Il \"pabulum\" greco-punico

June 6, 2017 | Autor: Aldo Ferruggia | Categoria: Ancient History, Greek Literature, Greek History, Greek colonies in Magna Graecia, Greek Archaeology, Sicily (History), Ancient Greek History, Carthage (Archaeology), Phoenician Punic Archaeology, Greek Sicily, Carthage (History), Magna Grecia, Greek Colonization (Magna Graecia and Sicily), Carthage, Sicily, Phoenician Punic Sicily, Archeologia Siciliana, Archaeology of Magna Graecia and Sicily, Phoenician and Punic Studies, Archaeology, Classical archaeology, Greek and Roman history, Greek Colonization (Magna Graecia and Sicily), Material Culture Studies, Funerary Archaeology, Ancient Carthage, Archeologia Fenicio-Punica, Grecia Antigua, Ancient Weapons and Warfare, Carthage, Punic Pottery, Mediterranean archaeology, Phoenician Punic Archaeology, Punic world and Punic Archaeology, Phoenician and Punic Studies, archaeology of Sardinia in phoenician age, Sicilian History and Culture, Historia De Grecia Antigua, Hystory and archaeology of Magna Grecia and Sicily, Grecia, Archeologia della Magna Grecia, Histoire et archéologie de Carthage, céramique punique, Guerre Greco-Puniche, Sicily (History), Ancient Greek History, Carthage (Archaeology), Phoenician Punic Archaeology, Greek Sicily, Carthage (History), Magna Grecia, Greek Colonization (Magna Graecia and Sicily), Carthage, Sicily, Phoenician Punic Sicily, Archeologia Siciliana, Archaeology of Magna Graecia and Sicily, Phoenician and Punic Studies, Archaeology, Classical archaeology, Greek and Roman history, Greek Colonization (Magna Graecia and Sicily), Material Culture Studies, Funerary Archaeology, Ancient Carthage, Archeologia Fenicio-Punica, Grecia Antigua, Ancient Weapons and Warfare, Carthage, Punic Pottery, Mediterranean archaeology, Phoenician Punic Archaeology, Punic world and Punic Archaeology, Phoenician and Punic Studies, archaeology of Sardinia in phoenician age, Sicilian History and Culture, Historia De Grecia Antigua, Hystory and archaeology of Magna Grecia and Sicily, Grecia, Archeologia della Magna Grecia, Histoire et archéologie de Carthage, céramique punique, Guerre Greco-Puniche
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Aldo Ferruggia

Il “pabulum”greco-punico

Indice Indice...................................................................................................................................1 1. Il contesto.........................................................................................................................2 2. La diversità.......................................................................................................................3 3. Il pabulum........................................................................................................................8 4. Conclusioni......................................................................................................................12 5. Riferimenti all'autore........................................................................................................13

Le Guerre Greco-Puniche furono un fenomeno di immani dimensioni e di incalcolabili conseguenze. Di tale fenomeno storico poco o nulla viene insegnato nelle scuole dell'obbligo ed in quelle Superiori. I pochi accadimenti considerati dalla didattica vengono trattati in maniera episodica e privi del necessario inserimento nel reale contesto storico che li ha generati. Le stesse guerre di Sicilia tra Greci e Cartaginesi, le Guerre Greco-Puniche che conosciamo meglio, quando trattate, vengono considerate un fenomeno locale, periferico, prive della dignità di scontro di civiltà che la storia assegnò loro. Tale superficiale approccio al tema ha generato un danno reale alla visione d'insieme del Mediterraneo antico ed alla comprensione delle radici della Cultura Occidentale. Tra i fenomeni generati come da questa contrapposizione continuativa di popoli, particolare interesse riveste la particolare l'evoluzione politicoculturale di Cartagine e delle colonie greche, soprattutto se rapportata al cliché delle rispettive etnie.

Il “pabulum” greco-punico

1. Il contesto Divenuti quelli che conosciamo per reciproco influsso, Greci e Fenici si lanciarono alla conquista del Mediterraneo occidentale. Alla fine del VII secolo a.C. le coste non colonizzate divennero rare e gli avamposti delle due civiltà finirono per essere confinanti. I Greci, guidati dall’oracolo di Delfi, presero a contendere palmo a palmo i litorali ai Fenici. Questi ultimi sembrarono non poter reggere la pressione colonizzatrice ellenica, pressione che si concretizzò nella creazione di città costiere in Sicilia che da vicino mettevano a rischio i traffici e la stessa esistenza della più fiorente colonia mercantile di Tiro, Cartagine. Lo schema classico prevede che la città punica abbia maturato una naturale propensione imperiale nel momento in cui la città madre Tiro ebbe perso influenza a causa della sottomissione all'impero persiano (573 a.C.). Lo stesso schema dipinge le ricche colonie siciliote dell'oriente e del meridione siculo come la causa principale della cacciata dai fenici da questa area. I Fenici così, finirono schiacciati nella cuspide occidentale dell'isola, proprio di fronte a Cartagine. La fondazione di Selinunte ed Imera completarono una sorta di “accerchiamento della riserva fenicia”di Sicilia. Ma l'analisi comparata dei primi duecento anni di vita di questi insediamenti (Cartagine, Gela, Agrigento, Selinunte, Siracusa) suggerisce che le loro relazioni abbiano fortemente influito sulla loro stessa essenza.

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Il “pabulum” greco-punico

2. La diversità L'interesse per una tale analisi scaturisce dal fatto che le città di cui abbiamo parlato presentarono notevoli peculiarità nell'ambito delle loro rispettivi popoli. Greci di Sicilia e Fenici di Cartagine presentarono cioè dei caratteri particolari che, seppur presenti nella storia delle due civiltà, in loro si esplicitarono con inusuale evidenza ed entità. Erano insomma “strani” Greci e “strani” Fenici. Ma prima di passare ad articolare ipotesi su tale diversità è bene prendere in esame gli indizi letterari ed archeologici che sostengono tale visione. Questo non solo per puntellare le idee fin qui enunciate, ma anche per fare in modo che da solide premesse si possa accedere a conseguenze perlomeno plausibili.

Cartagine Qualcuno, in un passato abbastanza recente, a scopo politico, la elesse a prototipo di “imperialismo plutocratico” semita1. Le fondamenta di tale teoria poggiavano su di una intrinseca “diversità” dei Cartaginesi, i figli della “perfida Albione”, ed avevano come conseguenza il riconoscimento della necessità della sua eliminazione per permettere la crescita civile dell'Africa. Tale visione fascista, sostenuta anche da illustri cattedrattici2, era tesa a creare un evidente parallelismo tra impero inglese ed impero punico, e forniva all'Italia mussoliniana, erede di Roma antica, un'utile legittimazione al suo imperialismo. La propaganda arrivò anche nelle sale cinematografiche con Cabiria, colossal narrante le vicissitudini di una fanciulla siciliota rapita dai Cartaginesi. Nella pellicola imperniata sullo scontro di tra la cultura greco-occidentale e quella punico semitica, la supposta superiorità “ariana” veniva dimostrata grazie alla prova delle prove, un vizio punico già usato dalla propaganda greca3: il barbaro sacrificio dei bambini al dio Moloch. La tendenza cartaginese a voler costruire un impero commerciale fondato anche sulla potenza militare, si erge solitaria nel mondo fenicio. La tradizione classica ci riferisce di una fondazione cartaginese travagliata. A partire dall' 810 4, i Cartaginesi furono costretti a pagare un tributo alle popolazioni locali per l'utilizzo del suolo 5, situazione che non solo li sfavoriva nel contesto centro-mediterraneo ma anche in quello fenicio nordafricano. Ma a poche decine di anni dalla nascita della cittadina, accade in Sicilia un evento che ne avrebbe accelerato lo sviluppo. Infatti, a metà dell'VIII secolo a.C. i Greci assunsero il controllo dello Stretto di Messina.

1

: M. Cagetta, Antichisti ed impero fascista, 1979.

2

: G. De Sanctis, Storia dei Romani, vol. IV

3

: Diod. XI, 26, 1

4

: Timeo 566 F 60 FGH

5

: Giustino, XVIII, 5-6.

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Ingresso del porto di Cartagine.

Per il mondo fenicio centro-mediterraneo fu un trauma: le rotte tirreniche passanti per lo Stretto divennero off-imits ed ai Fenici non rimase che sfruttare al meglio quelle più meridionali, quelle del Canale di Sicilia, tutte passanti per Cartagine. In Sicilia inoltre, avvenne una sorta di “fuga” dell'elemento fenicio dalle coste orientali, fuga che, innescata dalla pressione coloniale ellenica, finì per comprimere i semiti nella cuspide occidentale dell'isola6. Questa nuova sistemazione dei Fenici di Sicilia, congiuntamente alla presenza cartaginese ed uticese nell'area di Capo Bon, venne di fatto a costituire un vero e proprio blocco marittimo all'espansionismo greco, una roccaforte essenziale alla sopravvivenza fenicia. Il porto di cartaginese s'ingrandì, nacquero, ed acquistarono quasi da subito centralità strategica Mozia e Palermo, tappe sulle rotte per le isole tirreniche. Abbiamo già detto che sulla striscia di terra africana che si protende verso il centro del Mediterraneo e la Sicilia si trovavano a quel punto della storia almeno due rilevanti città figlie di Tiro: Cartagine ed Utica. La seconda, più vecchia, per quel che ne sappiamo non mutò le sue abitudini in tema di politica estera, rimanendo di fatto solo uno dei tanti scali semitici. Infatti, seppure nella grave carenza di fonti dirette, era uso dei Fenici convivere abbastanza pacificamente con le popolazioni del nord-Africa, dell'Iberia e delle principali isole del Mediterraneo occidentale. Sappiamo invece che Cartagine assunse caratteristiche peculiari: non solo smise di pagare tributo agli indigeni, ma prese ad conquistare territori in nord Africa. 7 Con Pitecusa e Reggio sulle coste tirreniche, apparvero, fatto ancor più inquietante per i punici, Siracusa, Megara Iblea e Naxos sulla costa orientale siciliana 8. Questi fatti dovettero allarmare non poco le novelle istituzioni cittadine ed era chiaro che i Greci non si sarebbero arrestati e, infatti, Akragas e Selinunte nacquero pochi decenni dopo, proprio di fronte a Cartagine. Era passato solo un secolo e mezzo dalla sua fondazione e la sensazione di essere in serio pericolo balenò chiara al senato cartaginese. Ma dopo il blocco greco dello Stretto la città si era comunque ingrandita ed arricchita, dato che il suo scalo era diventato il più importante tra quelli 6

: Tuc, VI, 2.

7

: Giust., XVIII, 7, 19.

8

: M.C. Lentini, Nuovi rinvenimenti di ceramica euboica a Naxos di Sicilia, p. 377.

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sulle rotte fenicie da e per l'Occidente mediterraneo. Vi erano quindi le condizioni perché Cartagine assumesse un atteggiamento tutt'altro che remissivo con i popoli vicini. Sappiamo che la fondazione di Ebusos nelle Baleari, intorno al 654 a.C., può essere vista come la risposta fenicia alla impraticabilità delle rotte tirreniche. Ma non appare chiaro se tale episodio sia da riferirsi a coloni fenici o direttamente cartaginesi.9 Siamo però sicuri che all'inizio del VI secolo, prima della caduta di Tiro, il senato punico, non solo ebbe chiara visione di come muoversi tra mari ed isole per fermare l'ondata coloniale ellenica, ma ebbe anche i mezzi materiali sufficienti per mettere in atto la sua strategia. Questa consisteva nel fermare gli Elleni lungo una linea ideale che congiungeva la foce del Rodano con la Cirenaica, l'asse rodanocirenaico.

Il Mediterraneo nel 600 a.C.: in azzurro aree di influenza greca, in rosso aree di influenza punica.

Quindi in duecento anni Cartagine aveva completato la sua trasformazione da semplice colonia a potenza militare in grado di controllare con la sua flotta un'area triangolare grossolanamente corrispondente al Mediterraneo occidentale. Di più, data la sua unicità, aveva assunto in seno alla comunità fenicia d'Occidente il ruolo indiscusso di “gendarme armato”, cosa che le procurava, tra l'altro, enormi ricchezze. L'intervento cartaginese del 600 a.C. nelle acque del Golfo del Leone ci da la prova della consistenza della flotta punica e segna l'inizio degli scontri con i Greci: iniziano le Guerre Greco-puniche. Troveremo successivamente una ormai aggressiva Cartagine impegnata contro i Greci in Nord-Africa, in Sardegna, in Sicilia ed in Iberia10.

9

: Diod. V, 16, 2-3.

10

: Giust. I,44, Diod. V, 3.

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I Sicilioti In Grecia circolavano molte dicerie circa i Sicilioti, ma tale quantità di notizie, spesso incontrollata, era ben lungi da formare nell'opinione pubblica ellenica una vera conoscenza dei fatti, degli usi e dei luoghi. Di esse infatti colpisce la loro aneddoticità e l'assenza di critica che talora scade nella creazione di veri e propri topoi. I Greci in generale e gli Ateniesi in particolare, non compresero appieno la diversità dei Sicilioti. Questa apeiria fu una delle cause del disastro ateniese del 413 a.C. 11 I Greci di Sicilia, in effetti, iniziarono quasi da subito a presentare caratteristiche che li rendevano diversi dai loro simili della madre patria: mentre la propensione a vivere nel lusso ed alla filosofia del carpe diem era diffusa anche in Magna Grecia 12, il gigantismo e la facilità alla tirannide furono tratti distintivi della grecità isolana. Saranno proprio questi due aspetti, visti come conseguenze della paura della minaccia esterna, a guidare la nostra analisi del mondo greco di Sicilia. Nella grecità arcaica, “caratterizzata dall’onnipresenza e dalla quotidianità della guerra”13, un contesto di fondazione coloniale conflittuale in cui altre etnie potessero costituire una minaccia alla sopravvivenza dell'insediamento, non doveva allarmare più di tanto la cittadinanza nascente. E anzi, spesso la colonizzazione greca assunse connotati chiaramente aggressivi ab initio nei confronti dei popoli autoctoni. Ma, a differenza che altrove, in Sicilia avvennero modificazioni antropologiche che portarono a manifestazioni inusitate, sia in termini di qualità che di quantità. Il tiranno usava spesso la tecnica del mettere in evidenza un pericolo esterno per rendere più saldo il proprio potere14 ma, a giudicare dal numero e dalla qualità dei tiranni che si successero nelle città isolane, si evince che il fenomeno che ne favoriva la sussistenza dovesse essere di entità e durata fuori dalla norma. La “norma” era per i Greci avere a che fare con piccole città fenicie, prive di flotta militare ed esercito di terra, oppure confrontarsi con popoli barbari privi di capacità marinare e/o di mezzi di sussistenza sufficienti ad opporsi militarmente alla colonizzazione. Nel contesto centromediterraneo la situazione era invece radicalmente diversa: poco dopo le prime fondazioni coloniali greche nella penisola italiana ed in Sicilia, Cartagine incominciò ad utilizzare le sue enormi possibilità finanziarie per creare una flotta superiore a quella delle singole città greche, una flotta in grado di spostare in breve tempo ingenti quantità di truppe su qualsiasi approdo. 11

: D. G. Smith, Thucidydes’ ignorant Athenians and the drama of the sicilian expedition, 2004.

12

: Plat., Lettera a Dione.

13

: Hölkeskamp (1997).

14

: J. Prag, Tyranizing Sicily: the despots who cried ”Carthage!”, 2010.

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Certo, se i Greci avessero sedato la loro la naturale rissosità fratricida per far fronte comune contro un nemico che non era ancora a capo di un impero, ne avrebbero avuto facilmente ragione. E invece, la conflittualità interna al mondo siciliota, legata ad interessi territoriali ed a diversità etniche, finì per ingigantire il senso di smarrimento dei cittadini a tutto favore dell'insorgenza delle tirannidi. In questo contesto appare naturale che proprio città ”meridionali” come Gela, Agrigento e Selinunte siano divenute fucine tiranniche quasi da subito. Ed è proprio in queste ultime due città, le vere dirimpettaie greche di Cartagine, che ritroviamo la massima espressione della megalomania monumentale siciliota. Qui infatti, il numero, le dimensioni e la teatralità dei monumenti pubblici, in particolare dei templi, assumono carattere di eccezionalità, una eccezionalità che è improponibile tener disgiunta dal contesto politico dello scacchiere centro-mediterraneo 15. Possiamo quindi vedere questo gigantismo monumentale come “propaganda architettonica” tesa da un lato a rinsaldare la posizione di chi comanda e dall'altra a scoraggiare qualsiasi tentativo di reazione punica.

: C. Marconi, Temple Decoration and Cultural Identity in the Archaic Greek World, Cambridge University Press, april 2007. 15

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3. Il pabulum Pabulum è termine latino il cui significato è strettamente connesso al cibo, al nutrimento. In microbiologia tale significato viene frequentemente esteso a quello di ambiente, una nicchia con particolari caratteristiche spaziali, di irradiazione, di substrato organico ed inorganico, di temperatura, ventilazione ed umidità. Se inseminato di batteri, tale ambiente faciliterà la crescita di quelle “colonie” capaci di utilizzare per il loro sviluppo quegli enzimi che li avvantaggeranno per la sopravvivenza. Insomma, i microbi si adatteranno attingendo ad ”abilità” innate, mettendo da parte quelle inutili in quella particolare situazione. La selezione naturale farà il resto facendo soccombere quelli meno “adattabili”. Così, ad esempio, se ad un ambiente ristretto, come lo è una provetta, viene sottratto l'ossigeno, i microbi che hanno geni per l'anaerobiosi attivano le relative vie metaboliche; gli enzimi così sintetizzati portano a produzione di energia svincolata dall'utilizzo di ossigeno. Il microbo, presentando nuove caratteristiche, sopravvive. Di più, se le condizioni in una “pabulum” si protraggono a sufficienza nel tempo(magari intervenendo ad arte dall'esterno per mantenerle immutate), potremo assistere al fenomeno delle mutazioni geniche, varianti nel funzionamento dei germi che si verificano casualmente ma che, per selezione naturale, possono avvantaggiare quelli che ne sono portatori. Le guerre Greco-Puniche furono un fenomeno di grandi dimensioni da inserire nel più ampio quadro delle relazioni tra le due principali civiltà coloniali del Mediterraneo antico. Tutto l'Occidente mediterraneo, in particolare, fu il contesto entro il quale Greci e Fenici si influenzarono e si scontrarono. Scendendo però più nel dettaglio, una zona in particolare, il pabulum centro-mediterraneo, favorì scambio e competizione delle diverse etnie: la parte settentrionale della attuale Tunisia e la Sicilia. Essa può essere considerata un unicum storico, una “nicchia geopolitica”, qualificata geograficamente da un' “isola a ponte tra due continenti”, che produsse fenomeni inusitati. Le cause principali di tale eccezionalità sono la centralità dell'area, la vicinanza e la diversità dei competitori, l'abbondanza della disponibilità di risorse, la persistenza nel tempo delle medesime condizioni. Sulla centralità della Sicilia nello scacchiere Mediterraneo appare superfluo richiamare l'attenzione. Più importante è invece ricordare le immense potenzialità di arricchimento che ebbero a disposizione le colonie greche e fenicie che si trovavano sulle più frequentate rotte del nostro mare. Tra la fine dell'VIII e l'inizio del secolo VI Greci e Fenici intuirono che stava nascendo ad Occidente un nuovo mondo. Lo avrebbe governato solo quel popolo che avrebbe controllato le vie d'accesso ad esso. La Sicilia ed il nord-Africa si puntarono così di colonie nate proprio come scali sulle principali rotte marinare. La nascita delle colonie della Magna Grecia spostò il commercio fenicio sulle rotte a sud della Sicilia, provocando così uno sviluppo esponenziale della neonata città punica posta proprio su tali rotte.

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Il pabulum greco-punico (area compresa nell'ellisse)

Alla sua nascita Cartagine, a differenza delle sue sorelle maggiori, ebbe quasi da subito la sensazione della potenziale catastrofe: a partire dalla costa orientale isolana i Greci fondarono città presto popolose ed aggressive. I Fenici di Sicilia si rifugiavano così nel Ponente isolano. A differenza delle vicine città semitiche come Utica, Cartagine visse questi momenti all'inizio della sua storia, e così tali accadimenti poterono maggiormente influire su di essa, arrivando anche a mutare la sua way of life. Divenne un'eccezione nel mondo fenicio. Circa le motivazioni di questa mutazione, si potrebbe addirittura supporre che, dalla Sicilia, alcuni dei fuggiaschi fenici finì proprio per trasferirsi nella nascente colonia africana, invece che affollare l'Occidente isolano, zona pur sempre a rischio di incursioni greche. La presenza di questi “testimoni oculari“ della pressione greca, se dimostrata, avrebbe potuto avere un grande impatto sulla nascente coscienza comune cartaginese. Comunque “agire e reagire militarmente” divenne il credo fondante punico, anche a costo di azioni coercitive nei confronti di altre città fenicie non allineate 16. Data la vicinanza ed i continui scambi commerciali, le colonie greche ebbero ab initio chiare le trasformazioni in atto al di là del mare, tanto che un'impalpabile sensazione d'insicurezza divenne sfondo stabile alla loro crescita tumultuosa. Tale fiammata economica e demografica, favorita da un entroterra florido e dalle specifiche capacità artigianali ereditate dalla madre patria, portò ad una società inquieta: da una parte c'era la paura della minaccia esterna, dall'altra la volontà : la guerra fratricida non è da tutti accettata (Barreca 1986; Tore 1992), ma appare allo stato attuale l'ipotesi più probabile per spiegare le evidenze di distruzione rilevabili in siti archeologici di Mozia (Nigro L., Quaderni di Vicno Oriente IV, 2010), Monte Sirai(Guirguis, Atti di Archeologia fenicio-punica, 2011), Cuccureddus di Villasimius(Madau M., Alla ricerca dell'identità perduta: il contributo dell'archeologia in Sardegna, 2000) e databili nella seconda metà del VI secolo a.C. (Vedasi anche Moscati-Bartoloni-Bondì 1997). 16

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irrefrenabile di successo. Naturale che in un tale contesto le masse fossero facilmente preda di stravolgimenti istituzionali di senso despotico. La tirannide d'altronde era la risposta più semplice ed immediata allo stato di perenne belligeranza, condizione che, protraendosi per generazioni, finiva a sua volta per giustificare la necessità del potere assoluto. Si può a questo punto smettere di considerare una fatalità la nascita della prima dynasteia dell'Occidente a Gela, come del primo embrione di stato imperiale, sovra-poleico, a Siracusa. Appare infatti plausibile che il perdurare delle condizioni che mantenevano attivo il pabulum abbia provocato una “accelerazione” non solo, come è ovvio, della tattica e tecnologia bellica, ma addirittura dei patterns politici e sociali, in un secolare rimando di suggestioni da una costa all'altra del Mediterraneo. Nella storia molti pabula geo-politici si sono sicuramente verificati. Ma anche nell'ambito dell'eccezionalità di questi fenomeni, quello delle greco-punico presenta una sua specificità correlata alla particolare durata delle guerre, le più lunghe dell'antichità in assoluto. I contendenti non solo erano incapaci di sopraffarsi (i Fenici eccellevano sul mare, i Greci sulla terraferma) ma il conflitto perdurava anche se il “substrato”, la materia prima umana, si esauriva a causa di genocidi, carestie, deportazioni. Infatti il pabulum non era un sistema chiuso e poteva essere rinvigorito da iniezioni di substrato dall'esterno, dalle colonie amiche, dalla madrepatria, dai territori controllati.

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Le Guerre Greco-Puniche e la loro nicchia centro-mediterranea furono così un “volano della storia”, uno straordinario mezzo di trasformazione delle etnie implicate. Il “peso” delle guerre fu tanto consistente e prolungato da provocare un “cambio di traiettoria” nella loro storia sociale e politica. Lungi dal pretendere di aver fornito un quadro esaustivo delle conseguenze delle guerre, urge in questa sede sottolineare l'inscindibilità dell'essenza punica e siciliota dalla relazione conflittuale che le caratterizzò dall' 800 al 265 a.C., fatto che rende lo studio delle guerre una necessità per la comprensione del Mediterraneo antico.

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4. Conclusioni Ogni fenomeno umano è un unicum in un continuum di relazioni interregionali 17. In questo le dinamiche umane assomigliano alla crescita competitiva delle colonie di microrganismi in una data nicchia ambientale. I fattori che influenzano i popoli interessati da migrazioni/colonizzazioni sono difficilmente rintracciabili a causa del salto culturale tra chi ne cerca una razionalizzazione ed il fenomeno stesso. Tentando però una valutazione psicologica dell'impatto reciproco di migrazioni contemporanee, si è cercato nel contesto greco-punico, di utilizzare anche alcuni dei criteri proposti per l'analisi archeologica delle migrazioni stesse 18. Analizzando quindi: •

numero delle persone coinvolte nell'interazione



differenze culturali tra le stesse



durata dell'interazione



modificazioni dei costumi successive all'interazione



evidenze ricavabili dalle fonti letterarie



cronologia della colonizzazione greca e fenicia dell'Occidente mediterraneo,

è possibile e non troppo avventato proporre una visione integrata dei fenomeni antropologici, sottolineando la centralità dello scontro di culture nella modificazione delle stesse. Questo approccio porta a rifiutare la convinzione secondo cui i Cartaginesi ed i Sicilioti fossero come li conosciamo per una loro specifica indole. Ab initio essi non possedevano alcuna particolare tendenza “caratteriale” rispetto ai popoli da cui provenivano. Fu solo la loro interazione reiterata a modificarne usi e comportamenti, manifestarono cioè quelle caratteristiche che l'ambiente in cui si trovarono a convivere rese necessarie per la loro sopravvivenza. Insomma, si adattarono. Cartagine fondò sì un impero plutocratico, ma pressata dalla presenza di Greci che, a loro volta, furono spinti alla tirannide ed alla megalomania da uno scontro senza fine. Questa volutamente sintetica trattazione, semplificata e semplificante, non possiede né qualità né autorità sufficiente a dimostrare quanto sostiene. L'autore ne è conscio. Cionondimeno la trattazione vuole essere da stimolo a riportare l'attenzione su di un'epopea troppo fondamentale per essere tralasciata. Le Guerre Greco Puniche infatti, nonostante abbiano prodotto conseguenze incalcolabili, conseguenze solo in parte trattate in questa sede, vengono approcciate senza visione d'insieme. Tale comportamento, anche del mondo accademico, produce un vulnus alla comprensione della storia antica risolvibile solo con una rivalutazione sistematica ed integrata dell'enorme fenomeno storico. Aldo Ferruggia, febbraio 2016 17

: Yasur-Landau, The Philistines and Aegean Migration at the End of the Late Bronze Age, 2010.

18

: Berry 1997.

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5. Riferimenti all'autore

Aldo Ferruggia Le Guerre senza Nome, NEOS edizioni, Rivoli (TO), 2014. ISBN 978-88-66081-46-3

2015

www.areablog.net

Data 14/03/16 13 Riproduzione vietata senza il consenso dell'autore.

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