Dalla materia all’architettura attraverso l’occhio fotografico / From matter to architecture. A photographic eye
Descrição do Produto
gruppo li ppi e l lO fotografie photographs
fabrizio fioravanti
presentazione foreword
francesco moschini
terzo calendario della serie 1996-1999, fuori commercio, a tiratura limitata di 1000 copie. third year calendar of the 1996-1999 series, limited edition out of tracie in 1000 copies.
CALENDARIO
1998
YEAR CALENDAR
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Francesco moschini
Dalla materia all'architettura attraverso l'occhio fotografico
L'operazione condotta da Fabrizio Fioravanti per l'ed izione 1998 de l calendario lippiello, nel riaffermare la centra lità di un materia le co me i l travertino quale soggetto in fil i g rana de l la sequenza del l e dodici i mmagini, tende, anche i n questo caso, ad enfatizzarla, sia pur rileggendola in una scelta di arch itetture dagli ann i Quaranta ai giorni nostri. La fotografia è ancora da molte parti, e a torto, ritenuta una forma d i rappresentazione 'oggettiva', secondo un'opinione che nasce dall'interpretaz i one i ngenua dell'idea d i rappresentazione riferita a quest'a rte; si ritiene cioè che al l a rea ltà de l l'oggetto, i n partico l are d i un oggetto architettonico, debba corrispondere un contenuto di verità, appunto, oggettiva, mentre i n realtà i due concetti sono distint i fra loro, e l' immagine fotografica può tutt'al pi ù darsi come prova di esistenza. Di fatto, come qua l unque altra forma di rappresentazione, la fotografia, già a partire dai suoi esord i - si pensi per esempio ad un personaggio come Eugène Atget - mette in scena una soggettiva e criticamente elaborata esperienza dello spazio e dell'architet tura, e, i n modo del tutto analogo, ce li porta alla ribalta, estraendol i dal cont i nuum spazio-temporale ne l qua l e vengono, d i so l ito, d i strattamente percepiti. Come annotava Walter Benjamin, è infatti "più f acile [ ... ] cogliere [ ... ]
un'architettura mediante la macchina fotografi ca che non nella realtà" . Ma potremmo riferi re questa considerazione a qualunque forma di arte visiva. La pittura impressionistica, per esempio, non solo ha riportato alla nostra memoria alcun i precisi edifici, ma ha modificato il nost ro st esso mo do d i fru i re del l'arch itettura e interpretare lo spazio. Si tratta dunque di una traduzione critica e di una interpretazio ne poetica. Tuttavia poiché alla fotografia sono attribuite istanze oggettive, l'immaginario architetton ico, fotog raficamen t e p ro d ott o, si t rasforma i n un oggetto di conoscenza, determinante e condizionante la nostra conoscenza e pe rcez i one d ei l uogh i , sia i n te r mi n i di acqu i sizione di info rmazione che di aspettat iva ne i confronti di un oggetto spesso noto so ltanto att rave rso l'immagine fotografica. Ta le con di zione appare ancora p i ù significativa se si considera il carattere strumentale che ha assunto questo medium per quanto riguarda la comun i cazione d iscip l inare, per i l carattere di 'documento' che le fotografie assumono nelle riviste del settore, ove esse defin iscono un' i mmagine del l'a rch itettura costru ita sostanzialmente in modo ambiguo, po iché, mentre da un lato test i moniano di una presenza, da l l'a l tro istituiscono e privilegiano un rapporto con lo spazio di tipo voyeristico. Infatti la conoscenza della spazio non si pone più come una relazione autonoma tra soggetto e oggetto, bensl come for ma di med i az i one che passa attraverso l o strumento de l la rappresentazione, cond izionando i nd ub b ia mente il giud izio, definendo le relazioni contestuali così come le scale del la rappresentazione stessa, suggerendo con la luce, i l co lo re, il taglio dell'inquadratura le poetiche dei luogh i. Ci troviamo così di fronte a una comun icazione ambigua, dove il 'documento' si confonde - in modo determi nante per l'interpretazione - con la sua t raduzione operata da un terzo. Tuttavia questa 'ambiguità', se non è accettata passiva mente, può d iventare produttiva, in quanto interpreta la realtà a partire dal complesso de l le sue manifestazioni e ne esp l ica le forme i n quanto non p i ù riconducibili alle visioni totalizzanti del pensiero classico. Ino ltre lo spaz i o fotografico è, per sua natura, uno spazio· essenzialmente parziale e paralizzato; in esso si rappresenta un frammento r i tenuto signifi cante de ll a tota l ità spaziale, a manifestare, da ll'istante del lo scatto, le moltep lici forme del mondo, all'interno di una configurazione del tempo che
p resentaz io ne d i
nega la storia fissandola, quasi pietrificandola. E vorrei ancora sottolineare come anche il tempo si contragga in un infinito negativo, divenendo i nfatti infinitesimo il tempo durante il quale viene condotta l'operazione, tanto da assumere un significato emblematico rispetto al tempo 'lungo' che caratterizza la produzione delle a ltre art i. È alla luce di queste considerazioni che bisogna rileggere il presente lavoro fotografico. Pur partendo da edifici e i nterventi d i ormai consolid ata storicità, da quelli più lontani nel tempo a que l li più recenti, F. Fioravanti riesce, attraverso una lettura ravvicinata, a conferire alla materia stessa una precisa capacità di astrazione, al di là delle architetture cui si riferisce, e sembra suggerire una sorta di architettura analoga rispetto all'architettura di partenza, sino a fissare sorprendenti letture degli edifici volutamente distanti dalla loro immagine consolidata. Non si tratta so ltanto della zoomata che, nel suo concentrarsi sul part i colare, fa perdere di v i sta l'immagine stereotipa dell'opera, ma di una sorta di acribia filolog i ca che nel concentrarsi come l'entomologo sull'oggetto da analizzare ne scopre reconditi segreti sino a suggerirne nuove e diverse letture. Si potrebbe parlare di un fotografo come Autore per la sua capacità di costruire nuovi racconti a partire da apparenti dati trascurabili. Viene in mente, a proposito, la scoperta improvvisa e imprevista del fotografo protagonista dello straordinario Blow Up di Michelangelo Antoniani, che, a partire dalla messa a fuoco di un
semplice fotogramma, ha la capacità di costruire, da quella casualità, un proprio percorso narrativo labirintico. Ecco allora l'edificio del Ministero per gli Affari Esteri perdere la propria ieratica monoliticità per assumere quella più 'provvisoria' di semplice basamento, se non di un'architettura in trepida attesa che su di essa si posino altre architetture più leggere. Allo stesso modo il miracolo strutturale della Sala Nervi, persa di vista la sin troppo celebrata esasperazione dimensionale di quel vuoto incolmabile, viene ricondotto a una dimensione più terrena di cui viene fatto sent ire persino il respiro e la capacità di ordinare il contesto attraverso la misura del materiale reiterato in una precisa figura. La sistemaz ione di piazza Dante perde la perentorietà da cittade lla fortificata, vera e propria Medina invalicabile, nonché l'ostracismo cu i sembrano condannare all'esterno i poderosi ingressi da nuove dogane daziarie urbane, per farsi più strat i ficata sovrapposiz i one di memorie in una esplicita poetica dell'elenco di memoria romanica. Gli aggetti del nuovo edificio dell'Ene l a Tivoli ritrovano una continuità d' i mmagine con le leggi aggregat ive delle sovrapposizioni spaziali tra vecchio e nuovo del paese circostante; ma, più che assecondare un'acquisizione della modernità, queste immagini riscoprono una precisa volontà di ribaltamento tra pesantezza e leggerezza, tipica dell'architettura veneziana sospesa sull'acqua, proprio come se l'edificio dell'Enel volesse autosospendersi dal degrado del contesto. La Moschea di Roma, tutta incentrata sullo sguardo incrociato tra Oriente e Occidente, nel suo spasmodico tentativo di riappaesarli in un contesto così segnato come quello romano dalla cultura barocca ma anche da una riflessiva modern ità, riscopre invece, attraverso le immagini proposte, il naturalismo di un'opera che nel suo cupio dissolvi sembra far so ltanto riaffiorare pochi elementi dal verde circostante come dalla tolda di una nave. Si rilegge cosl il contrapporsi dell'esilità dei pilastri che si ramificano verso l'alto al loro interrompersi per effetto della copertura sottolineata dalla veletta; o, anche, le rampe di risalita di memoria repubblicana da tempio della Fortuna Prim igenia con la loro massività che fa da controcanto alla leggerezza bidim ensionale dei ripetuti elementi a cortina che come schermi diaframmati attraverso gli oculi, veri e propri tatuaggi, sve l ano e occultano. La complessità d'immagine dell'edificio della Terza Università di Roma viene colta nella sua dimensione più deflagrata, come se di quell'architettura fosse importante riconoscere la struttura osteologica e i lacerti che vi rimangono impressi come improvvisi velari, quasi a togliere all'edificio stesso l'eccesso d i decostruita modenità in cui ogni parte guarda a un proprio contesto, per ricondurlo a un'immagine più serrata se non più compatta, nonostante l' i ns istito suo perdersi in forse troppi accadimenti episodici.
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