Frida Kahlo: naturalista (sur)realista messicana.pdf

May 22, 2017 | Autor: Gioia Mori | Categoria: Frida Kahlo
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Frida Kahlo a Gisèle Freund, in “Novedades”, 10 giugno 1951

Frida Kahlo, Diego Rivera, RufinoTamayo, María Izquierdo, David Alfaro Siqueiros, Ángel Zárraga

E

breo di San Pietroburgo, Jacques Gelman (1909-1986) arriva in Messico nel 1938, e costruisce la propria fortuna come produttore cinematografico di film comici. Sposa nel 1941 un’altra emigrata europea, la morava Natasha Zahalkaha (1911-1998), che Jacques fa ritrarre nel 1943 dal pittore più importante del paese, leader culturale e politico: Diego Rivera. Il pittore esalta l’esotica bellezza di Natasha circondata da un mare di calle, e quello sarà il primo di una serie di ritratti che la coppia commissionerà ai pittori in voga nel paese – Rufino Tamayo, Ángel Zárraga, Frida Kahlo –, ma soprattutto è l’inizio di un’avventura collezionistica. Una parte della loro collezione, quella dedicata ai grandi artisti europei del XX secolo, oggi è a New York, al Metropolitan Museum of Art; mentre è rimasto in Messico il nucleo di opere dei pittori messicani, costituito da un insieme consistente di opere di Diego Rivera (1886-1957) e soprattutto di Frida Kahlo (1907-1954). È Frida, dunque, la protagonista di questo volume in cui sono presentate nuove indagini volte a raccontare la sua affermazione artistica – dovuta prima ad André Breton e poi all’intera intellighenzia messicana –, un cammino che la trasformerà da “vivace señora Rivera” a eroina culturale del Messico, a icona del cinema e della moda. Oltre dunque a essere un’artista che ha costruito un corpus pittorico attraverso il proprio corpus fisico, solo Frida Kahlo è riuscita a fare della propria immagine e di un costume etnico un manifesto identitario e ideologico, così forte da essere ancora oggi fonte di ispirazione per i più grandi stilisti: da Lacroix a Gaultier, da Ferré a Marras, da Curiel a Valentino, tutti riuniti per la prima volta a raccontare la loro “pasión por Frida”.

La Collezione Gelman: arte messicana del XX secolo

He sufrido dos accidentes graves en mi vida […] Uno, en que un tranvia me atropelló, cuando yo tenía 16 años: fractura de la columna, 20 años de inmovilidad… El otro accidente es Diego…

La Collezione Gelman: arte messicana del XX secolo

Skira

Frida Kahlo Diego Rivera RufinoTamayo María Izquierdo David Alfaro Siqueiros Ángel Zárraga

À 35,00

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08/11/16 15:29

La Collezione Gelman: arte messicana del XX secolo

La Collezione Gelman: arte messicana del XX secolo

Frida Kahlo Diego Rivera RufinoTamayo María Izquierdo David Alfaro Siqueiros Ángel Zárraga a cura di Gioia Mori

La Collezione Gelman: arte messicana del XX secolo

In copertina Frida Kahlo Autoritratto MCMXLI, 1941 (cat. 26, particolare)

Frida Kahlo Diego Rivera RufinoTamayo María Izquierdo David Alfaro Siqueiros Ángel Zárraga

Bologna, Palazzo Albergati 19 novembre 2016 - 26 marzo 2017

Design Marcello Francone Coordinamento redazionale e ricerca iconografica Massimo Zanella Redazione Elisa Sentieri Impaginazione Serena Parini Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore © 2016 Arthemisia Group © 2016 Skira editore, Milano © Banco de México Diego Rivera Frida Kahlo Museum Trust, D.F. by SIAE 2016 © Rufino Tamayo, Edward Weston, Ángel Zárraga by SIAE 2016 © Ruven Afanador © Estate of Lucienne Bloch, courtesy Old Stage Studios Lola Álvarez Bravo © 1995 Center for Creative Photography, the University of Arizona Foundation © Colette Urbajtel/Archivio Manuel Álvarez Bravo, S.C. © Fritz Henle Estate © Alejandra Matiz. Fundacío Leo Matiz, Città del Messico © Nickolas Muray Photo Archives LLC © The Estate of Martin Munkácsi, courtesy Howard Greenberg Gallery, NY Tutti i diritti riservati Finito di stampare nel mese di novembre 2016 a cura di Skira, Ginevra-Milano Printed in Italy www.skira.net

Crediti fotografici Per tutte le immagini delle opere della The Jacques and Natasha Gelman Collection of 20th Century Mexican Art and The Vergel Foundation: foto Gerardo Suter Per tutte le fotografie della collezione Throckmorton: courtesy of Throckmorton Fine Art Inc. © Library of Congress, Prints & Photographs Division, Toni Frissell Collection 9 © Foto Art Resource/Bob Schalkwijk/Scala, Firenze 11, 23 sinistra, 24 alto, 29, 31, 154 basso sinistra, 156 basso sinistra, 170 alto sinistra © 2016 San Francisco Museum of Modern Art 15 destra © Christie’s Images, London/Scala, Firenze 17, 26, 58, 156 alto sinistra © Foto Fine Art Images/Heritage Images/Scala, Firenze18 © Foto © PVDE / Bridgeman Images 19 © Philadelphia Museum of Art 21 alto © The Metropolitan Museum of Art/Art Resource/Scala, Firenze 21 basso, 154 alto sinistra, 162 alto sinistra © Wellesley College Friends of Art/ Bridgeman Images 22 alto sinistra © Foto Jorge Contreras Chacel/ Bridgeman Images 22 alto destra © Dumbarton Oaks 22 basso © Real Academia de la Historia, Madrid 23 destra © Foto Scala, Firenze - su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo 24 basso © Museo de Antropologia, Ciudad de México 27 basso © Photo CNAC/MNAM Dist. RMN/ Alinari 28 © Christie’s Images/Bridgeman Images 34, 37 destra, 38 destra, 42 © Museu de Arte, Sao Paulo, Brazil / Bridgeman Images 36 sinistra © Foto Gabriel Figueroa/INBA/ Bridgeman Images 36 destra, 39 sinistra © Museo Nacional de Arte, Ciudad

de México/Bridgeman Images 37 sinistra © The Art Institute of Chicago/ The Alfred Stieglitz Collection/ Bridgeman Images 38 © Petit Palais, Geneva /Bridgeman Images 40 © San Diego Museum of Art/ Bridgeman Images 41 © Museo Mural Diego Rivera, Ciudad de México/Bridgeman Images 43 © Christophel/Photo Scala, Firenze 48 alto, 48 centro, 48 basso, 49 sinistra, 49 destra, 50 sinistra, 50 destra, 51 sinistra, 52 destra © Getty Images 63, 65 sinistra, 65 destra, 66, 67, 75, 76, 77 © Archivio Fondazione Ferré, Milano, 64, 71 sinistra, 71 destra © Guy Marineau 68, 69, 70 © Archivio Atelier Raffaella Curiel 72 sinistra, 72 destra © Kyoto Costume Institute, Kyoto 74 © National Museum of Women in the Arts 162 basso sinistra © Foto Schalkwijk/Art Resource/ Scala, Firenze 170 basso sinistra

Con il patrocinio di

Presidente e amministratore Iole Siena

Mostra prodotta e organizzata da

Responsabile Produzioni e progetti internazionali Allegra Getzel Responsabile scientifico Katy Spurrell Responsabile Ufficio mostre Tiziana Parente

In collaborazione con

Sponsor

Ufficio mostre Giulia Brugnoletti Cristina Guerras Gina Ingrassia Elena Vismara Ufficio estero Francesca Silvestri Responsabile Ufficio prestiti e registrar Ghislaine Pardo Ufficio prestiti Francesca Longo Alessandra Caldarelli Sviluppo e Area Contemporary Nicolas Ballario Responsabili Ufficio comunicazione Giulia Moricca Marzia Rainone

Ufficio comunicazione Claudia Riccardi Serena Martinis Cecilia Battisti Giulia Gueci Vivien Maria Raimondi Gabriella Valente Capo Ufficio stampa Adele Della Sala Ufficio stampa Anastasia Marsella Salvatore Macaluso Responsabile “I Racconti dell’Arte” Sergio Gaddi Marketing e Fundraising Gaia Franceschi Erika Salomon Elisa Saviani Responsabile Bookshop Beatrice Giovannoni Controllo di gestione Lorenzo Losi Amministrazione Mara Targhetta Rosa Scala

Mostra

Catalogo

A cura di Gioia Mori

A cura di Gioia Mori

Progetto di allestimento e direzione lavori Cesare Mari/PANSTUDIO architetti associati con Carlotta Mari

Saggi Gioia Mori Carolina Brook Luca Antoccia Paola Bertola Vittorio Linfante

Allestimento Tagi2000 Grafica di mostra e grafica immagine coordinata Angela Scatigna Realizzazione grafica in mostra Quadricroma s.a.s Lightning designer Francesco Murano Conservazione opere in mostra Mariella Gnani Assicurazioni Kuhn & Bülow Italia Trasporti Arterìa

Ufficio legale Damiano Pallottino

Audioguide Start

Responsabile segreteria generale Federica Sancisi

Biglietteria GRT Roma

Segreteria Laura Solinas

Servizi didattici Vittoria Tina Di Giorgio Bookshop Arthemisia

Sommario

Albo prestatori The Jacques and Natasha Gelman Collection of 20th Century Mexican Art and The Vergel Foundation Courtesy of Throckmorton Fine Art Inc. Raffaella Curiel Fondazione Gianfranco Ferré Jean Paul Gaultier Antonio Marras Valentino Ringraziamenti Rita Airaghi Paola Bertola Sully Bonnelly Magda Carranza De Akle Gigliola Curiel Raffaella Curiel Juliette De Laubier Vittorio Linfante Robert R. Littman Giorgio Mori Silvia Negri Firman Amandine Pâris Marco Ravenna Gloria Roseti Michela Sabbatini Sistema Museale di AteneoUniversità di Bologna Museo di Palazzo Poggi Renata Taccani Violante Valdettaro Gli organizzatori rivolgono un ringraziamento particolare a Camillo, Jacopo e Paolo Bersani Alessandra Taccone Massimo Vitta Zelman Tomaso Radaelli per aver reso possibile questo progetto

Special Partner

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Sponsor tecnico

Hospitality partner

Frida Kahlo: naturalista (sur)realista messicana Gioia Mori

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Diego Rivera e la pittura da cavalletto Carolina Brook

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Kahleidoscope Ventidue cors(iv)etti intorno al corpo di Frida (e del cinema) Luca Antoccia

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L’identità vestita. Frida Kahlo e la moda Paola Bertola, Vittorio Linfante

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Diego Rivera

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Rufino Tamayo David Alfaro Siqueiros María Izquierdo Ángel Zárraga

Media coverage by

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Frida Kahlo

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Diego e Frida una vita per immagini Apparati

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Elenco delle opere Bibliografia essenziale

Frida Kahlo: naturalista (sur)realista messicana

Gioia Mori

A mio papà, Ernesto, che mi ha dato tanto e che ho amato tanto.

I

1. Toni Frissell Frida vicino a un’agave, foto per il servizio Señoras of Mexico, in “Vogue”, 1 ottobre 1937 Collezione privata

l primo collezionista di Frida Kahlo fu un gangster, con Borsalino, sigaro, sguardo penetrante, cuore irrimediabilmente tenero: si chiamava Joe Krozac, L’ultimo gangster, ma era noto anche come Little Caesar. Fuori dal ruolo criminale con cui dominava Hollywood, era Edward G. Robinson, ovvero Emanuel Goldenberg, ebreo di Bucarest, uomo colto e dai modi raffinati e gentili. È la stessa Frida Kahlo a raccontare a Julien Levy, in una lettera del settembre 1938, che non aveva mai esposto i suoi quadri, perché “timida e paurosa”, e che solo poche settimane prima ne aveva venduti alcuni al grande attore, disponibile a prestarli per la mostra alla Julien Levy Gallery1. Dalla gloria degli schermi, Edward G. Robinson cadde nel corso degli anni nella disgraziata trappola delle persecuzioni maccartiste, sospettato di essere comunista e antiamericano, nonostante l’impegno profuso prima e durante la seconda guerra mondiale: già nel 1938 faceva parte di alcune organizzazioni antinaziste a Hollywood e, cinquantenne, su richiesta dell’Office of War Information, si era trasferito a Londra, dove faceva trasmissioni radio per i soldati al fronte e propaganda antinazista in tedesco. Dopo la guerra, il finanziamento a diverse organizzazioni umanitarie e un divorzio impegnativo furono la causa della dispersione della sua collezione. Uno dei quadri di Frida, l’Autoritratto con collana del 1933 (cat. 23), ritornò a Città del Messico, acquistato dai coniugi Gelman. Jacques era un ebreo russo di San Pietroburgo, arrivato nel 1938 in Messico, dove fece fortuna producendo i film comici di Mario Moreno, detto Cantinflas. Nel 1941 sposò la morava Natasha Zahalkaha, e la coppia nei primi anni quaranta divenne intima di Frida, figlia di un ebreo tedesco di origine ungherese, e di Diego. La vicenda collezionistica brevemente delineata si svolge tra due date che nel percorso di Frida Kahlo si collocano come confini: 1938 e 1943. Fino al novembre del 1938 non è ancora un’artista conosciuta, semmai è solo la “señora Rivera”; nel 1943 inizia quel processo che farà diventare Frida un’“eroina culturale” messicana, strappandola alle glorie surrealiste. Una storia di trasformazioni personali e di affermazione critica complessa, piena di contraddizioni, di tragedie individuali e deflagrazioni culturali e politiche: in mezzo, “tra”, c’è Frida, “shy and affraid”, come scrive lei stessa con un’incertezza ortografica. 9

2. Frida Kahlo La colonna spezzata, 1944 Città del Messico, Museo Dolores Olmedo

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Il corpo di Frida Kahlo Frida aveva trent’anni quando comparve su “Vogue” nell’ottobre del 1937 come una delle “señoras” del Messico: le foto di Toni Frissell ritraggono, accanto a una gigantesca agave, una minuta ragazza dall’aspetto indio, con le trecce fermate da nastri colorati, avvolta nel rebozo tessuto a mano, una “sottanina” – così definì le sue lunghe gonne l’artista Ione Robinson – a nasconderle le gambe (fig. 1). Aveva trentanove anni quando, in un articolo pubblicato sul “Los Angeles Times” del gennaio 1946, Frida viene definita la First lady dell’arte messicana e “dei cuori della gente”; e qui è un’artista, pittrice della sofferenza, entrata con la sua opera nell’universo museale degli “immortali” e nelle case di Beverly Hills2. Il claudicante cammino del riconoscimento artistico di Frida Kahlo era stato lento e cosparso di “inciampi critici”, ma a quella data poteva dirsi compiuto negli Stati Uniti e in Europa, e diretto verso una glorificazione nazionale, quando il Messico farà di lei un’“eroina culturale”. A Frida, infatti, spiegano i redattori del supplemento di “Novedades” che nel 1951 allestiscono l’intero numero intorno alla sua storia e alla sua arte, spettava un risarcimento, usando un termine che è germe fondativo di quell’antropologia dell’ammirazione intessuta intorno alla sofferenza, all’amputazione sacrificale, a cui Frida – al contrario di Van Gogh, per esempio – avrebbe volentieri rinunciato. Tutto ruota intorno al suo corpo, e mai come in questo caso il corpus pittorico è anche il corpus fisico dell’artista, le cui protesi furono peraltro spesso usate come supporto per la pittura. Frida guardò con sguardo impassibile, seppure bagnato da lacrime di latte, la sua esistenza inesorabilmente dolorosa, un martirio trasposto nei quadri, icone della sofferenza intercalate da appassionati e squillanti inni alla vita. Protagonista principale è la malattia, la disabilità causata dall’orribile incidente che spezzò il suo corpo in ventidue pezzi, riducendo lo scheletro a uno spampanato fiore di ossa rinsaldate, la colonna frantumata che in un dipinto diventerà architettonica, innestata nelle carni punte da chiodi di dolore (fig. 2). Un’ortopedica crocifissione del corpo-prigione smontato e costretto in camicie di forza in gesso e metallo, esibita da Frida insieme ai continui strazianti tentativi – oltre trenta dolorose operazioni chirurgiche – di riconquistare la mobilità. E ugualmente senza pudori esibirà anche l’impossibile maternità e il rifiuto del suo ventre perforato di generare vita. Il suo corpo è esposto come un attrezzo di scena del contemporaneo “teatro della crudeltà” di Artaud, destinato a produrre un’esplosione psichica; le torture chirurgiche, le sentenze inappellabili, le amputazioni, le droghe antidolorifiche, i supplizi del disfacimento sono lacrime di Eros non comprese nel catalogo di Bataille, squadernate sul rigido supporto di masonite o di metallo. Il racconto si avvale di una lingua meticcia, un lessico familiare in cui la tradizione cattolica incontra i mitologemi indios, ancestrali suggestioni ebraiche si stemperano in orientali speranze di trasformazione karmica; dove l’irrisione della morte fatta di zucchero e cartone si affianca allo studio lenticolare dell’anatomia del corpo squartato; dove colloqui affettuosi con gli animali che non tradiscono si contrappongono ai dialoghi spezzati con gli uomini che tradiscono: tutto è intrecciato dalla paziente Frida in un rosario figurato struggente e tragico. E la sua opera ha le stesse

3. Artist’s Wife Paints, Too, But She’s Individualistic, in “El Paso Herald-Post” (El Paso, Texas), 30 aprile 1935, p. 1

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caratteristiche del rosario: i suoi dipinti sono misteri gaudiosi e misteri dolorosi, pochi temi “recitati” con la stessa ripetitività e speranza con cui si sgrana una corona. Alla devastazione che il destino impietosamente infligge al suo perimetro somatico, Frida oppone una frontiera di colori, la natura viva e brillante di quella polvere d’oro che si era sparsa sul suo corpo al momento dell’incidente. In quella geografia del dolore che è la mappa strappata del suo corpo, tra gli organi che dipinge con abilità da “bióloga; naturalista” – come si definisce in un colloquio con Mario Monteforte Toledo3 – e con precisione da anatomopatologa, ricorre il cuore. Sofferente e spezzato, gettato per terra o esploso nel petto, narra quello che Frida considerò “il secondo grande incidente” della sua vita, come confessò a Gisèle Freund4: Diego Rivera, uomo dei mille tradimenti e delle infinite riconciliazioni, del quale Frida è la terza e quarta moglie, sposato nel 1929 e nel 1940. Dalla propria vita e dalla propria terra Frida fa nascere un’arte opposta a quella dell’uomo con cui condivise venticinque dei suoi quarantasette anni di vita. Di educazione europea, Diego narra la storia del Messico per rendere edotto il popolo analfabeta, dipinge gli eroi di quell’epopea collettiva fatta di conquistadores e sottomessi, che devono essere riconoscibili nelle fattezze e nelle imprese. Il metodo narrativo, efficace e semplice, è lo stesso che nel 1921 aveva trovato in Italia nei grandi cicli medievali e rinascimentali: riprende dunque la narrazione fabulistica fatta da Tintoretto nel Palazzo Ducale di Venezia, e l’eloquenza icastica del potere vista nei mosaici di Ravenna del VI secolo, con l’imperatore Giustiniano e il vescovo Massimiano che emergono dall’astrazione aurea per rivolgersi con sguardo fermo e di comando al clero e ai fedeli5. Frida percorre una strada opposta: è ispanica e india per metà materna, cattolica e pagana; è ungherese e tedesca per metà paterna, ebrea. Da quel meticciato emerge un’identità terza, un sincretismo di mitologemi. Diego dipinge metri quadrati di muro, lei piccoli quadri in masonite e metallo e vetro su cui può lavorare anche stesa a letto. E ama gli enigmi, la decifrazione invece dell’esplicazione, facili rebus scritti per immagini: nel ritratto dello scrittore Miguel Lira, nome e cognome sono scritti attraverso l’arcangelo Michele e la lira che compare sullo sfondo; nel suo autoritratto Il tempo vola, “scrive la frase” usando la sveglia con le lancette e il piccolo aeroplano. La differenza tra lei e Diego viene indicata dalla stessa Frida in una breve intervista che compare sulla prima pagina di “El Paso Herald-Post” il 30 aprile 1935 (fig. 3): il giornalista la incontra insieme a una giovane russa, Mary Siff, di Riga, durante una tappa del viaggio che le porterà a New York e a Detroit. È un momento triste per Frida, tradita da Diego con la sorella minore Cristina, che di Frida conosce l’intimità del corpo ferito, accudito in famiglia, l’inferno fatto di medicazioni e dolore; e che ora le tocca anche l’anima. Per fare dispetto a Diego, che ama i suoi capelli lunghi, Frida li ha tagliati corti, non porta rossetto, e al giornalista sembra proprio un ragazzo. A proposito del suo lavoro, spiega perché si distingue da quello di Diego: “I don’t paint his way because I don’t think the same way […]. I’m an individual”. Mary Siff aggiunge compiaciuta: “Many people do not like her work […] She has done some horrible things-pictures that have horrified some of her friends. She is wonderful”6. Orrore, repulsione, compassione: questo suscitava tra i pochi che avevano visto i suoi lavori dell’eccesso.

A quella data, Frida non aveva ancora avuto una mostra personale, pur dipingendo da quasi dieci anni. L’affermazione della sua identità artistica fu infatti lenta e avvenne in terra straniera, tra Stati Uniti e Francia, inserita nel dinamico e fluttuante movimento dell’esperienza surrealista degli anni trenta. L’arte della señora Rivera Il percorso si snoda dalle stanze della Casa Azul in cui era nata – un basso edificio dipinto di blu con i profili rosso corallo a segnare porte e finestre –, per giungere a New York e approdare a Parigi in un museo, unico artista vivente messicano di cui lo Stato francese acquista un’opera. La prima volta che Frida espose fu in Gringolandia, a San Francisco, dove giunse con Diego poco dopo il primo matrimonio, celebrato nell’agosto del 19297. Affermato pittore e controverso leader politico, gli eventi che vedevano Diego protagonista erano seguiti dalla stampa americana con attenzione, attenta agli intrighi comunisti che si tessevano oltre la frontiera. Peraltro, in quel 1929, pochi mesi prima del matrimonio, Diego era stato indicato come uno dei cinque leader comunisti che aspiravano alla presidenza8, ma era anche fortemente osteggiato all’interno del suo partito, che arriverà a decidere una clamorosa espulsione. In quel cruciale anno in cui sposa Frida, era impegnato a riempire quattrocentocinquanta metri quadrati del Palacio Nacional con la storia del Messico, e tra gli aiutanti c’era una studentessa californiana, Ione Robinson, che registrerà la mutazione esteriore di Diego: da pittore rivoluzionario, armato anche sulle impalcature per difendere il suo lavoro dagli oppositori, a borghese in completo grigio. Lo aveva conosciuto vestito con “camicia e pantaloni kaki, con un ampio sombrero e una pistola appesa a un cinturone pieno di cartucce. A distanza non si sarebbe mai pensato che costui potesse essere un artista, però quando entrò nella stanza e mi si avvicinò, potei osservare le sue mani, ed esse furono una rivelazione, così femminee piccole e delicate”. Ma poi qualcosa cambia: “Egli e Frida (la moglie) si sono trasferiti dal suo Studio di calle Tampico in una casa sul più elegante viale di Mexico… Egli ha abbandonato il suo kaki per un vestito all’americana color pepe e sale e Frida ha sostituito gli huaraches (sandali) con scarpine alte di cuoio lucido arancione e ha persino messo un vestito alla moda invece delle solite sottanine”9. Il soggiorno negli Stati Uniti fu dunque un provvidenziale allontanamento dalle tensioni messicane, trovando apprezzamenti e sostenitori in quel paese ideologicamente combattuto dalla coppia, con un atteggiamento originato da quel nazionalismo difensivo antiamericano ben descritto all’epoca da un resoconto di Léon Rollin pubblicato in Francia su “Le Temps”10. La coppia suscita curiosità, non fosse altro per l’aspetto contrastante dei loro corpi: se la famiglia di Frida aveva parlato dell’unione di “un elefante e una colomba”, gli americani saranno meno poetici nel “prendere le misure” del gigante corpulento e della piccola “vivace señora Rivera”11, fragile come un uccellino dentro un vestito di velluto nero, con due trecce legate con un piccolo fiocco12. In due anni attraversano il paese da San Francisco a New York e Detroit, e non passa inosservato neppure il loro stile di vita: sono comunisti, ma amano gli agi, secondo il commento sul “Brooklyn 13

4. Following Husband’s Footsteps, in “The Philadelphia Inquirer” (Filadelfia, Pennsylvania), 28 gennaio 1931, p. 13

5. Work of Visiting Artist, in “Oakland Tribune” (Oakland, California), 8 novembre 1931, p. 22

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Daily Eagle” del 10 gennaio 1932, che li descrive come una coppia borghese, alloggiata a New York in una suite al Barbizon Plaza Hotel, dai gusti non proprio semplici: la stampa americana inizia già in questo soggiorno a rilevare l’incongruenza di Rivera, che si fa pagare lautamente dal sistema capitalista per dipingere contro il sistema capitalista13. Di Frida si parla anche come di un’artista dilettante, sovrastata dal ruolo di moglie del genio messicano, e dunque pittrice perché il marito è pittore14 (fig. 4). Espone per la prima volta nel novembre del 1931 alla sesta mostra annuale organizzata dalla San Francisco Society of Women Artists nel California Palace of the Legion of Honor, e l’autore di un articolo pubblicato sull’“Oakland Tribune” sottolinea che l’interesse per quel quadro è dovuto essenzialmente al fatto che è dipinto dalla moglie di Rivera: “Interest in the canvas lies in the fact that it was painted by the wife of Diego Rivera rather than any value it may have in the world of art”15 (fig. 5). Si tratta del dipinto Frieda e Diego Rivera, realizzato nell’aprile di quell’anno, donato ad Albert M. Bender come ringraziamento per aver procurato a Diego il visto d’ingresso negli Stati Uniti: sarà questo il primo quadro di Frida a entrare in un museo, ceduto da Bender nel 1936 al Museum of Modern Art di San Francisco. La piccola tela racchiude un mondo che passa completamente inosservato, quello dei sentimenti e della spiritualità messicana. La fragile sposa dai piedi minuscoli e fluttuanti è accanto al gigante Rivera corredato di tavolozza, a indicare che il ruolo artistico nella coppia è appannaggio del solo Diego. La cultura figurativa da cui nasce l’immagine ingenua è al momento ignorata, nessuno rileva l’assonanza con la pittura messicana dell’Ottocento, come la tela con due bambini che si tengono per mano, che sembrano essere gli antenati infantili di Diego e Frida: emersi dal fondo scuro della memoria, i loro piedini fluttuano nello spazio privo di prospettiva della morte, e una scritta destinata ai posteri – come quella esplicativa di Frida – ne ricorda i nomi (figg. 6-7). Eppure Frida spargeva indizi sulla sua identità culturale, qualche esplicita dichiarazione che indicava il territorio e il tempo in cui cercare le sue fonti ispirative, la mappa antropologica che le apparteneva, oltre all’elemento scatenante della sua pittura. La storia della terribile vicenda che la incatenò a letto, la dimensione terapeutica dei suoi inizi, è raccontata in un articolo apparso su “The Christian Science Monitor” il 22 marzo 1932, in cui si dice che Frances Flynn Paine, curatrice di una prossima mostra di Diego al Museum of Modern Art di New York, vorrebbe dedicarle una personale – cosa che non avverrà –, e soprattutto si racconta la cifra identitaria di Frida, per ora manifestata attraverso l’abbigliamento. Pur essendo inverno quando il giornalista la incontra a Central Park, veste un abito contadino di cotone stampato a maniche corte; sulle spalle, il rebozo, “un sorprendente scialle di cotone tessuto a mano rosso e nero, che termina con una frangia pesante” 16. Chiusa come in un bozzolo protettivo (Frida spiega che in quegli abiti si sente “in armonia”), emergono solo le mani, che muove con grande grazia. Al giornalista racconta di un immaginario figurativo nato al fianco del padre fotografo che seguiva nei suoi sopralluoghi in giro per il paese, dove Guillermo Kahlo documentava le antiche vestigia coloniali. Frida cita esplicitamente le chiese, che furono in effetti

6. Scuola messicana Ritratto in piedi di due bambini in abito bianco, prima metà del XIX secolo Archivi André Breton 7. Frida Kahlo Frieda e Diego Rivera, 1931 San Francisco, Museum of Modern Art

esplorate da Guillermo nel corso di molti anni, costruendo un catalogo d’immagini che corredarono una delle opere editoriali più importanti degli anni venti, Las iglesias de México, uscita in sei tomi tra il 1924 e il 1927, magnificati anche sulla stampa europea17. È su quegli itinerari di edifici “ultra-barocchi” – come sono definite le architetture coloniali nel III tomo – che si forma l’abbecedario figurato di Frida, colorato come le cupole rivestite di smalti e gli azulejos che ricoprono i pavimenti, un imparaticcio fatto di fiori di carta, di Madonne abbigliate come regine, con passamanerie e gioielli di latta dorata, di corone nuziali in cera sotto campane di vetro, reliquairi d’oro e d’argento, ex voto che tappezzano le pareti delle cappelle: arti isolati, organi estratti dai corpi ed esibiti per miracolosa guarigione, tavolette ricoperte di invocazioni e ringraziamenti stilate con grafia incerta e infantile; e poi, candelabri d’ottone poggiati su tessuti ricamati da pazienti mani di donne recluse nei patios e nei conventi, cartigli in stucco polveroso, statue in legno policromo piangenti lacrime azzurre e gocce rosse di sangue sacro, teschi incartapecoriti di missionari, scultura povera in cartapesta, altari dall’ornamentazione opulenta. Un armamentario ecclesiale che trasborda nei suoi quadri, appropriato per raccontare la sua personale Passione, simile a quella dei martiri del calendario. Se tanta evocazione del sacrificio nel percorso cattolico è preludio di salvazione, nel retaggio pre-ispanico, che pure appartiene a Frida, è appannaggio solo dell’umanità senza santità. E anche quel mondo convive con lei nella quotidianità, le reliquie di terracotta del tempo pre-coloniale, idoli dalla testa deformata e dagli occhi sbarrati 15

Frida Kahlo, (sur)realista Sugli ibridi itinerari messicani, la ibrida Frida inizia alla conoscenza del paese un ospite illustre, André Breton, giunto in Messico nel 1938 per tenere delle conferenze all’università. Il suo viaggio non ha le finalità di Antonin Artaud, approdato nel paese due anni prima anch’egli come conferenziere19, ma che aveva trasformato il viaggio di studio in viaggio iniziatico, caduto nella trappola, ricercata, del peyotl presso i Tarahumara nell’interno del paese, nello stato di Chihuahua. Qualcuno è alla ricerca di un’esperienza magica, qualcuno di uno choc emozionale, Breton è un “compositore” estetico ed elabora alla fine una visione della civiltà messicana che tiene insieme il pre-cortesiano con il contemporaneo, l’ispanico con l’azteco, in un’antropologia dell’immagine che ha il suo precursore in Aby Warburg. Lo storico dell’arte di Amburgo era morto nel 1929, e in un soggiorno del 18951896 presso gli indiani Hopi aveva elaborato un labirintico percorso che univa le danze sciamaniche e la trance delle menadi dell’antica Grecia, il rituale del serpente dei Pueblo e il serpente di Mosè. Sicuramente Breton nel 1938 non conosceva quel percorso antesignano, narrato da Warburg come prova della sua guarigione davanti ai medici della clinica psichiatrica di Kreuzlingen nel 1923, e pubblicato solo nel 1939. Però, l’approccio di Breton alla civiltà messicana e la mostra “Mexique” che organizzò a Parigi nel 1939 – che possiamo considerare come una “pubblicazione” sui generis di quella sua esperienza – hanno punti di contatto intuitivi con le ricerche di Warburg, con i suoi atlanti di immagini, e forse non è un caso che lo stesso Breton approdi presso gli Hopi nel 1945, cinquant’anni dopo Warburg.

8. Frida Kahlo Sopravvissuto, 1938 Collezione privata

9. Frida Kahlo Autoritratto sulla frontiera tra Messico e Stati Uniti, 1932 Collezione privata

che sembrano stupirsi davanti al dio del mondo nuovo, dal corpo così poco glorioso, stazionano come sopravvissuti nel patio di casa Rivera, oggetti svuotati della loro potenza magica: Sopravvissuto, così Frida titola un dipinto esposto a New York nel 1938, un’icona animata di terracotta che vaga senza orientamento nel deserto messicano, acquistato dallo storico dell’arte Walter Pach18 (fig. 8). Frida proprio negli Stati Uniti percepisce con evidenza di essere “tra” un mondo e un altro, sempre su un confine: si raffigura tra il mondo lussureggiante fatto di erbe medicinali e fiori velenosi dominato dai sacerdoti indios e il mondo macabro fatto di fiori sfatti e cerimonie funebri governato dai sacerdoti cattolici; si raffigura al confine tra Messico e Stati Uniti, tra una piramide azteca e le ciminiere delle fabbriche Ford, tra gli idoli spezzati e le turbine in movimento, tra i fiori colorati e il generatore elettrico (fig. 9). 16

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10. Fritz Bach Frida Kahlo e André Breton, sulla rotta di Puebla, 27 maggio 1938 Archivi André Breton 11. Fotografia dell’Autoritratto di Frida Kahlo datato 18 luglio 1938, donato a Jacqueline Lamba, con la cornice originale Archivi André Breton

Breton dunque intraprende, tra aprile e maggio del 1938, un viaggio “antropologico” attraverso il paese, accompagnato da una guida speciale, in grado di decrittare le immagini azteche e quelle cristiane: è Frida, che nella foto scattata il 27 maggio sulla “route de Puebla” appare padrona di casa di quel mondo fatto di piramidi, cattedrali e porticati20 (fig. 10). Sono mesi, quelli messicani, esaltanti per André Breton e la moglie Jacqueline Lamba, percorsi dalla frenesia del viaggio, delle scoperte, delle infatuazioni incrociate. Rimane un documento affettivo dell’intricato dipanarsi dei rapporti, l’Autoritratto in miniatura, dipinto su metallo, che Frida dona a Jacqueline, datato 18 luglio 1938. Nell’archivio André Breton una foto in bianco e nero mostra com’era originariamente, prima che Breton lo inserisse in una cornice di conchiglie: il volto di Frida costituisce la parte centrale, “la spina dorsale” di una farfalla che dispiega le ali, forse un’immagine di come avrebbe voluto il proprio corpo: leggero e 12. Natalja Sedova, Frida Kahlo, Lev Trockij e Max Shachtman, gennaio 1937

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13. Fritz Bach Lev Trockij, Diego Rivera e André Breton, 1938 14. Fritz Bach Lev Trockij, Frida Kahlo e Natalja Sedova, 15 giugno 1938 Archivi André Breton

aereo, non inchiodato a terra dalle viti e dalle placche di metallo che lo tenevano unito, costretto in un corsetto di cuoio (fig. 11). Oltre all’interesse culturale, Breton ha una motivazione politica per il suo viaggio: l’incontro con Lev Trockij, che viveva nella Casa Azul a Coyoacán dal gennaio del 1937. L’immagine di Trockij in knickerbocker e della moglie Natalja, accolti dalla Kahlo avvolta in un rebozo e da Max Shachtman, membro del comitato trotskista di New York, fece il giro del mondo (fig. 12). Ma la casa blu e rossa di Frida divenne presto la prigione di Trockij, dotata di sbarre alle finestre, sorvegliata da guardie armate, ogni visitatore perquisito. In questa situazione, Frida e Trockij intrecciano una relazione, di cui rimane traccia nell’Autoritratto esposto nel 1938 a New York, acquistato da Clare Booth Luce nel 1940. Quando Breton incontra Trockij a Coyoacán, insieme a Diego Rivera, Frida posa con Natalja in una foto di gruppo ridente, e nulla traspare della sofferenza che quella storia procurò all’anziana Natalja e dell’ira provata da Diego (figg. 13-14). Intervistato in quel periodo da Rafael Heliodoro Valle per la rivista “Universidad”, Breton offre un’estesa testimonianza del suo pensiero e compare qui per la prima volta la sua visione del Messico che “tiende a ser el lugar surrealista por excelencia”. Il paese è surrealista “en su relieve, en su flora, en el dinamismo que le confiere la mezcla de sus razas, así como en sus aspiraciones más altas”. Grande ammiratore di Rivera, “un hombre que en la vida se ha señalado por sus actos sonoros de independencia, de discernimiento y de bravura y que, además, está en posesión de varios secretos” (riferendosi forse ai “secretos” che il pittore conosceva grazie al rapporto con Trockij), Breton per la prima volta accenna all’arte di Frida, affermando che, quando si parla di una pittura che abbia una stretta relazione con l’arte popolare del luogo, “tanto en el tiempo como en el espacio, me parezca mejor situada que la de Frieda [sic] de Rivera”21. Pochi mesi dopo, dall’1 al 15 novembre, Frida allestisce la sua prima personale nel tempio surrealista di New York, la Julien Levy Gallery, e affronta questo importante momento del suo percorso da sola, perché Diego rimane a Città del Messico. 19

15. Frida Kahlo (Frida Rivera), brochure della mostra, prefazione di André Breton, New York, Julien Levy Gallery, 1-15 novembre 1938 The Jacques and Natasha Gelman Collection of 20th Century Mexican Art and The Vergel Foundation (cat. 101)

La brochure della mostra ha un testo di Breton, e nel titolo traspare la preoccupazione di sottolineare che Frida sia “la moglie di”: Frida Kahlo (Frida Rivera) (fig. 15). Nel saggio Breton descrive con accuratezza il momento del loro incontro, quel 20 aprile 1938 a Coyoacán, quando l’artista compare tra i cubi della sua abitazione, dove il giardino è disseminato di idoli e cactus, e ogni giorno i giornalisti di tutta l’America si affacciano per scorgere Diego Rivera e Lev Trockij22. Il testo si chiude con la famosa frase che definisce Frida “un nastro intorno a una bomba”, che suscita al recensore del “New Yorker” una nota ironica sull’artista, seduta a un’estremità della galleria, in un colorato e vivace costume tehuantepec, molto simile lei stessa a una bomba infiocchetta, “a beribboned bomb”. Accompagnata dalla sorella Cristina, che veste abiti convenzionali e gira a New York per fare shopping, Frida rimane affezionata al suo costume, anche se spesso le persone che la incontrano in metropolitana le chiedono se è una “fortune-teller”. La cronaca del vernissage riporta il dialogo con Frida, di cui si sottolinea che ha ventiquattro anni meno del marito ed è novanta chili più leggera. Tra i venticinque dipinti esposti, molti con cornici di velluto che crea la stessa Frida, suscita curiosità Ricordo, dove lei appare in abiti occidentali, ferita al cuore, rotolato sanguinante per terra; è impotente, con le mani tagliate, di fronte al tradimento di Diego e Cristina. Ma al giornalista racconta che si sentiva così, divisa a metà, quando suo marito partì per un viaggio qualche anno prima. “Diego ama il dipinto, ma non molto l’idea, lui non è molto sentimentale”, chiosa23. L’esordio di Frida non scuote la critica di New York, che non risparmia notazioni sul suo “piccolo talento”, o spiazzate osservazioni sui soggetti, più “obstetrical than esthetic” per il recensore del “New York Times”24. Frida però subisce una trasformazione, frequentando Julien e Joella Levy, e diviene il soggetto di una serie di fotografie in cui il suo corpo denudato nella parte 20

16-18. Julien Levy Frida Kahlo, 1938 Filadelfia, Philadelphia Museum of Art, 125th Anniversary Acquisition - The Lynne and Harold Honickman Gift of the Julien Levy Collection, 2001 19. Mexique, copertina del catalogo della mostra, prefazione di André Breton, Parigi, Galerie Renou & Colle, 10-25 marzo 1939 New York, The Metropolitan Museum of Art

superiore è quello di una “musa inquietante”, di cui Levy subisce la sottile fascinazione del disvelamento e della ritualità lenta che Frida esibiva nel comporre le sue acconciature; il risultato di quelle sedute fotografiche sembra essere un’esaltazione di quell’erotismo vagamente feticistico, contaminato da un’aura di voyeurismo, che Levy condivideva con molti surrealisti25 (figg. 16-18). Nel marzo successivo, i dipinti di Frida diventano protagonisti in una mostra parigina intitolata “Mexique”, curata da Breton, allestita nella galleria di Maurice Renou e Pierre Colle, in faubourg Saint-Honoré (fig. 19). Qui si era trasferito nel 1935 Colle, gallerista che aveva ospitato nel 1933 nella sede di rue Cambacérès l’“Exposition surréaliste”26. I diciotto lavori di Frida costituiscono una delle cinque sezioni dell’esposizione. Una prima parte è dedicata ai dipinti messicani del XVIII e XIX secolo, tavolette ex voto e ritratti in cui Breton ritrova “quel bagliore di vita che persiste oltre la morte”: anonimi e misteriosi, sono per la maggior parte ritratti post mortem, ingenui e primitivi, che il poeta avvicina a quelli di Rousseau, essendo erroneamente convinto che il Doganiere avesse fatto un viaggio in Messico. Trovano poi posto nella mostra gli oggetti popolari, che Breton racconta di avere comprato con Rivera: “objets funèbres” della valle del Messico, le ceramiche verdi di Patamba, le terrecotte di un centenario del mercato di Guadalajara in cui Breton ritrova lo spirito di Arcimboldo; insomma, quell’artigianato e quell’arte popolare che Rivera aveva illustrato nella rivista “Mexican Folkways”, dedicata al folclore e all’etnografia messicane, diretta con Frances Toor dal 1925 al 1937. Tutto questo è esposto accanto a reperti archeologici precolombiani, alle fotografie di Manuel Álvarez Bravo, composizioni “d’un admirable réalisme synthétique”, e ai dipinti di Frida Kahlo. L’insieme era una Wunderkammer con circa centocinquanta oggetti, in cui Frida costituiva il trait 21

23. Frida Kahlo L’ospedale Henry Ford, 1932 Città del Messico, Museo Dolores Olmedo 24. Johannes de Ketham Fasciculus medicinae, stampato da Arnaldo Guillén de Brocar, Pamplona 1495 (I ed., Venezia 1491) Madrid, Real Academia de la Historia

20. Scuola messicana Ex voto di Donna Josefa Peres Maldonado, post 1777 Wellesley (Massachusetts), Davis Museum and Cultural Center, Wellesley College 21. Frida Kahlo La mia nascita, 1932 Collezione privata 22. Tlazolteotl Washington, D.C., Dumbarton Oaks

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d’union con il mondo della “terra rossa” che aveva incantato Breton, dove gli indios “si immobilizzano sotto il sole cocente”. Molto materiale di quell’esposizione – trouvailles, dipinti, ex voto – evoca tematiche e strutture compositive di alcune opere di Kahlo. In un ex voto del XVIII secolo, per esempio, l’esibizione dei seni asportati da un chirurgo che opera sotto lo sguardo di astanti e sacerdote, tutti chiamati a testimoniare il miracolo, si ritrova la stessa crudezza che Frida esibisce raccontando la sua nascita di meticcia, collocata tra lenzuola macchiate di sangue e sotto lo sguardo della Vergine dei dolori, resa “anatomicamente” esplicita come in una scultura azteca, laddove il corpo privo di volto della madre si sovrappone alla dea Tlazolteotl (figg. 20-22). Analizzato come in un’autopsia dei sentimenti è l’aborto nel dipinto L’ospedale Henry Ford, che narra l’evento avvenuto a Detroit nel 1932. Frida squaderna il catalogo degli organi legati a lei da tanti cordoni ombelicali rosso sangue, elaborando una narrazione da tavola anatomica che vuole fornire una spiegazione scientifica all’accaduto e attutire il dolore del cuore: compaiono il feto espulso, la “sexual” orchidea (come lei stessa la definì), la lumaca a rappresentare la lentezza dell’espulsione, il busto femminile rosato che contiene gli organi interni colpevoli dell’aborto, una macchina in primo piano, orribile strumento usato per l’operazione, e infine le ossa del suo bacino, perforato e inutile, “secco” come le ossa che lo compongono. Se si esclude quella lacrima che esce dall’occhio raggelato di Frida madre mancata, l’attenzione è lenticolare, un’osservazione dettagliata che ritroviamo nelle ceroplastiche usate in alcune università europee per la didattica, come quelle dedicate al feto e al parto che un’altra donna, Anna Morandi Manzolini, modellò nella seconda metà del Settecento a Bologna. Frida avrebbe voluto fare il medico, ma il destino la condannò alla condizione di paziente cronica: certamente non conosceva quelle magistrali opere in cera colorata, ma appare evidente che consultasse i libri di anatomia, con quell’occhio “tedesco”, analitico, che Rivera le attribuirà in uno scritto del 1943. Infatti, in quello stesso 1932 ricompone una dissezione dell’aborto in un’illustrazione impaginata come le tavole anatomiche del XV secolo (cat. 20-21): per esempio, nel Fasciculus medicinae

del tedesco Johannes de Ketham un’incisione mostra una donna incinta, disegnata nella posizione “obstetrical” de La mia nascita, e tra immagine e didascalia esplicativa sono tracciate quelle linee di congiunzione che Frida trasforma in vene, in espediente narrativo (figg. 23-24). Il gusto del macabro richiamo Eros-Thanatos compare in diverse opere esposte a Parigi: Appassionatamente innamorato (“Nessuno vuole comprarlo, tutti si spaventano”, aveva detto Frida al recensore del “New Yorker”) è un quadro che racconta le ferite d’amore, i tagli inflitti dai tradimenti di Diego al suo corpo di carta stagnola, accartocciato da infiniti dolori. Il sangue schizza a sporcare la cornice, violenta gli occhi di chi guarda, con pennellate di colore rosso date con la grazia di un colpo di rossetto, disegnando il maquillage dell’amore ferito. E anche in questo caso, le tradizioni figurative si sovrappongono: quella cattolica impregnata del sangue divino offerto in sacrificio sparso sulle sculture lignee policrome, e quella azteca del sangue umano offerto ugualmente in sacrificio, come è rappresentato in diversi codici cinquecenteschi, tra cui il Codice Magliabechiano (figg. 25-26). E ancora: compaiono tra le trouvailles di Breton esposte nella mostra del 1939 diversi scheletri in ceramica, legno dipinto, fil di ferro, usati dai messicani per irridere la morte, a cui davano anche vita, facendo svolgere allo scheletro le comuni attività dei vivi. Così lo troviamo in Pitahayas, una sontuosa “naturaleza viva” di frutti del cactus sui quali incombe una morte colorata di bianco, non una marionetta inerte, ma una figurina che muove con grazia l’ineludibile falce. La morte corteggiava Frida fin da ragazza, era una sembianza con cui conviveva, e in modo forse scaramantico uno scheletro di cartapesta era collocato sul suo letto (“el amante de Frida”, lo chiamava), com’è rappresentato nel dipinto Il sogno del 1940. In Lei gioca da sola, del 1938, il teschio diventa una bianca maschera illuminata da un dente d’oro, come troviamo in

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25. Frida Kahlo Appassionatamente innamorato, 1935 Città del Messico, Museo Dolores Olmedo 26. Scena di sacrificio umano, Codice Magliabechiano, f. 70r, metà del XVI secolo Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale

una cartolina di Breton, dove il bianco teschio di zucchero è anch’esso dotato del dente d’oro. D’altra parte, nelle chiese cattoliche i teschi esposti come “memento mori” si susseguono dal pavimento alle pareti, in un gusto del macabro comune con il rito azteco del tzompantli, l’accumulazione ordinata dei crani di nemici sacrificati (figg. 27-29). Come reagì la stampa francese di fronte al surreale excursus di “Mexique” e alla quasi compiaciuta crudeltà dei dipinti di Frida? A parte l’allestimento da Wunderkammer che Breton prediligeva, la mostra aveva lo stesso concept di quella che nel 1924 era stata organizzata al Musée Galliéra dalla Maison de l’Amérique Latin e dall’Académie Internationale des Beaux-Arts, dedicata all’intero Sudamerica, dove oltre duecentosessanta opere di arte contemporanea di quarantadue artisti residenti a Parigi erano esposte insieme all’arte precolombiana e a una sezione di arte folclorica27. Quindi, l’eterogeneo insieme costruito da Breton non rappresentò una novità. A Parigi, poi, aveva esposto solo due anni prima, nel 1937, un’altra messicana, dalla poetica surreale e colorata, a volte allucinata e ingenuamente fantastica: era María Izquierdo, molto apprezzata da Rivera, presentata da Antonin Artaud alla Galerie van den Berg. Quindi, non è il riferimento all’arte popolare che in Kahlo desta sconcerto. Piuttosto nella mostra di Breton quel gusto della crudeltà evocato da Artaud, si amplifica fino a divenire una bomba emozionale perché confezionata con un armamentario noir che non era immaginario. Roger Lannes su “L’Intransigeant” parlò appunto di dipinti strani, crudeli, “qui, au mur, semblaient dévorés du désir de passer au combat avec ceux qui les contemplaient”, e raccontò che la mostra era “prodigieusement vivante, mais inquiétante, fascinante, et qui semble dominée par la peur”28; su “Marianne”, dove viene pubblicata la foto di La mia balia e io, si parla di un’arte “perniciosa”29. Ciononostante, il 22 maggio lo Stato comprò per il Jeu de Paume il dipinto La cornice, esposto in “Mexique”, prima opera acquistata di un messicano vivente. Furono certo Breton e la Galerie Renou & Colle a promuovere l’acquisizione e, quasi a celebrare l’evento, nell’ultimo numero di “Minotaure”, uscito in quello stesso maggio, Breton pubblica tra le immagini fuori testo Quel che l’acqua mi ha dato di “Frida Rivera”. L’opera entrata in museo è un autoritratto su alluminio, circondato da una prima cornice di vetro colorato, produzione artigianale del villaggio di Juquila, vicino a Oaxaca, e da una seconda cornice. Frida emerge da un’esplosione di decorazioni floreali rosse e ciclamino, avvolta da un’aureola blu, “sostenuta” in basso da uccelli dalle ali gialle, angeli domestici introdotti in una moderna assunzione sacra in cui l’artista si sostituisce alla Madonna (fig. 30). Frida Kahlo, eroina messicana I lunghi mesi trascorsi a New York e Parigi causarono la fine del matrimonio. Quando nell’ottobre del 1939 Diego e Frida divorziarono, lei dette una motivazione affettiva, lui dettò un’epigrafe artistica. “Siamo stati separati per cinque mesi”, dichiarò Frida, “le nostre difficoltà sono iniziate dopo il mio ritorno in Messico da Parigi e NewYork”. Diego parlò di “artistic differences”30, e questa sua affermazione potrebbe in effetti essere vera: Frida, con quelle mostre, aveva assunto un ruolo fino ad allora pertinente

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28. Cartolina con cranio di zucchero Archivi André Breton

al solo Diego, e soprattutto il suo lavoro proponeva una concezione dell’opera marcatamente antitetica a quella del marito, un’arte fatta di interiorità personale che si contrapponeva alle epopee collettive, all’obbligata funzione sociale e politica dell’arte. Inserita nel grande catalogo surrealista, la sua dimensione artistica cresce: è presente già nel gennaio-febbraio del 1940 all’“Exposición Internacional del Surrealismo” (fig. 31), allestita a Città del Messico alla Galería de Arte Mexicano, organizzata da Breton, dall’austriaco Wolfgang Paalen e dal peruviano César Moro. La copertina del catalogo riproduceva una foto di Álvarez Bravo del 1938-1939, il cui titolo originale era Sobre el invierno, un’immagine di un edificio in demolizione sul Paseo de la Reforma in cui l’intreccio di viti rampicanti e la superficie tremula di un vetro antico creavano un’atmosfera da sogno e visione allucinata, una collaborazione tra natura invasiva e oggetto trovato che originava il miraggio di un albero inesistente31. “La belleza será convulsiva o no será”, dichiara Breton sul frontespizio del catalogo, e in effetti l’opera che Frida espose, Le due Frida, del 1939 (fig. 32), era spasmodica, violenta, un racconto figurato della sua separazione: a destra colloca la parte di sé che Diego amava, la messicana in abiti tradizionali; a sinistra, una señora in un tripudio di merletti e decorazioni floreali. Entrambe hanno il cuore a vista, uno integro, l’altro aperto, spezzato, e disegnato con la consueta precisione anatomica. Le due identità sono unite attraverso un filo rosso, una vena scoperta che parte dal ritratto in miniatura di Diego tenuto amorevolmente in mano dalla Frida messicana e, fatto un lungo percorso, unisce le due identità; ma dalla “vena di Diego” il sangue zampilla sulla gonna bianca, un dissanguamento che Frida tenta di bloccare con una pinza chirurgica.

29. Tzompantli, Codice Ramírez (Codice Tovar), 1587 Città del Messico, Museo de Antropologia A fronte 27. Frida Kahlo Lei gioca da sola, 1938 Nagoya (Giappone), Nagoya City Art Museum

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31. Exposición Internacional del Surrealismo, catalogo della mostra, Città del Messico, Galería de Arte Mexicano, gennaio-febbraio 1940 Archivi André Breton

In quei primi anni quaranta, inizia a profilarsi una visione dell’arte di Frida che in parte si contrappone a quella di Breton: il poeta francese aveva sì evidenziato l’identità messicana della sua opera, ma contemporaneamente aveva inglobato la sua urgenza creativa e i suoi processi simbolici nel grande libro internazionale surrealista32. A ricondurre l’arte di Frida in un ambito esclusivamente messicano fu dapprima un americano e poi l’intera intellighenzia messicana. L’americano era Helm MacKinley che, dopo aver trascorso in Messico due anni, pubblica nel 1941 il libro Modern Mexican Painters, in cui un intero capitolo è dedicato al “Mexicanism”, l’arte nata sulla tradizione locale, che si contrappone a quella più europea dello stesso Rivera. Frida e María Izquierdo sono le due artiste che meglio rappresentano il “messicanismo” e le sue caratteristiche: il misticismo e il pessimismo che si mescolano con un’allegria malinconica. Come curatore del Boston Institute of Contemporary Art, inserisce entrambe nella mostra “Modern Mexican Painters” che si tiene nel novembre del 1941, e a distanza di dieci anni dalla prima esposizione a San Francisco il dipinto Frieda e Diego Rivera viene ora apprezzato proprio per quella cifra “accattivante” ingenua e popolare33. In Messico, l’inglobamento dell’arte di Frida nell’intellettualistico movimento surrealista era considerato forzato, una deprivazione culturale, perché in lei si riconosceva integro l’immaginario messicano, nato da due tradizioni estetiche contrapposte, dalle imposizioni dei conquistatori e dalle lotte dei conquistati: un’arte

32. Frida Kahlo Le due Frida, 1939 Città del Messico, Museo de Arte Moderno A fronte 30. Frida Kahlo La cornice, 1938 Parigi, Centre Georges Pompidou, Musée national d’art moderne

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meticcia, dove l’estasi di santa Teresa incontra le geometrie magiche degli indios, dove il sole e la luna indigeni entrano nelle chiese cattoliche, altrimenti disertate dai nativi. Un amalgama esplosivo, che viene descritto e riconosciuto come patrimonio visivo, estetico e narrativo di Frida in uno scritto di Diego Rivera del 1943, che sembra così superare le dichiarate “differenze artistiche”34. In un’ottica dunque di nazionalismo culturale, il lungo saggio è una storia antropologica del Messico, e solo le ultime due pagine sono dedicate a Frida come esempio massimo della molteplicità linguistica dell’arte messicana. Perché in lei la radice tedesca del padre, analitica e destrutturante, scettica e allucinata, si allea con la fabulazione india della madre; la visione del particolare (la “fotomicroscopía”) diventa dettagliata e amplificata, e dipinge contemporaneamente il tempo interiore, il tempo esteriore, “el fondo de sí misma y del mundo”. Parole profonde e appassionate, che probabilmente dilettarono Frida ossessionata da Diego, che proprio in quel 1943 porta a termine uno dei suoi autoritratti più esplosivi, quello con il merletto bianco e i nastri rosa a circondarle il volto come un manto di Madonna, percorso da una sottile ragnatela destinata forse a imprigionare quel Diego che è “al centro dei suoi pensieri”, fissato sulla sua fronte/mente (cat. 30). Frida e Diego nel dicembre del 1940 si erano risposati, e il “ritorno a casa” privato corrispose a un “ritorno a casa” artistico. Sulla scia di Rivera, infatti, l’intellighenzia messicana tra il 1943 e il 1953 riconduce alla nazione la sua eroina, di cui tutti seguono le vicende personali e fisiche sempre più dolorose, dall’amputazione di una gamba, alla discesa nell’altalena di lucidità e offuscamento nel tempo privo di coordinate spazio-temporali delle droghe e degli antidolorifici, alla nuova richiesta di divorzio di Diego, nel 1949. Impossibile per Frida accettare una separazione, perché è inconcepibile che l’universo contempli Diego e Frida, karmicamente e ossessivamente uniti, lontani. Lo dice anche con un dipinto, in cui cinque abbracci s’incastrano in una cosmologia india (cat. 41). La Madre Universale, bianca e nera, con ai lati il sole e la luna, le radici della vita scoperte, abbraccia la Madre Terra azteca Cihuacoatl, fatta di fango, pietre e di tutta la flora dell’altopiano; e la Madre Terra abbraccia Frida, in abito rosso, e Frida tiene nelle proprie mani, aiutata dalla Madre Terra, Diego bambino adulto. Frida e la Madre Terra toccano e sono la vita, quella floreale, ma anche quella ai piedi di Frida, quella del “signor Xolotl”, uno dei suoi cani mascotte. Frida come vita, dunque; e Diego come saggezza, secondo quanto indica il terzo occhio che il mostruoso infante ha sulla fronte. La riappropriazione messicana dell’arte della Kahlo, fino a costruirne un’“eroina culturale”, si completa nel 1951, quando il 10 giugno esce un supplemento della rivista “Novedades”, intitolato appunto Homenaje a Frida Kahlo35. Lo speciale si apre con le Imagen de Frida Kahlo, una serie di foto di Gisèle Freund, arrivata in Messico intorno al 1949. Tra i vari interventi, quello di Monteforte Toledo poeticamente evoca lo sguardo da biologa di Frida, che riporta sulle sue tele i ragni e tutti gli insetti e la fauna dell’altopiano messicano, a indicare attraverso le immagini di quel peculiare microcosmo come sia impossibile collocare Frida in un posto che non sia il Messico. Due anni dopo, in un alone di tragedia macabra ma irridente, si apre il 13 aprile 1953 l’unica mostra personale di Frida in Messico, nella Galería de Arte Contemporáneo gestita da Lola Álvarez Bravo, ex moglie del fotografo che aveva esposto con Frida a Parigi. Per la prima volta il Messico può vedere l’opera dell’artista più 30

messicana: arriva in ambulanza e in galleria è allestito il suo letto, dove viene adagiata a ricevere l’omaggio del pubblico e della critica36. A mostra appena chiusa, Luis Cardoza y Aragón, il critico guatemalteco che frequentava Frida dal tempo del suo primo matrimonio con Diego, dal 1929, pubblica il definitivo atto di validazione. L’esposizione viene definita “uno de los más grande acontecimientos en la historia del arte mexicano”, uno dei più grandi eventi della storia dell’arte messicana, e racconta la pittura tragica, “raffinata e sanguinosa”, sempre riferita alla propria vita interiore, di Frida, abbattendo con queste parole lo iato riveriano che aveva contrapposto l’impegnata pittura murale alla più borghese pittura dell’interiorità. Non ci sono influenze, scrive Cardoza y Aragón, l’unica influenza è il dolore. Rifiuta anche l’apparentamento con la pittura ispanica e quella degli ex voto, in una visione tutta interna alla terra india, laddove Frida ossessivamente infierisce colpo su colpo sulle tele, come avveniva nei sacrifici umani aztechi. In questo ritorno nello spazio e nel tempo dei conquistati, rifiuta categoricamente l’introiezione fatta dai surrealisti dell’arte di Frida: “Invocar el surrealismo en el caso de Frida Kahlo, es desconocer la tierra y la sensibilidad mexicanas”37. Frida dunque torna tra le braccia della sua terra, coperta della bandiera rossa dell’internazionale comunista, rossa e scura come la sua balia. Tra le braccia di un’india si era dipinta come in un ex voto (fig. 33), allattata da un seno-fiore cosparso di stelle, attaccata a una non-madre dal volto coperto da una maschera sacerdotale, mentre il cielo piange lacrime di latte, e Frida-bambina pensierosa sembra prevedere la sua vita futura. Che non fu gentile con Frida, ma che Frida amò lo stesso. 33. Frida Kahlo La mia balia e io, 1937 Città del Messico, Museo Dolores Olmedo

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Ringrazio Marie Difilippantonio per avermi segnalato questa lettera inviata da Frida il 2 settembre 1938 a Julien Levy, conservata negli archivi del Philadelphia Museum of Art. Il testo dice: “Edward G. Robinson is willing to lend you four paintings I sold him. Would you be so kind to write him a letter […] I don’t know his adress [sic], but he is so well known that I think the letter riches him easily in Los Angeles. […] I never had any exhibition before. I was always shy and affraid [sic] to show my things. The first time in my life I sold my work was few weeks ago to Robinson. I gave as a present three or four paintings to people. I like and that is all”. 2 V. Stewart, Diego Rivera’sWife Ranks “First Lady” in Mexican Art World and People’s Hearts, in “Los Angeles Times”, 13 gennaio 1946, p. 56. 3 M. Monteforte Toledo, Frida. Paisaje de sí misma, in “México en la cultura”, supplemento di “Novedades” (Città del Messico), 10 giugno 1951, p. 1. 4 “He sufrido dos accidentes graves en mi vida […] Uno, en que un tranvia me atropelló, cuando yo tenía 16 años: fractura de la columna, 20 años de inmovilidad […] El otro accidente es Diego”, in G. Freund, Imagen de Frida Kahlo, in “México en la cultura”, supplemento di “Novedades” (Città del Messico), 10 giugno 1951, pp. 1-2. 5 Il riferimento è presto riconosciuto in Italia da C. Maltese, I pittori messicani, in “Emporium” (Bergamo), a. LIV, vol. CVII, n. 639, marzo 1948, pp. 106-114: “Come una volta nelle chiese romaniche le storie sacre e le vite dei Santi si erano affidate alla incomparabile autorità ed eloquenza dell’immagine dipinta, così ora si affidavano a questo immenso potere le storie della crudeltà degli Spagnoli e dei ricchi contro i peones e gli sfruttati e dell’eroismo dei peones e degli sfruttati contro di quelli”. Più recentemente, un’accurata analisi del taccuino di viaggio di Rivera ha portato a riconoscere diversi luoghi visitati dal giovane pittore, che usufruì nel 1921 circa di una borsa di studio prima di tornare in Messico: J. Charlot, Diego Rivera in Italia, in Frida Kahlo e Diego Rivera, catalogo della mostra (Genova, Palazzo Ducale, 20 settembre 2014 - 8 febbraio 2015), a cura di H. Prignitz-Poda, Milano 2014, pp. 39-47. 6 Artist’sWife Paints,Too, But She’s Individualistic, in “El Paso Herald-Post” (El Paso, Texas), 30 aprile 1935, p. 1. 7 Mexican Painter Weds, in “Detroit Free Press” (Detroit, Michigan), 24 agosto 1929, p. 9; Painter, Leader Weds, in “Nevada State Journal” (Reno, Nevada), 24 agosto 1929, p. 1. 8 All Candidates, in “Chester Times” (Chester, Pennsylvania), 5 febbraio 1929, p. 16; All Candidates, in “Charleston Daily Mail” (Charleston, West Virginia), 9 febbraio 1929, p. 9; Five Potential Candidates, in “State Journal” (Salem, Oregon), 2 marzo 1929, p. 7. 9 I. Robinson, A wall to paint on, New York 1946, p. 111. 10 L. Rollin, Lettre du Mexique. Le Mexique, les États-Unis et l’Europe, in “Le Temps” (Parigi), 16 maggio 1929, p. 2. 11 Pragmaticamente, la stampa americana “prende le misure”: Diego è alto 182 cm e pesa 137 kg, Frida è alta 152 cm ed è magra, pesa appena 44 kg: Diego Rivera, Artist, Weight 300,Wife 98, in “Brooklyn Daily Eagle” (Brooklyn, New York City), 10 gennaio 1932, p. M1. Al giornalista Frida racconta che nel tempo libero il marito ama le ostriche, andare in canoa, leggere e fare l’amore. 12 Radical Will Do Exchange Murals, in “Reno Evening Gazette” (Reno, Nevada), 13 novembre 1930, p. 7; Ready to Start on Murals, in “Oakland Tribune” (Oakland, California), 14 novembre 1930; Noted painter arrives, in “Detroit Free Press” (Detroit, Michigan), 22 aprile 1932, p. 3. 13 L’ironia diventerà più esplicita negli anni successivi, 1

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soprattutto nel periodo in cui ospita Trockij: “Diego Rivera, who collects so many capitalist dollars for painting murals lampooning the capitalist system”, in R. Smith, Leon Trotzky’s Red Fire Flickering Out in Mexico, in “Green Bay Press-Gazette” (Green Bay, Wisconsin), 23 marzo 1937, p. 5. 14 Following Husband’s Footsteps, in “The Philadelphia Inquirer” (Filadelfia, Pennsylvania), 28 gennaio 1931, p. 13: la foto riprende Frida che lavora a un ritratto, e a chi gli ha chiesto cosa ne pensasse del valore del dipinto, Rivera risponde: “Quien sabe? I do not look at it”. 15 H.L. Dungan, Local Gallery Shows Work of Negro Artist, in “Oakland Tribune” (Oakland, California), 8 novembre 1931, p. 22. La mostra ha luogo dal 4 novembre al 4 dicembre: H.L.Dungan, New Exhibitions For Legion of Honor and DeYoung Museum, in “Oakland Tribune” (Oakland, California), 1 novembre 1931, p. 60. 16 Tells of MexicanWays, in “The Christian Science Monitor” (Boston, Massachusetts), 22 marzo 1932, p. 8. 17 Les livres, in “La Revue de l’art ancien et moderne” (Parigi), aprile 1925, s.n.p.; Las iglesias de Mèjico, in “El Sol” (Madrid), 4 agosto 1926, p. 1; Les livres, in “La Revue de l’art ancien et moderne”, dicembre 1926, s.n.p.; U. Nebbia, Vecchie chiese messicane, in “Emporium” (Bergamo), vol. LXIX, n. 412, aprile 1929, pp. 209-226. 18 Legato a molti artisti messicani, Walter Pach scriverà un saggio in occasione della retrospettiva di Diego Rivera del 1951 al Museo nazionale di Città del Messico. Il dipinto di Frida fu acquistato all’inaugurazione della mostra, nel novembre del 1938 a New York, per cento dollari. 19 Durante il viaggio Artaud ebbe l’occasione di tenere tre conferenze all’Anfiteatro Simón Bolívar dell’Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM) di Città del Messico: Surrealismo e rivoluzione, il 26 febbraio 1936; L’uomo contro il suo destino, il 27 febbraio 1936 e Il teatro e gli dei, il 29 febbraio 1936. 20 La foto è conservata negli Archivi André Breton, e le informazioni sul luogo e la data sono annotate a matita sul retro. 21 R.H. Valle, Dialogo con André Breton, in “Universidad” (Città del Messico), n. 29, giugno 1938, pp. 5-8, cit. p. 6. 22 Una dettagliata descrizione delle giornate di Trockij nella casa di Coyoacán è in J.P. McKnight, Trotsky Burns With a New Zeal, in “Brooklyn Daily Eagle”, 3 febbraio 1937, p. 1, dove vengono descritti anche la casa e il salone in cui sono appesi “several of Senora Rivera’s curious paintings”. In Writer’s Impression of Trotsky in Exile, in “St. Louis Post-Dispatch” (St. Louis, Missouri), 20 gennaio 1938, p. 23, il giornalista descrive anche un ritratto di Frida: “The villa is single-storied, built round three sides of flower-filled court. There are some good stons idols, collected by Diego Rivera. The room is bare, except for a brilliant portrait of Rivera’s wife in Mexican costume, a few colored glass balls such as are used on Christmas trees, and some bookshelves filled with obviously much-read works, chiefly on economics and politics. […] Diego Rivera, huge and bulky, acts as host, and his handsome wife moves about in a dress similar to that in the picture”. 23 Ribbon Around Bomb, in “The NewYorker”, 12 novembre 1938, p. 19. Tra le persone presenti all’inaugurazione, Mrs. Cornelius Bliss, A. Cornelius Goodyear, Suzanne La Follette, Buckminster Fuller, Meyer Schapiro, Mrs. Henry Luce, Mrs. Roger W. Straus, Mrs. Sam Lewisohn, molti dei quali saranno collezionisti delle opere di Frida. 24 Di un “pretty little talent” si parla in Julien Levy, in “New York Evening Post”, 5 novembre 1938, p. 12. Di “sogget-

ti ostetrici” scrive H. Devree, Recently Opened Exhibitions Run Gamut From Sculpture to PhotographicWork. Paintings by Mrs. Diego Rivera, in “The New York Times”, 6 novembre 1938, p. 182. 25 Un’analisi di queste foto di Levy e della condivisione che fece di uno scatto con Joseph Cornell è in K. Ware, P. Barberie, Dreaming in Black andWhite. Photography at the Julien Levy Gallery, catalogo della mostra (Filadelfia, Philadelphia Museum of Art, 17 giugno - 17 settembre 2006), Filadelfia 2006, pp. 139-140. 26 La mostra ebbe luogo dal 7 al 18 giugno 1933 e vide riuniti poeti e artisti, tra cui Giacometti, Picasso, Dalí, Ernst, e oltre a dipinti, disegni e sculture erano esposti oggetti evocativi scelti dai partecipanti, trouvailles e strumenti scientifici. 27 In quell’occasione, gli artisti messicani esposti erano tre, Lola Velázquez de Cueto, Ángel Zárraga e Georges de Zayas. Un’altra mostra era poi stata organizzata nel 1930 dall’artista uruguaiano Joaquín Torres-García alla Galerie Zak, la “Première Exposition du Groupe Latino-Américain”, in cui erano esposti i lavori di ventuno artisti, tra i quali i messicani Germán Cueto, Augustin Lázo, José Clemente Orozco e Diego Rivera. 28 R. Lannes, Le Mexique et André Breton, in “L’Intransigeant” (Parigi), 12 marzo 1939, p. 2. 29 Sulla stessa rivista, nel numero del 15 marzo, si dice che quella di Frida è l’arte “plus evoluée” del Messico attuale, Le courrir des Arts, p. 11. Un servizio sulla mostra compare anche in A Paris d’un jour à l’autre, in “Vogue” (Parigi), aprile 1939, pp. 66-67, ma Frida non viene neppure citata e l’articolo è illustrato con due dipinti del XIX secolo. Di Frida parla Genêt, corrispondente da Parigi, in Letter from Paris, in “The New Yorker”, 1 aprile 1939, p. 70, apprezzando i dipinti con fiori, “were as beautiful as pomegranates in a dream”. 30 Wife Seeks divorce from Diego Rivera, in “The New York Times”, 19 ottobre 1939. 31 Alla mostra parteciparono quarantuno artisti di diverse nazionalità, perlopiù europei; i messicani erano dieci, Mexicans See Surrealistic Art And Gallery’s Imposing New Ho-

me, in “The Christian Science Monitor” (Boston, Massachusetts), 21 febbraio 1940, p. 6; B. Kirk, Spring Season In Mexico, in “The NewYork Times”, 5 maggio 1940, p. 163. Un’analisi dell’importanza di questa mostra per il surrealismo e per l’arte messicana è in L.M. Castañeda, Surrealism and National Identity in Mexico Changing Perceptions, 1940-1968, in “Journal of Surrealism and the Americas” (Tempe, Arizona), 3, nn. 1-2, 2009, pp. 9-29. 32 La Kahlo sarà inserita in altre mostre surrealiste, come “First Papers of Surrealism”, ideata da Breton e Duchamp, che si tiene a NewYork, alla Whitelaw Reid Mansion, dal 14 ottobre al 7 novembre 1942: E.A. Jewell, Surrealists Open Display Tonight, in “The New York Times”, 14 ottobre 1942, p. 26; tra le promotrici, Peggy Guggenheim, Helena Rubinstein, Elsa Schiaparelli. 33 D. Adlow, Mexiacan Paintings Shown At Modern Art Institute, in “The Christian Science Monitor” (Boston, Massachusetts), 24 novembre 1941, p. 15: “The folk quality of her intuitive style is not only endearing, but it reveals a quality of sensibility that is as rare as it is engrossing”. 34 D. Rivera, Frida Kahlo y el arte mexicano, in “Boletín de Cultura Mexicana” (Città del Messico), ottobre 1943, pp. 89-101. Sulla scia di Rivera, Paul Westheim – tedesco che viveva in Messico – svincolerà l’opera di Frida dal “surrealismo parisiense” in El espíritu del arte en México, in “Letras de México” (Città del Messico), 10 maggio 1945, pp. 71-72. 35 Tra gli articoli pubblicati: G. Freund, Imagen de Frida Kahlo, pp. 1-2; M. Monteforte Toledo, Frida. Paisaje de sí misma, p. 1; R. Flores Guerrero, Frida Kahlo su ser y su arte, p. 2; C. Palencia, La realidad ensoñada en la pintura de Frida Cahlo [sic], p. 2; P. Westheim, Frida Kahlo. Una investigación estética, p. 3. 36 Esce su “Novedades” (Città del Messico) l’articolo di J.M. Villa, La realidad y el deseo en Frida Kahlo, 26 aprile 1953, p. 5, in cui l’autore sottolinea l’orrore delle sue pene, di fronte alle quali Frida si ritrae sempre impassibile, come se si guardasse dall’esterno. 37 L. Cardoza y Aragón, Frida Kahlo, in “Novedades” (Città del Messico), 3 maggio 1953, p. 3.

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