Cervantes e Shakespeare

June 4, 2017 | Autor: Iole Scamuzzi | Categoria: Comparative Literature, Shakespeare, Miguel de Cervantes, Cervantes, Theatre
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Iole Scamuzzi per radio Ohm: servi di scena. 1. Nel 2016 ricorrono i 400 anni non solo dalla morte di Shakespeare, ma anche da quella di Miguel de Cervantes. Ci furono rapporti tra questi due grandissimi autori europei, fondatori del canone moderno? Non ci sono dati certi, e pare di no: di sicuro Cervantes non andò mai in Inghilterra; e anche se su Shakespeare ci sono otto anni di buco (lost years: 1585-92), sembra improbabile che sia andato in Spagna: le corone erano rivali. MA studi di una nostra allieva, Agnese Scammacca, offrono piste su possibili contatti indiretti. Proprio per superare la rivalità fra le corone, durante il regno James I si cercò, senza successo, di far sposare un principe inglese con l’infanta di Spagna. Per questo furono mandate in Spagna alcune delegazioni: la prima era diretta da John Digby, che si portò dietro, insieme ad un sacco di gente, due fellows del Magdalen College di Oxford: uno di loro, James Mabbe, era un ispanista, e serviva per tradurre in spagnolo. L’altro, Leonard Diggs, era un conoscente personale di William Shakespeare. Tornati in Inghilterra avrebbero partecipato entrambi all’edizione del First Folio Shakespeariano (1623). I due risiedettero a Madrid dal 1611 al 1616, a pochi metri da casa di Lope de Vega, e dalla stamperia Juan de la Cuesta, che aveva pubblicato il Chisciotte e le Novelas Ejemplares di Cervantes. Sappiamo da documenti d’archivio che Mabbe e Diggs spedirono ad un amico di Oxford un esemplare delle Rime di Lope. Sappiamo che andavano a teatro (Mabbe si stupiva che in Spagna lasciassero recitare le donne). Sappiamo anche che portavano con sé una copia del Romeo e Giulietta, che probabilmente finì nelle mani di Lope de Vega: la nostra allieva ha comparato minuziosamente la tragedia di Shakespeare e la commedia di Lope intitolata Castelvines y Monteses, e sembra proprio che Lope abbia usato Shakespeare come fonte. Quindi un rapporto indiretto tra Shakespeare e Lope c’è. Quanto a Cervantes, invece, Mabbe nel 1640 pubblica una traduzione parziale in inglese delle Novelas Ejemplares, troppo tardi però perché Shakespeare le potesse leggere. Probabilmente Shakespeare entrò in contatto col Don Chisciotte e il suo contenuto in modo indiretto non attraverso Mabbe, ma attraverso l’amico e collaboratore John Fletcher, che nel 1608 scrisse una commedia intitolata “The Knight of the Burning Pestle”, che riprende la figura di Don Chisciotte, e poi un’altra ispirata alle avventure di Cardenio (trama secondaria della prima parte del Chisciotte), che però andò perduta.

2. Cervantes e Lope: entrambi scrissero commedie, ma il primo ebbe scarsa fortuna. Erano amici o rivali? Che Lei sappia le commedie (o gli ocho entremeses) di Cervantes sono mai state rappresentate? La questione dei rapporti fra Cervantes e Lope è complicata: intanto bisogna segnalare che Cervantes era 15 anni più vecchio di Lope, e che quindi, quando si incontrarono, pare nel 1583 a Madrid, fu con la distanza che separa un maestro da un allievo. Sembra che inizialmente si stimassero: nella Galatea di Cervantes, che è del 1585, si trovano alcuni versi entusiastici sul genio precoce di Lope: Muestra en un ingenio la experiencia que en años verdes y en edad temprana

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Iole Scamuzzi per radio Ohm: servi di scena. hace su habitación ansí la sciencia como en la edad madura antigua y cana.

Nel 1602 Lope risponde all’encomio di Cervantes lodando la Galatea nella sua Arcadia. Però di colpo nel 1604 è tutto finito: infatti in una lettera spedita da Toledo Lope dice che Cervantes è il peggior poeta attualmente in vita. Quindi fra il 1602 e il 1604 era successo qualcosa, ma per adesso non ci sono documenti che ci spieghino che cosa. Da allora i rapporti fra i due non fecero che peggiorare: nella prima parte del Chisciotte, del 1605, Cervantes critica molto duramente il teatro contemporaneo, senza fare il nome di Lope, ma non ce n’era bisogno perché si capisce benissimo che ce l’ha con lui. Sembra poi che Lope avesse istigato il tal Avellaneda a scrivere la seconda parte apocrifa del Chisciotte che tanto offese Cervantes. Inoltre, dal 1605, Cervantes non riesce a portare più nessuna commedia o tragedia a teatro. E qui veniamo al discorso di Cervantes che scrive teatro: Cervantes amò sempre molto il teatro, e avrebbe davvero gradito essere Lope, ma per ragioni generazionali aveva un’idea di teatro che ormai era vecchia. Infatti aveva imparato ad amare il teatro in Italia, in pieno Cinquecento, all’ombra di personaggi come Giraldi Cinzio. Scriveva un teatro non aristotelico, in cui la tragedia e la commedia si mescolavano, ma in modo ancora molto macchinoso: pensava che le commedie dovessero avere un contenuto morale, edificante, e che le tragedie potessero avere un intreccio amoroso che finiva bene; c’erano personaggi collettivi (come i cittadini di Numancia nella commedia omonima) che da un lato erano protagonisti, eroi, e dall’altro svolgevano una funzione simile a quella del coro greco. Questo tipo di teatro in Spagna era stato inziato da Lope de Rueda, della generazione anteriore a Cervantes, e venne portato in scena con buon successo fino all’inizio del Seicento. Cervantes scrisse una trentina di opere di questo genere, che andarono tutte in scena. Per qualche anno venne anche stipendiato dalla compagnia di Rodrigo Osorio, per la quale doveva scrivere sei commedie, da portarsi immediatamente in scena. Purtroppo tutto questo teatro, proprio perché scritto per gli attori e con gli attori, non fu stampato, e quindi è andato perduto. Ci restano solo alcuni titoli e solo quattro drammi interi, tutti risalenti agli ultimi vent’anni del cinquecento. I drammi interi sono La Numancia, che ho già citato, in cui si racconta la resistenza dei cittadini di Numancia all’invasione romana; la Conquista de Gerusalén por Godofre de Bullón, sullo stesso argomento della Gerusalemme liberata del Tasso; e poi due drammi che si chiamano “de cautivos”, perché parlano del mondo degli schiavi cristiani ad Algeri, esperienza che Cervantes conosceva bene: Los tratos de Argel (1584) e Los baños de Argel (1601), che sono piuttosto simili, ma il primo è più orientato verso la commedia, e il secondo verso la tragedia. Paradossalmente, noi oggi conosciamo molto meglio il teatro di Cervantes che all’epoca era meno noto, perché non andò mai in scena: si tratta delle otto commedie e degli otto “entremeses” che pubblicò per disperazione nel 1615, dopo che nessuna compagnia glie li aveva voluti comprare per metterli in scena. Il titolo della raccolta: Ocho comedias y ocho entremeses nuevos nunca representados mostra molta amarezza, e nel prologo l’amarezza trasuda proprio. Si parla esplicitamente di Lope, che viene definito “monstruo de naturaleza”, un appellativo che gli fu rifilato a lungo dai suoi detrattori; dice anche che Lope aveva instaurato una monarchia assoluta nei teatri spagnoli: e Cervantes era chiaramente inviso al Re.

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Iole Scamuzzi per radio Ohm: servi di scena. Al di là dei problemi personali, si sarà capito che c’era un problema molto più ampio di visione del teatro: Lope nel 1609 aveva pubblicato il suo trattatello di poetica (in versi) Arte nuevo de hacer comedias, in cui rivendicava il realismo e la vicinanza alla vita come prerogativa e missione del teatro moderno. Il teatro doveva rendere, quindi doveva intrattenere, ma anche permettere agli spettatori di identificarsi nei personaggi: lo scopo non era più la catarsi di fronte a fatti immensi e mitologici, ma la partecipazione umana a vicende umane. Infondo, Lope fece per il teatro quello che Cervantes fece per la prosa col suo Don Chisciotte: creò l’eroe moderno. Ma forse proprio per questa grandezza condivisa i due non potevano vedersi. Il teatro di Lope e dei suoi posteriori fu d’esempio a tutta Europa: senza Lope non c’è Corneille, non c’è Racine, non c’è Goldoni... Proprio come, nella prosa, senza Cervantes non c’è Fielding, non c’è Flaubert, non c’è Manzoni. 3. Qual è la commedia di Lope (o di Cervantes o di Calderon) a cui è più legata? In realtà sono un’estimatrice di un terzo autore del secolo d’oro, un valenciano un po’ più giovane di Lope e che seguiva il suo modo di fare teatro: si chiamava Guillén de Castro, e scrisse circa 26 commedie. La sua opera più famosa si intitola Las mocedades del Cid e deriva dai romances sul Cid Campeador. Ma a me piace una sua commedia intitolata “El Curioso Impertinente”, che come si vede dal titolo deriva da una novella che Cervantes inserì nel Chisciotte del 1605. È la storia di due amici rivali in amore, che fanno di tutto per non innamorarsi della stessa donna, ma l’amore è più forte dell’amicizia, e combinano un casino di prim’ordine. In Cervantes la questione finisce male, nel senso che muoiono tutti. In Castro invece uno dei due amici, rendendosi conto che sua moglie ama l’altro, li lascia liberi di stare insieme (e muore, ma al meno muore solo lui). Studiandola in dettaglio ci ho trovato tracce dell’Orlando Furioso di Ariosto, e perfino della prima delle Canterbury Tales di Chaucer (The Knight’s tale). L’ho pure vista a teatro. Riesce ad essere brillante e commovente al tempo stesso. 4. Parliamo di Siglo de Oro: che cosa significa questa etichetta? Ci furono altri nomi, oltre a quelli di Lope e Cervantes? L'etichetta è stata applicata per la prima volta a questo periodo di massima fioritura della letteratura spagnola dai primi eruditi e filologi (marqués de Valdeflores) nel XVIII secolo ed è una allusione al topico rinascimentale sull'età dell'oro del genere umano, ripreso anche da Don Chisciotte stesso nel capitolo XI della II parte, che si rifà all'età utopia decantata da Esiodo, ripresa da Platone e poi divenuta luogo topico nel nostro (italiano e spagnolo) rinascimento (Castiglione, ecc.). Inzialmente venne appplicato solo al XVI secolo ma poi è stato esteso anche al secolo successivo. In realtà è un periodo in cui le manifestazioni culturali e anche la cultura generale delle persone esplodono, anche grazie alla stampa e come rislutato del miglioramento della situazione economica della Spagna con la scoperta dell'America. A questo bisogna aggiungere un ampio fenomeno di acculturazione della Spagna da parte del rinascimento italiano: gli spagnoli viaggiavano in Italia e importavano testi (Garcilaso) gli italiani viaggiavano in Spagna portandosi dietro il loro bagaglio culturale (Baldassarre Castiglione, Andrea Navagero...). Poi l’allievo supera il maestro, e mentre da noi si scannavano gli epigoni del Tasso e del Petrarca, in Spagna fioriva un nuovo rinascimento. Ovviamente non si parla di Secolo d'Oro della letteratura solo per due nomi, infatti ne abbiamo già fatti molti: da un lato abbiamo visto il teatro, con Lope, ma anche Guillén de Castro, Calderón, 3

Iole Scamuzzi per radio Ohm: servi di scena. Tirso de Molina, Juan Ruiz de Alarcón ecc. ecc.; in poesia ci sono Boscán e Garcilaso, primi petrarchisti spagnoli, e dopo di loro niente meno che Gongora, e poi i mistici: Fray Luis de León, Santa Teresa de Ávila, San Juan de la Cruz. Poi ci sono i romanzieri, come Cervantes, ma anche quelli che scrivevano picaresca, come Mateo Alemán, l’anonimo del Lazarillo, Francisco Delicado (La lozana andaluza), Fernando de Rojas (La Celestina), Francisco de Quevedo.... Tutto questo solo nell’ambito letterario, perché se ci spostiamo sulla pittura pensiamo a Velázquez e Murillo; in scultura ci sono Montañés, Gregorio Fernández, Alonso de Mena; in architettura si distingue l’immensa opera dell’Escorial, di Juan de Herrera, solo per fare un esempio. In musica ci sono autori come Francisco Guerrero, Cristóbal de Morales e Tomás Luis de Victoria che hanno rilevanza europea e si eseguono ancora oggi (musica sacra vocale, polifonia). 5. Corrales de comedias: che cosa sono? Ne esistono ancora? Assomigliano vagamente alle playhouses elisabettiane: ci sono delle influenze reciproche? Dove si disponeva il pubblico? I corrales de comedias sono i primi teatri commerciali che sorgono in Madrid e in altre città spagnole come costole delle confraternite per le opere pie e delle società di mutuo soccorso: servivano a finanziare le attività benefiche. Infatti i primi corrales, che vuole proprio dire cortile, erano cortili di ospedali. Le società benefiche mettevano a disposizione i cortili dei propri immobili per mettere in scena spettacoli per cui il pubblico pagava un biglietto, il cui ammontare era poi devoluto in parte all’opera pia. Questo schema funziona per la seconda metà del Cinquecento, quando le opere pie arrivano a costruire corrales dedicati solo alle rappresentazioni. Poi un po’ per volta questi edifici e la loro organizzazione vengono municipalizzati e nel secondo decennio del Seicento le opere pie non sono nemmeno più rappresentate nell’assetto proprietario. Ormai erano un business a sé. Quanto alla struttura fisica, forse è qui che troviamo qualche somiglianza con le playhouses elisabettiane: si trattava di edifici a pianta quadrata (il Globe però era a pianta tonda...) con un cortile centrale, nel quale si trovava un pozzo, come memoria dei tempi in cui il cortile serviva ad abbeverare gli animali da soma. Intorno al cortile si sviluppavano due o più ordini di balconate, che venivano spartiti fra il pubblico in base al censo e al genere. In terra, in quella che oggi chiameremmo “platea”, stavano in piedi i “mosqueteros”, ossia gli uomini, poveri, che mangiavano mosche e si beccavano gli sputi e il sudore degli attori. Nel primo ordine di balconi, nel lato opposto al palco, stavano le donne del popolo: questa zona si chiamava cazuela. C’erano dei personaggi che si chiamavano “apretadores” che per mestiere dovevano far stare nella cazuela quante più donne possibile addossandole le une alle altre! Poi accanto alla cazuela e negli ordini superiori stavano i più ricchi e i nobili, uomini e donne insieme. I davvero nobili e davvero ricchi avevano a disposizione una specie di balcone piccolo e chiuso da gelosie, che si chiamava “aposento”, che serviva a vedere senza esser visti, e non voglio immaginare a che altro... Il lato più interessante del corral però è quello in cui si situava il palco: quello che adesso chiamiamo palco scenico si trovava al piano inferiore, sollevato di un paio di metri dal piano dove stavano in piedi i mosqueteros. Sopra di esso si ergevano due loggiati, che avevano tre aperture ciascuno, in modo da risultare in tre porte ad altezza palco, e tre porte rialzate, come al piano superiore. Dal palco potevano emergere e discendere cose e persone attraverso botole. Quindi il lato scenico del corral rappresentava l’universo intero: gli inferi (il sottopalco, che di solito fungeva anche da spigliatoio agli attori maschi), il mondo normale (dietro le quinte si cambiavano le donne), e il cielo (loggiato). Gli attori, rispetto al pubblico, risultavano molto vicini fisicamente. 4

Iole Scamuzzi per radio Ohm: servi di scena. La playhouse aveva un aspetto simile, ma il pubblico vi si mescolava di più. Inoltre il palco scenico si allungava nel cortile mediante passerelle, permettendo agli attori di camminare in mezzo alla gente, in posizione elevata. Inoltre, incredibilmente, nelle payhouses non c’era copertura in caso di pioggia, e non erano permessi ombrelli, quindi se pioveva (e in Inghilterra piove), ci si bagnava: attori e spettatori. Invece in Spagna sulla parte scoperta del cortile si tirava una tenda, chiamata toldo, che serviva soprattutto a riparare dal sole, ma eventualmente anche dalla pioggia. In entrambi i posti si serviva da mangiare e da bere durante la rappresentazione. Mabbe, l’ispanista inglese che abbiamo citato prima, era sorpresissimo che in Spagna recitassero anche le donne. Se volete visitare un corral perfettamente conservato bisogna che andiate ad Almagro, vicino a Ciudad Real (La Mancha), dove si celebra anche un festival di teatro classico, ricreato con tutti i crismi.

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