Contributo a D\'urso pdf.pdf

June 1, 2017 | Autor: Eliana Masulli | Categoria: Iconografia
Share Embed


Descrição do Produto

Contributo a “Ermetismo e Talismani da Giulio Campagnola a Jorge Camacho: una sintesi alla luce dell’esegesi ignorata da Renè Alleau” ( Prof. Andrea D’Urso) Dott.ssa Eliana Masulli

Alla luce dell’indagine di approfondimento svolta dal Prof. Andrea D’Urso, docente presso l’Università degli Studi del Salento (Lecce), lo scopo del presente elaborato è di porsi come momento d’ulteriore riflessione critica, in merito alla lettura ed interpretazione ermetico-simboliche dell’incisione detta L’Astrologo (1509; v. Fig. 1), attribuita all’eclettica personalità di Giulio Campagnola (1482- 1515).

Fig. 1: G. Campagnola, L’Astrologo (1509), incisione, British Museum, Londra

Non del tutto distante dalle sofisticate e puntuali tesi sostenute dal mio docente, quindi incentivata dalla presa conoscenza del Apocalypsis cum mensuris. L’Astrologo di Giulio Campagnola dello studioso Silvio D’Amicone (estratto in Venezia Cinquecento. Studi di Storia dell’Arte e della Cultura, anno II, n.3, gennaio-giugno 1992, Bulzoni Editore), quanto segue altro non rappresenta se non il risultato di un personale percorso di ricerca astrologico-esoterica in grado di fungere da complemento alle socratiche e quanto più possibilmente oneste letture ermetiche del “contenuto criptato” di un’incisione squisitamente talismanica. Dal punto di vista figurativo, l’opera del Campagnola reca con sé una vasta gamma di riferimenti al tempo e al luogo in cui il “vecchio monaco” è intento a procedere nei calcoli astrologici; il 1509, quale arco temporale marcatamente inciso sul “disco” o strumento di calcolo, quindi il paesaggio paludoso che, stendendosi sullo sfondo, è stato attribuito dalla Critica alla terra trevigiana. Questi, dunque, i preliminari accenti “ermetici” che permettono di pregustare il linguaggio scelto dal Campagnola, atto ad accogliere lo sguardo sì vigile di uno spettatore, seppur ancora tiepidamente miope. Due quesiti sorgono spontanei: quale il capro espiatorio che spinse l’autore ad apporre un riferimento temporale così esplicito nell’intenzionare lo sviluppo figurativo della scena? Di fatto, L’Astrologo è l’unica opera incisoria del Campagnola in grado di vantare tale beneficio. E in seconda istanza, quanto il riferimento paesaggistico incide nella significazione della scena stessa? L’inter-correlazione spazio-temporale può porsi figurativamente quale tessuto connettivo di più linguaggi denotativi? Certamente ciascun elemento ivi presente suggerisce l’Estetica di una qualificazione necessaria e ben voluta per mano di un vero e proprio artifex. Secondo la puntualità richiesta dallo spirito analitico di qualsivoglia indagine, L’Astrologo diviene senza dubbio una Tavola Smeraldina atta a rivolgersi a chi sa e può scorgere Oltre la superficie del “mondo delle cose”. Va da sé che il tratto incisorio dell’opera comincia a dissociarsi dalla manifestazione di una volontà meramente descrittiva e realistica, tanto dell’autore quanto di un attento spettatore. La trama spazio-temporale coinvolge, di fatto, un sistema figurativo ben organizzato e rivolto alla pura intertestualità d’immagine, ove il segno rimanda al simbolo di una dimensione parallela e vivacemente equivocabile. Infatti, supponendo di voler tracciare una diagonale lungo l’intera area composizionale, l’opera si tradurrebbe in due “sezioni” specifiche: un gruppo di sinistra (albero- astrologo- tabula) quale forza immanente, attiva e loquace, e un gruppo di destra (creatura mostruosa- teschio- arbusti troncati), quale avvertimento di entità segretamente raccolte entro un substrato malsano e fagocitante. La scena si teatralizza, animandosi di un proprio palcoscenico: l’uomo-astrologo nell’atto di esorcizzare, cum-scientia, l’horror vacui di un vaticinio fantoccio; e ancora lo sviluppo antropomorfico espresso mediante gli specifici strumenti (o canali) comunicativi di un vero e proprio genere iconografico.

Non disturba affatto, dunque, la deduzione logica diffusa negli ambiti della Critica Letteraria, che suole accumunare le vicende biografiche dell’incisore Campagnola e del confratello, amico e pittore Giorgione (v. Fig. 2), quali magistri che operano storicamente, seppur con “fantasia”, entro ben mirate scelte iconografiche e strutture compositive.

Fig. 2: Giorgione, I Tre Filosofi (1506- 1508), olio su tela, misura 123,5 x 144,5 cm., Kunsthistorisches Museum, Vienna. A proposito dell'opera in esame, Lionello Venturi nel 1954 scriveva: "ciò che costituisce l’afone poetico del quadro è questa potenza di giungere con la sensibilità pittorica a intravvedere quella concezione sentimentale del mondo che fu chiamata panteismo". Le tre figure possono così spiegarsi: l’anziano (lato dx) con in mano un foglio recante scritti simboli e astronomici, il giovane (lato sx) che con una squadra e un compasso è intento alla rappresentazione topografica (non sarebbe quindi casuale che stia osservando una grotta, luogo singolare, oltre che simbolico, della morfologia terrestre) e la figura di un uomo arabo (centro), determinante per la definizione della nostra moderna matematica. Il dipinto funge da allegoria alla Conoscenza scientifica, i cui principi sono utili per la misurazione e la conoscenza sia del cielo sia della terra. Il pittore ha probabilmente raffigurato le personificazioni delle materie Astronomia, Aritmetica e Geometria che, secondo la tradizione medievale, erano tra le principali Arti Liberali.

Personaggi insoliti ed onirici, riferimenti astrologici e profezie sulla caducità del tempo, sono le fornici che fluidificano le arcate narrative delle composizioni siffatte, ancor più se supportate (e correlate) dal dibattito, diffuso proprio in ambiente trevigiano durante gli anni ’70, intorno alla figura del dotto campano difensore delle Scienze e delle Arti, Giovan Battista Abioso1.

1

D’Amicone, Silvio, I cieli di Giorgione. Astrologia e divinazione nel Fregio delle Arti, Treviso, Zel Edizioni, 2010; Fossi, Piero, Di Giorgione e della critica d’arte, Firenze, Olschki, 1957; Gentili, Augusto, Giorgio (Zorzi, Zorzo) da Castelfranco, detto Giorgione, inDizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2000, pp. 350-361. Il Fregio di casa Marta (ora Casa di Giorgione), in un complesso percorso simbolico, trova riscontri nell’opera di Giovan Battista Abioso, medico, matematico e filosofo che tenne scuola a Treviso; di fatto divenne lo stendardo illustrativo del potere dell’influenza negativa degli astri esercitato sulle arti, sugli eventi storici e sull’armonia dell’Universo ( G. B. Abioso in Dialogus in Astrologiae defensionem , 1494 ).

Sembrerebbe, dunque, che la quattrocentesca dottrina della Sola Virtus Clara Aeternaque habetur2, (v. Fig. 3), così come la Prospectiva3 quale accertamento dei corpi celesti rispetto calcoli di tipo trigonometrico, altro non suggeriscono se non l’intento del nostro Astrologo di dimostrare, mediante la propria Tabula, che nessuna Arte (o Virtù) può esistere, se priva di un fondamento scientifico (Ars sine Scientia nihil est).

Fig. 3: Giorgione, Fregio delle Arti Liberali e Meccaniche (fine del XV secolo), ciclo di affreschi, Casa Pellizzari (Museo casa Giorgione) a Castelfranco Veneto.

A sostegno di quanto suddetto è bene rammentare che l’incisione dell’ Astrologo nell’anno 1509 trova coerenza con la pubblicazione del Divina Proportione di Frà Luca Pacioli (v. Fig. 4-5-6 ), matematico francescano che riuscì ad applicare i principi della geometria euclidea ad ogni forma di attività artigianale ed intellettuale. Parimenti la circoscrizione delle cinque figure solide e regolari di matrice platonica, quindi la definizione di una Bellezza formale di dǘreriana memoria, atta a decidere la perfetta fisionomia della sostanza virtuosa dell’Essere, sembrano trovare proprio nel Campagnola un valido e fedele seguace.

2

Gaius Sallustius Crispus, De Coniuratione Catilinae -1, in trad. L. Canali (a cura di), La congiura di Catilina. Testo originale a fronte, Milano, Garzanti Libri, 1982: “Nam divitiarum et formae gloria fluxa atque fragilis est, virtus clara aeternaque habetur” trad. : “Infatti la fama delle ricchezze e della bellezza è fugace e fragile, la virtù è considerata illustre ed eterna. Nel Fregio, dopo libri, calamai, occhiali, una clessidra e due cartigli allusivi al veloce trascorrere del tempo ( UMBRE TRANSITUS EST TEMPUS NOSTRUM ) e alla nobiltà ed eternità della virtù ( SOLA VIRTUS CLARA AETERNAQUE HABETUR ), intercalati da una testa di vecchio sapiente arabo (Averroè?), sono raffigurate la grande congiunzione di Saturno, Giove e Marte in Cancro, verificatasi tra l’ottobre 1503 e il giugno 1504, l’eclissi di sole del 1502 e l’eclisse totale di luna del 1504 (donde la datazione del Fregio al 15021503). Questi eventi astrali erano ritenuti nefasti ed apportatori di squilibrio cosmico e di terribili sciagure belliche, alle quali si riferiscono i successivi due trofei d’armi (un fascio littorio, picche, alabarde, uno zucchetto, una celata; spade incrociate, schinieri, pròtomi belluine). L’ira celeste si riversa sull’umanità. Per il sapere e per le arti non c’è futuro. 3

Perspectiva o Prospectiva divennero principi cardine vigenti nello svolgimento dei calcoli trigonometrici applicabili in più campi del Sapere, tali per cui la Matematica venne posta prima di ogni Arte. La Prospectiva diviene immagine della suggestione metaforica, pertinente ad una scelta di tipo etico.

Fig. 4- 5- 6: L. Pacioli, De Divina Proportione, frontespizio, con illustrazioni di Leonardo da Vinci

Ma può l’indubbia “apparizione” della Tetrade Pitagorica4 realizzata nella Tabula (v. Fig. 7) dell’ Astrologo risolvere del tutto il labirintico iter concettuale che preserva l’opera? Ancora una volta la mera osservazione sembra non saziarsi, poiché di fatto molti simboli rifuggono irrisolti. Ci si chiede perché la compresenza della triade Sole-Bilancia-Luna sembri governare tanto la disposizione numerologica e simbolica degli elementi insiti nel disco talismanico, quanto la figura mostruosa che alita sul terreno di morte.

Fig. 7: Tetraktys pitagorica (sx) e Tabula astrologica dell’ Astrologo (dx) : nella Tetraktys la somma dei punti è pari a dieci. Boucher sottolinea l’insito carattere sacro, convalidato dalla formula pitagorica "Lo giuro per colui che ha rivelato alla nostra anima la Tetraktys, che ha in sé la sorgente e la radice dell’eterna natura". Contraddistinta da tali numeri, riassume tutti gli insegnamenti relativi al mondo creato: 1) Fuoco - Spirito creatore; 2) Acqua - Materia; 3) Aria - Unione dello Spirito con la Materia; 4) Terra - Forma creata. Nell’accessione unitaria è il simbolo della Decade, praticato nelle Camere dei maestri Architetti del Rito Simbolico Italiano. Lo stesso punto principale si sdoppia, si triplica e si quadruplica, senza degrado qualitativo, formando un triangolo in cui l’Unità è il vertice ed il Quaternario è la base. Comparando simbolismo numerico e simbolismo geometrico, scopriamo l’esistenza di un’analogia tra il Dieci ed il Punto entro il Cerchio, ovvero il Cerchio centrato, del grado di Maestro nella tradizione anglosassone. Infatti nella tradizione il valore numerico di un centro o Punto è uno, e quello della circonferenza è nove; tale simbolismo suggerisce l’ipotesi che la Decade rappresenti la perfezione relativa allo spazio-tempo circolare, ovvero l’immanenza divina. Nell’antica Schola italica la T. simboleggiava l’armonia universale e l’ascesa dal molteplice all’Uno. Ma più che nell’essenza la T. va considerata negli sviluppi dell’insegnamento pitagorico, negli sforzi che l’Umanità ha compiuto e compie per giungere alla Verità.

4

Giamblico, Summa pitagorica, Bompiani, 2006. Per i Pitagorici la tetraktys consisteva in una disposizione geometrica che esprimeva un numero o un numero espresso da una disposizione geometrica. Essa era rappresentata come un triangolo alla cui base erano quattro punti che decrescevano fino alla punta; la somma di tutti i punti era dieci, il numero perfetto composto dalla somma dei primi 4 numeri (1+2+3+4=10), che combinati tra loro definivano le quattro specie di enti geometrici: il punto, la linea, la superficie, il solido. La tetraktys aveva un carattere sacro e i pitagorici giuravano su di essa. Era inoltre il modello teorico della loro visione dell'universo, cioè un mondo non dominato dal caos delle forze oscure, ma da numeri, armonia, rapporti numerici.

Laddove il numero triangolare possa o meno risolvere i quesiti così posti, offrendo una valida e paradossalmente “confortante” lettura apocalittica dell’opera, a mio dire, il συμßαλλειν non è ancora del tutto rivelato nella corrispondenza di molti altri “segni” incisori. Infatti, immaginando di scomporre la Tabula astrologica nelle convenzionali ventotto dimore lunari5 (ciascuna contraddistinta da 12°51’26’’; v. Fig. 8- 9), quindi rispetto le dodici ore cosiddette “magiche” e ordinate secondo i domini planetari (v. Fig. 10-11), può il segno della Bilancia, marcatamente inciso, trovare una relazione con l’entrata del dominio di Venere6, a designazione di un evento o di una scoperta evolutiva e propizia per il dato momento storico?

Fig. 8- 9- 10 Cerchio zodiacale suddiviso in 28 settori, cosiddette Dimore Lunari: Dimora 1 (da 0° a 12°51'26" di Ariete); Dimora 2 (da 12°51'27" a 25°42'52" di Ariete);Dimora 3 (da 25°42'53" di Ariete a 8°34'18" di Toro); Dimora 4 (da 8°34'19" a 21°25'44" di Toro); Dimora 5 (da 21°25'45" di Toro a 4°17'10" di Gemelli); Dimora 6 (da 4°17'11" a 17°08'36" di Gemelli); Dimora 7 (da 17°08'37" a 29°59'59" di Gemelli); Dimora 8 (da 0° a 12°51'26" di Cancro); Dimora 9 (da 12°51'27" a 25°42'22" di Cancro); Dimora 10 (da 25°42'23" di Cancro a 8°34'18" di Leone); Dimora 11 (da 8°34'19" a 21°25'44" di Leone); Dimora 12 (da 21°25'45" di Leone a 4°17'10" di Vergine); Dimora 13 (da 4°17'11" a 17°08'36" di Vergine); Dimora 14 (da 17°08'37" a 29°59'59" di Vergine); Dimora 15 (da 0° a 12°51'26" di Bilancia); Dimora 16 (da 12°51'27" a 25°42'52" di Bilancia); Dimora 17 (da 25°42'53" di Bilancia a 8°34'18" di Scorpione); Dimora 18 (da 8°34'19" a 21°25'44" di Scorpione); Dimora 19 (da 21°25'45" di Scorpione a 4°17'10" di Sagittario); Dimora 20 (da 4°17'11" a 17°08'36" di Sagittario); Dimora 21 (da 17°08'37" a 29°59'59" di Sagittario); Dimora 22 (da 0° a 12°51'26" di Capricorno); Dimora 23 (da 12°51'27" a 25°42'52" di Capricorno); Dimora 24 (da 25°42'53" di Capricorno a 8°34'18" di Acquario); Dimora 25 (da 8°34'19" a 21°25'44" di Acquario); Dimora 26 (da 21°25'45" di Acquario a 4°17'10" di Pesci); Dimora 27 (da 4°17'11" a 17°08'36" di Pesci); Dimora 28 (da 17°08'37" a 29°59'59" di Pesci).

5

Jean Marquès- Rivière in Studio sulla Consacrazione dei Talismani. In particolar modo si tengano presente i tre sistemi di dimore in transito: la prima con entrata in Ariete da 0° a 12°51’26’’, sotto il dominio del Sole (Alnath, Geriz) regola i rituali di legamenti o rottura, la seconda da 12°51’26’’ a 25°42’52’’ sotto il dominio di Marte (Albotayn, Enediel), la terza da 25°42’53’’ a 8°34’18’’ con l’entrata in Toro e sotto il dominio di Giove (Azoraye- Amixiel) a sancimento della consacrazione talismanica effettiva.

6

La XIV dimora in 17°8’37’’ è caratterizzata dal transito di Venere in 0° Bilancia.

Fig. 10-11: I Pitagorici affermano la sfericità della Terra e dei corpi celesti. Al centro dell’universo c’è un fuoco che ordina e plasma la materia circostante, dando origine al mondo. Intorno al Fuoco si muovono, da Occidente a Oriente, dieci corpi celesti: il cielo delle stelle fisse, i cinque pianeti (Saturno, Giove, Marte, Mercurio, Venere), il Sole, la Luna, la Terra e l’anti-Terra (ammessa per completare fino a dieci).

Il simbolo stesso della Bilancia sembra rimandare, e non solo figurativamente, al numero d’oro pitagorico π (v. Fig. 12- 13), quale principio di una perfetta asimmetria che governa i mondi vegetale, minerale, animale ed umano, a loro volta resi attributi di un dio presumibilmente vigente7 (Michel Gardes).

7

Michel Gardes. Gli attributi di un dio (e dell’ Uomo?) possono così definirsi in: Unità, Trinità, Proporzione misteriosa e segreta (Matematica dell’Irrazionale), Uguaglianza in Sé ed Invariabilità, Quinta Essenza, quale Virtù Celeste che, attraverso altri corpi semplici (4 Elementi) sancisce una sacra proporzione tra l’Essere Formale e l’Essere Divino (Cielo come Corpo = Dodecaedro).

(Fig. 12)

(Fig. 13)

E dunque, può l’incisione porsi come manifesto neoplatonico di consacrazione talismanica, atta a sollevare la celeberrima polemica cristologica anti-epicureista? Se così decifrata, la presenza della creatura mostruosa potrebbe addirsi, senza dubbio, alla raffigurazione della Costellazione del Dragone, ripresa da Hevelius ed Uranometria e riproposta fedelmente dall’erudito neoplatonico Campagnola. Nel disco talismanico, il Sole, ritenuto dalla Tradizione della dottrina alchemica quale parte attiva di un corrispettivo lunare passivo, appare quasi del tutto cancellato, come fosse il riferimento esplicito di una vista debole della Costellazione del Dragone rispetto allo stesso. Le fonti astrologiche e alchemiche confermano, inoltre, l’identificazione di due nodi lunari, cosiddetti nodo Nord o testa del Dragone, quale ascendente verso l’Emisfero boreale celeste e corrispondente alla sostanza “occulta” freddo-umida, nonchè simbolo di una difficile condizione umana da superare, e un nodo Sud o coda del Dragone, dedita alla definizione dei malsani istinti che tentano l’Animo verso i livelli più mediocri dell’Esistenza, quindi anti-evolutivi tanto sul piano spirituale che intellettuale dell’Essere. Come suddetto, l’entrata in 0° del segno della Bilancia, nell’anno 1509, indicherebbe un esito favorevole (quale l’affermazione in campo culturale della Conoscenza scientifica), ancor più se supportato dalla presenza vitalistica di un Albero imponente e rigoglioso, che scandisce tanto i piani visivi quanto le azioni sceniche dell’incisione. Dunque il genere figurativo del Vaticinium d’immagine, inaugurato dall’Abioso e dal Fregio del Giorgione trovano o potrebbero trovare ulteriore conferma divinatoria proprio nell’opera trevigiana: il valore di una Scienza astrologica (l’astrologo come figura attiva) quale proiezione in terra di un’immagine d’ordine superiore, inviolabile e sovrumana. O divina, appunto. Di contro, posto che l’ambiente Neoplatonico tese a distinguere gli Astri in due categorie, quali la Teurgia (astri benigni) e la Goetia (astri maligni), la praxis di una Divinazione, mediante processi di calcolo astrologico, potrebbe attribuire alla Scienza Astrologica quella “materia di trapasso” sino alla discesa di un cristo in terra.

Parimenti non sorprende, dunque, se nella Melencolia I di Dǘrer (1514; v. Fig. 14), posteriore rispetto all’ Astrologo seppur similmente ermetica8, la Bilancia tenda a simboleggiare il dio della Settima Sfera o “Mente Cosmica”, volta a denudare la Verità dai giochi illusionistici delle Apparenze; parimenti, posto che la Triade Sole- Bilancia- Luna abbia un’ ascendenza sull’anno d’incisione (1509), e una discendenza sul piano astrologico (dalla Costellazione del Dragone), il talismano è tanto divinatorio quanto “illuminato” nel proprio contenuto ermetico.

Fig. 14: Albrecht Dürer, Melencolia I, (1514), bulino, mm 239 x 168. In basso, a destra, sul gradino, il monogramma e la data: 1514. In alto, a sinistra, il titolo, inciso sulla parte interna delle ali di un pipistrello. Stato II°/II

8

Panofskv informa circa il titolo Melencolia I: riferimento esplicito alla teoria dei quarm umori, sviluppata in età classica, secondo cui il corpo umano appare condizionato da quattro fluidi (quattro elementi, quattro venti, quattro stagioni, quattro parti del giorno e alle quattro fasi dell’esistenza). Fra questi quattro fluidi l’umore malinconico – dal greco “bile nera” – corrisponde alla terra, a Borea, all’autunno, alla sera e all’età matura. In ogni uomo prevale uno dei quattro umori. La malinconia, insidiando l’animo e il corpo umano, comporta inevitabilmente l’ infelicità esistenziale, raggiungendo talvolta anche la Pazzia. Così in antichità il temperamento melanconico è la peggiore tra tutte le condizioni dell’Essere, in contrapposizione al temperamento sanguigno, più vicino all’equilibrio dii una condizione originaria dell’uomo.. In età moderna, con l’Umanesimo, questi valori si modificano e la malinconia caratterizza la figura del filosofo, del poeta e dell’ artista, come già aveva osservato Aristotele. Spetterà ai neo-platonici fiorentini di fungere da cerniera tra le due dottrine, legandole alla teoria platonica del Furore Divino: “Così l’espressione furor melancholicus divenne sinonimo difuror divinus. Quella che era stata una calamità, e nella sua forma più attenuata, uno svantaggio, divenne un privilegio ancora pericoloso ma tanto più esaltato: il privilegio del genio”. Alla moderna esaltazione del temperamento malinconico corrisponde quella del pianeta Saturno.

Giunti nella viva complessità simbolica dell’incisione non può che sorprendere, inoltre, la presenza di ulteriori simboli, questa volta numerologici, testimoni e garanti di una contestualità storica da considerare. Così, partendo dal segno della Bilancia, si possono individuare le serie numeriche: 0- 21- 3- 4 (o 40)- 5 (o 50)- 43, nonché una piccola “c” accostata al Crescente di Luna e i tratti di detti “puntini” affidati a ciascun numero. Volendo attribuire a questi una lettura in desoil (orario), si può ottenere una seconda interpretazione in serie: 0- 1- 2- 3- 4- 5- 4(3), addicendo agli ipotetici 0 la funzione localizzatrice dei pianeti (o del Sole?) che l’autore intende porre in evidenza, quindi ai “puntini” la decifrazione secondo i corrispettivi satelliti o moti planetari. Dunque l’osservazione puntuale di ciascun elemento figurativo, nuovamente criptato, ha permesso di sollecitare ulteriori ricerche, sino all’enucleazione di un quesito centrale probabilmente esaustivo: l’Astrologo sta calcolando i moti di un corpo celeste poco noto e particolarmente caro agli Eletti? Pur condividendo la posizione del docente D’Urso, in merito all’indiscutibile rapporto di Confraternita intrapreso tra il Campagnola e il Giorgione, quali Adoratori che ben intesero come lasciare “funzionare” la propria Arte nell’invincibile Culto, il confronto con ulteriori fonti mi condurrebbe ad avanzare una seconda ipotesi, circa l’identificazione di un “segno” con il cosiddetto Terzo Satellite di Giove, meglio conosciuto come Ganimede. Rappresentando il più grande Satellite del Sistema Solare, ripreso dalla letteratura astronomica sotto la designazione numerica romana Giove III poiché posto in rotazione sincronica con il detto pianeta, Ganimede venne scoperto nel lontano 364 a.C. dall’astrologo cinese Gan De; allora risultò visibile ad occhio nudo e posto, tra l’altro, in risonanza orbitale 1:2:4 con i satelliti medicei Io ed Europa (v. Fig. 15-16). La congiunzione di questi con la Terra, prevista ogni 5,93 anni e per la durata di diversi mesi, ha reso possibile l’individuazione di sviluppi transitori (o Eclissi) tra Satelliti- Giove e Satelliti stessi, rispetto alle risonanze: Europa 2:1, Io 1:1 e Ganimede 4:1.

Fig. 15-16: Il Terzo Satellite di Giove, detto Ganimede e la risonanza orbitale con i vicini Satelliti Medicei.

Nel tempo è stato dimostrato, inoltre, che i bassi valori di eccentricità ed inclinazione caratterizzanti l’orbita del Satellite Ganimede inducono alla perturbazione gravitazionale del Sole, quindi al verificarsi di una variazione tra longitudini di congiunzione dei rispettivi satelliti (Io-Europa ed Europa- Ganimede) contraddistinta da una natura triplice cosiddetta Risonanza Laplace. A mio dire non sembra casuale che la prima pubblicazione ufficiale in merito alla scoperta del Satellite Ganimede (e alla scientifica esplicazione dei moti orbitali di risonanza) sia avvenuta cento anni dopo l’incisione del Campagnola, portando il nome del celeberrimo uomo di Scienza Galileo Galilei; ancora una volta l’incisione del Campagnola conferma una natura vaticinante. Inoltre il Satellite risulta caratterizzato da una superficie asimmetrica (come per definizione del π pitagorico) e da un emisfero anteriore rivolto verso la direzione di avanzamento della Luna (la piccola “c” fiancheggia il Crescente di Luna), nonché i riferimenti alla risonanza orbitale 1:2:4, così come la centralità del numero 3 abbracciato dall’apertura in alto del compasso, potrebbero confermare l’ipotesi, o quanto meno suggerirne un avvaloramento. Inoltre il Mito di Ganimede trova particolare diffusione proprio in ambiente neoplatonico, poiché rivolto all’interpretazione in chiave allegorica della condizione umana: il rapimento del fanciullo per mano del dio rammenta la necessità, comune alle Anime virtuose, di rifuggire dall’erronea predisposizione materiale dell’Essere, insita in ciascun individuo.

Cherubino Alberti, Copia rovesciata da originale di Polidoro da Caravaggio, Giove bacia Ganimede (sec. XVII)

Ringraziando il mio docente Andrea D’Urso per la richiesta in merito ad un personale intervento critico, senza cui difficilmente sarebbe avvenuto un incontro sì ravvicinato con l’opera incisoria, in conclusione e con il beneficio del dubbio del lettore, sento l’onestà e la responsabilità intellettuale di trasporre nell’incisione dell’Eletto un validissimo strumento figurativo, reso congeniale al radicato e filosofico dualismo Corpo/Anima, quale naturale confronto e conflitto tra una Volontà d’Essere e una Necessità d’Esistere, che da sempre contraddistingue la conditio sine qua non “uscendo dal corpo, l’Anima prosegue la sua via immortale, ma separata dalla saggezza sempre va errando”.

Lihat lebih banyak...

Comentários

Copyright © 2017 DADOSPDF Inc.