Il Movimento 5 Stelle e Podemos: Eurofobici o Eurocritici?

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Il Movimento 5 Stelle e Podemos: Eurofobici o Eurocritici? Fabio García Lupato e Filippo Tronconi

Pubblicato in Contro l'Europa? I diversi scetticismi verso l'integrazione europea, a cura di D. Pasquinucci and L. Verzichelli. Bologna, Il Mulino, 2016, pp. 169-193.

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Il Movimento 5 Stelle e Podemos: Eurofobici o Eurocritici? Fabio García Lupato e Filippo Tronconi

Il Movimento 5 Stelle (M5S) e Podemos sono state due fra le più importanti novità nel panorama dei sistemi partitici europei degli ultimi anni. Il primo ha ottenuto, nelle elezioni politiche del 2013, un successo inaspettato e inimmaginabile per un partito alla prima prova elettorale nazionale e a pochi anni dalla fondazione: addirittura, quello del M5S è stato il debutto elettorale di maggior successo nell’intera storia postbellica europea1. I secondi, raccogliendo l’eredità del movimento degli Indignados che nel 2011 avevano scosso la politica spagnola, sono riusciti per la prima volta a spezzare – parzialmente – il duopolio di Socialisti e Popolari che caratterizza il paese iberico fin dagli inizi degli anni ottanta, raccogliendo l’8 per cento dei voti nelle elezioni europee del 2014. I due partiti sono accomunati da una critica risoluta verso le classi dirigenti (politiche, ma anche economiche) dei rispettivi paesi, dagli slogan anti-corruzione, da un uso innovativo delle nuove tecnologie dell’informazione, a partire dai social media. In questo saggio esploreremo le proposte di questi due nuovi soggetti politici in ambito europeo. Anche in questo caso le similitudini, almeno a prima vista, non mancano: entrambi si presentano come decisi oppositori delle politiche dell’Unione Europea, soprattutto per quel che riguarda le misure anti-crisi improntate al rigore nei bilanci pubblici e ai tagli alla spesa sociale; entrambi pongono l’accento sull’assenza di legittimazione democratica delle istituzioni europee. Tuttavia, come vedremo, le declinazioni di tale opposizione sono diverse, come diverse sono del resto le storie delle due formazioni, il loro modello organizzativo, i loro riferimenti politici e culturali. La nostra analisi prenderà in considerazione dunque i due programmi per le elezioni del Parlamento europeo del 2014 e le opinioni ed atteggiamenti in ambito europeo dei rispettivi elettorati, come fotografati dall’European Election Study. Al di là dell’etichetta «euroscettica» sotto cui sono di solito inquadrati, non mancano come vedremo posizioni anche radicalmente diverse. Prima di addentrarci nella lettura dei manifesti elettorali, conviene allora partire proprio dal concetto abusato di euroscetticismo, per discuterne i limiti e proporre, sulla scorta della letteratura politologica recente, alcune importanti distinzioni al suo interno. Solo successivamente potremo inquadrare in modo più consapevole le argomentazioni dei due partiti al centro della nostra analisi e gli orientamenti dei rispettivi elettorati.

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N. Maggini e F. De Lucia, Un Successo a 5 Stelle, in A. Chiaramonte e L. De Sio (a cura di) Terremoto elettorale. Le elezioni politiche del 2013, Bologna, Il Mulino, 2014, p. 182.

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Sul concetto di euroscetticismo Negli ultimi due decenni gli studi sull’euroscetticismo hanno guadagnato una posizione di rilevo nel panorama politologico, per effetto del salto di qualità nel processo di integrazione europea seguito al Trattato di Maastricht. Il termine «euroscetticismo», a partire dagli inizi degli anni novanta, entra di prepotenza nel dibattito politico perché alcuni partiti politici e settori dell’opinione pubblica europea iniziano a criticare il processo di integrazione nel suo complesso o alcuni suoi specifici risultati. Come sostenuto da Liesbeth Hooghe e Gary Marks2, è in questi anni che si passa da un «consenso permissivo» a un «dissenso costrittivo». Anche se ormai molto diffuso – o proprio per questo motivo – il concetto di euroscetticismo è tutt’altro che univoco; al contrario il suo impiego è soggetto a diverse interpretazioni e declinazioni anche con finalità strategiche o ideologiche. Fra le prime proposte di articolazione del concetto troviamo la distinzione fra euroscetticismo duro (Hard Euroscepticism) e morbido (Soft Euroscepticism). Il primo «implica un’opposizione incondizionata all’intero progetto di integrazione politica ed economica e l’opposizione all’ingresso o alla permanenza del proprio paese come membro dell’Unione»; il secondo descrive «un’opposizione contingente o specifica all’integrazione europea»3. Altri studiosi hanno elaborato ulteriormente questa intuizione. Ad esempio, rilevano Conti e Verzichelli, è difficile teorizzare l’euroscetticismo senza tenere in considerazione il rovescio della medaglia, ossia l’«euroentusiasmo»4. È possibile allora distinguere, idealmente, quattro posizioni riguardo all’integrazione europea. Sul versante euroscettico la distinzione è simile a quella appena richiamata: opposizione hard o di principio e opposizione soft, che esprime perplessità su aspetti e politiche specifiche dell’UE. Sul versante opposto Conti e Verzichelli distinguono fra europeismo funzionale, ossia un sostegno strategico mirato ad raggiungere specifici obiettivi del proprio paese o del proprio partito, ed europeismo identitario, che indica un sostegno incondizionato per il progetto di integrazione europea e per l’Unione Europea. In modo non dissimile, possiamo distinguere fra fra sostegno specifico e sostegno diffuso nei confronti dell’Unione Europea. Questo approccio, proposto da Kopecký e Mudde5, permette di costruire una tipologia di atteggiamenti basata su quattro tipi ideali (Fig. 1): gli eurocritici6 sono coloro che sostengono l’idea di integrazione ma non il modo in cui essa è stata effettivamente portata avanti; gli anti-europei sono coloro che si oppongono sia all’idea che alla concreta messa in opera dell’integrazione. D’altra parte gli euroentusiasti, che sostengono un’ulteriore 2

L. Hooghe e G. Marks, A Postfunctionalist Theory of European Integration: From Permissive Consensus to Constraining Dissensus, in «British Journal of Political Science», vol. 39, n. 1, pp. 1-23, 2009. 3 P. Taggart e A. Szczerbiak, Contemporary Euroscepticism in the party systems of the European Union candidate states of Central and Eastern Europe, in «European Journal of Political Research», vol. 43, n. 1, 2004, pp. 3-4, 2004. 4 N. Conti e L. Verzichelli, La dimensione europea del discorso politico in Italia: un'analisi diacronica delle preferenze partitiche (1950-2001), in M. Cotta, P. Isernia e L. Verzichelli (a cura di), L'Europa in Italia. Élites, opinione pubblica e decisioni, Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 61-116. 5 P. Kopecký e C. Mudde, The Two Sides of Euroscepticism Party Positions on European Integration in East Central Europe, in «European Union Politics», vol. 3, n. 3, pp. 297-326, 2002. I concetti di «sostegno diffuso» e «sostegno specifico» neio confronti di un regime politico sono stati elaborati da D. Easton, A Systems Analysis of Political Life, New York, Wiley and Sons, 1965. 6 Kopecký e Mudde assegnano a questa categoria l’etichetta di euroscettici. Noi preferiamo lasciare che questo termine, ormai inflazionato, identifichi genericamente partiti ed elettori che hanno orientamenti negativi verso l’Unione Europea, e riservare termini più accurati per le categorie specifiche.

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integrazione e ritengono che l’Unione Europea ne incarni effettivamente i principi, sono distinti dagli europragmatici, che percepiscono l’Unione Europea come utile per la propria constituency elettorale o per il proprio paese, ma non hanno una posizione favorevole (o non esprimono affatto una posizione) su un’ulteriore avanzamento dell’integrazione.

Sostegno specifico alla direzione attuale della UE

Sostegno diffuso al progetto di integrazione europea Eurofili

Eurofobi

Euro-ottimisti

Euro-entusiasti

Euro-pragmatici

Euro-pessimisti

Euro-critici

Anti-europei

Fig. 1. La tipologia di atteggiamenti verso l’Unione Europea secondo Kopecký e Mudde

Tutte queste definizioni sono normalmente impiegate in relazione agli usi strategici che i partiti possono fare dell’integrazione o della difesa degli «interessi nazionali». Diversamente, Bernhard Wessels, esaminando le preferenze dell’opinione pubblica, sviluppa un modello gerarchico che distingue fra tre tipi di euroscetticismo: gli euroscettici intransigenti (adamant), gli euroscettici, e gli europeisti critici. Sostiene Wessels che questi ultimi «hanno un forte attaccamento verso la comunità europea ma sono allo stesso tempo scontenti. (…) Possono avere vari motivi di critica, ma tale critica è orientata al miglioramento, non all’abolizione»7. All’opposto, definisce come intransigenti coloro che oltre ad essere critici non «sentono» alcuna identità europea e perciò sostengono la fine del progetto di integrazione. Infine, anche se la definizione non è altrettanto ben delineata, gli euroscettici sono coloro che hanno una percezione negativa della performance delle istituzioni europee e sono neutrali o indifferenti riguardo all’identità europea. Questa tipologia, e in particolare la distinzione fra «intransigenti» e «critici», sembra rilevante nell’identificare un tipo di euroscetticismo – il secondo – orientato a migliorare il funzionamento concreto dell’Unione e delle sue istituzioni. La (parziale) rassegna appena presentata, ci dice innanzitutto che il concetto di euroscetticismo non può più essere considerato come un monolite. Al contrario, esso è stato definito in modi diversi, talora complementari, che mostrano gradi e qualità diverse sia negli atteggiamenti negativi che in quelli positivi verso l’Unione Europea. A partire da queste diverse letture proveremo anche noi a raffinare la comune percezione del M5S e di Podemos come partiti euroscettici, dopo aver brevemente richiamato il dibattito teorico sulle posizioni dei partiti nei confronti del processo di integrazione.

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B. Wessels, Discontent and European Identity: Three Types of Euroscepticism, in «Acta Politica», vol. 42, n. 2-3, p. 300, 2007.

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Euroscetticismo e partiti politici Gli osservatori sono sostanzialmente unanimi sul fatto che l’eurosetticismo, a livello di partiti politici, è collegato alla posizione occupata nel sistema partitico, con i partiti mainstream che normalmente hanno posizioni pro-europee – anche se possono ovviamente coesistere al loro interno sfumature diverse o idee contrastanti su questo tema – e i partiti situati sulle due ali estreme che tendono ad opporsi all’integrazione. In questo senso alcuni hanno proposto l’immagine della «U rovesciata», che descrive il sostegno verso l’Unione Europea nella maggior parte dei paesi: un sostegno massimo al centro dello spettro politico e decrescente a destra e a sinistra8. Uno dei casi più frequentemente analizzati è quello dei partiti della destra radicale9. Il consenso è unanime, in questo caso, nell’indicare l’euroscetticismo, collegato all’idea di identità nazionale, come uno dei tratti caratterizzanti questa famiglia partitica, che pure conserva enormi differenze al proprio interno, testimoniate, del resto, dall’incapacità di questi partiti di costituire un gruppo parlamentare europeo unitario. Anche fra i partiti della sinistra radicale esistono numerosi esempi di euroscetticismo, ma il loro approccio è diverso da quelli della destra: la loro opposizione all’integrazione europea poggia infatti su basi economiche e ideologiche, definendo la concreta attuazione del progetto di integrazione come l’Europa «dei mercati , del capitalismo e del neoliberismo». In questo segmento dello spettro politico possiamo trovare più «Europei critici» che «euroscettici intransigenti»10, ovvero posizioni favorevoli, in astratto all’idea di costruire una polity europea, ma critici verso l’attuale incarnazione di tale progetto. La discussione che abbiamo brevemente delineato ha messo in luce diverse angolature da cui è possibile osservare il rapporto fra partiti e integrazione europea. Molti autori concordano sul fatto che il Trattato di Maastricht abbia rappresentato una svolta sia per il processo di integrazione che per la diffusione di sentimenti anti-europei. Questo d’altra parte ha reso il concetto stesso di euroscetticismo sempre più inadeguato a discernere fra le molte sfumature e declinazioni che l’opposizione all’Unione Europea ha via via assunto. Allo stesso tempo, si sono sviluppati diversi filoni teorici relativi alla spiegazione di questo fenomeno, basati su approcci funzionali o identitari, economici o culturali, o anche sul legame fra sostegno alle istituzioni a livello domestico e a livello europeo. In questo contesto, la crisi economica esplosa nel 2008 ha fornito nuovi argomenti agli oppositori del progetto europeo, favorendo la nascita e il successo di partiti nuovi o rafforzando, in alcuni casi, i partiti euroscettici esistenti e offrendo loro un’opportunità per spostarsi dai margini ad una posizione centrale nei rispettivi sistemi politici. Alcuni di questi partiti ricoprono adesso responsabilità di governo, o aspirano credibilmente a tale ruolo. Possiamo quindi aspettarci che l’euroscetticismo e i suoi 8

L. Hooghe, G. Marks e C.J. Wilson, Does Left/Right Structure Party Positions on European Integration?, in «Comparative Political Studies» vol. 35, n. 8, pp. 965-989, 2002. 9 (L. Hooghe, G. Marks e C.J. Wilson, Does Left/Right Structure Party Positions on European Integration?, cit. ; N. Sitter, Opposing Europe: Eruo-Scepticism, Opposition and Party Competition, in «SEI Working Papers», Num. 56, 2002; P. Taggart e A. Szczerbiak, Theorising Party-Based Euroscepticism: Problems of Definition, Measurement and Causality, in «SEI Working Papers», Num. 69, 2003; E. De Vries e E.E. Edwards, Taking Europe To Its Extremes Extremist Parties and Public Euroscepticism, in «Party Politics», vol. 15, n. 1, pp. 5-28, 2009; N. Conti, The radical right in Europe, between slogans and voting behavior, in « Análise Social», in Vol. 46, pp. 633-652, 2011. 10 E. De Vries e E.E. Edwards, Taking Europe To Its Extremes Extremist Parties and Public Euroscepticism, cit.

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rappresentanti si apprestino a giocare un ruolo di primo piano nella competizione politica e nei governi dei rispettivi contesti nazionali? Tale quesito è centrale ormai anche nei paesi tradizionalmente entusiasti della partecipazione al progetto europeo, dove le politiche dettate dalle istituzioni sovranazionali hanno comportato costi economici e sociali pesantissimi. In questi casi la «questione europea» ha assunto contorni nuovi e l’anti-europeismo ha cessato di essere un tabù, un insulto riservato a soggetti politici emarginati o esclusi dal dibattito. Come già avvenuto altrove in anni o decenni precedenti, le posizioni in merito all’integrazione europea si sono articolate e sono entrate di prepotenza nel dibattito, non più fra ristrette cerchie di specialisti ma presso l’opinione pubblica nel suo complesso. In questo senso il Movimento 5 Stelle e Podemos rappresentano un salto di qualità nel discorso politico di Italia e Spagna, e due eccellenti test per verificare l’attuale rilevanza dell’euroscetticismo e le mutevoli interpretazioni di tale concetto in politica.

Il Movimento 5 Stelle e l’Unione Europea Il programma elettorale del Movimento 5 Stelle consiste in sette punti: 1) Referendum per la permanenza nell’euro; 2) Abolizione del Fiscal Compact; 3) Adozione degli Eurobond; 4) Alleanza tra i Paesi mediterranei per una Politica comune; 5) Investimenti in innovazione e nuove attività produttive esclusi dal limite del 3% annuo di deficit di bilancio; 6) Finanziamenti per le attività agricole e di allevamento finalizzate ai consumi nazionali interni; 7) Abolizione del pareggio di bilancio. La genesi di questo programma è altrettanto interessante della sua sostanza e vale la pena richiamarla sinteticamente. I sette punti sono annunciati da Beppe Grillo in occasione del terzo V-day, tenutosi a Genova il 1 dicembre 2013. I V-days sono, fin dal 2007, un rituale di fondamentale importanza per l’identità del movimento, il momento in cui militanti e simpatizzanti si stringono attorno al suo leader, non più virtualmente, sul blog, ma nelle piazze. Essi sono anche il momento in cui vengono lanciate le battaglie politiche e le parole d’ordine su cui il movimento si mobilita e, da un lato ottiene la sua maggiore visibilità mediatica, dall’altro mette alla prova le sue capacità organizzative a livello locale, traducendo le parole d’ordine in attività sul territorio quali raccolte di firme o eventi informativi. Fu così nel 2007 a Bologna, quando fu avviata la raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare che avesse come cardini il limite al numero dei mandati parlamentari, la reintroduzione delle preferenze, l’incandidabilità dei condannati per reati che prevedessero pene superiori ai 10 mesi. Fu così anche in occasione del secondo V-day, tenutosi a Torino nel 2008, quando il tema riguardava la libertà di informazione, tradotto operativamente nella raccolta di firme per tre referendum abrogativi sul finanziamento pubblico all’editoria, sull’ordine dei giornalisti, sulla cosiddetta legge Gasparri. Analogamente, il terzo V-day segna il lancio della campagna elettorale per le europee, con la presentazione da parte di Grillo dei sette punti sopra menzionati. Questi, e le relative spiegazioni sul blog di Grillo nelle settimane successive, costituiscono di fatto l’ossatura della proposta politica con cui il movimento si presenta alle elezioni cinque mesi più tardi e definiscono l’interpretazione del Movimento 5 Stelle circa il processo di integrazione europea e i suoi destini. È interessante notare che i sette punti non sono stati in alcun modo preparati da una discussione interna al movimento né alcun dibattito è seguito alla loro enunciazione da parte del «capo politico» del movimento – o, se discussione c’è stata, non se ne trova traccia nei documenti pubblicati in rete. Nel comizio tenuto a Genova al V-day Grillo presenta al suo 6

pubblico «una modesta proposta in 7 punti per l’Europa»: il giorno stesso i sette punti sono riportati sul blog11 e pochi giorni dopo si annuncia che questi «saranno oggetto di discussione online il prossimo anno con gli iscritti»12. Un mese più tardi però il blog annuncia che «il manifesto del M5S per le elezioni europee è di sette punti. Nelle prossime settimane ne illustreremo i motivi», e invita i militanti a divulgare l’allegato volantino in pdf: «Stampate, inviate, diffondete i ‘7 Punti per l’Europa’»13. Nessun cambiamento è stato introdotto rispetto alla proposta originaria di Grillo. Veniamo invece al contenuto del programma elettorale. Il primo punto, la proposta di un referendum sulla permanenza nell’Euro, è quello che ha attratto maggiori attenzioni nel dibattito pubblico. Una parte dei critici si è concentrata sulla palese incostituzionalità di un referendum che prevedrebbe l’abrogazione di una legge di ratifica di un trattato internazionale. Anche da un punto di vista economico, molti hanno sottolineato i rischi, in termini di stabilità finanziaria, di un eventuale abbandono della moneta unica. Il Movimento 5 Stelle, tramite il blog di Grillo o le sue dichiarazioni pubbliche, ha difeso il punto proponendo un referendum consultivo da istituire tramite una legge costituzionale ad hoc (di iniziativa popolare) sul modello di quello tenutosi nel 1989, che proponeva di conferire al Parlamento Europeo un mandato costituente per trasformare le Comunità europee in una «effettiva Unione, dotata di un Governo responsabile di fronte al Parlamento». Nel presentare la proposta nel comizio genovese, Beppe Grillo ha anche insistito sul fatto che il referendum non dovesse essere automaticamente letto come un’opposizione del Movimento alla permanenza nella moneta unica. Al contrario, la consultazione avrebbe rappresentato un momento di informazione e dibattito su vantaggi e svantaggi dell’integrazione monetaria, al termine della quale i cittadini, finalmente consapevoli, avrebbero potuto esprimere il proprio orientamento. Qualche mese più tardi, al momento del lancio della raccolta di firme, i toni si sono fatti in verità meno sfumati: «Abbiamo bisogno del maggior numero di firme possibile per non lasciar alcun alibi a questi portaordini della Merkel e della BCE capeggiati da Renzie. Gli italiani devono poter decidere se vogliono morire con l'euro in mano oppure vivere e riprendersi la propria sovranità»14. Il secondo (Abolizione del Fiscal Compact), il quinto (Investimenti in innovazione e nuove attività produttive esclusi dal limite del 3% annuo di deficit di bilancio) e il settimo punto (Abolizione del pareggio di bilancio) si muovono in direzione di un abbandono delle politiche di rigore finanziario imposte negli anni della crisi dalle istituzioni sovranazionali. L’ultimo punto non riguarda propriamente le istituzioni europee15, ma dovrebbe essere eventualmente approvato da un voto del parlamento italiano. Complessivamente, queste proposte delineano un orientamento fortemente critico verso la gestione dell’economia pubblica degli ultimi anni, e in particolare dell’orientamento neo-liberale imposto nell’ambito dell’Unione Europea ai paesi che maggiormente hanno subito le conseguenze della crisi economica. In questa direzione si muove anche il quarto punto (Alleanza tra i Paesi mediterranei per una Politica comune). Da quello che si può intuire, si fa riferimento al perseguimento di una linea comune dei paesi «perdenti» della 11

La modesta proposta di Beppe Grillo al V3DAY – OLTRE, www.beppegrillo.it, 1 dicembre 2013. Sette punti per l’Europa. Il nostro cibo, www.beppegrillo.it, 4 dicembre 2013. 13 Europa così vicina, così lontana, www.beppegrillo.it, 3 gennaio 2014. 14 In nome di Dio e della democrazia: #FuoriDallEuro, www.beppegrillo.it, 12 novembre 2014; Come si esce dall’Euro, http://www.beppegrillo.it/fuoridalleuro/come-uscire-euro/come-si-fa.html, senza data. 15 Si fa riferimento, ovviamente, alla modifica dell’articolo 81 della Costituzione introdotta nel 2012, che prevede limiti al ricorso all’indebitamento e quindi obbliga governo e parlamento ad approvare un bilancio tendenzialmente in pareggio, tenendo conto dell’andamento del ciclo economico. 12

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crisi, necessaria per opporsi in sede comunitaria alle politiche di austerity imposte dai paesi cosiddetti virtuosi, Germania in testa. Appare invece decisamente contraddittorio, rispetto a quanto detto finora, il terzo punto, che chiede l’adozione dei cosiddetti «Eurobond», ovvero obbligazioni di debito pubblico garantite congiuntamente dagli stati membri dell’Unione. Tali strumenti finanziari, com’è ovvio, richiederebbero un regime di integrazione delle politiche monetarie e fiscali ancora maggiore di quello esistente e presumibilmente l’adozione di politiche di rigore finanziario superiori a quelle che gli altri punti prevedono di ridurre o di abolire tout court. Infine il sesto punto (Finanziamenti per le attività agricole e di allevamento finalizzate ai consumi nazionali interni) riprende una tematica già molte volte enfatizzata dal Movimento, ovvero la promozione di uno stile di consumo sostenibile e orientato alle filiere corte. Il punto, in chiave europea, contraddice l’idea stessa di costruzione di un mercato unico, ed è quindi forse da considerarsi complementare agli altri che delineano una diminuzione degli ambiti di intervento dell’Unione. D’altra parte la richiesta di finanziamenti (europei, par di capire) procede invece in direzione opposta. Che quadro emerge da questo sintetico programma elettorale? Visti nel loro insieme, i sette punti si caratterizzano, più che per un aperto rifiuto del progetto di integrazione europea, per una evidente contraddittorietà e disomogeneità interna. Certo, la proposta di un referendum sulla moneta unica pare mirare al cuore del progetto di integrazione europea e verso un ridimensionamento deciso del trasferimento di competenze e sovranità a livello sovranazionale. Un euroscetticismo di principio, nell’accezione di Szczerbiak e Taggart sopra richiamata, «mirato ad opporsi all’intero progetto di integrazione, così come attualmente concepito»16. Viceversa, altri punti sembrano prendere di mira specifiche politiche implementate dalle istituzioni comunitarie (l’austerity) ma non necessariamente il processo di integrazione europea in quanto tale; infine la richiesta di adozione degli Eurobond sembra addirittura alludere ad un rilancio di tale processo. Altrove, nel corso della campagna elettorale, Beppe Grillo ha criticato aspramente le attuali politiche economiche dell’Unione e ancor più il suo assetto istituzionale privo di legittimazione democratica: «Quest’Europa così invocata e così assente si è trasformata in una moderna dittatura che usa i cerimoniali democratici per legittimare sé stessa. Il MoVimento 5 Stelle entrerà in Europa per cambiarla, renderla democratica, trasparente, con decisioni condivise a livello referendario»17. È questa, forse, la chiave di lettura più adeguata. Una trasposizione a livello europeo della retorica anti-establishment e della promessa di radicale rinnovamento dei presupposti stessi della rappresentanza democratica su cui il Movimento 5 Stelle ha costruito buona parte delle sue fortune elettorali a livello domestico. La contrapposizione fra un popolo laborioso e virtuoso ed un’elite litigiosa, autoreferenziale e corrotta è la caratteristica distintiva di tutti i movimenti populisti europei. Parimenti, molti esponenti di questa variegata famiglia partitica propongono ai propri seguaci un miraggio iper-democratico, in cui le strutture e le organizzazioni della democrazia rappresentativa, con le loro inevitabili complicazioni procedurali sarebbero spazzate via in favore di non meglio precisate forme di democrazia diretta 16

A. Szczerbiak e P. Taggart, Theorizing Party-Based Euroscepticism: Problems of Definition, Measurement, and Causality, in A. Szczerbiak e P. Taggart (a cura di), Opposing Europe?: The Comparative Party Politics of Euroscepticism: Volume 2: Comparative and Theoretical Perspectives, Oxford, Oxford University Press, 2008, p. 240. 17 Europa così vicina, così lontana, www.beppegrillo.it, 3 gennaio 2014.

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e di revocabilità del mandato degli eletti. L’establishment a cui generalmente si fa riferimento è in primo luogo quello politico, ma non mancano riferimenti al sistema dei media, alle grandi corporations, alle alte burocrazie. È fin troppo facile adattare tali argomenti ad una realtà come quella europea, caratterizzata da una legittimazione democratica molto più indiretta ed incerta di quella che sostiene i governi a livello statale, e del resto la letteratura politologica non ha mancato di sottolineare la connessione stretta fra populismo ed euroscetticismo18. In conclusione, è difficile trarre un’immagine univoca degli orientamenti del Movimento 5 Stelle sull’Unione Europea. Se in alcuni documenti affiorano affermazioni di principio in favore del processo di integrazione europea e vaghi richiami ad una ulteriore estensione di tale processo, le argomentazioni prevalenti sono duramente critiche nei confronti della attuale gestione delle politiche europee e di quelle economiche in particolare. Del resto, la richiesta di un referendum sulla moneta unica, l’iniziativa più vistosa in ambito Europeo, non può che essere letta come il rigetto di un capitolo fondamentale del processo di integrazione, nonché l’appello ad un segmento (crescente) di elettorato duramente critico verso l’Unione.

Podemos e l’Unione Europea Le elezioni europee del maggio 2014 sono state il primo banco di prova elettorale in cui Podemos, creato pochi mesi prima, ha potuto saggiare il sostegno popolare per la sua narrativa sulla crisi economica, politica e sociale spagnola, per la sua critica al sistema politico, alla «Casta» e alla «vecchia politica». La «nuova politica» che Podemos afferma di rappresentare è stata così svelata concretamente: i candidati sono stati selezionati tramite un processo di primarie aperte che si è svolto online in tutte le sue fasi; i social media sono stati utilizzati in maniera sistematica, la campagna elettorale è stata finanziata attraverso il crowd funding. Andiamo a vedere allora quali temi sono stati messi in primo piano nel programma elettorale di queste elezioni e quali posizioni sono emerse riguardo all’integrazione europea e alle istituzioni sovranazionali, con alcune necessarie premesse. In primo luogo il partito era appena stato fondato e le posizioni espresse inizialmente sono in parte cambiate nell’anno successivo alle elezioni. Il programma elettorale rappresenta però uno spaccato delle posizioni del partito prima del successo elettorale. In secondo luogo, in linea con le procedure aperte e democratiche enunciate dai suoi esponenti, il manifesto è il risultato di un processo in tre fasi iniziato con la pubblicazione di una bozza, seguita da un dibattito online e da emendamenti collettivi e infine da un referendum online19. Terzo, come altri partiti radicali che competono a livello europeo, le proposte politiche di Podemos spaziano da tematiche prettamente locali o nazionali a quelle di tipo europeo. Questo è tanto più vero nel nostro caso, dal momento che si tratta del primo programma politico in 18

A. Krouwel e K. Abts, Varieties of Euroscepticism and Populist Mobilization: Transforming Attitudes from Mild Euroscepticism to Harsh Eurocynicism, in «Acta Politica», vol. 42, n. 2, pp. 252-270, 2007; S. Dechezelles e L. Neumayer, Introduction: Is Populism a Side-Effect of European Integration? Radical Parties and the Europeanization of Political Competition, in «Perspectives on European Politics and Society», vol. 11, n.. 3, pp. 229-236, 2010. 19 Podemos, «Documento final del Programa Colaborativo». Programma Elettorale per le Elezioni Europee. 2014, p. 1. Il testo non è più disponibile sul sito web di Podemos, ma può essere consultato attraverso le pagine del periodico eldiario.es (http://www.eldiario.es/campa%C3%B1a/Programaelectoral-Podemos-Europeas_6_258334180.html, accesso effettuato il 22 settembre 2015).

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assoluto per il neonato partito e quindi presentato in maniera coerente con il discorso politico a livello domestico sulla crisi economica, politica e sociale. Il programma presentava anche le posizioni sul debito, sul «riscatto cittadino» (opposto al salvataggio delle banche), la trasparenza, gli strumenti di democrazia diretta e partecipativa, un nuovo modello di sviluppo economico, la lotta contro la corruzione, il controllo democratico sui rappresentanti eletti e sui funzionari pubblici, il controllo sulle multinazionali e sui grandi interessi economici transnazionali e la difesa dei servizi pubblici. Per questo la piattaforma, pur presentando nel complesso le principali linee del partito su un gran numero di tematiche politiche, sociali, culturali ed economiche è un mix di tematiche nazionali, provvedimenti a livello europeo e idee velleitarie su un nuovo modello di economia. Infine, insieme al programma elettorale, è stata presentata la Direttiva sui diritti umani e il monitoraggio cittadino, conosciuta anche come Direttiva Villorejo, dal nome di uno dei promotori, Carlos Jiménez Villorejo, un noto magistrato e capo dell’Ufficio Anticorruzione, nonché terzo candidato nelle liste di Podemos20. La direttiva doveva essere presentata al Parlamento Europeo in caso di elezione e in un certo senso presentava alcuni temi al centro del programma del partito, quali corruzione, riforma dei partiti politici, lotta contro le frodi e i paradisi fiscali, i diritti umani. Tutte queste idee sono presenti anche nel programma elettorale, ma sono state messe in risalto in particolare durante la campagna elettorale. Il programma vero e proprio era suddiviso in sei parti: 1. Ricostruire l’economia, costruire la democrazia 2. Conquistare la liberà, costruire la democrazia 3. Conquistare l’uguaglianza, costruire la democrazia 4. Recuperare la fratellanza, costruire la democrazia Conquistare la sovranità, costruire la democrazia 6. Recuperare la terra, costruire la democrazia L’idea di costruire una nuova democrazia, dunque, impregnava tutto il manifesto e giocava un ruolo significativo nell’articolazione dei progetti e delle proposte del partito. E allora, qual è la posizione di Podemos sull’Europa? Il programma presenta una posizione sfumata sull’Europa e sul progetto di integrazione. Può essere definito euroscettico solo nel senso che si oppone all’Unione Europeacome attualmente concepita (sarebbe un euroscetticismo soft, seguendo le categorie di Szczerbiak and Taggart). Tuttavia, non possiamo non osservare che all’interno del programma coesistono posizioni che rispondono a logiche diverse. Da un lato troviamo proposte che mirano all’abolizione del Trattato di Lisbona, una riforma della Banca Centrale Europea, l’abolizione di politiche specifiche come lo Spazio europeo dell'istruzione superiore, la fine dei Memorandum o la cancellazione di programmi come Frontex e Eurosur o la direttiva Return (2008/115/CE, «Norme e procedure comuni per il rimpatrio di immigrati irregolari», ribattezzata «Direttiva Vergogna»). D’altra parte, non mancano le proposte di riforma orientate a rendere più democratiche le istituzioni, le procedure e le politiche dell’Unione. In questo senso si sostiene ad esempio la creazione di un’agenzia europea per il rating del credito, lo scambio di informazioni fiscali fra 20

Anche se si è dimesso pochi mesi dopo l’elezione.

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stati membri, l’implementazione di una Carta democratica europea, che impegni tutti gli stati membri sui temi della trasparenza e dell’accountability, l’estensione dell’iniziative legislativa popolare a livello europeo e l’adozione di direttive contro il razzismo, sui temi ecologici o sulla protezione degli animali. Il risultato è un mix di proposte volte a sminuire il ruolo dell’Unione Europea, fino all’abolizione di trattati e politiche comunitarie, e di proposte indirizzate a rafforzare le istituzioni europee in altri ambiti. In questo senso ci sembra che il partito presenti le caratteristiche dell’«europeismo critico», criticando la fase attuale del processo di integrazione – liberale, eccessivamente centrato sull’economia e privo di legittimità democratica – ma difendendo un ruolo forte e più democratico dell’Unione, con maggiore coordinamento degli stati membri in alcune aree di policy, in particolare in quegli ambiti economici che permetterebbero una reale politica redistributiva. Tale coordinamento sarebbe rilevante in particolare nei riguardi dei paesi dell’Europa meridionale. La crisi economica ha suddiviso chiaramente l’Europa in vincitori e perdenti, i paesi creditori e i debitori. Diverse «Europe» sono emerse durante la crisi, e per questo motivo si sostiene «lo sviluppo di specifici meccanismi di cooperazione fra i paesi del Sud Europa» 21. Un ulteriore aspetto merita di essere richiamato, ovvero l’idea di sovranità collegata al cambiamento democratico. In questo caso possiamo osservare una perfetta traslazione del discorso politico nazionale alla sfera europea. A livello domestico esso implicava una critica radicale al sistema politico, sottolineata dalla richiesta di avviare un nuovo «processo costituente» volto a riformare l’attuale «regime 1978», di ri-nazionalizzare i servizi pubblici che erano stati in qualche misura privatizzati, come il sistema sanitario, l’istruzione, l’energia o il sistema bancario, e di rendere le istituzioni più democratiche, eliminando la corruzione diffusa e rendendo i partiti e i rappresentanti eletti più trasparenti e responsabili nei confronti dei cittadini. Gli stessi argomenti sono replicati a livello europeo:

Deroga del Trattato di Lisbona con l’obiettivo che i servizi pubblici non siano sottomessi al principio di competenza né possano essere mercificati, [...] apertura di un processo che ci porti alla rifondazione delle istituzioni dell’Unione Europea attraverso un’Assemblea Costituente22.

Il partito ha anche affrontato uno dei provvedimenti più controversi che la Spagna ha assunto in un momento particolarmente difficile della crisi: la riforma costituzionale «espressa» dell’articolo 135 della Costituzione, che ha sancito la «priorità assoluta» del pagamento del debito e ha costituzionalizzato il principio della stabilità di bilancio. La riforma costituzionale, approvata durante il governo di Rodríguez Zapatero con il sostegno del Partito Popolare, allora all’opposizione, è stata la misura legislativa più criticata durante la crisi, al punto che perfino il nuovo segretario socialista Pedro Sánchez ha dichiarato che la modificherà, nel caso risultasse vincitore delle prossime elezioni parlamentari. Perciò nel manifesto si sostiene la necessità di «una ratifica democratica con l’effettiva partecipazione popolare ai cambiamenti che riguardano

21 22

Podemos, «Documento final del Programa Colaborativo», Cit. 2014, 25. Podemos, «Documento final del Programa Colaborativo», Cit. 2014, 28.

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le costituzioni degli stati membri»23 e, sulla stessa linea, «garantire che tutte le decisioni vitali per la cittadinanza adottate dalle istituzioni europee siano da essa obbligatoriamente approvate»24. In accordo con la visione di democrazia propria di Podemos, dunque, tutte le decisioni strategiche dovrebbero essere confermate in ultima istanza dai cittadini europei attraverso lo strumento del referendum, strumento di democrazia diretta da privilegiare sia a livello nazionale che sovranazionale. Collegandole all’idea di sovranità, il partito presenta una serie di proposte sul controllo democratico e su misure anticorruzione. Tali proposte, come accennato sopra, sono presenti anche nella Direttiva Villarejo e sono indicate come necessarie ad «evitare la professionalizzazione della politica e a garantire un controllo efficace degli elettori sugli eletti»25. Come nel caso precedente, tutte le misure sono proposte anche a livello nazionale e includono: limiti allo stipendio26, strumenti di controllo democratico come la possibilità della revoca del mandato parlamentare, l’accountability pubblica e regolare con gli elettori inclusa una dichiarazione sui propri redditi, rieleggibilità limitata a due mandati, stretta applicazione di misure di incompatibilità fra posizioni diverse, per evitare meccanismi di «porte girevoli», possibilità di revoca del mandato. Ancora una volta, tutte queste proposte sono perfettamente sovrapponibili a quelle sostenute a livello nazionale, come identica è la «narrativa» adottata per criticare il sistema politico spagnolo. E dunque, possiamo definire Podemos euroscettico? Come abbiamo mostrato, questo partito presenta posizioni articolate, che difficilmente si lasciano ricondurre a categorie semplicistiche. Se da una parte la critica all’architettura istituzionale e ad alcune politiche europee, in primis quelle relative all’austerità, è netta, in altri ambiti si auspica una maggiore regolazione da parte dell’Unione Europea, oltre ad una maggiore democraticità delle istituzioni e delle procedure.

L’euroscetticismo negli elettorati di Podemos e Movimento 5 Stelle Per valutare le opinioni degli elettorati italiano e spagnolo relativamente all’integrazione europea abbiamo fatto riferimento alla survey post-elettorale realizzata nel 2014 nell’ambito dell’European Election Studies27. Seguendo le indicazioni della letteratura discussa in precedenza, abbiamo operativizzato la dicotomia fra euroscetticismo hard e soft, utilizzando due distinte domande del questionario. La prima, che utilizziamo per rilevare le opinioni sul sostegno diffuso al progetto di creazione di un sistema politico compiutamente sovranazionale, chiede se e quanto gli intervistati sostengano, in generale, il processo di integrazione europea. Ad un estremo del continuum si situano coloro che ritengono che tale processo si sia spinto già troppo avanti ed auspicano quindi una restituzione di sovranità agli stati membri; all’estremo opposto si situano coloro che vedono con favore ulteriori cessioni di sovranità alle istituzioni sovranazionali. Sulla scorta di Kopecký e Mudde28, abbiamo chiamato i primi eurofobi e i 23

Podemos, «Documento final del Programa Colaborativo», Cit. 2014, 29. Podemos, «Documento final del Programa Colaborativo», Cit. 2014, 29. 25 Podemos, «Documento final del Programa Colaborativo», Cit. 2014, 30. 26 Tutti i parlamentari europei di Podemos ricevono uno stipendio pari a tre volte il minimo legale vigente in Spagna, ovvero circa 1.900 euro. 27 I dati e tutte le informazioni sulle rilevazioni sono consultabili alla pagina http://eeshomepage.net/voter-study/ 28 Kopecký e C. Mudde, The Two Sides of Euroscepticism Party Positions on European Integration in East Central Europe, cit. 24

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secondi eurofili. Infine, coloro che si collocano in posizione mediana lungo il continuum manterrebbero l’attuale equilibrio di competenze fra i due livelli di governo. La figura 2 riporta la distribuzione degli elettori di Podemos e del Movimento 5 Stelle lungo questa dimensione, a

0.30 0.25 0.20 0.15 0.10 0.05 0.00 0Eurofobi

1

2

3

4

5

Podemos

6

7

8

9

10 Eurofili

6

7

8

9

10 Eurofili

Spagna

0.25 0.20 0.15 0.10 0.05 0.00 0Eurofobi

1

2

3

4

5 M5S

Italia

Testo della domanda: «Alcuni sostengono che il processo di unificazione europea dovrebbe essere ulteriormente sviluppato. Altri dicono che ci si è già spinti fin troppo avanti. Qual è la Sua opinione? Potrebbe indicare il Suo punto di vista su una scala da 0 a 10, dove 0 significa che ‘l’unificazione è già stata spinta troppo avanti’ e 10 significa che ‘dovrebbe essere ulteriormente estesa’?» N=962 (Italia); 982 (Spagna) Fig. 2. Distribuzione degli elettori italiani e spagnoli lungo il continuum Eurofobi – Eurofili

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confronto con i rispettivi elettorati nazionali. I due partiti rivelano profili decisamente diversi. Per entrambi il valore modale è quello che indica la preferenza per lo status quo (e lo stesso vale per gli elettorati italiani e spagnoli nel complesso), ma il 40 per cento degli elettori di Podemos si posiziona a destra di questo, indicando quindi una preferenza per diverse gradazioni di un’ulteriore integrazione (valori fra sei e dieci); addirittura il 22 per cento si posiziona sul punto estremo di eurofilia, ben oltre il valore dell’elettorato spagnolo. Al contrario, solo il 23 per cento degli elettori del M5S opta per un maggior livello di integrazione, e solo 2 su cento si posizionano sul punto estremo. Specularmente, gli intervistati del M5S si collocano in gran parte sul versante eurofobo della figura (valori fra zero e quattro: 63 per cento), mentre meno di un terzo di quelli di Podemos occupano questo versante (32 per cento). Per rilevare l’opposizione alle politiche dell’Unione Europea abbiamo utilizzato una domanda relativa all’operato dell’Unione negli ultimi dodici mesi. Qui il focus si sposta sul giudizio che i cittadini esprimono circa il concreto operare degli organi politici sovranazionali. La domanda («Approva o disapprova le azioni dell’UE negli ultimi 12 mesi? ») ha una formulazione generica ma, dato il periodo a cui si riferisce, non è difficile immaginare che la maggior parte degli intervistati abbia fornito risposte riferite in primo luogo alle misure adottate in ambito economico per fronteggiare la crisi. In questo caso, e diversamente da quanto notato sopra, gli elettori dei due partiti al centro della nostra analisi hanno opinioni simili (figura 3).

-1.00

Italia

Spagna

M5S

Podemos

FI

IU

PD

PSOE

LN

PP

-0.50

-1.30

0.00

-0.80

-0.30

0.20

Testo della domanda: «Approva o disapprova le azioni dell’UE negli ultimi 12 mesi?» N=1091 (Italia); 1106 (Spagna) Fig. 3. Giudizio sull’operato della UE negli ultimi dodici mesi (percentuale di approvazione meno percentuale di disapprovazione)

Sia gli elettori di Podemos che quelli del Movimento 5 Stelle risultano essere i più critici rispetto alle azioni dell’Unione Europea nei rispettivi paesi, persino più critici degli altri partiti storicamente identificati come euroscettici: Izquierda Unida in Spagna e la Lega Nord in Italia. 14

A margine, è interessante anche notare come in questo caso siano i cittadini spagnoli i più critici nei confronti dell’Unione Europea, forse perché colpiti più duramente dalle misure di austerità. Nella figura precedente, riferita al sostegno diffuso per il progetto di integrazione europea, erano risultati invece più sfiduciati gli intervistati italiani: una ulteriore evidenza del fatto che le due dimensioni di analisi non sono necessariamente correlate fra loro. Sulla base delle evidenze fornite fino ad ora, e riprendendo la tipologia proposta da Kopecký e Mudde per classificare i diversi tipi di euroscetticismo, abbiamo provato ad affinare la «fotografia» degli elettori di Podemos e del M5S, incrociando le informazioni sui diversi tipi di euroscetticismo. Nelle figure seguenti riprendiamo le diverse definizioni di sostegno diffuso al progetto di integrazione europea e sostegno specifico alle politiche attuate dall’Unione, costruendo così una tipologia che prevede quattro tipi ideali. Gli euro-entusiasti e gli eurocritici sostengono un’accelerazione del trasferimento di sovranità (sono coloro che si posizionavano sulle categorie 6-10 nella figura 2), ma i secondi, a differenza dei primi, danno un giudizio negativo sull’operato delle istituzioni europee negli ultimi dodici mesi. Gli antieuropei sono coloro che, oltre a criticare l’operato della UE, ritengono auspicabile una diminuzione delle aree di sovranità condivisa ed un parallelo ritorno di sovranità agli stati membri. Infine, gli euro-pragmatici (invero la categoria più problematica) auspicano una riduzione della sovranità condivisa, ma sostengono le attuali politiche dell’Unione. Solo una parte degli intervistati sono collocati nelle quattro categorie sopra menzionate, mentre altri, (una minoranza) sono posizionati in categorie intermedie. Il confronto fra le figure 4 e 5 ci restituisce due immagini parzialmente diverse. Fra gli elettori di Podemos la categoria più affollata è quella degli euro-critici, seguita a breve distanza da quella degli anti-europei, mentre risultano vuote le categorie degli euro-entusiasti e degli europragmatici. D’altra parte, gli elettori del M5S sono molto più sbilanciati sul versante antieuropeo (oltre la metà si colloca in questa categoria). Gli euro-critici sono una minoranza (meno del 10 per cento) e ancora meno numerosi sono gli intervistati posizionati nelle altre due caselle. Entrambi i partiti, in conclusione, presentano elettorati insoddisfatti delle recenti decisioni prese a livello europeo, ma gli atteggiamenti di totale rifiuto verso il progetto europeo sono molto più numerosi nel caso del M5S rispetto a Podemos, dove invece prevalgono, nonostante tutto, gli europeisti.

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Sostegno diffuso al progetto di integrazione europea

Sostegno specifico alla direzione attuale della UE

M5S Eurofili

Status quo

Eurofobi

Euroottimisti

Euro-entusiasti 3,5

1,7

Euro-pragmatici 3,5

Non so

6,1

0,9

5,2

Europessimisti

Euro-critici 9,6

14,8

Anti-europei 54,8

Fig. 4. Sostegno diffuso e sostegno specifico fra gli elettori del Movimento 5 Stelle (valori percentuali)

Sostegno diffuso al progetto di integrazione europea

Sostegno specifico alla direzione attuale della UE

Podemos Eurofili

Status quo

Eurofobi

Euroottimisti

Euro-entusiasti 0

3,3

Euro-pragmatici 0

Non so

5,0

3,3

3,3

Europessimisti

Euro-critici 35,0

20,0

Anti-europei 30,0

Fig. 5. Sostegno diffuso e sostegno specifico fra gli elettori di Podemos (valori percentuali)

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Conclusioni In apertura di questo saggio ci siamo proposti di valutare le similitudini e le differenze nell’atteggiamento verso l’Unione Europea di due attori politici che si sono recentemente imposti con un ruolo di protagonisti nelle arene politiche spagnola e italiana. Podemos e il Movimento 5 Stelle sono stati talvolta frettolosamente accomunati sotto l’etichetta di partiti populisti, anti-establishment o euroscettici. Pur senza sottovalutare le caratteristiche e le parole d’ordine comuni (in primis la critica generalizzata al «vecchio» sistema politico dei rispettivi paesi), nelle pagine che precedono abbiamo cercato di argomentare che non mancano gli elementi di divergenza. In particolare abbiamo preso in esame i programmi elettorali per le elezioni europee del 2014 e le opinioni dei rispettivi elettorati sul progetto di integrazione europea e sulle politiche intraprese negli ultimi mesi dalle istituzioni sovranazionali. Il programma elettorale di Podemos ha un focus più chiaro rispetto a quello, solo abbozzato e con notevoli contraddizioni interne, del Movimento 5 stelle. Il primo è invece sintetizzabile in una critica radicale ai programmi di austerity promossi dalle istituzioni europee con l’obiettivo di uscire dalla crisi economica, anche a costo di dure conseguenze sul piano sociale, che in Spagna sono state avvertite in modo particolarmente evidente. La critica alle politiche va di pari passo con la richiesta di maggiore democratizzazione dell’Unione, ma non di un suo ridimensionamento. D’altra parte, pur in un disegno non organico, non mancano le richieste di un ampliamento della sfera di influenza europea, ad esempio in ambito ambientale, diritti sociali o coordinamento fiscale. Al contrario il programma del M5S presenta, soprattutto nella richiesta di un referendum anti-euro, una posizione critica non solo nei confronti delle politiche, ma anche delle istituzioni europee e del progetto di integrazione in quanto tali. Allo stesso tempo, l’impronta euroscettica dello scarno manifesto elettorale del M5S non deve essere esagerata: come abbiamo visto essa è espressa in termini quanto meno contraddittori e confusi. Le differenze fra i due partiti sono cospicue anche a livello di opinioni degli elettori, e in una certa misura coerenti con quanto osservato a proposito dei programmi elettorali. Seguendo la classificazione proposta da Kopecký e Mudde, abbiamo potuto constatare come gli elettori del M5S avessero un profilo molto più marcatamente anti-europeo rispetto a quelli di Podemos, che sono sì critici verso le politiche adottate dalle autorità sovranazionali, ma non necessariamente ostili ad un ampliamento dell’integrazione europea. Solo i primi mostrano le caratteristiche del partito eurofobico, mentre i secondi sono piuttosto etichettabili come euro-critici, essendo il loro dissenso verso l’Unione Europea basato su argomentazioni utilitaristiche (ovvero basate su una percezione di politiche contrarie all’interesse del proprio paese) ma non di principio. In che misura, dunque, questi due partiti hanno innovato il discorso politico euroscettico? Da un punto di vista sostantivo, abbiamo visto, non molto. Nessuna delle argomentazioni portate avanti da questi attori politici appare realmente originale se non, forse, nella proposta di una non meglio definita alleanza fra i paesi del sud dell’Europa, accomunati da simili problemi economici e da soluzioni che ne mettono a rischio la coesione sociale. Ciò che invece non deve essere sottovalutato, soprattutto in due paesi di lunga tradizione europeista, è la capacità di veicolare la retorica euroscettica ad una platea di elettori più ampia e più variegata rispetto al passato. La protesta contro le istituzioni europee, almeno nelle sue forme più esplicite, era stata appannaggio di partiti «di nicchia» (la Lega Nord e Rifondazione Comunista in Italia, Izquierda Unida in Spagna) fino ad anni recenti, mentre i partiti maggiori e ideologicamente più moderati avevano sempre sostenuto posizioni europeiste. Il successo di Podemos e del Movimento 5 Stelle potrebbe al contrario segnalare un’inversione di tendenza, e l’avvicinamento delle 17

argomentazioni e della retorica euroscettica ad un pubblico più ampio e meno connotato ideologicamente.

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