Il rapporto tra uomo e donna; tra corpo, cuore, mente e femminismo.

May 26, 2017 | Autor: Leonardo De Vivo | Categoria: Italian Studies
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Leonardo De Vivo ITA 131 - Winter 2015 Saggio Finale

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Il rapporto tra uomo e donna, tra corpo, cuore, mente e femminismo.

Non c’è dubbio che l’uomo e la donna hanno percorso un lunghissimo cammino insieme, ma la strada per arrivare a destinazione è ancora lunga. Per adesso, tra pianure ed altopiani continuano il loro percorso, insieme. A volte dai luoghi più alti intravedono la meta, quel luogo dove si dice che si possa vivere in completa armonia. Vanno avanti, un po’ per inerzia, un po’ trainati dalla forza della natura, un po’ per sincero desiderio di vivere uniti. Le insidie e gli affetti si alternano, a volte l’uomo e la donna si parlano con disprezzo, a volte si accarezzano con amore, i loro movimenti rivelano una fiducia che non è mai completa, non credono pienamente nell’altro per evitare di essere feriti, perché hanno paura di soffrire. E così camminano ad una certa distanza l’uno dall’altro, creando tra loro uno spazio che viene colmato da un’atmosfera di diffidenza, piuttosto rischiosa per il loro animo. Confusi, l’uomo e la donna, non riescono a vedere che l’uno è il riflesso dell’altro, una lunga serie di immagini rimandate da varie angolazioni come in gioco di fragili specchi. Sarebbe un gioco utile per vedere quello che da se stessi non possono, ma a volte quello che viene riflesso non piace e la colpa inevitabilmente ricade sull’altro.

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Questo gioco di specchi prende luogo lungo la narrativa dei libri di tre autrici italiane, Enif Robert, Anna Banti e Luisa Passerini. Nelle rispettive storie, le autrici ripercorrono le loro personali esperienze, in cui il rapporto con l’uomo prende uno spazio di grande rilievo. Questo rapporto, in Un ventre di donna, Artemisia e Autoritratto di gruppo, si svolge di volta in volta in una cornice storica diversa ma essenzialmente i confini sociali e culturali che limitano le tre autrici rimangono invariati. Sono questi i limiti che definiscono le regole del gioco di specchi, regole che dettano modelli da seguire, forme da assumere, come descritto da Robert, “Vedova e bella a venticinque anni. Avrei dovuto subire la legge impostami dalla società e specialmente dalle mie amiche: rimaritarmi.”(Robert 3) La donna (e in una certa misura anche l’uomo) viene spinta dalla società a seguire questi ruoli, ma una parte di essa ancora sensibile e viva riconosce l’artificio e cerca di liberarsi. La lotta è caratterizzata da incomprensioni e conflitti che chiaramente definiscono anche il rapporto con l’uomo. Questi conflitti si manifestano, sia individualmente che collettivamente, ad un livello corporeo, emozionale e mentale; tra questi piani, la donna e l’uomo, si muovono continuamente come in una di danza in cui avversione e attrazione tengono il passo. In Un ventre di donna, Robert rivela l’immagine di una donna, che

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soffocata dai limiti sociali e culturali, si incammina, un po’ per noia un po’ per istinto, alla ricerca di qualcosa di più vero per lei. In questa ricerca Robert mantiene con sé la sua vitale sessualità, il suo forte desiderio di creatività e il suo sincero disdegno per i ruoli imposti; tutto ciò in un continuo avvicinarsi e distanziarsi dalla figura dell’uomo. Robert non nasconde il suo desiderio fisico, la sua attrazione istintiva verso il maschio, “Sotto la mano di Freschi provai la più curiosa, la più inaspettata sensazione erotica!”(Robert 26) attrazione in cui anche gli elementi naturali diventano allegoria in cui far risuonare gli echi di un amplesso, “Ora c’e’ il sole. Padrone assoluto, testardo, solenne, cocciuto, che accarezza e stringe tutte le curve, penetra in tutte le bocche della lasciva marina posseduta, che gode imbevuta di lui.”(Robert 22) Al tempo stesso, il corpo di Robert pulsa anche per il suo stesso sesso, “È un’amica di collegio. Lontanissima memoria di adolescenza erotica. Emozione di ritrovarsi. Abbraccio lungo, affettuosissimo. Attimo denso di reminiscenze saffiche”(Robert 36) questo crea un’ulteriore dinamica nel rapporto con l’uomo. Ma la vera battaglia, a livello corporale, si manifesta con irruenza nel rapporto con il professore/chirurgo, soprannominato dalla stessa Robert “Jack lo sventratore”. Lui rappresenta l’uomo carnefice, ma al tempo stesso

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vittima, dei modelli sociali più conformisti. È un’immediata e reciproca antipatia istintiva, “Due esseri che nell’incrociarsi degli sguardi si sentono nemici.”(Robert 37) Anche in questo rapporto con il professore però si crea un gioco subordinato dai ruoli, in cui il disprezzo si alterna alla dipendenza, “Cerco soccorso verso il professore che mi volta le spalle per non vedermi. Professore!…Nelle vostre mani, raccomando il corpo che racchiude lo spirito mio”(Robert 64). Da parte sua, il professore non può accettare che la Robert voglia sfuggire al suo ruolo di donna procreatrice e quando lei, quasi gli implora di rimuovere tutto dal suo ventre, lui in un riflesso condizionato le risponde che “È mio dovere, signora lasciare qualunque piccolo pezzo buono, asportare soltanto quanto non è più sano” (Robert 53). Ma dovrà ricredersi e giustificarsi quando, l’avanzamento del male lo costringerà a rimuover tutto, “Povera signora! desiderava tanto avere ancora bambini e non abbiamo potuto accontentarla…” per Robert questa è “un’ironia fredda pacata che le solca l’anima” in quanto lei non può accettare di essere omologata nella sola funzione di mettere al mondo dei figli. Il professore trova la sua giustificazione a questo bizzarro comportamento definendo la Robert

“un cervello troppo virile in un corpo

troppo femminile…”(Robert 97) che per un certo senso è veritiero dell’ambivalenza interna della Robert.

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La ragione di questo aspro conflitto tra i due viene schiettamente rivelata da una delle monache infermiere, “È inutile…Siete troppo uguali per capirvi! Avete gli stessi scatti, lo stesso carattere, lo stesso modo di digrignare i denti quando una cosa non va!” (Robert 94), i due si riflettono l’uno nell’altro ma verità è troppo dolorosa per essere accettata. ll conflitto di Robert con l’uomo si manifesta a livello emozionale in bilico tra fiducia e gelosia “Giulio tarda un po’ troppo oggi. È quasi l’una. Non mi preoccupo. Ha una quantità di affari non sono mai stata gelosa, non lo diventerò, credo, mai” (Robert 5) e il desiderio di essere amata, “Credetti sotto il primo bacio di Giulio che una felicità inaudita, profonda, completa, mi dovesse colmare deliziosamente il cuore” (Robert 26). La mancata gelosia da parte del suo compagno Giulio è un ulteriore motivo di conflitto, “In fondo questa sua mancanza di gelosia m’irrita e mi offende” (Robert 15), finanche il corteggiamento e le avance del futurista Fortis rispecchiano un senso di ambiguità, “Io non seppi ne gridare ne ribellarmi. Feroce con me stessa contenta e scontenta insieme…” (Robert 13) In tutto questo altalenarsi tra opposti sentimenti, una pausa viene offerta dalla corrispondenza con Marinetti, l’uomo qui è visto come ispiratore, “Scrivetemi le vostre lettere mi nutrono” (Robert 179). Il panorama culturale antecedente alla grande guerra in cui si svolge

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Un ventre di donna lascia il posto ad un intreccio di storie tra secondo dopo guerra e Barocco in cui la Banti si ritrova ad ambientare il suo romanzo, Artemisia. Ma al di là della cornice storica, le dinamiche non cambiano colore, i conflitti con l’uomo assumo solo sfumature diverse. Anche in questo racconto la distanza tra uomo e donna varia. In Artemisia la vicinanza è rappresentata dal marito Antonio, un carattere umile e devoto che l’accompagna per i pochi, soli anni della sua vita in cui conobbe la felicità. Un personaggio, come scrive Giuseppe Leonelli nella sua introduzione a romanzo della Banti, “visto sempre di scorcio, silenzioso, discretissimo: sembra vivere nella dimensione difficile dell'inesprimibile, ma riesce a riempire di se le pagine del romanzo in cui figura’’(Banti IX). La figura di Antonio fa emergere in Artemisia il lato femminile più delicato e vulnerabile, “marito che la prende per mano e si ferma a lungo a guardargliela, a voltarla di sopra e di sotto, come se studiasse amorosamente la pelle, le pieghe, le vene: con un sorriso estasiato e malinconico all'angolo della bocca. Antonio, silenzioso e mite, fatto di fruscii, di tenerezze segrete, di incanti sospesi nel giro semplicissimo d'un'azione, di una timida premura, costituisce l'incanto impreveduto…” (Banti X) Antonio colma la distanza che separa Artemisia dal padre Orazio. Distanza dura per Artemisia che cerca un suo riconoscimento ma che trova

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solo una freddezza cinica, l’unico modo per Orazio di difendersi dall’umiliazione dello stupro della figlia. Da buona figlia Artemisia aspetta ancora fiduciosa gli affetti del padre e si illumina quando Orazio comincia a parlarle e lei Artemisia è così felice che “le parole le sfuggivano, sentiva solo la voce.” (Banti 34) Ma questo non dura a lungo, Orazio si richiude, torna a non rispondere, a non ascoltarla, “amaramente sazio di sospetti e di sdegno” e Artemisia che vorrebbe farlo cambiare, trascinandosi in terra, mostrando, per così dire, il colore del proprio sangue mortificato: fantasie inutili (Banti 33). Artemisia è costretta, tra solitudine, segregazione e rabbia, volontà’ di rivalsa (“Vedranno chi è Artemisia”) a prendere anche lei le sue distanze, sia dal padre che da gli altri uomini, primo tra tutti Agostino, colui che l’aveva stuprata, un personaggio “brutto tozzo e giallo” che non le piaceva e non le era mai piaciuto. Artemisia sa come prendersi la sua rivincita e lo fa con quell’arte che le era stata insegnata dal padre e dalla stesso Agostino. La sua vendetta si consuma attraverso la pittura, “rideva a un pensiero che era stato a volte un rimorso, tutto quel sangue di Oloferne che stagnava sulla tela di Pitti. Io l'ho dipinto, e come se avessi ucciso un prepotente”. (Banti 60)

Così si ripaga dell’infamia dello stupro e dell’umiliazione del processo.

E con questo, Artemisia riconquista il proprio respiro, trova la propria risoluzione, “gli uomini ritornavano uomini, seppur distanti incomprensibili

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fantasmi; padre, marito, amante: poco meno che nomi, ma il prima amato e desiderato invano, l’ultimo dissolto come un corpo nella terra”. (Banti 48-49) Ma questa rivalsa, che è alla base di una certa narrativa femminista, viene infine trascesa nell’universale da un sentimento di compassione che accomuna tutti, anche gli uomini che in fondo sono loro stessi vittime dei loro ruoli, come evidenzia ancora il Leonelli, “il furore libera la pietà, il racconto si riconcilia con il suo presente di guerra, di comune morte e desolazione: «Ascoltava Artemisia e perdonava. Spento ogni rancore, le pareva di stendere la mano verso la violenza pentita, lei forte e senz'armi; e gli uomini, questi fatali nemici, non le chiedevano più di giustificarsi, di guardarsi. Erano uguali a lei ma quasi più gentili, con delicati gesti di omaggio... Poveri uomini anche loro: travagliati di arroganza o- di autorità, costretti da millenni a comandare e a cogliere funghi velenosi, queste donne che fingono di dormire al loro fianco e stringono fra le ciglia seriche al sommo delle guance vellutate, recriminazioni, voglie nascoste, segreti progetti.” (Banti IX) In Autoritratto di gruppo di Luisa Passerini, il conflitto individuale tra uomo e donna si amplia ad un conflitto di genere che prende forma durante i movimenti del ’68. I due aspetti si intrecciano continuamente lungo l’arco narrativo del libro; da un lato la Passerini si ritrova, nel suo rapporto con l’amante X, divisa da un sentimento di rigetto “Esprimo la convinzione di aver espulso insieme X e il suo cibo” (Passerini 71) e contemporaneamente dal desiderio di averlo accanto, “fantasia di star così male che devono venire

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a trovarmi in ospedale X e il dottor G.”(Passerini 70) La stessa l’ambivalenza poi vale per le donne coinvolte nel movimento, che in un primo momento trovano nell’amore libero un modo reazionario per vivere la parità con l’uomo ma che poi se ne distanziano realizzando che “la ricerca di parità ha finito spesso per trasformarsi in competizione e imitazione, anziché diventare fondazione della propria soggettività”. (Passerini 200) Proprio questa soggettività è il punto cruciale. Parlando solo di “uomo” e “donna” in astratto si rischia di annullare la dimensione individuale. Ma è nell’individualità che sta la risoluzione del conflitto tra i due poli. Verso questa direzione si dirige Valentine de Saint-Point nel suo Manifesto della donna futurista dove con un’acutezza molto più avanzata della misoginia di Marinetti dichiara, “È assurdo dividere l’umanità in donne e uomini; essa è composta soltanto di femminilità e di mascolinità.” (de Saint-Point 1) Questa idea libera dalla rigidità della categoria uomo/donna e fa leva sulla mescolanza delle energie femminili e mascoline all’interno di ogni singolo individuo, aprendo così la strada verso una ricerca introspettiva. In generale, il femminismo ha giustamente cercato all’esterno, nel sociale, la rivendicazione per i pari diritti, ma questa lotta esterna, seppur legittima, da sola non è sufficiente a risolvere il contrasto tra uomo e donna.

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La giusta battaglia per l’uguaglianza sociale ed economica non basta anche perché nasce come reazione a modelli maschili, e quindi rimane vincolata ad essi. Inoltre, questa lotta inevitabilmente porta ad un contrasto tra le donne stesse che si manifesta nelle varie forme di femminismo da quello borghese a quello operaio, da quello di destra a quello di sinistra, tutte correnti che alla fine non fanno capo all’individuo ma che uniformano le partecipanti nel nome di un’ideologia. La donna (tanto e quanto l’uomo) non può veramente essere libera se non risolverà prima i propri contrasti interni, come indicato da un certo femminismo di avanguardia, “It was variously argued that the feminist focus should be women’s economic independence, their creative expression, or destroying the institution of possessive marriage. However, these were in a sense secondary effects, while the underlying aim of avant-garde feminism was introspective - to transform women’s psyche, and convince some women that they had the power and moral right to make their own choice and exercise their will. Feminism was understood less as a movement, and rather as a personal and individual transformation.” (Delap 320) Quando ogni singola donna e ogni singolo uomo riusciranno a guardasi negli occhi e a vedersi riflessi, allora la distanza che prima li separava si trasformerà in un rispetto dell’altrui individualità, in un clima di assoluta fiducia dove poter prima ritrovare se stessi per poi ritrovarsi insieme.

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Bibliografia

Banti, Anna. Artemisia. Bompiani, 1989. Print. Delap, Lucy. The Feminist Avant-garde: Transatlantic Encounters of the Early Twentieth Century. Cambridge, UK: Cambridge UP, 2007. Print de Point, Valentine. Manifesto Della Donna Futurista: Riposta a F.T. Marinetti. Milano: Direzione Del Movimento Futurista, 1912. Print. Passerini, Luisa. Autoritratto Di Gruppo. Firenze: Giunti, 1988. Print. Robert, Enif. Un ventre di donna. Romanzo Chirurgico. Milano: Facchi, 1919. Print.

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