Carta e testo nel papiro Artemidoro

August 19, 2017 | Autor: Francesco Prontera | Categoria: Ancient History, History of Cartography
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Francesco Prontera

CARTA E TESTO NEL PAPIRO DI ARTEMIDORO

Estratto da

Intorno al Papiro di Artemidoro II. Geografia e Cartografia Atti del Convegno internazionale del 27 novembre 2009 presso la Società Geografica Italiana, Villa Celimontana, Roma Editi da C. Gallazzi, B. Kramer, S. Settis Milano, LED Edizioni Universitarie di Lettere Economia Diritto, 2012

ISBN 978-88-7916-508-2 ISSN 2281-9290 Copyright 2012 Via Cervignano 4 - 20137 Milano Catalogo: www.lededizioni.com I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da: AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108 - 20122 Milano E-mail [email protected] sito web www.aidro.org

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SOMMARIO

Premessa

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Abbreviazioni

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Didier Marcotte Dal testo alla mappa: che cosa leggiamo di Artemidoro nel papiro?

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Pierre Moret La figure de l’Ibérie d’après le papyrus d’Artémidore: entre tradition hellénistique et mise en place d’un schéma romain

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Maria Paz García-Bellido Presencias y ausencias en el Papiro de Artemidoro: un error de copista

85

Amílcar Guerra La documentazione sull’antica geografia della costa lusitana e il Papiro di Artemidoro

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Filippo Motta Valutazione della toponomastica preromana nel Papiro di Artemidoro

115

Johannes Engels Artemidoros of Ephesos and Strabo of Amasia: Common Traditions of Greek Cultural Geography and Strabo’s Decisive Importance in the History of Reception of Artemidoros’ Geographoumena Florian Mittenhuber Gemeinsamkeiten und Unterschiede in den geographischen Werken des Artemidor und des Klaudios Ptolemaios 5

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Sommario

Francesco Prontera Carta e testo nel Papiro di Artemidoro

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Richard Talbert The Unfinished State of the Map: What is Missing, and Why?

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Filippomaria Pontani Esametri nonniani e mappae mundi: l’epigramma di Massimo Planude per la Geografia di Tolomeo

197

Appendice

Jürgen Hammerstaedt The Relevance of the Dispute about the Photograph of the Konvolut for the Debate about the Artemidorus Papyrus

221

Hans. D. Baumann The Konvolut Photo: a Digital Forgery? Arguments against a Montage

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Claudio Gallazzi - Bärbel Kramer Sui buchi del P.Artemid., ovvero, su alcune interpretazioni soggettive di dati oggettivi

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Indici a cura di Agostino Soldati

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Francesco Prontera

CARTA E TESTO NEL PAPIRO DI ARTEMIDORO

In ogni campo del sapere l’ampliamento delle conoscenze è il prodotto, in ultima analisi, di due fattori: l’acquisizione di nuovi dati o nuove interpretazioni e spiegazioni di fatti già noti. L’edizione monumentale del Papiro di Artemidoro, realizzata con l’impiego dei più avanzati mezzi della tecnologia moderna, invita a riflettere sullo sviluppo della geografia tardo-ellenistica e in particolare sul posto che Artemidoro di Efeso occupa in tale sviluppo. Mi limiterò a considerazioni di carattere generale, anche perché le ricche e puntuali analisi di dettaglio condotte finora – secondo le particolari competenze e gli interessi degli studiosi – con la crescente dossografia che esse alimentano, rischiano talvolta di far passare in secondo piano le questioni essenziali poste dal papiro. Della cartografia antica non resta alcun documento originale, a par­te alcuni riflessi nelle arti figurative e le mappe catastali romane, che rientrano però in una particolare categoria di rappresentazioni spaziali. In questo vuoto di documentazione la carta del papiro ha polarizzato l’attenzione fin dalla sua prima segnalazione più di dieci anni or sono. Per la verità – nonostante la sostanziale mancanza di documentazione diretta – della cartografia antica possiamo farci un’idea abbastanza fondata, e ben prima di arrivare al trattato di Tolemeo nel II secolo d.C. Strabone nei Prolegomena all’opera geografica, che appartiene allo stesso genere letterario dei Geographoumena di Artemidoro, spiega ai lettori come si costruisce la carta della terra e quali sono gli elementi portanti del suo impianto geometrico (II 5, 14-16 p. 119 s. C): Bisogna dunque immaginarsi un parallelogramma, in cui si iscrive l’ecumene in forma di clamide, in modo che la sua lunghezza e la sua larghezza corrispondano alla lunghezza e alla larghezza del parallelogramma […]. 175

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16. Fissato così il quadro generale, conviene tracciare due rette che si incrociano ad angolo retto; l’una andrà nel senso della lunghezza massima, l’altra nel senso della larghezza, e la prima sarà uno dei paralleli, la seconda uno dei meridiani. Poi bisogna immaginare da una parte e dall’altra delle rette parallele alle prime due e dividere così la terra e il mare […]; queste linee devono toccare luoghi ben noti […] e usando le prime due come assi riferimento, possiamo stabilire delle correlazioni […].

A questa premessa teorica e alla sommaria delineazione dell’ecumene, che assume come filo conduttore prima il litorale del mare (esterno e interno: II 5, 17-25 pp. 120-127 C) e poi la contiguità degli spazi continentali (II 5, 26-33 pp. 127-131 C), corrisponde l’ordine della periegesi dal III libro in poi. L’articolazione descrittiva in un mosaico di unità regionali e sub-regionali riflette le grandi partizioni della geografia fisica; sulla strada aperta da Eratostene le divisioni segnate dalla natura (mari, fiumi, monti) si traducono nella rappresentazione geometrica degli spazi. Strabone è quindi il migliore testimone dei relativi progressi della cartografia tardo-ellenistica prima della sistemazione tolemaica   1. Nonostante questo legame fra l’ordine della periegesi e la delineazione dei grandi spazi geo­ grafici, Strabone non fa però mai alcun cenno a carte o schizzi che illustrano la sua descrizione, e di cui non rimane traccia nella tradizione manoscritta; mai (almeno a mia conoscenza) nessun autore (greco o latino) fa riferimento a carte, che nello spazio del libro antico affiancano un testo di geografia descrittiva o la narrazione di uno storico. L’assenza della illustrazione cartografica appare come una norma generale, che non è violata neppure quando lo richiederebbe il particolare contesto dimostrativo    2. In questa situazione il Papiro di Artemidoro costituirebbe quindi un documento eccezionale, che non trova confronti nella letteratura antica. Nei frammenti dell’opera geografica non c’è però nulla che possa giustificare questa eccezionalità di Artemidoro nello sviluppo della cartografia greco-romana. Il silenzio di Strabone al riguardo ha il suo peso, perché egli utilizza largamente le informazioni di Artemidoro (distanze itinerarie ed etnografia) certamente anche al di là delle citazioni esplicite    3. Prima di Marciano, Strabone è certamente il migliore conoscitore dell’opera F. Prontera, «Carta e testo nella geografia antica», Technai 1 (2010), 81-87. Aristot. Meteor. I 13, 350a 14 ss. e Polyb. III 36 ss., con le considerazioni di P. Janni, La cartografia di Polibio, in Polibio y la peninsula ibérica, a cura di J. Santos Yanguas, E. Torregaray Pagola, Vitoria-Gasteiz, Universidad del Pais Vasco, 2003 («Revisiones de Historia Antigua», IV), 91 ss. 3 Si veda il saggio di J. Engels supra, pp. 139-156.

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geografica di Artemidoro, al quale però non fa alcun cenno nell’ampia sezione retrospettiva dei Prolegomena; Artemidoro è infatti assente nella serie dei predecessori, con i quali Strabone intreccia lunghe discussioni cartografiche (Eratostene, Ipparco, Polibio, Posidonio), e il suo nome compare in Strabone a partire dal libro III. I lineamenti della penisola iberica cominciano ad emergere nelle Storie di Polibio   4. Qui per la prima volta i Pirenei, concepiti come una catena di monti che si estendono dal Mediterraneo (a sud) fino all’Oceano (a nord), assumono la funzione di asse di riferimento nella rappresentazione del­l’Iberia e della Gallia, come le Alpi e soprattutto gli Appennini nella figura dell’Italia. Questa funzione ordinatrice dei sistemi oro-idrografici nella geografia dell’Europa occidentale è un’acquisizione della guerra an­ nibalica e dell’espansione romana; è lo stesso fenomeno che un seco­lo prima possiamo osservare, a ben altra scala, nella carta eratostenica del­ l’Asia (il Tauro) dopo la conquista macedone. Il profilo dell’Iberia, nelle colonne IV e V del papiro, si inserisce evidentemente nella tradizione del­la geografia polibiana, come si evince dal ruolo primario assegnato ai Pirenei nella delineazione del quadrilatero. Ora, nella ricostruzione del «libro illustrato di Artemidoro» la carta è collocata fra le colonne del «proemio» e quelle che descrivono la penisola iberica, ma non mostra alcun rapporto né con il testo che la precede, né con il testo che la segue   5. L’ipotesi che nella carta (incompleta, a quanto pare) si possa vedere la raffigurazione (intera o parziale) di una delle due provincie iberiche menzionate alla colonna IV è francamente assai ardua da sostenere, così come sembra estremamente improbabile l’eventualità che lo spazio libero dopo la colonna V fosse destinato ad accogliere la carta dell’altra provincia. Per quanto ne sappiamo, l’uso di inquadrare separatamente singoli spazi politico-amministrativi è estraneo alla cartografia tardo-ellenistica; se più tardi, nella sua Guida al disegno della terra Tolemeo registra le partizioni amministrative dell’impero romano, 4 Prontera, La geografia, 107-111; Moret, Sobre la polisemia, 280-285; F. Prontera, La penisola Iberica nella cartografia ellenistica, in Cruz Andreotti - Le Roux - Moret, La invención de una geografía, 15-29, 23-25; cf. sotto, nota 14. 5 Cf. Settis, Artemidoro, 63: «L’ampia carta geografica […] è fino ad oggi l’elemento più problematico del Papiro di Artemidoro», e P.Artemid., p. 305, dove – dopo aver esplorato varie possibilità interpretative – si afferma: «In conclusione, dovremo ammettere che tutte le interpretazioni esposte supra appaiono a ben vedere insoddisfacenti». La posizione di Talbert, P.Artemid., 63 s., che dichiara la sua aporia, è quanto mai salutare, poiché sulla carta del papiro si esercita ormai una sorta di tiro a segno nel buio, nel tentativo di individuare l’oggetto della raffigurazione.

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esse si trovano comunque all’interno di sezioni geografiche di maggiore estensione. Le ‘carte regionali’ di Tolemeo   6 sono infatti concepite come divisioni della carta generale dell’ecumene e non come premessa alla sua realizzazione. Per Strabone la geografia deve occuparsi dei confini fisici, stabilmente segnati dalla natura, e non dei limiti politico-amministrativi, che sono esposti ai mutamenti della storia (II 1, 30 p. 83 C; VI 1, 2-3 p. 253 s. C; XVII 3, 24-25 p. 839 s. C). In un passo ben noto del suo trattato sull’arte militare Vegezio (Epit. rei mil. III 4, 6) lascia intendere che ai suoi tempi (siamo attorno alla fine del V sec. d.C.) certi generali usavano carte stradali (itineraria picta) delle singole provincie; non credo che siamo però autorizzati ad anticipare ai tempi di Artemidoro o all’inizio del­l’età imperiale l’uso di questi itineraria picta. Del resto i confronti con la Tabula Peutingeriana non paiono significativi: nella Tabula lo sviluppo degli itinerarî terrestri è raffigurato con linee dritte, mentre nella carta del papiro dominano le linee ondulate. Per venire ora al contenuto delle colonne descrittive, la divisione in due provincie, nei termini in cui è indicata nel papiro, ricorre in un frammento dell’opera geografica di Artemidoro (fr. 21 Stiehle). Ovviamente questa coincidenza non basta ad assicurare che il testo del papiro conservi l’inizio del II libro dei Geographoumena. Nel genere letterario che descrive i popoli e i paesi del mondo conosciuto c’è una tendenza conservatrice, alimentata dall’uso prevalente di fonti libresche. Ai tempi di Artemidoro la divisione in due provincie dell’Iberia è ormai un dato 6 D. Marcotte, Ptolémée et la constitution d’une cartographie régionale, in Cruz Andreotti - Le Roux - Moret, La invención de una geografía, 161-172, sottolinea giustamente l’importanza degli hypomnemata (p. 162: «rapports ou mémoires de techniciens») per la preparazione del lavoro cartografico e osserva che la stessa varietà delle scale conferisce a ciascuna delle ‘carte regionali’ di Tolemeo la sua particolare fisionomia; secondo Marcotte (p. 170) l’alternanza di carte e testi nei manoscritti più antichi della Geografia risalirebbe al progetto originale dell’autore e una simile organizzazione del materiale, già nell’antichità, «[…] nécessitait le recours à un codex de grand format pour cette section à part». Su questo punto tornerò nelle conclusioni; va detto però che la critica di Tolemeo (Geogr. I 18-19) alle carte di Marino non presuppone affatto la contiguità fisica di testi (hypomnemata) e carte nello spazio del libro antico (cf. la trad. di G. Aujac, Claude Ptolémée astronome, astrologue, géographe, Paris 1993, 356-359). Al contrario: dal contesto si capisce che le carte di Marino vengono ricopiate senza tener conto degli aggiornamenti che lo stesso Marino apporta ai suoi scritti, perché questi hypomnemata (liste toponomastiche con le rispettive coordinate geografiche) sono scomodi da usare per chiunque voglia disegnare delle nuove carte. In altre parole, al tempo di Tolemeo carte e testi geografici circolano indipendentemente le une dagli altri.

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tradizionale, e perfino banale, che da solo non denota l’impronta di un ‘autore’ piuttosto che di un altro. Il discorso cambia per la stima delle distanze litoranee, spesso oggetto di controversie fra i geografi antichi, anche se qui bisogna fare i conti con l’incertezza delle cifre nella tradizione manoscritta. La nuova lettura (in P.Artemid. V) delle distanze comprese fra Cadice e il «Promontorio Sacro» (la punta dell’Algarve) porterebbe ora alla somma di 1700 stadî   7. Il modo in cui Strabone (III, 2, 11 p. 148 C) riferisce la polemica di Artemidoro contro Eratostene non presuppone necessariamente che tale fosse appunto la misura stimata da Artemidoro. La questione investe la lunghezza massima dell’ecumene dall’estremità orientale dell’India fino all’estremità occidentale dell’Iberia lungo il parallelo di Rodi. Basandosi con tutta probabilità sulle informazioni di Pitea (cinque giorni di navigazione da Cadice al Promontorio Sacro), Eratostene stima in 3000 stadî la sporgenza occidentale dell’Iberia (e dell’Europa) rispetto al meridiano di Cadice; invece per Artemidoro «non sono più di 1700 stadî» (vale a dire: sono al massimo 1700)   8. La nuova lettura delle cifre non può essere quindi portata come prova per attribuire ad Artemidoro le colonne descrittive del papiro. Una traccia di Artemidoro (fr. 9 Stiehle) si potrebbe vedere nella localizzazione delle Colonne d’Eracle a Cadice in col. IV 32-37   9. Da col. IV 30 ss. fino a col. V 1-7 il P.Artemid. delinea inoltre una figura quadrangolare dell’Iberia, in cui il lato meridionale si estende dalla sporgenza dei Pirenei nel Mediterraneo (Polyb. III 37, 9) fino a Cadice, che segna così l’angolo formato con il lato occidentale (il terzo); secondo Strabone invece, che riprende idee di Eratostene e di Posidonio, questi due lati si incontrano sul Promontorio Sacro (Capo San Vincenzo), collocato all’incirca alla stessa latitudine delle Colonne e del parallelo fondamentale di Rodi (Strab. II 5, 14 p. 119 C). Attribuire ad Artemidoro questa inedita figura quadrangolare dell’Iberia sarebbe però una forzatura, se si considera la sua riluttanza a confrontarsi con le ipotesi cartografiche dei predecessori. Dello schema quadrangolare Strabone non fa comunque alcun cenno all’inizio del libro III.

7 P.Artemid., pp. 97 e 129; cfr. però L. Canfora, La meravigliosa storia del falso Artemidoro, Palermo 2011, 101-105. 8 L’approssimazione delle distanze si esprime allo stesso modo («non più di […] un po’ meno di») in Strab. II 4, 2 p. 105 C: discussione sulla chorographia (= cartografia) dell’Europa. 9 P.Artemid., p. 97.

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L’affermazione che il lato mediterraneo dell’Iberia si estende parallelo al litorale africano (P.Artemid. IV 37 ss.: parallelo ai climi meridionali), presa alla lettera, è quantomeno singolare   10; essa infatti amplifica la schematizzazione polibiana del Mediterraneo occidentale, il cui profilo disegnerebbe un triangolo ottuso con il vertice a Narbonne e la base lungo l’asse mediterraneo compreso fra lo Stretto di Messina e le Colonne d’Eracle. Secondo Polibio l’incontro della costa iberica e di quella italica nel golfo del Leone forma un angolo di tale ampiezza, che l’estensione dei suoi lati supera di poco quella della base. Polibio commisurava la distanza marittima Stretto di Messina - Colonne d’Eracle all’itinerario terrestre lungo il litorale europeo, meglio noto dopo la guerra annibalica, mentre Eratostene la commisurava all’estensione del litorale africano (dal golfo di Cartagine alle Colonne) nel presupposto erroneo che lo Stretto si trovasse sullo stesso meridiano di Cartagine e di Roma. La rappresentazione polibiana riappare occasionalmente nella Geografia di Strabone, mentre Tolemeo resta fedele allo scarto di latitudine fra Marsiglia (ca. 43°) e le Colonne (36°), fissato nella carta di Eratostene   11. A parte la traccia artemidorea nella funzione distintiva di Cadice (= Colonne) lungo il periplo dell’Iberia, si tratta però di un testo malamente rielaborato – così a me sembra – con una sorta di preoccupazione didascalica, che con la sua ridondanza provoca effetti contrari alle intenzioni. A volte il testo dice troppo (come abbiamo appena visto), a volte troppo poco: si passa così dall’osservazione secondo cui dai due versanti dei Pirenei si scopre alla vista un’ eguale porzione della Gallia e dell’Iberia   12 (col. IV 24-29), alla impacciata e incompleta descrizione dell’istmo iberico a occidente dei Pirenei (col. V 8-13)   13. Per avere un’idea di quanto sia qui macchinosa e stentata la scrittura del P.Artemid. è sufficiente confrontarla con Strabone (III 1, 3 pp. 47-62 C), che distingue con chiarezza i due istmi, il celtico e l’iberico, formati dalla sporgenza dei Pirenei nell’Oceano e nel Mediterraneo: l’istmo celtico è più stretto perché compreso fra due golfi più profondi. Nel triangolo polibiano del Mediterraneo occidentale l’appiattimento dell’arco, disegnato dal litorale marittimo fra lo Stretto di Messina e le Colonne d’Eracle, autorizza a ritenere che già Polibio si rappresentasse l’andamento dei Pirenei dal Schiano, Artemidoro, 84 ss. F. Prontera, Strabone e la tradizione della geografia ellenistica, in Cruz Andreotti - Le Roux - Moret, La invención de una geografía II, 49-63, specif. 52 ss. 12 Canfora, Il papiro, 292 s. 13 P.Artemid., p. 232 s.

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mare interno all’Oceano in senso sud-nord; nello schema polibiano i Pirenei segnano il confine fra Celtica e Iberia, e questo presuppone che la catena avesse perciò un orientamento più o meno ortogonale alla costa mediterranea. Si spiega così perché Polibio commisurasse la lunghezza dell’Iberia in senso est-ovest all’estensione del Tago, che aveva le sorgenti a ca. 1000 stadî dai Pirenei   14. Non sono quindi affatto persuasivi i tentativi di attribuire al P.Artemid. questo come altri improbabili ‘primati’ nello sviluppo della geografia ellenistica   15. Questioni più gravi pone il cosiddetto proemio delle prime due colonne   16. Cassio osserva che per lingua e stile siamo qui ben lontani dal tenore delle colonne descrittive   17. Il testo rivendica alla geografia – e sarebbe questa la prima attestazione nella letteratura antica – la stessa dignità di cui gode la filosofia. Le prime esplicite riflessioni sulla natura e i compiti della geografia (= chorographia) si devono per la verità a Polibio, che non parla di filosofia. Per Polibio la (geografia)-corografia è una parte essenziale della storia (storiografia) e ha come oggetto di studio le «posizioni dei luoghi e le distanze»   18. Quando più tardi Strabone, nel suo proemio, illustra la concezione della geografia come attività filosofica, e afferma che i primi geografi erano filosofi (Omero incluso) sviluppa idee ben diverse, che nulla hanno a che fare con le prime colonne del papiro   19. Ogni tentativo di parafrasare in termini comprensibili il contenuto delle prime colonne si scontra con la lettera del testo greco e della sua traduzione in lingua moderna   20. Quali che fossero le intenzioni dell’autore di questo proemio, bisognerà riconoscere che, al di là dei mezzi stilistici, resta un sostanziale vuoto di idee. Viene anche da chiedersi fino a 14 Moret, Sobre la polisemia, 282 ss. con la fig. 1 (quando l’occhio di Polibio si sposta sulle regioni interne dell’Iberia, il Tago emerge «[…] come el eje que vertebra la península»). 15 P.Artemid., p. 224. 16 Si veda ora per la collocazione delle prime colonne Gallazzi - Kramer, Fünfzehn Monate, 216 ss. e 234 ss. Sulla questione cfr. le considerazioni di D. Marcotte, «Le papyrus d’Artémidore: le livre, le texte, le débat», Revue d’histoire des textes, V (2010), 333-371: 356-360 e 368 s. 17 P.Artemid., p. 134 ss.; cf. A.C. Cassio, Cultura ellenistica e linguaggio religioso in Artemidoro, in Intorno al papiro di Artemidoro I, 79-90. 18 Prontera, La geografia. 19 Nonostante il tentativo di Sedley, Philosophy, di contestualizzare il paragone filosofia/geografia del P.Artemid., rimane incolmabile la distanza rispetto a quanto leggiamo nel proemio di Strabone. 20 Cf. le traduzioni degli editori (P.Artemid., p. 196), di Sedley, Philosophy, e di Bravo, «Artemidoro di Efeso», 47.

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che punto possiamo cercare variazioni stilistiche così accentuate o prove di eloquenza nella prosa di quella che chiamiamo ‘geografia descrittiva’; si pensi all’esordio di Pomponio Mela nella prima opera del genere che ci sia giunta in lingua latina: Orbis situm dicere aggredior, impeditum opus et facundiae minime capax … Per chiarire la mia posizione, io non condivido la tesi di Canfora    21 secondo cui il papiro sarebbe una falsificazione ottocentesca. Alcune delle sue osservazioni e delle sue analisi, di carattere generale e di dettaglio, rimangono però in piedi e conservano la loro efficacia contro l’attribuzione ad Artemidoro di questo «testo illustrato», anche se non mi sembra che raggiungano l’obiettivo per cui sono formulate. Un profilo intellettuale di Artemidoro di Efeso si può abbozzare, certo in maniera parziale, sulla base dei frammenti dell’opera geografica e soprattutto dei loro contesti polemici   22. Le critiche ripetute che egli rivolge a Eratostene (si tratta di stime sulle distanze) si collocano nel solco di una reazione alle costruzioni della cartografia ‘scientifica’ – chiamiamola così – reazione guidata da Polibio. L’ascesa di Roma a potenza mondiale metteva a disposizione nuove e più circostanziate informazioni sui paesi dell’Occidente, di cui bisognava tener conto. Alla concretezza degli itinerarî, terrestri e marittimi, si accompagnava in Artemidoro un certo gusto etnografico. Ne abbiamo qualche esempio anche nel libro sull’Iberia, dove però egli non esitava a riecheggiare certe storie, care al grande pubblico, sui fenomeni straordinarî che si verificano ai confini del mondo   23. Si può anche indulgere alle aspettative dei lettori, senza però esprimersi confusamente come nelle prime colonne del papiro. A giudicare dai frammenti gli undici libri dei Geographoumena non sembrano l’opera di un grande ingegno, ma questo non significa che Artemidoro non sapesse scrivere in maniera comprensibile. Il suo più convinto e tardo ammiratore, Marciano di Eraclea, che si sentiva evidentemente in sintonia con il predecessore per l’uso sistematico delle distanze itinerarie, doveva riconoscere la debolezza di Ar-



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9-34.

Canfora, Il papiro. Si vedano in questo senso Canfora, Il papiro, 69 ss., e Schiano, Artemidoro,

23 Str. III 1, 5 p. 138 C, su cui cf. Schiano, Artemidoro, 19 ss., e I. Pajón Leyra, «Artemidoro de Éfeso como detractor de Aristóteles: conflictos cosmológicos en el fragmento 119 Edelstein-Kidd de Posidonio de Apamea», GeogrAnt 18 (2009), 195-201.

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___________________________________________________________________________________________________ Intorno al Papiro di Artemidoro - II. Geografia e Cartografia. Atti del Convegno internazionale del 27 novembre 2009 presso la Società Geografica Italiana, Villa Celimontana, Roma - Editi da C. Gallazzi, B. Kramer, S. Settis http://www.lededizioni.com/catalogo/508-papiro-artemidoro-convegno-roma.html

Carta e testo nel Papiro di Artemidoro

temidoro in campo geografico   24. Strabone – si è già detto – ha utilizzato ampiamente Artemidoro nelle parti descrittive, ma lo ignora del tutto nei Prolegomena e nelle sezioni critico-metodologiche. Un segno di questa debolezza sta nel modo in cui Artemidoro calcolava la massima estensione dell’ecumene dall’India all’Iberia (fr. 1 Stiehle = Plin. Nat. hist. II 242). La catena degli itinerarî per Artemidoro non si arrestava a Cadice (le sue Colonne d’Eracle) e neanche al Promontorio Sacro (il punto più occidentale dell’ecumene nella carta di Eratostene), ma proseguiva fino alla Galizia. Se Plinio ha correttamente riferito il pensiero di Artemidoro, questi aggiungeva dunque (adiicit amplius) all’estensione dell’ecumene da est a ovest la maggior parte del periplo atlantico dell’Iberia. E va sottolineato a questo proposito con Canfora   25 che la stima della distanza da Cadice al «Promontorio degli Artabri», che Plinio il Vecchio attribuisce ad Artemidoro, supera ampiamente (di oltre 2000 stadî)   26 la somma delle distanze corrispettive, che leggiamo nella V colonna del papiro. È evidente che alla formazione intellettuale di Artemidoro è estranea la nozione delle coordinate geografiche, e quindi egli non mostra alcun interesse a tradurre in una costruzione geometrica le distanze itinerarie; va nella stessa direzione la sua stima della ‘lunghezza’ dell’Europa (fr. 8 Stiehle = Plin. Nat. hist. IV 121), calcolata da Cadice al Tanai, confine tradizionale con l’Asia. Mosso dall’intento di rettificare e aggiornare le stime dei predecessori, Artemidoro non esita a prolungare fino alla Galizia la catena degli itinerarî, dalla cui somma si ricava l’estensione dell’ecumene da est a ovest. Quando per il segmento occidentale propone l’itinerario prevalentemente terrestre (perché più attendibile) in alternativa a quello marittimo (Eratostene), egli ricalca in sostanza il procedimento seguito da Polibio nella costruzione del triangolo ottuso, ma diversamente da Po­li­bio il suo computo delle distanze prescinde da qualsiasi schematizzazione geometrica dello spazio geografico   27. È un segno dei tempi il fatto che l’itinerario terrestre, lungo il quale Artemidoro misura l’estensione del mondo conosciuto dall’India all’Iberia, passi ora da Roma (per la prima volta, credo), già collocata da Eratostene sul meridiano dello Stretto di Messina e di Cartagine. 24 F. Prontera, Marciano di Eraclea e la geografia antica, in K. Belke - E. Kislinger - A. Külzer - M.A. Stassinopoulou (hrsgg.), Byzantina Mediterranea, Festschrift J. Koder, Wien - Köln - Weimar 2007, 517-523; Canfora, Il papiro, 78 ss. 25 Canfora, Il papiro, 307 ss. 26 Come si evince dalla tabella in P.Artemid., p. 133. 27 Per questa ragione non convince il confronto istituito da Schiano, Artemidoro, 76, tav. VI.

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Francesco Prontera

Conclusioni Nella forma e nei contenuti il testo del papiro si presenta composito; e nel nostro caso la natura composita va ben oltre il grado di eterogeneità e di stratificazione delle fonti, che caratterizza naturalmente una per…odoj gÁj, come mostra la Geografia straboniana. Con tutta probabilità, abbiamo dinanzi una maldestra e impacciata rielaborazione di materiali geografici tardo-ellenistici, rielaborazione che va collocata in età posteriore a quella proposta dagli editori. Il testo conserva anche qualcosa di Artemidoro (le Colonne d’Eracle a Cadice), ma non credo che si tratti della parte iniziale del libro sull’Iberia, ed è ancor più difficile che possa trattarsi di un libro di geografia descrittiva, in cui testi e carte si susseguono regolarmente   28. Questa salda convinzione, che ha orientato fin dall’inizio il difficile lavoro degli editori e che ancora di recente essi hanno ribadito   29, non è affatto così ovvia o scontata, da non richiedere almeno un supplemento di riflessione. Richiamare il trattato di Tolemeo come possibile esempio di un ‘libro’ antico, in cui si alternano testi geografici e carte, è fuorviante per almeno due ragioni. Nulla nel testo di Tolemeo lascia supporre che le carte si alternassero al testo nella sua edizione antica (II sec. d.C.); né la storia medievale e moderna degli ‘atlanti tolemaici’ può dirci qualcosa sulla veste del libro antico, prima dell’avvento del codice. Ma soprattutto non si può accostare a quella di Tolemeo l’opera geografica di Artemidoro, tardo esponente di un genere letterario (Ecateo di Mileto) che nella teoria e nella prassi gli antichi accostavano alla storiografia. Chi cerchi ad ogni costo di spiegare che cosa è il P.Artemid. non si accontenterà di una simile conclusione. D’altro canto, come sempre accade, la conoscenza è ostacolata da false certezze, mentre può essere stimolata da una consapevole ignoranza.

28 Su questo punto concordo in sostanza con le osservazioni di Canfora, Il papiro, 21 ss. e 34 ss. Ricordo che sulla collocazione delle illustrazioni alla fine del libro Vitruvio (I 6, 12) è esplicito: Quoniam haec a nobis sunt breviter exposita, ut facilius intellegatur, visum est mihi in estremo volumine formas sive, ut Graeci dicunt, schemata duo explicare … (si tratta delle ‘rose dei venti’, che vengono descritte nel passo citato, ma disegnate alla fine del volume). 29 Gallazzi - Kramer, Fünfzehn Monate, 234-242.

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