Intervista al Professor Carmelo Ferlito (terza parte)

June 1, 2017 | Autor: Carmelo Ferlito | Categoria: Religion, Immigration, European Union
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Per io dico d el la D es tra S o c ia l e Vero n es e Anno XI - Numero 46 - Luglio 2016 - Editore e Proprietario: Massimo Mariotti - Direttore Responsabile: Marco Ballini Registrazione: Tribunale di Verona N. 1671 del 9/11/2004

2 LUGLIO 1993: CHECK POINT PASTA MOGADISCIO

Fare il Soldato non è un mestiere, ma una vocazione a tutela dei Valori Tradizionali della Patria, fare il Soldato significa operare in difesa della sicurezza e della libertà del proprio Popolo, significa fare il proprio dovere per concorrere alla stabilità della Nazione ! La Missione Militare in Somalia iniziò nel dicembre del 1992 come intervento umanitario alla popolazione somala stremata dalla fame e dalle malattie in seguito ad una spietata lotta tribale. Dopo 5 mesi la Missione aveva cominciato a dare risultati positivi, seppur con il sacrificio della vita di numerosi militari appartenenti ai contingenti delle varie nazioni intervenute. All’alba del 2 Luglio una normale operazione di rastrellamento, con lo scopo di sequestrare armi e munizioni ancora in mano ai ribelli, si trasformò in un attacco sanguinoso contro i militari italiani, allora quasi tutti di leva. Nel primo scontro cadde il S. Ten. dei

Lanceri di Montebello, Andrea MILLEVOI, poco dopo fu colpito a morte il Paracadutista Pasquale BACCARO del 186’

Rtg. Folgore. Gli Incursori del 9’Rtg. d’Assalto Col Moschin, intervenuti di rinforzo, condussero un contro attacco lungo la Via Nazionale, dove cadde il Serg. Magg. Par. Stefano PAOLICCHI. Ai Caduti venne conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare. La Battaglia del Pastificio, come viene www.massimomariotti.it

ricordata, costò alle truppe Italiane oltre 30 feriti, tra questi il S.Ten. Par. Gianfranco PAGLIA, decorato di Medaglia d’Oro al Valor Militare, per il coraggio dimostrato in quei tragici momenti e che ho avuto il piacere di conoscere incontrandolo in più occasioni. La prima volta, mentre ero Assessore alle Politiche Giovanili, lo invitai a Verona per partecipare ad un Convegno in Gran Guardia, insieme all’Assessore alla Cultura della Provincia Generale Adimaro Moretti degli Adimari, dove ci raccontò la sua esperienza militare, il difficile recupero dopo l’invalidità in conseguenza delle ferite riportate in combattimento, il ritorno in Servizio nel Ruolo d’Onore e le sue presenze in trasmissioni pubbliche per non fare cadere nell’oblio il sacrificio di quei giovani Soldati andati in Somalia per un intervento di pacificazione e di soccorso umanitario e tornati, i più fortunati, con schegge di ferro nelle carni !

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LA RIVOLTA DI REGGIO CALABRIA DEL LUGLIO 1970 Il 14 luglio, la città di Reggio Calabria si ribellò alla decisione del governo dell’epoca di privarla del ruolo di capoluogo di Regione affidato a Catanzaro. Furono mesi (dal luglio del 1970 al febbraio del 1971) di grande tensione e di drammatiche proteste: scuole e uffici pubblici chiusi, barricate in molti quartieri, cariche della polizia, carri armati per le strade, morti, feriti, arrestati, processati e mobilità bloccata (per tutto agosto e settembre a Reggio non arriverà più un treno). Un campo di battaglia dietro il quale non c’era solo il disagio del sud, l’abbandono di una Regione intera e di una popolazione. C’era altro. Giorni di rabbia che sono stati identificati storicamente con il nome di ‘’moti di Reggio o rivolta di Reggio’’. A distanza di anni, va detto che quella di Reggio Calabria fu la prima rivolta ‘’identitaria’’ d’Europa, l’ultima di natura popolare. Dopo quella tappa, il Mezzogiorno non ha più prodotto una rivolta di massa di quelle dimensioni. Fu anche l’ultima rivolta di popolo capeggiata dalla Destra, una Destra rivoluzionaria, nazionalpopolare e sindacalista che agiva ai bordi dell’Msi. Ciccio Franco politico e sindacalista, dirigente reggino del Movimento Sociale Italiano fu la figura che acquisì particolare notorietà per il

suo ruolo di “capopopolo” durante la Rivolta di Reggio. L’ esponente missino, rilanciò il motto ‘’Boia chi molla’’ (usato già ai tempi della prima guerra mondiale dagli Arditi) e ne fece uno slogan per cavalcare la protesta dei reggini, indirizzandola verso una connotazione antisistema e fortemente polemica nei confronti di un governo che non sapeva ascoltare la voce del sud più profondo. Prima arrestato e poi ricercato dalla polizia, durante un breve periodo di latitanza fu raggiunto nel suo rifugio segreto e intervistato da Oriana Fallaci alla quale spiegò dal suo punto di vista la nascita dei moti a Reggio: ‘’Specie nei quartieri popolari v’erano tanti ragazzi che ritenevano che Reggio potesse esser difesa dai partiti della sinistra o di centrosinistra. E, dopo la posizione assunta dai partiti di sinistra e di centro-sinistra contro Reggio, questi ragazzi hanno ritenuto di dover rivedere la loro posizione anche politicamente. Molti, oggi, fanno i Fascisti semplicemente perché ritengono che la battaglia di Reggio sia interpretata in modo fedele solo dai Fascisti’’. La rivolta si concluse solo dopo mesi di assedio con l’inquietante immagine dei carri armati sul lungomare della città. Oltre alla forza, per la soppressione della rivolta si ricorse www.alleanzanazionale.it

anche a mediazioni e compromessi politici (il cosiddetto “Pacchetto Colombo”). Per quietare la rabbia reggina fu promesso di costruire un centro siderurgico a Gioia Tauro (50 km da Reggio) e uno stabilimento, la Liquichimica alle porte della città per un totale di 10 mila posti di lavoro. L’ inganno non tardò a palesarsi. Il centro siderurgico non venne mai costruito e la Liquichimica non entrò mai in funzione. La città uscì sconfitta ma con onore. Il 14 luglio 2006, nel giorno del trentasettesimo anniversario dei Moti di Reggio, l’amministrazione comunale di Reggio Calabria, su iniziativa dell’allora Sindaco Giuseppe Scopelliti, di AN, ha voluto intitolare a Francesco Franco l’ex Arena dello Stretto. Ciccio Vena, Reggio Calabria

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19 LUGLIO 1943: TERRORE SU ROMA C’è una storia, poco o niente, conosciuta : quella dei due grandi bombardamenti aerei su Roma il primo il 19 luglio e poi ancora il 13 agosto 1943 che colpirono esclusivamente zone popolari della periferia, dove morirono circa 4.000 civili. Interi blocchi di edifici spazzati via ed anche la Basilica di San Lorenzo fuori le mura fu colpita da una bomba. Esiste un filmato dove si vede il Papa Pio XII uscito dal Vaticano, corso a pregare sulle macerie, mentre Vittorio Emanuele III venne invece contestato dalla folla e dovette tornare indietro. La guerra andava sempre peggio e le due devastanti incursioni su Roma ebbero l’effetto di accelerare il tradimento della monarchia e l’uscita dell’Italia dal conflitto, con la firma dell’armistizio. Dopo lo sbarco di Salerno, Roma fu colpita decine di volte con migliaia di morti tra i civili, fino all’entrata degli Alleati il 4 giugno 1944, seppur contrastati da pochi valorosi piloti dei caccia italiani che decollavano ogni giorno per intercettare le fortezze volanti. Rimane un mistero perché l’unica vasta area di interesse strategico da distruggere, proprio nel centro di Roma, non sia mai stata colpita da una scheggia, probabilmente perché in una canonica aveva sede una radio spia degli Alleati, indicante gli obiettivi da colpire. Tutto ciò mentre sempre a Roma, centinaia di agenti di 38 stati in guerra con l’Italia, agivano indisturbati come spie, perché accreditati come Diplomatici presso la Santa Sede. Ci provò Giovannino Guareschi ad individuare la responsabilità di un noto uomo politico divenuto famoso nel secondo dopoguerra, ma questa è un’altra storia. Marcello Caprarella, Madrid

14 luglio 1945 : il regno del Sud dichiara guerra al Giappone

Nei primi mesi del 1945, quando gli Alleati occupano progressivamente anche il nord della penisola, sulla scena nazionale irrompono forze politiche nuove, o meglio, apparentemente nuove. L’incarico di governo viene affidato a Ferruccio Parri, leader della resistenza, trascorsa in comodi rifugi, succeduto a quelli di Badoglio e Bonomi. Il governo Parri ci consegna la storia dell’ultima (inutile) dichiarazione di guerra italiana ad un paese terzo: il 14 luglio 1945, la nuova Italia, nata dalla resistenza, per cercare di conquistare lo status di alleato, dichiarò guerra all’Impero Giapponese, con la speranza di ammorbidire quello stato di tensione che ancora esisteva fra gli alleati, nei confronti di un ex nemico quale l’ Italia. Null’altro. L’ Italia era un Paese prostrato da cinque anni di disastroso conflitto ma non importava perché, nello storico Consiglio dei Ministri del 14 luglio 1945, si comunica una nota del Sottosegretario americano degli Esteri Grew, che plaude, insieme ai governi Britannico e Sovietico, ad un intervento Italiano in terra nipponica. “L’Italia ripudia la guerra” come più tardi reciterà la Costituzione, ma non quelle gradite dagli alleati liberatori ! Giano Accame etichettò l’impresa: “L’infamia di quella decisione maramaldesca nei confronti di un popolo con cui non avevamo alcun motivo di contrasto ( altro che pugnalata alla schiena della Francia nel 1940 ), fu sottoscritta da tutti i partiti che accusavano il Fascismo per aver portato l’Italia in guerra”. Claudio Baglieri

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ANTE PAVELIC Pavelic nacque il 14 Luglio 1889 a Bradina in Bosnia, dedicandosi fin da giovane alla vita politica entrando nel Parlamento del Regno di Yugoslavia nel 1927 eletto nelle file del Partito Croato del Diritto. Costretto all’esilio si rifugiò nell’Italia Fascista dove costituì il movimento clandestino degli Ustascia, dalla parola croata “ustas” ribelle. In seguito al dissolversi dello stato Yugoslavo nel 1941 tornò in patria con tutti gli onori divenendo Capo del Governo del neo costituito Regno di Croazia, la cui corona era stata data a Aimone di Savoia Aosta, che prese il nome di Tomislavo II’. In seguito alla ritirata dai Balcani delle truppe Italo Tedesche, Pavelic si rifugiò in Italia riuscendo ad imbarcarsi per l’Argentina, alla fine della guerra, inseguito da una caccia spietata da sicari titini che in più occasioni cercarono di ucciderlo, come invece riuscirono con molti altri esuli croati. Ma l’uomo era accorto e riuscì sempre a salvarsi, fino a trovare l’ultimo rifugio nella Spagna di Franco, dove terminò la sua vita nel proprio letto, a Madrid,nel 1959. Giorgio Storari, Consigliere 3’ Circoscrizione

IL GENERALE SIKORSKY

Il Generale Wladislav Sikorsky, Primo Ministro e Comandante delle Forze Armate Polacche in esilio, morì su un aereo che precipitò pochi minuti dopo il decollo da Gibilterra nella notte del 4 Luglio 1943. Gli inglesi parlarono subito di incidente, ma negli ambienti degli esuli polacchi serpeggiarono, fin dall’inizio, forti dubbi. Sikorsky era sgradito sia agli inglesi che ai russi, perché non faceva mistero di voler riacquistare la libertà per la Polonia che invece Churchill aveva ceduto a Stalin che voleva farne uno stato vassallo. Churchill aveva tutto l’interesse a far tacere Sikorsky che minacciava di compromettere l’alleanza con Stalin, aspirando per giunta ad un ruolo simile a quello di de Gaulle, sedersi cioè al tavolo dei vincitori, cosa assolutamente non gradita ai “tre grandi”. Inoltre era il più fermo accusatore dei comunisti russi per il massacro del decine di migliaia di Ufficiali Polacchi nelle foreste di Katyn nella primavera del 1940. Crimine che per decenni i russi addebitarono ai tedeschi, nonostante inconfutabili documenti evidenziati da autorità indipendenti. Ma in seguito alla caduta dell’unione sovietica, le autorità del nuovo Stato Ucraino hanno permesso il ritrovamento di un’altra enorme fossa comune nella boscaglia di Bykovnia, vicino a Kiev, dove sono stati trovati circa 200 mila corpi di militari e civili polacchi catturati dai russi che, non dimentichiamolo, invasero la Polonia insieme ai Tedeschi nel settembre del 1939, mentre Francia e Gran Bretagna dichiararono guerra alla sola Germania ! Leonardo Meoni www.alleanzanazionale.it

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LA “TRAGEDIA” DELLA BREXIT Ero e resto favorevole alla Brexit. Penso che dopo l’inevitabile shock iniziale la Gran Bretagna diventerà una nuova Svizzera d’Europa. Il parlamento britannico, il loro sistema giudiziario, le loro università sono straordinariamente efficienti e non potranno che primeggiare negli anni venturi. Davvero pensavano i burocrati di Bruxelles che avrebbero potuto continuare a scrivere leggi per una nazione che ha perduto la sua ultima guerra nel 1485 a Bosworth Field? Allorché un esercito francese, rinforzato da transfughi e traditori inglesi, sconfisse re Riccardo III e il potere passò ai Tudor. Conosco delle persone contrarie al Brexit che però già dal giorno successivo al referendum hanno profittato della situazione, acquistando sterline e comprando appartamenti a Londra. Non hanno perso un minuto di tempo! Del resto credo che i britannici abbiano solo anticipato i tempi, perché resto convinto del fatto che la comunità europea, così com’è oggi strutturata, non potrà durare a lungo. Risulta troppo sbilanciata nei confronti della Germania, che pare essere l’unica nazione ad aver profittato dell’unione. Le loro industrie e la loro finanza stanno conquistando il resto del continente e questo non può essere un fatto positivo, anzi questo dimostra che il sistema non funziona: come in una società commerciale composta da vari soci ma nella quale solo uno porta a casa dividendi e gli altri tirano la cinghia. Dunque, quale è stato il peccato originale che ha provocato l’aborto di una Europa unita invece che la nascita di una nazione destinata a durare nei secoli ? Credo che l’errore più grande sia stato il puntare su una unione monetaria prima che militare. L’unione monetaria non è facile per nazioni con un diverso Pil, con diverse politiche e diverse strategie. Sarebbe stato meglio puntare su una unione militare, per quanto la cosa possa apparire antiquata e bellicistica. Il problema però è che il mondo è com’è, non come vorremmo che fosse. Si sarebbe dovuto formare un esercito, una marina, una aviazione comuni con divisioni distinte ma parallele, con simili armamenti e identiche uniformi, con una solo comando centrale. Questo esercito europeo sarebbe entrato nella NATO in sostituzione degli eserciti dei singoli stati. Questo avrebbe contribuito alla creazione di uno spirito di corpo comune, e la creazione di intenti strategici comuni. Il comando d’una simile formazione bellica avrebbe obbligato i singoli governi a creare una gerarchia politica effettiva, contrariamente a quanto vediamo ora, avente per presidente quel mattacchione di Jean-Claude Juncker che conta poco ed è costretto a limitarsi a un semplice lavoro di mediazione e d’una ministra degli esteri, come la Mogherini, che ci fa tanta tenerezza. Un esercito europeo armato e pronto a intervenire avrebbe forzato la mano ai politici nazionali per creare un presidente e un ministro degli esteri di prim’ordine capaci di dirigere quello strumento di difesa e di offesa formidabile. La crisi siriana nel bene e nel male avrebbe avuto esisti certamente diversi in presenza di una tale formazione bellica. Angelo Paratico, Hong Kong

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1943: L’ANNO DELLE ILLUSIONI Il 25 luglio 1943, il re Vittorio Emanuele III destituisce Mussolini e lo fa arrestare, legittimando un periodo, fino all’8 settembre 1943, ricordato nella storia politica nazionale come il governo dei “quarantacinque giorni”. Tutti i poteri furono affidati ai vertici dell’esercito che instaurarono una dittatura militare con a capo il Maresciallo Badoglio. Il nuovo governo si affrettò a rassicurare l’alleato tedesco circa la fedeltà dell’Italia e il proseguimento della guerra mentre invecetramava con gli Alleati, tanto che l’8 settembre 1943 annunciò “tecnicamente” un armistizio ma nella realtà un tradimento: nel volgere di 24 ore i tedeschi divennero improvvisamente nemici e gli invasori americani alleati. Il rovesciamento del fronte e il passaggio dell’Italia dalla parte degli angloamericani regalò l’ opportunità a tutti i partiti antifascisti (comunisti, socialisti, democrazia cristiana erede del partito popolare, azionisti) di riorganizzarsi mentre la guerra continuò per altri 18 mesi nella quale si inserirono i partigiani, alcuni smaniosi di ricostruirsi una verginità politica dopo essersi affermati grazie al Regime, altri in cerca di onorificenze da spendere al tavolo della spartizione del potere alla fine del conflitto. Il 1943 fu indubbiamente l’anno che cambiò il corso della Seconda Guerra Mondiale e i cui eventi determinarono in Italia una drammatica guerra civile. Aurelio Stoppele

COME I LIBERATORI SALVARONO L’EUROPA: LA DISTRUZIONE DI AMBURGO L’estate 1943 vide quella che prese il nome di battaglia di Amburgo. La città tedesca fu sottoposta ad un

bombardamento pressoché ininterrotto dal 24 Luglio al 3 Agosto : l’Air Force attaccò la città con bombe incendiarie e più di 50 mila persone morirono asfissiate o carbonizzate. Fu il più devastante bombardamento nella storia d’Europa, peggiore persino, in termine di perdite umane immediate, degli attacchi con bombe nucleari che avrebbero colpito Hiroshima e Nagasaki due anni dopo.Nella seconda guerra mondiale si fece un ampio ricorso all’ arma aerea contro i civili : nel corso della “battaglia d’ Inghilterra” a causa dei bombardamenti sul centro industriale di Coventry, perirono oltre mille civili, ma gli alleati restituirono i colpi subiti con gli interessi: Amburgo, Colonia, Berlino, Dresda e tutte le altre città tedesche vennero devastate. Indubbiamente Churchill, fu il massimo responsabile della scelta di bombardare indiscriminatamente obiettivi civili, mentre la vulgata degli Alleati, che ci ha sempre raccontato che la Gran Bretagna era stata “costretta” ad entrare in guerra contro la Germania nel 1939, in realtà giova ricordare come gli Alleati salutati dalla storia come “Liberatori” dell’ Europa ridussero, Germania e parte delle città del Nord Italia, in cenere causando centinaia di migliaia di morti innocenti fra la popolazione civile, a puro scopo di vendetta. Nelle notti tra il 24 luglio e il 3 agosto 1943, oltre 2.600 aerei alleati scaricarono su Amburgo circa 9 mila tonnellate di bombe . Accaddero scene di indescrivibile orrore, anche perché i bombardamenti avvenivano in raid successivi al fine di colpire anche i Pompieri e le Squadre di Sanità che intervenivano ad aiutare i sopravvissuti. I civili che cercavano di uscire nelle strade dopo il bombardamento dovettero affrontare una muraglia di fuoco che turbinava alla velocità incredibile di 250 chilometri orari, mentre migliaia di persone venivano incenerite come zanzare. Il peggio toccò agli sventurati che furono colpiti direttamente dal fosforo delle bombe incendiarie di tipo speciale, I morti di Amburgo furono all’incirca 50.000, una vera e propria apocalisse, purtroppo meno conosciuta, ma tutte le vittime di guerra, soprattutto se civili, meritano rispetto e un pensoso riconoscimento. Gianfranco Sangalli, Lima www.alleanzanazionale.it

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ALBERT SPAGGIARI LADRO GENTILUOMO Dal 17 al 19 luglio del 1976, approfittando della chiusura fine settimanale ed utilizzando un tunnel scavato a partire delle fogne del vicinato, una squadra di scassinatori svuotò oltre 300 cassette di sicurezza della Société Générale, la principale banca di Nizza, rubando denaro, oro e gioielli per un valore attuale di 30 milioni di euro. Sul muro, in segno di scherno, scrivono una frase che rimarrà famosa: “Senza odio, senza violenza, senza armi”. Il montante del bottino e soprattutto, la tranquilla audacia del colpo scatenò lo stupore della gente. La mente dell’operazione fu individuata in un fotografo nizzardo di 35 anni, Albert Spaggiari, che negherà la propria partecipazione fino all’arresto della moglie, estranea al colpo, momento in cui si costituì in cambio della di lei liberazione. Bandito, gentiluomo e Fascista. Un trinomio insolito, che descrive solo in parte la complessa e affascinante personalità di Albert Spaggiari, il “Rocambole” del grande furto di Nizza. Il 10 marzo del ‘77, mentre viene interrogato per l’ennesima volta nell’ufficio del Giudice, l’ex Paracadutista si lancia dalla finestra e fugge ancora una volta. Il proprietario della Renault 5 danneggiata dalla sua caduta si vedrà poi arrivare un assegno di risarcimento di 3 mila franchi. Durante la sua latitanza Spaggiari diventa un celebrità : concede interviste in località segrete, scrive tre libri di memorie; per anni viene avvistato un po’ dovunque, dall’Argentina al Paraguay al Cile, ma nella primavera del 1989 viene intercettata una sua telefonata dall’Italia all’anziana madre, annunciandole di avere un cancro alla gola. Il 10 giugno la sua ultima compagna e un gruppo di amici italiani si presentano alla madre con il suo cadavere nascosto nel bagagliaio dell’automobile affinché venga seppellito nel suo paese natale. Andrea Bernardi

Il 19 Luglio 1747 Battaglia dell’Assietta.

In quel tempo truppe franco ispaniche tentavano, come ultimo capitolo della Guerra di Successione Austriaca, di invadere il Regno del Piemonte attraverso il passo del Colle dell’Assietta a 2.500 mt di altitudine. 13 Battaglioni Piemontesi, circa 7.500 uomini, tennero testa al grido “ Bogia Nen” (non muovetevi !) a ben 50 Battaglioni agli ordini del Cavaliere di Bellisle, che cadde in battaglia. Ogni anno, nella Domenica di metà Luglio più vicina al 19, si tiene al Colle una grande rievocazione storica con figuranti in divise del tempo. Fulvio Brentarolli, Consigliere 5’ Circoscrizione www.alleanzanazionale.it

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L’EROE ANTONIO VARISCO Tenente Colonnello CC Antonio Varisco ZARA, Ottobre 1944: sotto una serie di bombardamenti alleati le truppe italo tedesche sono costrette a ritirarsi dalla città Martire, restano sul posto solo un nucleo di Carabinieri per garantire l’ordine pubblico. Mentre i partigiani titini entrano cautamente in città il Tenente Terranova dei Carabinieri sale sul campanile della Cattedrale di S. Anastasia e spiega al vento una grande bandiera Tricolore. In piazza lo attendono i partigiani comunisti che lo fucilano sul posto. Un ragazzo di 16 anni osserva la scena e rimane affascinato dal coraggio del giovane Ufficiale Italiano, diventerà anche lui un Carabiniere e, dopo una vita di onorato servizio, verrà assassinato a Roma dalle brigate rosse comuniste, il 13 Luglio 1979 sul Lungotevere Arnaldo da Brescia, dove ora una targa lo ricorda per sempre. Franco Carlotto, Consigliere 3’ Circoscrizione

Luglio 1943: le verità nascoste dello sbarco americano in Sicilia Per troppo tempo la casta degli storici antifascisti ha privata del giusto riconoscimento gli uomini dell’ Esercito Italiano, che durante la Seconda Guerra Mondiale, si sono distinti per atti eroici a scapito della loro stessa giovane vita. Spesso sui libri leggiamo che durante lo sbarco in Sicilia interi reparti italiani si arresero per codardia ma non risponde a verità, anzi nel corso dello sbarco angloamericano, tra il 9 e il 10 luglio 1943, furono proditoriamente assassinati centinaia di militari italo-tedeschi che dopo giorni di duri combattimenti, tagliati fuori dalle retrovie e terminate le munizioni, erano stati costretti a darsi prigionieri. La stessa sorte accadde anche a numerosi civili, come ad esempio nel centro storico di Gela, raggiunto dagli Alleati dopo aver battuto la resistenza di un battaglione costiero italiano, coadiuvato da un velo di finanzieri, che sacrificarono le loro giovani vite sulla spiaggia, gruppi di soldati americani si abbandonarono a selvaggi comportamenti contro la popolazione civile in sfregio all’ etica militare. Ancora oggi gli anziani ricordano l’omicidio a sangue freddo di una donna uccisa a colpi di mitra assieme ai suoi due bambini, di cui uno di soli tre anni in una viuzza di Gela o ancora la fucilazione, senza motivo, di quattro Carabinieri Reali, compiuta dall’ ottantaduesima divisione USA. Finalmente alcuni giovani giornalisti hanno messo a frutto rigorose indagini storiche per fare luce su tanti episodi nascosti della recente storia della nostra Patria, pubblicando nuovi libri che ci renderanno più orgogliosi del nostro passato apprezzando il valore dei soldati italiani che si batterono con Onore per difendere l’Italia dall’invasione degli Alleati, nonostante la netta inferiorità in forze e mezzi d’ ogni genere. Roberto Perticone, Milano www.alleanzanazionale.it

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ANNIVERSARI

26 luglio 1952 muore Evita Peron

6 luglio 1945: massacro di Schio Il 22 Luglio del 2005 moriva Dragos Kalajic

22 Luglio 1456: liberazione di Belgrado

Luglio 1933: transvolata Atlantica

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INTERVISTA AL PROFESSOR CARMELO FERLITO (TERZA PARTE)

L’ex Ministro delle Minoranze nella Repubblica Islamica del Pakistan, Bhatti, ha affermato che tra le centinaia di migliaia di persone entrate e che entrano in Europa, considerati i controlli veramente carenti, possono certamente annidarsi terroristi islamici. Credo di sì, che dovremo affrontare un periodo di crescente instabilità. Ma credo anche che tale situazione abbia una duplice implicazione. Anzitutto il risvolto politico: cosa può effettivamente essere fatto per ridurre i rischi di attentati e la precarietà dell’ordinario? L’Italia e l’Europa hanno attuato politiche sciagurate a tal proposito. I controlli vanno intensificati e non si può realisticamente pensare che una politica del ‘dentro tutti’ porti buoni frutti. Di certo, andare a creare situazioni di guerra che incrementano i flussi migratori non è tra le strategie vincenti. Mi consenta di aggiungere un’altra implicazione, di natura soggettiva, sul problema dell’instabilità. Quale vita è veramente stabile? La sistematica battaglia contro l’orizzonte religioso attuata dalle élites culturali occidentali ci ha fatti crescere nell’arroganza di essere immortali. Come ha scritto Massimo Fini prima di perdere la lucidità, la morte è divenuta l’unica cosa realmente pornografica per la nostra società. Non si può parlare di morte; non si può discutere di senso della vita e di orizzonti spirituali o finalistici. Ci ubriacano di scempiaggini strappalacrime per censurare l’urgenza di una risposta alla domanda di significato della vita. Come scriveva Albert Camus ne Il mito di Sisifo, «[v]i è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia». Ecco, tale quesito è stato sistematicamente censurato. Pertanto siamo cresciuti credendo che il problema del senso della vita fosse al più una prurigine filosofica. Gli attacchi di Parigi e Bruxelles, come le situazioni in Turchia o in Indonesia, invece, ci costringono a realizzare che la vita è precaria e che pertanto per essere affrontata abbisogna di orizzonti radicali che i centri commerciali e il calcio alla domenica non possono offrire. Abbiamo vissuto vite stabili con strutture personali instabili. La mia speranza è che l’ingresso dell’instabilità nel nostro orizzonte quotidiano possa risvegliarci ed edificare personalità stabili. Come potrebbe essere contenuto questo biblico flusso migratorio ? Da un lato di sicuro è necessario smetterla con una generale politica di accoglienza. Le parlo da immigrato: io non potrei vivere in Malaysia senza un regolare permesso di soggiorno vincolato da un contratto di lavoro autorizzato dal governo in virtù delle mie specifiche qualifiche professionali. La politica del ‘poverini, scappano dalla guerra’ finirà col danneggiarci tutti. Anzitutto sarebbe il caso di smetterla di andare a creare situazioni di caos in casa altrui per poi pagarne le conseguenze a casa nostra. E soprattutto dovremmo smettere di farlo al soldo degli Stati Uniti, che, pur essendo gran parte della causa dell’instabilità, si guardano bene dal sobbarcarsi i costi della situazione. È inoltre necessario sviluppare una coscienza critica nei confronti dell’informazione. Mi chiedo, forse ingenuamente: come è possibile che centinaia di migliaia di persone si muovano a piedi dalla Siria alla Germania? Dove mangiano? Cosa mangiano? Non credo siano ammessi in alberghi e ristoranti durante un percorso di diverse migliaia di chilometri. Chi controlla dunque questo esodo che a me non appare così spontaneo? Nella provincia di Lucca ci sono due parroci che stanno destinando aree di culto islamico all’interno delle loro chiese. Le pare normale ? Stiamo cedendo ad una religione e ad una cultura che non ci appartengono ? Riguardo ai due parroci nello specifico bisognerebbe conoscere più a fondo la loro situazione. Certo è che talvolta si ha la sensazione che certi ambienti ecclesiali abbiano ceduto alla tentazione che in fondo ogni religione va bene in quanto tentativo di avvicinamento al divino. Tale ragionamento deriva da un indebolimento culturale che ha attraversato la Chiesa negli ultimi decenni e che Papa Benedetto XVI ha cercato con forza di contrastare con i suoi meravigliosi appelli all’abbraccio tra Ragione e Fede. È senz’altro vero che in ogni religione è possibile trovare il tentativo umano di rispondere ai quesiti fondamentali dell’esistenza. Ma una cosa è rispettare le altre religioni in virtù di tale tentativo e ben altra cosa è invece riconoscere tutte le religioni ‘come un po’ vere’. Ciò va contro il principio di non contraddizione. Nella sua lettera a Marcello Pera, Benedetto XVI scriveva: «Ella spiega con grande chiarezza che un dialogo tra le religioni nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale che approfondisce le conseguenze culturali della decisione religiosa di fondo». Quindi, mentre urge la capacità di comunicazione con le altre fedi per far fronte ad alcune sfide del nostro tempo, è necessario avere ben chiaro che Cristo ha affermato «Io sono la Via, la Verità, la Vita». Pertanto come cristiani non possiamo ammettere il raggiungimento del Vero senza la mediazione del Cristo. No credo che stiamo cedendo all’Islam. Credo piuttosto che stiamo cedendo alla confusione. Credo che alcuni ambiti del mondo ecclesiale soffrano una crisi culturale e identitaria che li porta verso iniziative confuse, talvolta mosse da buoni sentimenti, ma che rischiano di essere dannose. In sintesi, un dialogo senza chiarezza identitaria e appartenenza non è possibile. L’Europa purtroppo è solo monetaria e gestita da burocrati. Abbiamo assistito prima al problema Grecia, ora l’uscita britannica. Tutto questo accade perché lo spirito unitario che guidava i padri fondatori dell’Unione europea è andato perduto. Se pensiamo al trio De Gasperi-Schumann-Adenauer e poi affianchiamo il trio Renzi-Hollande-Merkel non è difficile realizzare le ragioni di un fallimento.

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