Città a mosaico

June 30, 2017 | Autor: Renato De Fusco | Categoria: Urban Planning
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La città a mosaico
Il convegno intitolato «Il Regno del possibile» e l'omonimo volume, che raccoglie gli scritti di oltre quaranta studiosi hanno inteso dare il via ad una vasta operazione urbanistico-architettonica, di ristrutturazione e restauro del centro storico di Napoli. L'iniziativa parte dalla «Società Studi Centro storico di Napoli», costituita dalle tre componenti dell'imprenditoria, quella pubblica, quella privata e quella della cooperazione. Ma, conclusa la manifestazione, cui hanno partecipato i maggiori esponenti dei partiti politici (spesso parlando di Napoli e pensando ad altro) e di tutte le categorie interessate al problema, resta l'antico interrogativo: e ora che fare?
In attesa che gli organi politici e amministrativi diano una risposta alle istanze dei tecnici e degli imprenditori, vanno registrate alcune preoccupazioni manifestate da molti. Chi nutre e di che genere sono tali preoccupazioni, nel migliore dei casi motivate dal timore del peggio, viste le negative esperienze fatte dalla nostra città dal dopoguerra ad oggi? C'è chi, avendo a cuore le sorti del patrimonio storico-artistico ma dimenticando che la sopravvivenza di esso dipende proprio da un pronto intervento, teme i «vandali in casa», «le mani sulla città», per citare espressioni che richiamano i tempi relativamente recenti della speculazione edilizia di marca laurina; c'è chi, un po' più vecchio, teme che si ripetano gli sventramenti del periodo fascista; c'è chi, un po' informato di storia urbanistica locale, teme che tornino i metodi dell'ottocentesco Risanamento - ma qui i pareri già si dividono - e, a esempio, a cominciare dal sottoscritto, c'è chi pensa: magari fossimo in grado di fare oggi a Napoli quanto fece il Risanamento malgrado i suoi errori. C'è infine il timore che l'eventuale ristrutturazione della città non segua le procedure dell'urbanistica vetero-razionalista per cui la fabbricazione di un isolato non si dava senza il piano regolatore cittadino, questo senza quello intercomunale, quindi senza un piano riguardante l'intera regione e via via fino alla pianificazione nazionale. A tutte queste preoccupazioni vanno date risposte rassicuranti, tranne all'ultima; anzi a chi paventa che lo sviluppo di Napoli non avvenga secondo tali procedure bisogna, a mio avviso, rispondere che è addirittura auspicabile che così non accada. E questo perché un tal genere di pianificazione globale e totalizzante non è più credibile, né attuabile: serve solo a mobilitare per anni schiere di economisti, sociologi, urbanisti disinformati, architetti politicizzati nonché politici tutto sommato favorevoli alla conservazione dello status quo, con il risultato che non sarà mossa una pietra e la città, storica o metropolitana che sia, andrà definitivamente in malora.
Contro una simile cultura del «piano» mi sono soffermato più volte; in particolare, nel mio contributo al volume Il regno del possibile, ho notato: «Si tratta di rivedere la cultura del "progetto"; non un progetto rassegnato ad agire nell'ambito della parzialità ma tale da sostituire al piano deduttivo un "sistema" di progetti che raggiunga la generalità per via induttiva. Detto diversamente, in luogo della logica delle "scatole cinesi", in cui le parti - quartiere, città, regione - stanno l'una dentro l'altra, andrebbe sperimentata la logica del "mosaico", in cui le parti si affiancano tra loro a formare il tutto. Lo schema del mosaico peraltro sembra particolarmente adatto al nostro caso, che non riguarda la costruzione ex-novo di un organismo ma la ristrutturazione e il restauro di un preesistente centro storico».
Cosicché, se si conviene sull'opportunità di intervenire procedendo dal particolare al generale, la prima proposta da avanzare - e ormai la questione di Napoli va discussa solo in termini propositivi - è quella di individuare delle aree-campione sulle quali agire direttamente e completamente, dal progetto all'esecuzione. Dette aree non andrebbero necessariamente identificate con i tradizionali quartieri della divisione amministrativa della città, bensì individuate in quanto contengono in nuce la maggior parte dei problemi ricorrenti in molti ambienti dell'organismo urbano: la tutela monumentale, la residenza, il lavoro, la caratterizzazione socio-economica, il traffico, ecc. Si tratterebbe in sostanza di trasferire dal macrocosmo della città tutti i temi e problemi al microcosmo di un'area più limitata, fisicamente percepibile, che pure li contiene in proporzione alla sua scala, per meglio affrontarli e risolverli. Se i risultati di una simile operazione, da effettuarsi in un tempo relativamente breve, certamente prima di un ennesimo, burocratico piano e soprattutto nel vivo della realtà, saranno positivi, quelle aree-campione diventeranno i paradigmi, i modelli, gli esempi per successivi interventi, costituendo le parti del suddetto sistema a mosaico. In caso contrario, se cioè gli interventi effettuati in zone circoscritte non saranno utili ed esportabili ad altre aree urbane, essi non daranno luogo a soluzioni-modello, ma almeno avremo cominciato a sperimentare in corpore vili un possibile miglioramento, avremo risanato un quartiere o parte di esso, senza tuttavia aver sconvolto l'intero organismo urbano. Ma che si debba procedere per parti, prudentemente e a scala architettonica, ove non bastassero altre ragioni, motivazioni culturali, esperienze in via di realizzazione (e penso all'I.B.A. di Berlino) ci verrà imposto dal fatto di operare in un organismo attivo, densamente popolato, capace di convivere con un cantiere relativamente modesto e non con uno così vasto da estendersi a tutto il centro storico e magari alla più grande Napoli.
Quanto infine ai criteri di scelta e d'intervento in queste aree candidate a diventare i modelli per la ristrutturazione dell'intera città, per essi saranno certamente necessari nuovi studi e aggiornamenti, non dimenticando tuttavia che, a saper leggere la storia di Napoli, ci sono già ricorrenti proposte, soluzioni «invarianti» che si configurano come vere e proprie «vocazioni» dell'organismo urbano. Non è escluso che le forze conservatrici e frenanti, così caratteristiche in una comunità niente affatto solidale, prevarranno su quelle del rinnovamento e dello sviluppo, con la conseguenza che l'intero programma sarà quanto meno ridimensionato. Ma anche in questo caso la proposta di operare su un microcosmo, una volta attuata, ci fornirà almeno un esempio di quello che Napoli poteva essere e non è stata. [«Il Mattino» del 24/12/1986].



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