Demografia e sviluppo economico

June 5, 2017 | Autor: V. Canal | Categoria: Economia, Demografia
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DEMOGRAFIA E SVILUPPO ECONOMICO




Canal Vincenzo Dennis

















INDICE

1.- Introduzione ……………………………………………………………………………………………………………………………………. 2
2.- La transizione demografica ………………………………………………………………………………………………………………. 4
2.1.- La transizione nel Nord del mondo (PSA) …………………………………………………………………………………. 5
2.2.- La transizione – incompleta – nel Sud del mondo (PVS) ……………………………………………………………. 6
2.3.- Nel duemila, una seconda transizione demografica? ………………………………………………………………… 7
3.- La dimensione futura della popolazione ………………………………………………………………………………………….… 8
4.- Conseguenze ………………………………………………………………………..…………………………………………………………… 11
5.- La crescita demografica in relazione allo sviluppo economico …………………………………………………………… 12
6.- Africa, Cina e India: problemi e atteggiamenti verso il fenomeno ……………………………………………………… 14
7.- Conclusioni ………………………………………………………………………………………………………………………………………… 16

ELENCO GRAFICI E TABELLE ……………………………………………………………………………………………………………………. 17
BIBLIOGRAFIA …………………………………………………………………………………………………………………………………………. 18













1.- Introduzione
Analizzando lo sviluppo della popolazione nelle varie epoche, si può notare come essa, sino al XIX secolo, sia stata caratterizzata da una crescita estremamente lenta, quasi impercettibile, ma sostanzialmente continua. Infatti, si stima che nel 10.000 a.C. non ci fossero più di 5 milioni di abitanti; con l'avvento dell'era cristiana la popolazione superò di poco i 250 milioni, triplicandosi con l'inizio della rivoluzione industriale (1750).
Tra il 1800 e il 1950 si assiste ad un primo vigoroso sviluppo, caratterizzato da una massima espansione demografica europea che la pone in una posizione dominante.
Tra il 1960 e il 2010 lo sviluppo non riguarda più solo l'Europa, ma anche i PVS (Paesi in Via di Sviluppo):
Europa da 605 milioni a 733 milioni di persone
America settentrionale da 199 milioni a 344 milioni di persone
America meridionale da 217 milioni a 580 milioni di persone
Africa da 282 milioni a 1007 milioni di persone
Asia da 1793 milioni a 4251 milioni di persone
Oceania da 16 milioni a 34 milioni di persone
fonte: Nazioni unite
Negli ultimi decenni (1990-2010) la crescita ha interessato soprattutto l'Asia, grazie alle "Tigri Asiatiche" (Corea del Sud, Taiwan, Singapore e Hong Kong) in un primo momento, Cina e India solo successivamente. Anche l'America latina ha visto una crescita, trainata in particolar modo dal Brasile.
Come si evince dalla Tabella 1.1, la popolazione mondiale è stimata a 6,8 miliardi di persone nel 2010, e si prevede che raggiungerà i 9,7 miliardi di persone nel 2050 (11,2 miliardi di persone nel 2100).

Tabella 1.1 – Popolazione stimata e prevista
Quindi, il mondo sta attraversando una vera e propria rivoluzione demografica, che avrà conseguenze politiche, economiche e sociali potenzialmente enormi per il mondo nel suo insieme e per molti paesi singolarmente presi.
Questa crescita esponenziale, visibile dal Grafico 1.1, è stata determinata da fattori demografici, come la diminuzione dei tassi di mortalità e l'aumento della speranza di vita della popolazione, dovuti al miglioramento dell'igiene, della sanità e del tenore di vita.

Grafico 1.1 – Popolazione mondiale 1950-2050
In questo elaborato sarà affrontato un problema che riguarda la popolazione umana da vicino, ma che purtroppo viene sempre più trascurato, ovvero la relazione tra demografia e sviluppo economico. Entrambi sono fondamentali per la crescita di un Paese, in quanto ne determinano lo sviluppo.

















2.- Transizione Demografica
Il concetto-chiave usato dai demografi per spiegare queste enormi e rapidissime trasformazioni è la "transizione demografica", cioè il passaggio dal regime demografico tradizionale, basato su alti livelli sia di natalità sia di mortalità, soprattutto infantile, al regime demografico moderno, che è viceversa caratterizzato dai bassi livelli sia delle nascite sia dei decessi. La transizione demografica passa attraverso due fasi: nella prima si verifica una forte crescita della popolazione, perché la mortalità inizia a calare prima della natalità; nella seconda fase della transizione demografica la crescita rallenta, fino ad azzerarsi. Va sottolineato che è la crescita a diminuire, non la popolazione in termini assoluti: questa continua a crescere, sia pure più lentamente, perché il calo della mortalità consente a molte più persone di vivere molto più a lungo.
La transizione demografica dipende da fattori diversi (i progressi agricoli, il modello di vita urbano e industriale, la scolarizzazione, e altri processi a questi connessi, primo tra tutti l'emancipazione femminile) che nel loro insieme vengono chiamati modernizzazione. Come noto, essa ha riguardato per primi i paesi economicamente avanzati del cosiddetto "Nord del mondo" (Europa, Nord America, Giappone, Australia); solo in seguito, e con tempi e ritmi molto diversi, essa ha coinvolto i paesi poveri del cosiddetto "Sud del mondo" (Asia, Africa, America Latina).
Nel "regime demografico tradizionale", cioè dalla rivoluzione neolitica fino alla metà del Settecento in Europa (ma fino al Novecento, nel resto del mondo), la crescita della popolazione era lenta e discontinua: mediamente, ogni donna generava 5-6 figli, ma oltre la metà di essi moriva in età infantile o prima di arrivare all'età adulta. A un'alta natalità corrispondeva perciò un'alta mortalità, soprattutto infantile, per cui la popolazione era composta in gran parte da giovani: tra i molti che nascevano, pochi diventavano vecchi. Inoltre, la popolazione aumentava lentamente perché le fasi di crescita demografica (legate a un aumento di risorse alimentari disponibili) erano seguite da drammatiche fasi di calo, dovute a carestie alimentari e a epidemie di malattie infettive.
Partendo da questi presupposti, viene posta l'attenzione sulle caratteristiche e sulle differenze della transizione demografica dei PSA e dei PVS, rappresentata nel Grafico 2.1.


Grafico 2.1 – Transizioni demografiche a confronto: incremento dei Paesi ricchi e poveri (1700-2000)




2.1.- La transizione nel Nord del mondo (PSA)
La prima fase della transizione demografica, cioè un intenso e prolungato aumento della popolazione, iniziò in Europa occidentale nella seconda metà del Settecento e si estese all'Europa orientale e meridionale nel secondo Ottocento. Tale aumento fu dovuto al fatto che la natalità rimase alta ma la mortalità diminuì, a causa della scomparsa della peste, dell'aumento delle risorse alimentari, poi delle migliorate condizioni igieniche delle città.
Poi, dall'inizio del Novecento (anche prima, in Europa nord-occidentale; ma solo dopo la Prima guerra mondiale nell'Europa orientale e meridionale), iniziò la seconda fase della transizione demografica, cioè il progressivo rallentamento della crescita. Ciò fu dovuto al fatto che, mentre proseguiva il calo della mortalità (ora dovuto soprattutto ai progressi medico-sanitari), iniziò a rallentare anche la natalità, per cause legate all'industrializzazione e all'urbanizzazione: mentre per i contadini i figli costituivano, già dall'infanzia, utili braccia da lavoro nei campi, in città essi diventavano bocche da sfamare, tanto più costose quanto più si diffondeva la scolarizzazione obbligatoria e venivano posti limiti al lavoro minorile in fabbrica. Man mano che aumentarono i figli che sopravvivevano, i genitori iniziarono a generarne un numero minore. Ciò fu al contempo causa ed effetto di una grande trasformazione della mentalità e dei comportamenti, in cui ebbe un ruolo fondamentale la progressiva emancipazione femminile, nella seconda metà del Novecento: si passò da un sistema di procreazione naturale a forme sempre più efficaci di controllo e di programmazione delle nascite (la "pillola" contraccettiva iniziò a diffondersi negli anni '60). In tutta Europa il calo della natalità iniziò negli anni '20 e fu molto forte durante la Seconda guerra mondiale. Dopo una temporanea inversione di tendenza dal dopoguerra agli anni '60 (il cosiddetto "baby-boom"), la natalità tornò a calare fino a toccare negli anni settanta la cosiddetta "crescita 0", cioè un equilibrio al ribasso tra nati e morti, in tutto il Nord del mondo: così si concluse la transizione, che instaurò il regime demografico moderno.













2.2.- La transizione – incompleta – nel Sud del mondo (PVS)
Nel Sud del mondo, la grande crescita legata alla prima fase della transizione demografica iniziò, come si vede nel Grafico 2.2.1, nella prima metà del Novecento – proprio quando nel Nord stava rallentando – e si manifestò soprattutto tra gli anni '50 e i '70, cioè in un arco di tempo molto più breve e in modo molto più intenso di quanto era accaduto nel Nord. Ciò accadde per effetto di due fenomeni combinati:
1. la mortalità diminuì rapidamente, a causa della diffusione dal Nord al Sud degli antibiotici e delle vaccinazioni contro le malattie infettive (anche se la mortalità è rimasta molto più alta che nel Nord);
2. la natalità continuò a essere alta, per il permanere di modelli culturali tradizionali, in società agrarie, basate su una forte subalternità delle donne, che iniziavano prestissimo (14-15 anni) a generare figli.
Si innescò così in quei paesi la cosiddetta "bomba demografica", cioè un enorme aumento della popolazione.

Grafico 2.2.1 – PVS nel 1950-1955 Grafico 2.2.2 – PVS nel 1995-2000

Poi, dagli anni '80-'90, anche in gran parte del Sud del mondo la natalità e la crescita della popolazione hanno cominciato a rallentare, cioè anche nel Sud è iniziata la seconda fase della transizione demografica, il cui andamento è visibile nel Grafico 2.2.2. Ciò si è realizzato però in tempi e con ritmi diversi: prima in Asia orientale e in America Latina; solo all'inizio del Duemila, e molto più lentamente, in Africa e nel Medio Oriente, dove la crescita demografica è tuttora alta.








2.3.- Nel duemila, una seconda transizione demografica?
Dagli anni '90 del Novecento è iniziata nel Nord del mondo quella che alcuni demografi definiscono"seconda transizione demografica", che caratterizzerà il XXI secolo. Essa consiste in un ulteriore declino sia della mortalità sia, soprattutto, della natalità, che dovrebbe avere come conseguenze, dalla metà del XXI secolo:
a) un calo della popolazione, più o meno intenso e rapido nei diversi paesi;
b) un intenso e "devastante" mutamento della sua struttura per età, con un forte invecchiamento della popolazione.
Ciò accade perché nel Nord del mondo, che aveva completato negli anni '70 la prima transizione demografica, il tasso di fertilità (e di conseguenza la natalità) ha proseguito a calare, ben al di sotto della media di due figli per donna che assicura il ricambio generazionale (cioè appunto la "crescita 0", la stabilità della popolazione).
Molti studiosi si sono dedicati all'analisi delle motivazioni che stanno alla base di questo fenomeno. Infatti, Shorter per primo (1975) individua due distinte rivoluzioni sessuali e contraccettive succedutesi nell'arco di mezzo secolo: la prima basata su metodi inefficienti, la seconda succeduta all'introduzione di metodi efficienti, che introduce a una società "perfettamente contraccettiva". Per Ariès (1980), invece, la 'doppia rivoluzione' è dovuta a uno slittamento nelle motivazioni. Il calo ottocentesco nella fecondità era ispirato dall'investimento parentale sulla qualità del figlio, parte di un più ampio processo di diffusione del way of life borghese. Il declino di fecondità degli anni Sessanta e Settanta poggia su una filosofia di vita centrata sull'adulto e sulla qualità della relazione di coppia. La tesi di Ariès è ripresa da van de Kaa (1987) e Lesthaeghe (1991), che indicano col termine "seconda transizione demografica" un processo di cambiamento relativo sia ai comportamenti demografici in senso stretto che ai modelli di 'family formation', che inizia in nord Europa nella seconda metà degli anni Sessanta, per poi diffondersi verso il Sud Europa, e che nelle regioni di origine è scomponibile in due periodi ben distinti:
Primo periodo, dagli anni '60 alla crisi petrolifera dei primi anni '70:
declino della fecondità a tutte le età (rivoluzione contraccettiva)
risalita dell'età al matrimonio, che interrompe un trend iniziato tra il 1880 e il 1920 nella più parte dei paesi occidentali
esplosione dei divorzi
Secondo periodo, dalla seconda metà degli anni '70:
recupero di fecondità oltre i 30 anni (miniboom delle nascite)
stabilizzazione ad alti livelli dei tassi di divorzio ma con diminuita probabilità di risposarsi
inizio della diffusione di nuovi modelli familiari: coabitazione preconiugale, unioni di fatto.
La seconda transizione demografica è, quindi, per Lesthaeghe lo sviluppo naturale della prima transizione demografica. La prima transizione demografica è letta come processo di graduale emancipazione dell'autonomia individuale dal controllo istituzionale instauratosi sulle società occidentali dal '500, tramite la diffusione del modo di vita borghese, e si realizza nella vita privata degli individui. Mentre, la seconda transizione demografica sarebbe un'ulteriore manifestazione di autonomia individuale, che prende ora forme pubbliche e si dirige contro ogni espressione di autorità istituzionale.

3.- La dimensione futura della popolazione
La dimensione futura della popolazione mondiale dipende molto dall'andamento dei tassi di fertilità e dal declino delle nascite in quei paesi in via di sviluppo che presentano ancora una natalità elevata.
Il Grafico 3.1 mostra le proiezioni demografiche delle Nazioni Unite relative alla popolazione mondiale sulla scorta di tre scenari: bassa, media e alta fertilità. Si noti che lo scenario di "bassa fertilità" assume che le donne abbiano solo mezzo figlio in meno a testa rispetto all'ipotesi di "media fertilità"; analogamente, rispetto a quest'ultima lo scenario di "alta fertilità" prevede appena mezzo figlio in più a donna. Ciò evidenzia come cambiamenti modesti nel presente producano impatti enormi nel futuro.

Grafico 3.1 – La traiettoria della popolazione mondiale dipende dalla fertilità futura.
Dal 1950 a oggi, il tasso totale di fertilità – ovvero il numero di figli per donna – è passato da circa 5 ad appena 2,5 (dal Grafico 3.2 si nota come il TFT sia diminuito gradualmente anche al di sotto del livello di rimpiazzo), e si prevede che arrivi a 2,2 entro il 2050 (Tabella 3.1).

Grafico 3.2 – Andamento del TFT dal 1950 ad oggi Tabella 3.1 – Previsioni TFR (TFT)
Questo crollo è dovuto principalmente alla migliore alimentazione, all'incremento del livello d'istruzione (specialmente tra le ragazze e le donne), agli interventi pubblici volti a migliorare gli standard igienici e la qualità dell'acqua, alla diffusione delle pratiche di pianificazione familiare e ai progressi della medicina, come l'uso di vaccini e antibiotici.
Nel Grafico 3.3 viene analizzata la longevità. Per la maggior parte della storia umana, la speranza di vita media degli individui non ha superato i trent'anni. Ma tra il 1950 e il 2010 l'aspettativa di vita è aumentata da 47 a 69 anni e si prevede che arrivi a 76 anni entro il 2050, con un divario considerevole tra i paesi industrializzati (83 anni) e quelli meno sviluppati (75 anni).

Grafico 3.3 – Aumento della speranza di vita nei PVS e nei PSA
Nell'ultimo report WHO- World Health Statistics 2015, infatti, si è analizzato tale aumento. Dalla Figura 3.1 si evince che la speranza di vita raggiunge i 70 anni in molti Paesi, superando gli 80 anni in Nord America, Europa e Giappone.

Figura 3.1 – Aumento della speranza di vita nel mondo
Questo è solo uno dei risultati che l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha reso noti nella pubblicazione "World Health Statistics 2015", che rappresenta la fonte ufficiale delle informazioni sullo stato di salute della popolazione mondiale e che dal 2005 viene pubblicato ogni anno. Il report contiene i dati provenienti da 194 Paesi su una serie di indicatori di mortalità, di malattia e relativi ai sistemi sanitari, tra cui la speranza di vita, le morti per malattie, i servizi e trattamenti sanitari, gli investimenti in materia di salute, così come i comportamenti e i fattori di rischio.


Altri risultati interessanti riguardano l'indice di mortalità neonatale per mille nati vivi, l'Italia passa dai 6 registrati nel 1990 ai 2 del 2013. Nel resto del mondo solo la Francia, l'Islanda, la Finlandia, il Giappone, il Lussemburgo e Singapore raggiungono il valore 1. Migliora anche l'indice di mortalità per gli adulti, ossia la probabilità di morte tra i 15 e i 60 anni di età per 1000 abitanti. In Italia, nel periodo 1990-2013, i dati si riducono fino quasi a dimezzarsi: per gli uomini, infatti, si è passati da 129 a 69 decessi, mentre per le donne il dato scende da 60 a 38.
























4.- Conseguenze
Fra le conseguenze di questo profondo mutamento vi è che il "centro di gravità demografico" si sta spostando dal mondo sviluppato ai paesi in via di sviluppo: oggi circa l'82% della popolazione mondiale vive in regioni che l'ONU classifica come "meno sviluppate", rispetto ad appena il 68% del 1950. La tendenza è destinata peraltro ad accentuarsi, perché quasi tutto l'incremento demografico previsto nei prossimi quarant'anni avverrà nei paesi in via di sviluppo. Questa dinamica è fonte di grandi preoccupazioni, dal momento che essi tendono a essere politicamente, economicamente, socialmente ed ecologicamente più fragili rispetto a quelli più sviluppati.
La Tabella 4.1 riporta l'elenco dei primi quindici Paesi al mondo per numero di abitanti. Attualmente, vi figurano tre paesi sviluppati: Cina, India e USA. Ma l'elenco è destinato a cambiare. Entro il 2050, l'India supererà la Cina, mentre il resto della classifica sarà composto esclusivamente da paesi in via di sviluppo. La Nigeria resterà il paese più popoloso dell'Africa, passando dall'7° al 4° posto su scala mondiale.

Tabella 4.1 – Primi 15 Paesi per popolazione nel 2015,2025 e 2050








5.- La crescita demografica in relazione allo sviluppo economico
Oggi ci si chiede che tipo di rapporto esista tra crescita demografica e crescita economica. Dagli anni sessanta ad oggi si sono affermate due correnti di pensiero.
La prima è quella neomalthusiana che in sostanza ripropone il tema di Malthus riguardo la scarsità nella disponibilità di risorse, soprattutto alimentari, ed il suo risvolto sui scenari di fame a livello di popolazione mondiale. Dall'altra parte c'è una visione ottimista di carattere essenzialmente liberista, secondo cui la crescita demografica è propulsiva per lo sviluppo economico. La studiosa Ester Böserup si è opposta alla visione malthusiana sostenendo che i metodi di produzione agricola dipendono dalle dimensioni della popolazione ed in tempi di difficoltà, spinta dal bisogno, la gente troverà il modo per aumentare la produzione di alimenti utilizzando la forza lavoro crescente.
Nonostante queste proposte, gli economisti non hanno mai chiarito quale fosse con certezza la correlazione tra le due variabili sotto esame; alcuni studi empirici svolti all'interno dei PVS mostrano una correlazione negativa tra crescita della popolazione e incremento del PIL mentre altri danno un risultato di non correlazione tra le due grandezze. Di fatto, al raddoppio della popolazione mondiale tra il 1960 e il 2000 ha fatto riscontro un analogo incremento del reddito medio globale, mentre l'aspettativa di vita non ha mai smesso di crescere. I cambiamenti nella struttura d'età della popolazione – il fatto cioè che cresca o diminuisca il numero di individui in una determinata fascia d'età, come gli ultrasessantenni o i minori di 16 anni – sono altrettanto importanti, perché alterano il rapporto tra popolazione attiva e pensionati. Questi mutamenti possono essere osservati nelle "piramidi demografiche", che mostrano la percentuale di popolazione per ogni fascia d'età.
Il grafico che segue (Grafico 5.1) illustra il cambiamento a livello globale, nei paesi più sviluppati e in quelli meno avanzati, con riferimento agli anni 1970, 2010 e 2050. Nel periodo 1970-2010, il fattore dominante è stato l'incremento delle persone in età da lavoro; nel periodo 2010-2050, sarà invece l'invecchiamento della popolazione.

Grafico 5.1 – Andamento piramidi dell'età 1970-2010-2050 (Regioni sviluppate: Europa, Nord America, Australia, Nuova Zelanda e Giappone; tutti gli altri Paesi rientrano nelle regioni meno sviluppate)
Quando si espande il segmento di popolazione in età da lavoro aumenta anche il potenziale di sviluppo economico, in una misura che può eccedere di molto la mera correlazione tra incremento demografico e crescita economica. Questo potenziale è noto come "dividendo demografico": una finestra di opportunità per una rapida crescita dei redditi e un'altrettanto rapida diminuzione della povertà. Qual è il modo migliore per mettere a frutto questo potenziale? Un'ampia evidenza suggerisce che gli strumenti principali sono gli investimenti per migliorare la sanità pubblica (acqua potabile, igiene e vaccinazione infantile), l'incremento dell'istruzione femminile e la diffusione della pianificazione familiare. Al momento vi sono oltre 200 milioni di donne nei paesi in via di sviluppo che non hanno accesso ai moderni strumenti di contraccezione: si tratta di donne sessualmente attive, che affermano di voler evitare o ritardare la gravidanza, ma che non usano alcuna pratica contraccettiva di comprovata efficacia. Sappiamo anche che il dividendo demografico produce i suoi effetti positivi in presenza di adeguate opportunità d'impiego economicamente produttivo per una larga parte della popolazione in età da lavoro. Viceversa, se vasti gruppi in età lavorativa sperimentano serie condizioni di disoccupazione o sottoccupazione, il cambiamento demografico può anche provocare disastri: vaste masse di disoccupati che non sono in grado di contribuire all'economia nazionale e devono quindi essere sostenute da chi un lavoro ce l'ha. In questo scenario, la svolta demografica può innescare una diffusa instabilità politico-sociale. Pertanto, in prospettiva, la gestione positiva del dividendo demografico implica l'adozione di sagge politiche occupazionali, finanziarie e commerciali.

















6.- Africa, Cina e India: problemi e atteggiamenti verso il fenomeno
Di seguito, vengono riportati tre casi concreti di azione politica da parte di Paesi in via di sviluppo.
L'Africa deve fare i conti con sfide demografiche particolarmente ardue. Le Nazioni Unite stimano che entro il 2050 la popolazione del continente passerà dal miliardo odierno a 2,2 miliardi di persone. Oggi l'Africa ospita appena il 15% della popolazione mondiale, ma nei prossimi quarant'anni peserà per il 49% dell'incremento demografico complessivo. Alla radice di questa crescita vi è un alto tasso di fertilità: 4,5 figli per donna, rispetto a una media globale di 2,5. In quattro paesi africani la fertilità supera addirittura i 6 figli per donna. Il risultato è una popolazione giovane: le persone sotto i 15 anni sono il 40%, contro una media mondiale del 27%. Alla luce delle difficoltà economiche che caratterizzano la maggior parte del continente, i governi locali dovranno compiere sforzi considerevoli per offrire valide prospetti- ve di lavoro a un così vasto numero di persone. Se non ci riusciranno, la popolazione è destinata con ogni probabilità a impoverirsi ulteriormente, con gravi conseguenze politiche e sociali. Ridurre la fertilità è dunque la sfida maggiore per l'Africa, dal momento che l'alto numero di figli per donna rappresenta la principale ragione del rapido incremento demografico. Affrontarla significa fornire strumenti di contraccezione alle donne che vogliono limitare il numero di figli o posporre le gravidanze, il che presuppone a sua volta che le leadership africane si impegnino in modo onesto e socialmente responsabile sul fronte del controllo delle nascite. In Africa la densità di popolazione è relativamente bassa. Un altro aspetto cruciale è l'innalzamento del livello d'istruzione della popolazione femminile: ciò è importante per molte ragioni, non da ultimo perché le donne istruite tendono ad avere meno figli. Anche gli investimenti per migliorare l'accesso all'acqua potabile, diffondere le pratiche igieniche e la vaccinazione infantile sono importanti, al pari delle buone politiche finanziarie, commerciali e del lavoro.
Cina e India, Paesi in fase di grande sviluppo economico, si sono occupati già da tempo di trovare frettolosamente soluzioni attraverso l'applicazione estesa di politiche demografiche coercitive. La grande rilevanza di India e Cina rispetto a questo problema non sta solo nella loro dimensione demografica e nella loro importanza economica ma anche nel fatto che sono stati i due primi paesi ad aver intrapreso politiche demografiche di stampo maltusiano. Il punto su cui discutere a tale proposito è relativo a quanto queste politiche demografiche abbiano avuto un effetto sullo sviluppo economico e sulla riduzione della fertilità. I diversi tentativi di riequilibrare la crescita attraverso politiche di "controllo delle nascite" hanno avuto un successo relativo: Se pure in Cina, il paese più popoloso del pianeta, il tasso di natalità è sceso tra il 1965 e il 1990 del 60%, in altri casi i ritmi di crescita della popolazione sono ancora molto elevati: Kenya 4,1%, Tanzania 3,7%, Congo ex-Zaire 3,2%, Pakistan 2,9%. L'India supererà la Cina in termini demografici a partire dal 2030, anno in cui la popolazione cinese inizierà una fase di declino demografico secondo le proiezioni delle Nazioni Unite. I tassi di fecondità sono infatti calati per entrambi i paesi ma con velocità diverse: l'India raggiungerà intorno al 2050 un TFR (tasso di fecondità totale) pari alla soglia di rimpiazzo, quando la Cina lo avrà già raggiunto da vent'anni. La speranza di vita si è mantenuta costantemente più alta in Cina anche se l'India incrementerà la speranza media di circa 7-8 anni entro il 2050. Questo complessivamente il dato dei due paesi demograficamente e ed economicamente più forti all'inizio del terzo millennio. Ma cosa ci insegna l'esperienza delle politiche demografiche di India e Cina per tutti i PVS? 
Se si considerano poi proprio i due colossi demografici e di crescita economica, Cina ed India, lo studio comparativo sulle politiche demografiche in Cina ed in India dimostra che l'approccio neomalthusiano esce sostanzialmente sconfitto dal dibattito. Le politiche economiche sono state alla base della crescita, mentre le politiche demografiche non sono risultate influenti sullo sviluppo né in India, dove fattori culturali politici e sociali sono stati più rilevanti e nemmeno in Cina, dove il calo della fertilità è stato necessario per la sopravvivenza e la distribuzione delle risorse. In sostanza, le tesi malthusiane di incompatibilità tra crescita demografica e crescita del reddito risultano confutate dall'evidenza storica nei due paesi. Più convincente risulta essere il ruolo delle politiche sociali in Cina (istruzione e sanità) come fattore ausiliario che ha contribuito a rallentare del ritmo di crescita demografica dopo gli anni '70.

























7.- Conclusioni
Si va, quindi, incontro a un mondo diviso tra un Nord sempre più vecchio, impegnato a raccogliere la difficile sfida di assistere e curare la propria popolazione anziana ogni giorno in aumento, e un Sud giovane, alle prese con una natalità non più pesantemente "contenuta" da una elevata mortalità infantile. È possibile che entro il 2050 la popolazione mondiale aumenti di ulteriori 2-3 miliardi di persone e che questa crescita sia quasi totalmente concentrata nel Sud del pianeta, mentre nei Paesi industrializzati un abitante su tre avrà più di 60 anni ed il numero dei pensionati potrebbe essere maggiore di quello degli occupati. Una simile prospettiva genera vari motivazioni su cui riflettere. L'invecchiamento della popolazione è fonte di numerose preoccupazioni per il futuro economico e sociale dei PSA, che saranno caratterizzati da una società anziana, cauta e conservatrice, che difficilmente promuoverà i cambiamenti necessari per stare al passo con il ventunesimo secolo. L'Europa ha visto crescere la percentuale di ultrasessantenni nella popolazione totale dal 15% nel 1960 a circa il 25% di oggi. L'ingresso nell'U.E. dei Paesi dell'Est europeo ha aggravato ulteriormente la situazione, perché con la loro transizione verso l'economia di mercato tali territori hanno conosciuto una crisi demografica impressionante e oggi hanno tassi di fecondità tra i più bassi d'Europa. Il protrarsi nel tempo di questa situazione e il contemporaneo aumento della speranza di vita fanno sì che l'indice di invecchiamento sia ovunque molto elevato, anche se esso assume pesi differenti tanto nei vari Paesi quanto nelle loro suddivisioni interne.
Il problema attualmente già presente con forza nei paesi industrializzati si riproporrà anche nei paesi in via di sviluppo ove la sua comparsa sarà tanto più vicina quanto più rapida sarà la caduta della fecondità.
Le forze in movimento sono impressionanti, ma esiste la possibilità di attrezzarsi politicamente, economicamente e culturalmente per fronteggiare i cambiamenti in atto, evitando di cadere in una forma neomalthusiana di pessimismo. Ed è in ogni caso necessario riconsiderare l'insieme dei rapporti economici, culturali e finanziari tra paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo.












ELENCO GRAFICI E TABELLE
Tabella 1.1: Popolazione stimata e prevista. (Population of the Department of Economic and Social Affairs of the United Nations Secretariat (2009). World Population Prospect: The 2008 Revision. United Nations).
Grafico 1.1: Popolazione mondiale 1950-2050. (World Population Prospects: The 2008 Revision. United Nations).
Grafico 2.1 – Transizioni demografiche a confronto: incremento dei Paesi ricchi e poveri (1700-2000). (M. Livi Bacci, Storia minima della popolazione del mondo. Bologna. Il Mulino).
Grafico 2.2.1 – PVS nel 1950-1955. (Livi Bacci 2005).
Grafico 2.2.2 – PVS nel 1995-2000. (Livi Bacci 2005).
Grafico 3.1 – La traiettoria della popolazione mondiale dipende dalla fertilità futura. (Population of the Department of Economic and Social Affairs of the United Nations Secretariat (2011). World Population Prospect: The 2010 Revision. United Nations).
Grafico 3.2 – Andamento del TFT dal 1950 ad oggi. (Population of the Department of Economic and Social Affairs of the United Nations Secretariat (2011). World Population Prospect: The 2010 Revision. United Nations).
Tabella 3.1 – Previsioni TFR (TFT). (Population of the Department of Economic and Social Affairs of the United Nations Secretariat (2011). World Population Prospect: The 2010 Revision. United Nations).
Grafico 3.3 – Aumento della speranza di vita nei PVS e nei PSA. (Population of the Department of Economic and Social Affairs of the United Nations Secretariat (2011). World Population Prospect: The 2010 Revision. United Nations).
Figura 3.1 – Aumento della speranza di vita nel mondo. ( World Health Statistics, 2015).
Tabella 4.1 – Primi 15 Paesi per popolazione nel 2015,2025 e 2050. (Rielaborazione dati FAO).
Grafico 5.1 – Andamento piramidi dell'età 1970-2010-2050. (Population of the Department of Economic and Social Affairs of the United Nations Secretariat (2011). World Population Prospect: The 2010 Revision. United Nations).











BIBLIOGRAFIA
https://www.aspeninstitute.it/system/files/private_files/2012-04/doc/014-024-TRANSATLANTIC%20WATCH%20bloom%2056.pdf
http://www.sociologia.unimib.it/DATA/Insegnamenti/2_2231/materiale/demo.09%20-%20la%20seconda%20transizione%20demografica.pdf
http://www.unisa.it/secure/get/file/3.179.pdf/id/1720
http://www-3.unipv.it/webdsps/docenti/gerondi/matdid/Popolazione,%20sviluppo%20e%20migrazioni%20a.a.%202010-11/Lezione%203%20-%20La%20transizione%20demografica%20nei%20Paesi%20in%20via%20di%20sviluppo.pdf
http://www.novecento.org/dossier/mediterraneo-contemporaneo/le-transizioni-demografiche-nel-mondo-e-nel-mediterraneo/
http://www.treccani.it/enciclopedia/transizione-demografica_(Enciclopedia-Italiana)/
http://www.pbmstoria.it/dizionari/storia_mod/p/p183.htm






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