Commiato a Favia De Vitt

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Andrea Tilatti Un saluto a Flavia Maria De Vitt Letto nel Consiglio del Dipartimento di Studi Umanistici e del Patrimonio Culturale del 5 ottobre 2016.

Alla fine di questo mese d’ottobre del 2016, Flavia Maria De Vitt girerà una pagina della propria esperienza lavorativa ed esistenziale, come altri colleghi di questo Dipartimento. Non si tratta di un momento tragico (forse chi rimane se la passerà peggio), ma è – immagino – un momento di transito, pratico e psicologico, importante, sebbene non segni, come normalmente accade nelle consuetudini universitarie, un netto e immediato distacco con le attività, i riti e le frequentazioni del nostro mestiere. Chi di noi conosce a fondo Flavia De Vitt? Sicuramente qui ci sono numerose persone che hanno intrattenuto e intrattengono rapporti di amicizia e di collaborazione con Flavia, che è sempre cortese, gentile e umanamente disponibile. Ma la domanda aveva lo scopo di sottolineare un tratto di carattere che a me sembra fondamentale, e che a mio avviso si coglie anche nella personalità della studiosa: quello della riservatezza e della discrezione. Ho provato a cercare informazioni sulla biografia di Flavia. Forse non ho cercato bene, ma non le ho trovate, che non fossero le sue stesse opere. Anzi, colgo l’occasione per invitare il nostro Direttore a rimproverare la collega per non aver inserito il proprio CV nella pagina personale... Al di là delle battute, volevo dire che per tentare di tracciare un ritratto di Flavia mi sono dovuto affidare a intuizioni personali, più che a dati espliciti. Mi scuso innanzi tutto con lei, per le mie imprecisioni che ne deriveranno. Proveniente da studi classici, svolti a Udine, ha intrapreso la sua prima formazione universitaria a Trieste, e successivamente ha conseguito il diploma di specializzazione a Padova e il titolo di dottore di ricerca i Storia della Società Europea a Venezia. Ha avuto un’esperienza di insegnamento nella scuola secondaria, prima di vincere un concorso da ricercatore nella nostra Università, nel 1993, dove è diventata professore associato di Storia medievale nel 2005. Non menziono gli insegnamenti e i corsi di laurea, né la quantità di didattica e di tesi di laurea che ha seguito come relatrice. Mi premeva sopra tutto delineare un percorso di formazione che si è svolto da Udine a Trieste, da Padova a Venezia, per tornare a Udine e al Friuli, dove ha ricevuto numerosi riconoscimenti, entrando a far parte della Deputazione di Storia Patria per il Friuli, dell’Accademia e dell’Istituto Pio Paschini di Udine, dell’Istituto di storia sociale di Gorizia. È anche socia della Societas veneta di storia ecclesiastica di Padova.

Il primo articolo di cui abbia trovato traccia risale al 1977 (La signoria dei Della Torre a Tùrbigo) e apparve in una sede inusuale per uno storico friulano: il «Bollettino storico bibliografico subalpino». Suppongo si trattasse di un esito della tesi di laurea, però la storia della famiglia torriana – di origine lombarda, ma radicata profondamente in Friuli – restò uno degli interessi ricorrenti di Flavia, che poi si indirizzò verso alcuni temi che non ha più abbandonato: la storia della Chiesa in Friuli, in particolare delle pievi e delle parrocchie, ma anche del clero e dei fedeli, nelle loro associazioni confraternali, o nelle loro espressioni di vita famigliare o di pietà individuale, con i loro testamenti, i loro pellegrinaggi, le loro ritualità e conflittualità... Il tutto, si direbbe, con una predilezione per la linea geografica e altimetrica al di sopra delle nebbie della pianura e della bassa, e un preponderante interesse per la fascia collinare, pedemontana e della montagna friulana. Di questa propensione rimane testimonianza in alcuni approfondimenti relativi alle chiese della Carnia, all’abbazia di Moggio, alle pievi di Tarcento, di Rive d’Arcano, di Illegio, di Santa Margherita del Gruagno, alle chiese di Tolmezzo, di Pagnacco, di Udine, ma sopra tutto a quelle di Gemona, con qualche breve sconfinamento al di là del Tagliamento, nella diocesi di Concordia. Il primo lavoro di una certa consistenza di Flavia fu la monografia intitolata Pievi e parrocchie della Carnia nel Tardo medioevo, uscita nel 1983, come primo (e unico) volume di una collana della Società Filologica Friulana, la “Biblioteca di studi storici” diretta allora da Amelio Tagliaferri, che definì l’autrice «una giovane promessa della storiografia friulana». La prefazione fu firmata da Carlo Guido Mor e – ciò che più conta – nella sua introduzione Flavia volle ringraziare alcune persone. Innanzi tutto, Paolo Sambin, «a cui – scrive – devo non solo l’idea iniziale, i numerosi suggerimenti e la lettura del mio studio nelle sue diverse elaborazioni, ma anche l’incoraggiamento, la stima, l’amicizia che mi hanno sostenuta». Vengono poi, in quest’ordine, altri riconoscimenti: Luigi De Biasio, Carlo Guido Mor, Paolo Cammarosano, Gian Carlo Menis, Antonio Rigon. Paolo Cammarosano è stato il maestro triestino, che offrì nel 1988 a Flavia la possibilità di contribuire con un lungo saggio sulla chiesa bassomedioevale friulana (Vita della chiesa nel tardo medioevo) a un volume sul medioevo, edito da Casamassima, che integra ancora con efficacia le opere di Pio Paschini e di Pier Silverio Leicht. In lui [Cammarosano] deve riconoscersi l’interesse, presto accantonato, per fenomeni storici e storiografici come la signoria e le sue incarnazioni nei grandi lignaggi. Carlo Guido Mor, Gian Carlo Menis e Luigi De Biasio rappresentavano, con modi diversi e diversa solidità, l’affezione al Friuli, visto sotto il profilo peculiare dell’istituzione patriarcale, ma declinato in Flavia con una visuale “dal basso”, dalle

istituzioni di base. Ma tra tutti i nomi citati prima, credo, quello di Paolo Sambin è quello più significativo. Esso ricorre tra i ringraziamenti anche della seconda monografia di rilievo di Flavia De Vitt (Istituzioni ecclesiastiche e vita quotidiana nel Friuli medioevale, Venezia, Deputazione editrice, 1990), che fu lo sviluppo editoriale della tesi di dottorato di ricerca. Chi abbia conosciuto il maestro padovano, o ne abbia apprezzato la storiografia e la scuola, sa che il suo insegnamento si nutriva innanzi tutto di amore per la paziente, rigorosa e positiva ricerca d’archivio; una ricerca attenta alla lettura puntigliosa delle fonti, sempre rispettosa dei contenuti e dei fatti da esse tramandati, ma anche arricchita da una calda ed empatica sensibilità per le persone, il loro vissuto, la loro fisionomia, così come potevano emergere dalle testimonianze. Questo insegnamento Flavia ha certamente appreso e a esso è rimasta fedele nel corso dei decenni. I suoi articoli e i suoi libri sono costruiti su una robusta intelaiatura di letture, ma poggiano sopra tutto su una fittissima rete di rimandi archivistici, i quali guidano costantemente la narrazione. Penso a opere come l’edizione del primo registro dei battesimi della pieve di Gemona, il più antico sinora conosciuto (Il registro battesimale di Gemona del Friuli, 1379-1404, Udine 2000), o all’edizione del registro di imbreviature del notaio Maffeo d’Aquileia (I registri del notaio Maffeo d’Aquileia, 1331 e 1332, Roma 2007), o alla più recente monografia Famiglie del medioevo. Storie di vita in Friuli (secoli XIV-XV), Udine 2011. Non posso ora menzionare tutti gli studi, le voci di dizionario, le recensioni che testimoniano la laboriosità scientifica di Flavia. Posso però individuare in tutti i suoi lavori una coerenza di temi e di interpretazioni e una solidità di metodo, che da una parte trovano le loro origini nell’insegnamento dei maestri e dall’altra si attagliano a una personalità sobria e composta, anche se non estranea alla passione e all’entusiasmo per la ricerca e per la conoscenza. Si tratta di opere che nonostante il trascorrere del tempo restano utili e che non è possibile evitare o ignorare, per chiunque si occupi di storia del Friuli nel medioevo. Credo sia la miglior conferma della loro bontà e del valore di studiosa di Flavia. Sono certo che, libera dai doveri accademici, saprà offrirci in futuro molte altre perle di conoscenza storica. In fondo, il nostro – scusami, Flavia, se mi accosto a te – è un mestiere per il quale possiamo essere quasi sicuri di non aver ancora mai dato il meglio di noi stessi. Cara Flavia, ti auguro davvero di cuore, e te lo domando, di non smettere mai di raccontarci un’altra storia.

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