\'Cohortes praetoriae\' e \'cohors togata\': a proposito di tesi vecchie e nuove

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Bollettino della

unione storia ed arte

Gruppo archeologico latino-colli albani Bruno Martellotta

n. 8 – terza serie - cV dalla fondazione - Gennaio/diceMBre 2013

Bollettino Unione Storia ed Arte n. 8 / 2013

Cohortes praetoriae e cohors togata: a proposito di tesi vecchie e nuove* Enrico Silverio Abstract Alcuni riferimenti presenti nelle fonti antiche mostrano come in particolari occasioni di servizio i pretoriani non indossassero la veste militare ma la toga civile. Tuttavia, i moderni studiosi non sono sempre concordi per quanto riguarda le circostanze dell’uso di questo abito ed anzi una tesi recente ha negato che i pretoriani potessero indossarlo. Il presente contributo analizza sia le fonti antiche relative al problema sia la loro interpretazione da parte degli studiosi moderni, proponendo una nuova ipotesi circa questo particolare aspetto della storia delle coorti pretorie. Cohortes praetoriae and cohors togata: old and new theories Several ancient sources mention that on particular occasions the praetorian guards did not wear military dress but civilian togas. Scholars today do not always agree on which circumstances the guards wore togas. One recent thesis actually denies that praetorians were ever allowed to wear this garment. This article examines both the ancient sources and their current interpretations, and suggests a new theory regarding this particular detail in the history of the praetorian guard.

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ue passi di Tacito, l’uno contenuto nelle Historiae l’altro invece negli Annales 1, ci danno conto di alcuni particolari del servizio svolto dalle cohortes praetoriae in base ai quali, ed in forza dello stesso dettato letterale della fonte antica, si è ritenuto di poter affermare che in talune circostanze di impiego questi militi non indossassero l’abito militare ma la toga, cioè un abito civile2. Sono grato alla Dott.ssa Giuseppina Pisani Sartorio per aver accolto con la sua consueta gentilezza e disponibilità questo contributo all’interno del “Bollettino della Unione Storia ed Arte”. Un ringraziamento per la rinnovata ospitalità va anche al Gruppo Archeologico Latino - Colli Albani ‘Bruno Martellotta’. Sono grato anche alla Dott.ssa Anna Maria Liberati, con cui ho proficuamente discusso molti dei problemi qui esposti. *

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È risaputo che le Historiae, dedicate al periodo compreso tra il principato di Galba e quello di Domiziano, vennero composte prima degli Annales, dedicati invece a coprire il periodo precedente, quello cioè tra i principati di Tiberio e di Nerone: vd. per tutti Paratore 2000, pp. 684-700.

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Sulle cohortes praetoriae restano fondamentali nelle loro linee generali Durry 1938 e Passerini 1939. È noto come le due opere giungano a interpretazioni molto differenti circa il ruolo delle coorti pretorie, che per Durry sarebbero essenzialmente da identificarsi come guardie del corpo e per Passerini, invece, come l’élite delle forze armate: in anni non troppo lontani Le Bohec 1992, p. 29 ha fatto rilevare che

Il primo passo di nostro interesse si colloca nell’ambito del discorso fatto pronunciare da Tacito ad Otone davanti ai suoi sostenitori nei castra praetoria i primi giorni di gennaio dell’anno 69 d.C. e con il quale lo stesso Otone spronava costoro all’azione contro Galba, che, nel frattempo, in preda alla disinformazione creata dall’avversario, decideva incautamente di avventurarsi nel Foro con una scorta. Verso la fine del discorso e per convincere definitivamente i militi Otone, nel racconto di Tacito, avrebbe detto: Nec una cohors togata defendit nunc Galbam sed detinet; cum vos adspexerit, cum signum meum acceperit, hoc solum erit certamen, quis mihi plurimum imputet. Nullus cunctationis locus est in eo consilio quod non potest laudari nisi peractum3. le “due interpretazioni si integrano, non si contraddicono”. Sulla storia delle cohortes praetoriae prima della praefectura praetorio di L. Elio Seiano e del loro concentramento nei castra praetoria a Roma è di notevole interesse Keppie 1996. È invece recente Bingham 2013, denso studio che ha avviato l’approfondimento da cui deriva questo contributo. 3

Tacito, Historiae, I, 38, 2: “E quella sola ‘coorte togata’ ora non difende Galba, ma lo tiene prigioniero; quando vi vedrà, quando avrà accettato la mia parola d’ordine, vi sarà una sola contesa, quella a chi mi esalti di più. Non si deve perdere tempo in una decisione che non si può lodare se non quando è compiuta” (trad it. Autore). Stando al racconto di

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Compare qui la cohors togata, cioè la ‘coorte di militi in toga’ e di militi in abito civile, almeno secondo i più, come in seguito si dirà, si rinviene traccia in un altro luogo dell’opera tacitiana giunta sino a noi. Si tratta questa volta di un passo degli Annales relativo alle precauzioni prese da Nerone in occasione del processo a P. Clodio Trasea Peto nell’anno 66 d.C. Riferisce Tacito: At postera luce duae praetoriae cohortes armatae templum Genetricis Veneris insedere. Aditum senatus globus togatorum obsederat non occultis gladiis, dispersique per fora ac basilicas cunei militares4. Questi, dunque, i dati offerti da Tacito e sui quali interverrà nel 1938 la riflessione di Marcel Durry, autore della famosa monografia sulle cohortes praetoriae destinata da allora a costituire, insieme con quella di Alfredo Passerini pubblicata appena un anno dopo5, il punto di partenza per ogni ricerca sui reparti della guardia. Nella parte della sua opera dedicata all’armamento, alla tenuta, alle insegne ed alle decorazioni dei militi pretoriani, Durry ritiene di poter distinguere quattro tenute: una ‘tenuta civile’, una ‘da cerimonia’, una ‘piccola tenuta’ ed infine una ‘tenuta da campagna’, cioè da guerra. L’esistenza di una tenuta civile sarebbe testimoniata proprio dai passi tacitiani poco sopra ricordati e relativi agli anni 66 e 69 d.C., Tacito, Historiae, I, 27, 1, l’episodio avrebbe avuto luogo il diciottesimo giorno delle calende di febbraio, cioè il 15 gennaio. 4

Tacito, Annales, XVI, 27, 1: “All’alba del giorno successivo, due coorti pretorie in armi si attestarono presso il tempio di Venere Genitrice. All’ingresso del senato era di guardia, con i gladi non occultati, un nucleo di uomini in toga, mentre nelle strade e nelle basiliche erano collocati gruppi di militi” (trad. it. Autore). Cfr. Tacito, Annales, XVI, 29, 1. Il processo a Trasea Peto, PIR2, C, 1187, si svolse avanti il senato nelle forme della nuova procedura criminale introdotta con l’avvento del principato, la cognitio extra ordinem. Sul processo per lesa maestà contro Trasea Peto, vd. da ultimo Manfredini 2009, p. 580. Alla procedura criminale extra ordinem del senato è invece interamente dedicato De Marini Avonzo 1957. Con particolare riguardo a Trasea Peto, vd. ibidem, pp. 70, 98-99 e 136 per i profili giuridici connessi ad alcuni aspetti degli atti introduttivi del giudizio ed all’assenza dell’imputato dal senato durante il processo. Quanto invece alla procedura extra ordinem in generale vd. per tutti Santalucia 1994, pp. 207-226 ed Id. 2009, pp. 68-92. 5

Passerini 1939.

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che proverebbero come per la guardia presso il palazzo imperiale ed in occasione del processo a Trasea Peto i pretoriani indossassero la toga civile. Il gladius, ricordato apertamente solo per il 66 d.C., in effetti sarebbe stato portato usualmente ma di norma sarebbe però rimasto occultato alla vista. Tale ultima considerazione deriva dalla specificazione non occultis gladiis impiegata da Tacito nella descrizione del globus togatorum presente in senato nel 66 d.C., dal momento che essa lascia intendere come normalmente i gladii fossero al contrario occultati6. Credo che si possa 6

Durry 1938, p. 207 e ntt. 1-4. Lo studioso francese, forse per una svista, datava l’episodio nelle Historiae al 68 invece che al 15 gennaio dell’anno 69 d.C.: vd. supra nt. 3. Durry segnalava anche possibili riscontri iconografici, indicando i rilievi di CIL VI, 2671 e 2488, quest’ultimo descritto in Amelung 1903, p. 259, n. 128c. Si tratta in realtà di epigrafi funerarie di ex milites praetoriani la prima delle quali, CIL VI, 2671, è pertinente ad Aurelio Pirro, ex pretoriano della VIII coorte missus honesta missione, cioè onorevolmente congedato. La decorazione della stele raffigura un personaggio togato con la mano sinistra ornata di anello. La seconda, invece, è pertinente al veterano della III coorte pretoria M. Aurelio Secundino ed il relativo rilievo illustra un personaggio in toga che stringe nella mano destra un volumen mentre la sinistra tiene la toga. Sembra tuttavia trattarsi di rappresentazioni di genere attinenti peraltro alla vita civile piuttosto che di esempi di pretoriani in toga. Per altri esempi di raffigurazioni, più o meno individualizzate, del defunto in toga e sulla ricorrenza di tale motivo iconografico, vd. Stuart Jones 1912, pp. 76-77, n. 8, tav. 15, Id. 1926, pp. 149-150, n. 36, tav. 45 nonché, circa le medesime stele, Helbig 1966, pp. 59-61, n. 1214 e pp. 512-513, n. 1734. Vd. per altri esempi Scrinari 1972, pp. 128-130, nn. 365, 366 e 370 e Taglietti 1984. Lo studioso francese indicava poi come esempio di possibile ‘tenuta’ in cui le armi non sono occultate il rilievo di Marco Aurelio reimpiegato nell’Arco di Costantino, in relazione al quale citava Reinach 1909, p. 241. Il riferimento non manca invero di suscitare qualche perplessità, dal momento che mi pare che i personaggi ivi raffigurati non indossino la toga. Durry non era comunque certamente stato il primo ad occuparsi della questione: prendo qui avvio dallo studioso francese perché la sua monografia e quella di Passerini costituiscono ormai il vero e proprio punto di partenza di ogni approfondimento relativo alle cohortes praetoriae. Comunque tra gli Autori che in precedenza si erano occupati della cohors togata incontriamo, ad esempio, Ugo Antonielli che, appena pochi anni prima, nella voce Pretoriani compilata per la Enciclopedia Italiana aveva scritto: “L’ufficio proprio dei pretoriani era di vigilare per la sicurezza della persona imperiale, capo dello stato, nel palazzo imperiale (dove una coorte intera faceva servizio stabile, vestita di toga) […]”. Risalendo nel tempo, Luigi Rusconi, nel suo Dizionario universale archeologico -

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senz’altro convenire con Durry su questo aspetto specifico, dal momento che l’impiego di personale militare in abito ‘borghese’ ma con le armi in vista si accorda peraltro molto bene al clima di terrore e coercizione orchestrato da Nerone e garantito anche attraverso lo stazionamento di diverse unità, questa volta in pieno assetto militare, in ulteriori luoghi simbolici della vita pubblica dell’Urbe. Il senato era, insomma, avvertito: l’invio di militi in toga invece che in abito militare, ma comunque armati, era in sostanza una minaccia, e neppure troppo velata, piuttosto che un atto di rispetto formale7. Del resto una minaccia era già di per sé l’invio di militi in senato, un fatto non nuovo ma sempre denso di significato8. Trent’anni dopo la monografia di Durry, nel 1968, nella prima edizione della sua nota opera relativa alla violenza in Roma repubblicana, Andrew W. Lintott scriveva: “Normally armed men under military command were only present in Rome when the city was under attack from outside […] or at the time of a triumph. Some traces of Republican scruples may have survived artistico - tecnologico del 1859, aveva definito la cohors togata come “Coorte togata: era destinata alla guardia delle strade di Roma. Milizia urbana; vestiva toga, né aveva altr’arme che lancia e spada. Era soggetta al prefetto del pretorio, che Marziale chiama Custos Martis togati, alludendo forse all’uso dei pretoriani di portare in Roma la toga, non il sago militare, uso che M. Aurelio stese a tutta l’Italia”. Vd. dunque Antonielli 1935, p. 224 e Rusconi 1859, pp. 473-474. L’opera di Rusconi si rivela in realtà non priva di alcune inesattezze, ma vale qui richiamarla in quanto documento di un certo modo di leggere le fonti e cioè quantomeno Tacito, Historiae, I, 38, 2 e comunque Marziale, Epigrammata, VI, 76. Su quest’ultima fonte, la cui pertinenza alla questione dell’uso della toga da parte dei pretoriani credo debba suscitare quantomeno qualche perplessità, vd. infra nel testo e nelle note. 7

Circa lo spiegamento del dispositivo militare in occasione del processo a Trasea Peto, vd. per tutti Furneaux 1907, p. 462, nt. 4. La questione è comunque collegata a quella del luogo di riunione del senato in quell’occasione, che alcuni identificano con la curia Iulia, altri con l’aedes o templum Veneris Genetricis: vd. infra nt. 40 e cfr. nt. 41.

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Vd. già il comportamento di Augusto stesso come descritto in Svetonio, divus Augustus, XXVI, 1. È significativo come, volendo minacciare l’assemblea, il centurio Cornelio lo facesse reiecto sagulo ostendens gladii capulum, cioè mettendo in mostra l’elsa del gladium che aveva sino a quel momento mantenuto al di sotto del mantello militare.

under the principate, if we deduce from Tac(itus) […], that the praetorians within the city did not wear full uniform”9. Poco più di dieci anni dopo, nel suo commento al I ed al II libro delle Historiae di Tacito, così scriveva Guy E.F. Chilver riguardo alla cohors togata menzionata da Otone: “cohors togata, so Martial, VI.76.1, calls the praetorian prefect Fuscus ille sacer lateris custos Martisque togatae. The cohort on guard wore not the sagum but the toga, and under it concealed their swords, […]. They appear to have had no defensive armour, […]”10. Marziale, in effetti, riferendosi al praefectus praetorio L. Cornelio Fusco, ucciso durante una delle campagne daciche di Domiziano, aveva scritto: Ille sacri lateris custos Martisque togati, / credita cui summi castra fuere ducis, / hic situs est Fuscus. Licet hoc, Fortuna, fateri: / non timet hostilis iam lapis iste minas; / grande iugum domita Dacus cervice recepit / et famulum victrix possidet umbra nemus11. In seguito, circa sessant’anni dopo lo studio di Durry, in un’agile monografia in lingua inglese dedicata alle coorti pretorie Boris Rankov sosteneva

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Così Lintott 1968, p. 90, nt. 2 argomentando dai due noti passi di Tacito. Non è chiarissimo comunque cosa lo studioso intenda per ‘full uniform’, specie a fronte dell’analitica suddivisione operata invece anni addietro da Durry. Sul punto vd. comunque più avanti.

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Chilver 1979, p. 98. Cfr. Marziale, Epigrammata, VI, 76. La citazione di Chilver riportata nel testo presenta tuttavia due inesattezze: infatti non è sacer ma sacri e non è togatae ma togati: vd. le edizioni Izaac 1930 e Ker 1947. Faccio notare sino da ora come le espressioni sacri lateris […] Martisque togati si riferiscano entrambe al principe e come in particolare Martisque togati si riferisca evidentemente alle virtù militari e civili dell’imperatore: sussiste quindi, al di là del contenuto della citazione di Chilver, più di qualche perplessità circa la possibilità di invocare questa fonte in materia di impiego della toga da parte dei pretoriani. Cfr. anche supra nt. 6 ed infra nel testo e nelle note. Circa L. Cornelio Fusco cfr. PIR2, C, 1365. 11 Marziale, Epigrammata, VI, 76: “Quello, guardia della sacra vita e del Marte togato, / al quale fu affidato il campo del comandante supremo, / riposa lì. Noi possiamo, o Fortuna, confessare questo: / questa pietra non teme più le minacce del nemico; / il Daco ha ricevuto un grande giogo sul capo domato / ed il fantasma vincitore (di Fusco) ha preso possesso di un bosco asservito” (trad. it. Autore).

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che “to avoid antagonising the population of Rome and in accordance with republican custom, the Praetorians did not wear armour when performing such duties within the city. Instead they wore the rather formal toga, which would still make them conspicuous in a crowd but was a civilian garment and the mark of roman citizen”. A sostegno di tale affermazione, l’Autore invocava i due passi di Tacito che conosciamo ed in più quello di Marziale su cui ci siamo soffermati poco sopra12. Alcune pagine dopo, in una sezione del suo lavoro dedicata a ‘distinctive, dress and insigna’, Rankov così tornava sull’argomento: “Most distinctive of all, perhaps, was the civilian toga worn whilst on duty at the palace and in the Capitol in the first two centuries AD”13. Durry non è direttamente richiamato, ma è evidente che la tesi di Rankov si basa molto sulla quella dello studioso francese e ne generalizza alcuni profili, limitando peraltro ai primi due secoli dell’impero l’impiego della toga da parte dei pretoriani14. Da ultimo, l’Autore affrontava ancora una volta il nostro tema nel commento all’illustrazione ricostruttiva di un pretoriano in toga ritratto all’interno del palazzo imperiale, contenuta in una tavola dovuta all’illustratore Richard Hook, che qui si riproduce (fig. 1). La ricostruzione è interessante perché mostra in che modo, secondo Rankov, dovesse presentarsi un pretoriano della cohors togata. Il milite indossa la toga civile e le caligae militari, che l’Autore ritiene gli spettassero comunque in considerazione dello status militare. Il pretoriano 12

Rankov 1994, p. 5.

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Rankov 1994, p. 24, che questa volta richiamava solo, nell’ordine, Tacito, Annales XVI, 27, 1 ed Historiae I, 38, 2. 14

Durry, in effetti, si limitava a sostenere come l’impiego della toga fosse testimoniato dai noti episodi del 66 e 69 d.C. Più in particolare, l’impiego di togati presso il senato nel 66 sembra essere giudicato del tutto eccezionale, mentre quello presso il palazzo imperiale parrebbe invece essere ritenuto se non costante, quantomeno non episodico: vd. Durry 1938, p. 207 ed ivi ntt. 1-4 e cfr. Damon 2003, p. 179. La limitazione dell’uso della toga ai primi due secoli dell’era cristiana non è giustificata dall’Autore, ma può darsi che egli basasse la sua affermazione sulla circostanza, abbastanza risaputa, che la toga nel corso dell’impero rimase in uso come abito da grande cerimonia solo per chi ricoprisse le più alte cariche, venendo abbandonata da tutti gli altri tra il I ed il II sec. d.C.: vd. Sette 2000, p. 32.

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‘in borghese’, sotto la toga ed in particolare sotto il braccio destro, indossa il gladius munito del fodero e di cui si intravede soltanto il pomo dell’impugnatura. La ricostruzione è ipotetica dal momento che, afferma lo studioso, “we have no descriptions or depictions”. Rankov ritiene infine che l’utilizzo di un abito divenuto ormai formale quale la toga non fosse di troppo intralcio all’uso dell’arma, e ciò in grazia del fatto che essa avrebbe potuto essere sfoderata e rinfoderata semplicemente con una torsione della mano destra15. Appena l’anno dopo, nel 1995, in una monografia dedicata in generale al tema dell’ordine pubblico in Roma antica ma in effetti particolarmente attenta soprattutto all’età arcaica e repubblicana, Wilfried Nippel osservava: “The praetorians’ main function was to control the capital. As a rule, though, they appeared in public with weapons concealed and clothed in togas”16. Pochi anni dopo, nel 1999, in occasione della seconda edizione del suo studio già ricordato, Andrew W. Lintott ripeteva testualmente quanto già scritto nel 196817. Nel 2006 il tema dell’impiego della toga da parte delle cohortes praetoriae veniva affrontato

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Rankov 1994, p. 30 e tav. C, n. 1. L’Autore non si esprime circa la possibile sospensione del gladius sotto la toga ad un cingulum che cingesse la vita del milite o invece ad altri elementi. Sul gladius come arma offensiva nell’economia dell’equipaggiamento del milite romano del principato vd., anche per i sistemi di fissaggio, Feugére 1993, pp. 138-146, Menéndez Argüín 2006, pp. 106-108 e cfr. Durry 1938, p. 209. Per una ulteriore menzione di armi ‘bianche’ portate sotto la toga, vd. Plutarco, C. Gracchus, 15, 1, in cui ricorre la menzione di un “piccolo pugnale”. Vd. anche, benché in riferimento alla tunica, Asconio Pediano, in Milonianam, p. 36 ed. Clark, da cui pare potersi apprendere l’esistenza di un sistema di sospensione dell’arma: Dein proximo senatu P. Cornificius ferrum Milonem intra tunicam habere ad femur alligatum dixerat; postulaverat ut femur nudaret, et ille sine mora tunicam levarat: […]. Circa la tunica, vd. Sette 2000, pp. 39-43. La menzione della tunica non esclude comunque che T. Annio Milone vi indossasse sopra anche la toga, specie se si tiene conto dell’occasione ufficiale descritta dalla fonte. Per l’uso della toga sopra la tunica, cfr., con riferimento ai nostri pretoriani togati, Rankov 1994, p. 31 e tav. C, qui riprodotta. 16

Nippel 1995, p. 91, esplicitamente richiamando i passi di Tacito riportati qui in apertura.

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Vd. Lintott 1999, p. 90, nt. 2 e cfr. supra nt. 9.

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Fig. 1 - Disegno ricostruttivo di Richard Hook che illustra un momento del servizio dei pretoriani all’interno del palazzo imperiale. A destra, a fianco del princeps, un tribunus in toga ed, a sinistra, un praetorianus togato. Tra le pieghe della veste si intravede il pomello dell’impugnatura del gladius (da Rankov 1994).

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da Adolfo Raúl Menéndez Argüín, nella sua monografia dedicata alle cohortes praetoriae. L’Autore, infatti, terminava la sezione dedicata all’abbigliamento rifacendosi alla distinzione tra le ‘tenute’ già operata da Durry, cui aderiva anche per quanto riguardava l’utilizzo della toga: “Uniforme civil: El pretoriano vestía una toga de ciudadano durante los servicios de guardia en el Palacio imperial o en el exterior del Senado […]. La espada la llevaban oculta por la toga y no portaban ningún tipo de armadura”18. Nel 2012 si occupava invece dell’uso della toga Christopher J. Fuhrmann, all’interno di una monografia sul ruolo delle forze armate nei servizi di ‘polizia’ dell’impero. Dopo aver rapidamente ricordato le origini delle cohortes praetoriae ed aver accennato alla loro evoluzione nell’età delle guerre civili19, l’Autore così concludeva, ricollegando inspiegabilmente l’uso della veste civile a quei pretoriani non presenti a Roma prima della concentrazione di tutte le coorti nei castra praetoria: “Augustus’s modification of this deeply ensconced republican tradition necessitated some finesse; ordinarily, most praetorians were not in the city but scattered around its environs, armed with swords but wearing civilian clothing”20. 18

Così Menéndez Argüín 2006, p. 90, che richiama nell’ordine Marziale, Epigrammata, VI, 76; Tacito, Annales, XVI, 27 e Historiae I, 38, nonché i rilievi delle epigrafi in CIL VI, 2671 e 2448 circa i quali cfr. supra nt. 6.

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Sulle cohortes praetoriae repubblicane e sulla loro differenza con le pur attestate cohortes amicorum o cohortes praetoriae amicorum, vd. più approfonditamente Durry 1938, pp. 68-77, Passerini 1939, pp. 3-40, Tullio 1942, de Laet 1944 ed ora da ultimo Bingham 2013, pp. 9-15. 20 Così Fuhrmann 2012, p. 115, fondandosi oltre che sui due noti passi di Tacito anche su Svetonio, divus Augustus, 49, 1. Non mi pare, tuttavia, che possa esserci un nesso tra i tre passi visto il contenuto di quello di Svetonio, circa il quale vd. oltre in questa nota. La “deeply ensconced republican tradition” cui si riferisce lo studioso è il divieto di mantenere uomini in armi all’interno del recinto sacro della città, il pomerium, intorno al quale si tornerà più avanti. Tra le fonti richiamate, oltre i due noti passi di Tacito, Fuhrmann annovera anche Svetonio, divus Augustus, 49, 1. Il passo, come noto, accennando all’organizzazione delle forze armate intorno al 27 a.C. informa dell’esistenza di unità militari poste in custodiam sui, cioè di Augusto, ed in custodiam Urbis ed altresì informa tuttavia come solo tre coorti, senza accampamenti, fossero presenti in Roma. Il testo in generale,

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In nota al brano di cui si è ora trascritta la parte finale, Fuhrmann sosteneva poi che ci sarebbe, a suo dire, “some ambiguity regarding whether their (dei pretoriani, n.d.A.) swords were normally displayed openly; At Tac. Ann. 16.27.1, when Nero wished to intimidate the senate, a throng of praetorians is described as ‘wearing togas, but swords unconcealed’ (globus togatorum…non occultis gladiis)”21. Abbiamo visto quindi in che modo, essenzialmente sulla base dei passi di Tacito e di e quest’ultimo passo in particolare, è stato spesso inteso come relativo alla dislocazione delle cohortes praetoriae intorno all’anno 27 a.C. ma esso non è privo di problemi proprio rispetto ai particolari della dislocazione delle forze armate in Roma, sui quali tuttavia Fuhrmann non si sofferma. Già Durry 1938, p. 43, nt. 2, rilevava invece la scarsa precisione di Svetonio, dal momento che l’autore antico pur distinguendo, secondo Durry, tra coorti urbane e pretorie, non ne precisava però la ripartizione, limitandosi a parlare di coorti partim in urbis, partim in sui custodiam, di cui solo tre, sine castris, sarebbero state presenti a Roma. Lo studioso francese ammetteva che un’interpretazione del testo potrebbe portare a ritenere che quelle dislocate in Roma fossero state in realtà le tre coorti urbane ‘originarie’ invece che tre coorti pretorie, benché sulla scorta di Tacito, Annales, IV, 2, e poi anche di Svetonio, Tiberius, 37, l’Autore sosteneva che si potrebbe anche ipotizzare la presenza in Roma, oltre che delle tre coorti urbane, anche di tre coorti pretorie. Cfr. sul punto anche Passerini 1939, p. 49, nt. 1. Il problema è collegato anche alla questione dell’accasermamento delle cohortes praetoriae nel periodo di tempo compreso tra la situazione descritta da Svetonio nella vita di Augusto ed il concentramento dei reparti nei castra praetoria. In particolare esso è connesso alla questione se, tra le due situazioni, fossero o meno esistite soluzioni intermedie. Occorre allora prendere in considerazione Svetonio, Tiberius, 37 e Tacito, Annales, IV, 2: Passerini riteneva che le coorti pretorie fossero tutte già presenti in Roma all’atto della costruzione dei castra praetoria, il che in tal modo dovette comportarne il concentramento in un’unica caserma rispetto ai diversa hospitia in cui i militi erano in precedenza collocati in Roma, ma non quindi la loro riunione a Roma da altre città. Argomentando dalle fonti, ad esempio Svetonio, Caligula, 4 e Tacito, Annales, II, 16, Passerini ritiene che il concentramento a Roma sarebbe avvenuto prima del 17 d.C., negli ultimi anni del principato augusteo. Cfr. Passerini 1939, pp. 49-51. È evidente del resto, se si rammenta la recente affermazione di Fuhrmann riportata supra nel testo, la rilevanza di tali questioni anche per lo specifico problema della cohors togata. Sui castra praetoria vd. comunque Lissi Caronna 1993 ed ora anche Menéndez Argüín 2006, pp. 57-72. 21

Così ancora Fuhrmann 2012, p. 115, nt. 90, che dunque sembra nutrire dubbi sulla tesi di Durry relativa a questo specifico aspetto e per la quale vd. supra nel testo e cfr. nt. 6.

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Marziale, generalmente si sostenga l’uso da parte dei pretoriani di indossare la toga in particolari circostanze di servizio. Si spiegherebbe così il richiamo alla cohors togata per il 69 d.C. ed al globus togatorum per il 66. Certo non mancano alcune differenze, e neppure troppo sottili, tra i diversi interpreti. A fronte di una certa cautela di Durry rispetto alla possibile generalizzazione dei dati offerti dalle fonti22, Lintott ha affermato che “the praetorians within the city did not wear full uniform”23, mentre Rankov ha invece sostenuto come la toga fosse impiegata “on duty at the palace and in the Capitol in the first two centuries AD”24. In seguito Menéndez Argüín ha ritenuto di poter affermare che il milite “pretoriano vestía una toga de ciudadano durante los servicios de guardia en el palacio imperial o en el exterior del Senado”25, mentre Fuhrmann ha affermato recentemente che “most praetorians were not in the city but scattered around its environs, armed with swords but wearing civilian clothing”26. È intervenuta ora sul tema anche la riflessione di Sandra Bingham, che merita ogni attenzione per l’approccio critico rivolto a questo particolare della storia delle coorti pretorie e per le conclusioni cui giunge la studiosa, idonee a generare a loro volta nuovi dibattiti. La Bingham sostiene come la tesi secondo cui i pretoriani “when on duty at the palace or in Rome, wore togas” derivi da un’incomprensione delle fonti. Nei due passi di Tacito nulla è conclusivo quanto alla reale possibilità di sostenere che i militi prestassero servizio in toga sia nel palazzo imperiale che altrove nella capitale. In modo particolare, gli armati menzionati nell’episodio del 66 d.C. potrebbero anche non essere stati dei pretoriani, sostiene la Bingham, ma “supporters sent by Nero to intimidate the senators further”. Nel caso del 69 d.C., invece, ci si trova davanti, sempre secondo l’Autrice, ad un espediente retorico di

Otone, che ha usato l’espressione cohors togata per indicare come i suoi componenti “are notingh more than civilians”. La stessa circostanza per cui l’espressione ricorra all’interno di un discorso creato da Tacito suggerisce, sostiene la Bingham, di non intenderla letteralmente, anche perché essa può contenere un’indiretta ‘presa in giro’ della guardia pretoria da parte dell’autore antico27. Occorre poi considerare, sostiene ancora la Bingham, la scarsa praticità di avere pretoriani abbigliati con una tenuta “notoriously cumbersome”. I due passi di Tacito non possono, quindi, secondo la studiosa, essere valutati come una testimonianza della tenuta indossata dai pretoriani in Roma28. Anche i versi rivolti da Marziale a Cornelio Fusco non possono essere addotti come una valida prova: in questo caso la toga si giustifica con l’esercizio da parte del praefectus praetorio delle sue funzioni giurisdizionali e così il suo impiego da parte del funzionario non implica che le coorti facessero altrettanto29. La Bingham ricorda poi che tra le fonti a sostegno dell’impiego della toga in Roma da parte dei pretoriani sia stato invocato anche un noto passo di Epitteto che pare opportuno riportare: “In questo modo a Roma i soldati fanno prigionieri gli stolti. Un soldato si siede vicino a te in abiti civili ed inizia a parlare male di Cesare; tu, a tua volta, come se avessi ricevuto una garanzia della sua buona fede per il fatto che lui ha preso l’iniziativa di parlare in modo ingiurioso, inizi allo stesso modo a dire tutto quello che pensi ed allora ti trovi in catene e condotto in prigione”30. 27

“Taunt” è l’espressione impiegata in Bingham 2013, p. 186, nt. 209.

28

Sulle tesi della studiosa vd. Bingham 2013, pp. 77-79 e pp. 185-187, ntt. 205-213.

29

Bingham 2013, p. 79. La letteratura circa le attribuzioni giurisdizionali del praefectus praetorio è naturalmente molto vasta: mi limito qui a segnalare Felici 2011, con ampi rinvii alla precedente bibliografia.

30

22

Cfr. supra ntt. 6 e 14.

23

Lintott 1999, p. 90, nt. 2.

24

Rankov 1994, p. 24.

25

Menéndez Argüín 2006, p. 90.

26

Fuhrmann 2012, p. 115 e cfr. supra nt. 20.

Epitteto, Dissertazioni, IV, 13, 5 (trad. it. Autore) su cui vd. Bingham 2013, p. 79. L’Autrice non chiarisce a chi si riferisca, ma è probabile pensasse anche al recente lavoro di Fuhrmann. Vd. infatti Fuhrmann 2012, p. 226, nt. 103 in cui lo studioso, dopo aver accennato nel testo come “we have some attestations of soldiers operating under the guise of civilians”, accanto al passo di Epitteto menziona anche quello delle Historiae di Tacito qui più volte richiamato.

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Cohortes praetoriae e cohors togata: a proposito di tesi vecchie e nuove

La testimonianza non ha peso alcuno rispetto alla questione che qui interessa, sostiene la studiosa. In primo luogo, infatti, sarebbe incerto che nel II sec. d.C. un milite vestito da civile indossasse la toga 31, tenuto conto della “unpopularity of the garment at that time”. In secondo luogo, inoltre, l’attività di spia disimpegnata dal milite non rende evidentemente il suo abbigliamento significativo di quello indossato dagli altri pretoriani32. Le osservazioni avanzate dalla Bigham inducono ad una complessiva rimeditazione della materia, cui pare opportuno attendere proprio a partire dalle argomentazioni avanzate dalla studiosa. Quanto ad Annales XVI, 27, 2 è in realtà assente un reale motivo di ritenere che i togati menzionati dalla fonte non fossero dei pretoriani. Infatti, l’affermazione secondo cui “the armed individuals described as wearing togas are not specified as soldiers and should not be identified as praetorians”33 non mi sembra così fondata. Se si guarda all’intera descrizione del dispositivo organizzato in occasione del processo a Trasea Peto si nota come essa si apra con i pretoriani e si chiuda con milites dislocati per fora et basilicas che non c’è motivo di ritenere non fossero a loro volta pretoriani così come quelli schierati presso il tempio di Venere Genitrice34. Al centro di questa descrizione si collocano i togati: dal momento che sono menzionati all’interno di uno schieramento di pretoriani, allora non vedo perché non dovessero essere pretoriani anch’essi. Del resto occorre anche 31

L’affermazione mi pare, in linea di massima, condivisibile: vd. nt. 14 ma cfr. anche alcune riserve infra nel testo. Sarebbe stato peraltro privo di senso che un milite che agisse come spia in abito ‘civile’ usasse un abbigliamento che si avviava a divenire desueto, a meno evidentemente che ciò non fosse imposto dalle circostanze di tempo e luogo in cui la spia si trovava ad operare. Tuttavia non è chiaro il riferimento esclusivo al II sec. d.C. in relazione al passo di Epitteto: si ritiene, vd. ad esempio Del Corno 1988, p. 526, che il filosofo sia vissuto tra la metà del I sec. d.C. ed il 125-135: non si comprende dunque perché l’Autrice si riferisca soltanto agli ultimi anni della vita di Epitteto. Il passo in questione, inoltre, si riferisce probabilmente ai metodi di repressione impiegati durante il principato di Domiziano: vd. Souilhé-Jagu 1963, p. 92, nt. 1. 32

Bingham 2013, p. 79.

33

Bingham 2013, p. 78.

34

A proposito del quale vd. Gros 1995.

178

valutare la valenza militare della terminologia impiegata per descrivere l’insieme dei togati, cioè globus: per globus può intendersi infatti anche, secondo il contesto, una moltitudine di soldati35. Tacito evidentemente intende rendere nell’intero passo il senso materiale dell’occupazione manu militari delle aree della vita civile e religiosa, ciò che avviene anche con l’impiego del sostantivo plurale cunei36. Il fatto che, a stretto rigor di termini, le coorti pretorie non potessero avere formazioni qualificabili come cunei o, ancora, il fatto che normalmente globus non sia impiegato per identificare un’unità pretoriana37, non mi sembra così rilevante. Infatti, nell’economia del racconto tacitiano i due termini non hanno evidentemente lo scopo di descrivere minuziosamente e precisamente le unità delle coorti pretorie. Il loro impiego si giustifica piuttosto per due motivi: essi non solo sono collegati anche a contesti militari ma valgono inoltre a rendere quasi plasticamente la fisicità della presenza militare. Anche per questo non ritengo che i togati possano essere identificati con ipotetici sostenitori di Nerone. Inoltre, la Bingham non formula ipotesi su chi potessero essere questi sostenitori. A volerne azzardare una, invece, si potrebbe quantomeno pensare agli Augustiani, ma pur essendo costoro qualificati 35

Thesaurus linguae Latinae, VI, 2, s.v. globus, -ī, II, A, 1, col. 2055. 36

Circa la possibile valenza militare del sostantivo cuneus e la sua prossimità, in tal caso, a globus, vd. Thesaurus linguae Latinae, IV, s.v. cuneus, -ī, II, B, 1, coll. 1404-1406. Il sostantivo non allude ancora, ovviamente, al cuneus inteso come vera e propria unità tattica dell’esercito, sovente formata da cavalieri. La denominazione ufficiale di certi reparti quali cunei è infatti molto più tarda e sarà impiegata per indicare unità di barbari integrate nell’esercito romano o comunque unità ordinate ‘alla germanica’: vd. per tutti già De Ruggiero 1910, pp. 1318-1319, con ampia citazione, in traduzione italiana, dal Mommsen. Cuneus ha quindi qui una valenza militare senza tuttavia indicare certamente un preciso tipo di unità ed infatti quelli menzionati in Tacito sono comunque espressamente cunei militares. 37

In proposito occorre tuttavia considerare la genericità del termine globus. Un ulteriore riferimento a globi di pretoriani è però forse in Tacito, Annales, XIV, 61, 1, in cui, durante il principato neroniano, militum globi verberibus et intento ferro vengono inviati a respingere la folla che, manifestando a favore di Ottavia e contro Poppea, aveva invaso il Palatium. Vd. Tacito, Annales, XIV, 61, 1.

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come soldati da Cassio Dione, ciò si direbbe essere collegato piuttosto alla loro organizzazione che al fatto di portare armi, del resto quantomeno controverso38. Personalmente, comunque, sono propenso a ritenere che l’impiego dei togati attestato per il 66 d.C. sia collegato alle sole misure eccezionali assunte in occasione del processo a Trasea Peto e che da esso non possa desumersi la generalizzata presenza di pretoriani in toga in servizio a Roma né più in generale presso il senato o il Campidoglio. Quanto ad un ipotetico servizio presso il senato, esso non solo non è provato, ma è anzi implicitamente negato dalla eccezionalità delle notizie di pretoriani presenti presso o nella curia, sempre avvertita come un fatto decisamente inusuale e non positivo39. Quanto poi alla guardia presso il Campidoglio menzionata da Rankov in relazione ad Annales XVI, 27, non la comprendo dal momento che durante il processo a Trasea Peto il senato si riunì forse nella curia Iulia, cioè nel Foro repubblicano ai confini con il foro di Cesare, ma, pare, comunque non sul Campidoglio40. Anzi, riconoscendo nella curia Iulia il luogo dello svolgimento del processo, si chiarirebbe anche meglio la ratio del dispiegamento del dispositivo militare descritto da Tacito41. Non mi sembra vi siano quindi motivi per affermare con sicurezza la

presenza di pretoriani togati presso il Campidoglio. Per quanto riguarda invece Historiae I, 38, 2, non credo verosimile che la cohors togata sia frutto soltanto di un espediente retorico di Otone. Per sostenere questo la Bingham argomenta che qualificare come togati i pretoriani di servizio al palazzo imperiale sarebbe valso ad equipararli a dei civili inoffensivi per i militi che egli arringava e che cercava di spronare all’azione42. La Bingham tuttavia sembra trascurare il fatto che Otone stia parlando ai castra praetoria e proprio davanti ad una folla composta in massima parte da pretoriani dei gradi più bassi43, cioè da commilitones dei militi della cohors togata: perché allora egli avrebbe voluto denigrare i militi di guardia al palazzo imperiale? A tutto voler concedere, Otone stava piuttosto evidenziando la circostanza come la coorte di guardia al palazzo fosse una sola, appunto una cohors togata, a fronte di tutti gli uomini, pretoriani e non, che lo stavano ascoltando e che inoltre gli avevano appena prestato giuramento. Anche questa sfumatura, tuttavia, non deve essere sovrastimata, perché nel suo discorso Otone si dice certo dell’appoggio di quella una cohors togata e dunque non tanto gli interessa istituire un paragone numerico o qualitativo tra di essa e le sue forze, quanto piuttosto fare capire a queste ultime che l’unità di guardia a Galba è in realtà già dalla sua parte44. Ciò stante, viene conseguentemente

38

Sugli Augustiani, vd. Tacito, Annales, XIV, 15, 5; Svetonio, Nero, 20 e 25, nonché Cassio Dione, LX, 20, 3-5. Ramsay 1909, p. 333, nt. 2 identificava i togati, come “civilians” e richiamava in proposito l’impiego, nel 63 a.C., da parte di M. Tullio Cicerone, di giovani sostenitori armati: vd. in proposito Liberati-Silverio 2010, pp. 71-75. Credo tuttavia che i togati possano essere tranquillamente qualificati come pretoriani anche sulla base di Tacito, Annales, XVI, 29, 1, in cui il senato è colto da novus et altior pavor nel vedere manus et tela militum: v’è qui infatti menzione solo di milites. 39

Cfr. supra nt. 8 per un esempio.

40

Circa l’impiego della curia Iulia come luogo di riunione del senato anche in occasione del processo a Trasea Peto, vd. ad esempio Valmaggi 1906, pp. 487-488, Furneaux 1907, p. 462, ntt. 2 e 4 e Furneaux-Pitman 2011, p. 142. Da parte di alcuni è stato anche sostenuto che il senato in quell’occasione si riunisse nella aedes o templum Veneris Genetricis: vd. Jackson 1937, p. 376, nt. 3. Cauto, ma riportando la tesi di H. Furneaux, è Ramsay 1909, p. 333, nt. 1. Sulla curia Iulia vd., anche per i suoi legami spaziali ed ideologici con il foro di Cesare, ove si trovava il tempio di Venere, Tortorici 1993. 41

Cfr. supra ntt. 7 e 40.

42

Secondo Bingham 2013, p. 78 si sarebbe trattato di “his own praetorians”, ma accanto ai pretoriani erano, non solo ai castra praetoria ma anche altrove, militi di diverse unità e l’intera legio classica: vd. Tacito, Historiae, I, 27, 2; I, 31, 2-3; I, 36, 3; I, 37, 3; I, 38, 3.

43 Da Tacito, Historiae, I, 36, 1 sappiamo che i militi semplici, gregarius miles, tennero lontani da Otone i loro praepositi, cioè tribuni e centurioni. Questi in realtà, nella situazione di incertezza che si era determinata, avevano già deciso di anteporre praesentia dubiis et honestis. È prima di tutti il caso di Giulio Marziale, il tribuno che comandava la guardia dei castra praetoria, la statio in castris, che, non sapendo bene cosa fare “diede a molti sospetto di complicità”. Si determinò così un habitus animorum tale che pessimum facinus auderent pauci, plures vellent, omnes paterentur: vd. Tacito, Historiae, I, 28. 44 Il che forse sarà stata, questa sì, almeno in parte un’esagerazione. Rispetto alla decisa affermazione di Otone, il susseguirsi degli eventi, nello stesso racconto tacitiano, appare molto più fluido ed a tratti caotico. Esso presenta i pretoriani addetti alla difesa non solo di Galba, ma anche di

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Cohortes praetoriae e cohors togata: a proposito di tesi vecchie e nuove

meno la correlazione tra Historiae I, 38, 2 e II, 21, 4 invocata dalla Bingham a sostegno della propria tesi45. Anche il generale punto di vista di Tacito, ricordato dalla studiosa, sembra allora incidere ben poco sui contenuti del discorso di Otone. Quanto alla scarsa praticità della toga quale argomento contrario al suo utilizzo da parte dei pretoriani, occorre avanzare alcune considerazioni. Anzitutto tale osservazione è proposta con riguardo ad Historiae I, 38, 2 e non ad Annales XVI, 27, 1 ove pure sarebbe stato più logico attenderla, dal momento che nel 66 d.C. i togati erano impegnati in una situazione maggiormente ‘dinamica’ rispetto alla guardia al palazzo imperiale. Il fatto è che in occasione del processo a Trasea Peto l’impiego di armati in toga è innegabilmente documentato e ciò già di per sé mina qualsiasi ipotesi contraria all’uso di quell’abbigliamento in ragione della sua scomodità. Tuttavia, per quanto riguarda nello specifico il servizio di guardia al palazzo imperiale, occorre considerare un particolare che non mi pare essere stato valutato dalla Bingham. Si tratta della circostanza, attestata in molti casi, della esecuzione di perquisizioni personali a chi dovesse essere ammesso alla presenza del principe46. È evidente come tale prassi diminuisse i fattori di pericolo e che dunque i pretoriani togati più vicini al principe potessero anche ‘azzardare’ l’uso della tipica veste romana senza in linea di principio mettere in pericolo la gestione della sicurezza. Ci sarebbe in realtà da domandarsi se tutta la coorte di servizio al palazzo imperiale indossasse la toga o se invece Pisone come dapprincipio incerti, e solo in seguito decisi al tradimento seppur con significative eccezioni: vd. Tacito, Historiae, I, 31, 1 e cfr. I, 36, 1 e I, 43, 1. Del resto non è priva di peso la circostanza che agenti di Otone, allo scopo di fare uscire Galba dal palazzo imperiale, spargessero la voce della morte di Otone stesso, poiché ciò non sarebbe stato necessario se la fedeltà della cohors togata fosse stata certa ed indiscutibile sino dal principio: vd. Tacito Historiae, I, 34, 2. Non bisogna comunque sottostimare l’opera di influenza e controinformazione degli speculatores, che si direbbero interamente dalla parte di Otone: cfr. Liberati-Silverio 2010, pp. 93-96. 45

Bingham 2013, p. 186, nt. 209. In Historiae II, 21, 4 Tacito imputa ai soldati di Vitellio espressioni molto dure a proposito delle qualità militari delle stesse coorti pretorie. 46

Un elenco di casi ed una rapida discussione delle relative fonti in Liberati-Silverio 2010, p. 123, nt. 351.

180

questo uso non fosse riservato ai soli militi più vicini al principe. Il problema è evidentemente collegato alla tesi, richiamata tra gli ultimi da Fuhrmann, benché in modo quantomeno piuttosto tortuoso e, credo, errato47, dell’impiego della veste civile quale segno del recupero di tradizioni repubblicane collegate al rispetto del pomerium48. Non credo che tale tesi sia del tutto condivisibile e su ciò tornerò tra poco. Quanto al passo di Marziale, il suo richiamo quale fonte relativa all’uso della toga da parte dei militi delle coorti pretorie mi sembra decisamente improprio e frutto di un fraintendimento. Infatti nel testo di Marziale a portare la toga non sono né Cornelio Fusco né i militi pretoriani, ma il principe, che in quanto Mars togatus riunisce in sé tutte le virtù militari e civili49. Quanto poi al passo di Epitteto ha comunque senz’altro ragione la Bingham nel ritenere che esso non possa essere addotto come prova dell’impiego della toga da pare dei pretoriani in servizio a Roma e ciò soprattutto perché dal contesto del passo è evidente che il milite sta agendo come una spia e che proprio per questa ragione il suo è un abbigliamento comunque non militare. In ogni

47

Cfr. supra nt. 20 ed infra nel testo circa la validità della tesi che ricollega l’uso della toga al rispetto quantomeno formale del pomerium. Fuhrmann, inoltre, pur ragionando a partire dalla circostanza come la “deeply esconced republican tradition” impedisse la stabile presenza di militi a Roma, sembra far dipendere da una modificazione augustea di tale tradizione la circostanza che “most praetorians were not in the city but scattered around its environs, armed with swords but wearing civilian cloathing”: il che è francamente poco comprensibile e comunque non mi pare trovi conferma nelle fonti. Vd. Fuhrmann 2012, p. 115 e cfr. infra nel testo. 48

Vd. ad esempio Gellio, Noctes Atticae, XV, 27, 5 circa la contrarietà allo ius che exercitum intra urbem imperari. Sul complesso concetto di pomerium rinvio tuttavia ora a Sini 2011-2012, con ampia discussione di fonti e letteratura, ed ivi in particolare al paragrafo 2. 49

Vd. Izaac 1930, p. 200, nt. 4. “L’empereur en sa double qualité de chef d’État et de chef de guerre”. Vd. anche Ker 1947, p. 406, nt. 4: “i.e. of the Emperor as warrior and statesman”. Erra dunque anche Bingham 2013, p. 79 quando, pur giustamente negando che la nostra fonte sia una prova dell’uso della toga da parte dei pretoriani, mostra tuttavia di leggere il passo di Marziale nel senso che fosse il prefetto Fusco a vestire la toga: cfr. anche supra nel testo e nt. 29.

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caso, come mostra di intendere la studiosa50, la fonte non consente di ritenere che la spia vestisse la toga, dal momento che peraltro essa menziona genericamente abiti civili. A questo particolare proposito, contrariamente a quanto ritenuto dalla Bingham, non mi sentirei tuttavia di escludere che una ‘spia’ potesse vestire anche in toga e ciò pure nel II sec. d.C.51: evidentemente la scelta del camuffamento sarà stata imposta dalle circostanze di tempo e luogo in cui la spia si trovava ad operare. Chiarito questo, si ricorderà come alcuni degli studiosi che si sono occupati della nostra materia, generalizzando l’impiego della toga da parte dei pretoriani all’intera città di Roma, hanno ipotizzato o ritenuto di poter vedere in ciò un residuo degli scrupoli religiosi collegati alla nozione di pomerium52. Tale tesi, anche a prescindere dalle sue varie sfumature, non mi pare colga nel segno. In primo luogo faccio rilevare come le attestazioni di pretoriani in toga siano relative agli anni 66 e 69 d.C. e come invece si parli genericamente di un’osservanza almeno formale del pomerium in termini cronologicamente poco chiari e tali da mescolare in modo confusamente sincronico l’intero periodo del principato sino dall’età di Augusto che, evidentemente, avrebbe introdotto l’uso della toga per i pretoriani. Tuttavia già Durry aveva rilevato il reale venir meno del limite del pomerium rispetto al mantenimento di armati nell’Urbe sino proprio dall’età di Augusto e quale esito naturale di un processo avviatosi con le guerre civili tra Mario e Silla. Ritenere quindi come la circostanza, peraltro non attestata nella sua generalità, che i pretoriani a Roma indossassero la toga sia da collegarsi al rispetto 50

Bingham 2013, pp. 79 e 186, nt. 213.

51

Circa questa datazione vd. le osservazioni supra ntt. 13 e 31. 52 Vd. ad es. Lintott 1968, p. 90, nt. 2, ID., 1999, p. 90, nt. 2 e Fuhrmann 2012, p. 115. La tesi è comunque abbastanza risalente: vd. ad es. Panckoucke 1830, p. 361, secondo cui “La cohorte même de la garde de l’empereur était vêtue de la toge et non du sagum, par un reste de l’ancien usage qui ne permettant pas d’être en armes ou en habit militaire à Rome, au milieu des citoyens désarmés”. Parla invece soltanto di “concession to the sensitivities of the Roman public” Rankov 1994, p. 31.

del pomerium, significa rischiare di sovrastimare un dato particolare e sostanzialmente incerto, dimenticando oltretutto di valutare che in Roma esistevano anche le cohortes urbanae, i Germani corporis custodes e altre unità militari, o in principio solo paramilitari come le cohortes vigilum, che di certo non indossavano la toga. Che senso avrebbe avuto allora che i soli pretoriani indossassero la toga in ossequio all’antica tradizione repubblicana mentre attorno a loro si muovevano i diversi corpi militari del nuovo principato? Nessuno, credo. Concludendo, ritengo si possa tranquillamente escludere un impiego generalizzato della toga a Roma da parte dei pretoriani e che sia da respingere la tesi di Fuhrmann secondo cui “most praetorians were not in the city but scattered around its environs, armed with swords but wearing civilian clothing”53: del resto non mi pare che alcuna fonte possa essere validamente invocata a sostenere tale tesi. Credo invece che, come più o meno implicitamente sostenuto da molti ed in particolare tra gli ultimi da B. Rankov, e come pure sembra essere stato incline a ritenere lo stesso M. Durry, possa essere generalizzata la notizia dell’uso della toga nel servizio presso il palazzo imperiale54. Ciò appare essere verosimile anche sulla base di esempi futuri che attestano l’impiego di un costume particolare nei servizi ravvicinati presso l’imperatore, come nel caso dei candidati delle scholae palatinae, per i quali il diverso abbigliamento corrisponderà addirittura all’appartenenza ad uno specifico reparto costituito però sempre all’interno delle scholae, anzi in particolare della sesta schola55. È poi solo ipotizzabile ma, credo, verosimile, che la toga fosse indossata unicamente da parte di coloro che si fossero trovati maggiormente a contatto con gli ambienti più frequentati dal principe. Il resto della coorte di guardia avrà indossato l’abito militare e l’appellativo, verosimilmente informale, di cohors

53

Fuhrmann 2012, p. 115.

54

Cfr. supra ntt. 13 e 14.

55

Sui candidati ed il loro costume vd. Frank 1969, pp. 127142 e Ravegnani 1988, pp. 42, 82, 97-98 e 110 nt. 116, con ampi riferimenti a fonti e bibliografia.

181

Cohortes praetoriae e cohors togata: a proposito di tesi vecchie e nuove

togata sarà stato meritato dalla coorte di volta in volta di guardia per il solo fatto che i componenti di essa maggiormente vicini al principe usassero la tipica veste romana. Quanto poi alla tenuta indossata dai pretoriani in servizio in altri luoghi di Roma non mi pare che vi siano ragioni per escludere che potesse trattarsi di quella che Durry chiamava ‘piccola tenuta’, composta dalla tunica, dal sagum o dalla paenula e completata da pugio e gladium assicurato al cingulum56. È infine poi senz’altro possibile che l’uso di mantenere un gruppo di pretoriani in toga per la sicurezza ravvicinata del principe sia stato introdotto da Augusto stesso e che anzi esso sia più precisamente da collocarsi all’interno della sua politica di restaurazione dei costumi aviti: “Augusto si adoperò affinché la toga tornasse ad essere per i Romani il simbolo del civis e della moralità e ricordasse a chi la indossava il proprio rango sociale”57. Certo, un pretoriano in toga ed occulto gladio strideva non poco con la tradizione repubblicana, ma non si tratta che di una sfaccettatura della più generale ‘restaurazione’ augustea.

Elenco delle Abbreviazioni Athenaeum = Athenaeum. Studi di Letteratura e Storia dell’Antichità BEFAR = Biliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome CIL = Corpus Inscriptionum Latinarum D@S = Diritto @ Storia. Rivista Internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana DizEp = Dizionario epigrafico di antichità romane EI = Enciclopedia Italiana LTUR = Lexicon Topographicum Urbis Romae PIR2 = Prosopographia Imperii Romani, editio altera PMAAR = Papers and Monographs of the American Academy in Rome RBPh = Revue Belge de Philologie et d’Histoire = Belgisch Tijdschrift voor Filologie en Geschiedenis. DRA = Diritto Romano Attuale. Storia, metodo, cultura nella scienza giuridica. RFIC = Rivista di Filologia e d’Istruzione Classica

56

Durry 1938, pp. 208-212. Vd. per questi capi di abbigliamento Sette 2000, pp. 34-35, 37-43 e 61-63.

Abbreviazioni bibliografiche

57

Così Sette 2000, p. 31. Non può essere comunque del tutto escluso che esistesse un modello di toga creato appositamente per i praetoriani e tale da conciliare il rigore della veste tradizionale con le esigenze del servizio di sicurezza disimpegnato dai militi che la indossavano. Del resto siamo a conoscenza di altri casi in cui particolari dell’equipaggiamento militare furono in qualche modo, che non conosciamo con precisione, modificati per venire incontro a particolari esigenze di talune categorie di militi: è il caso delle caligae e delle caligae speculatoriae, per le quali vd. ancora Sette 2000, p. 69.

182

Antonielli 1935 = U. Antonielli, s.v. Pretoriani, in “EI”, XXVIII, 1935, pp. 223-224. Amelung 1903 = W. Amelung, Die Sculpturen des Vaticanischen Museums, band I text, Berlin 1903.

Bollettino Unione Storia ed Arte n. 8 / 2013

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de

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