Il gusto come paradosso sinestetico nell\'arte di Joana Vasconcelos

June 9, 2017 | Autor: Barbara Aniello | Categoria: Kitsch, Sinestesia, História De Arte Em Portugal, Joana Vasconcelos
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a cura di Emma De Luca

Il presente volume propone al lettore un viaggio trasversale diatopico, diacronico, diafasico, diastratico e diamesico attraverso le abitudini alimentari dei diversi popoli che nel tempo, a seguito della globalizzazione, iniziano a “contaminarsi” vicendevolmente. La prima parte del volume è dedicata ai “sapori lusitani” includendo tutti i contributi relativi ai territori di lingua ufficiale portoghese o, in ogni caso, raggiunti dai portoghesi. Nella seconda parte del volume è possibile godersi gli “altri gusti” che completano la gamma di sapori esperibili dal nostro palato. Non resta che augurare a tutti i lettori buon appetito!

PARLA COME MANGI

Cibo e lingua sono stati abbinati all’interno di una giornata di studi dedicata alla Lingua portoghese, organizzata dalle discipline di Lingua e traduzione portoghese e brasiliana e di Letterature e culture dei Paesi di lingua portoghese del DISUCOM (Dipartimento di Scienze Umanistiche, della Comunicazione e del Turismo) grazie al prezioso contributo dell’Instituto Camões. Riflettere sulla lingua, sinesteticamente intesa, e quindi sui linguaggi (linguaggi che investono la vista, il gusto, l’olfatto, il tatto, l’udito), espressi da queste molteplici realtà geografiche che si esprimono in lingua portoghese proprio relativamente all’alimentazione e a quanto essa rappresenti, vuol dire viaggiare per il mondo (storicamente, geograficamente, socialmente) gustando sapori e diversità sociali.

In copertina: Joubert Pantanero, Roda de Samba, Rio de Janeiro, collezione privata, olio su tela, 2007

ISBN 978-88-7853-702-6

PA R L A C O M E M A N G I Lingua portoghese e cibo in contesto interculturale

9 788878 537026

€ 16,00

a cura di Emma De Luca

Il gusto come paradosso sinestetico nell’arte di Joana Vasconcelos Barbara Aniello Prelevare un oggetto dalla realtà, Decontestualizzarlo, Reintitolarlo: il triplice precetto dada è pienamente rispettato da Joana Vasconcelos, artista portoghese d’avanguardia, che dal 1997 espone ininterrottamente in tutto il mondo. Già consacrata dalla Biennale di Venezia del 2005, Joana non solo accoglie l’eredità di Duchamp, ma la arricchisce di una quarta fase, ingigantendo parossisticamente i suoi oggetti e passando, così, dalla micro alla macrosfera. Sulla scia dei suoi colleghi parigini dell’inizio del Novecento, l’artista eleva “un oggetto banale alla categoria di arte” − come dettano André Bréton e Paul Éluard nel 1938 nel loro Dictionnaire Abrégé du Surréalisme − e, in aggiunta, lo traspone in una dimensione inusitata, cavalcando l’onda del mostruoso, dello smisurato, dell’esorbitante. Lei, artista-valchiria lusitana, diviene artefice di opere spropositate, che invadono lo spazio, senza tuttavia essere ingombranti. È proprio la dimensione fuori-scala dei suoi oggetti d’arte a conferire agli stessi il rango dell’Idea. Assumendo proporzioni fuori-misura, l’opera oltrepassa la materia ed entra nella sfera del concetto, della rappresentazione mentale, del pensiero. Tutta la concezione estetica della Vasconcelos può tradursi in un gigantesco ossimoro. È così che percepiamo la figura della donna emancipata e tuttavia schiava, i soffocanti condizionamenti della società libera, l’incomunicabilità del secolo delle comunicazioni. Guardare le sue opere vuol dire contemplare degli autentici ossimori visivi. Impossibile restare distaccati: l’osservatore è completamente soggiogato dalla potenza espressiva del loro messaggio e dall’estrema cura artigianale con cui questo è pazientemente realizzato. Uno dei campi semiologici prediletti da Joana è rappresentato dal cibo come elemento in apparenza appagante e gioioso, ma in sostanza artificiale, plastificato, creatore di dipendenze pericolose e di enormi maglie che intrappolano l’essere umano. In Néctar, 2006 la Vasconcelos costruisce una struttura simile al Portebouteilles di Duchamp, la ingrandisce venti volte e la “completa”, aggiungendo lampade e caraffe. Là dove l’intenzione dell’artista francese era quella di lasciare la struttura circolare e spinosa dello scolabottiglie nuda come puro oggetto visivo da contemplare, la portoghese ne fa un moderno castiçal (candeliere), lampada notturna per illuminare la città. Nella sua apparenza fulgida di nuova Tour Eiffel vitrea e luminescente, l’opera contiene una denuncia nascosta, quella del flagello dell’alcolismo, fenomeno locale, portoghese, che tocca trasversalmente tutte le classi sociali. Il titolo rimanda all’antica bevanda degli invincibili dèi greci, il nettare, qui divenuta bibita tristemente contemporanea, 15

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costume diffuso nel vulnerabile popolo lusitano, imprescindibile espediente per effimere evasioni a poco prezzo.

Néctar, 2006 Garrafas de vinho, ferro metalizado e termolacado, LEDs de alto brilho, fonte de alimentação, cimento (2x) 720 x Ø 350 cm Museu Coleção Berardo, Lisboa DMF, Lisboa/© Unidade Infinita Projectos Marcel Duchamp, Scolabottiglie, 1914-1964 Ferro galvanizzato 59 x 37 cm, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna

Sr. Vinho, 2010 e Pavillon de thé, 2012 riprendono l’idea di di Néctar, per via del tema della dipendenza, sia essa vizio o rituale tipico della società borghese. In Menu do Dia, 2001 il cibo è l’assente pretesto per la denuncia della violenza contro gli animali e gli allevamenti intensivi. La brutalità insita in queste pellicce appese ai frigoriferi è solo un vestigio lontano che rimanda agli involucri di animali che sono stati un tempo divorati, consumati, ma di cui però non vi è più traccia. Il frigo, infatti, è vuoto e inabitato come la pelle appesa al suo sportello e vuoto è il senso che lascia questa installazione al visitatore che, smarrito, si aggira intorno ad essa, alla ricerca di qualcosa di animato. Tutto invece è inerme, morto. Anche lui, fruitore e divoratore, consumista e consumato da una società che tutto divora e che “lo” divora, è morto che si aggira tra i morti, come lo sono le carcasse pelose e vuote degli esseri la cui carne è scomparsa dal frigo. La società ne ha rimpinzato il corpo, ingurgitandone al contempo l’anima. Unica traccia di un’assenza 16

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tangibile sono i deodoranti, posti negli scaffali con l’inutile e vano scopo di coprire con il profumo il tanfo di un maleodorante corpo assente. Ma anche di questo non vi è più la scia, resta solo lo slancio dell’illusione di una vita lontana, perduta, andata.

Menu do Dia, 2001 Casacos de pele, portas de frigorífico, ambientadores, ferro 134 x 156,5 x 446 cm PCR, Lisboa, DMF, Lisboa/©Unidade Infinita Projectos

Plastic Party, 1997 reitera la stessa idea di isolamento, incomunicabilità e settorialità. Nei tupperwares tutto è circoscritto, diviso, catalogato per forma e colore, il concavo e il convesso combaciano perfettamente, ma la soddisfazione è apparente: al centro della tavola esagonale, invece di un “pieno”, c’è un grosso “vuoto” che genera sconcerto. Commensali invisibili hanno tutto preparato, delimitato, ordinato, ma non riusciranno a sfamarsi, ce lo dice quella grande voragine centrale, grande come il loro vuoto esistenziale. L’anima non è nutrita dalla società, se non in apparenza, superficialmente.

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Plastic Party, 1997 Recipientes em plástico para alimentos, ferro metalizado e termolacado, MDF pintado e envernizado, borracha 110 x 250 x 217,5 cm Fundação Joana Vasconcelos, Lisboa Obra produzida com o patrocínio de Plastidom - Plásticos Industriais e Domésticos, DMF, Lisboa/©Unidade Infinita Projectos

Guardando da vicino Coração independente nelle sue varianti Preto, 2006 Dourado, 2004 e Vermelho, 2005, dapprima godiamo della riproduzione a grande scala di quell’opera in miniatura, capolavoro di oreficeria che è il tradizionale gioiello portoghese tipico di Viana do Castelo. In un secondo tempo, ci accorgiamo che alla filigrana si sostituiscono forchette, coltelli e cucchiai plastiformi, e i cuori appesi vengono fatti girare al suon del poema dall’omonimo titolo, scritto e interpretato dalla più grande fadista di sempre: Coração independente di Amália Rodrigues. Nel poema posto in musica da Alfredo Marceneiro, la cantante declama il suo attaccamento alla vita da una prospettiva fortemente sofferente, ma autonoma rispetto ai dettami politici, ai condizionamenti familiari, alle costrizioni sociali. Attorno a questo concetto di “estranha forma de vida” (strana forma di vita) di un cuore che vive di una vita perduta, Joana Vasconcelos costruisce un’opera cinetica e sinestetica che assembla musica, movimento, colore, scultura e architettura, ma il messaggio è una paradossale denuncia: i nostri giganteschi cuori sono diventati di plastica. Siamo quel che mangiamo, diceva nell’Ottocento il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, ma oggi l’organico è divenuto asettico, la vita artificio. Apparentemente meraviglioso, scintillante come l’oro, elaborato come un gioiello, il materiale è divenuto in realtà freddo, effimero, insensibile come una posata usa-e-getta. Di nuovo la tematica del cibo, unita a quella del consumo insensato, invade anche il campo dei sentimenti più autentici, più puri. 18

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Coração Independente Dourado, 2004, Coração Independente Vermelho, 2005, Coração Independente Preto, 2006 Talheres em plástico translúcido, ferro pintado, corrente metálica, motor, fonte de alimentação, instalação sonora Canções interpretadas por Amália Rodrigues: Estranha Forma de Vida (Alfredo Rodrigo Duarte/Amália Rodrigues), Maldição (Joaquim Campos da Silva/Armando Vieira Pinto), Gaivota (Alain Oulman/Alexandre O’Neill). Autorização de IPLAY - Som e Imagem/(P) Valentim de Carvalho. 385 x 225 x 50 cm Coleção Georges Marci, Gstaad, DMF, Lisboa/©Unidade Infinita Projectos.

Coração, per via della trasparenza, si ricollega a Néctar, ma qui la filigrana plastiforme sostituisce il ferro battuto, mantenendo le stesse caratteristiche di quel materiale esile, flessibile, trasparente, con un tocco di moderno artificio e scialbo utilitarismo.

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Cinderela, 2007 sviluppa coerentemente la stessa idea: una serie di pentole e coperchi scintillanti formano a sorpresa un sandalo fuori-scala, gigantesco, abbinando il concetto di esile a quello di abnorme, l’idea del ballo a quella di schiavitù domestica della cenerentola-donna, la nozione di libertà a quella di condizione servile quotidiana. Gli stereotipi discordanti della donna bella ma serva, efficiente cameriera e principessa del ballo, femme fatale e sguattera confinata in casa si fondono in quest’opera. Come nel Cuore indipendente, l’enfasi è posta sull’oggetto che, preso singolarmente, è un banale strumento di uso quotidiano e che, ingigantito, per mezzo della ripetizione e accumulazione, diviene scintillante accessorio in cui specchiarsi. E le donne vi si rispecchiano nella loro dicotomica vita quotidiana, prigioniere di una società che le vuole perfette esteticamente ed efficienti praticamente.

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Cinderela, 2007 Panelas e tampas em aço inoxidável, cimento 250 x 150 x 430 cm Tróia Design Hotel, Tróia Obra produzida com o patrocínio de Silampos, ©Unidade Infinita Projectos.

Petit Gâteau, 2011 Formas de praia em plástico, aço inoxidável 255 x Ø 239 cm Coleção da artista Obra produzida com o apoio de The Monaco Project for the Arts, DMF, Lisboa/©Unidade Infinita Projectos. 21

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Tutti Frutti, 2011 Formas de praia em plástico, aço inoxidável 400 x 220 x 220 cm Coleção da artista, DMF, Lisboa/©Unidade Infinita Projectos

Tutti i frutti e Petit Gateau nascono dalla riflessione sui dolci italiani e francesi, il cono di gelato e il muffin. Concepiti come involucri di frutta o biscotti, versione moderna dei tupperwares, le opere amplificano il messaggio della vanità della nutrizione moderna, vuota di contenuti e piena di fatiscenti surrogati che soppiantano il vero nutrimento per l’anima. Petit Gateau aggiunge, nel titolo, il concetto di amplificazione della scala di grandezza che contrasta con le forme originali del modello. Questo smisurato piccolo dolce non riesce nella sua abnormità a riempire la fame di contenuti del mondo moderno. Resta un puro involucro senza sostanza. Opere olfattive, tattili, sonore contribuiscono alla ricostruzione di un mondo che per Joana Vasconcelos si popola di tutti i sensi. In Wash and go, 2012 la vista e il tatto si uniscono, richiamando l’idea di essere ripuliti e 22

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colorati allo stesso tempo dai mille tentacoli di questa lavatrice animata che ci fa entrare in un mondo allo stesso tempo surreale, dada e concettuale: il mondo di Joana. I suoi vetri colorati, gli strumenti musicali della tradizione portoghese sono rivisitati in chiave antica e moderna, come ad esempio in Coluna de Cor, 1994, Cravo e Canela, 2014, Destinos Cruzados, 2012.

Wash and Go, 1998 Colãs, ferro pintado, rede tremida, motor, temporizador 150 x 210 x 80 cm Coleção António Cachola, Elvas Obra produzida com o patrocínio de Coll Internacional - Distribuição de Produtos Têxteis e DMF, Lisboa/©Unidade Infinita Projectos

E allora il gusto diviene solo un pretesto, un paradosso sinestetico nella sua arte. Di questi oggetti da toccare, odorare, ascoltare, guardare non abbiamo un’esperienza diretta, vera, autentica, perché sono, nella sostanza, falsi imitatori di una realtà che simulano, ma non riproducono. Il dolce, così come il gelato, non è commestibile, il vino e lo champagne disperdono nell’etere il loro nettare inebriante ma innocuo sotto forma di luce o aria, la viola portoghese è muta, perché il chrochet tappa la sua cassa armonica.

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Destinos Cruzados, 2012 Guitarra portuguesa, croché em lã feito à mão, adereços, poliéster 74 x 85 x 45 cm Coleção particular, Porto, Luís Vasconcelos/Cortesia Unidade Infinita Projectos

D’altra parte, essere originali significa tornare alle origini. E questo Joana non solo lo sa, ma lo vive. Il cibo, la donna, l’amore, sono solo pretesti per rinnovare il linguaggio artistico, per far pensare lo spettatore, per costringerlo ad un dialogo che troppo spesso nell’arte contemporanea resta astruso, nascosto, incomprensibile e che, con la sua visione a grande scala, con il ritorno alla Portugalidade e alle sue tradizioni, con la trasformazione del Kitsch in opera concettuale, torna invece ad affabulare ad interessare, coinvolgere e abbracciare l’osservatore.

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