Giambono di Corrado da Ragusa

Share Embed


Descrição do Produto

178-181_Cap07_(Mazzalupi).QXD

17-11-2008

14:42

Pagina 178

178

7. Giambono di Corrado da Ragusa Matteo Mazzalupi

7.1. Le compagnie di Giambono Giambono di Corrado nacque a Dubrovnik1, città con la quale i legami commerciali di Ancona rimontavano al XII secolo2, e il primo documento conosciuto sul suo conto, datato 1425, lo vede testimone insieme a Bartolomeo di Tommaso davanti alla bottega anconetana di Olivuccio di Ceccarello3. Poco più tardi, nell’agosto 1426, lo stesso Olivuccio nomina Giambono suo procuratore, definendolo esplicitamente “famulum suum”4. Nel suo ultimo testamento, datato 3 giugno 1439 e oggi irreperibile, l’anziano maestro parla con grande affetto di Giambono, eletto suo erede universale: Olivuccio lo ha tenuto in casa sua fin dall’infanzia come un figlio e lo ha istruito nell’arte della pittura, Giambono a sua volta ha trattato il maestro come un padre per tutta la vita5. In effetti gran parte dei documenti dal 1441 in avanti lo chiamerà direttamente “Giambono di maestro Olivuccio”6. Dal 5 giugno in avanti troviamo diversi rogiti nei quali egli agisce in veste di erede del camerinese appena defunto7. L’unica testimonianza sulla sua attività artistica risale al 1442 ed è un documento non anconetano, bensì umbro, ritrovato da Romano Cordella. Il 29 aprile di quell’anno a Norcia quattro pittori di origini disparate, il folignate Bartolomeo di Tommaso, il senese Nicola di Ulisse, il marsicano Andrea Delitio ed il tedesco Luca di Lorenzo, che qualche tempo prima si erano associati tra loro e con Giambono per dipingere la tribuna della chiesa di Sant’Agostino a Norcia, si accordarono affinché Andrea e Luca potessero ricevere la rispettiva mercede anche in assenza dei primi due: la presenza di questi era infatti fino ad allora indispensabile, avendo essi soli sottoscritto il contratto originale coi frati, e capitava troppo spesso che Bartolomeo e Nicola si assentassero dalla città8. Il nostro pittore dunque non è presente, ma il suo nome compare in quanto il folignate e il senese lo avevano in precedenza scelto come socio insieme ad Andrea e Luca. Giambono tuttavia è sicuramente a Norcia il successivo 20 ottobre, quando insieme a Luca e Andrea nomina un procuratore per una lite in corso con il convento e con Nicola da Siena, evidentemente – anche se non lo si dice – per questioni finanziarie9. Sembra dunque che Giambono abbia in effetti lavorato nella chiesa, ma l’unico, piccolo frammento quattrocentesco che oggi emerga dai muri del coro di Sant’Agostino, la cosiddetta Madonna del Riscatto (§ 8, fig. 1), spetta secondo Bruno Toscano alla mano di un altro pittore del gruppo, Andrea Delitio10.

7.2. Presenze di Giovanni Antonio da Pesaro Negli anni seguenti ritroviamo il raguseo in Ancona, dove risiedeva nella parrocchia di San Nicola11 e dove la pittura non era l’unica sua

attività. Nel 1450 risulta essere locatario dell’hospitium che il Comune possedeva nella contrada di Fiumesino, a nord-ovest di Ancona presso la foce dell’Esino: in giugno rescisse la società che aveva costituito con un recanatese per la gestione del luogo, due mesi più tardi cedette la gestione stessa12. Nel primo dei due atti figura tra i testimoni un suo collega, Giovanni Antonio da Pesaro13, del quale era già nota una più antica presenza in città, del 23 febbraio 1441, quando il pesarese – che aveva forse approfittato del vuoto lasciato dalla morte di Olivuccio per entrare nel mercato anconetano – stipulò insieme al padre Gigliolo il contratto per gli affreschi e la tavola d’altare della cappella di Sant’Andrea in San Francesco delle Scale14. Committente di quest’opera fu Francesca vedova del notaio Giacomo di ser Pellegrino: da un rarissimo libro di memorie familiari apprendiamo che la donna (nata nel 1365, maritata nel 1392, morta nel 1443) era figlia di Cione di Tingo Pilestri, un fiorentino stabilitosi in Ancona con la sua famiglia, e che non era in effetti l’unica patrona del sacello, definito nel libro sempre “nostra capella”15. Purtroppo nulla rimane della decorazione di Giovanni Antonio e di suo padre, ammesso che essa sia stata portata a compimento. Tra il 1441 ed il 1459, quando Giovanni Antonio riappare nella città natale16, possiamo per ora collocare soltanto l’atto anconetano del 1450. Il pesarese è di nuovo nella città dorica il 5 marzo 1464, quando compare come fideiussore nel contratto di vendita di una casa stipulato da Contessa vedova di Massiolo di Giovanni Massioli17. Il 13 maggio 1465 poi la stessa vedova riceve parte del prezzo della casa e rilascia quietanza, con la presenza e il consenso di suo figlio Ciriaco: quest’atto è stipulato davanti alla casa che Giovanni Antonio possedeva nella parrocchia di Sant’Egidio18. Dai documenti pesaresi post mortem sappiamo che i personaggi coinvolti in questi rogiti erano parenti del pittore, il quale aveva sposato Caterina, sorella di Ciriaco19. Nel territorio di Ancona Giovanni Antonio aveva anche terreni, che in parte permutò nel 147020. Il suo nome compare infine in una serie di atti anconetani che ci permettono di stabilire con una certa precisione la data della sua morte, finora collocata tra il novembre 1474 ed il maggio 147821: si tratta di alcuni rogiti scalati tra il 17 agosto e il 17 settembre 1475 coi quali il fratello Francesco regola questioni ereditarie, in particolare con la vedova di Giovanni Antonio, sorte per la mancanza di un testamento del pittore, forse deceduto all’improvviso22. Il periodo della morte si può verosimilmente restringere ai quattro mesi precedenti l’agosto 1475: in un testamento del 27 aprile dello stesso anno, infatti, compare in qualità di teste un “Giacomoantonio” di Gigliolo pittore, cittadino e abitante di Ancona, che ha ottime probabilità di essere il nostro artista, visto che non si ha notizia d’un membro di questo nome nella famiglia23. Il fratello Francesco (sempre Cec-

178-181_Cap07_(Mazzalupi).QXD

17-11-2008

14:42

Pagina 179

179

1-2 Maestro di Castelferretti (Giambono di Corrado?), Annunciazione, particolari. Forano, Santissima Annunziata.

178-181_Cap07_(Mazzalupi).QXD

180

17-11-2008

14:42

Pagina 180

MATTEO MAZZALUPI

co nei documenti pesaresi), anch’egli pittore ma per noi senza opere24, comparirà ancora una volta in Ancona il 2 luglio 1476, testimone in San Francesco delle Scale25. Legami così forti con Ancona fanno sospettare che Giovanni Antonio non vi abbia lasciato soltanto le perdute pitture della cappella Pilestri. Già gli è stata riconosciuta da Alessandro Marchi la paternità della frammentaria Crocifissione di Polverigi, qui ripresa in esame. Un’illazione si potrebbe fare per le tre Storie di san Biagio del Museo Nazionale di Palazzo Venezia, nate probabilmente insieme ad altre tre per affiancare una grande immagine centrale del santo, dipinta o scolpita26. Esisteva in Ancona una consistente comunità di schiavoni, che nel 1439 ebbe dal Comune l’autorizzazione a stabilirsi in città27. Essi istituirono una confraternita intitolata al loro patrono, san Biagio, per le cui riunioni fu allestito verso il 1440 un oratorio presso il campanile della cattedrale. Entro il 1444 la compagnia ottenne dai padri predicatori una cappella in San Domenico. Nei secoli seguenti l’oratorio cambiò sede e la confraternita fece infine costruire la chiesa di San Biagio tuttora esistente, terminata nel 174828. Le date 144044 suonano incoraggianti, vicine come sono a quelle che per via di stile si assegnano alle tavole di Palazzo Venezia29.

7.3. Una possibile identità La ragione per cui nel 1450 Giambono si liberò del peso dell’ospizio di Fiumesino sta forse nel fatto che egli era seriamente ammalato. Il 4 agosto di quell’anno infatti, “corpore languens”, dettò un testamento, nel quale espresse la volontà di essere seppellito in San Francesco delle Scale (come il suo maestro), dispose lasciti per confraternite (la Misericordia, l’Annunziata, San Tommaso di Canterbury) e chiese mendicanti (San Domenico e Sant’Agostino) e nominò erede universale sua moglie Caterina, anch’ella dalmata, figlia di un Luca da Segna. Il più interessante dei legati è quello destinato alla figliastra Sofia, alla quale vanno tutte le “massaritias artis pictorie” a patto che ella si stabilisca in Ancona, vi prenda marito e vi trovi un pittore che faccia uso di quegli strumenti30. Ma la malattia non si rivelò mortale: Giambono sopravvisse ancora molti anni e dettò nel 1467 un nuovo testamento, più stringato del precedente31. Dopo questa data se ne perdono le tracce. Più misterioso ancora è il volto d’artista di Giambono, che si ostina a rimanere pittore ‘senza quadri’. Esiste però un gruppetto di dipinti legati a doppio filo con lo stile di Olivuccio di Ceccarello e di Bartolomeo di Tommaso che piacerebbe si rivelassero, un giorno, opere del raguseo. Un Uomo d’arme in terra verde affrescato nel salone di rappresentanza della Prefettura di Ancona, l’antico palazzo degli Anziani (poi del Governo), già parte di un ciclo di Uomini illustri32, appartiene alla stessa mano degli affreschi nella chiesetta di Santa Maria della Misericordia presso il cimitero di Castelferretti, purtroppo ridotti in cattivo stato33. Con la probabile eccezione della parete principale, si tratta di immagini a carattere votivo, come dimostrano tra l’altro

i soggetti ripetuti, alcune figurette di donatori e la presenza di santa Venera, patrona degli albanesi che a Castelferretti formavano una consistente comunità34: ciò non toglie che le pitture appaiano omogenee per stile, tanto da potersi attribuire ad una medesima bottega, se non ad un’unica mano, che varia continuamente le incorniciature architettoniche – colonne lisce, tortili, a nastro, pilastrini quadrangolari, archi ribassati, a tutto sesto, trilobi – ma le riunisce lungo il contorno per mezzo d’una striscia continua di archetti intrecciati e le unifica con l’onnipresente cromia rosata, che dà il tono a tutta la decorazione. Il gusto di questi affreschi è stato ben collocato da Giampiero Donnini nella scia di Bartolomeo di Tommaso e ancor più in linea con Olivuccio35, con la sua pittura in delicato equilibrio tra dolcezza ed espressività: si vedano da un lato i larghi volti sereni del Santo diacono e della Madonna della Misericordia, che Donnini ha confrontato con la perduta Madonna di donna Piera36, dall’altro le asprezze della Santa Venera, del San Sebastiano più prossimo all’altare, della dolente più a sinistra della Crocifissione che nella tipica deformazione del volto – la parte inferiore vista di profilo, la superiore di scorcio – pare uscita dal pennello d’un Olivuccio redivivo. Le raffigurazioni di san Bernardino costringono a porre la data dopo il 1450, ma non si dovrà andare molto più avanti37. In anni non lontani dal sesto decennio del ’400 si dovrebbe collocare anche il frammento anconetano, che oltre all’identica architettura presenta somiglianze parlanti con tante figure di Castelferretti: i capelli a grosse ciocche come nel Cristo in croce, il decoro dell’armatura risolto con gusto tutto grafico come nel San Michele, il volto gemello di quelli dello stesso arcangelo o della Santa Venera. Nel catalogo di questo pittore s’inserisce pure un affresco frammentario e sbiadito sulla controfacciata di Santa Maria della Piazza di Ancona, tra la porta e la navata sinistra, con la figura di un Beato penitente in preghiera, già attribuito, non senza qualche ragione, a Bartolomeo di Tommaso38. Verso Foligno ci indirizza con ogni probabilità anche il personaggio raffigurato, probabilmente il Beato Pietro Crisci da Foligno. In ogni caso, il richiamo allo stile di Bartolomeo di Tommaso per questo lacerto è senz’altro corretto; manca qui però la qualità di Bartolomeo e la parte meglio giudicabile, la doppia cornice con foglie carnose rosa segnate da sottili lumeggiature bianche e con una fila degli stessi archetti presenti a Castelferretti, indirizza piuttosto verso il petit maître di cui ci stiamo occupando. Caratteri simili, secondo un suggerimento di Andrea De Marchi, mostra l’Annunciazione affrescata sulla facciata della chiesa francescana di Forano, presso Appignano39 (figg. 1-2). Di recente questo dipinto è stato riferito a Giacomo di Nicola40, che però non è mai tentato, in quanto conosciamo di lui, dai capricci architettonici che qui troviamo: tra la Vergine e Dio Padre, infatti, la scena è occupata da un incredibile tempio gotico – memore certo di quello in cui Olivuccio di Ceccarello ambientò la Circoncisione di Gesù nella tavola già in San Francesco ad Alto, ora nella Pinacoteca Civica di Ancona41 – che è un gioco virtuoso di colonne tortili, capitelli a cipol-

178-181_Cap07_(Mazzalupi).QXD

17-11-2008

14:42

Pagina 181

GIAMBONO DI CORRADO DA RAGUSA

la, statuine su mensole, decori di foglie carnose, tutto verde acqua e rosa. In alto la cornice è doppia, con una sottile colonna a nastro coricata, come a Castelferretti, e una fila di mensoline sopra, come nell’Uomo d’arme di Ancona. L’ipotesi Giambono di Corrado per questo gruppo di dipinti acquisterebbe forza ben maggiore se si riuscisse a rintracciare lo stesso autore a Norcia, dove l’attività del raguseo è documentata. Qui, sulle pareti della chiesa di Santa Scolastica, riemersero nel 1978 i resti di un grande ciclo quattrocentesco di Storie di san Benedetto, dovuto con ogni evidenza ad un gruppo eterogeneo di artisti e qui discusso La vera patria è rimasta ignota fino alla pubblicazione da parte di Cordella 1987 del documento nursino (doc. 174). Anche due atti anconetani (docc. 52, 55) citano Giambono come “de Ragusio”. 2 Natalucci 1978, pp. 95-98. 3 Doc. 37. 4 Doc. 41. 5 Doc. 143. 6 Docc. 166, 236, 255, 261. 7 Docc. 144, 145, 148, 151. 8 Doc. 185. Cfr. anche Cordella 2000, pp. 94-96. 9 Doc. 192. 10 Toscano 1987, p. 363; Cordella 1995, pp. 72, 73, fig. 127; Cordella 2002, pp. 82, 83, fig. 127. 11 Doc. 236. La chiesa di San Nicola sorgeva nel sito del Teatro delle Muse. 12 Docc. 255, 261. 13 Su di lui si veda la monografia di Berardi 1988; per alcune acquisizioni più recenti cfr. G. M. Fachechi, in Fioritura 1998, p. 338, cat. 135; M. Minardi, in Il potere 2001, pp. 214-215, cat. 70; Id., in Arte francescana 2007, pp. 190-191, cat. 54. Alcune sue opere sono qui ridiscusse da Alessandro Marchi. 14 Doc. 168. 15 Libro di ricordi di Bernardino e Andrea Pilestri, BCA, ms. 234, cc. 8r, 15r, 16r-v (“nel 1392 marita’ la ditta donna Francesca a Giacomo de ser Pelegrino de Muciole”), 18r-v (“adì X aprile 1443 morì mia cia donna Francesca figliola fo de Cione Pilestri sepellita in San Francesco nella sepultura rente la nostra capella”). Il manoscritto (citato rapidamente da Angelini Rota 1957, p. 45) fu redatto da Bernardino di Pierandrea Pilestri (cc. 1-72) e da suo figlio Andrea (cc. 74-84) e contiene alle cc. 1-19 memorie di epoche diverse, risalenti fino a Cione di Tingo bisnonno di Bernardino, tratte da libri di famiglia e qui ricopiate nel 1492. 16 Berardi 1988, p. 183, doc. 29; Berardi 2000a, p. 46, doc. 15/d. 17 Doc. 331. Un documento del 3 dicembre 1463, noto da un regesto della Biblioteca Oliveriana di Pesaro, ricorda Giovanni Antonio come cittadino e abitante di Ancona (Berardi 1988, pp. 183-184, doc. 35; Berardi 2000a, p. 46, doc. 15/h), ma non mi è chiaro se esso implichi la presenza del pittore in questa città. 18 Doc. 339. 19 Berardi 1988, pp. 160, 186, docc. 59-60; Berardi 1

181

da Alessandro Delpriori42. L’operazione di distinzione delle mani non è certo facilitata dallo stato lacunoso dei dipinti e dalla perdita di una metà del ciclo, ma per quel che qui ci interessa si noteranno almeno le analogie tra il repertorio architettonico squadernato in questo ciclo e le soluzioni adottate dal ‘Maestro di Castelferretti’. Se poi si volesse indicare una scena in cui riconoscere un’orma di questo artista, io credo si dovrebbe rivolgere l’attenzione alla frammentaria Vestizione di san Benedetto, in alto al centro della parete destra, dove il volto del santo si apparenta a quello dell’affresco anconetano e ai profili più aguzzi dei murali di Castelferretti.

2000a, pp. 48-49, docc. 15/o-p. 20 Doc. 366. 21 Berardi 1988, pp. 185-186, docc. 47, 56; Berardi 2000a, p. 48, docc. 15/m-n. 22 Docc. 420-422. 23 Doc. 417. Cfr. l’albero genealogico in Berardi 1988, p. 20. 24 Berardi 1988, pp. 29-30, 183-186; Berardi 2000a, pp. 74-79. Un’ipotesi è avanzata in questa sede da Alessandro Marchi. Potrebbe essere Cecco Bellinzoni il Francesco pittore che il Comune di Jesi pagò nel gennaio-febbraio 1467 “pro designationibus confinium et pro picturis impannatarum audientie magnificorum dominorum priorum” e nel luglio-agosto 1468 “pro pictura casepte regiminis” (Archivio storico comunale di Jesi, Registri generali di entrata e uscita, 3, 1464-1468, cc. 196r e 280v). 25 Doc. 428. 26 L. Arcangeli, in Opere d’arte 1980, p. 24; Berardi 1988, pp. 41-46. 27 Della delibera esiste una copia in pergamena miniata, che presenta in alto una tabella con i Santi Girolamo, Biagio e Ciriaco e in basso lo stemma cittadino (ASDA, “Protocollo di antichissimi originali monumenti decorosamente appartenenti alla nostra venerabile compagnia scritti sin dal secolo XV”, doc. III). Tale pergamena (per la quale cfr. Pirani 1986, p. 38, fig. 2) non è coeva, nonostante l’aria ancora quattrocentesca delle miniature, ma va datata ormai nel primo ventennio del Cinquecento, al tempo del cancelliere Giambattista Onori da Staffolo che la redasse (su quest’ultimo personaggio cfr. Pichi Tancredi XVII secolo, c. 79r; Ciavarini 1870, pp. XLI-XLIII, XLVIII; Giangiacomi 1933, p. 181; C. Danti, in Staffolo 1997, p. 186; Pirani 1998, p. 24). 28 Natalucci 1978, pp. 100-101; Pirani 1998, pp. 25-27. Trovo citato l’altare di San Biagio in San Domenico già nel testamento d’uno schiavone datato 6 luglio 1446 (ANA, 3, cc. 182v-183r) e i “priores fraternitatis altaris Sancti Blaxii” in un rogito del 28 gennaio 1458 (ibidem, c. 270v). Un altro testamento, del 28 novembre 1498, contiene un lascito di 5 ducati allo stesso altare da spendersi “in uno Sancto Ieronimo fiendo in dicto altare” (ANA, 137, cc. 483r-484r). 29 Berardi 1988, p. 16. 30 Doc. 259. 31 Doc. 344, in cui non figura il legato per Sofia, forse perché Giambono aveva provveduto nel frattempo a

trovare un erede per i suoi attrezzi del mestiere. Cat. 4. 33 Cat. 5. 34 Anselmi 1978, p. 155; Natalucci 1978, pp. 105-106; Ducellier 1989, p. 113. Alcuni nomi di albanesi abitanti a Castelferretti si leggono in ANA, 46, I fasc., cc. 101v102r, 11 maggio 1461 (Andrea di Domenico e Giorgio di Domenico), e II fasc., c. 161r-v, 18 dicembre 1464 (Basilio di Niccolò); ANA, 48, c. 203r-v, 2 settembre 1465 (Giovanni alias Ghin e Paolo di Michele Magni), e c. 273r-v, 21 dicembre 1465 (Nanni di Giovanni); ANA, 65, IV fasc., c. 52v, 4 dicembre 1480 (Giorgio di Giovanni); ANA, 84, II fasc., c. 45r, 4 novembre 1482 (Ghino di Pellegrino). Il 15 gennaio 1473 Niccolò d’Andrea albanese abitante a Castelferretti riceve a cottimo un bove da Girolamo Ferretti (ANA, 21, cc. 9v-10v). Ancora nel 1584 i conti Ferretti eleggevano operai di Santa Maria della Misericordia due albanesi insieme a un membro della famiglia (Ferretti 1685, pp. 279-280). Per il culto tributato dagli albanesi a santa Venera (o Parasceve) nelle Marche cfr. Sensi 1978, pp. 81-84; per le rare immagini si veda in special modo Kaftal 1965, coll. 848-849 (a col. 847, fig. 1010, è riprodotto l’affresco di Castelferretti). Altari di Santa Venera erano nelle chiese anconetane di San Francesco ad Alto (ANA, 45, c. 106rv, 18 aprile 1458, testamento di Domenico d’Agostino albanese; ANA, 187, c. 426v, 1° aprile 1500, testamento di Giovanni di Giannino) e di Santa Maria delle Grazie (ANA, 61, c. 308r, 11 febbraio 1487, testamento di Giovanni di Niccolò albanese; ANA, 187, cc. 238v-240r, 18 maggio 1498, testamento di Giovanni di Niccolò alias de Mariotta albanese) nonché in una chiesa di Sirolo (ANA, 75, I fasc., c. 31r-v, 31 dicembre 1479 [1480 in stile anconetano], testamento di Margherita moglie di Giovanni di Niccolò alias Barbaroscia albanese). 35 Donnini 1976. 36 Donnini 1976, p. 305. 37 Donnini 1976, p. 305; Natalucci 1977, p. 117. Per Zampetti 1988, p. 301, nota 10, gli affreschi sarebbero stati eseguiti “prima e dopo la metà del secolo”. 38 Cat. 3. 39 Cat. 1. 40 Minardi 2000, p. 225. 41 A. Marchi, in Pittori 2002, p. 157. Secondo Talamonti 1939, p. 28, che la ricorda stranamente come “attribuita al Perugino”, la tavola si trovava un tempo nella prima cappella a destra. 42 Cat. 3. 32

182-195_Cap07_CAT_(Mazzalupi).QXD

182

17-11-2008

14:43

Pagina 182

CATALOGO

1 Annunciazione 1430 circa Affresco Appignano, Santissima Annunziata di Forano, facciata

Il convento di Forano, nella campagna di Appignano, è uno dei luoghi francescani più venerati della Marca, legato com’è al fondatore dell’ordine e ai mistici Corrado da Offida e Pietro da Treia (Astolfi 1904 e 1925-1926; Fini 1980). Quando nel Seicento la chiesa fu ampliata e completamente ristruttu-

rata, si volle salvare la facciata, nella quale si apre la porticina che si dice risalire al tempo di san Francesco: “HAEC EST ILLA PRISCA JANUA DUM HIC ADFUIT S(anctus) FRANCISCUS”, si legge lungo la ghiera dell’arco. Intorno a questa porta e grazie ad essa si salvò anche l’affresco, che circonda l’apertu-

ra disponendo di qua e di là i due protagonisti e in alto il Dio Padre nella mandorla, che è monca in basso fin dall’origine. È stato però sacrificato quasi per intero l’arcangelo, coperto e probabilmente cancellato da una delle lesene che affiancano il portale moderno. La sagoma timpanata dell’affresco corri-

1

182-195_Cap07_CAT_(Mazzalupi).QXD

17-11-2008

14:43

Pagina 183

GIAMBONO DI CORRADO DA RAGUSA

183

1

182-195_Cap07_CAT_(Mazzalupi).QXD

184

17-11-2008

14:43

Pagina 184

CATALOGO

sponde verosimilmente alla dimensione originale della facciata, larga dunque poco più o poco meno di cinque metri. Al di sotto della doppia cornice con una fila di mensoline e una colonnina a nastro, la scena si svolge in un folle gioco di architetture, che tocca il culmine nel tempio posto tra la Vergine e l’Eterno: un trionfo di pinnacoli, colonne tortili, statuine nelle pose più varie. Una tale esibizione non ha molto a che vedere con Giacomo di Nicola, il cui nome è stato avanzato di recente (Minardi 2000, da uno spunto di De Marchi 1998), ed è invece uno schietto omaggio alla Circoncisione di Cristo di Olivuccio di Ceccarello oggi nella Pinacoteca Civica di Ancona. La possibilità di accostare questo affresco ad un gruppo di dipinti strettamente legati ad Olivuccio e ubicati ad Ancona (catt. 2 ,3) e nei suoi dintorni (cat. 4) può autorizzare l’ipotesi che sia questo il volto di Giambono di Corrado da Ragusa, allievo e figlio adottivo di Olivuccio, documentato ad Ancona e a Norcia dal 1425 al 1469 (cfr. § 7.3). Bibliografia: Astolfi 1925-1926, pp. 414-416; Rossi 1968, p. 201; Vitalini Sacconi 1968, p. 90; Fini 1980, p. 37; De Marchi 1998, p. 38, nota 63; Minardi 2000, p. 225; Frapiccini 2003, pp. 384-387; Dehmer 2007; A. De Marchi, in Entre tradition 2008, p. 147, nota 7.

2 Beato penitente (Pietro Crisci da Foligno?) in preghiera 1440-1450 circa Affresco Ancona, Santa Maria della Piazza, controfacciata L’affresco, frammentario e sbiadito, si trova sulla controfacciata della chiesa romanica di Santa Maria, tra la porta e la navata sinistra. Vi è raffigurato un personaggio coperto da una povera veste, si direbbe di stracci, che prega rivolto verso il sole, visibile in alto a sinistra. Si tratta, a mio avviso, del Beato Pietro Crisci, un penitente di Foligno morto nel 1323, che usava rivolgersi verso il sole durante la preghiera (“in oratione se ponens, versus solem communiter aspiciebat”: Gorini 1889, pp. 17-18) e del quale esistettero un culto e almeno un’immagine nelle Marche settentrionali, precisamente nella chiesa di Santa Maria di Montegranaro presso Pesaro, fondata dal beato stesso (Faloci Pulignani 1896, che ne riporta la descrizione fatta nel 1777 da Annibale Degli Abati Olivieri Giordani). La commissione potrebbe eventualmente risalire ad uno dei molti folignati che frequentavano la città nel Quattrocento (Sensi 1989). Corrado Fratini (2000) ha attribuito questo lacerto a Bartolomeo di Tommaso, notando la somiglianza in particolare con la spigolosa immagine del beato Pietro Crisci nel trittico di San Salvatore a Foligno, ora nel Museo Diocesano (§ 6, fig. 4). Il richiamo allo stile di Bartolomeo è senz’altro corretto, ma mi sembra che manchi qui la sua qualità e che la par2

te meglio giudicabile, la doppia cornice con foglie carnose rosa segnate da sottili lumeggiature bianche e con una fila degli stessi archetti presenti a Castelferretti (cat. 4), indichi invece la mano del petit maître anconetano autore di quegli affreschi. Bibliografia: Fratini 2000, p. 61 e fig. 5; Sebastiani 2001, p. 70.

3 Uomo illustre dell’antichità 1450 circa Affresco strappato Ancona, palazzo del Governo (Prefettura), salone di rappresentanza Provenienza: strappato dalla stessa stanza Nel salone di rappresentanza della Prefettura di Ancona, l’antico palazzo degli Anziani (poi del Governo) edificato a partire dalla seconda metà del Trecento, si trova, appeso sulla medesima parete da cui è stato strappato, questo frammento di affresco in cui si vedono i resti di due arcate sormontate da una cornice a mensole e sorrette da una colonnina tortile, il tutto di un vivace colore rosato; mentre la figura ospitata sotto l’arcata di sinistra è completamente perduta, a destra sopravvive parte di un Uomo d’arme in terra verde, dai capelli mossi, che si volge deciso verso l’altro personaggio. Il lacerto, per il quale l’unico appiglio cronologico è l’ante quem 1473 fornito da un graffito tra la figura e la colonna (all’estremità sinistra inoltre si trova un “1482” ripetuto), doveva far parte di un ciclo di Uomini illustri, l’unico finora noto nelle Marche, simile a quelli presenti allora in palazzi pubblici e dimore private di molte città italiane, tra le quali Padova, Firenze, Pistoia, Siena, Perugia, Foligno, Roma (cfr. Mode 1970; Donato 1985; Cavallaro 1995). Se da un lato il regime repubblicano di Ancona può richiamare alla mente l’esempio dell’Anticappella del palazzo Pubblico di Siena, decorata tra 1413 e 1414 da Taddeo di Bartolo (Rubinstein 1958, pp. 189-207; Un ciclo 2002), dall’altro la tecnica a monocromo accomuna invece il frammento anconetano ai perduti “giganti” in terra verde dipinti da Paolo Uccello in casa Vitaliani a Padova (Vasari 1971, p. 69). L’affresco è segnalato da Fabio Mariano (1990) come opera della metà del Quattrocento. Questo giusto ma generico riferimento va specificato riconoscendo la stessa mano nel gruppo di affreschi qui discusso e sottolineandone in specie la vicinanza, che dovrebbe essere anche cronologia, agli affreschi di Castelferretti (cat. 4): si notino, oltre all’identica architettura, i capelli a ciocche spesse come nel Cristo in croce, il decoro dell’armatura risolto con gusto tutto grafico come nel San Michele, la somiglianza del volto con quelli dello stesso arcangelo o della Santa Venera. Bibliografia: Mariano 1990, p. 66, fig. 89; Mazzalupi 2007a, p. 117, fig. 2, p. 124, nota 3.

182-195_Cap07_CAT_(Mazzalupi).QXD

17-11-2008

14:43

Pagina 185

GIAMBONO DI CORRADO DA RAGUSA

185

3

182-195_Cap07_CAT_(Mazzalupi).QXD

186

17-11-2008

CATALOGO

4 a) parete di fondo: Madonna della Misericordia, Santo diacono, San Bernardino da Siena; Thronum Gratiae, San Pietro, San Paolo b) parete sinistra: San Bernardino da Siena, Madonna col Bambino e i santi Sebastiano e Girolamo, Santi Pietro e Giovanni battista, Santo vescovo (Ciriaco?) in cattedra, Madonna del latte con san Sebastiano c) parete destra: Santo vescovo tra i santi Venera e Stefano, Crocifissione tra san Michele arcangelo e una santa coronata 1450-1455 circa Affreschi strappati Castelferretti, Santa Maria della Misericordia Iscrizioni: “[…] / SALVATOR/EM DO[mi]/NUM // […] / […]CINUS” (sul libro del santo diacono) Provenienza: strappati dalla stessa chiesa La chiesetta di Santa Maria della Misericordia, presso la quale è stato poi costruito il cimitero di Castelferretti, fu fondata dalla famiglia Ferretti (cfr. il documento del 1584 riportato da Ferretti 1685, pp. 279-280, in cui i conti Ferretti la definiscono “nostra chiesa”), che signoreggiava il vicino castello edificato da Francesco di Liverotto Ferretti (1330-1410 circa) tra 1384 e 1386 (Ferretti 1685, pp. 62-65; Minelli 1987, pp. 56-61). In facciata un’epigrafe ricorda importanti restauri promossi dai conti Ferretti nel 1610: “HANC AEDEM SACRAM VETUSTATE LABENTEM / COMITES CASTRI FERRETTI RESTAURARUNT / ANNO D(omi)NI MDCX / CESARE FERRETTO COM(ite) EQUITE HIEROSOLIMIT(ano) / PRIORE ANGLIE CASTRO (!) GUBERNAN(te)” (riportata anche in Ferretti 1685, p. 482; su Cesare di Girolamo Ferretti, 1567 - post 1631, cfr. Saracini 1675, p. 511; Ferretti 1685, pp. 465-477; Minelli 1987, pp. 71-73). Fu forse allora che s’innalzò il tetto, il cui livello originale è indicato almeno approssimativamente dal profilo a capanna della decorazione sul fondo, e si aggiunse il vestibolo addossato alla facciata (Natalucci 1977, p. 117). Gli affreschi che rivestono le pareti laterali e quella di fondo della cappella furono segnalati dalla “Società anconitana degli amici dell’arte” alla Soprintendenza fin dal 1910 (Archivio di Stato di Ancona, Fondo Soprintendenza ai Monumenti delle Marche [1899-1930], II versamento, Falconara, b. 3, ex II versamento, b. 43). Nel 1969 alcuni di essi – la Madonna col Bambino e i santi Sebastiano e Girolamoe il San Bernardinosulla sinistra, la Madonna della Misericordia all’altare e tutte le figure del lato destro – furono staccati, restaurati e rimontati in situ; nel 1999 furono di nuovo oggetto di restauro. Al centro della parete d’altare è raffigurata la Madonna della Misericordia, affiancata da un Santo diacono a sinistra e da San Bernardino da Siena a destra; al di sopra si trovano, tra due immagini del trigramma bernardiniano, il Thronum Gratiae e ai lati San Pietro e San Paolo. Sulla parete sinistra, partendo dal fondo, si vedono San Bernardino da Siena, la Madonna col Bambino e i santi Sebastiano e Girolamo e poi – scavalcata una porta più tarda che ha

14:43

Pagina 186

182-195_Cap07_CAT_(Mazzalupi).QXD

17-11-2008

14:43

Pagina 187

GIAMBONO DI CORRADO DA RAGUSA

187

4

182-195_Cap07_CAT_(Mazzalupi).QXD

188

17-11-2008

14:43

Pagina 188

CATALOGO

4A

182-195_Cap07_CAT_(Mazzalupi).QXD

17-11-2008

14:43

Pagina 189

GIAMBONO DI CORRADO DA RAGUSA

189

4A

182-195_Cap07_CAT_(Mazzalupi).QXD

190

17-11-2008

14:43

Pagina 190

CATALOGO

4A

182-195_Cap07_CAT_(Mazzalupi).QXD

17-11-2008

14:43

Pagina 191

GIAMBONO DI CORRADO DA RAGUSA

191

4A

182-195_Cap07_CAT_(Mazzalupi).QXD

192

17-11-2008

14:43

Pagina 192

CATALOGO

4B

182-195_Cap07_CAT_(Mazzalupi).QXD

17-11-2008

14:44

Pagina 193

GIAMBONO DI CORRADO DA RAGUSA

193

4B

182-195_Cap07_CAT_(Mazzalupi).QXD

194

17-11-2008

14:44

Pagina 194

CATALOGO

4B

probabilmente cancellato un’altra figura – i Santi Pietro e Giovanni battista (dove l’apostolo reca l’insolito attributo della croce rovesciata: Kaftal 1965, col. 875, fig. 1041), un Santo vescovo (Ciriaco?) in cattedra e infine la Madonna del latte con san Sebastiano. Sulla parete di fronte, sempre muovendo dall’altare, si susseguono un Santo vescovo tra i santi Venera e Stefano e la Crocifissione tra san Michele arcangelo e una santa coronata, separati da una porta (stavolta originale, poiché la decorazione ne tiene conto).

Escludendo la parete principale, si tratta di immagini votive, dunque sciolte l’una dall’altra, ma non per questo vi si devono riconoscere diverse mani (cfr. Zampetti 1988 e Zampetti 2001), ché anzi tutta la decorazione è accomunata da uno stesso gusto ancora pienamente tardogotico, fiammeggiante nella cattedra del Santo vescovo, appena intaccato da velleità prospettiche nella ‘scatola’ della Madonna del latte con san Sebastiano; anche i motivi puramente decorativi si richiamano da un muro all’altro (lo stes-

so disegno stampigliato compare al principio della parete sinistra, nel drappo d’onore alle spalle del San Sebastiano accanto alla Madonna allattante, e verso il fondo della parete opposta, sulla dalmatica del Santo Stefano). Già riferiti agli inizi di Giacomo di Nicola (Boskovits 1994), gli affreschi di Castelferretti possono essere inseriti invece nel corpus del maestro che qui si ricostruisce e che potrebbe un giorno risolversi nella figura storica di Giambono di Corrado da Ragusa.

Bibliografia: Serra [1921], p. 113; Luzi 1923-1924, p. 132; Serra 1934, p. 246; Kaftal 1965, coll. 848, 877; A. Rossi, in Mostra di opere 1969, pp. 51-53; Zampetti [1969], p. 75; Stramucci 1972, pp. 162-163; Donnini 1976; Boskovits 1977, p. 44, nota 40; Cherubini 1977, p. 218; Natalucci 1977, pp. 115-118; Zampetti 1988, p. 301, nota 10; Boskovits 1994, pp. 282-283; Minardi 2000, p. 224; Gli affreschi 2001; Cherubini 2001, p. 284; Atlante 2004, pp. 73-75; A. De Marchi, in Entre tradition 2008, pp. 146-147.

182-195_Cap07_CAT_(Mazzalupi).QXD

17-11-2008

14:44

Pagina 195

GIAMBONO DI CORRADO DA RAGUSA

195

4C

Lihat lebih banyak...

Comentários

Copyright © 2017 DADOSPDF Inc.