Davide Artico, Protagonista del Risorgimento

June 30, 2017 | Autor: I. Wratislaviensia | Categoria: Risorgimento
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Davide Artico Università di Breslavia

Protagonista del Risorgimento Adriano Viarengo, Cavour, Salerno Editrice, Roma 2010, 564 pp. Difficile cimentarsi oggi nella scrittura di  un’opera biografica su Cavour, dopo che la storio­grafia risorgimentale ha già conquistato la vetta rappresentata dal monumentale lavoro di Ro­sario Romeo. Ancora in occasione del primo centenario dell’Unità fu Federico Chabod ad as­ segnare allo studioso giarrese il compito di svolgere un’analisi storica su quella figura chiave del Risorgimento che era stata rappresentata dal Conte. Se Romeo risultò assai in ritardo sulle celebrazioni di mezzo secolo fa, il suo lavoro (pubblicato fra il 1969 e il 1984) rimane comun­que a tutt’oggi, insieme con quello del conterraneo Adolfo Omodeo (datato però addirittura al 1942 e forse eccessivamente connotato in senso ideologico crociano), la pietra di paragone in materia, circo­stanza che del resto lo stesso autore (p. 15) riconosce apertamente. Questa nuova opera, che intende «evitare gli scogli» dell’esaltazione di Cavour (p. 12) che in­vece in certa misura ritroviamo in Romeo, e di cui è disseminato il lavoro di Omodeo, non si dimostra però neanche incline a ricalcare le orme lasciate a suo tempo da Dennis Mack Smith che, soprattutto nel suo Cavour and Garibaldi 1860, apparso originariamente a Cambridge nel 1954, ma poi anche nella sua più recente (1985) biografia cavouriana, era andato vicino a  fare del Tessitore null’altro che un intrigante astuto e meschino (cfr. “London Review of Books”, vol. 7, n. 9, 1985, pp. 16–17). Lo scopo che invece l’autore dichiara

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è quello di comprendere le numerose ambiguità del Cavour politico senza «prescindere da un’analisi del suo mondo inte­riore» (p. 14). In questo senso l’opera va a inserirsi in quel filone, improntato al good common sense britannico, nel quale si ritrovano sia la biografia di Harry Hearder (Longman, Londra 1994) sia quella di Luciano Cafagna (il Mulino, Bologna 1999) sia infine l’importante lavoro di Gilles Pécout (Fayard, Parigi 2011). Lungi dal tentare una semplice mediazione fra esaltazione e denigrazione, l’autore si concen­tra piuttosto sulla capacità di Cavour di non rimanere sopraffatto dagli eventi e di cercare, al contrario, di ribaltare a proprio vantaggio le circostanze sfavorevoli. Senza indugiare troppo all’aneddotica su aspetti pur indubbi della personalità del Conte, quali la passione per il gioco d’azzardo e l’irascibilità, l’autore pare piuttosto tentare di  ricostruirne il  percorso di  formazio­ne. Un percorso tortuoso, che parte dalle passioni libertarie concomitanti alla svolta orleanista del 1830 («l’anno della massima oscillazione verso sinistra del pendolo politico cavouriano», p. 44) e, passando attraverso la meditata lettura di Guizot e le esperienze di viaggio a Ginevra, Parigi e Londra, lo conduce dapprima a  cercare di  realizzare le sue idee di  progresso nell’im­prenditorialità agricola e  nei progetti di  modernizzazione delle infrastrutture, soprattutto ferro­viarie, poi all’impegno politico diretto nel periodo del “lungo Quarantotto”, che l’autore loca­lizza fra il 1846, anno delle speranze dei patrioti italiani nel “liberalismo” di Pio IX e degli echi dell’insurrezione anti‑austriaca di Cracovia, e la primavera del 1849, con l’abdicazione di Carlo Alberto. È proprio in questi Lehrjahre che l’autore trova la chiave delle successive con­flittualità di Cavour, non soltanto con il nuovo sovrano Vittorio Emanuele. Intriso di nazionalismo romantico, come suggerisce fra l’altro quel suo «Walter Scott in scar­sella» durante il  soggiorno a  Edimburgo nel 1852 (p. 245), Cavour si appropriò del progetto di  Lorenzo Valerio di «rivoluzione con un Re» (p. 118). Suo scopo era, secondo l’autore, far confluire l’espansionismo territoriale di Casa Savoia in un più vasto movimento nazionale, senza attendere il realizzarsi dell’escatologia mazziniana della maturazione civile delle masse e senza lasciar spazio alle «dittature rivoluzionarie» (p. 481) sul modello proposto, diretta­

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mente o indirettamente, da Garibaldi. Il Cavour tracciato dall’autore è sì dunque un conserva­tore opportunista, ma anche un idealista sostenitore del parlamentarismo. È insomma una fi­gura a  tutto tondo, presentata in modo diacronicamente dialettico dalla sua gioventù fino alla morte, evitando accuratamente la tentazione di selezionare i fatti per dimostrare induttivamen­te tesi formulate a priori; forse con l’eccezione dello sfortunato, in quanto arbitrario, paragone (p. 229) fra il “connubio” stipulato fra Cavour e la sinistra moderata di Urbano Rattazzi nel 1852 e un avvenimento del secondo dopoguerra: la caduta, nel luglio del 1964, del primo go­verno di coalizione guidato da Aldo Moro. Considerati tuttavia i  suoi valori generali, si può affermare che il volume di Viarengo rappre­senta una lettura insostituibile per qualsiasi studioso della cultura italiana dell’Ottocento. Ne sarebbe anche auspicabile la traduzione in polacco, soprattutto in considerazione del fatto che l’unica biografia ragionata di  Cavour è apparsa in Polonia ormai addirittura 40 anni fa (Adam Ostrowski, Hrabia Kamil Cavour, PIW, Varsavia 1972), se si escludono più recenti traduzioni di opere divulgative di autori anglosassoni.

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