\"Destructa atque dessolata\" Acerca del lugar de Sigüenza en época altomedieval (ss. V-XII)

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XLIII, 2016, pp. 363-382

Guillermo García-Contreras Ruiz

Paesaggi del Sale nei confini di al-Andalus: riflessioni sul settore centro-orientale della Penisola Iberica fra VIII e XII secolo

1.  L’INSEDIAMENTO E IL SALE COME PUNTO DI PARTENZA. RISORSE NATUR ALI E ARCHEOLOGIA DEL PAESAGGIO

Risulta imprescindibile parlare in primo luogo del concetto stesso di “insediamento”, giacché l’analisi delle società è stato scelto tenendo conto che l’analisi delle società umane non può svincolarsi dall’interazione tra questa e lo spazio naturale. Il paesaggio si conforma a partire da questa interazione-relazione che presenta delle caratteristiche peculiari in ogni momento storico dato che la sua configurazione dipende dalla capacità tecnologica, dalla struttura sociale e dal potere peculiari di ogni società. Se è vero che tutta l’attività sociale agisce sullo spazio fisico, le tracce che possiamo esaminare al suo interno ci permetteranno allora di individuare le vestigia di quelle stesse società nei diversi momenti della storia; allo stesso tempo, dato che ogni società ha caratteristiche diverse, la manipolazione dello spazio fisico sarà differente da parte di ciascuna di esse, e differenti saranno i segni individuabili oggi. I cambiamenti e le discontinuità nei paesaggi, pertanto, dovrebbero permettere di stabilire un collegamento con quei cambiamenti nei sistemi sociali, economici e politici del periodo storico che potrebbe interessarci. Si pensa che tra il mondo tardoromano e quello andalusí, e tra al-Andalus e l’organizzazione feudale castigliana, trattandosi di società qualitativamente distinte, lo sfruttamento della risorse naturali non sia stato necessariamente lo stesso, e pertanto, è lecito supporre che neanche l’organizzazione e la gestione del territorio lo siano state. Per tutte queste ragioni si propone un cammino a ritroso: partiamo delle impronte nei paesaggi presenti come approccio alle società del passato. Dato che indagare esaustivamente tutto il paesaggio, con tutte le sue variabili, avrebbe richiesto anni di lavoro, è stato necessario circoscrivere adeguatamente l’argomento di studio: l’insediamento in relazione ad una risorsa naturale in particolare, il sale. Per insediamento si intende la creazione di un’organizzazione sociale nello spazio attraverso i luoghi di frequentazione umana. Questa frequentazione può avere diverse intensità, dalla stabilità degli insediamenti stessi o degli spazi produttivi, alle eventuali vie di comunicazione, passando dalla necessità di fronteggiare situazioni concrete come sarebbe potuto essere un attacco rivolto a torri, castelli o altri tipi di rifugio. Tutti questi elementi formano potenzialmente l’insediamento, poiché attraverso la loro continuità nel tempo, il loro abbandono, l’occupazione di nuovi luoghi o la trasformazione di altri si possono registrare le trasformazioni sociali ed economiche che costituiscono la vera essenza della Storia. Nell’alto Medioevo, per quello che sappiamo in modo ge­ nerale sulla Penisola Iberica, si osserva come l’economia abbia sperimentato una palese evoluzione. È noto che in epoca tardoromana la produzione locale era centralizzata e controllata direttamente dal potere imperiale; in epoca successiva, viceversa, si arriva alla formazione di piccole unità territoriali che basano la propria ricchezza sulla produzione locale e su forme di scambio più limitate e ridotte rispetto al periodo anteriore – e in ogni caso lungi dallo sperimentare un accentramento produttivo e

Negli ultimi anni il fulcro d’attenzione della ricerca archeo­ logica sul Medioevo si è spostato dall’oggetto al contesto, quasi sempre con un’ampiezza cronologica e una metodologia ampia e olistica che hanno permesso d’integrare fonti di diverso tipo, senza che necessariamente si completassero le une con le altre. Ci riferiamo alla nota “Archeologia del Paesaggio”, in cui il punto teorico di partenza è considerare che l’archeologia ha come oggetto di studio la materialità risultante dalle attività umane nello spazio fisico, che lo alterano e lo condizionano a seconda delle necessità sociali (Cambi 2011; Orejas, Ruiz 2013). Queste necessità, nelle società complesse come quelle medievali, vanno ben oltre la mera sussistenza, poiché le azioni, sullo spazio fisico, non si limitano unicamente alle attività destinate al consumo e alla sopravvivenza, cioè alla produzione e alla riproduzione, ma includono anche azioni complesse di carattere simbolico e ideologico (Ingold 1993, pp. 156-157) come, per esempio, il tracciato immaginario di una frontiera che crea un “noi” rispetto ad un “altri” o altre azioni proprie della costruzione di un territorio. Nonostante ciò, il nostro obiettivo adesso è analizzare solamente una parte di tutto l’aspetto materiale di queste attività. Nella ricerca da cui parte quest’articolo, l’obiettivo è stato analizzare l’organizzazione dell’insediamento ed il suo collegamento con lo sfruttamento delle risorse naturali, soprattutto il sale, nella zona centrale della Penisola Iberica all’epoca della dominazione di Al-Andalus (García-Contreras 2013a). Per questo si è cercato di utilizzare tutte le fonti d’informazione disponibili: le fonti scritte, la cartografia storica, la toponomastica, i risultati della ricognizione archeologica, le anomalie percettibili attraverso la fotografia aerea più e meno recente e lo studio delle ceramiche raccolte in superficie. Tutto ciò è stato collegato, dove possibile, all’ambito geografico, che più che un contesto ambientale, è stato un vero e proprio soggetto d’osservazione. In questo modo si è cercato di applicare i principi della così detta “archeologia del paesaggio” allo studio delle saline 1. Nonostante ciò, date le limitazioni derivate dalla mancanza di studi precedenti, l’assenza di scavi archeologici, l’impossibilità finanziaria e amministrativa di eseguire le analisi sul campo e la mancanza di specialisti in molte altre tecniche e discipline, il concetto di “paesaggio” risulta probabilmente troppo vasto rispetto al grado di conoscenza che si riesce a raggiungere. Per questo risulterà forse più opportuno parlare di analisi dell’insediamento in relazione alle risorse naturali come punto di partenza, pur avendo sempre in mente il concetto di “paesaggio”. *  Ricercatore postdoc. University of Reading (Regno Unito) / Universidad de Granada (Spagna) ([email protected]). 1   Per lo studio delle saline dal punto di vista dell’“archeologia del paesaggio”, siamo totalmente debitori dei postulati di Malpica 2005, 2008a, 2008b.

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note e discussioni istituzionale come in epoca romana – sebbene fossero obbligate al pagamento di una serie di tributi a chi gestiva le istituzioni statali (sulla situazione economica della zona centrale della Penisola Iberica, v. Vigil-Escalera, Quirós 2013): si tratta di un importante cambiamento di prospettiva (Escalona 2011). La configurazione di al-Andalus, l’arrivo di nuove popolazioni e l’adattamento degli insediamenti già esistenti, sono fattori che rendono imprescindibile l’analisi del legame che uní le comunità rurali e lo Stato e della nascita del punto di unione tra di essi, ossia le città che si svilupperanno dalla fine dell’epoca altomedievale (Malpica 2010). È il momento, inoltre, della diffusione in gran parte della Penisola Iberica di un agroecosistema nuovo rispetto al preesistente, caratterizzato da un uso sistematico dell’agricoltura irrigata (Barceló, Kirchner, Navarro 1996; Malpica 2012), ma che in termini generali implicò anche una nuova gestione del bestiame, dei boschi e anche dell’acqua che non era dolce, e che per questo probabilmente fu concausa dell’inizio dell’attività economica d’estrazione legata ad alcune delle saline della zona centrale della Penisola. Inoltre, quando si analizzano i fattori che influirono sull’organizzazione del popolamento, dobbiamo tener conto della specificità di questo territorio che fu per molto tempo – ma non sempre – zona di frontiera, e che per questo sperimentò un doppio processo: la necessità di affermare l’appartenenza ad un determinato gruppo e il bisogno impellente di dotarsi di strumenti e strategie di difesa. Quest’analisi dell’insediamento si concentra quindi su due fronti: da una parte, lo studio degli insediamenti umani e, dall’altra, quello degli spazi non residenziali trasformati dall’uomo, ossia gli spazi produttivi, legati alle sue attività economiche e soprattutto agricole, com’è stato già rilevato (Kirchner 2010). Ciò nonostante, le attività agricole non erano le uniche occupazioni della popolazione rurale. Date le specifiche caratteristiche dell’area scelta per lo studio, troviamo nello sfruttamento delle risorse saline un vettore essenziale. L’importanza del sale è notoria indipendentemente dalle coordinate geografiche o cronologiche che si prendano in considerazione; e lo è specialmente per quanto riguarda alAndalus, dove questo prodotto veniva usato sia per la conservazione delle eccedenze agricole, prodotte, permettendo la loro commercializzazione, sia per il commercio di bestiame e l’uso alimentare o quello farmacologico (García-Contreras 2011). Ciò nonostante, le attività produttive legate all’estrazione del sale sono state oggetto di pochissimi studi storiografici, per lo più dedicati all’organizzazione delle società rurali impegnate in esse. L’analisi della ‘storia del sale’ è stata affrontata con diversi approcci, essendo particolarmente importanti quelli riguardanti la fiscalità e il controllo della produzione, giacché questo stesso controllo generò un’abbondante documentazione scritta, al fine di monopolizzare il sale e di controllare la sua circolazione (Hocquet 1984). Per quanto riguarda il sale in al-Andalus le fonti scritte non ci permettono di disporre d’informazioni sufficienti, poiché i testi arabi si riferiscono solamente ad aspetti molto generali, soprattutto relativi al consumo (García-Contreras 2011, 2012a), e non contengono dettagli relativi agli spazi produttivi, a parte alcune forme di controllo e contratti di locazione di saline (Echevarría 2010). La documentazione posteriore alla conquista cristiana, riflette un metodo di controllo dei benefici economici della produzione per i nuovi poteri che ha dissimulato in gran misura quello che probabilmente succedeva in una fase anteriore (Espejo 1918-1919; Pastor de Togneri 1963; Ladero 1987; García-Contreras 2013b; Ortego 2013). Grazie ai precedenti studi condotti soprattutto nel sud della Penisola Iberica, come a Siviglia (González, Valor 1997;

García-Dils et al. 2009), Cadice (López Sáez et al. 2002; Martín 2008), Jaén (Quesada 1995, 1996; Rordríguez 1998) o Granada (Malpica 2005, 2008a, 2008b) sappiamo che, al di là della produzione costiera di sale, nell’entroterra di al-Andalus le saline erano molto diffuse. Dal punto di vista tecnico, le saline dell’entroterra avevano un funzionamento tutto sommato simile all’agricoltura d’irrigazione (Malpica 2008b); tuttavia, dal punto di vista legislativo, esse erano considerate come un’attività mineraria (Echevarría 2010). La salamoia si ricavava da fiumi o torrenti di acqua salata, o si estraeva dal sottosuolo tramite pozzi. Poi veniva immagazzinata in grandi bacini fino ai mesi estivi, quando, attraverso canali, si convogliava in grandi stagni di scarsa profondità. Qui, grazie al calore, al vento, alla pendenza e ai lavori di rastrellamento, l’acqua evaporava ed il grano di sale giungeva a concentrazione. Potevano essere ottenuti uno o due raccolti ogni estate, solo eccezionalmente tre. Dopo questo passaggio, il grano veniva stoccato in grandi magazzini protetti in modo che pioggia e vento non distruggessero i grani di sale, e da qui, il prodotto veniva portato ai mercati e alle zone di consumo con mezzi a trazione animale. La ricerca presentata in queste pagine vuole proporre una prospettiva differente rispetto ai precedenti studi sul sale che si concentravano per lo più sulle questioni fiscali legate alla produzione e al commercio del sale. Questo lavoro, invece, parte dall’analisi sul campo e prende in considerazione lo studio delle evidenze materiali. Lo scopo è collegare il sale, come risorsa, ai prati alofili e ai luoghi da cui questo prodotto potrebbe essere stato estratto. A tal fine si prendono in considerazione i siti di cronologia andalusí, anche se alcuni di essi sono stati datati solo attraverso i riferimenti scritti o l’analisi della ceramica di superficie. L’analisi si riferisce ad un territorio, quello del nord di Guadalajara, che conta pochissimi studi sul periodo andalusí, la maggior parte concentrati sul ruolo di questo territorio come frontiera tra cristiani e musulmani (Pavón 1984; García-Soto 2005; Daza 2007b; García-Soto, Ferrero 2014); solo pochi altri lavori prendono in considerazione lo studio dei terreni agricoli, come le saline, e tuttavia non entrano nello specifico (Fernández 2001; Echevarría 2009). Come spiegato di seguito, lo studio archeologico delle saline ubicate nella zona centrale della Penisola Iberica non ha offerto grandi risultati. Solo lo studio delle saline di Espartinas a Ciempozuelos (Madrid) ha fornito dati sull’estrazione del sale (Ayarzagüena, Carvajal 2005; Montoro, Carvajal 2005; Valiente Cánovas 2005), ad esempio sui sistemi operativi dalla Preistoria al Medioevo. Rimane comunque tutta da analizzare la relazione tra l’insediamento e lo sfruttamento delle risorse naturali della zona, e nella fattispecie del sale (alcuni suggerimenti per l’area di Madrid in epoca altomedievale in Vigil-Escalera, Quirós 2013, p. 385). Nel settore centroorientale dalla Penisola, lo studio archeologico sulle saline non ha permesso di ricavare nessun dato anteriore al XVIII secolo, quando vi è stata una riforma generale di tutte le saline che ha compromesso definitivamente le strutture di estrazione delle epoche precedenti (nel presente studio si analizzerà il caso delle saline di San Juan). Per questo, volendo analizzare il periodo medievale, risulta inevitabile fare riferimento alla toponomastica e alla documentazione scritta. Per quanto riguarda l’indagine archeologica degli insediamenti andalusí, non si dispone di documentazione proveniente dagli scavi, con l’eccezione della città di Medinaceli (Gómez 1996; Bueno 2010), i villaggi di Los Casares e quello di Torete (García-Soto, Ferrero 2002, 2007; García-Soto, Ferrero, Guillén 2004; Retuerce 1984), e della Torre de la Quebrada (García-Soto, Ferrero 2008) . In altre parole, degli oltre cinquanta insediamenti andalusí rilevanti

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note e discussioni in questo ambito, si dispone solamente della documentazione relativa a quattro scavi. Gli altri insediamenti sono invece stati analizzati solamente attraverso indagini archeologiche di superficie: la loro cronologia è stata realizzata a partire dal confronto tra i materiali raccolti senza effettuare scavi e le ceramiche provenienti da siti che sì sono stati oggetto di scavi stratigrafici e sequenze ben analizzate, in particolare quelli più vicini come Medinaceli (Gómez 1996; Bueno 2010), Guadalajara (Serrano et al. 2004; Serrano, Torra 2008) o la fase più recente di Recopolis (Sanz Paratcha 2008). Inoltre sono stati utilizzati gli studi che confrontano i materiali in provincia di Guadalajara con le regioni limitrofe di Madrid e Cuenca (Retuerce 1994, 1995; Olmo 2011; Serrano et al. 2016).

un insediamento medievale originario al momento dell’avanzamento della colonizzazione e del feudalesimo da parte dei regni cristiani spinti dall’idea di Reconquista su un presunto territorio deserto. Il problema era che il periodo andalusí era considerato antecedente alla storia degna di essere conosciuta e raccontata: quella del feudalesimo e della cristianizzazione del territorio. Uno studio esauriente della documentazione e della topo­ nomastica unito ai dati archeologici (ricognizione superficiale, studi di reperti ceramici e architetture comparate con quelli che provengono da scavi stratigrafici) 3 ci hanno permesso di delineare un’immagine storica di quest’area molto differente da quella formulata in precedenza. Le diverse valli dell’area orientale del centro peninsulare non furono solamente confine tra al-Andalus e la Cristianità. Nella fase iniziale di al-Andalus, il territorio rientrava probabilmente nella provincia araba (cora) di Santaver (Olmo 2011); sebbene il rapido insediamento di gruppi berberi, soprattutto della famiglia dei Banū Sālim, e il loro forte insediamento, fornirono alla regione una potente personalità (Manzano 1991, pp. 150-163; De felipe 1997, pp. 220-225; Bueno 2012). Così all’epoca dell’emirato si arrivò a delegare una serie di responsabilità amministrative non ancora del tutto chiarite in questa famiglia, conosciuta nelle fonti arabe come il territorio di frontiera dei Banū Sālim, sebbene integrata nella al-T-ag-r al-Awsat. o Marca Media (Al‘Ud- rī 1967, p. 471). Il dominio di questa famiglia si estese da Madinaceli a Madrid; Alcalá de Henares, Guadalajara e Atienza erano alcuni dei suoi nuclei più importanti. La valle di Henares può essere considerata la zona centrale di questa regione, con il fiume Jalón da una parte e i fiumi Jarama e Manzanares dall’altra come estremi rispettivamente a nordest e a sudovest. Il ruolo di capitale in questo territorio di frontiera passò da Guadalajara a Medinaceli nel X secolo, mentre nel periodo del Califfato, tutto il nord dell’attuale provincia di Guadalajara ed il sud di Soria furono oggetto di una particolare attenzione da parte dello Stato andalusí (Manzano 1991, pp. 150-163). Ciò è attestato sia dalle frequenti visite dei califfi in questa regione di al-Andalus, soprattutto di Abd al-Rah.mān III, sia dalle nomine ufficiali di diversi governatori per il controllo del territorio che aveva come sede centrale Atienza; tra i governatori nominati, Galīb fu senza dubbio il più celebre (Ávila 1981). In questo periodo il potere centrale cercò di intensificare la propria presenza sul territorio e di indebolire la famiglia berbera stabilitasi in questo territorio precedentemente; tuttavia, malgrado gli sforzi di cui si parlerà più avanti, non si arrivò mai a un accentramento significativo. Forse per questo, e per l’indebolimento della legittimità dei Banū Sālim, dopo la caduta del califfato in epoca Taifa non si arrivò mai a formare un regno autonomo: il territorio continuò a gravitare intorno ai centri di potere di Toledo e di Sarragozza. Neanche alla fine del IX secolo, peraltro, cadrà sotto il dominio degli Almoravidi. Una parte di questo territorio, ossia il settore nordoccidentale, più soggetto al potere centrale, cade in mani castigliane quando Alfonso VI conquista Toledo nell’anno 1086. Si tratta della zona di Atienza, sede importante del potere omayyade che verrà considerata una madina (città) nel secolo X (Ibn H.ayyān 1981: p. 110); si segnalano a questo proposito prove archeologiche non ancora analizzate con scavi, ma semplicemente studiate, almeno per ora,

2.  CONSIDER AZIONE SULL’INSEDIAMENTO ANDALUSÍ DEL SETTORE CENTRO-ORIENTALE DELLA PENISOLA IBERICA L’uso acritico della documentazione scritta ha avuto come conseguenza un’eccessiva semplificazione della storia di questa regione della Marca Media – nome dato al confine nel centro della penisola in epoca di al-Andalus – (Manzano 1991, pp. 150-163). Inoltre, il fatto che in questa zona non siano state realizzare campagne di scavo ha fatto sì che la storia del nord di Guadalajara relativa a questo periodo sia stata interpretata solamente alla luce di studi storiografici il cui fulcro erano da un lato lo spopolamento, dall’altro la militarizzazione della zona. Entrambi questi elementi d’interpretazione, spopolamento da un lato e militarizzazione della frontiera dall’altro, sono parte di quella sorta di sindrome manginot che affligge lo studio della frontiera medievale 2. Non si tratta, evidentemente, di negare la peculiarità di questa zona di confine: si è constatato che gli attacchi militari in un modo o nell’altro si succedettero (vd. García-Contreras 2013a, pp. 211-248). Tuttavia, l’importanza che hanno gli avvenimenti bellici a partire dal X secolo, e con essi l’attenzione data tanto alla documentazione medievale scritta quanto agli studi storiografici più recenti (compresi quelli che si concentrano sull’analisi dei resti materiali come Alejandre 2014), hanno contribuito a mantenere nell’oblio sia i periodi precedenti, sia il resto della storia di questo territorio. Così, il silenzio delle fonti scritte si considerava prova dello spopolamento, ed alcuni resti architettonici erano esempi ulteriori delle fortificazioni realizzate dal potere omayyade come reazione alla presenza castigliana nel vicino valle del Duero al nord. Letture come questa, che come detto hanno interessato diverse parti del centro peninsulare, si stanno superando. All’archeologia, e in misura minore alla toponomastica, dobbiamo la scoperta e l’inserimento nel dibattito storico dell’esistenza di zone abitate tanto al nord come al sud del valle del Duero durante l’occupazione islamica. Se da un lato quindi si staglia inevitabile l’immagine cristallizzata di una frontiera spopolata e militarizzata, dall’altro, non appena si riduce la scala di studio, ci si rende conto che la realtà è molto più complessa, che non tutte le torri nacquero come vedette e che alcuni nuclei ebbero un carattere quasi urbano, pur senza evolvere in città. E soprattutto, l’esistenza di un popolamento rurale denso comportò molto probabilmente la creazione di alcuni paesaggi determinati, a partire dalla produzione agricola e dall’allevamento. Viene quindi meno l’idea di

3  La metodologia prescelta è di scarso interesse giacché non risulta particolarmente originale; di fatto, figura in studi di Archeologia del Paesaggio già classici. È ad esempio descritta in García-Contreras 2013a, pp. 193-203 per quanto riguarda l’uso delle fonti scritte; pp. 307-331 per la ricognizione e l’uso dei GIS; pp. 490-506 per l’integrazione dei dati paleoambientali; ed infine pp. 522-533 e 610-626 per l’analisi della ceramica, sia tipologicamente o considerando la sua tecnologia.

2   Espressione usata da Bazzana 1992, pp. 107 e 388. Afferma inoltre Bazzana: «Raisonner uniquement en termes de ‘systèmes de défense’, de ‘réseau castral’ intégré, donc de stratéfies des appareils d’Ètat conduit parfois l’historien à une déformation volontaire du ‘paysage’ histórico-archéologique et des données de la documentation» (Bazzana 1992, pp. 266-267).

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note e discussioni

fig. 1 – Mappa del area dei Banū Salīm tra Madrid e Medinaceli, con i principali siti menzionati nel testo. I quadri indicano l’area studiate nel testo.

fig. 2 – Riba de Santiuste nel’inizio del fiume Salado (affluente del fiume Henares): Esempio di un possibile distretto castrale con un castello (h.is.n) e numerosi villaggi nei dintorni (qarya, pl. qurá).

attraverso ricognizioni superficiali e studi di reperti ceramici da superficie (Pavón 1984, pp. 62-67; Valiente, Cuadrado 1988; García-Contreras 2013a, pp. 965-965). In ogni caso, il resto del territorio non viene inglobato automaticamente nel sistema feudale, ma anzi resiste addirittura un altro mezzo secolo, fino a quando, nel 1124, viene conquistata l’area di Sigüenza e nel 1129 Alfonso I re di Aragona conquista le aree di Medinaceli e Molina de Aragón. Questo ritardo rispetto alla conquista delle aree limitrofe si giustifica per due ragioni: il suo scarso urbanesimo e la forte ingerenza dei poteri locali, che fino ad allora erano passati inosservati. Come abbiamo potuto osservare in questa breve descrizione, la zona orientale della Marca Media comincia ad essere frontiera militare contro i regni cristiani intorno al X secolo. La nostra interpretazione dei dati storici e archeologici ha portato ad affermare che nell’VIII e IX secolo ma anche fino al XII secolo, l’area in questione era un territorio occupato e sfruttato da comunità rurali con una forte coesione, una certa omogeneità e una gerarchizzazione sociale propria delle società complesse

(García-Contreras 2013 e 2016). Questo insediamento prevalentemente contadino è il risultato di un processo di trasformazione lento e graduale, che cominciò nell’VIII secolo con l’arrivo di gruppi di famiglie arabe e berbere, anche se il loro numero e il loro impatto è, per il momento, impossibile da stabilire. Nonostante ciò, vi era una sopravvivenza dell’insediamento precedente, che dobbiamo considerare mozarabico, data la presenza di testimonianze che attestano la pratica del cristianesimo che a loro volta fanno riferimento alla sopravvivenza nominale dell’episcopato seguntino almeno fino all’858 (Eulogio de Córdoba 1973, p. 500), e considerata l’attestazione archeologica di necropoli con tombe rupestri di rito cristiano. Su quest’insediamento, sia per far fronte alle possibili rivolte sia per evitare l’“effetto contagio” dalla città di Toledo sempre ribelle (Manzano 1991, p. 250; Acién 1999, pp. 55 e 62; Olmo 2002, pp. 473-474), s’impose il controllo di una tribù che alternava l’alleanza al potere centrale con un’aperta ribellione nei suoi confronti. Ci riferiamo ai Banū Sālim, citati precedentemente. Furono questi berberi che con un’eminente instaurazione locale,

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note e discussioni

fig. 3 – Torre di Estriégana. A sinistra vista generale del sito; a destra dettaglio della sua architettura, fortemente modificata a causa di scarso interesse per la sua conservazione e la gestione da parte di proprietari privati e della amministrazione. Sotto, i limiti del possibile villaggio all’intorno della torre secondo la dispersione ceramica.

e probabilmente in accordo con le precedenti élite tardoantiche (Chalmeta 2003, pp. 206-213) finirono col dare origine a quelli che possiamo definire “poteri locali” (García-Contreras 2016). Averne notizia attraverso la documentazione è difficile, ma non lo è se si ricorre all’indagine archeologica. Le sedi del potere dei Banū Sālim s’identificano a partire dalla proliferazione degli insediamenti in altura che abbiamo documentato nelle ricognizioni di superficie, sia per le evidenze architettoniche antiche in alcuni castelli come Atienza o Riba de Santiuste, sia per le prove topografiche di strutture sepolte sulle cime di alcune montagne e colline; in questi luoghi, attraverso un’analisi superficiale, è possibile reperire ceramiche databili per comparazione con altre ceramiche provenienti da sequenze stratigrafiche, com’è il caso di Santamera. La maggior parte di questi centri sorgerà

già a partire dell’IX secolo, molti come rioccupazioni di castra dell’età del Ferro, e alcuni consolideranno il proprio ruolo nel X secolo (Olmo 2002, pp. 473-482; Bueno 2008; Malpica, García-Contreras 2010). Questi castelli, salvo eccezioni come Atienza, non sembrano essere sedi del potere centrale, in quanto non vengono citati dalla documentazione scritta, non hanno un’omogeneità architettonica e non si trovano in siti di grande visibilità o accanto a strade principali dell’epoca. Invece, la loro organizzazione nel territorio, l’equidistanza tra gli uni e gli altri, e la loro posizione in ciascuna delle piccole subvalli, in rapporto con le aree potenzialmente adattate per l’agricoltura, forniscono una panoramica interessante sull’organizzazione spaziale, che è ulteriormente attestata da referenze nella documentazione scritta immediatamente successiva alla conquista feudale (García-

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note e discussioni Contreras 2012b). Si tratta di un modello che assomiglia ai distretti castrales, a partire dalla dualità h.is.n-qarya, ossia unità amministrative di dimensioni spaziali ridotte e definite dalla presenza di un insediamento in altura (il h.is. n) e da diversi insediamenti rurali (chiamati alquerías in spagnolo, dall’arabo qarya), ognuno con il suo spazio produttivo, alcuni con torri, identificato anni fa in altre zone di al-Andalus come (Bazzana et al. 1988), sebbene non debba essere considerato come unico in al-Andalus (Eiroa 2012, pp. 394-395), riappare in alcune regioni della Marca Media come il modello di organizzazione spaziale e di sfruttamento delle risorse naturali, soprattutto tra il X e l’XI secolo, quando la frontiera con i regni cristiani era più vicina almeno in quelle aree dove si sono effettuate analisi territoriali regionali combinando l’uso delle fonti scritte e l’archeologia: è il caso della vicina regione di Teruel (Ortega 1998 e 2008). Per quanto riguarda gli insediamenti in altura nelle valli dell’Alto Henares, in assenza di indagini archeologiche sistematiche, non si può confermare se questi fossero unicamente residenza delle élite locali o di governatori omayyadi, se avessero recinzioni per la protezione della popolazione e dei propri beni in caso di attacco o se funzionassero come granai fortificati. A seconda dei casi, la topografia degli uni o degli altri fornisce basi sufficienti a corroborare tutte queste diverse interpretazioni. Insieme a questi insediamenti in altura, l’altra prova della presenza dei poteri locali si riscontra nelle diverse torri quadrate, alcune ancora in piedi e altre individuabili attraverso la toponomastica (sul tema delle torre in al-Andalus vd. Acién 2006). L’eterogeneità delle costruzioni è sintomo della mancanza di un piano costruttivo prestabilito e sistematico. Alcune torri, come quelle di Bujarrabal o Barbatona, sono costruite con rocce squadrate disposte su corsi orizzontali e parallele per orizzontale, a base quadrata, con i blocchi alternati per testa e per taglio, secondo il noto stile delle costruzioni Omayyadi. Altri casi, come la torre de Los Casares, hanno paramenti in bozze disposti su corsi sub-orizzontali e paralleli. E per finire, ci sono alcune evidenze di torri come Membrillera, a pianta rotonda con paramento in pietre spaccate, spesso spezzate o di dimensioni ridotte, disposte su filari irregolari, con periodici filari di orizzontamento e in alcune parti disposte diagonalmente a “spina di pesce”. A questa eterogeneità si deve sommare la localizzazione topografica di tali costruzioni, molte delle quali furono edificate sulle medie pendenze senza grandi raggi di visibilità né interconnessione tra molte di loro. Le misure delle torri sono solitamente limitate, non superando quasi mai i dieci metri per lato. Per identificare la loro natura e funzione è dunque necessario tener conto di queste caratteristiche; tra l’altro in molte di esse, ad esempio nella Torre, come per esempio Torre de Membrillera, sono state identificate delle strutture di stoccaggio scavate nella roccia, tipo silos (García-Contreras 2016, p. 68). A questo si può aggiungere che nel loro contesto si documenta l’esistenza di un abitato stabile di origine andalusí, in alcuni casi conservato fino ad oggi, come Barbatona, Bujalcayado o Bujarrabal, e in altri casi abbandonato al momento della conquista feudale, come a Estriégana o Membrillera, secondo quanto testimonia la ceramica raccolta in superficie (García-Contreras 2013a, pp. 1256-1262; Retuerce 1994, p. 41). Si possono perciò definire torri della comunità contadina, erette ed utilizzate per la difesa e il controllo della produzione (García-Contreras 2016). Nonostante ciò, come si è come si è già ricordato, non tutte le torri erano edificate allo stesso modo e presentavano le stesse caratteristiche. Si ha testimonianza di torri situate su poggi, dunque con una maggiore visibilità ed indipendenti da qualsiasi insediamento, che proprio per questo possono quindi essere considerate torri di vedetta (atalayas). Esse venivano co-

struite per lo più lungo le principali vie di comunicazione, che a loro volta si ubicavano nei fondovalle, come per esempio la Torre de la Quebrada nell’alto Henares (García-Soto, Ferrero 2008). Risulta quindi lecito mettere per lo meno in discussione il ruolo di queste torri sia per quanto riguarda il controllo sul resto del territorio, sia come manifestazione della presenza degli Omayyadi. Per questo, a partire dall’indagine di queste torri, è possibile ipotizzare la presenza di comunità che sono al margine del potere centrale, ma non per questo sono esenti da manifestazioni del potere centrale sul loro territorio. 3.  SALINE E INSEDIAMENTI CONTADINI NEI VALLI DELL’ALTO HENARES (NORD-EST DELLA PROVINCIA DI GUADALAJAR A) L’area principale di ricerca è difficile da definire, poiché non costituisce in senso stretto un’unità geografica unica. Situata nel settore nordorientale del centro peninsulare, si caratterizza come un territorio “ondoso” intervallato e ritmato da una serie di valli di forma allungata e stretta, le quali erodono i canyon circostanti, e da altopiani con sommità fortemente pianeggianti (a modo di paramos). I fiumi principali sono quattro: il Cañamares, il Salado, l’Henares e il Dulce. Tenendo conto del nome del fiume principale e del fatto che nel periodo che abbiamo studiato il popolamento si stabilì fondamentalmente nelle zone intermedie tra la montagna e la zona piana, abbiamo scelto di definire la zona studiata come “valli dell’Alto Henares”. L’abbondanza di sale, saline, prati alofili e lagune e sorgenti di acqua salata, costituiscono il tratto più geograficamente saliente della zona. Unito a questo, la potenzialità dell’allevamento del bestiame nelle zone montuose e la fertilità dei territori destinati alla coltivazione del terreno non irrigato costituiscono le caratteristiche del territorio. A ciò dobbiamo unire che la sua localizzazione e la sua orografia favoriscono il ruolo di nodo di comunicazione tra il levante ed il centro, tra la meseta meridionale e la meseta settentrionale e soprattutto tra il centro e l’area nordorientale della Penisola Iberica. Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, le élite visigote s’interessarono particolarmente al controllo di quest’area, al punto che costituirono un episcopato con capitale Segontia, località principale nell’Alto Henares. Salvo alcune eccezioni, l’insediamento anteriore all’VIII secolo fu caratterizzato da una certa dispersione e localizzazione nei fondovalle vicini alle vie di comunicazione di costruzione romana (Malpica et al. 2011; Morère et al. 2013). Alcuni di questi siti sono in relazione con l’area di sfruttamento del sale; non sempre si trovano in prossimità delle saline storiche che conosciamo, come vedremo nel caso dei siti altomedievali, e in quel caso la relazione si stabilisce piuttosto con i prati alofili o con le vie romane che collegavano i siti abitati con le saline. L’anno 711 segna l’inizio di un graduale cambio che si consoliderà nel secolo X; è in questo momento che probabilmente avviene la progressiva perdita d’importanza di Segontia e la sua trasformazione in insediamento rurale secondario, ossia, secondo uno schema frequente nella regione, parte di quella galassia di piccoli insediamenti organizzati nelle valli che facevano capo a un unico insediamento di rilievo (García-Contreras 2014). La perdita d’importanza di Segontia è seguita dall’ascesa di Atienza, che diventa l’insediamento di maggior rilievo dell’intera regione nonché principale sede del potere degli Omayyadi nella zona. Nel periodo andalusí si verifica in quest’area un cambiamento nelle comunità contadine a partire dal secolo IX che si configurerà completamente nel secolo X. Alcuni, pochi, insediamenti di fondovalle fondati durante la precedente epoca visigota conti-

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fig. 4 – Lavori nelle saline di Imon nel XIX secolo (Centro de la Fotografía e Imagen Histórica de Guadalajara: http://www.cefihgu.es/index. html). Si vede l’evidenza topografica dell’abbassamento rispetto alla zona circostante realizzato nel Settecento.

fig. 5 – Bonilla, esempio di insediamento a mezza costa scoperto nelle valli dell’Alto Henares; si apprezza la relazione tra l’insediamento e una salina d’origine medievale ancora oggi in sfruttamento. A destra, evidenze archeologiche in superficie, come strutture e ceramiche raccolte durante le indagini.

nueranno ad essere occupati: lo testimoniano le ciotole carenate, tipiche del VI e VII secolo, rinvenute durante le ricognizioni in loco, ma anche i frammenti di brocche con linee dipinte e frammenti di grandi piatti invetriati (ataifor) che appaiono dal IX secolo in poi. Inoltre, luoghi abitati che ora proliferano e che non hanno alcuna prova di occupazione precedente all’VIII secolo, sono situati a costa: si tratta della stessa topografia che caratterizza le case coloniche di questo periodo. Fattori come la quota d’altura, la topografia complicata, i fondovalle fertili, il rischio e la facilità di allagamento, le sorgenti d’acqua dolce a metà pendio, il clima dei lunghi e rigidi inverni, costituirono

probabilmente gli elementi alla base della persistenza di questi insediamenti (García-Contreras 2012c). Le possibili attività economiche del territorio si concentravano invece nella coltivazione di terreni e l’attività d’allevamento del bestiame, ma anche nell’utilizzo delle risorse boschive disponibili e nella realizzazione di piccoli orti ad agricoltura irrigativa, tipica di quell’epoca. A questo dobbiamo aggiungere, in proporzione minore, il settore minerario, sia per l’estrazione di materiale per l’architettura locale, sia per lo sfruttamento del sale, talmente abbondante nella regione da ridefinire in gran misura il suo divenire storico (Morère 2008; Hueso, Carrasco 2008).

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note e discussioni Nella zona nord-est della provincia di Guadalajara si ubicavano 14 saline tradizionali; per molte di esse esistono testimonianze nella documentazione bassomedievale (García-Contreras 2013b; Ortego 2013). Ciò nonostante, lo studio archeologico di questi siti non ha offerto dati validi per il Medioevo; la ragione di ciò appare evidente se si osserva l’esempio di Saelices de la Sal, dove si trova l’unica salina della provincia di Guadalajara studiata dal punto di vista archeologico; la si conosce come “salina di San Juan”, e si trova a 30 km al sud del territorio dell’Alto Henares, un’area chiamate Alto Tajuña il cui rapporto con l’insediamento andalusí chiariremo fra poco. Quello che ci interessa in queste momento è che nei lavori condotti anni fa, sia nell’indagine effettuata in un chilometro quadrato attorno al sito, sia nello scavo effettuato negli edifici che ospitano i pozzi per estrarre la salamoia, non si riscontrarono testimonianze della salina che fossero anteriori al XVIII secolo. Potrebbe quindi sorprendere che le fonti scritte e la cartografia storica mostrino l’esistenza di questa salina almeno dal 1203, ma con buona probabilità l’inizio del suo sfruttamento è addirittura anteriore a questa data (GarcíaSoto, Ferrero 2006; Ortego 2013). In realtà ciò è dovuto al fatto che nel 1760 Miguel de Muzquiz, ministro delle Finanze di re Carlo III, dette istruzioni per la riforma di tutte le saline del settore centrale della Penisola Iberica (Herrera 1988, p. 528): l’idea era abbassarne i livelli in modo da ottenere più facilmente l’acqua salata sotterranea e ampliare il sito di produzione, con la creazione di nuovi canali e pozzi, e con un’architettura uguale per tutti i siti sotto il controllo dello Stato (Donderis 2008, p. 33; Trallero et al. 2003). Questi lavori, ben documentati dal punto di vista archeologico per quanto riguarda le saline di San Juan, hanno distrutto ogni evidenza archeologica precedente al XVIII secolo nelle saline della provincia. Nel’Alto Henares la topografia mostra chiaramente come il livello di questi siti venne abbassato rispetto al terreno circostante. Pertanto, finora, lo studio archeologico diretto in questi siti di produzione del sale si è mostrato inutile, giacché non ha potuto fornire nessun dato relativo a un’epoca anteriore al XVIII secolo per quest’area della Penisola Iberica. Diverso fu invece il caso di altre saline studiate con strumenti archeologici, come Siviglia, Espartinas (Madrid), Villafafila (Zamora) o Añana (Vitoria) (García-Dils et al. 2009; Ayarzagüena, Carvajal 2005; Rodríguez 2000; Plata 2003 e 2009). Quindi, la strategia di ricerca che sembra più convincente nell’area centro-orientale della Penisola è quella di collegare le zone di produzione del sale più antiche tra quelle conosciute grazie alla documentazione scritta o alla toponomastica, e le aree di potenziale produzione secondo le condizioni idrogeologiche, oltre alla relazione con i vari insediamenti, evidenziati attraverso dati tanto storici come archeologici. A tal fine, sono stati fatti tra il 2008 e il 2010 numerose campagne di indagini archeologiche nelle valli dell’Alto Henares. Un totale di 292 aree sono state esaminate, selezionate in base ai toponimi, la topografia, la documentazione scritta, la fonte orale o la letteratura esistente. Grazie a questo primo esame sono stati individuati 241 siti archeologici, dalla Preistoria all’Età moderna. Di questi, 33 sono stati riconosciuti come andalusí, in base alla ceramica raccolta in superficie (un totale di 3358 pezzi ceramici), e sono stati analizzati intensivamente, anche con l’analisi di strutture superficiali quando queste erano visibili. A questi 33 siti vanno aggiunti altri luoghi che potrebbero essere andalusí, ma che non sono stati analizzati archeologicamente, o perché sono privati, o perché sono villaggi attualmente abitati (una descrizione precisa di tutti in García-Contreras 2013a). Come detto in precedenza, il tipo di siti archeologici più frequentemente documentato nella ricognizione archeologica e interpretato come insediamento contadino, si trova a mezza

costa. La sua localizzazione viene determinata da alcuni condizionamenti naturali, come già specificato, ma anche dalla decisione della comunità in merito (Malpica, García-Contreras 2010). Le cime dei monti con le loro forme spianate che segnano queste ampie lande, si situano a media quota intorno a 10001100 m d’altitudine. Sono zone ottime per il pascolo animale, ma, salvo eccezioni, restano isolate dalle sorgenti d’acqua dolce; la scarsa qualità del suolo, inoltre, rende particolarmente arduo lo sviluppo di attività agricole. Per quanto riguarda i fondovalle, per lo più essi hanno rappresentato fino a poco tempo fa luoghi inadatti ad accogliere insediamenti stabili, a causa degli inconvenienti derivati dall’eccesso d’umidità e dalla forte probabilità d’inondazione nei momenti di piena dei fiumi, dei ruscelli e dei torrenti. Gli indici paleoclimatici e palinologici studiati in aree vicine al nord ci indicano, inoltre, un aumento delle condizioni d’umidità dopo il periodo romano (Currás 2012); è probabile che tali indici possano estendersi anche ai territori circostanti e alle valli dell’Alto Henares. E quest’allagamento potenziale è favorito non solo dal profilo piano del fondo di queste valli, che contrastano l’erosione delle acque, ma anche dal fatto che il flusso ascendente sotterraneo dello strato freatico impedisce che l’acqua venga assorbita per infiltrazione. L’edafologia stessa, poi (fondamentalmente argille e marne), è un altro fattore negativo da considerare (Benito et al. 1998); e non è da trascurare neanche l’abbondante presenza di zanzare in estate, con il rischio inerente della malaria, o anche la corrosione dei materiali ferrei per l’azione dell’acqua salata ed, infine, il carattere salato dei pozzi: questi fattori sono causa del fatto che in tutta questa zona non proliferino i siti nel fondovalle. Per questo motivo la maggior parte delle zone archeologiche attribuibili al periodo andalusí si localizzano a mezza costa, precisamente nelle zone di contatto tra le unità litologiche che caratterizzano la geologia dell’area studiata (García-Contreras 2012c). Questo è stato evidenziato in diverse campagne d’indagine archeologica, trovando diverse aree pianeggianti, in alcuni casi con evidenza di strutture, e soprattutto con ceramiche dei secoli centrali del periodo medievale (Malpica, García-Contreras 2010; Malpica et al. 2011; García-Contreras 2009 e 2013a). Il sito di Bonilla è un buon esempio di questo tipo di habitat a mezza costa. L’ananlisi archeologica del sito è cominciata con una ricognizione intensiva che ha permesso raccogliere 223 pezzi ceramici di epoca andalusí, tra cui figurano grandi piatti invetriati (ataifor), brocche con gruppi di tre linee dipinte in rosso o nero, ed anche pentole con carenatura nella parte superiore; tutti questi oggetti fanno supporre una datazione del sito tra il IX e il XII secolo. Gli scavi hanno inoltre evidenziato la presenza di strutture architettoniche. Considerando la sparizione dei succitati ostacoli all’insedia­ mento in queste zone, è lecito ipotizzare la presenza e alla disponibilità di acqua di buona qualità e in quantità abbondanti, costante nel suo affioramento dalle numerose risorgive e sorgenti, incanalate come fonti. Si tratterebbe dunque di una colonizzazione degli spazi precedentemente incolti in nome di una logica sociale. Nonostante ciò e malgrado gli inconvenienti segnalati, prossimi ai villaggi costituiscono delle ottime aree per la pratica dell’agricoltura del terreno non irrigato: attività che sembra essere una costante nella storia delle popolazioni rurali di queste valli, sebbene la sua intensificazione non si verifichi fino al basso Medioevo (García-Contreras c.s.). Infine dobbiamo notare che, oltre alle fortificazioni di altezza, alle torri e ai villaggi contadini, durante il periodo andalusí sono state anche documentate tracce di occupazione di grotte. Anche se è stata proposta una possibile interpretazione religiosa per l’uso di alcune di esse (Daza 2007), forse legato ai mozarabi

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fig. 6 – Grotta di Harzal. Sopra, panoramica e foto dei muri all’interno (foto dell’Autore). Sotto, piante e resti archeologici all’interno datati nel periodo di al-Andalus secondo Valiente, García-Gelabert 1983.

(cristiani sotto il dominio arabo), ma con origine tardoantica, la loro posizione lungo i sentieri usati dai pastori e dagli animali che accedono agli alpeggi insieme ai resti rinvenuti all’interno, permettono anche di considerare alcune di queste grotte come insediamenti collegati alla pastorizia. È il caso della grotta di Harzal, presso Olmedillas (Valiente, García-Gelabert 1983), uno dei pochi siti scavati, anche se con una metodologia obsoleta e non stratigrafica. Nonostante ciò, alcuni dati sono risultati sufficienti per i nostri scopi, come il rinvenimento di ceramica del X secolo, la scoperta di dipinti murali in una costruzione dietro la grotta, e la presenza di una possibile torre sulla cima della collina. Come verrà discusso in seguito, tutte queste evidenze sembrano condurre ad una tipologia di sito che si ripete anche in altre regioni della provincia di Guadalajara, come Anguita o Los Casares (Riba de Saelices) nell’Alto Tajuña. Alla luce di quanto evidenziato, si può affermare che la distribuzione degli insediamenti andalusí nelle valli dell’Alto Henares sembra rispondere ad una logica economica fondata su quattro punti chiave: 1) lo sfruttamento delle risorse idriche provenienti dalle sorgenti naturali che si situano su mezza costa, e non tanto dai corsi d’acqua del fondovalle, che erano salati; 2) l’uso delle terre potenzialmente arabili e che non avessero problemi di un possibile allagamento; 3) il possibile utilizzo delle risorse della montagna in primis come fonte di legname e di terra da pascolo; 4) la presenza dei prati alofiti che si trovano a fondo valle.

Le vie di accesso e comunicazione a partire dalle quali si organizzava il territorio 4, potrebbero essere state a loro volta un fattore d’attrazione per questi insediamenti rurali, giacché è evidente il beneficio che tali insediamenti potevano trarre dalle vie di comunicazione, sia per l’esportazione dei prodotti agricoli – e del sale – per i mercati, sia per l’approvvigionamento di prodotti non locali e di determinate forme ceramiche. La quasi totalità degli insediamenti rurali andalusí appare associata a campi di coltura nei quali l’apporto d’acqua è necessario: in alcuni casi si creavano dei campi irrigui nelle zone più elevate del fondovalle o ai margini di esso, dove l’acqua si caratterizza per una minor salinità; in altri si creavano terrazzamenti irrigati grazie alle sorgenti prossime agli insediamenti. Vari di questi insediamenti, inoltre, si situano in prossimità di aree dalle quali potenzialmente si potrebbe ottenere il sale, quando non sorgono direttamente presso alcune saline storiche. Si tratta di zone umide che, gestite nel modo adeguato, si convertono in saline: attraverso i pozzi si estrae la salamoia dello strato freatico; i canali la distribuiscono, e le cisterne in cui viene depositato il 4   La proposta d’ipotesi di tracciato delle vie di epoca medievale viene formulata a partire dal tracciato delle vie romane conosciute, di alcune evidenze archeologiche trovate in recenti indagini e la menzione in alcune cronache medievali di penetrazioni ed attacchi da uno o dall’altro lato della frontiera (Abascal 1982; Morère et al. 2013; Garcia-Contreras 2013a, pp. 435-455).

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note e discussioni prodotto favoriscono l’evaporazione che permette la progresssiva concentrazione del grado di sale. Sappiamo con certezza che questo sistema, cosiddetto “tradizionale”, e come abbiamo già detto in uso in epoca andalusí, è citato da fonti scritte sei mesi dopo la conquista cristiana dell’area (Minguella 1910, pp. 348-350), e dunque si tratterebbe di un sistema sviluppato anteriormente a quella data; esso è inoltre documentato in altre zone della Penisola, sia per via archeologica (Malpica 2005, 2008a e 2008b) sia per via documentale (Echevarria 2009 e 2010). Non era tuttavia l’unico sistema possibile. L’acqua salata si prendeva anche dai torrenti salati senza la costruzione di canali (García-Contreras 2013b, pp. 188-189); inoltre sono state identificate strutture scavate nella roccia accanto o all’interno dei siti dell’VIII e del XII secolo che potevano servire per la produzione del grano di sale (Morère et al. 2013). Pertanto, grazie alla prima documentazione feudale successiva alla conquista, è possibile riconoscere almeno quattro saline in funzione, tutte ricollegabili agli insediamenti andalusí databili con certezza almeno nel secolo X. A partire da questi dati concreti relativi agli insediamenti e alle potenziali aree di lavoro, il principale argomento per sostenere un’origine andalusí delle saline è la loro esistenza totalmente organizzata ed in funzione, che garantisce delle rendite considerevoli nel XII secolo: rendite per le quali lottano i poteri feudali. Non sono infrastrutture che si siano potute improvvisare in poco tempo, né appare sensato ipotizzare che le tecniche d’estrazione del sale possano essere state apprese rapidamente da una popolazione da poco stanziata nella zona: si tratta di capacità che richiedono una permanenza sul territorio e una trasmissione delle conoscenze tecnico-pratiche di estrazione e manutenzione. Essendo però il sale una risorsa tanto preziosa e di frequente uso in al-Andalus, con una moltitudine di forme di consumo diretto o indiretto documentate (García-Contreras 2011 e 2012a) colpisce lo scarso controllo che il potere centrale esercitò su questi centri produttivi. Solo una di queste quattro saline era stata construita vicino a una fortificazione (quella di Riba di Santiuste) che, tra l’altro, non sembra fosse legata al potere omayyade (García-Contreras 2012b). Le altre, invece, si svilupparono vicino a luoghi di vocazione rurale o almeno mista, giacché presentano evidenze al loro interno di un qualche tipo di fortificazione (torri o mura che fossero). E anche tanti altri siti, apparentemente contadini, si collegano a siti di produzione del sale dei quali non abbiamo notizia certa dalle fonti scritte. È il caso di Alcuneza, un villaggio oggi abitato ma con origine medievale, il cui nome in arabo significa “chiesa” (Vernet 1960, p. 570), a 800 a sud-ovest del quale ci sono delle saline. Tutto sembra indicare, pertanto, una gestione dell’acqua cosciente e sistematica da parte di alcune comunità contadine, che creavano campi quando questa era dolce, e organizzavano delle saline quando la concentrazione di sale era molto elevata; in alcuni casi invece si dovette scegliere di lasciare questi spazi come prati alofili, ottimi per il consumo animale. La coincidenza nell’ubicazione degli insediamenti rispetto alla presenza di determinate risorse, soprattutto il sale, fu il risultato di una scelta nella selezione delle aree abitative e delle zone produttive partendo da un condizionamento, non necessariamente determinante, del contesto geomorfologico, geologico ed idrico. Si tratta, in definitiva, di scelte collettive che si realizzarono per utilizzare diverse risorse natuali a partire dai limiti imposti dal contesto fisico e geografico. La conseguenza è che l’origine dell’insediamento ha più relazione con la comunità contadina, e non tanto con le esigenze e le necessità dell’apparato statale. Si è quindi di fronte ad una razionalità ecologica della produzione e dello sfruttamento da parte dei contadini grazie ad una “strategia

fig. 7 – Mappe che mettono in evidenza gli insediamenti di cronologia andalusí (IX-XI secolo), e il loro rapporto con le saline e l’area di potenziale sfruttamento del sale (Saladar, in bianco), e le vie di comunicazione nei valli dell’Alto Henares. 1. Saline di Riba de Santiuste; 2. Saline di Imón; 3. Saline di Gormellón-Atienza; 4. Saline di Bonilla-La Olmeda de Jadraque.

multiuso” (nel senso inteso da Toledo 1993, pp. 208-209). Ovvero, un’economia contadina il cui sistema produttivo è si basa sull’evitare l’eccesiva specializzazione, sull’unione di agricoltura, allevamento, sfruttamento boschivo ed estrazione del sale, il tutto per garantire la sussistenza anche in periodi di ristrettezze (Toledo 1993, pp. 209-210). In definitiva, è la scommessa di creare un “agroecosistema” determinato, non molto diverso da ciò che si constata per al-Andalus nel suo insieme (Malpica 2012), con l’eccezione delle condizione geografiche, geologiche e idriche del nord di Guadalajara. L’idea che si vuole suggerire per le valli dell’Alto Henares è quella dell’esistenza di una rete di comunità contadine, organizzate in nuclei rurali raggruppati, che possiamo considerare come case coloniche, capaci di progettare i propri spazi produttivi (agricoli, d’allevamento, minerari e salini) e collegati, come comunità, con insediamenti in altura che si distribuiscono lungo le diverse subvalli che suddividono l’area studiata. Queste mostrano un alto grado di autonomia rispetto allo Stato centrale almeno fino all’XI secolo. Tra Stato e realtà locale esisteva una relazione, che non siamo ancora riusciti ad individuare con chiarezza, ma che doveva avere nel sistema tributario il suo elemento principale (Barceló 1997). Le comunità locali manifestano, a loro volta, un grado di gerarchizzazione interna notevole. Questa organizzazione interna è riscontrabile nella presenza di torri in alcuni dei villaggi e nel rapporto di questi con gli insediamenti in altura, dei quali solo uno, Atienza, è più meno sotto controllo dei poteri centrali. Invece, alti siti in altura con resti evidenti di fortificazioni come Riba de Santiuste o Aragosa, sono citati al momento della conquista feudale insieme ad altri villaggi della zona che sarebbero stati da essi dipendenti; presso molti di essi sono state effettuate ricognizioni che hanno portato a datarli tra l’VIII e il XII secolo. Tale organizzazione interna si manifesta inoltre nella capacità di affrontare il centralismo omayyade durante

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note e discussioni terra dai cronisti arabi – solo alcune località e il passaggio delle truppe sono menzionati in diverse occasioni – costituisce un chiaro riflesso del suo carattere marginale, sempre dall’ottica del potere centrale che è dovuta non alla propria produzione in sé, né ai suoi rendimenti né alla ricchezza della popolazione. In parte, questo era dovuto all’assenza di una rete di popolamento sufficientemente densa, articolata e stabile, a cominciare dall’esistenza di una città, come la possibilità dell’instaurazione effettiva del potere omayyade e con esso un sistema produttivo che le avrebbe permesso di ottenere il massimo beneficio possibile. Con quanto detto fino ad ora, sembra che ci troviamo in due realtà totalmente distinte, quella del paesaggio di frontiera o paesaggi del potere che ci vogliono trasmettere soprattutto le fonti (Escalona et al. 2008, p. 112) e quella della realtà archeologica e della scala locale, che mostrano una maggiore autonomia delle comunità locali. Possiamo quindi parlare dell’esistenza di due diversi modelli di territorialità: da un lato, uno di carattere locale, basato sullo sfruttamento della terra e sul controllo delle risorse; dall’altro, uno di carattere esterno, basato sulla creazione di una rete di fortificazioni, preminentemente militare, con funzioni di rappresentazione del potere, e di “visualizzazione” delle vie di passaggio (García-Contreras 2016). Ovvero, di creazione e controllo di un territorio proprio di fronte ad un altro estraneo, di un “noi”, contro un “altro”. Ed è proprio la realtà del potere centrale plasmata nel concetto di frontiera che risulta sovradimensionata rispetto all’immagine che ci è giunta del mondo rurale, almeno dal punto di vista storiografico, a causa della maggior quantità di tracce materiali e documentali accessibili agli storici riguardo alla realtà del confine. La realtà rurale invece, meno visibile, si constituisce su base locale ed è caratterizzato da un tempo di mutamento lento e da un impatto sull’ambiente fisico più intenso ma più difficile da discernere, poiché legato a pratiche “tradizionali”. In ogni caso parlare in termini di dicotomia dello Stato da un lato e dei contadini dall’altro è semplificare una realtà che era molto più complessa. Se è vero che quello spazio era molto più di una frontiera, è anche vero che non era neppure un territorio esclusivamente contadino con reti di case coloniche senza un potere visibile. Gli insediamenti in altura, le torri o l’esistenza di una rete viaria continuamente utilizzata ci dimostra che ci sono delle gerarchie nel popolamento, e pertanto, nella società. L’autonomia delle popolazioni locali non significa riferirsi a “contadini nell’arcadia felice”. L’autosufficienza che conferiamo alle comunità contadine s’intende solo come capacità di dirigere la produzione materiale e la riproduzione sociale senza ingerenze di poteri estranei all’ambito locale. Non significa che ci troviamo davanti ad una società autarchica, anche se ci avviciniamo all’idea, in parole di Chris Wickham, di un «modo di produzione contadino» (Wickham 2005, pp. 260-261 e 536-539) basato sulla collettività con una forte capacità di autodeterminazione nelle decisioni produttive, e quindi, politiche, come proposto per altre regioni di al-Andalus (Kirchner 1997, p. 37; Ortega 2008, p. 121; una revisione sul tema in Eiroa 2012). Ma insistiamo, non si può certo giungere all’estremo opposto, considerandole comunità autogestite. In queste senso, ci aggiungiamo alla critica mossa da Miquel Barceló al concetto usato da Wichkam (Barceló 2013, pp. 78-87), soprattuto quando sostiene che «…un arqueólogo medieval puede detectar convenientemente pruebas claras de la existencia de una élite pero esta deberá de reconocerse dentro de un sistema más extenso que el de la aldea concreta del yacimiento» (Barceló 2013, p. 87). Per esempio le ceramiche trovate in superficie in molti di questi siti contadini, soprattutto quelle decorate, dimostrano la circolazione e lo scambio di prodotti, e la relazione di questa

fig. 8 – Insediamenti immediatamente dopo la conquista feudale nei valli dell’Alto Henares distinguendo tra città (Villa), villaggi (aldea) e fortificazioni. Alcuni nomi sono indicati: 1. Atienza; 2. Rienda; 3. Torrequebrada; 4. Las Aldehuelas; 5. Sienes; 6. Tobes; 7. Querencia; 8. Riba de Santiuste; 9. Bretes; 10. Imón; 11. Solanillos; 12. Santamera; 13. Almijeras; 14. Carabias; 15. Séñigo; 16. Sigüenza; 17. San Miguel; 18. Bujarrabal; 19. Jodra del Pinar; 20. Pelegrina; 21. Joara; 22. Henazar; 23. Baides.

l’emirato e nella parziale indipendenza in epoca del califfato, per esempio con l’appoggio ai governatori ribelli nelle varie insurrezioni (Manzano 1991). Ciò nonostante, la relazione si mantenne in certi casi quasi efficiente, considerando che in caso di passaggio di truppe si assisteva a una collaborazione attiva della popolazione locale che giungeva fino al reclutamento. Essendo una zona di frontiera, permeata da influenze economiche e culturali e da irruzioni militari che potevano infrangere i confini e sfilacciare il delicato tessuto dello Stato andalusí, soprattutto nei primi secoli di formazione ed islamizzazione, pare ovvio ricordare il proficuo confronto tra due formazioni sociali diverse come al-Andalus e l’incipiente Stato castigliano, feudale in origine. L’ingerenza del primo fu permanente grazie ad un grande sforzo economico e ad una mobilitazione di truppe dell’esercito per mantenere il controllo sulla zona, sulle risorse e sulle imposte del lavoro dei contadini che popolavano queste zone e che vi producevano, soprattutto dal X secolo in poi, quando venne riorganizzata la frontiera, cambiando la capitale (da Guadalajara a Medinaceli), e cercando di scegliere i governatori nelle fortificazioni vicini alle élite di Cordoba. Nonostante ciò, questa penetrazione dello Stato nelle zone di confine, lontane dai suoi centri di potere, fu sempre soggetta alla concessione e alla necessità delle comunità e delle élite locali che le governavano. Per questa ragione le valli dell’Alto Henares in epoca d’alAndalus possono essere considerate oltre che una zona di frontiera, una regione non del tutto dipendente dal potere centrale di Cordoba. Probabilmente la spiegazione di ciò non risiede tanto nell’ubicazione di frontiera di questo territorio quanto piuttosto nell’identità della comunità che abitava queste terre, fondamentalmente berberi e mozarabi in numero elevato, ma tutti essenzialmente contadini. Questo «trovarsi al margine del potere centrale» (Gilotte 2008, p. 54) si può percepire anche nella struttura produttiva. La scarsa attenzione data a questa

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note e discussioni 4.1 La valle del Jalón (sud di Soria)

zona rurale con le città, prima Guadalajara e dopo Medinaceli, e probabilmente anche con Atienza, quando questa si sviluppa in una “quasi-città” (e si può pensare che lo stesso sarebbe successo, ma nella direzione opposta, con il sale, sebbene non si abbiano dati conclusivi). Ci furono gerarchie e stratificazioni sociali, così come probabilmente dei processi d’estrazione di rendita e di stoccaggio dei prodotti. Ad esempio, questo è il modo in cui interpretiamo l’esistenza di un silo scavato nella roccia all’interno della torre di Membrillera. Ma la spiegazione dovremmo cercarla in queste élite locali, che potremmo chiamare rurali, le cui manifestazioni fisiche si plasmano negli insediamenti in altura e nelle torri dei villaggi, che gerarchizzano il territorio e in definitiva configurano la categoria di territorialità come una creazione sociopolitica che si sovrappone allo spazio fisico a partire dall’intervento ideologico della società che lo abita, lo sfrutta e lo difende, per mantenere la produzione e la riproduzione sociale. Con la conquista feudale tutta quest’organizzazione sociale dello spazio scompare. Dal XII secolo in poi, si passa da un modello “poliarchico” in epoca andalusí, con l’assenza di una città forte e reggente dell’insediamento, salvo il caso di Atienza, e più lontanamente Medinaceli come si è già detto, con più funzioni fiscali e di relazione con gli Omayyadi, ad un altro modello, con il dominio feudale, nel quale ci sono nuclei di diversa natura (episcopale ma anche nobiliare o municipale) che gestiscono e controllano i nuclei rurali di minore entità, ognuno con i suoi distretti territoriali ed amministrativi. Sono piccoli territori occupati da fazioni di diversa dimensione intorno ad un centro maggiore con funzioni urbane, come il caso di Sigüenza (Martínez 1991) che emerge come città e capitale di un territorio feudale nel XII secolo e non prima, secondo le ultime indagini archeologiche (García-Contreras 2014). È una realtà molto diversa rispetto all’idea territoriale andalusí precedente, di scala territoriale più piccola. Ora, partendo da un processo che possiamo definire come «colonialismo feudale» (Bartlett 1993), si va a imporre un nuovo modello d’organizzazione sociale dello spazio, del popolamento e delle forme di lavoro (Barceló 1995), che genererà un nuovo paesaggio dominato dall’estensione del cereale e da un forte impatto dell’allevamento. Anche la gestione delle zone umide sarà diversa; queste verranno drenate per estendere ulteriormente i terreni non irrigati, o si amplieranno e moltiplicheranno le saline, cercando dei rendimenti che sovrastino le necessità della popolazione locale. In questo senso, va tenuto presente che i villaggi che nascono o perdurano dopo la conquista e la colonizzazione feudale, a differenza dei villaggi dell’epoca anteriore, non si trovano in zone limitrofe alla produzione di sale, ma piuttosto ad una certa distanza, sebbene alcune delle saline sembrano essere inalterate prima e dopo la conquista (García-Contreras 2013b e c.s.). Quindi, dal XII secolo, la produzione del sale diventa un’attività nelle mani dei signori e non delle proprie comunità rurali (Ortego 2013).

Lo studio più completo è stato condotto nella vicina valle del fiume Jalón, nella provincia di Soria, a nord delle valli dell’Alto Henares. Entrambe le regioni hanno le stesse condizioni geografiche, con l’unica differenza della pendenza verso nord-est nell’area di Soria. Qui si trova il già citato sito di Medinaceli, una città di origine romana, quasi abbandonata nei secoli altomedievali finché, dal primo quarto del X secolo emerge come capitale del territorio, e rimane da questa parte della frontiera per decisione del potere omayyade 5. Partendo da uno studio territoriale basato sulle prospezioni archeologiche e l’analisi dei materiali, così come sull’esame di alcuni scavi, soprattutto nella stessa Medinaceli (che sono serviti a datare i materiali ceramici trovati in superficie), è stato definito un quadro insediativo certamente complesso (Gómez 1996; Bueno 2010, 2012). Oltre alla città, sono stati individuati almeno tre siti di altura, interpretati come castelli, torri rotonde e quadrate, e un totale di 20 siti più piccoli, trovati a mezza costa sulle montagne e in colline terrazzate, interpretate come siti contadini di nuova fondazione senza continuità rispetto all’insediamento romano o visigoto precedente. Questi ultimi sono i più interessanti dal nostro punto di vista, per le somiglianze rilevate rispetto agli insediamenti delle valli dell’Alto Henares. Per citare solo un esempio, nella valle secondaria della Mentirosa, nei pressi di Torralba del Moral, si trova un sito di altura e tre siti rurali con una cronologia fino al XI secolo, uno dei quali (Cerro Santo) con evidenze che attestano la presenza di una torre. Più interessanti sono i siti in relazione con aree di potenziale sfruttamento del sale, per esempio due siti nella valle secondaria del fiume Pradejón ubicati uno nei pressi di una salina ancora oggi in uso, e l’altro accanto ad evidenze di superficie che attestano l’esistenza di piscine e canali, riconducibili ad antiche saline abbandonate. Questi siti sono datati approssimativamente al X secolo, secondo le analisi ceramiche; le saline ad essi relative sono citate a partire dalla conquista feudale del territorio, quando il Vescovo di Sigüenza acquistò diverse proprietà tra cui le saline di Medinaceli, dette di Landet, poi donate al monastero di Huerta (Minguella 1910, p. 351). Pertanto, il caso studio della valle del Jalón, sia per l’organizzazione degli insediamenti, sia per la topografia dei siti interpretati come contadini, sia per il rapporto di alcuni di questi con i siti di produzione del sale ed infine per la cronologia proposta, è da comparare a quanto descritto in precedenza per le valli dell’Alto Henares 6. 4.2 La valle dell’Alto Tajo (sud-est della provincia di Guadalajara) Un altro caso studio si trova più a sud, nella valle dell’Alto Tajo, nel sud-est della provincia di Guadalajara. L’insediamento, datato tra l’VIII e il XII secolo, è stato analizzato attraverso lo studio territoriale, la toponomastica, le prospezioni di superficie e le analisi della ceramica (Lázaro 1995; Arenas 2008; Checa 2014). Anche in questo caso possiamo mettere in relazione diversi siti di cronologia andalusí con un’area di sfruttamento del sale. Sono siti che non hanno continuità rispetto all’epoca precedente (Chordá 2007) e i cui insediamenti, dopo la conquista, vengono trasferiti in luoghi più distanti rispetto alle saline, che

4.  ALTRE ZONE DI ESTR AZIONE DI SALE NEL SETTORE CENTR ALE DELLA PENISOLA IBERICA La situazione sopra descritta per le valli dell’Alto Henares deve essere paragonata ad altri casi studio, dove esistono condizioni geografiche e culturali simili nello stesso periodo cronologico. È l’unico modo per capire se la distribuzione dell’insediamento e il rapporto che esso instaura e sviluppa con la salina, intesa sia come spazio geografico che come sistema economico, è un caso unico o un modello che effettivamente si estese per tutta l’area centro-peninsulare. Purtroppo, non sono stati condotti molti studi in questo senso.

5   Il toponimo Medinaceli, di origine araba, deriva da “Madinat Sālim” (città dei Salim), in riferimento ai Banū Sālim, la famiglia berbera che come si è segnalato si stabilì nella zona centrale della Penisola. 6   Tanto è così, che alcune delle conclusioni del lavoro di Marisa Bueno (Bueno 2012, pp. 424-425) sembrano quasi una copia di quello che abbiamo detto in un precedente articolo tre anni prima (García-Contreras 2009, p. 219).

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note e discussioni

fig. 9 – Insediamenti e rapporto con il sale nella valle del Jalón (Soria) (da Bueno 2012, rielaborazione dell’Autore).

fig. 10 – Insediamenti e rapporto con il sale nella valle del Bullejos (Guadalajara), secondo Checa 2014.

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note e discussioni

fig. 11 – Villaggio di Casares, grotta e torre. Sopra a destra disegno della Torre secondo Almagro 1976. Sotto a sinistra pianta dal sito, Museo Archeologico di Molina de Aragón. Sotto a destra ceramica di cronologia di al-Andalus secondo García-Soto, Ferrero 2007.

fig. 12 – Mappa dei siti con indici di occupazione islamica (sia per ceramica in superficie sia per toponomastica) della valle dell’Alto Tajuña, il loro rapporto, l’area di potenziale sfruttamento del sale (in bianco) e le saline: 1. Salina di Anguita; 2. Salina de San Juan (Saélices de la Sal).

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note e discussioni a partire dal XII secolo diventano di proprietà privata (Cortés 2000, pp. 735-743). Nella valle del fiume Bullones almeno quattro siti archeologici hanno una cronologia tra il VIII e il XII secolo: uno sembra essere una torre (non sappiamo se isolata o vicina ad un villaggio) datata alla prima epoca araba; due sono tipici siti rurali, di dimensioni ridotte, di mezza costa eretti non prima del IX secolo e sicuramente utilizzati dal X secolo in poi, ed un altro sembra essere un sito d’altura fortificato, che ha la stessa cronologia dei siti rurali, ma che palesa anche una rioccupazione successiva alla conquista feudale. In queste valli del fiume Bullones troviamo, almeno, due saline storiche, quella di Terzaga e quella di Almalla, entrambe connesse a insediamenti islamici (Retuerce 1994, p. 31; Arenas, Martínez 1999, p. 210; Olmo 2002, p. 482). Di particolare interesse è la seconda, nota anche come salina di Armallá, poiché il suo nome deriva dall’arabo (al-mallaha) e significa letteralmente “le saline”. Al di là di questo toponimo, si segnalano fonti documentali scritte pochi anni dopo la conquista feudale: in esse è citata come Almallaf (Sancho 1916, p. 65); allo stesso tempo sembra non ci siano dubbi sul suo utilizzo durante l’epoca precedente, nel periodo di al-Andalus, durante il quale era chiaramente connessa al sito in altura di Castillo de los Moros, che si trova pochi metri più a nord. Tuttavia questa regione sembra avere alcune peculiarità rispetto alla zona più settentrionale. Tutti questi siti dipendono, in un certo modo, da un nucleo piu grande che aveva il ruolo di città, citata prima come Barusa (identificata con un sito chiamato Molina la Vieja) localizzata nell’attuale Molina de Aragón. I vari castelli e torri situati intorno a questa valle, e il rapporto più stretto di alcuni con l’area delle saline, ha fatto pensare ad un controllo più stretto da parte dei poteri (Echevarria 2009, p. 192), ma senza definire se questi siano centrali, come quello omayyade di Cordoba, o più locali, d’origine berbera, come furono quelli che controllavano il centro fortificato di Molina de Aragón. In ogni caso, sebbene ci sia un sito fortificato in altura al di sopra di une delle saline, gli altri casi legati alle saline sono nettamente siti rurali di natura contadina.

e pareti di terra battuta. All’interno della grotta venne costruito un serbatoio di acqua, al di sopra del villaggio e della grotta, intorno al X secolo si costruì una torre quadrata. Ci troviamo quindi di fronte a un modello di villaggio a mezza costa, con torre quadrata e occupazione parziale di una grotta, datato non prima del IX secolo e non più tardi del XII, che rimase abitato fino a pochi anni dopo la conquista feudale del territorio. Il sito è situato in un’area ottima per l’allevamento, con la presenza di abbondante pascolo, e nelle fotografie aeree meno recenti si può distinguere un’area di agricoltura oggi scomparsa. Questo sito stabilisce una relazione evidente con altri villaggi dello stesso periodo: Casarejos, La Loma e Collado de la Torre, il che dimostra l’evidente interesse di questi insediamenti per il controllo delle risorse della valle (García Soto, Ferrero 2002,

4.3 La valle dell’Alto Tajuña (zona centro-orientale della provincia di Guadalajara) Questi tre casi studio analizzati, le valli dell’Alto Henares, parte della valle del Jalón e quella dell’Alto Tajo, sono quelli più studiati per quanto riguarda il rapporto tra gli insediamenti andalusí e i siti di produzione del sale nella zona centrale della Penisola Iberica. Tuttavia, come abbiamo visto, tutti questi insediamenti hanno un’archeologia basata su ricognizioni di superficie, studi ceramici e analisi della geografia fisica regionale, e nella maggior parte dei casi non sono state effettuate ricerche stratigrafiche. Tra queste tre aree, c’è una zona collinare senza grandi valli, caratterizzata da un fiume principale, il Tajuña. Sebbene qui si trovino l’unico sito rurale andalusí scavato in questa parte della zona centrale della Penisola – Casares – e, una delle poche saline analizzate archeologicamente – San Juan –, tuttavia manca uno studio territoriale e dell’insediamento medievale di questa regione. A Casares (Riba de Saelices), tra la fine del IX e l’inizio del X secolo, un gruppo di contadini si stabilì nella parte superiore di un pendio che conduce alla grotta che dà il nome al sito (García-Soto, Ferrero 2002, 2007; García-Soto et al. 2004). Per potersi insediare, questo gruppo dovette realizzare una serie di lavori di una certa importanza, come la necessità di strutturare il villaggio in una serie di livelli terrazzati, strade strette per la comunicazione interna e alloggi con basamenti di pietre

fig. 13 – Fotografie aeree di alcune saline citate nel testo in rapporto a siti andalusí (prese dal sito web del Instituto Geográfico Nacional di Spagna (http://www.ign.es/iberpix2/visor/). Dall’alto in basso: Imón, La Olmeda-Bonilla e il Castillo de los Moros-Almallá.

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note e discussioni formulare quesiti non posti precedentemente che abbiano a che vedere con gli abitanti della zona rurale, le attività produttive a cui si dedicarono e gli aspetti peculiari di popolamento di queste aree. Abbiamo cercato in ogni momento che il vero oggetto di ricerca fossero le popolazioni che qui vissero durante i secoli VIII-XII, e il loro rapporto con il sale. Queste persone erano, prima di tutto, contadini, al di là di qualsiasi considerazione religiosa, etnica o ideologica, aspetti tuttavia rilevanti che dovranno essere studiati in futuro. Le loro vite, legate al lavoro della terra, alla gestione dell’acqua, alla cura degli animali e all’ottenimento di varie materie prime, si possono comprendere solamente cercando delle tracce nelle zone che hanno abitato. E se la comunità contadina in genere non viene ricordata o menzionata dagli storici contemporanei per il suo contributo fondamentale nella formazione e nell’organizzazione del paesaggio, un silenzio ancora maggiore avvolge le comunità rurali dell’epoca andalusí. La storia di al-Andalus, al di là di un interesse superficiale degli storici che si concentra per lo più nell’arte, l’architettura e la letteratura dell’epoca, continua a non essere riconosciuta come un passato degno di considerazione in molte regioni della Penisola Iberica (García-Contreras 2015). È quello che succede nella zona che abbiamo studiato, una regione altamente rurale nel settore nordorientale del centro peninsulare. Il periodo andalusí, per il quale scarseggiano fonti documentali precise in relazione a questo spazio geografico e caratterizzato da una cultura materiale che fino ad ora è passata inosservata, non è stato studiato adeguatamente salvo come contesto precedente al periodo che realmente interessava analizzare, cioè quello bassomedievale feudale e cristiano. Siamo coscienti, però, del fatto che non conosciamo tutti i siti archeologici esistenti, e di quelli che conosciamo le informazioni sono scarse e contraddittorie sia per quanto riguarda la cronologia sia per il ruolo che ebbero in al-Andalus. Si è dunque cercato di fornire una spiegazione delle dinamiche d’occupazione dello spazio, la trasformazione del paesaggio e la creazione del territorio in funzione dei dati esistenti, precedenti o da noi generati, dove lo spazio naturale spiega la permanenza di queste comunità in quest’area periferica, in cui i poteri statali ebbero un controllo molto scarso durante gran parte del periodo osservato. E tutto ciò in chiara corrispondenza con la produzione del sale, una importante risorsa naturale che potrebbe ancora essere sfruttata in questa regione, come abbiamo cercato di dimostrare. Finora non è stato possibile realizzare i necessari scavi ar­ cheologici di alcuni di questi siti, soprattutto i villaggi, che potrebbero modificare molte delle affermazioni che a tutt’oggi consideriamo indiscutibili. Siamo convinti di aver dimostrato che gli insediamenti nel nordest della provincia di Guadalajara non sorsero semplicemente per necessità difensiva né per testimoniare il potere di uno Stato centrale in un contesto di frontiera. La storia forse più importante, quella che risulta prioritario studiare e spiegare, è quella delle comunità contadine. A queste dobbiamo attribuire la lenta e graduale dinamica dei paesaggi che troviamo attualmente, perché contengono le tracce di chi vi abitò, lavorò e le difese. Il periodo andalusí, soprattutto dal X secolo, è stato fondamentale per la configurazione dei paesaggi attuali, come evidenziato dallo studio archeologico nell’area centro-orientale della Penisola. Determinati spazi naturali, fino a quel momento incolti, vennero trasformati e messi a coltura: i medi pendii e le aree vicino alle saline nelle valli dell’Alto Henares, dell’Alto Jalón, dell’Alto Tajuña e dell’Alto Tajo, vennero abitate ed organizzate territorialmente, proprio perché le attività economiche e l’organizzazione sociale dei secoli di al-Andalus lo permettevano e lo rendevano necessario.

pp. 524-526). E non lontano da questi quattro siti si trovano la salina di San Juan, in Saelices de la Sal, che come detto in precedenza è l’unico esempio di salina scavata in tutta la provincia (García Soto, Ferrero 2006). Sebbene non si abbiano prove anteriori al XVIII secolo, sappiamo che il sito, chiamato Sant Felizes, era in uso almeno dall’inizio del XIII secolo (Ortego 2013; García-Soto, Ferrero 2006). San Juan in Saélices de la Sal non è l’unica salina in quest’area centrale. Ne troviamo un’altra vicino al sito di Anguita, villaggio citato nel XI secolo nel Poema del Cid, che fa riferimento ad una grotta abitata (Menéndez Pidal 1961, pp. 26 e 544) con resti di una torre medievale d’origine islamica (Serrano 2008). È, per tanto, un villaggio con grotta e torre, che assomiglia al modello di Casares in Riba de Saelices e anche ad altri nelle valli dell’Alto Henares, come la grotta Harzal in Olmedillas, già descritte entrambe. In questa valle dell’Alto Tajuña e più precisamente nella zona intorno a una laguna parzialmente salata presso Hortezuela de Océn, vari ritrovamenti ci permettono di ipotizzare forme diverse di sfruttamento del sale. Un sito chiamato Océn, situato ad una certa altezza, con ceramica islamica, è citato dopo la conquista feudale (Retuerce 1995, 110 e 113; Martínez Díez 1983, pp. 225 e 229) insieme alle torri quadrate edificate con tecniche architettoniche diverse (Luzón, Albalate de Tajuña, Anguita, La Loma, Torresaviñán…), datate intorno ai secoli X-XI, alcune delle quali mostrano un evidente rapporto d’uso con l’insediamento vicino (Batanero, Alcón c.s.). A questo dobbiamo aggiungere l’esistenza di un castello vicino, mai scavato, chiamato nella documentazione dopo la conquista come Almalaff (Sánchez 1916, p. 146; Lázaro 1995, p. 68), toponimo che proviene dal’Arabo almallaha e che significa saline, come già detto. Oltre a tutto questo, ci sono testimonianze scritte dell’esistenza di saline in queste aree almeno nel XVI secolo, in una zona di abbondanti toponimi di origine araba: Iniestola, Bujadral, Albalate, forse anche Galbán ecc. Tutto ciò potrebbe essere prova di un insediamento contadino, in alcuni casi con torri legato alla produzione salina o all’allevamento e probabilmente parte di un distretto castrale chiamato “Salina”, ossia in arabo al-mallah: un insediamento che quindi sarebbe simile al modello descritto per le valli dell’Alto Henares. 5.  CONCLUSIONI: L’ARCHEOLOGIA RUR ALE COME SUPER AMENTO DELLA STORIA DELLA FRONTIER A NELLA ZONA CENTR ALE DI AL-ANDALUS Alle luce di quanto detto in precedenza, possiamo concludere che tra i secoli VIII e XII la storia del centro peninsulare non può essere spiegata solamente attraverso le narrazioni di fatti militari precisi e la descrizione di fortificazioni e tecniche di difesa ed assedio. Il racconto storico costruito fino ad ora in funzione di questi elementi, che ha portato anche ad insinuare un certo spopolamento ed una forte militarizzazione, è una conseguenza della mancanza di studi, soprattutto quelli su base archeologica. I quattro secoli durante i quali il territorio settentrionale di Guadalajara e il sud di Soria appartenne a al-Andalus costituiscono una tappa fondamentale nella costruzione del paesaggio attuale. Nonostante le trasformazioni successive, è possibile recuperare attraverso la scarsa documentazione scritta, la toponomastica, le carte storiche e soprattutto attraverso l’indagine archeologica, dati sufficienti per elaborare un quadro approssimativo dell’organizzazione territoriale di quest’area in epoca andalusí. La costruzione di una nuova esposizione storica su questo settore del centro della Penisola deve includere nuovi strumenti d’indagine non sfruttati fino ad ora e soprattutto deve

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L’articolo trova il suo nucleo centrale in una tesi di dottorato finanziata grazie al Ministero de Educación y Ciencia dal Governo Spagnolo, e realizzata presso l’Università di Granada (anni 2008-2012). La ricerca si è sviluppata nell’ambito del progetto «Organización del territorio y explotación de la sal desde la Tardía Antigüedad a la formación de la sociedad feudal en el área del Sistema Central: zonas de Guadalajara y Madrid» (HUM2007-66118/HIST), finanziato dal Ministerio de Ciencia e Innovación e diretto da Antonio Malpica Cuello (anni 2008-2010). Le ricognizioni archeologiche delle valli dell’Alto Henares sono state condotte sotto la direzione di Nuria Morère e Jesús Jiménez Guijarro (anni 2008 e 2009). Il testo e le mappe sono stati realizzati durante la permanenza post-dottorale dell’Autore presso l’Università di Reading (Regno Unito) nell’ambito del programma di Perfeccionamiento de Doctores dell’Università di Granada (anni 2014-2016). Ringrazio Marialucia Amadio per le correzioni del testo in italiano e Jorge A. Eiroa Rodríguez e Marcos Garcia per tutte le critiche e suggerimenti che hanno contribuito a migliorare il lavoro. Desidero ringraziare l’attenta revisione dei lettori anonimi della rivista. Le osservazioni critiche e i suggerimenti ricevuti sono stati preziosi per migliorare il testo. Eventuali errori sono, tuttavia, responsabilità dell’Autore.

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Summary The salt landscape on the borders of Al-Andalus: considerations on the central-eastern area of the Iberian Peninsula in the 8th-12th centuries. The objective of this study is to analyze the social organization of the territory and the distribution of the settlements particularly in relation to the management and control of the natural resources, especially salt, considering the places connected with its production: the salt pans. The geographical area which has been chosen is located

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note e discussioni analizzate, pertanto, l’invasione e l’islamizzazione di queste aree nei secoli VIII e IX, fino all’espansione, conquista e colonizzazione feudale che avvenne tra l’XI e il XII secolo. Parole chiave: insediamento, saline, al-Andalus, Guadalajara, con­ tadini.

in the center of the Iberian peninsula, especially the area north and east of the province of Guadalajara and south of the nearby province of Soria. The chronological period that has been studied is the period from the 8th to the 12th century. From a historical and cultural point of view, these centuries correspond to the period in which this land was part of the Marca Media di al-Andalus, that is, the central space of the frontier between the andalusi society and the feudal society of the Christian kingdoms. For this reason, we have analyzed the invasion and Islamization of this area from the 8th to the 9th century, up until the expansion, conquest and feudal colonization which occurred during the 11th and 12th centuries. Parole chiave: settlement, salt pans, al-Andalus, Guadalajara, peasants.

Resumen Paisajes de la sal en la frontera de al-Andalus. Reflexiones sobre el sector centro-oriental de la Península Ibérica entre los siglos VIII al XII. El objetivo de este estudio es analizar la organización social del espacio y la distribución de los asentamientos, así como su relación con la gestión de los recursos naturales, y más concretamente la sal y sus lugares productivos: las salinas. El ámbito geográfico elegido se sitúa en el centro de la Península Ibérica. En concreto en el noreste de la provincia de Guadalajara y en el sur de la vecina provincia de Soria. El periodo cronológico tomado en consideración se extiende desde el siglo VIII al siglo XII. Desde un punto de vista histórico-cultural, estos siglos corresponden a la pertenencia de estas tierras a la Marca Media de al-Andalus, es decir, al espacio central de la frontera entre la sociedad andalusí y la feudal, la de los reinos cristianos. Se aborda, por lo tanto, desde la invasión e islamización de estas tierras entre los siglos VIII y IX hasta la expansión, conquista y colonización feudal que se produce entre los siglos XI-XII. Palabras clave: poblamiento, salinas, al-Andalus, Guadalajara, campesinos.

Riassunto L’obiettivo di questo studio è analizzare l’organizzazione sociale del territorio e la distribuzione degli insediamenti, anche in relazione alla gestione e al controllo delle risorse naturali, in particolare quella del sale, considerando anche i luoghi legati alla sua produzione: le saline. L’ambito geografico scelto si situa nel centro della Penisola Iberica, in particolare nel nord-est della provincia di Guadalajara e nel sud della vicina provincia di Soria. Il periodo cronologico preso in considerazione va dall’VIII al XII secolo. Da un punto di vista storico-culturale questi secoli corrispondono al periodo in cui queste terre fecero parte della Marca Media di al-Andalus, ovvero dello spazio centrale della frontiera tra la società andalusí e quella feudale dei regni cristiani. Vengono qui

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