L\'architettura \"lombarda\" in area piemontese

June 6, 2017 | Autor: Chiara Devoti | Categoria: Romanesque architecture, Fernand De Dartein
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Fernand de Dartein: La figura, l'opera, l'eredità Saluti degli Enti patrocinanti e del Comitato d'onore

Louis Godart, Le fonti della conoscenza, 4; Giovanni Azzone, "Antichi maestri" politecnici, 6; Angelo Torricelli, Rilievo, disegno, progetto e l'identità in architettura, 7; Enrico Bordogna, Il Dipartimento di Progettazione dell'Architettura e l'importanza di un convegno, 9; Stefano Della Torre, Il mutevole confine tra rilievo e restauro "sulla carta", 11; Arturo Carlo Quintavalle, Ma esiste l'arte lombarda?, 12; Letizia Casati, Interrogare il dettaglio come strumento di conoscenza, 16; Anna Maria Segagni, Il Romanico pavese: passato e futuro, 17; Claudia Guastella, L'Étude, una lettura catanese?, 18 Saggi introduttivi

Marco Dezzi Bardeschi Dominique Demenge Marie-Thérèse Camus, Aurélia Bolot-de Moussac Cécile Treffort

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1810-1860: l'architettura lombarda fino a Dartein Derniers écrits en guise de testament Fernand de Dartein (1838-1912): de la découverte de ses dessins des églises lombardes à leur exploitation scientifique: une opération du CÉSCM de Poitiers Relevés épigraphiques dans les carnets d’Italie

La storiografia, il disegno e il rilievo, l'insegnamento

Gabriella Guarisco Damiano Iacobone Gianpaolo Treccani Maria Cristina Loi Chiara Dezzi Bardeschi Estelle Thibault

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Il Romanico: una questione linguistica Dartein-Hope: la centralità del medioevo “lombardo” nella storia dell’architettura Giulio Cordero di San Quintino e il restauro a Brescia nell'Ottocento Sull’uso del disegno in architettura. Il caso del San Lorenzo a Milano «Savoir c'est prévoir». Questioni di metodo: dall’archeologia al restauro Enseigner l’architecture à l’École Polytechnique (1867-1910)

I 'monumenti lombardi': una rivisitazione

Nora Lombardini 99 Tancredi Bella 110 Marco Leoni 121 Gabriella Guarisco 131 Luigi Carlo Schiavi 146 Jessica Gritti 158 Vittorio Foramitti 168 Lucio Fontana 174 Marco Dezzi Bardeschi 179 Chiara Devoti, Monica Naretto 185

Ravenna: i monumenti lombardi, una rivisitazione Milano: Sant'Ambrogio e San Celso, disegni e lettere inediti Como: Fernand de Dartein e i restauri della basilica di Sant’Abbondio Como: Lombardo e “comacino”. I restauri di San Fedele e di San Carpoforo Il successo europeo del romanico pavese Almenno: Dartein e l'architettura medievale bergamasca Cividale: studi e restauri del Tempietto Longobardo “La Cathédrale de Modène” e la sua fortuna critica Bonate: Santa Giulia nel taccuino di un giovane allievo L'architettura "lombarda" in area piemontese

Scienza e tecniche dei ponti in pietra

Bernard Marrey 191 Maria Antonietta Crippa 192 Carmine Gambardella, 202 Manuela Piscitelli Catherine Isaac 208 Chiara Occelli, Riccardo Palma 212

Vivent les ingénieurs! les ponts ne sont pas anonymes Lo studio dei ponti in pietra Il rilievo dei ponti e la cultura geometrica francese Considérations sur la notion d’«écoles régionales» des ponts L'invenzione del MiTo. Il futuro del Canale Cavour (1863-1866)

Relazione conclusiva

Arturo Carlo Quintavalle

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Lombardia, Medioevo e idee di nazioni

L’ARCHITETTuRA “LOMBARDA” IN AREA PIEMONTESE CHIARA DEVOTI, MONICA NARETTO Abstract: The paper starts from the important Étude sur l'architecture lombarde by de Dartein, verifying the information about Roman architecture in Piedmont and Valley of Aosta. It tries to connect the details coming from de Dartein’s work with the cultural and local milieu, but also with the new critic contributions appeared in the last years. It investigates also the directions followed by the preservation of those so important buildings. I confini dell'“architettura lombarda“. L’Étude sur l’architecture lombarde di Fernand de Dartein, in due volumi editi a Parigi tra il 1865 e il 1882, corredati di tavole1, non può non apparire un punto fermo nello studio dell’architettura “lombarda” nella sua culla d’origine. Una culla, tuttavia, i cui confini appaiono abbastanza incerti. Come ha giustamente annotato Tosco, «la grande macroregione lombarda viene identificata come sede primaria di una scuola architettonica romanica, intesa nell’estensione della Langobardia Maior, comprendente tutta l’Italia settentrionale»2, sicché non è tanto la topografia, quanto la rispondenza a specifici caratteri stilistici, a declinare l’appartenenza del singolo “monumento” alla “maniera lombarda”. Alla definizione, poi, dei caratteri di questa maniera molto dovevano la tradizione inglese, che per prima aveva coniato il termine, e successivamente le lezioni di Pietro Selvatico all’Accademia di Venezia3. Quel «roman» alla francese, «romanesque» all’inglese, si legavano inscindibilmente al concetto di «lombard, lombardo», con cui Paolo Verzone, grande studioso di architettura romanica e alto medievale, si trovava a combattere negli anni Trenta recensendo il lavoro di Puig y Cadafalch sulla primitiva arte romanica e che campeggiava sin dal

titolo nella monumentale opera di Arthur Kingsley Porter dalla quale prendevano le mosse i maggiori studi sulla diffusione del romanico4.

F. de Dartein, Vue intérieure de Sainte-Foi à Cavagnolo, gravure, Étude sur l’architecture lombarde..., Dunod, Paris, 1865-1882, Première partie, p. 449

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Le annotazioni di Dartein. Il repertorio “lombardo” di Dartein fuori dai confini della Lombardia in quanto specifica regione d’Italia, in Piemonte (comprendente anche la Valle d’Aosta) annovera le cattedrali di Acqui, Aosta, Casale Monferrato, Ivrea; i battisteri di Asti (in realtà una rotonda di modello ierosolimitano, divenuta battistero solo dalla fine del XIII secolo) e Biella; la pieve di San Lorenzo in Montiglio e le abbazie di Santa Fede a Cavagnolo e di Santa Maria a Vezzolano (Albugnano)5, una scarsa rappresentanza dell’intero patrimonio architettonico romanico presente. Le scelte operate appaiono di estremo interesse, perché saranno ribadite – seppure gradatamente allargate con altri esempi in terra piemontese – con continuità nelle opere seguenti, di Edoardo Mella, con i due volumi degli Elementi di architettura lombarda e degli Elementi di architettura romana-bizantina detta lombarda, entrambi del 1885, di Giovanni Teresio Rivoira, con Le origini della architettura lombarda e delle sue principali derivazioni nei paesi d’oltralpe, edito a Roma nel 1901, fino ad [E. Arborio Mella, attribuito a], Restauro laterale del Duomo [di Casale], s.d. Casale Monferrato, Ufficio Tecnico del Comune

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Arthur Kingsley Porter, con la sua monumentale Lombard Architecture, in quattro volumi, edita dalla Yale University Press tra il 1915 e il 1917, che finalmente renderà onore quasi all’elenco completo degli edifici romanici, ancora una volta innanzitutto “lombardi”, ma non dimenticherà i primi segnalati da Dartein. L’elenco degli edifici citati dall’Étude sur l'architecture lombarde appare anche fortemente contrassegnato dallo spirito di scoperta del suo autore, guidato sul campo da alcuni dei personaggi maggiormente impegnati, per l’area, nello studio e non di rado nel restauro di quelle stesse fabbriche: per il Monferrato e più in generale il Piemonte è senza dubbio lo stesso Arborio Mella, «l’autorità scientifica locale ormai riconosciuta a guidare il giovane ingegnere dei Ponts et Chaussées nelle sue visite sul campo»6. Mella era in quegli anni infatti coinvolto a tempo pieno nell’intervento sulla cattedrale di Sant’Evasio in Casale, per la quale presentava proprio nel 1858 il progetto di restauro, ampiamente lodato da Castellazzi e, indirettamente, da Carlo Promis, certamente la maggiore autorità del momento in campo architettonico, iniziatore della cultura politecnica torinese, mentre operava al contempo a Santa Fede a Cavagnolo, lasciando splendidi disegni dell’abbaziale7. Similmente per l’abbazia di Vezzolano e per San Lorenzo di Montiglio – così vicina alla strepitosa pieve di San Secondo di Cortazzone che solo un giudizio di rispondenza ad altri canoni, più “antichi”, può averne determinato l’esclusione – la guida sembra riconfermarsi. Il “battistero” di Asti, in realtà complesso di San Pietro in Consavia, non era all’epoca ancora stato restaurato (avrebbe attirato le attenzioni dell’ufficio di tutela torinese – diretto da Alfredo d’Andrade – nel 1897), ma era stato ampliato e in parte ridecorato per iniziativa locale, e la cosa era certamente nota al Mella; quello di Biella allo stesso modo era ancora in attesa di restauro. Un discorso a parte, invece, meritano le due citazioni per le cattedrali di Aosta e di Acqui, ricordate solo per i mosaici, di cui il primo scoperto nel 1845, noto certamente al Porter, che lo cita con la sua iscrizio-

ne, e il secondo conosciutissimo, per la sua datazione alta, ben oltre i confini nazionali. Scarso interesse destano gli edifici, di grande pregio e con fondazione di età ottoniana, agli occhi di Dartein, che pare in questo caso aver desunto le informazioni per via indiretta, e che non le mette adeguatamente in relazione con il duomo di Ivrea, pure citato per la medesima origine. Credo che in questo caso il tramite della conoscenza possa essere ancora Promis per Acqui e, per l’area valdostana, il priore della collegiata di Sant’Orso Jean-Antoine Gal (17951867), che intrattenne relazioni di studio con eminenti personalità della cultura italiana ed europea del tempo, invitato dalla Accademia prussiana delle scienze a collaborare con Theodore Mommsen al colossale lavoro di ricognizione delle iscrizioni romane (nel suo caso quelle aostane) edito nel Corpus Inscriptionum Latinarum, fondatore della locale Académie de Saint-Anselme, per lo studio della storia locale (1855) e redattore nel 1862 della prima carta archeologica del ducato, allegata al suo Coup d'oeil sur les antiquités du duché d'Aoste. Le “altre” fabbriche. Alcune omissioni nella trattazione di Dartein appaiono singolari: il priorato di Sant’Orso in Aosta, per esempio, con il suo chiostro, per il quale sono stati proposti a più riprese dalla critica richiami alverniati, è studiato per la prima volta da una pubblicazione anonima, ma certamente attribuibile sempre al priore Gal, del 18648, eppure non compare; tra i complessi monastici l’abbazia di Santa Giustina a Sezzadio e quella di San Giulio sulla omonima isola del lago d’Orta, più vicine all’area milanese, erano note e la seconda in particolare sarebbe di lì a poco stata oggetto di interessamento da parte di d’Andrade, ma anch’esse non figurano. Certamente vistosissima l’assenza della Sacra di San Michele, caratterizzata da interventi consistenti dello stesso Arborio Mella e poi di d’Andrade, ma soprattutto la mancanza di quella vera costellazione di «chiesuole» che connotano le campagne astigiane e monferrine. Vale allora forse più che mai la considerazione di Porter – au-

tore del riconoscimento della maggior parte degli edifici romanici della nostra area – che «de Dartein's drawings were, and are, and probably always will be, the nec plus ultra of measured drawings, [but] unfortunately the text of the work is far from being so remarkable as the atlas. From the [archaeologists of northern Italy] he gathered all the information they were able to give him, and transcribed it C.D. in his text […]»9. Restauri e conservazione tra riscoperta del medioevo e istanze di tutela. L’influenza dell’opera di Dartein, come occasione di scoperta e apprezzamento dell’architettura “lombarda” tra la seconda metà del XIX secolo e primi decenni del successivo, è da tempo accertata10. I più influenti protagonisti della tutela e del restauro dell’Italia unita citano tutti senza riserve, pur in differenti contesti e occasioni, lo studioso francese quale importante riferimento, sia negli anni in cui l’Étude è in corso di pubblicazione, sia nei decenni successivi. Così G. Vico, Frammenti di pavimento a mosaico trovati nel Presbiterio della Cattedrale d'Acqui nel Luglio 1845, disegno a matita su carta lucida, mm 302x301, 1845. Torino, Biblioteca Reale, Miscellanea Storia Patria, 43.5

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ne scrive Boito nell’Architettura del Medio Evo in Italia, data alle stampe nel 1880: «[…] noi aspettiamo sovente che gli stranieri ci confermino l’importanza delle cose nostre; e figuratevi che, mentre in un buon giornale di Como si stampavano certe interminabili filastrocche […] per mostrare che la chiesa di Sant’Abondio è una goffa anticaglia, degna di esser buttata giù, il Dartein, architetto francese, la misurava, illuminato dalle nuove scoperte, con paziente ed amorosa cura, per darne i disegni in Studio Alinari, Aosta, Piemonte, Collegiata di Sant'Orso. Un dettaglio del chiostro (XII secolo), fotografia b/n, [fine XIX secolo]. Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Fondo d’Andrade, n. 187F

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quella sua stupenda opera sull’architettura lombarda, già cominciata a pubblicare in Parigi»11. La disamina letteraria e le pregevoli «planches de l’atlas» dell’«appassionato giovane studioso straniero»12 sortirono almeno un duplice effetto: segnarono l’avvio della fortuna storiografica dell’architettura del medioevo «in cui sembrano coagularsi i più alti ideali civici di autonomia e indipendenza delle comunità locali»13, e al contempo costituirono quella prima base conoscitiva, critica e figurata, che è il supporto naturale per la comprensione e l’avvio di un processo di tutela e conservazione, seppure più propriamente intrapreso allora in termini di vero e proprio “restauro”. È sintomatico poi che il più giovane fra i restauratori di quella progenie, Luca Beltrami, abbia dedicato alla figura di Dartein il suo ultimo scritto (1933), incompiuto ed edito postumo insieme a una fra le lettere inedite dell’epistolario intercorso tra i due14, a confermare che, a più di sessant’anni dall’avvio alle stampe del repertorio e vent’anni dopo la scomparsa dell’autore15, l’eco del suo lavoro era ancora vitale. Nelle letture operate da Fernand de Dartein sulle fabbriche è già possibile riscontrare, al di là della consistenza architettonica e artistica, «una prima proposta di restauro per eliminare tutte le indesiderate intrusioni ed interpolazioni, dovute al succedersi dei tempi e delle mani degli uomini, che ne inquinavano e offuscavano i caratteri costitutivi originari»16. Lo studioso francese, e insieme e dopo di lui altri, fra cui Edoardo Arborio Mella, Alfredo d’Andrade, Riccardo Brayda, Cesare Bertea per portarsi ora verso il territorio di indagine, nel momento stesso in cui traspongono in disegno le permanenze, non possono fare a meno di cedere al sentimento che tende a far rivivere le forme e i tempi passati, facendo riferimento «al così detto stato originario presunto»17 e dunque emendando, nella rappresentazione, quelle criticità e difformità che nel tempo, con effetto di stratificazione, si sono aggiunte a formare la complessità materiale del testo. Le fabbriche romaniche sul territorio piemontese e valdo-

stano, quelle citate da Dartein e altre emblematiche che successivamente sono state incluse per peculiarità architettoniche e artistiche al vasto repertorio dell’architettura “lombarda”, non sono sfuggite a una precoce tutela (attivata già a partire dall’ultimo quarto del XIX secolo) e, talvolta, a interventi di ripristino delle forme originarie che ne hanno proposto, tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi vent’anni del Novecento, una categorica rilettura materiale. La Relazione dell’Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti del Piemonte e della Liguria. Parte I 1883-189118, compilata da Alfredo d’Andrade che ne fu direttore dalla sua costituzione fino al 1915, documenta la prima attività di catalogazione, tutela e restauro dell’ufficio, che aveva competenza sul territorio del Piemonte, di cui faceva parte anche la Valle d’Aosta, e della Liguria19. Negli anni di formazione dei cataloghi ministeriali – che nel tempo comprenderanno l’intero patrimonio di origine medievale – sono menzionati, riportando le motivazioni che avevano generato attenzione e cura per i singoli monumenti, la chiesa di «Santa Maria di Spinairano [Spinerano] a Ciriè», nel Canavese sudoccidentale, il complesso abbaziale di Santa Fede a Cavagnolo Po, la chiesa di San Pietro a Pianezza, la Sagra presso Chiusa San Michele con un primo rapporto sulle indagini storiche, le consistenze materiali e la messa in sicurezza con opere provvisionali imposta dal preoccupante quadro fessurativo delle strutture voltate e dal “fuori piombo” dei pilastri20, il castello di Ivrea, a Torino Palazzo Madama come stratificazione del castello degli Acaja e la casa «medievale» di via dei Mercanti; in Valle d’Aosta i castelli di Verrès, Fénis e Montjovet presso Saint-Germain (oggetto di cospicue spoliazioni), la parrocchiale di Saint-Vincent, il priorato di Sant’Orso, la torre del castello di Oyace; il complesso di Santa Maria di Castello ad Alessandria, i castelli di Moasca e Monastero Bormida, la chiesa di San Giovanni a Saluzzo, la chiesa di San Marco a Vercelli e la parrocchiale di Roccapietra21. Numerosi altri siti, fra cui Vezzolano e

Montiglio, erano già stati tema dell’interesse personale di d’Andrade nelle sue perlustrazioni per lo studio sul campo del patrimonio costruito storico22. Molte fra le fabbriche medievali riportate in questo primo rapporto furono segnalate e monitorate per la loro critica condizione patologica o per cambi di proprietà che avrebbero potuto indurre inopportune alienazioni, segno che, di là dal criterio “stilistico”, la priorità era sancita anche dall’urgenza della conservazione. Fra tutti, due cantieri possono essere menzionati per l’antinomia dei modi di attuarvi la “conservazione”. Il [C. Bertea], Aosta. Priorato di S. Orso [progetto di restauro], disegno a inchiostro nero e grigio su carta, mm 325 x 430, [ante 1916]. Torino, Archivio Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Torino, Asti, Cuneo, Biella, Vercelli, Fondo d’Andrade, cart. 3/3/123, fasc. 3/3/50-123, n. 3/3/11

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priorato di Sant’Orso in Aosta catalizzò importantissime risorse e fu oggetto all’inizio del XX secolo, dopo approfondite campagne di studi, di interventi di integrazione urbanistica, consolidamenti, demolizioni, sostituzioni selettive e ripristini secondo l’approccio mimetico volto a “ricomporre l’unitarietà medievale” del complesso23, interventi che è possibile ripercorrere sulla base di una disponibilità documentaria di grande portata lasciataci da generazioni di restauratori (d’Andrade, Bertea, Mesturino)24. L’abbazia di Santa Fede a Cavagnolo, già descritta anche graficamente da Dartein, per i suoi sofferti passaggi di proprietà dopo l’incamerazione dei beni ecclesiastici e per una persistente penuria di disponibilità economiche, fu costantemente monitorata, ma “curata” solo puntualmente con criteri paragonabili agli indirizzi del “minimo intervento”25. Le stratificazioni che nei secoli si sono accumulate sulla sua architettura “lombarda”, comunque ben decifrabile, sono tutt’oggi conservate e determinano un palinsesto culturale. M.N. 1. F. De DarTein, Étude sur l’architecture lombarde et sur les origines de l’architecture romano-byzantine, Dunod, Paris, 1865-1882. 2. C. ToSCo, Il Monferrato come scuola architettonica: interpretazioni critiche di un tema storiografico, in «Monferrato. Arte e Storia», n. 9, 1997, pp. 45-77 e in specifico p. 46. 3. Approntato in T. Hope, An Historical Essay on Architecture by the late Thomas Hope, London, 1835 e prima traduzione italiana a cura dell’ingegner Gaetano Imperatori, Milano, 1840, p. 196; per la diffusione p. SelvaTiCo, Storia estetico-critica delle arti del disegno, vol. II, Venezia, 1856, p. 76. 4. p. verzone, La geografia e le origini della primitiva arte romanica, di J. Puig y Cadafalch, in «Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti», nn. 3-4, XV, 1931, pp. 3-4; p. verzone, A.K. Porter, in «Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti», nn. 1-2, XVIII, 1934, pp. 138-139. 5. Cattedrali: Acqui (III, 490), Aosta (II, 256 e III 490-492), Casale (II, 327, III, 491-492); battisteri: Asti (II, 399), Biella (II, 366, 406-408, 410-411); pievi: Montiglio (II, 448); abbazie: Cavagnolo (II, 448-449), Vezzolano (II, 448-449, III, 500). 6. C. ToSCo, Il Monferrato come scuola ...., 1997, p. 50. 7. Per la vicenda del restauro al duomo di Casale e per il coinvolgimento di Castellazzi e Promis: C. DevoTi, Un restauro mancato: Giovanni Castellazzi e il duomo di Sant’Evasio a Casale Monferrato, in «Monferrato. Arte e Storia», n. 9, 1997, pp. 79-93; per lo studio su Cavagnolo: r. ienTile, C. DevoTi, M. nareTTo, Un test per il romanico piemontese: Santa Fede a Cavagnolo, in «'ANANKE», n. 35-36 (settembre-dicembre 2002), pp. 132-149.

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8. [J.-a. Gal], L’insigne Collégiale de St. Pierre et de St. Ours d’Aoste, Tip. Mensio, Aoste, 1864. 9. a. k. porTer, Lombard Architecture, 4 voll., Yale University Press, New Haven & London, 1915-1917, I, p. 4. 10. G. GuariSCo, Romanico, uno stile per il restauro. L’attività di tutela a Como 1860-1915, Franco Angeli, Milano, 1992. 11. C. BoiTo, Architettura del Medio Evo in Italia, con una introduzione sullo stile futuro dell’architettura italiana, Hoepli, Milano, 1880, p. 5. 12. M. Dezzi BarDeSCHi, Ridurre a ciò che esser dovea è restaurare, in G. GuariSCo, Romanico uno stile..., 1992, p. 11. 13. M. Dezzi BarDeSCHi, Ridurre a ciò che esser dovea è restaurare, in G. GuariSCo, Romanico uno stile..., 1992. 14. [l. BelTraMi], Ferdinand de Dartein, in L’ultimo scritto di Luca Beltrami nel primo anniversario della morte, VIII agosto MCMXXXIII, Tipografia A. Cordani, Milano, 1934. Lo scritto doveva probabilmente essere pubblicato nella serie Rievocazioni dell’Ottocento che Beltrami teneva, alternandola ad articoli monografici, sul periodico fiorentino «Il Marzocco». La rivista cessò tuttavia nel dicembre 1932. 15. Parigi, 19 febbraio 1912. 16. M. Dezzi BarDeSCHi, Ridurre a ciò..., 1992, p. 11. 17. G. GuariSCo, Romanico uno stile…, 1992, p. 19. 18. a. D’anDraDe, Relazione dell’Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti del Piemonte e della Liguria. Parte I. 1883-1891, Vincenzo Bona Tipografo, Torino, 1899. L’Ufficio, nella sua veste istituzionale, era stata preceduto da una Commissione sui restauri del palazzo Madama di Torino, voluta dalla Municipalità e nominata del Ministero dell’Istruzione Pubblica nel 1883 e dalla Regia Delegazione per la conservazione dei monumenti tra il 1885 e il 1886. 19. Sulle vicende dell’Ufficio: D. BianColini, L’attività di Alfredo d’Andrade tra il 1884 e il 1915: da regio delegato a soprintendente; e C. viTulo, L’Elenco ministeriale degli edifici di interesse storico-artistico: precedenti e risvolti operativi, in M.G. Cerri, D. BianColini Fea, l. piTTarello (a cura di), Alfredo d’Andrade. Tutela e restauro, Vallecchi, Firenze, 1981, pp. 57-84. 20. a. D’anDraDe, Relazione…, 1899, pp. 38-39. 21. Non sono qui citate le numerose fabbriche del territorio ligure oggetto della Relazione. 22. I rilievi e gli appunti di studio redatti a titolo personale da d’Andrade nella sua lunga e feconda attività sono conservati presso la Galleria d’Arte Moderna di Torino, Fondo d’Andrade. 23. M. nareTTo, Restauri tra Otto e Novecento al complesso di Sant’Orso in Aosta, in Politecnico di Torino, Dipartimento Casa-Città, Scuola di specializzazione in Storia, analisi e valutazione dei beni architettonici e ambientali, De Venustate et Firmitate. Scritti per Mario Dalla Costa, Celid, Torino, 2002, pp. 466-475. 24. La fortuna del priorato di Sant’Orso non ha conosciuto flessioni. Importanti cantieri sperimentali di conservazione degli apparati in cotto sono stati messi in atto tra il 1998 e il 2000 e il monitoraggio da parte della Soprintendenza per i Beni e le Attività Culturali della Valle d'Aosta è costantemente attivo. 25. La tutela e i restauri dell’abbazia di Santa Fede, fino all’attualità, sono documentati in r. ienTile, C. DevoTi, M. nareTTo, Un test per il romanico piemontese…, 2002, pp. 150-175.

F. de Dartein, Frontespice de l’Étude sur l’architecture lombarde..., 1882. APFD (Cl. CÉSCM - E. Michaud, coll. privée Demenge - Dartein)

Fernand de Dartein (1838-1912) la figura, l’opera, l’eredità giornata di studio in occasione del centenario della morte e presentazione del Quaderno della rivista |ANANKE

giovedì 24 maggio 2012 ore 9.30 aula Castiglioni edificio PK - campus Bovisa via Durando 10, 20158 Milano

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