Frammento

July 1, 2017 | Autor: Adelchi Battista | Categoria: History, Medieval History, Novel, Medioevo, Molise
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Giovedì, quattro giorni prima delle idi di giugno, 1053, sesta indizione, terza. L’ombra della meridiana sulla piccola chiesetta di San Pietro segnava ormai terza. La chiesa era stipata di gente. Dignitari, conti, vescovi, comandanti militari. Nessuna donna presente. Seduti sugli scranni c’erano gli uomini più importanti, e poi tutti gli altri in piedi intorno; fuori campeggiavano gli uomini nelle cucine, e altri nei panni di soldati, servitori, camerieri, nullafacenti. Papa Leone era seduto nel centro di tutto questo viavai. Quando i brusii si furono calmati, sul pulpito della chiesa salì il cancelliere Federico. «Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo!» «Amen» fecero eco i presenti. Si segnarono tutti tranne il papa. «Siamo qui riuniti, cinque giorni prima delle idi di giugno dell’anno del signore 1053, nella località detta Sale della contea di Bovianum, a poca distanza dal fiume Biferno, per esercitare un placito e comporre una controversia. Noi, papa Leone IX, santissimo e reverendissimo, dichiariamo aperti i lavori. È convenuto qui da noi il venerabile Liutfredo, abate di San Vincenzo al Volturno, accompagnato dal suo priore Giovanni dei Marsi. Questi monaci reclamano la legittima proprietà della chiesa e del monastero di Santa Maria in Castagneto, che si trova in agro di Cosano.» «Fateli venire avanti» disse il papa. Il vecchio abate Liutfredo e il priore Giovanni, che gli sorreggeva il braccio, comparvero nel bel mezzo della chiesa, come due sposi di Cristo. Data l’ora e la particolare disposizione della chiesa, il sole era alle loro spalle, filtrato dal portale e dal rosone della facciata, creando così un effetto particolare. Leone strinse gli occhi per individuare i tratti del volto dei due, che si trovavano in controluce. Ad un certo momento Giovanni si fermò, mandando avanti il malfermo abate Liutfredo. «Vostra santità, vi porge omaggio il mite Liutfredo, commendato ai servigi del monastero del Santo martire Vincenzo alle fonti del Volturno. Non

devo a voi ricordare la storia e la gloria del nostro monastero, ma vorrei portarvi bensì un diploma dell’imperatore Enrico II con sigillo del vostro predecessore Nicola, che risolveva una controversia tra il nostro abate di allora, il venerabile Ilario, e il signore Magenolfo; l’imperatore ci assegnava ad libitum la chiesa e il monastero benedettino, che peraltro fu fondato da noi monaci di San Vincenzo e intitolato a Santa Maria del Castagneto, nel luogo dell’antica Cosano o Cusano.» E dette queste parole l’abate tirò fuori dalla scura tonaca una pergamena, che trattava con la massima delicatezza, e che pretese di porgere direttamente nelle mani del pontefice, senza farla toccare a nessuno. Il papa la prese e la esaminò per un minuto, quindi alzò gli occhi verso il cancelliere Federico, ancora sul pulpito, come a dire ‘e allora?’ Il cancelliere recepì il messaggio al volo. «Santa Maria in Castagneto è oggi governata dal monaco Alberto, che dice di essere l’abate. Egli è qui, ed è qui anche il duca di quei luoghi, che lo riconosce come tale.» Leone questa volta fece solo un cenno con la mano. I due si fecero avanti. Il primo, il monaco Alberto, con una tunica scura e la faccia da bandito, occhi rossi e gonfi di rancore, forse anche d’altro. Il secondo invece era Roffrid. Il papa strinse di nuovo gli occhi, poi li riaprì. Proprio Roffrid, il conte di Guardia, che si apprestava ad ospitare tutti loro in uno dei suoi castelli. «Monaco Alberto, perché avete usurpato il monastero ai benedettini di San Vincenzo? È una cella antica, fondata da loro centinaia di anni fa, riconfermata dall’imperatore. Cosa avete da dire?» «Santità, mio signore, i monaci di San Vincenzo sono estremamente esigenti, aumentano ogni anno le decime, ci impongono i lavori più degradanti, decidono chi deve governarci, anche se il preposto non è mai vissuto nel nostro monastero e non conosce gli usi e i costumi dei nostri luoghi. Noi rispettiamo

e conosciamo bene i meriti e la santità dei monaci di San Vincenzo, ma quello che va bene per loro non va bene necessariamente per noi. Il conte di Bojano e delle torri di Guardia di Santa Romana Chiesa, Guardia Grele, Guardia Alfiera e Guardia Infra Mundis, il duce di eserciti Roffrid, può confermare in pieno le mie parole.» «Non serve» intervenne subito il cancelliere Federico, deciso ad impedire sul nascere eventuali problemi. Il papa lo ringraziò con un cenno del capo. Poi disse: «Queste non sono motivazioni valide, mi spiace. Confermiamo all’abate di San Vincenzo la sua piena proprietà e i suoi diritti di rendita, stante il documento che li attesta, e la nostra decisione valga in perpetuo. Firmiamo noi presule di Santa Romana Chiesa, firmate voi Umberto di Selva Candida e voi Federico cancelliere, nonché voi Pietro, arcivescovo di Amalfi. Togliamo la seduta e… conte Roffrid, con voi vorrei conferire in privato» Il brusiò ricominciò, poi suonarono i campanelli per la messa. Il papa si fece portare la lettiga fuori dalla chiesa e da lì apostrofò il conte: «Roffrid, vi facciamo notare che appoggiare le usurpazioni delle proprietà della chiesa rappresenta un grave peccato. Non vi abbiamo scomunicato, voi e quel vostro prete, soltanto perché ci avete assicurato il ristoro a Guardia Alfiera.» «Signor papa, io rispetto la vostra decisione, e vorrei rimanere soldato fedele di Santa Romana Chiesa. Ma dovete permettermi di chiedervi un’astrazione mentale, di farvi cioè uno di noi, che vive per la maggior parte del tempo anche sull’altro versante dei monti del Matese. I rapporti con le grandi abbazie benedettine…» «Non vogliamo discutere di questo con voi. Le grandi abbazie benedettine sono i nostri luoghi santi, che voi longobardi avete profanato secoli fa, esattamente come ora i normanni che ci apprestiamo a combattere! Non sta

a voi decidere un limite, una decenza, una tolleranza, ovvero un grado di giudizio sui comportamenti dei monaci e degli ecclesiastici in genere. Il Signore viene prima dell’uomo.» «Ma certo Santità. Mi rimetto al vostro volere.» «Sta bene. E adesso vogliate preparare tutto. Dopo la messa ci incamminiamo per Guardia Alfiera.»

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