Conoscenza, estetica e arte d\'avanguardia

June 13, 2017 | Autor: Elvio Baccarini | Categoria: Aesthetics, Philosophy of Art, Moral Epistemology, Art Cognitivism
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21.1.2016. Versione leggermente modificata di un testo pubblicato in: “La Battana”, 46, 172, 2009, 100-116

Conoscenza, estetica e arte d'avanguardia Elvio Baccarini 1. La filosofia morale e la filosofia dell'arte sono da sempre due dei campi privilegiati della riflessione filosofica. In alcune occasioni si tratta di riflessioni che si intersecano. L'arte ha un significato (positivo o negativo) morale? La dimensione morale ha un ruolo nell'attribuire un giudizio di valore all'arte o a singole opere d'arte? L'arte può aiutarci a sviluppare le nostre conoscenze, in primo luogo quelle morali? Molti sanno dell'avversione di Platone per l'arte. Dall'altro lato c'è una posizione radicale di assoluto entusiasmo filosofico per l'arte. Questa posizione viene chiamata 'utopismo' ed è caratterizzata dall'idea che l'arte in quanto tale è portatrice di progresso, permettendoci di vedere prospettive diverse da quelle determinate dalla nostra contingenza storica e sociale. Una terza posizione, invece, è chiamata autonomismo, in quanto afferma che non esiste alcuna influenza della dimensione morale nella determinazione del valore dell'arte o di singole opere d'arte. Infine, vi sono autori che reputano che non si può stabilire un atteggiamento di principio sul rapporto tra arte e morale. Il rapporto può essere rilevante, ma varia nelle singole opere d'arte.1 In questo testo [...] mi occuperò della [...] questione se l'arte ci possa aiutare a sviluppare le nostre conoscenze, con un riferimento soprattutto a quelle morali. Vi sono varie posizioni che negano questa possibilità. In primo luogo, si dice che l'arte non ha alcuna rilevanza per lo sviluppo della conoscenza in quanto i pensieri che l'arte ci trasmette sono banali e non rappresentano alcuna novità conoscitiva per noi. Pensiamo a un grande

Per un'esposizione più dettagliata di quanto brevemente esposto nella parte introduttiva dell'articolo, vedi: N. Carroll, Art, Narrative, and Moral Understanding, in Levinson, J. (a cura di), Aesthetics and Ethics, Cambridge University Press, Cambridge 1998, 126-160. 1

romanzo come Delitto e castigo. Il romanzo ci trasmette il pensiero che l'omicidio sia un'azione moralmente inaccettabile. Ovviamente, si tratta di un pensiero banale che possedevamo già prima di leggere questo notevole romanzo. In secondo luogo, si dice che l'arte non può fornire conoscenza in quanto la conoscenza deve essere supportata da prove, mentre l'arte non fornisce alcun tipo di prova. Per comprendere questa posizione, pensiamo a qualsiasi affermazione della scienza, o nel corso di procedimenti nei tribunali. In tutte queste situazioni si richiedono sempre delle prove per accogliere delle informazioni. Pensiamo, invece, a un romanzo come Vergogna di Coetzee. L'autore ci fornisce, tra l'altro, una descrizione del Sudafrica dopo l'abolizione del razzismo. La descrizione è, però, non supportata da prove e pertanto non può essere accolta quale conoscenza. Il terzo argomento è simile al secondo e dice che l'arte non possiede argomenti a sostegno delle proprie tesi: nè l'opera d'arte in sé, nè il discorso critico che la circonda si appellano ad argomenti per confermare o confutare quanto è presente in un'opera d'arte. Da ciò si dovrebbe concludere che l'ottenimento di verità non fa parte dei compiti dell'arte. Questo argomento è simile all'argomento precedente, in quanto, come quello precedente negava l'esistenza di prove nell'arte, così questo argomento nega l'esistenza di argomentazioni.2 2. Indicherò, ora, un’argomentazione il cui scopo è quello di indicare come il valore fondamentale dell’arte sia rappresentato proprio dal valore conoscitivo che può offrire. Farò riferimento al filosofo Gordon Graham, che nel suo libro Philosophy of the Arts3 si occupa della questione che riguarda che cosa dia valore all’arte e propone tre risposte: (i) il valore dell’arte deriva dal piacere che ci offre; (ii) dalle emozioni che riesce a trasmetterci; (iii) dalla sua capacità

Per un'esposizione più dettagliata di queste posizioni, vedi: N. Carroll, The Wheel of Virtue. Art, Literature, and Moral Knowledge, "The Journal of Aestethics and Art Criticism", 2002, 3-7. 3 G. Graham, Philosophy of the Arts, London, Routledge, 20002. 2

rappresentativa. Graham rifiuta le prime due ipotesi, mentre offre degli argomenti a favore della terza. Vediamo la discussione della prima ipotesi, quella per cui il valore dell’arte consiste nel piacere che l’arte ci offre. Il più importante rappresentante tra i sostenitori di questa proposa è David Hume. Il piacere che ci deriva da un’opera d’arte dipende dalle nostre sensazioni e non dalle sue qualità intrinseche. Le preferenze estetiche, in questo modo, divengono espressione del gusto di chi percepisce l’opera d’arte. Dobbiamo concludere che non c’è alcuno spazio per parlare di obiettività dei valori estetici? Hume sostiene che vi sono alcuni giudizi estetici che sono accolti in modo tanto ampio da permetterci di dire che pongono gli standard generali per la valutazione dei valori artistici. Qualcuno, ovviamente, può dire che una canzonetta popolare può aver maggiore valore rispetto alle interpretazioni degli standard da parte di John Coltrane o Miles Davis. Però, l’entusiasmo per la canzonetta popolare con il tempo svanirà, mentro l’apprezzamento per John Coltrane e Miles Davis durerà nel tempo, o aumenterà (come è, peraltro, il caso di Thelonius Monk, un altro grande musicista jazz non sufficientemente apprezzato dai sui contemporanei). Comunque, si vede da quanto ho esposto che il criterio per l’apprezzamento dell’opera

d’arte

non

è

oggettivo,

bensì

intersoggettivo

(dipende

dall’apprezzamento stabile e perdurante di diversi soggetti). Graham constata un errore nell’esposizione di Hume e sostiene che uno standard per la valutazione dell’opera d’arte deve porre un criterio di scelta razionale. Lo standard dovrebbe dirci che sbagliamo se preferiamo una canzonetta popolare a John Coltrane. Tuttavia, il criterio che ci indica Hume, ovvero il fatto che ci sarà una preferenza perdurante intersoggettiva per Coltrane, non offre garanzie per pensare che in un futuro anche lontano una persona che prediligerà la canzonetta popolare commetterà un errore. Che cosa concludere? Vi sono due possibilità. In primo luogo, si può concludere che l’arte è esclusivamente un fatto di scelta personale. Graham non pensa che sia così. Lui, come molti altri, ritiene che vi siano dei criteri di scelta che superano le

preferenze personali o anche intersoggettive. Per questo motivo, il criterio di Hume, che stabiliva un’equazione tra ‘valore artistico’ e ‘offre piacere’, non è un criterio valido. Di conseguenza, alcuni autori hanno modificato la prospettiva di Hume. Nella loro proposta il piacere non è più ciò che dà il significato del valore dell’arte. Tuttavia, il valore dell’arte deriva soprattutto dal piacere che ci offre. Tuttavia, rimane da stabilire che cosa si intenda esattamente con piacere. Una risposta è stata data da Collingwood. Egli ritiene in primo luogo che sia sbagliato stabilire un’equazione tra ‘piacere’ e ‘divertimento’. L’arte ci può indubbiamente offrire pure divertimento, ma è sbagliato sostenere che questo sia l’essenziale del piacere dell’arte. Vi sono stati altri tentativi per dare un contenuto al piacere che l’arte ci offre, ma Graham ritiene che nessuno di questi sia soddisfacente per il tentativo di spiegare in che cosa consista il valore dell’arte. Con ciò concludo la discussione dell’ipotesi per cui il valore dell’arte è legato al piacere che questa ci dà e inizio l’esposizione della seconda ipotesi. Nella seconda ipotesi il valore dell’arte dipenderebbe dal fatto che ci trasmette emozioni. La teoria che sostiene questa proposa si chiama ‘espressivismo’. Una versione dell’espressivismo è stata proposa da Tolstoj, il quale diceva che gli artisti sono persone ispirate da forti emozioni e usano le proprie conoscenze e capacità per trasmettere queste emozioni tramite un’opera d’arte. Si tratta di una tesi che è, però, sbagliata. Vi sono numerosi artisti che hanno confessato di non aver provato emozioni quale fonte della loro creatività. Inoltre, vi sono opere complesse, che includono moltissimi elementi. Pensiamo a un poema come l’Odissea. Quale sarebbe l’emozione che avrebbe rappresentato l’impulso creativo di questa opera d’arte? Vi è, poi, un argomento importante. In un’opera d’arte vi può essere un’emozione, ma questa non viene trasmessa al pubblico. Pensiamo all’Otello. L’emozione dominante in questa grande tragedia è la gelosia. Raramente, e in modo bizzarro, però, la gelosia sarà l’emozione trasmessa al pubblico, nel senso che qualcuno tra il pubblico sarà geloso dopo aver visto l’Otello. Un’analisi più sofisticata del ruolo delle emozioni nelle opere d’arte è

fatta da Collingwood, anche se alla fine anche questo autore si allontana dall’ipotesi espressivista. Collingwood dice che esistono due modi nei quali le emozioni possono avere un ruolo nell’arte. Nel primo caso si parla di arte come di qualcosa di magico. Nel secondo caso come di qualcosa di divertente. Nel primo caso, l’arte provoca emozioni per le quali riteniamo che sia positivo possederle. Ad esempio Guernica suscita un’opposizione alla guerra. Tuttavia, neppure l’ipotesi dell’arte come qualcosa di magico nella provocazione di emozioni può avere successo. Infatti, se il valore dell’arte si esprimesse in questo, il compito svolto dall’arte potrebbe essere ugualmente svolto da altre attività e, pertanto, ancora una volta non troviamo una risposta soddisfacente alla questione del valore dell’arte. Un altro errore del programma espressivista è pensare che l'emozione che si trova nell'opera d'arte sia già presente prima della nascita dell'opera d'arte stessa. Secondo questa ipotesi, l'emozione presente nell'opera d'arte non sarebbe altro che un’impressione psicologica che viene identificata e perfezionata in modo progressivo nel processo di creazione dell'opera d'arte, fino a quando l'artista non la riconosce completamente. L'artista è in grado di riconoscere l'emozione soltanto quando ha completato l'opera d'arte. In questa visione

dell'opera

d'arte,

essa

ha

due

componenti:

l'espressione

e

l'immaginazione. Con la creazione immaginativa l'artista trasforma una sensazione imprecisa e insicura in un'espressione complessa. La creazione artistica è, pertanto, un processo di conoscenza, ovvero in primo luogo una conoscenza che riguarda lo stesso artista. Il valore principale dell'arte è, pertanto, l'autoconoscenza. Anche questa determinazione, però, incontra un problema. Se il valore dell'arte è rappresentato dall'autoconoscenza, sembra che l'opera d'arte dovrebbe avere valore soltanto per l'artista stesso. Perché dovrebbe interessarci una conoscenza che riguarda Van Gogh? Per evitare questa obiezione, Collingwood dice che l'artista non scopre soltanto se stesso, bensì ciò che è comune a un intero insieme di persone. Tramite l'opera d'arte l'intera comunità ottiene nuove conoscenze.

Graham ritiene che sia evidente come Collingwood nel suo The Principles of Arts superi l'espressivismo. In primo luogo, Collingwood non sostiene che vi siano stati indipendenti da attribuire all'artista e che si manifesterebbero nell'opera d'arte (esiste soltanto un impulso psicologico iniziale che, quindi, si sviluppa con la creazione dell'opera d'arte). Collingwood esclude che l'opera d'arte si possa descrivere come espressione di un'emozione, in quanto è impossibile scoprire l'emozione indipendentemente dalla stessa opera d'arte. In quanto l'opera d'arte è un atto d'immaginazione più che l'espressione di un'emozione da parte dell'artista, essa rappresenta un processo di conoscenza per lo stesso artista. Il talento artistico, pertanto, non è la capacità di sentire, bensì la capacità di immaginare. Allo stesso modo, l'atto di piacere nel pubblico non è l'accoglimento di un'emozione, bensì pure un atto di immaginazione con il quale il pubblico partecipa nella creazione dell'opera d'arte. Alla fine, si può dire che la conoscenza non riguarda un'emozione reale, bensì un'emozione potenziale, ovvero un'emozione che è possibile, anche se non è presente né nell'artista, né presso il pubblico. Con ciò, però, Collingwood esce dal paradigma espressivista. L'arte si rivela come qualcosa che è caratterizzato dall'aspetto cognitivo. La specificità dell'arte, secondo Collingwood, sarebbe rappresentata dal fatto che ci aiuta a conoscere una parte specifica della realtà, precisamente il mondo emozionale, mentre la scienza ci condurrebbe a conoscere il resto del mondo, quando non è necessario vivere un'esperienza diretta e interna. Graham, a questo punto, è convinto di essere riuscito a portare il dibattito nella direzione cognitivista: il valore dell'arte sarebbe rappresentato dalle sue capacità conoscitive. Ma come, precisamente, si offre questa conoscenza? All'inizio dell'articolo ho presentato degli argomenti che sostenevano che l'arte può offrire soltanto conoscenze banali, oppure non sostenute da argomenti. Per Graham è necessario trovare una soluzione che eviti queste obiezioni. Secondo lui, il vero contributo conoscitivo dell'arte consiste nell'offrire autoconoscenza, oppure l'elaborazione di una dottrina (come, nel caso di Proust, tra l'altro, si elabora una determinata concezione

filosofica del tempo, oppure in Pirandello si elabora una visione del mondo relativizzata in maniere multiformi rispetto alle visioni tradizionali). Il senso conoscitivo dell'opera d'arte non si manifesta nell'affermazione di qualcosa, bensì nell'aiutarci ad accrescere la nostra comprensione. Questa teoria del valore dell'arte si chiama 'cognitivismo'. Il cognitivismo, avverte Graham, deve evitare alcuni errori, tra i quali il principale è quello di sostenere che l'arte può offrire modelli conoscitivi simili alle scienze naturali. Non è così! L'arte offre una sua conoscenza specifica, che non è sostituibile da altri strumenti conoscitivi. Ad esempio, non è immaginabile che Platone possa trasmetterci le conoscenze che ricaviamo dalle grandi tragedie greche. Però, se è vero che lo stile filosofico di San Tommaso non potrebbe sostituire la Divina Commedia, né i saggi filosofici di Bergson possono sostituire l'opera di Proust, è vero pure che Dante e Proust possono aiutarci a comprendere meglio San Tommaso e Bergson. È importante tener presente che lo scopo dell'arte non è quello di insegnarci qualcosa su casi particolari. Ad esempio, lo scopo dell'arte non è quello di descriverci gli intrighi nelle varie corti reali europee delle quali parla Shakespeare, o la guerra napoleonica in Russia, come si fa in Guerra e pace. Piuttosto, queste tragedie e questo romanzo ci parlano di determinati tipi di rapporti che si creano in alcune situazioni, o sono comuni all'umanità. In che cosa consistono la virtù conoscitiva dell'arte e il suo ruolo insostituibile? La virtù dell'artista consiste nella capacità immaginativa, che gli permette di comprendere e percepire sfumature che non sono comprensibili ad altri. Il valore dell'opera d'arte, pertanto, non consiste nella riproduzione di persone, fatti, epoche storiche, ecc., bensì nel modo nel quale ci aiuta a guardare tutto questo attraverso un'esperienza specifica.

3. Passo ora a un altro filosofo, che segue un paradigma simile a quello di Graham, ovvero Carroll del quale ho parlato già all'iizio del testo. Una differenza importante tra Graham e Carroll è che, come si è visto, per Graham l'elemento conoscitivo è il fatto preponderante che attribuisce valore all'arte.

Carroll, invece, assume una proposta più moderata e dice che vi sono alcune opere

d'arte

che

possiedono

valore

conoscitivo,

ma

questa

non

è

necessariamente una condizione condivisa da tutte le opere d'arte. Il valore conoscitivo è rilevante soltanto per le opere d'arte che lo possiedono, 4 mentre le altre opere d'arte possono avere valore per altri motivi. Inoltre, Graham trova valore conoscitivo in tutte le forme di espressione artistica, mentre Carroll parla soltanto di arte narrativa. Infine, Carroll si limita a parlare di conoscenza morale. La rilevanza del contributo di Carroll per il presente dibattito si manifesta nel fatto che la sua proposta indica come l'arte, in quanto esperienza formativa, contribuisce alla crescita della conoscenza, seppure si basi essenzialmente sulle conoscenze che già possediamo. Con le parole di Carroll, "l'opera d'arte narrativa non ci insegna nulla di nuovo, bensì, piuttosto rende attive le conoscenze e le emozioni (morali e non) che già possediamo". 5 In altre parole: “L’opera d’arte narrativa può essere per noi l’occasione per approfondire e comprendere ciò che sappiamo e sentiamo”.6 Questa concezione della relazione tra arte e morale è chiamata da Carroll chiarificazionismo. Grazie all’arte possiamo riorganizzare l’ordine gerachico delle nostre categorie e premesse morali, o reinterpretare queste categorie e premesse alla luce di nuovi casi paradigmatici o casi difficili, oppure classificare in modo nuovo fenomeni conosciuti, oppure, opere d’arte che rappresentano la discriminazione razziale (nell’esempio di Carroll il riferimento è a A Raisin in the Sun di Lorraine Hansberry) possono aiutare l’uditorio a unire delle credenze che già possiede, ma che sono fattualmente disconnesse, mutando così la propria percezione morale: “l’uditorio composto da bianchi sa già che gli afro-americani sono persone e che le persone devono essere trattate in modo uguale. [...] L’opera d’arte ha successo nel creare una situazione che incoraggia l’uditorio a formare

Compreso, naturalmente un valore negativo. Così è per Il Trionfo della volontà di Leni Riefenstahl, un documentario altamente innovativo e dai molteplici valori formali, ma che non può avere un valore artistico completo, a causa della prospettiva sul nazismo (non corrispondente all'oggettività morale) che promuove. 5 N. Carroll, Art, Narrative, and Moral Understanding, 141. 6 N. Carroll, Art, Narrative, and Moral Understanding, 142. 4

una connessione saliente tra quese credenze precedentemente isolate”.7 Possiamo vedere l'esemplificazione dei metodi conoscitivi indicati da Carroll soprattutto nel suo The Wheel of Virtue. Art, Literature, and Moral Knowledge, dove Carroll parla della conoscenza delle virtù. Precisamente, Carroll dice che le opere d'arte possono svolgere il ruolo solitamente svolto in filosofia dagli esperimenti mentali. Un esempio dell'uso di esperimenti mentali consiste nella confutazione, ovvero nel fornire controesempi ad un'affermazione. Si pensi a una proposizione come "Quando la lealtà a un amico e la lealtà a una causa generale si trovano in conflitto, si deve privilegiare sempre la lealtà a un amico". Carroll sostiene che un film come Il terzo uomo può servire da controesempio a un simile atteggiamento. L'uso dell'esperimento mentale, però, non si limita a quello di controesempi, bensì può manifestarsi in un ruolo positivo, rendendo più preciso ciò che era vago. Gli esperimenti mentali, compresi quelli nell'arte, possono chiari[...]re i concetti, dissipare la vaghezza e illuminare i criteri che ci guidano ad applicare i concetti in un modo o nell'altro. Carroll indica il raffinamento della nostra conoscenza dei concetti riguardanti le virtù e, in particolare, le loro condizioni di applicazione, sull'esempio di Casa Howard di Edward Morgan Forster. La linea principale del romanzo riguarda il confronto tra due famiglie, gli Schlegal e i Wilkoxes, dove i primi sono primariamente interessati all'arte, mentre i secondi sono persone pratiche, dedicate agli affari e rispettose delle convenzioni. Il romanzo indaga il modo nel quale si devono coordinare le virtù dell'immaginazione e della praticità in una vita completa e non frammentaria, nel fiorire delle virtù. Nel guidare questa riflessione, il romanzo usa una tecnica che Carroll chiama 'ruota delle virtù' (virtue wheel). Lo studio si svolge con una comparazione tra caratteri che esemplificano le virtù, in una misura o nell'altra. Con questa sistematica variazione di fattori che contribuiscono alla presenza o assenza di virtù (o vizi) riusciamo a chiari[...]re i nostri concetti riguardanti le virtù, allo stesso tempo migliorando la nostra capacità di valutare quando il 7

N. Carroll, Art, Narrative, and Moral Understanding, 143.

concetto è esemplificato in modo difettoso, o, addirittura, è esemplificato un vizio. Nel romanzo indicato da Carroll, si vede, ad esempio, come la virtù dell'immaginazione può essere esemplificata in modo scorretto, in particolare con un'analisi degli Schlegal. Un personaggio, Helen, rappresenta il modo nel quale l'immaginazione può assumere forme quasi patologiche, poiché conduce all'identificazione con personaggi lontani, portando a trascurare invece ciò che avviene con quelli prossimi. Tibby, invece, è radicalmente sospettosa nei confronti dell'immaginazione, fino al punto da evitare ogni forma di empatia nei confronti degli altri. Soltanto un terzo personaggio, Margaret, è degna della piena attribuzione della virtù dell'immaginazione. Vediamo come la tecnica del contrasto e della comparazione aiuti a identificare il giusto mezzo virtuoso. Un'analisi simile è compiuta a proposito della virtù della praticità tra i Wilcoxes, dove il giusto mezzo tra due estremi sembra essere rappresentato da Henry. Tuttavia, una successiva comparazione tra Henry e Helen indica come la praticità è presente in modo eccessivo pure in lui, a scapito di una dovuta dose di sensibilità immaginativa, la cui assenza lo conduce a non percepire alcuni aspetti di situazioni indispensabili per un corretto atteggiamento nei confronti della moglie. L'insegnamento che deriva da Casa Howard è che, al fine della virtù, praticità e immaginazione devono contenersi reciprocamente. La lettura di romanzi come Casa Howard ci aiuta a esercitare e rendere più sottile la nostra capacità di identificare esemplificazioni dei concetti delle virtù e dei vizi, usualmente definiti in modo troppo vago o astratto. Tuttavia, tecniche analoghe a quelle indicate nel raffinamento della conoscenza delle virtù possono essere applicate nel raffinamento della conoscenza dei principi morali. Vorrei citare l'esempio di un altro romanzo, analizzato ampiamente da Martha Nussbaum, Tempi difficili (Hard Times) di Charles Dickens che ci aiuta a comprendere l'inaccettabilità dell'utilitarismo.8 Rimane un quesito: perché l'arte (in particolare l'arte narrativa) possiede questa forza privilegiata nel favorire la conoscenza morale? Perché non sono sufficienti gli esperimenti mentali più semplici, come quelli ideati dai filosofi? La

risposta fa riferimento alla complessità che possono avere le opere d'arte. Queste possono rivelare anche i tratti nascosti del comportamento di qualcuno (cosa di notevole importanza per un giudizio sul carattere della persona), presentano le virtù in intersezione con le altre virtù (proprio come è indispensabile per la valutazione delle virtù, come si è visto negli esempi di Casa Howard), rivelano le complessità delle situazioni rilevanti per i giudizi morali ed esibiscono sensibilità per i contesti, proprio come le virtù. 9 Ancora una volta, un discorso analogo può essere fatto a proposito dei principi morali. 4. Presenterò ora il pensiero di un altro filosofo, James O. Young, impegnato a discutere il valore cognitivo dell'arte.10 Mi concentrerò sull'ultimo capitolo del suo libro estremamente provocatorio, nel quale Young sostiene che vi sia una completa assenza di possibilità cognitive nell'arte d'avanguardia. Per questo motivo, e sostenendo similmente a Graham che il valore dell'arte è legato alla sua funzione cognitiva, egli esprime un assoluto disprezzo per l'arte d'avanguardia

che

ritiene

dannosa

per

la

comunità

artistica

e

per

l'apprezzamento dell'arte in generale. Pur non essendo pronto ad accogliere l'interezza dei suoi argomenti, li trovo provocatori in modo stimolante e per questo motivo ne offro una sintesi ai lettori di questo articolo. In primo luogo, Young ritiene che non sia facile definire l'arte d'avanguardia, in quanto gli autori che sono accomunati da questa denominazione sono reciprocamente molto diversi (Young enumera, tra gli altri, Tristan Tzara, John Cage, Marcel Duchamp, Wassily Kandinsky, Jeff Koons, Piet Mondrian, Andy Warhol ed altri). Che cosa li rende appartenenti allo stesso stile? Generalmente, le opere d'arte che condividono uno stile condividono una qualità, o un insieme di qualità. La qualità saliente può variare, dipendentemente dallo stile. In alcuni casi uno stile è caratterizzato da alcune proprietà formali, mentre in altri casi da proprietà rappresentative. Opere d'arte

8 9

M. Nussbaum, Poetic Justice. The Literary Imagination and Public Life, Beacon Press, Boston 1987. N. Carroll, The Wheel of Virtue. Art, Literature, and Moral Knowledge, 18.

che appartengono ad arti diverse possono appartenere a uno stesso stile (nell'elenco precedente ho enumerato un letterato, un musicista, mentre gli altri si occupano di arti visive). Un'opera d'arte può appartenere a stili diversi (così, i quadri di Monet e Degas appartengono all'impressionismo e al realismo). Le qualità, inoltre, si presentano in opere diverse in gradi diversi. Si può, pertanto, dire che alcune opere d'arte appartengono a uno stile in modo più proprio che a un altro stile. Bach appartiene allo stile barocco in modo più proprio rispetto a Telemann. Quali sono le qualità condivise dalle opere d'arte d'avanguardia? Secondo

Young,

queste

condividono

sia

caratteristiche

formali

che

caratteristiche rappresentative. In primo luogo, sono opere d'arte dissimili rispetto alle espressioni artistiche precedenti e questa è la loro prima caratteristica comune. Questa caratteristica provoca un fluire permanente. Le opere d'avanguardia devono pure differire tra loro e per questo motivo si vede una continua successione di sub-stili: futurismo, dadaismo, surrealismo... Young sostiene che vi sia pure una qualità rappresentativa condivisa dalle opere d'arte d'avanguardia, seppure questa si manifesti sotto forma di negazione: l'abbandono di tutte o molte delle risorse rappresentative dell'arte precedente (in particolare delle risorse illustrative). Un'obiezione potrebbe essere esposta sotto forma di controesempi: come si può dire che non vi sia illustrazione nelle opere di Warhol? Young replica dicendo che l'illustrazione esplicita presente nelle opere di Warhol non è, però, l'illustrazione rilevante. Se l'opera di Warhol si limitasse a ciò che letteralmente illustra, si tratterebbe di un livello artistico insignificante, ovvero equivalente a quello delle immagini pubblicitarie usuali. Warhol intende soprattutto rappresentare fatti della vita quotidiana, al di là di quanto raffigura visualmente in modo esplicito. La rinuncia agli strumenti rappresentativi tradizionali, secondo Young, rappresenta un impoverimento delle potenzialità cognitive dall'arte. Le opere d'arte d'avanguardia finiscono con il rappresentare soltanto se stesse e non sono in grado di trasmettere conoscenze più profonde o rilevanti. Tra gli esempi 10

J.O. Young, Art and Knowledge, Londra, Blackwell, 2001.

che Young fornisce vi è Bridget Riley, l'artista inglese che abbiamo potuto ammirare anche a Fiume nel 2005, con una mostra che comprendeva oltre quaranta opere d'arte scelte dall'artista stessa. Riley nella sua produzione esibisce un interesse notevole per le illusioni ottiche, sino al punto che ci sono critici che hanno affermato che lei ci ha rivelato delle cose notevolissime sul funzionamento della nostre percezioni visive. Eppure, sostiene Young, tutto ciò che in questo senso rivelano i suoi quadri è già noto agli studenti degli anni iniziali dei corsi di laurea in psicologia. Anzi, la psicologia in quanto scienza ci può rivelare molto di più rispetto a quanto possa fare Bridget Riley. L'arte d'avanguardia si è basata in ampia misurra sulla rappresentazione semantica, fino al punto da sviluppare nuove convenzioni rappresentative. Tuttavia, dice Young, le opere d'arte d'avanguardia possiedono capacità rappresentative soltanto coniugandosi a forme rappresentative già esistenti. Di fatto, le opere d'arte d'avanguardia per possedere qualità rappresentative dipendono frequentemente da dichiarazioni degli artisti. A volte, seppure in casi limite, le dichiarazioni stesse sono state trasformate in opere d'arte. Tuttavia, se l'arte per possedere valore cognitivo deve esprimersi tramite dichiarazioni, possiede un valore cognitivo molto basso, esattamente come nelle obiezioni che ho presentato all'inizio di questo articolo. Young ci dice che questo avviene esattamente con l'arte d'avanguardia, dove non è un caso che le opere d'arte si sono dovute congiungere spesso a espressioni scritte o verbali e il sorgere dell'arte d'avanguardia si è accompagnato al fiorire di manifesti artistici. La presenza di questa vasta letteratura non è occasionale, in quanto essa gioca un ruolo fondamentale per questo stile di produzione artistica. Young usa l'espressione 'arte dipendente dal discorso' per indicare le opere d'arte visiva che devono essere accompagnate da una dichiarazione verbale, oppure scritta. Questi manifesti, o espressioni verbali, si differenziano notevolmente dagli scritti di pittori, scultori o architetti tradizionali. Nei casi precedenti, quando un artista si esprimeva in forma verbale, lo faceva per fornire un manuale su come creare opere d'arte. Le opere d'arte tradizionali, però, potevano avere una vita completamente

autonoma nei confronti degli scritti. Le opere d'arte d'avanguardia, con le dichiarazioni associate, sono delle affermazioni. Però, sostiene Young, in quanto affermazioni hanno poco valore. Per sostenerlo, Young propone di distinguere quale possa essere la relazione tra un'affermazione e la verità. Un'affermazione, in primo luogo, può non essere vera, cioè, può essere falsa. In questo caso, ovviamente, non ha alcun valore cognitivo. Però, anche un'affermazione vera può avere poco valore cognitivo. A questo punto, Young riprende gli argomenti che ho esposto all'inizio di questo testo. Nel primo caso l'affermazione può riguardare delle banalità. Nel secondo caso, l'affermazione non possiede alcuna giustificazione epistemologica, come invece è necessario se vogliamo accoglierla in modo ragionevole. Nell'opinione di Young, il problema delle opere d'arte d'avanguardia, spesso, non è la banalità del loro contenuto. Al contrario, si occupano di temi di notevole rilevanza (la natura dell'arte, le lotte di classe, le relazioni tra i sessi, ecc.). Il problema, invece, è che si tratta di affermazioni prive di giustificazione cognitiva. Ovviamente, si può insistere dicendo che sono le dichiarazioni congiunte a fornire la giustificazione dell'opera d'arte. Tuttavia, in questo caso si deve dire che sono le dichiarazioni ad assumere tutto il peso cognitivo e nulla in più viene aggiunto dall'osservazione dell'opera d'arte. Si pensi alla famosa Fontana di Duchamp e la si confronti con Il pensatore di Rodin, dove l'esperienza diretta con l'opera d'arte è insostituibile e non può essere compensata neppure dalla migliore delle descrizioni. Vi sono, infine, delle opere d'arte d'avanguardia nelle quali non è presente alcuna particolare convenzione semantica e che non si presentano congiunte ad alcun discorso. In questi casi parti del linguaggio naturale divengono opere d'arte. Young definisce queste forme espressive 'arte d'avanguardia pura'. L'esempio presentato da Young sono i Truismi di Jenny Holzer, una serie di aforismi come "Il lavoro di ciascuno è ugualmente importante" o "L'amore romantico è stato inventato per manipolare le donne". Questi aforismi venivano rappresentati in forma elettronica in posti come il

Times Square di New York, Piccadilly Circus a Londra, oppure negli stadi di baseball. Il problema di questi aforismi è, ovviamente, il loro valore cognitivo assolutamente inesistente. Indipendentemente dal fatto se siano veri o falsi, non c'è alcuna giustificazione per accoglierli. Alcune delle affermazioni di Holzer possono anche essere interessanti e se qualcuno riuscisse a dimostrare la loro veridicità fornirebbe un contributo importante alla crescita della conoscenza umana. Tuttavia, Jenny Holzer non ci dà alcun sostegno di questo tipo. In altri esempi di opere d'arte d'avanguardia, invece, si incontreranno affermazioni prive di senso. Infine, come spesso avviene, si tratterà di affermazioni banali con pochissimo valore. Le opere d'arte d'avanguardia pura, conclude Young, si trovano di fronte a un dilemma. Possono offrire delle affermazioni che dobbiamo accogliere come testimonianze dell'artista. Però, nessuna testimonianza può essere accolta senza una prova a favore, a meno che non sia una testimonianza riguardante una banalità. Pertanto, abbiamo a che fare con affermazioni che sono o ingiustificate o banali. Un ultimo tentativo per salvare il valore dell'arte d'avanguardia è quello di classificarla come un passo ancora più estremo di allontanamento da un discorso semantico classico. In questo senso, l'arte d'avanguardia non offrirebbe delle rappresentazioni, bensì dei gesti. Così si potrebbe giudicare i famoso 4' 33' di John Cage. Tuttavia, anche in questo caso ciò che l'artista offre (quattro minuti e trentatrè secondi di silenzio) assume un significato soltanto se si accompagna a una dichiarazione. E, quindi, per l'arte d'avanguardia si ripresentano i problemi già esposti. L'errore fondamentale di molti artisti d'avanguardia è aver pensato che si possano illustrare cose come la bellezza, la lussuria o l'uguaglianza senza illustrare fatti specifici. Invece, non è così: non si può illustrare la lussuria senza illustrare un esempio concreto di lussuria. Nella misura in cui l'arte d'avanguardia vuole rappresentare delle cose in generale, non può che fallire e i suoi tentativi finiscono con l'essere opinabili. Un ultimo tentativo è quello di dire che le opere d'arte d'avanguardia

vogliono rappresentare stati affettivi. Però, anche in questo caso si ripresenta un problema già noto: è difficile rappresentare stati affettivi, senza rappresentare i loro singoli esempi. È difficile rappresentare l'amore senza rappresentare una persona che indirizza l'amore ad un'altra persona. E questo è un compito arduo per l'arte d'avanguardia, che ha rinunciato a fare uso dei tradizionali strumenti illustrativi. Ovviamente, a volte è possibile rappresentare uno stato affettivo senza strumenti illustrativi, come fa, ad esempio, la musica (una composizione equlibrata e graziosa, ad esempio, può rappresentare la serenità). Tuttavia, la rappresentazione affettiva si rivela poco comune nell'arte d'avanguardia. Lo si vede dal fatto che generalmente il pubblico ha risposte variegate di fronte alla stessa opera d'arte. Esiste una spiegazione per questo. A differenza delle forme espressive musicali tradizionali, che non sono illustrative ma tuttavia comunicano con il pubblico in virtù delle convenzioni stilistiche condivise, l'arte d'avanguardia non dispone di questo stabile punto d'appoggio nella comunicazione con il pubblico. Di conseguenza, ne soffre la comunicabilità e, quindi, la potenzialità rappresentativa. [...] All'arte d'avanguardia rimane la risorsa delle opere puramente semantiche, quali possibilità di rappresentare uno stato affettivo. Tuttavia, a questo punto si può riprendere il discorso già fatto a proposito di Jenny Holzer: queste opere d'arte possiedono un valore cognitivo molto ridotto. La conclusione definitiva di Young è che l'arte d'avanguardia ha un valore talmente ridotto, fino al punto da meritarsi l'esclusione dal mondo dell'arte, in gran parte per tutelare il prestigio sociale dell'arte ed evitarle l'accusa di ciarlataneria, come sempre più frequentemente sta avvenendo. 5. Al posto della conclusione tradizionale di un testo, offrirò delle ipotesi di lavoro. Quanto esposto in questo testo può essere completato o rivisto in alcuni modi. In primo luogo, si tratta di approfondire gli argomenti contro il valore cognitivo dell'arte che ho esposto all'inizio. In secondo luogo, si possono approfondire o criticare gli argomenti di Graham, che vuole indicare che la teoria cognitivista dell'arte è la più affidabile. Ad esempio, forme espressiviste

più sofisticate di quelle che lui critica potrebbero offrirsi come valide ipotesi. In terzo luogo, si potrebbe valutare la proposta di Carroll, a proposito del valore cognitivo della comprensione e approfondimento che l'arte ci può offrire (ci sono, ad esempio, autori che sostengono che Carroll sottolinea soltanto una parte delle potenzialità cognitive che l'arte può offrire). Infine, naturalmente, si possono dibattere le proposte molto radicali di Young, rivolte contro l'arte d'avanguardia. Per confutare Young si potrebbero intraprendere due vie. Nella prima, si potrebbe tentare di negare l’affermazione per cui [...] tutto il valore dell'arte consiste nella dimensione cognitiva ([...] la critica potrebbe essere accolta da Carroll). Nel secondo caso, invece, si potrebbero tentare nuove vie per affermare la dimensione cognitiva dell'arte d'avanguardia. Evidentemente, la filosofia dell'arte è un campo di ricerca [...] con parecchie prospettive argomentative interessanti.

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