prendendo in prestito la spiegazione di Berenson, definiamo cosa è barocco: «monumentalità eroica, uso e abuso, ma soprattutto abuso, di «contrapposto» (il girarsi del corpo intorno al proprio asse), membra massicce, muscoli inarcati, drappeggi regali, pose solenni, volti significativi; sintomi tutti di una forzata e perfino tormentosa ricerca di magnificenzae di gloria, e di un titanico scontento.» (Berenson, pag. 68) Adesso prendete una qualsiasi immagine dei quadri di Caravaggio e trovate, se siete capaci, queste caratteristiche. Sicuramente in Caravaggio c’è rottura con quello che Roma era abituata a vedere, così adagiata su Michelangelo e Raffaello, ma l’arte del XVII° secolo non può essere etichettata tutta con il termine Barocco. Come l’arte rinnovata non ha soppiantato il gotico nel volgere di una notte che, anzi, in alcune aree europee ha vita lunga fino agli inizi del XVI° secolo, così il ‘600 ha visto il naturalismo di Caravaggio, il classicismo dei Carracci ed il barocco di Rubens o di Pietro da Cortona, loro si pienamente barocchi (alla fine di questo scritto potrete trovare un confronto tra i vari artisti). Caravaggio ha creato una propria corrente in grado di rappresentare si stupore, ma senza ricorrere a virtuosismi che più che rappresentare il vero tendevano a rendere vero il falso. Non vedremo in Caravaggio effetti di trompe l’oeil, non ci sono le complesse scenografie di Pietro da Cortona, i suoi personaggi non sono artificiosi come in Rubens, e non sono idealizzati come negli Accademici carracceschi, ma sono reali, le loro figure sono esattamente come gli occhi le vedono. I personaggi delle sue tele sono esattamente le persone che si potevano incontrare per strada. Quelle persone del popolo che tante critiche gli hanno causato. Solo per citarne alcuni, ricordate la donna affogata nella Morte - 76 -

della Vergine, la Santa Lucia, il Nicodemo della Sepoltura, la Madonna del Serpe rifiutata dai committenti, e tutti quei piedi nudi e sporchi e quelle natiche che tanto hanno indignato Berenson? Possiamo paragonare lo “stambugio” della Vocazione di San Matteo alla spettacolare visione del Trionfo della Divina Provvidenza (1632-1639) in Palazzo Barberini a Roma di Pietro da Cortona?

Caravaggio per stupire lo spettatore non ha avuto bisogno di teatralità, di pomposità, gli è bastata la quotidianità. Se proprio vogliamo vedere del barocco nelle sue opere, forse qualcosa ci sarà nella prima tela napoletana, Sette opere di misericordia, pervasa da una sorta di horror vacui (che secondo me è dato dalla vastità del tema da rappresentare e non già da scelte stilistiche), ma già a Malta la nuova spazialità della Decollazione, continuata a Messina, ha cancellato questo dubbio. In conclusione, voglio chiudere questo scritto con le parole che Caravaggio stesso usò per difendersi nel processo che lo vedeva contro il pittore Giovanni Baglione: «Quella parola, valent’huomo, appresso di me vuol dire che sappi far bene, cioè sappi far bene dell’arte sua, così un pittore valent’huomo, che sappi depinger bene et imitar bene le cose naturali». Una vita ed un’arte dal vero. Francesco R. Giornetta - 77 -

Medusa

Caravaggio

Annibale Carracci

Peter Paul Rubens

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Adorazione dei Pastori

Caravaggio

Annibale Carracci

Peter Paul Rubens

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Sacrificio di Isacco

Caravaggio

Annibale Carracci

Peter Paul Rubens

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Appendice Piccola storia di Re, Papi, Cardinali e Pittori

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Quello che segue va visto sotto l’aspetto ludico della scrittura. Un gioco che mi serve per presentarvi un aneddoto su uno dei quadri più famosi e più belli del Caravaggio. Il tutto si svolge nella Francia della seconda metà del 1500. Periodo di contrasti religiosi tra cattolici e calvinisti (in Francia meglio conosciuti come Ugonotti). Gli interessi in ballo non sono solo religiosi ma, fatto comune a varie epoche storiche, anche politici. In quest’ottica va vista la determinazione di Caterina de Medici nel cercare di impedire con ogni mezzo la presa del potere da parte di personaggi dell’area protestante. Determinazione che secondo alcune interpretazioni sfocerà nel massacro conosciuto come “La Notte di San Bartolomeo”. Questo piccolo racconto, pur se basato su fatti di rilevanza storica, vede tutti i colloqui completamente inventati ad eccezione della dichiarazione del Re, Carlo IX, nel suo “Lit de Justice” tenuto al cospetto del Parlamento francese il 26 agosto 1572, e di una frase attribuita al futuro Re di Francia Enrico IV (che non anticipo perché molto famosa). Particolareggiare il racconto avrebbe significato scrivere un secondo libro e, pur non escludendo a priori che in futuro ciò possa accadere, in questo momento non era proprio possibile. Aggiungo solo che nella nota che troverete a pagina 86 sono racchiusi diciassette anni di storia. Periodo che vede Enrico III di Navarra, liberatosi dalla “protezione” reale, rinfocolare la lotta di religione. Sono questi gli anni della cosiddetta “Guerra dei tre Enrichi” (1585-1589). Tre pretendenti al trono di Francia che si chiamavano, appunto, Enrico. Per la precisione: Enrico III di Navarra (Capo dei Calvinisti francesi), Enrico Guisa (Comandante della Lega Cattolica) ed Enrico III di Valois (Re di Francia in carica). Credo di aver detto tutto, forse anche troppo. Mi rimane solo da aggiungere l’elenco dei personaggi ed augurarvi una buona lettura. - 84 -

Personaggi reali: Caterina de Medici Regina Madre, bisnipote di Lorenzo il Magnifico. Moglie del Re di Francia Enrico II e madre di tre Re di Francia, Francesco II, Carlo IX e Francesco III Carlo IX Re di Francia Margherita di Valois Figlia di Caterina de Medici e sorella del Re Carlo IX. Enrico III di Navarra Genero di Caterina de Medici, cognato di Carlo IX e marito di Margherita. Gaspard de Chatillon Capo militare degli Ugonotti, conosciuto come Gaspard II de Coligny Clemente VIII Papa Aldobrandini Matthieu Cointrel Italianizzato in Contarelli, Cardinale Francese a Roma Charles di Louviers Signore di Maurevert, attentatore di De Coligny Enrico di Condè Cugino di Enrico III di Navarra Francesco I di Lorena Duca di Guisa Gaspard de Saulx de Luogotenente del re in Borgogna, Maresciallo Tavannes di Francia (1570), Governa tore della Provenza. Barone Gilles de Retz Gilles de Montmorency-Laval Barone di Rais (o Retz), è stato un militare e assassino seriale francese René de Birague conosciuto anche come Renato Birago, è stato un nobile italiano che divenne Cardinale e Can- celliere di Francia Ludovico Gonzaga-Nevers Fu Signore de La Guerche poi duca di Nevers e Duca di Rethel. Confidente di Caterina de’ Medici, fu uno degli organizzatori della Strage di San Bartolomeo.

Personaggi Inventati: Arnaud Jehanne Manuel

Abitante di Parigi Moglie di Arnaud Servitore di Enrico III di Navarra

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«Arnaud, ma cos’è questo vociare, è mezzanotte e ancora c’è gente che festeggia il matrimonio della sorella del Re?» Assonnato, Arnaud si affacciò alla finestra e rimase senza parole. «Allora, cos’è questo trambusto?» chiese Jehanne. «Rimani sotto le coperte Jehanne, le creature dell’Inferno sono per le strade di Parigi»

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5 Agosto 1570 - «Speriamo almeno che il matrimonio promesso da Enrico III di Navarra con tua sorella riesca ad evitare la conquista della Francia da parte degli Ugonotti» Questo era il pensiero di Caterina dopo la firma della pace di Saint Germain-en-Laye tra suo figlio Carlo e il Comandante degli Ugonotti Gaspard II de Coligny in quell’afoso 4 agosto. Enrico di Borbone li aveva costretti ad un accordo svantaggioso, cedere le roccaforti di La Rochelle, La Charité, Montauban e Cognac ai Calvinisti era un boccone amaro difficile da digerire. Fortunatamente, erano riusciti a fargli accettare il matrimonio con Margherita, terzultima delle sue figlie. No, non potevano accettarlo. Più che una pace, quell’accordo era una tregua. Qualcosa bisognava fare. Dopo la morte del loro amico e protettore Francesco I di Lorena, Duca di Guisa, la famiglia reale vedeva ridursi le sue difese contro l’avanzare politico e militare dei Protestanti al seguito di De Coligny. Qualcosa bisognava fare… Agosto 1572 - «Maman, credo non sia una buona idea…, e poi Gaspard è un mio uomo fidato, non posso permettere che gli venga fatto del male» - «Ascolta Carlo, non possiamo permettere che la Francia diventi protestante, De Coligny con le sue forze è una minaccia troppo grande. Una volta eliminato potremo rientrare in possesso delle roccaforti, sbarrare la strade agli spagnoli e tu potrai regnare senza nessuna spada di Damocle sulla testa» - «… come vuoi tu Maman»

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Mezzogiorno, 22 agosto 1572 - «Ma Reine…» - «Monsieur De Louviers, allora? Avete assolto al vostro compito?» - «Purtroppo…» All’udire quella parola Caterina sbiancò, ebbe un sussulto, si aggrappò avidamente alla sedia per non cadere, sentiva le forze scappare da lei. - «Purtroppo cosa?» - Ebbe la forza di chiedere con un filo di voce presagendo la risposta. - «Ma Reine, De Coligny era circondato da uomini che non lo lasciavano mai solo, e poi, proprio quando il colpo è partito si è abbassato per allacciarsi quella maledetta scarpa, e la pallottola lo ha colpito solo ad un braccio ed alla mano, e…» - «Incapace! Incapaci tutti, mi sono fidata di una banda di incapaci!» - disse Caterina dapprima sibilando e poi ruggendo. - «Ma Reine…» - tentò ancora De Louviers. - «Monsieur De Louviers, sparisca dalla mia vista, sparisca da Parigi. Ho altro cui pensare adesso grazie alla sua incapacità!» - «Ma Reine…» - riprovò lo sciagurato sicario. - «Vada via prima che la faccia arrestare!» La situazione aveva preso una piega completamente inaspettata. I suoi nemici avrebbero fatto presto a risalire a lei come mandante dell’attentato al Comandante Militare degli Ugonotti. Doveva trovare immediatamente una soluzione. E poi c’era Carlo, che non era d’accordo su quella decisione, ma d’altra parte non sarebbe stato difficile fargli capire che colpire sua madre sarebbe equivalso a porre fine a tutta la dinastia dei Valois. - «Maman, siete contenta adesso? Due anni…due anni è durata la pace. Le nostre finanze sono allo stremo, i sudditi non hanno risorse nemmeno per dar da mangiare ai loro figli. Come facciamo ad affrontare una nuova guerra? E poi, vi ricordo che vostro - 89 -

genero e mio cognato, nonché capo dei protestanti francesi, Enrico III di Navarra, ha in mano le roccaforti di La Rochelle, La Charité, Montauban e Cognac che gli permetteranno di accedere indisturbato con le sue forze sul territorio francese.» - disse sconfortato Carlo. - «Adesso» - continuò - «usate tutti i vostri mezzi per indagare e decidere sul da farsi. Ma non voglio che sia presa decisione senza che io sia stato informato. Vado al capezzale di Gaspard» - e se ne andò senza attendere la risposta della madre. Quella sera stessa Caterina chiamò alle Tuilleries il Maresciallo di Tavannes, il Barone de Retz, René de Birague e Ludovico Gonzaga-Nevers, per decidere la strategia di uscita da quella situazione esplosiva che si andava delineando. 23 Agosto 1572 - «Avvisate il Re che devo vederlo» - disse Caterina alle guardie all’ingresso degli appartamenti reali. Il Re autorizzò la visita e esauriti i convenevoli, chiese alla madre - «Allora Maman, trovata la soluzione?». Conscia della sua forte influenza sul figlio, Caterina esordì attaccando - «Tu stolto, che non hai fiducia nel lavoro di tua madre nel preservare il regno tuo e della tua discendenza, una volta lette queste carte ti accorgerai che abbiamo fatto bene ad agire contro De Coligny!» - così dicendo gli mise sotto gli occhi dei falsi rapporti informativi dei servizi segreti che incastravano il capo militare dei protestanti e che relazionavano su di un imminente colpo di stato da parte degli stessi. La mancanza di lucidità del Re e la sua debolezza di carattere non gli permisero di capire l’inganno e lo portarono esattamente dove la madre voleva. - «Ebbene, sia! Li si uccida! Ma tutti! Che non ne resti uno che me ne si possa rimproverare! Ma non voglio far piangere mia - 90 -

sorella, risparmiate suo marito Enrico III di Navarra e suo cugino Enrico di Condè» - e, convocando le autorità municipali di Parigi, ordinò l’eliminazione di tutti i rappresentanti protestanti. Le autorità si misero immediatamente al lavoro e quella notte, la notte di San Bartolomeo, divenne la notte del sangue. Le campane di Saint-Germain-l’Auxerrois, alla mezzanotte suonarono. Era il segnale di inizio della strage. Il De Coligny scampato all’assassinio del giorno prima, era nel suo letto quando vide entrare un giovanetto al servizio della famiglia dei Guisa. Intuendo la sua fine esclamò - «neanche l’onore di essere ucciso da un vero uomo!» Il suo corpo dopo essere stato buttato nella Senna fu successivamente evirato e impiccato. Tutti i capi protestanti, arrivati a Parigi per il matrimonio del loro Capo con la sorella del Re, furono assassinati. Il mattino dopo la popolazione, saputo dell’accaduto, incoraggiata dai preti che non si lasciarono sfuggire l’occasione di ripulire Parigi e la Francia dai protestanti, continuò il massacro estendendolo anche ai loro vicini di casa, colpevoli di avere una fede diversa. Le acque della Senna arrossirono, le fiamme delle case dei protestanti rischiararono le giornate e le notti parigine. Vendette si incrociarono con le esecuzioni. Ben presto la notizia si estese a tutta la Francia, e con essa la violenza barbara ed omicida tinse di rosso la terra francese. Come ordinato da Carlo IX, solo il re di Navarra e suo cugino, Enrico di Condè, furono risparmiati e costretti ad abiurare la loro religione. Tre giorni dopo, il 26, Carlo IX in una seduta eccezionale del Parlamento dichiarò che l’azione fu necessaria per «prevenire l’esecuzione di una disgraziata e detestabile congiura fatta dall’ammiraglio, capo e autore, e dai suoi aderenti e complici, contro la persona del re e il suo Stato, la regina madre, i fratelli, il re di Navarra e i principi e i signori che erano presso di loro». - 91 -

Quattro anni dopo (1576) - «Manuel!» - disse Enrico al suo fidato consigliere - «Signore?» - «Queste catene con cui sono tenuto legato, ancorché di seta, mi stanno consumando. Devo fuggire questa situazione. I miei uomini sperano ancora in me e ardono dal desiderio di vendicare i loro compagni. Mettiti in contatto con loro!» Passando per i sotterranei, protetto dalle sue guardie, Enrico riuscì a raggiungere i suoi sostenitori...1 Parigi, 25 luglio 1593 - «Mio Signore, la decisione è inevitabile, se vuole che la Lega Cattolica interrompa le sue ostilità e si convinca ad accettare la sua linea di pretesa al trono di Francia c’è un’unica cosa da fare» - «Si lo so, ma è difficile.» - «Mio Signore, solo la conversione al cattolicesimo cancellerà le ostilità e le permetterà di regnare sulla Francia in pace» - «E sia,… Parigi val bene una messa!» Roma, 1599 – Udienza con Clemente VIII - «Santità, avevo pensato di far decorare la nuova cappella della mia famiglia nella chiesa in Piazza San Luigi e, prima di agire, volevo chiedere la Sua autorizzazione e conoscere il suo pensiero.» - «Cardinale Matthieu Cointrel, ogni possibilità di rappresentare scene di Nostro Signore al fine di elevare le anime del nostro gregge non può che essere bene accetta. Ha già pensato al tema da raffigurare e a chi commissionare il lavoro?» 1- Creò la situazione per un nuovo scontro tra ugonotti e cattolici che, tra varie paci e riprese dei conflitti, arrivò a vedere la figura di Enrico III di Navarra diventare Re di Francia con il nome di Enrico IV, il primo dei Borbone.

- 92 -

- «Si Santità, avevo pensato, per la verità con una punta di egoismo come dedica al mio nome, di rappresentare un ciclo in onore di San Matteo, dalla conversione al martirio passando per l’ispirazione.» - «Bene, le conversioni, come i martìri, sono sempre di grande stimolo per i fedeli, specialmente adesso che a fatica stiamo uscendo dal triste momento della protesta luterana. E l’artista? Posso permettermi di consigliarle il bolognese, quel Carracci che tanto bene sta facendo nella casa dei Farnese? Dicono che abbia intenzione di dedicare un affresco al matrimonio di mia nipote Margherita.» - «Si Santità, ho valutato questa possibilità, ma se Lei è d’accordo sarei interessato a quel pittore lombardo, quel Michelagnolo Merisi da Caravaggio di cui si parla a Roma. La sua opera è più vicina al popolo, e magari trattandosi di una conversione riesce ad arrivare anche ai meno istruiti.» - «Avrei preferito Carracci, penso che il tocco accademico non fallisca mai la sua missione di evangelizzazione, ma accetto la sua volontà Cardinale. Proceda pure quando vuole con la commissione al Merisi.» - «Un’ultima cosa Santità. San Luigi e la chiesa di noi francesi in terra romana, e vorrei chiederle il permesso di celebrare il grande e straordinario passo che Re Enrico ha mosso verso la fede cattolica abiurando il calvinismo ed abbracciando la croce cristiana. Vorrei far rappresentare il San Matteo che si converte con il volto del sovrano francese.» - «Cardinale, in altri tempi la sua richiesta sarebbe stata al limite dell’eresia, ma come dicevo prima, in questi anni è necessario dare un segnale di modernità e cercare di trovare esempi viventi di fede e carità. Vada e si accerti che sia un buon lavoro.» Fine

- 93 -

Della Conversione di San Matteo ho già parlato nella seconda parte del libro, questa piccola appendice è solo un gioco composto da una pseudo ricerca storica e artistica che vuole sottolineare come a volte leggende e realtà si intreccino. Sarà vero che la responsabile della Notte di San Bartolomeo sia stata Caterina De Medici, moglie di Enrico II, madre di Carlo IX e Francesco II e bisnipote di Lorenzo il Magnifico? Sarà vero che il Cardinale Cointrel (italianizzato in Contarelli) abbia voluto il volto di Enrico IV il Grande per il San Matteo della conversione nella cappella di famiglia a San Luigi dei Francesi a Roma? Ma, più di tutto, è il caso di cercare la verità in questo gioco? Vi lascio queste immagini di confronto. Valutate voi.

- 94 -

Indice Prefazione 5 Parte prima Adolescenza e prime opere romane

7

Parte Seconda Verso la “grande maniera personale” e le grandi tele romane

21

Parte terza Fuga da Roma e produzione finale

47

Conclusione 71 Appendice Piccola storia di Re e di Pittori

77

Indice dei nomi 90 Indice delle immagini 92

- 95 -

Indice dei nomi Baglione Giovanni 33, 73 Bellini 13 Bellori G.P. 53 Berenson 5, 16, 17, 18, 19, 22, 23, 25, 26, 30, 35 37, 39, 43, 44, 47, 50, 52, 54, 60, 64, 65, 67, 72, 73 Borghese Scipione, Cardinale 69 Borgognone 7 Buonarroti Michelangelo 13, 23, 48, 71, 72 Campi 10 Capa Frank 16 Carracci Annibale 10, 30, 42, 72 Cavalletti 38 Cerasi 30, 32 Cesari d’Arpino Giuseppe 10 Cigoli 39 Colonna Marcantanio 52 Colonna Marzio 47 Colonnelli Lauretta 61 Contarelli, Cappella 21, 23, 28 Correggio 18 Costa 18 Crafa-Colonna Luigi 52 Dal Monte, Cardinale 11 De’ Massimi, Monsignor 39 Del Piombo Sebastiano 53 d’Este Cesare 50 Donatello 37 Einaudi Ludovico 43 Eliot 24 Figino 10, 21 Foppa 7 Gentileschi Orazio 28 Gèricault 26 Giorgione 25 Giustiniani, Marchese 21 Gonzaga Vincenzo 43 Gramatica Antiveduto 10

- 96 -

Holbein 24 Lomazzo 10 Longhi 5, 7, 11, 13, 14, 19, 20, 21, 22, 24, 25, 26, 27, 28, 30, 35, 39, 42, 50, 52, 63, 65, 67, 71 Lotto 7 Maderno 34 Mantegna Andrea 23 Masaccio 10 Moretto 7, 31 Moroni 7 Paolo V 69 Parmigianino 12 Pasolini 14 Passignano 39 Peterzano Simone 7, 10 Petrignani Fantin 11 Pozzo Giambattista 15 Previtali Giovanni 5 Pucci Pandolfo 10 Raffaello 19, 23, 71, 72 Reni Guido 15 Romani Vittoria 5 Rubens 37, 43, 65, 72, 73 Sandrart 24 Sansovino 13 Savoldo 7, 12 Schutze Sebastian 61 Sgarbi Vittorio 5, 14, 16, 20, 25, 26, 30, 34, 50, 52, 57, 60, 63, 65, 67 Siciliano Lorenzo 10 Sisto V 11, 20 Tintoretto 18, 26 Tiziano 13, 18, 25, 54 Tommasoni Ranuccio 43, 47 Valentino 11 Venturi Lionello 25 Vertova Luisa 5 Zuccaro 25

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Elenco delle immagini Autore

Titolo

Anno

Dove si trova

Pag

Moretto

Madonna Paesana

1534

Paitone (Brescia)

8

Moroni

Il Sarto

1570/75 National Gallery (Londra)

8

Savoldo

San Matteo e l’Angelo

1530/35 Metropolitan Museum (New York)

8

Bernardino Gatti

Cristo Morto

1528/30 Museo del Louvre (Parigi)

8

Savoldo

Natività

1540

9

Callisto Piazza

Cristo inchiodato alla Croce

1534/37 Tempio Civico Incoronata (Lodi)

9

Antonio Campi

Morte della Vergine

1577

9

Figino

San Matteo

1585/88 Chiesa di San Raffaele (Milano)

Annibale Carracci

Dettaglio della 1585 “Deposizione con la Vergine e i santi Chiara, Francesco, Maddalena e Giovanni”

Caravaggio

Bacco

1596/97 Galleria degli Uffizi (Firenze)

11

Caravaggio

La zingara che dà la ventura

1594

Museo del Louvre (Parigi)

11

Caravaggio

Il Riposo nella Fuga in Egitto

1597

Galleria Doria Pamphilj (Roma)

11

Caravaggio

Il giovinetto morso dal ramarro

1595/96 Fondazione Longhi (Firenze)

11

Caravaggio

Maddalena convertita

1594/95 Galleria Doria Pamphilj (Roma)

11

Parmigianino

Autoritratto entro uno specchio convesso

1524

Kunsthistorisches Museum (Vienna)

12

Savoldo

Gastone di Foix

1529

Museo del Louvre (Parigi)

12

- 98 -

Pinacoteca Tosio Martinengo (Brescia)

Museo Parrocchiale Chiesa San Marco (Milano)

Chiesa dei Cappuccini (Parma)

9 10

Caravaggio

Bacchino Malato

1593

Galleria Borghese (Roma)

13

Sansovino

Bacco

1515

Museo Nazionale del Bargello (Firenze)

13

Michelangelo Buonarroti

Bacco

1496/97 Museo Nazionale del Bargello (Firenze)

13

Bellini Giovanni

Bacco

1514

14

Tiziano

Bacco e Arianna

1520/23 National Gallery (Londra)

14

Guido Reni

Dio Padre e concerto di Angeli

1608

14

Caravaggio

Suonatore di Liuto

1595/96 Metropolitan Museum (New York)

14

Caravaggio

Medusa

1597

16

Capa Frank

Miliziano

1936

Caravaggio

Giuditta che taglia la testa ad Oloferne

1599

Galleria di Arte Antica Palazzo Barberini (Roma)

19

Raffaello

Fornarina

1518/19 Galleria di Arte Antica Palazzo Barberini (Roma)

19

Caravaggio

Primo S. Matteo e l’Angelo

1602

Andato distrutto durante i bombardamenti del 1945 a Berlino

21

Caravaggio

San Matteo seconda versione

1602

Chiesa San Luigi dei Francesi (Roma)

22

Caravaggio

La Vocazione di San Matteo

1599/00 Chiesa San Luigi dei Francesi (Roma)

23

Holbein

Giocatori e la morte

1526

24

Caravaggio

Dettaglio de La Vocazione di San Matteo

1599/00 Chiesa San Luigi dei Francesi (Roma)

25

Chiesa San Luigi dei Francesi (Roma)

26

1599/00 Chiesa San Luigi dei Francesi (Roma)

27

Cappella Contarelli Caravaggio

Martirio di San Matteo

- 99 -

National Gallery of Art (Washington)

San Gregorio al Celio

Galleria degli Uffizi (Firenze)

16

Caravaggio/ Gentileschi

Madonna con Bambino

Ante 1610

Galleria Nazionale di Arte Antica - Palazzo Corsini (Roma)

Caravaggio

Maddalena penitente

1594/95 Galleria Doria Pamphili (Roma)

28

Caravaggio

San Giovanni Battista

1604

29

Nelson-Atkins Museum of Art (Kansas City)

28

Fregio Ara di Pergamo

166/156 Museo di Pergamo a.c. (Berlino)

29

Caravaggio

David

1609/10 Galleria Borghese (Roma)

30

Caravaggio

Seconda Conversione San Paolo

1601

21

Moretto

Conversione di San Paolo

1540/41 Brescia

32

Caravaggio

Conversione di San Paolo

1601

Collezione Privata Odescalchi (Roma)

33

Caravaggio

Crocifissione di San Pietro

1600/01 Chiesa Santa Maria del Popolo (Roma)

34

Caravaggio

Deposizione (o Sepoltura) del Cristo

1602/04 Pinacoteca Vaticana (Città del Vaticano)

36

Donatello

Deposizione

1446/63 Retro dell’altare del Santo (Padova)

37

Rubens

Sepoltura

1611/12 National Gallery Ottawa (Canada)

37

Caravaggio

Madonna Pellegrini (o di Loreto)

1604/06 Basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio (Roma)

38

Cefisodoto

Irene e Pluto

V° sec. A.c.

39

Caravaggio

Ecce Homo

1605

Musei di Strada Nuova (Genova)

39

Caravaggio

Madonna del Serpente (o dei Palafrenieri)

1605

Galleria Borghese (Roma)

40

Annibale Carracci

Pietà con San Francesco e Maria Maddalena

1602/07 Per la Cappella Mattei in San Francesco a Ripa – Roma, oggi al Louvre.

40

Caravaggio

Morte della Vergine

1605/06 Museo del Louvre (Parigi)

41

- 100 -

Chiesa Santa Maria del Popolo (Roma)

Caravaggio

Prima Cena in Emmaus

1601

National Gallery (Londra)

43

Caravaggio

Seconda cena in Emmaus

1606

Pinacoteca di Brera (Milano)

44

Caravaggio

Sette opere di misericordia

1606

Pio Monte della Misericordia (Napoli)

49

Caravaggio

Madonna del Rosario

1607

Kunsthistorisches Museum (Vienna)

51

Caravaggio

Flagellazione

1607/08 Museo nazionale di 52 Capodimonte (Napoli)

Sebastiano del Piombo

Flagellazione

1524

Caravaggio

Confronto aguzzino Salomè e Flagellazione

Caravaggio

Ritratto di Alof de Wignacourt

1608

Museo del Louvre (Parigi)

55

Caravaggio

Decollazione di San Giovanni Battista

1608

Concattedrale di San Giovanni – La Valletta (Malta)

56

Caravaggio

San Gerolamo Scrivente

1608

Concattedrale di San Giovanni – La Valletta (Malta)

57

Caravaggio

Seppellimento di Santa Lucia

1608

Chiesa di Santa Lucia alla Badia (Siracusa)

59

Caravaggio

Dettaglio seppellimento Santa Lucia

Caravaggio

Resurrezione di Lazzaro

1609

Museo regionale di Messina

62

Caravaggio

Adorazione dei Pastori

1609

Museo regionale di Messina

64

Caravaggio

Natività con i Santi Francesco e Lorenzo

1609?

Rubato e distrutto

66

Caravaggio

Amore Dormiente

1608/09 Palazzo Pitti – Galleria Palatina (Firenze)

67

Caravaggio

David

1609/10 Galleria Borghese (Roma)

68

- 101 -

Chiesa di San Pietro in Montorio (Roma)

53 53

61

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