Davide Artico, Protagonista del Risorgimento
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Davide Artico Università di Breslavia
Protagonista del Risorgimento Adriano Viarengo, Cavour, Salerno Editrice, Roma 2010, 564 pp. Difficile cimentarsi oggi nella scrittura di un’opera biografica su Cavour, dopo che la storiografia risorgimentale ha già conquistato la vetta rappresentata dal monumentale lavoro di Rosario Romeo. Ancora in occasione del primo centenario dell’Unità fu Federico Chabod ad as segnare allo studioso giarrese il compito di svolgere un’analisi storica su quella figura chiave del Risorgimento che era stata rappresentata dal Conte. Se Romeo risultò assai in ritardo sulle celebrazioni di mezzo secolo fa, il suo lavoro (pubblicato fra il 1969 e il 1984) rimane comunque a tutt’oggi, insieme con quello del conterraneo Adolfo Omodeo (datato però addirittura al 1942 e forse eccessivamente connotato in senso ideologico crociano), la pietra di paragone in materia, circostanza che del resto lo stesso autore (p. 15) riconosce apertamente. Questa nuova opera, che intende «evitare gli scogli» dell’esaltazione di Cavour (p. 12) che invece in certa misura ritroviamo in Romeo, e di cui è disseminato il lavoro di Omodeo, non si dimostra però neanche incline a ricalcare le orme lasciate a suo tempo da Dennis Mack Smith che, soprattutto nel suo Cavour and Garibaldi 1860, apparso originariamente a Cambridge nel 1954, ma poi anche nella sua più recente (1985) biografia cavouriana, era andato vicino a fare del Tessitore null’altro che un intrigante astuto e meschino (cfr. “London Review of Books”, vol. 7, n. 9, 1985, pp. 16–17). Lo scopo che invece l’autore dichiara
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è quello di comprendere le numerose ambiguità del Cavour politico senza «prescindere da un’analisi del suo mondo interiore» (p. 14). In questo senso l’opera va a inserirsi in quel filone, improntato al good common sense britannico, nel quale si ritrovano sia la biografia di Harry Hearder (Longman, Londra 1994) sia quella di Luciano Cafagna (il Mulino, Bologna 1999) sia infine l’importante lavoro di Gilles Pécout (Fayard, Parigi 2011). Lungi dal tentare una semplice mediazione fra esaltazione e denigrazione, l’autore si concentra piuttosto sulla capacità di Cavour di non rimanere sopraffatto dagli eventi e di cercare, al contrario, di ribaltare a proprio vantaggio le circostanze sfavorevoli. Senza indugiare troppo all’aneddotica su aspetti pur indubbi della personalità del Conte, quali la passione per il gioco d’azzardo e l’irascibilità, l’autore pare piuttosto tentare di ricostruirne il percorso di formazione. Un percorso tortuoso, che parte dalle passioni libertarie concomitanti alla svolta orleanista del 1830 («l’anno della massima oscillazione verso sinistra del pendolo politico cavouriano», p. 44) e, passando attraverso la meditata lettura di Guizot e le esperienze di viaggio a Ginevra, Parigi e Londra, lo conduce dapprima a cercare di realizzare le sue idee di progresso nell’imprenditorialità agricola e nei progetti di modernizzazione delle infrastrutture, soprattutto ferroviarie, poi all’impegno politico diretto nel periodo del “lungo Quarantotto”, che l’autore localizza fra il 1846, anno delle speranze dei patrioti italiani nel “liberalismo” di Pio IX e degli echi dell’insurrezione anti‑austriaca di Cracovia, e la primavera del 1849, con l’abdicazione di Carlo Alberto. È proprio in questi Lehrjahre che l’autore trova la chiave delle successive conflittualità di Cavour, non soltanto con il nuovo sovrano Vittorio Emanuele. Intriso di nazionalismo romantico, come suggerisce fra l’altro quel suo «Walter Scott in scarsella» durante il soggiorno a Edimburgo nel 1852 (p. 245), Cavour si appropriò del progetto di Lorenzo Valerio di «rivoluzione con un Re» (p. 118). Suo scopo era, secondo l’autore, far confluire l’espansionismo territoriale di Casa Savoia in un più vasto movimento nazionale, senza attendere il realizzarsi dell’escatologia mazziniana della maturazione civile delle masse e senza lasciar spazio alle «dittature rivoluzionarie» (p. 481) sul modello proposto, diretta
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mente o indirettamente, da Garibaldi. Il Cavour tracciato dall’autore è sì dunque un conservatore opportunista, ma anche un idealista sostenitore del parlamentarismo. È insomma una figura a tutto tondo, presentata in modo diacronicamente dialettico dalla sua gioventù fino alla morte, evitando accuratamente la tentazione di selezionare i fatti per dimostrare induttivamente tesi formulate a priori; forse con l’eccezione dello sfortunato, in quanto arbitrario, paragone (p. 229) fra il “connubio” stipulato fra Cavour e la sinistra moderata di Urbano Rattazzi nel 1852 e un avvenimento del secondo dopoguerra: la caduta, nel luglio del 1964, del primo governo di coalizione guidato da Aldo Moro. Considerati tuttavia i suoi valori generali, si può affermare che il volume di Viarengo rappresenta una lettura insostituibile per qualsiasi studioso della cultura italiana dell’Ottocento. Ne sarebbe anche auspicabile la traduzione in polacco, soprattutto in considerazione del fatto che l’unica biografia ragionata di Cavour è apparsa in Polonia ormai addirittura 40 anni fa (Adam Ostrowski, Hrabia Kamil Cavour, PIW, Varsavia 1972), se si escludono più recenti traduzioni di opere divulgative di autori anglosassoni.
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