Competenze senza cultura

May 26, 2017 | Autor: Benedetto Vertecchi | Categoria: Educational Research, Educational evaluation, Politics Of Education, Theory of Education
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Competenze senza cultura

Sono trascorsi una cinquantina d’anni da quando le valutazioni comparative si sono affermate come un riferimento centrale nel dibattito internazionale sull’educazione. Se, per certi versi, è scontato che le scelte iniziali, sul piano teorico come su quello procedurale, abbiano avuto un’evoluzione, sotto altri aspetti i cambiamenti intervenuti sono stati tali da rendere arduo stabilire una continuità tra l’ambito dei problemi dai quali le valutazioni comparative hanno preso le mosse e quello che ne distingue le pratiche che nel tempo si sono affermate. Solo apparentemente quella che stiamo segnalando è una questione che attiene al campo specifico della ricerca valutativa: se appena si riflette sulla diversità degli intenti perseguiti, prioritariamente educativi agli inizi ed essenzialmente legati oggi ai processi di globalizzazione del mercato, ci si rende conto che quella intervenuta è una mutazione che altera radicalmente l’interpretazione del ruolo delle istituzioni cui spetta di provvedere all’educazione formale della popolazione. Occorre ormai chiedersi se quelle che si presentano come valutazioni comparative siano effettivamente tali, o se non abbiano finito con l’assumere un ruolo strumentale a sostegno di concezioni ideologiche EDUCAZIONE. Giornale di pedagogia critica, V, 2 (2016), pp. 1-6. ISSN 2280-7837 © 2016 Editoriale Anicia, Roma, Italia. DOI: 10.14668/Educaz_5201

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dello sviluppo sociale. Nel quadro che stiamo ipotizzando, i processi educativi che si richiamano al canone culturale della tradizione europea occupano una posizione secondaria che, sotto molti aspetti, può persino essere considerata di disturbo. Lo stesso può dirsi se si prendono in considerazione altre tradizioni, perché in ogni caso richiederebbero attenzione per espressioni delle culture locali, entrando in conflitto con gli interessi del mercato globalizzato. I modi in cui si esprimono giudizi valutativi, dal punto di vista teorico come da quello procedurale, sono rivelatori del rapporto, talvolta esplicito e più spesso implicito, che collega l’educazione alla vita sociale. È un rapporto che ha acquistato rilevanza crescente con l’estendersi delle quote di popolazione coinvolte in pratiche di educazione formale. La valutazione ha offerto ai sistemi scolastici in espansione il dispositivo di moderazione occorrente per distribuire nel tempo l’accesso di nuove quote di allievi. Del resto, l’esigenza di valutare gli allievi ha incominciato a essere avvertita nel corso del XIX secolo, a misura del crescere del numero delle quote di popolazione ammesse a fruire di educazione scolastica. È esemplare il caso del contrasto che fra gli anni ’30 e quelli ’40 dell’Ottocento vide schierate su fronti opposti le famiglie e le scuole dello Stato del Massachusetts: le prime lamentavano che gli apprendimenti conseguiti dagli allievi fossero di livello scadente, mentre le scuole sostenevano il contrario. Horace Mann, che ricopriva la carica di Segretario dello State Board of Education, propose di risolvere la contesa svolgendo quella che a buon diritto può essere considerata la prima ricerca valutativa centrata su procedure esplicite e sul ricorso a uno strumentario capace di limitare le variazioni soggettive nella rilevazione dei dati: fu definito un questionario composto di 154 do2

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mande, alle quali fosse possibile rispondere in modo univoco. Le domande riguardavano la storia, l’aritmetica, la geografia, il lessico, la grammatica, le scienze, l’astronomia. Fu chiesto di rispondere al questionario a 530 allievi sui 7526 che frequentavano le Boston Public Schools. La loro età media era di 13 anni e sei mesi. Non abbiamo difficoltà a comprendere i criteri della rilevazione promossa da H. Mann perché, nonostante sia stata effettuata quasi due secoli fa e coinvolgesse un numero di allievi che allora sembrava enorme e oggi sarebbe considerato irrilevante, ha riguardato aspetti di una cultura cui conferiva solidità la condivisione del canone della cultura di tradizione europea. Il grande sviluppo della scolarizzazione che ha caratterizzato la storia sociale dei paesi occidentali nell’Ottocento e nel Novecento era animato dalla capacità di attrazione di quel canone e dalla sua capacità di permeare i profili delle popolazioni pur conservandosi le differenze prodotte da fattori locali. Nella seconda metà del Novecento, e con un’accelerazione alla fine del secolo, nella maggior parte dei paesi occidentali l’assorbimento nel sistema scolastico di quote di popolazione che in precedenza ne erano state escluse poteva considerarsi se non concluso, certamente molto avanzato. La nuova condizione che si era determinata nella cultura diffusa avrebbe potuto rappresentare il definitivo superamento del privilegio di status che da sempre si collegava con la condivisione del canone se al raggiungimento della piena scolarizzazione fosse corrisposta una sua trasformazione tesa ad accrescerne la qualità. Il perseguimento di un simile traguardo comportava una sostanziale revisione della funzione valutativa. Da dispositivo di moderazione, l’espressione di giudizi doveva diventare il sostegno conoscitivo per l’assunzione di decisioni tese al conse3

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guimento di una qualità diffusa: in altre parole, la condizione per una sempre più ampia condivisione del canone. L’avvio di ricerche comparative si collocava in quel punto di svolta dal quale sarebbe potuta derivare una nuova concezione dello sviluppo educativo. Il programma di attività originariamente definito dall’International Association for the Evaluation of Educational Achievement (Iea), la cui espressione più significativa fu la rilevazione Six Subjects svolta agli inizi degli anni ‘70, andava in tale direzione. La comparazione dei livelli di apprendimento, in parallelo con quella dei criteri di funzionamento delle scuole, portava a evidenziare i punti di forza e quelli di debolezza dei singoli sistemi scolastici. L’assunzione di decisioni, sul piano politico come su quello del funzionamento del sistema e delle pratiche didattiche poteva giovarsi dei riferimenti posti a disposizione dal confronto dei dati rilevati nei singoli paesi. Col senno di poi è difficile negare che gli iniziatori delle valutazioni comparative dei sistemi scolastici si siano lasciati trascinare da un entusiasmo progettuale che investiva non il solo campo dell’educazione, ma insieme quello politico, sociale ed economico. Perseguire quella che potremmo definire la democratizzazione del canone significava dare spazio a un rimescolamento dei rapporti sociali definitivamente sottratto alle forme prudenziali di cooptazione o al gradualismo dell’ascesa collegata al livello raggiunto nel sistema d’istruzione. Ancora una volta, si è visto nella valutazione il modo per interrompere una dinamica che, se trascinata dal piano della semplice espansione quantitativa a quello della crescita qualitativa dei profili della popolazione, avrebbe comportato un nuovo e più insidioso conflitto, quello consistente nell’opporre la democratizzazione del canone alle nuove oligarchie di potere centrate sull’affermazione di un mercato globa4

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le. Negli anni, è venuto precisandosi un disegno neoconservatore, consistente nella progressiva erosione del canone accompagnata dall’affermazione di una cultura organizzativa capace di sostituire la logica dei tempi lunghi sulla quale si era fondato lo sviluppo storico dell’educazione. L’erosione del canone presentava una rilevante continuità con l’ideologia del mercato globale: comportava, infatti, l’eliminazione delle differenze che potevano dar luogo all’arroccamento su aspetti delle culture locali considerati per la loro funzione identitaria. Un primo passo è stato il sovvertimento nelle interpretazioni degli studi comparativi. Non si trattava più di incrementare lo spazio per l’assunzione di decisioni volte al miglioramento dell’educazione formale, ma di sollecitare la competizione internazionale fra i sistemi scolastici, volta a far emergere la coerenza dei profili delle popolazioni con le esigenze di sviluppo delle economie globalizzate. Tali esigenze non riguardano solo, come talvolta si vuol fare intendere, l’acquisizione di apprendimenti utilizzabili nel breve periodo per le attività produttive, ma anche, e soprattutto, il trasferimento diffuso dell’abito del consumatore. È quest’ultimo che si risolve in vantaggio in un orizzonte globalizzato: occorre nel nuovo quadro eliminare tutto ciò che genera differenza, a cominciare da quegli aspetti della cultura che si manifestano in modo prevalente attraverso il linguaggio, come la letteratura, la storia, le molte espressioni del pensiero. È stata elaborata, a livello globalizzato, una cultura sostitutiva la cui affermazione suppone la presenza attenuata nei profili colti degli elementi di cultura locale, e dello stesso canone occidentale, ridotto a espressione regionale nell’universo globalizzato. Le valutazioni comparative hanno progressivamente sostituito l’attenzione nei con5

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fronti di apprendimenti riconducibili al canone occidentale con quella volta a stabilire il livello di possesso di un certo numero di competenze, come la capacità di comprensione del testo scritto o di operare in ambito matematico. Quel che i profeti improvvisati della pedagogia della globalizzazione non hanno considerato è che possiamo far riferimento alle competenze solo in presenza di un canone di qualche consistenza, che sostenga i processi culturali e consenta di raccogliere, in termini di competenza, gli effetti di esperienze protratte nel tempo. Siamo al paradosso: l’insistenza con cui si fa riferimento alle competenze corrisponde proprio al loro rarefarsi nei profili diffusi. Diminuisce l’autonomia nel ricorso alla cultura simbolica, si attenua la memoria, si abbandonano pratiche, come quelle del calcolo (ovviamente non computerizzato), che suppongono un’operatività mentale di qualche impegno. Già nei primi anni di vita si osservano segnali che dovrebbero indurre a una riflessione: i bambini hanno difficoltà a compiere operazioni (come allacciarsi le scarpe o usare le forbici) che richiedono di coordinare le percezioni con le azioni. Si è ancora in tempo per contrapporre un progetto culturale di lungo periodo a una pedagogia del sogno e della suggestione: è necessario però l’impegno comune di quanti avvertono la responsabilità educativa. fm bv

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