L\'architettura tra segno e disegno

July 26, 2017 | Autor: Enrico Ansaloni | Categoria: Drowning, Architeture
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Descrição do Produto

Andrea Dragoni (Perugia 1969) si è laureato con Paolo Zermani presso la Facoltà di Architettura di Firenze. È stato professore a contratto presso Facoltà di Architettura e Società del Politecnico di Milano (2005-2011) e la Facoltà di Ingegneria di Perugia, dal 2012 insegna presso l’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” a Perugia. Progetta e realizza opere in Italia e all’estero per istituzioni pubbliche e private. Tra i premi internazionali più significativi si ricordano: l’Iconic Award 2014 (Best of Best), il Premio “IQU” IX edizione, la selezione nel Barbara Cappochin 2011 e nel Dedalo Minosse VIII edizione. Nell’AR+D Emerging Architecture Awards 2012 riceve l’Highly Commended, mentre negli Emirates Glass LEAF award 2013 è finalista nella categoria “Best public buildings”. Suoi lavori sono stati pubblicati nelle più importanti riviste internazionali e oggetto di monografie come Il profilo del cielo, edito da Skira nella collana di architettura. Tra le mostre più recenti partecipa a Emerging architecture, presso il Royal Istitute of British Architects a Londra, 2012.

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«L’insegnamento dell’architettura, nei casi migliori vale quale paradigma autentico della più nobile trasmissione di saperi. Nel nome di un’arte del comporre che costruisce il progetto ed esso costruendo si definisce come strumento di un agire umano dei più necessari e gloriosi. Tecnica per Aldo Rossi, scienza, oggi, per Antonio Monestiroli, linguaggio problematico e dimidiato delle arti figurative frequentemente alle prese non tanto e non solo con un ricambio delle tendenze che lascia inalterate le procedure tecniche, appunto, che determinano l’esistenza dell’edificio, ma pure con una costante, insoddisfatta necessità di definirsi e ridefinirsi come disciplina autonoma stabilita iuxta propria principia».

l’Architettura tra segno e disegno

Enrico Ansaloni (Modena 1977) si laurea in Architettura alla Facoltà Valle Giulia dell’Università La Sapienza di Roma nel 2004. Consegue il Dottorato di Ricerca in Progettazione Architettonica e Urbana SSD ICAR 14 presso la Facoltà di Architettura dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria nel 2009. Dal 2005 al 2012 collabora all’attività accademica del Professor Franco Purini sia al Laboratorio di Sintesi Finale tenuto a Roma sia al Corso di Architettura e Composizione Architettonica IV dell’intercorso di Laurea Edile/Architettura della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Perugia assieme al Prof. Arch. Roberto De Rubertis. Dal 2012 nella stessa Facoltà è Professore a contratto del modulo Progettazione Architettonica. Tra le pubblicazioni più significative i volumi: Giuseppe Vaccaro - Asilo a Piacenza 1953-1962, Ilios 2010 e S[P]Et-City - Setting-up spectacular archtecture, Librìa 2012, quest’ultimo frutto della tesi di dottorato. Dal 2007 svolge la libera professione, il docente nelle scuole secondarie ed è impiegato presso l’area patrimonio di ASPI. Si diletta nella curatela di mostre, da cui nasce il presente volume.

l’Architettura

tra segno e disegno a cura di Enrico Ansaloni Andrea Dragoni

Dalla Prefazione di Gianni Contessi

Franco Purini, Superficie verde, 2014, particolare

l’Architettura tra segno e disegno

l’Architettura

tra segno e disegno a cura di Enrico Ansaloni Andrea Dragoni

© 2015, Futura soc. coop. Tutti i diritti riservati Via S. Penna, 89 - Perugia Tel. 0755280146 - Fax 0755280148 www.futuralibri.com – [email protected] ISBN 88-97720-89-7 È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la copia fotostatica, non autorizzata.

INDICE

Prefazione

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Elogio del magistero, Gianni Contessi I

II

Introduzione Il dualismo tra disegno e architettura, Enrico Ansaloni

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L’enigma del disegno, Andrea Dragoni

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Segno, tra scrittura e disegno Vuoto e Architettura, Andrea Antonucci

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L’architettura e il disegno, Giovanni Argentati

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Il disegno è pensiero, Viviana Cirillo

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Autonomia ed eteronomia del disegno in architettura, Enrica Corvino

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Un linguaggio della mente, Aurora Del Sette

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Il disegno e la traccia_La traccia del disegno, Giada Domenici

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Il disegno e l’architettura: il codice di un Tempio Labirinto, Francesca Ferrara

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Architettura è ancora Disegno, Giulio Galli

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Sostanza di cose disegnate, Antonello Leggiero

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Alcune riflessioni tra architettura e disegno di architettura, Giorgios Papaevangeliu

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Spartiti architettonici, Alberto Saccà

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Il disegno fra ricerca e comunicazione, Pietro Zampetti

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III

Immaginare l’Architettura - 15 disegni di Franco Purini

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IV

Contributi Luoghi e percorsi di civiltà, sul disegno di Franco Purini, Maurizio Coccia

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La sola logica, Roberto De Rubertis

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Quindici finestre spalancate sul mondo delle idee, Paolo Belardi

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Post-fazione Promemoria per Trevi sul disegno di architettura, Franco Purini

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Prefazione

Elogio del magistero

PREFAZIONE

Gianni Contessi Con molta convinzione e quasi con entusiasmo, il rettore di un ateneo italiano, non degli ultimi, meno di un anno fa ebbe a dichiarare che l’epoca delle università dei maestri era finita. Qualcuno rimase sgomento, pur nella consapevolezza dei tempi e dei luoghi. Come tutto ciò si era reso possibile? Chi aveva aperto la strada all’aziendalizzazione degli istituti superiori e alla trasformazione dello studio e della formazione nella pratica di un disinvolto “gratta e vinci” fondato sull’introduzione dei cosiddetti crediti? E pensare che, molto tempo fa, quell’illuso di Sir Ernst Gombrich aveva dichiarato che compito dell’Università è la trasmissione di tradizioni. In questi mesi circola in Italia (si fa per dire) la riedizione di un classico della storia della critica d’arte, che rievoca fra l’altro le glorie della Scuola di storia dell’arte dell’università di Vienna, quel La storia dell’arte nelle esperienze e nei ricordi di un suo cultore che dobbiamo a Julius Von Schlosser, maestro della nobile ma non pacificata Scuola, la cui opera, nel 1936 venne ospitata nelle edizioni Laterza, auspice attento Benedetto Croce, e da allora mai più riproposta. Di maestro in allievo, si sono inanellati i passaggi di generazione in generazione che sostanziano la forma della scuola e che due guerre mondiali, la dittatura hitleriana e l’occupazione alleata, non sono riuscite ad alterare eccessivamente. L’idea stessa di magistero veniva così confermata nella sua essenza e nelle sue dinamiche che, oggi, l’università italiana, da decenni in preda a ministri e ministeri non si sa se più stolti o demagogici e sia pure a fronte di comportamenti non sempre commendevoli della classe docente, sicuramente da censurare, ha inteso liquidare trasformando antiche università in aziende burocratizzate simili alle scuole medie. Del resto il ministero è lo stesso. Per loro natura, resistono i conservatori di musica e le facoltà (i dipartimenti) di architettura, dove addestramento e formazione concorrono, uniti, alla costruzione dell’identità culturale di allievi consapevoli e bastantemente motivati. La specificità disciplinare della scelta fatta impedendo la genericità o la svogliatezza della frequentazione. Si aggiunga, in fine, il senso da subito vagamente affiliativo della iscrizione ai ruoli quasi ecclesiale e si comprenderanno talune cadenze e pratiche di un’affiliazione destinata a conferire la competenza del mestiere. L’insegnamento dell’architettura, nei casi migliori vale quale paradigma autentico della più nobile trasmissione di saperi. Nel nome di un’arte del comporre che costruisce il progetto ed esso costruendo si definisce come strumento di un agire umano dei più necessari e gloriosi. Tecnica per Aldo Rossi, scienza, oggi, per Antonio Monestiroli, linguaggio problematico e dimidiato delle arti figurative frequentemente alle prese non tanto e non solo con un ricambio delle tendenze che lascia inalterate le procedure tecniche, appunto, che determinano l’esistenza dell’edificio, ma pure con una costante, insoddisfatta necessità di definirsi e ridefinirsi come disciplina autonoma stabilita iuxta propria principia. Accade tuttavia che descrizioni o, se si preferisce, narrazioni disciplinari attualmente in circolazione, vuoi di tipo monografico, vuoi di genere più

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ampio, ricorrano ad argomentazioni e a riferimenti extra-disciplinari imponenti, trattandosi talvolta di veri e propri saccheggi da altre campi delle scienze umane, in evidente contraddizione con la pretesa autonomia teoretica e culturale della disciplina. Il fatto è che solo teoreticamente l’architettura riesce ad essere veramente autonoma e pure tecnicamente. Difficilmente riesce ad esserlo dal punto di vista storiografico e ancor meno da quello critico. E non crediamo che sia un’eresia affermarlo. Al di là di parole e concetti, ovvero di parole che illustrano concetti (già, il pensiero è linguaggio) tutti strumenti ineludibili di qualsiasi trasmissione di saperi, se non si vuole revocare in dubbio l’appartenenza dell’architettura al novero delle arti del disegno di memoria vasariana. Il quale Giorgio Vasari ne: “il fine della introduzzione” delle Vite (edizione del 1550) ci ricorda che: «professioni et arti ingegnose si vede [che] derivano dal disegno, il quale è capo necessario di tutte, e non l’avendo non si ha nulla. Perché se bene tutti segreti et i modi sono buoni, quello è ottimo, per lo quale ogni cosa perduta si ritrova, et ogni difficil cosa per esso diventa facile, come potrete vedere nel leggere le vite degli artefici; i quali dalla natura e dallo studio aiutati, hanno fatto cose sopra umane per il mezzo solo del disegno...».

E poiché è bello confrontarsi con la sopravvivenza di forme espressive e comunicative ritenute obsolete o in via di obsolescenza (Henri Focillon ne gioirebbe) e posto inoltre che non sempre ciò che è reale è pure razionale, è motivo di soddisfazione il poter parlare qui di una sopravvivenza istituzionalizzata. Non solo perché essa ha trovato ricetto nella Facoltà (o Dipartimento) di Architettura dell’Università di Roma, ma anche perché essa ha preso forma grazie al magistero esercitato da Franco Purini, forse reso più intenso dopo il rientro dal settennato trascorso all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, dove certamente ha lasciato una notevole impronta. Gli è che forse a Roma ragioni e funzioni del disegno, in assenza di inquadramenti politecnici, hanno trovato un terreno più adatto, come è dimostrato anche dai termini del dibattito animato, alla fine del anni Ottanta, dalla rivista XY dimensioni del disegno, promossa e sagacemente diretta da Roberto De Rubertis e di cui lo stesso Purini fu sponda e interlocutore. Essendo inoltre che De Rubertis intese il periodico non solo come strumento militante di dibattito, ma anche come veicolo di una più ampia analisi dell’intero territorio della rappresentazione. Ne fa fede il fatto che il comitato scientifico annoverasse il nome di Decio Gioseffi. Giovani e meno giovani cultori dell’architettura, molto attenti all’attualità più flagrante e probabilmente affascinati dai prodotti reclamizzati da rotocalchi o altre forme di comunicazione, forse avranno rinunciato volentieri all’attivazione di quel pensiero della mano che oggi il mezzo informatico ha contribuito a destituire di fondamento, sebbene non abbia ancora potuto sopprimere completamente la tradizione del disegno che, di un’archi-

PREFAZIONE

tettura intesa come aspetto prestigioso e non esornativo della cultura umanistica, è elemento fondativo e, forse ancora per poco non sopprimibile. Ma le cronache di questi mesi denunciano l’ormai raggiunta incapacità di tanti scolari e studenti di scrivere in corsivo. È dunque motivo di conforto, adesso il poter minimamente corroborare l’iniziativa presa da Enrico Ansaloni e Andrea Dragoni, di segnalare l’esistenza di una “scuola romana” – e parliamo ovviamente, di architettura – cui associare una non distratta ed anzi programmatica coltivazione del disegno o, meglio ancora, dell’arte del disegno. Del resto disegno e rilievo erano stati individuati da subito – era il 1920 – da Gustavo Giovannoni quale passaggio ineludibile nell’iter didattico della neonata prima Facoltà universitaria di architettura italiana, istituita notoriamente nella stessa Roma. Ingegnere di formazione, discreto disegnatore “scientifico”, Giovannoni manifesterà una costante cognizione umanistica degli studi di architettura nella loro più ampia e completa accezione, donde il paradigma dell’architetto integrale. Della pur nobile tradizione dell’Ecole des beaux-arts ed anche di quella delle storiche accademie di belle arti italiane, era parte l’addestramento alla pratica manuale ma il loro programma di studi non trasmetteva troppi saperi tecnici e scientifici. Dalle accademie non uscivano moderni architetti, ma ancora nelle prime decadi del novecento “professori di disegno architettonico”. Uno degli ultimi, insigni esemplari ne fu Carlo Scarpa, con le conseguenze che ognuno conosce. Nulla di più lontano dagli estetismi d’accademia dell’opera disegnata di Franco Purini. L’artista romano è riuscito miracolosamente a fare convivere nel suo quotidiano, inesausto e sempre rinnovato esercizio grafico, consegnato a mirabili tavole e a taccuini preziosi, dati normalmente inconciliabili. Nel senso che le invenzioni grafiche e pittoriche di Purini fondono, come raramente accade nei fogli degli architetti contemporanei, le ragioni della ricerca disciplinare su tutto ciò che pertiene alla sfera della composizione e che possiamo inquadrare nell’ambito degli studi grammaticali, sintattici e tipologici. Ciò che a noi pare quasi miracoloso è che la descrizione di concetti e circostanze di natura progettuale (comunque progettuale), in Purini riesca a riscattare la descrittività positiva del racconto disciplinare trasformandola (ove non si tratti di pura, solidale adiacenza) in invenzione espressiva cui non è estranea la dimensione di una visionarietà controllata. In questo risiede il pur abusato (da noi stessi) sigillo piranesiano che fa di Franco Purini – di cui è nota la vocazione didattica – un maestro di razionalità liberata e di metodo capriccioso. E adesso si coniughino l’ampio orizzonte culturale del maestro romano non definibile altrimenti che modernamente umanistico, l’assenza di faziosità, la chiarezza degli enunciati e la fascinazione delle immagini (si tace qui dell’opera progettata e costruita assieme alla compagna e sapiente collega Laura Thermes) e si comprenderanno le ragioni dell’esistenza di una scuola romana di architettura in un transito che si spera perdurante e tale da conferire alle giovani generazioni il viatico di una formazione finalmente e non pedantescamente accademica.

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I Le immagini che accompagnano i testi, salvo diversa indicazione, sono opera degli stessi autori.

SEGNO, TRA SCRITTURA E DISEGNO

Introduzione

Il dualismo tra disegno e architettura

INTRODUZIONE

Enrico Ansaloni La pubblicazione di cui questo testo tenta di spiegarne la ragione d’essere, si attesta come la chiusura di un ciclo d’iniziative che hanno avuto per oggetto l’architettura e le modalità attraverso le quali essa si genera, si sviluppa e si esprime. La mostra Immaginare l’architettura. 15 disegni di Franco Purini fra 20 progetti di linguaggio1 nata da un’idea di Andrea Dragoni e Maurizio Coccia che si è tenuta nella primavera del 2014 a Trevi (Pg) col fine di restituire centralità alla disciplina architettonica puntando prevalentemente sulla sua componente immaginifica, rappresenta il passo decisivo verso la realizzazione del presente volume. Per dare forza all’aspetto creativo molto spesso tradito nella prassi attuale, i disegni di Franco Purini in quell’occasione sono stati accompagnati, grazie alla felice intuizione di Paolo Belardi, da selezionati progetti d’architettura sotto forma di plastici realizzati durante l’ultima esperienza accademica del Maestro romano e che in parte erano a loro volta stati presentati alla mostra Tra Tipo e Modelli allestita nel 2013 a Roma2. L’esposizione di Trevi rispetto al precedente romano aveva quale scopo non solo la celebrazione della componente ideativa propria del disegno quale principale campo di ricerca di Franco Purini da più di quattro decadi3, ma soprattutto l’obiettivo di riaffermare un’innata propensione all’intuizione conoscitiva che va al di là della pura e semplice abilità nel pensare un universo figurativo ben strutturato e che riesce costantemente a imporsi quale idea in grado di scavalcare l’effimero e ribadire la matrice compositiva del progetto mediante un instancabile lavoro d’indagine. Gli stessi venti modelli scaturiti dalla mostra e che ne hanno rappresentato un solido contraltare, hanno dimostrato la valenza indagatrice del disegno in architettura prefigurando edifici o brani di città dalla forte carica utopica, capaci di esaltare il contesto in cui erano stati pensati. Quale appendice alle giornate conclusive della rassegna trevana, con lo scopo di lasciare una testimonianza dell’evento, è stato realizzato un cortometraggio nel quale il Maestro romano, mescolandosi a una platea di allievi, si confrontava sulle tematiche del disegno, dell’architettura e dell’arte in generale, lasciando ancora una volta emergere riflessioni colte e suggerimenti interpretativi frutto di una profonda conoscenza della materia4. Il volume in oggetto svolge quindi una doppia funzione: da un lato si attesta a chiusura della riflessione fotografando gli splendidi disegni di Franco Purini provenienti da diverse collezioni assieme alle composizioni astratte di una parte della nuova generazione di architetti emergenti provenienti tutti dalla “sua scuola” e operanti sul territorio europeo; dall’altro, cerca invece di attivare possibili spunti critici grazie all’apporto dei partecipanti stessi e di contributi del calibro di Gianni Contessi, Maurizio Coccia, Roberto De Rubertis e Paolo Belardi. Alla luce di quanto emerso dalla panoramica fin qui delineata, nel pensiero di chi scrive, l’aspetto cruciale da porre in evidenza è il conflittuale rapporto tra l’architettura e il disegno stesso, non soltanto dal punto di vista del presunto valore aggiunto del progetto realizzato rispetto al progetto rimasto solo sulla carta, bensì sulla vocazione intrinsecamente positiva che sta alla base del primo rispetto al secondo. È infatti innegabile affermare che da sempre, l’architettura rappresenta per eccellenza lo spirito positivo

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dell’ambito creativo: fin dalla capanna primitiva ogni costruzione ha lo scopo di proteggere l’uomo dalla forza bruta della natura e quindi nasce sempre, al di là della declinazione che assume, contenendo in nuce tutta le possibili aspettative di felicità. È la materializzazione di un sentimento favorevole e genuino per sua stessa definizione, secondo la poetica definizione di Eduardo Persico è appunto «sostanza di cose sperate»5. Con questo non mi sento di annoverare tutto ciò che è stato costruito come “buona” architettura; l’esempio calzante che veniva proposto proprio da Franco Purini durante le sue apparizioni pubbliche – lezioni agli studenti o conferenze varie – è la differenza tra le sensazioni suscitate da due opere ispirate alla tragedia della seconda guerra mondiale e ai suoi caduti: da un lato il Monumento alle Fosse Ardeatine del “gruppo” Fiorentino6, dall’altro il Museo Ebraico di Daniel Libeskind. Sebbene riferiti entrambi a fatti tragici, il primo attraverso l’asola di luce che lo stacca dal terreno fa svanire la pesantezza del massivo volume di chiusura, quasi a simboleggiare una definitiva liberazione dalle oppressioni verso una tanto agognata quanto meritata vita eterna; il secondo al contrario gestisce gli effetti di luce in maniera radicalmente opposta: le fenditure suggeriscono e rimandano alla violenza subita dal popolo ebraico attraverso i tagli irregolari nelle pareti, aumentando il senso di disagio del visitatore. Mi pare evidente e condivisibile che l’architettura non possa permettersi di incarnare questi sentimenti. Le altre arti per contro possono farsi portatrici di valori e sentimenti negativi: dalla scultura alla pittura, dal cinema alla letteratura, dalla musica fino al disegno c’è una vasta casistica in tal senso. Attenzione con ciò non voglio affermare che tutte le altre arti non possiedano o tentino di esprimere sentimenti positivi, ma credo che abbiano il diritto di estrinsecare sensazioni di malessere, anche violente come succede in pittura nel famoso Urlo di Edward Munch o ancora nei Trittici di Francis Bacon. Sono altresì famose al grande pubblico le provocatorie installazioni di Maurizio Cattelan, oltre che le terrificanti scene del film Shining di Stanley Kubrik o le pellicole del “maestro del brivido” Alfred Hitchcock, Psycho su tutte. Da ultimo proprio recentemente in campo musicale si riscontra un utilizzo del rap quale strumento comunicativo di rappresaglia religiosa di stampo fondamentalista. A questo punto del ragionamento mi permetto di introdurre una forzatura: ricadendo le arti comunque nel nostro mondo “fisico” si potrebbero prendere per validi i due principali assiomi scientifici «a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria» e «nulla si crea nulla si distrugge, tutto si trasforma»7. Ribadito che l’opera architettonica nasce sempre con uno spirito totalmente positivo, la matrice distruttiva che rappresenta il suo contraltare e che necessariamente caratterizza ogni aspetto della vita, deve risiedere per contro in una o più delle pratiche artistiche sopra elencate. E il momento che assorbe le energie negative strettamente legato alla pratica architettonica non può non risiedere nella componente applicativa del disegno; tracciare segni sul foglio – di solito bianco – ricorda da vicino l’impronta della vanga o il solco dell’aratro sul terreno al fine di dissodarlo o ancor meglio lo sbancamento operato tramite scavatore che con il suo atto prepotente e feroce prepara in modo invasivo il campo al getto

La mostra Immaginare l’architettura. 15 disegni di franco purini fra 20 progetti di linguaggio a cura del sottoscritto e di Andrea Dragoni, si è svolta tra il 15 marzo e il 30 aprile 2014 nel quadro degli eventi organizzati nell’antica e prestigiosa cornice di Palazzo Lucarini a Trevi (Pg), sotto il preciso coordinamento generale Maurizio Coccia. Tale esposizione, così 1

come la precedente in ordine temporale descritta nella nota successiva, ha avuto il merito di mostrare il lavoro di Franco Purini secondo la declinazione di quelli che sono stati suoi allievi sia durante l’ultimo periodo romano a Valle Giulia (2001-2012) sia nel biennio 20102011 e 2011-2012 durante il corso di Architettura e Composizione architettonica IV tenuto alla presso la Facoltà di Ingegneria assieme al Professor Roberto De Rubertis. Lo sforzo di chi scrive assieme a Matteo Clemente e Marco Filippucci è portarne avanti l’eredità: un compito gravoso quasi impossibile svolto con grande rispetto e stima nei confronti del Maestro. 2 Questo evento che ha avuto luogo nella storica sede di Fontanella Borghese a Roma dal 23 Aprile al 12 Maggio 2013 è stato curato da Sara Petrolati e Patrizia Pescarolo insieme al sottoscritto ed è stato accompagnato da un piccolo catalogo edito da Librìa dal titolo Tra tipo e modelli - Abschlussforlesung per Franco Purini. Il volume ha raccolto il commiato ufficiale di Franco Purini dalle lezioni da parte dei suoi assistenti al Corso di Laboratorio di sintesi finale presso la Facoltà di Architettura di Valle Giulia a Roma. 3 I disegni erano provocatoriamente riassunti in soli quindici exempla ficta molti dei quali a colori. Mi preme ricordare che l’esposizione presentava sei quadri di una collezione privata che per opportunità e concomitanza dell’uscita di questo volume col catalogo della mostra La Serie e il Paradigma - Franco Purini e l’Arte del Disegno presso i Moderni alla Triennale di Milano dal 15 al 18 Gennaio 2015 sono stati sostituiti da altri della collezione dell’autore altrettanto significativi. 4 Il presente volume esce contestualmente alla presentazione del cortometraggio Slittamenti e depistaggi realizzato da Riccardo Dogana su un’idea di Maurizio Coccia responsabile del coordinamento generale. 5 E. Persico, Profezia dell’Architettura, Torino, 1935. 6 «Nel settembre del 1946, alla fine di un concorso suddiviso in due fasi, vengono dichiarati vincitori ex aequo i gruppi contraddistinti dai motti Risorgere (Nello Aprile, Cino Calcaprina, Aldo Cardelli, Mario Fiorentino con Francesco Coccia) e U.G.A. (Giuseppe Perugini con Uga de Plaisant e Mirko Basaldella). L’incarico congiunto ai due gruppi, anziché ampliare i conflitti tra le varie correnti interne, porterà alla definizione di un progetto d’inedita limpidezza iconografica e iconologica». Fonte: http://www.archidiap.com/opera/monumentoai-martiri-delle-fosse-ardeatine/ 7 Si tratta del primo principio della termodinamica, anche definito come “legge di conservazione dell’energia” e del terzo principio della dinamica, presentato da Newton nel 1687 nell’opera Philosophiae Naturalis Principia Mathematica. 8 Il tema che è stato trattato più volte da Franco Purini nel corso delle sue lezioni durante i vari Anni Accademici, viene da me ripreso sotto una nuova chiave interpretativa. 9 È interessante riscontrare come, in molti artisti su tutti Michelangelo, il tema della fatica fisica e mentale nella realizzazione delle proprie opere venga magistralmente celato per fare emergere la perfezione dell’arte e ne permanga traccia solo in alcune righe messe su carta. Famoso è il verso contenente la dichiarazione all’amico Bartolomeo Ammannati: «Nelle opere mie caco sangue» in R. Clements, Michelangelo. Le idee sull’arte Trad. It. di E. Battisti, Milano, 1964, p. 378.

INTRODUZIONE

delle fondazioni8: è violenza pura. La base quindi che conserva gelosamente i segni di questa pratica di fuoriuscita di energie negative, molto spesso inconscia, è il medium che gestisce l’effetto contestuale di liberazione per l’autore e di auto-incameramento della brutalità nel supporto stesso9. Che si trasforma nel sacrario in cui tutti gli aspetti negativi vengono custoditi e conservati, preservando la futura costruzione come un amuleto su carta, una pergamena del lato oscuro dell’architettura. Al contempo l’atto di purificazione, il traghettatore di esperienza, il baco da seta dell’architettura che consente la trasformazione della crisalide in farfalla è contenuta nell’aspetto profetico del disegno: è proprio con esso che si manifesta quell’essenza “di cose sperate” intuita da Persico. Ed è il motivo per cui molti progetti rimasti solo sulla carta quali ad esempio la Convention Hall di Mies Van Der Rohe, il Fun Palace di Cedric Price o il Padiglione Internazionale per l’Esposizione di Osaka di Maurizio Sacripanti grazie alla loro forte carica evocativa rappresentano tutt’ora quale modello per l’intera storia dell’architettura. Per questo motivo, secondo l’interpretazione di Franco Purini ogni disegno contiene una sorta di custode, “un anticorpo che rende difficile al lettore l’interpretazione del quadro” e che spostandone progressivamente l’attenzione occulta e camuffa strategicamente la chiave di lettura. Questa sentinella dal mio punto di vista può essere intesa come il difensore segreto del codice della negatività e del male che ogni atto creativo intrinsecamente racchiude e di cui velatamente si fa portatore sano. È lasciato a noi il compito di verificarne l’esistenza e confermare che la composizione di cui si erge a vigile guardiano, ne preservi il valore assoluto. Ed è ciò che mi fa definire l’architettura come quell’equilibrio armonioso ma incostante tra la vita e la sua realizzazione.

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INTRODUZIONE

Inter-stellar, 2014 inchiostro su cartoncino, cm 30 x 30, collezione dell’autore, Roma.

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L’enigma del disegno Andrea Dragoni

INTRODUZIONE

Un’opera d’arte ci dovrebbe far capire, sempre, che non siamo riusciti a vedere quello che vediamo Paul Valéry

Se si osserva la babele di nuovi maestri e oracoli virtuali che scalpitano per narrare buone novelle architettoniche, il disegno tra alti e bassi e nelle sue più contemporanee declinazioni, è ancora strumento di pensiero privilegiato per indagare la forma e lo spazio. Nella fattispecie le ultime generazioni di progettisti che hanno vissuto il clima della “scuola romana”, forse più di altre, hanno fatto propria la necessità di utilizzare con decisione il disegno come mezzo attraverso il quale pensare per figure e segni, investigando le criptiche tematiche proprie della composizione architettonica con una ricchezza di risultati che hanno scardinato con decisione quell’equivoco ben radicato che ha sempre considerato il disegno come mero strumento. Del disegno mi ha sempre affascinato il mistero che rende la sua pratica una sorta di rito dal valore arcaico e per certi versi indicibile, la sua istintiva necessità e fisicità colpisce sempre chi, come me, lo vive visceralmente con gli strumenti in mano nel suo farsi, piuttosto che con i pensieri che cercano di inquadrarlo nella sua dimensione più teorica. Quando con Enrico Ansaloni selezionammo dei disegni di Franco Purini per la mostra “Immaginare l’architettura”1 ho passato in rassegna in modo serrato tutta la produzione di disegni degli ultimi venti anni circa del Maestro romano, ricordo che alla fine della visione (colpito dalla sontuosa qualità e quantità delle opere) mi tornò in mente un pensiero dello stesso Purini che ragionava intorno alla inafferrabilità del disegno: egli affermava con un candore disarmante che pur disegnando molto e scrivendo parecchio sul tema, non sapeva “che cosa esso sia e che cosa significhi praticarlo”2. Per certi versi è quella sorta di dimenticanza creativa che si prova di fronte ad un nuovo tema di progetto da sviluppare; nonostante una profonda esperienza, si è colti da una sensazione di apparente vuoto, di inerzia, è il dubbio ad alimentare la nostra dimensione interiore, interrogandoci su cosa sia quello che stiamo pensando, per poi rispondere unicamente attraverso il nostro vissuto. In questo enigma del disegno piace perdersi con cognizione di causa indagandone la sua dimensione mentale, personalmente in un lavoro di ricerca come quello di Franco Purini e per certi altri versi in quello di Costantino Dardi, mi ha sempre colpito la sua capacità di essere solido e profondo, con disegni in forma di sculture/architetture a due dimensioni, che analogamente a quelli di August Rodin, fanno proprio un metodo d’indagine dotato di un suo chiaro punto di vista interiore messo in atto con una raffinata risolutezza. Analogamente a ciò che indagano questi elaborati si presentano con il senso esatto del definito, i tratti e i segni sono fatti di una sostanza irreversibile che non muterà nel tempo, quello che mettono in campo, e che mi pare rappresenti davvero la forza principale da far propria, è la capacità di non essere più semplice segno, è forma- pensiero che genera un messaggio non mutevole, destinato a durare e riflettere, esattamente come dovrebbero essere delle architetture o meglio

Studio per TuaTao, 2009 pastelli su carta, cm 47 x 85, collezione dell’autore, Perugia

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delle sculture. La costruzione paziente di questi pensieri-forma richiede un suo tempo, o meglio una sua lentezza, le figurazioni si costruiscono attraverso la ritualità di gesti e segni che, uscendo dal vicolo cieco della rappresentazione, definiscono un nuovo senso ai segni che non è mai fine a se stesso: esso cerca di dare sempre una precisa visione del mondo e rimanda contemporaneamente a complesse dinamiche psicologiche ed esistenziali. Il disegno in questa direzione diventa altro, assume una ferma dimensione mentale che gioca di contrasto con la tensione al consumo frenetico dei messaggi visivi omologati e copia/incolla cui siamo abituati, prendendo le distanze dal contesto diffuso a livello globale, troppo affollato di sollecitazioni, troppo convulso dal punto di vista temporale e spaziale. Il metodo dei disegni di Purini e della “sua scuola”, fa proprio un rituale di ripetizione quasi ossessiva di segni che con il loro farsi quasi automatico e combinatorio è costruzione paziente non solo di superficie ma di una condizione temporale e mentale, di una molteplicità di letture che permettono al segno di superare la sua dimensione puramente formale, non tanto per rappresentare in qualcosa, quanto piuttosto, per manifestarla nella sua verità. Tale gestualità poi evoca ed implica inevitabilmente una condizione di lentezza che ritengo possa essere anche strategica; gestuali sprezzature che implicano un processo d’attesa dalla quale emergerà magicamente la forma immaginata, in un esercizio ai limiti della mania ma che è garanzia di un chiaro punto di vista di chi sta disegnando. È nella inevitabilità dell’esercizio del disegno che sta il suo enigma, oggi la sua necessità deve essere ricordata non solo perché l’avvento del digitale ha permesso nuove direzioni di ricerca per certi versi più glamour e fascinose, ma perché si sta lentamente perdendo quella capacità di misurare quella immagine scritta nel cervello evocata da Baudelaire che è forma non più segno, ma è anche l’enigma di volere indagare l’attesa di qualcosa che deve accadere, di qualcosa che si deve venire a conoscere. Ritorna l’enigma di Henry James3 più volte citato da Aldo Rossi, la cui soluzione è in quella cifra nel tappeto che è sotto gli occhi di tutti ma che nessuno vede, disegnare è amare ancora l’architettura perché significa indagare con coinvolgimento mentale e fisico l’impossibilità di rimettere in ordine l’immaginario e il reale.

1 Immaginare l’architettura, 15 disegni di Franco Purini tra 20 progetti di linguaggio (a cura di Enrico Ansaloni e Andrea Dragoni), Palazzo Lucarini Contemporary, Trevi, 15 marzo-10 maggio 2014. Nella mostra sono stati esposti i seguenti disegni di Franco Purini: Il muro rosso, 1995; Affollamento primario, 1995; Il cretto indifferente,1996; Città discontinua, 1996; Composizione brasiliana, 1996; La città probabile, 1996; Testa n. 2, 2002; Testa n. 4, 2002; Testa n. 6, 2002; Testa n. 9, 2002; Il luogo del centro, 2011; Recinto attivo, 2011; Eurosky, 2014; Superficie verde, 2014; Superficie viola, 2014. 2 Franco Purini, Una Lezione sul Disegno, Roma, Gangemi, 1996, p. 31. 3 Henry James, La figura nel tappeto, Palermo, Sellerio, 2002.

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II

SEGNO, TRA SCRITTURA E DISEGNO

Segno, tra scrittura e disegno

Vuoto e Architettura Andrea Antonucci

SEGNO, TRA SCRITTURA E DISEGNO

Lo spazio è un corpo immaginario, così come il tempo è un movimento fittizio. Paul Valéry

La relazione tra ciascun individuo e l’architettura che lo circonda non si basa su un rapporto passivo: ogni organismo percipiente è in grado di orientarsi fra gli avvenimenti, che appaiono simultaneamente o successivamente, grazie alle capacità di valutare gli intervalli, le distanze e di costituire in tal modo gli schemi entro i quali ordinare ciò che apparirebbe altrimenti caotico, e costruire il mondo percepito. Questi schemi sono conosciuti sotto forma di “spazio” e “tempo”, elementi necessari per valutare tutto il resto, e tutto ciò che è architettura è imprescindibile da essi: questa condizione implica un atteggiamento attivo verso le circostanze. Spazio e tempo non sono qualcosa di implicito negli avvenimenti ma, al contrario, qualcosa che si costruisce reagendo su quelli; l’intuizione dello spazio non è una semplice lettura delle proprietà degli oggetti, ma un’azione esercitata su di essi. Esercitare un’operazione sugli avvenimenti significa, prima di tutto, fare lo sforzo di interiorizzarli, cioè di trasformare il dato sensoriale in valutazione mentale del dato stesso, collegando i fenomeni fra loro secondo il particolare valore che l’organismo attribuisce a ciascuno di essi nel proprio sistema di rapporti con le cose e assegnando loro, per conseguenza, un luogo e un tempo entro cui considerarli nel mondo della propria esperienza. Lo spazio ed il tempo sono quindi operazioni mentali, ma qualsiasi operazione mentale, in architettura, non può compiersi che grazie all’introduzione di un elemento nuovo: il “segno”, che permette di rappresentarla, sapendo che non si può pensare senza “disegnare” mentalmente. Qualsiasi operazione dell’intelletto consiste in una figurazione, non importa di che natura: il termine figurazione, dal latino “fingere”, plasmare, non si applica solo alle attività cosiddette figurative. Esso è impiegato nella storia con molti significati, ma tutti possono essere riportati essenzialmente alla descrizione di rapporti fra avvenimenti, dunque alla descrizione di fatti mentali, mediante altri avvenimenti: «un oggetto è un sistema di immagini percettive dotato di una configurazione spaziale costante, attraverso i successivi spostamenti e che, perciò, si presta a essere isolato nella catena dei fenomeni che si svolgono nel tempo» (J. Piaget). Piaget ha dimostrato che lo spazio nasce come esperienza di un rapporto di continuità fra i fenomeni che ci circondano. La trasposizione segnica, risultato di una elaborazione mentale, ci permette in architettura di progettare, organizzare modificare lo spazio come se fosse una infinita massa vuota pronta ad essere modellata. Il disegno è lo strumento indispensabile per trascrivere le forme che la precognizione produce: è una sorta di anti-

Post-mortem, 2005 inchiostro su carta, cm 50 x 50, collezione dell’autore, Roma

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cipazione della realtà, per renderla evidente prima che essa si manifesti nella sua consistenza sotto forma di materia, prima che il prodotto generato possa essere tastato, facendo vedere ciò che ancora non esiste. Il vuoto, cioè lo spazio allo stadio originario, non è né vicino né lontano da un determinato oggetto, né interno né esterno a quello, perché è unicamente nella nostra testa, e vi è come struttura di rapporti infralogici che noi stessi costituiamo fra determinati fenomeni. I segni architettonici sono la descrizione di questi rapporti. Lo spazio architettonico è l’esperienza della continuità fra quei fenomeni proposta da quei segni e dalla loro concatenazione. L’architettura, a differenza di altre arti, agisce con un mezzo codificatore tridimensionale che include l’uomo: la pittura agisce su due dimensioni, anche se può suggerirne tre o quattro; la scultura agisce su tre dimensioni, ma l’uomo ne resta all’esterno, separato, guarda dal di fuori le tre dimensioni. L’architettura invece è come una grande scultura scavata nel cui interno l’uomo penetra e cammina. Quando si costruisce una casa, l’architetto presenta la prospettiva di una sua veduta esterna e magari un’altra interna, poi sottopone piante, facciate e sezioni, cioè rappresenta il volume architettonico scomponendolo nei piani che lo racchiudono e lo dividono: pareti esterne ed interne, piani verticali e orizzontali. Dall’uso di questo metodo rappresentativo, riportato nei libri tecnici di storia dell’architettura, deriva in larga misura la nostra “ineducazione spaziale”. La pianta di un edificio non è infatti che un’astratta proiezione sul piano orizzontale di tutte le sue mura, una realtà che nessuno vede se non sulla carta, la cui ultima giustificazione dipende dalla necessità di misurare le distanze tra i vari elementi della costruzione. «Le facciate e gli spaccati, interni ed esterne, servono a misurare le altezze: ma l’architettura non deriva da una somma di larghezze, lunghezze e altezze degli elementi costruttivi che racchiudono lo spazio, ma proprio dal vuoto, dallo spazio racchiuso, dallo spazio interno in cui gli uomini camminano e vivono» (B. Zevi). Da tali considerazioni si può affermare che l’architettura è fatta per l’uomo, in funzione del quale lo spazio vuoto viene plasmato, ed è anche fatta per durare in funzione del tempo che agisce su di essa inesorabilmente: l’architettura è il vuoto che si configura in seguito all’incontro tra l’uomo e la natura. Il dinamismo dell’uno converge con la staticità dell’altra, e in seguito a questa unione si dimensiona lo spazio: l’uomo si relaziona sempre allo spazio in cui vive, secondo un’azione che pone a confronto un mondo pensato con un mondo concreto, già esistente. È il vuoto che si evolve nel tempo, ma resta pur sempre elemento fondamentale, indissolubile, senza il quale non potrebbe esserci lo spazio complementare – cioè l’architettura – sin dal momento della intuizione di un’idea progettuale.

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L’architettura e il disegno

SEGNO, TRA SCRITTURA E DISEGNO

Giovanni Argentati L’architettura è sempre stata legata alla pratica del disegno. Il disegno è lo strumento attraverso il quale l’architetto può studiare l’oggetto architettonico, analizzandone le parti costituenti e organizzando l’immagine tridimensionale in piani di proiezione. Essendo il compito dell’architetto quello di intervenire, con il suo progetto, sulla realtà, andando così a modificarla, l’indagine approfondita del manufatto architettonico diviene indispensabile per giungere ad una soluzione appropriata al contesto ambientale e sociale in cui l’opera verrà inserita. Attraverso il disegno, il progettista può conoscere l’architettura che sta progettando in ogni sua singola parte e da ogni punto di vista, sia esterno che interno, sezionandola e scomponendola, essendo in grado, con il segno grafico, di rendere visibili anche quelle componenti che, una volta realizzata, non saranno più individuabili, ma che, in fase progettuale, è necessario rappresentare per comprendere completamente la struttura della futura costruzione. Il disegno d’architettura è prima di tutto uno strumento di rappresentazione e quindi di comunicazione, fondamentale per la progettazione architettonica, poiché permette di raffigurare una realtà che ancora non esiste; per cui quello che viene disegnato costituisce una vera e propria previsione del futuro, una simulazione di come il mondo fisico verrà trasformato introducendo in esso una nuova entità. Con il disegno, che diviene una sorta di manifesto in nuce del progetto, l’architetto esprime una propria idea, e quindi, la rappresentazione di un edificio o di un qualunque altro manufatto architettonico su di un piano bidimensionale costituisce la prima apparizione dell’architettura nel mondo reale, nonostante la sua natura ancora “virtuale”. Inoltre il ruolo della rappresentazione è imprescindibile per il progettista, poiché è grazie ad essa che egli comunica le sue intenzioni progettuali alle altre maestranze coinvolte nel processo edilizio. Il progetto presentato su carta viene organizzato in diversi elaborati grafici, il cui contenuto e le cui scale metriche sono studiate a seconda del destinatario del messaggio, al fine di illustrargli il tipo di contributo che deve garantire nella fabbrica. L’avvento del disegno computerizzato come nuova tecnica di rappresentazione ha reso possibile un’indagine ancora più approfondita degli oggetti architettonici, in quanto la realtà virtuale consente all’architetto di studiare in maniera più completa ciò che sta progettando ed essere in grado, ora, con i programmi di disegno quali Archicad, Autocad, 3D studio max, Maya e molti altri, di compiere operazioni di suddivisione di piani e volumi in maniera più agevole e rapida rispetto al disegno a mano, soprattutto nel caso di architetture dalle forme particolarmente complesse, la cui presenza è sempre maggiore in età contemporanea. Infatti è proprio con l’introduzione del disegno digitale che si è reso possibile plasmare configurazioni estremamente articolate, inaugurando così

un nuovo periodo per l’architettura e spingendo la sperimentazione verso nuovi orizzonti, impensabili nell’era del disegno a mano. La rappresentazione digitale ha però un secondo lato della medaglia, in quanto, se costituisce indubbiamente uno straordinario strumento di analisi e di comunicazione del progetto di architettura, al tempo stesso, a questa miglior qualità dell’immagine, raggiungibile con i softwares grafici, non è automatico che corrisponda quello che poi verrà realizzato. Ciò che viene rappresentato, a volte, non è quello che si vede nella realtà. Il disegno digitale permette di raffigurare cose che prima, con il disegno a mano, non era possibile o comunque richiedeva più tempo, ma molto spesso la rappresentazione dell’architettura rimane solo un bel quadro, non realizzata o solo in parte o addirittura irrealizzabile, in quanto sembra che, in questo periodo storico, vi sia la tendenza a concentrarsi prevalentemente sull’immagine di un’architettura, con attenzioni particolari nel rappresentare anche dettagli del tutto irrilevanti, come si può notare in varie illustrazioni renderizzate in cui sono riprodotti oggetti che, seppur contribuiscono a simulare una vitalità dell’ambiente raffigurato (es. oggetti da ufficio, persone, piante, ecc...) non servono assolutamente alla comprensione del manufatto, trascurando poi la sua realizzazione. Il disegno d’architettura però non è soltanto lo strumento con cui l’architetto rappresenta e quindi comunica una sua idea; non è unicamente una sorta di pratica conoscitiva del mondo, bensì costituisce un fatto compiuto in sé, un momento autonomo di comunicazione, critica o creativa, che non necessariamente conduce al cantiere. Nel processo di rappresentazione del progetto, nel suo contrapporsi alla fisicità dell’architettura costruita, vi è un flusso intangibile di immaginazione e pensiero sotteso al processo medesimo; i disegni, in alcuni casi, sono una presenza in sé, un impulso poetico. Essendo in una dimensione, per così dire, virtuale, il disegno possiede inoltre un grado di libertà infinitamente maggiore rispetto all’opera edificata, che è invece vincolata dalle leggi della realtà fisica. Proprio per questa sua condizione di sconfinata libertà, nell’atto del disegnare l’architetto si può lasciare andare alle più inaspettate e sorprendenti visioni architettoniche, nelle quali vengono rappresentati scenari metafisici, onirici, che possono anche non avere alcuna corrispondenza formale con ciò che sarà poi il progetto di un’architettura; essi sono semplicemente immagini scaturite da un puro atto di fantasia, una sorta di lavoro mentale. L’architettura è un’arte inscindibile dalla prassi del disegno, in quanto è lo strumento attraverso il quale essa compare nel mondo, viene resa conoscibile e quindi realizzabile; ma il segno grafico, al di là della materia e della forma, è anche un’opera compiuta, indipendentemente dall’edificato, risultato di un impulso creativo che può indubbiamente contribuire alla ricerca della sintesi che costituirà il progetto d’architettura.

Palinsesto, 2009 inchiostro e pennarelli su carta, cm 40 x 40 (dimensioni foglio cm 50 x 70), collezione dell’autore, Roma

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Il disegno è pensiero

SEGNO, TRA SCRITTURA E DISEGNO

Viviana Cirillo «Il disegno stimola l’immaginazione e ci permette di riflettere sulle idee, un buon segno che siamo davvero vivi» così termina un articolo Michael Graves (architetto e designer statunitense). Il disegno nelle sue varie espressioni è necessario sia all’elaborazione che alla rappresentazione del processo progettuale, riflettere sul senso del disegnare senza un obiettivo ben preciso, senza un fine che non è la rappresentazione di un progetto da realizzare, ma una scrittura quotidiana, una scrittura che è ricerca autonoma, un’attività legata allo scorrere del tempo: il tempo del pensiero. Sapendo che attraverso questo tempo, le parole spese produrranno idee di architettura. Scarpa utilizzava il disegno come pensiero, nei suoi disegni dava spazio a riflessioni e ragionamenti, si poteva assistere in diretta al suo pensiero che si imprimeva sulla carta. Il disegno è lo strumento attraverso cui il pensiero si trasforma in segno visibile, espressione di un’idea che trova forma nella realtà costruita. La rappresentazione grafica, sia come visualizzazione di un pensiero, sia come registrazione di ciò che esiste, rende attraverso un’immagine bidimensionale, una realtà tridimensionale che si specifica in un modello grafico che ne descrive le caratteristiche e i rapporti. La figurazione architettonica attraverso linee, campiture, tracciati e colori, assume connotazioni diverse dando luogo a rappresentazioni ora caratterizzate da una valenza simbolica, ora rese attraverso figurazioni mimetiche del reale. Il disegno costituisce lo strumento attraverso cui è interpretata la realtà, è oggetto di interpretazione ove la lettura dei segni e dei codici grafici adottati diventa fondamentale ai fini della comprensione dell’idea sottesa alla rappresentazione. È un’espressione d’arte sia che si tratti di disegno architettonico o artistico. Il disegno architettonico è un linguaggio capace di comunicare un evento concreto a un interlocutore attraverso modelli geometrici di grande effetto, comunica notevole realismo e concretezza: chi osserva un’architettura, trasformazione da disegno bidimensionale a realtà tridimensionale, quasi mai percepisce l’idea del progettista. Il disegno artistico, è espressione di personalità, pensiero, sensazioni che si traduce in segni, tratti, che lasciano libera immaginazione, interpretazione a chi la osserva: è una comunicazione non verbale. I due tipi di disegno fanno parte dello stesso processo creativo che lega e mette in relazione la mente con gli occhi e le mani. Nella creazione di ogni rappresentazione grafica, vi è un sentimento di gioia tra l’interazione tra mente e mano. Anche se con elementi comuni, come la composizione, la creazione, tutte le arti, ognuna ha suo modo, trasmettono emozioni.

Curva cubica, 2009 inchiostro su carta, cm 30 x 30, collezione dell’autore, Roma

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La differenza tra il disegno artistico e quello architettonico consiste nella diversa realtà di realizzazione, l’artistico è realizzato nel vuoto, su un foglio bianco che lascia spazio all’immaginario, il disegno architettonico inizialmente è tracciato su un foglio bianco, ma in seguito trasformandosi in architettura si basa su spazi già esistenti con segni già tracciati, ben delineati. L’architettura si definisce attraverso configurazioni spaziali specifiche, lo spazio nasce dalla semplice articolazione di un sistema di muri che lo delimitano. Il muro è un limite attraverso il quale mediare le relazioni degli individui che abitano lo spazio urbano, le possibili configurazioni che emergono da questi esercizi indagano le possibilità di questa mediazione tra interno ed esterno. Definiscono possibilità combinatorie. La ricerca costante di un progettista, dovrebbe essere svolta sempre attraverso il disegno, quest’ultimo, produce riflessioni astratte che agiscono sul nostro immaginario e che quindi non hanno nulla a che fare con la realtà dello spazio ma anticipano possibili direzioni, creano le condizioni per pensare l’arte, l’architettura. Nella percezione dell’architettura bisogna forse fare un distinguo: esistono percezioni forti, percezioni immediate che si esprimono agli occhi del fruitore come eventi semplici e ineluttabili (la presenza di un muro, la presenza di un volume, la presenza di una decorazione), e ci sono percezioni indirette, come la simmetria tra gli ambienti, l’equilibrio tra gli spazi, la proporzionalità tra le parti, e così via, che costruiscono una sensazione di piacevolezza e di appagamento nella percezione del luogo. L’arte è comunicazione che fa uso della percezione: in particolare, la comunicazione artistica fa uso della percezione “immaginata”, cioè costruisce mondi immaginari pur sulla base di percezioni “reali”. Affermare che la comunicazione artistica “fa uso delle percezioni” significa affermare che alle percezioni viene assegnato un significato comunicativo, non che c’è qualcosa di esterno e “naturale” che viene usato per comunicare. L’opera d’arte è un fenomeno spaziotemporale che può essere percepito e permette la comunicazione tra l’artista e il fruitore dell’arte. Realizzando l’opera, l’artista immette un’informazione; guardando l’opera, il fruitore può comprendere l’azione artistica e l’informazione prodotta. Azione e informazione sono incorporate insieme nell’opera d’arte e quindi sono comprensibili attraverso la percezione dell’opera stessa. Ogni tipo di disegno permette di vivere un momento magico: LA CREAZIONE che avviene per mezzo di un foglio bianco e matita, sia che parliamo di arte sia che parliamo di architettura. Oggi spesso si sente dire che il ritorno al disegno è un ritorno al passato, niente di più sbagliato, pensare attraverso le immagini è pensare il futuro.

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Autonomia ed eteronomia del disegno in architettura

SEGNO, TRA SCRITTURA E DISEGNO

Enrica Corvino «Il fondatore attacca un vomere di bronzo all’aratro, aggioga un bue e una vacca, poi guidandoli personalmente, traccia un solco profondo attorno alla linea di confine, seguito da uomini che hanno il compito di rovesciare all’interno le zolle sollevate dall’aratro, per impedire che alcuna si riversi al di fuori»1. Così Plutarco, nella Vita di Romolo racconta la fondazione di Roma, o meglio, del recinto che fino alla riforma di Claudio segnerà il confine sacro della città. L’atto della fondazione, nella sua innaturale scelta di isolare un territorio dalla natura, necessita di includere una spiegazione, e una giustificazione. Il solco sacro rappresenta tutto questo. Non è un gesto progettuale, ma rituale, e definisce, nella sua violenza rivolta verso il suolo, uno spazio inviolabile, che allo stesso tempo difende la città e ne custodisce i fantasmi. Il termine sacer, in latino, è voce media: vuol dire sia “sacro” che “esecrabile”, ed è proprio in questo modo che si conforma il pomerio, come spazio sacro a difesa della città e come spazio esecrabile dove si confinano i fantasmi. È il luogo delimitato dall’aratro di bronzo, eppure ha un suo spessore, ed una forma. Il gesto, monodimensionale, della linea, acquista spessore e significato attraverso la sua imitazione nello spazio, ossia attraverso il gesto di rivoltare all’interno del pomerio le zolle sollevate dal vomere. La città è fondata. Il progetto, nella sua natura duale, sacra e pratica, è quindi basato su due gesti, uno primigenio, il tirare una linea, e l’altro geometrico, il ripetere la linea per definire spessori e geometrie. Eppure è il primo gesto, fatto da una persona sola, quello che definisce il rapporto profondo con il foglio, o con il suolo: la linea ha una lunghezza, si interrompe, si articola, senza tuttavia perdere la sua necessarietà. Come il solco dell’aratro che nella fondazione delle città delimita il pomerio, il primo segno che si traccia sul foglio marca un limite, orienta lo spazio e lo misura, imprimendo sulla carta la prima mossa, la più determinante, di un gioco di rimandi, fatto di decisioni, esitazioni e ripensamenti. Il primo segno è gravido di possibilità da esplorare, è il territorio dell’attesa, contenitore in potenza di ogni evoluzione possibile: arcaico e subliminale, ha già in sé le caratteristiche per essere elaborato in infinite geometrie, in infinite matematiche, in infiniti significati, dando vita ad uno spazio complesso e mutevole, un labirinto di tracce e di indizi. Il disegno è quindi l’esito di una serie finita di scelte: ogni tratto che si aggiunge, diminuendo o aumentando il numero di variabili che intervengono nella composizione, contribuisce a determinare il risultato finale, che è solo una delle possibili configurazioni a cui l’autore sarebbe potuto giungere. Nel suo essere prefigurazione di un’idea architettonica potenziale, il disegno è al contempo mezzo espressivo dell’autore e tramite comunicativo dell’idea. Autonomia figurativa ed eteronomia si scontrano nel campo gra-

fico, in quel limbo tra la concretizzazione in un progetto e l‘esistenza autonoma del fatto artistico in quanto tale. Benedetto Croce, nel suo Breviario di estetica, afferma che «[…] l’arte è visione o intuizione. L’artista produce un’immagine o fantasma; e colui che gusta l’arte volge l’occhio al punto che l’artista gli ha additato, guarda per lo spiraglio che colui gli ha aperto e riproduce in sé quell’immagine»2. Il disegno, nel suo essere esperienza architettonica ed espressione artistica autonoma, suscita quindi un moto di interesse e coinvolgimento dovuto non solo dall’esito formale del disegnare, ma anche dalla capacità chiarificatrice del disegno stesso, dal suo essere rivelatore di un mondo altro da sé. Disegnando non si creano solo dei nuovi spazi in potenza, ma si esplica anche un processo di analisi delle cose attuando, attraverso la loro scomposizione e ricomposizione, un montaggio “critico” delle parti, che permette di giungere ad un esito formale complesso e originale. Un’operazione quasi cinematografica, come descritta da Francesco Casetti nel saggio L’immagine del montaggio: «per avere un’intelligenza delle cose, quali esse siano, non basta descriverne i contorni, ma bisogna coglierne il disegno interno, smontandole nelle loro diverse componenti e ricostruendole subito dopo secondo uno “schema” o un “diagramma” che ce ne restituisca la struttura complessiva e la dinamica portante»3. Il segno, lo spazio e il tempo costituiscono le variabili attive dell’azione creativa, ma non necessariamente l’esito compositivo dell’opera deve vedere la sua concretizzazione in un progetto architettonico: svincolandosi dal rapporto eteronomo con l’architettura il disegno può ristabilire la sua natura autonoma, la sua capacità di dettar legge a se stesso. La peculiarità del disegno è quella di coniugare indagine conoscitiva, esplorazione del segno e dello spazio ed enunciazione di principi compositivi: misurando lo spazio fisico del foglio, il disegno intercetta e rende tangibile lo spazio immaginato della mente. Il disegno non è solo osservazione e contemplazione, è continua irrequietezza, è esplorazione dell’io in cui la geometrizzazione diventa il criterio per interpretarne e restituirne la complessità. È Dio che, nella celebre miniatura della Bibbia Moralizzata di Vienna, compie il gesto primigenio: con un compasso conforma il caos, lo soggioga e gli da significato. Così il segno solca il foglio, ne determina i limiti, racchiude la complessità e gli da forma.

Plutarco, Vite parallele, capitolo XI. Croce Benedetto, Breviario di estetica: quattro lezioni, Bari, Laterza, 1913. 3 Casetti Francesco, L’immagine del montaggio, in Sergei M. Ejzenštejn “Teoria generale del montaggio”, a cura di Pietro Montani, Venezia, Marsilio Editori, 2004. 1 2

Risonanze, 2009 inchiostro su carta, cm 40 x 40 (dimensioni foglio cm 50 x 70), collezione dell’autore, Roma

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Un linguaggio della mente

SEGNO, TRA SCRITTURA E DISEGNO

Aurora Del Sette Il disegno è una forma di comunicazione non verbale, che può essere fine a se stesso, come riflessione intima e personale, oppure può essere studio, ricerca e preparazione di un’opera, quindi in grado di comunicare un’idea in modo conciso. È sinonimo d’immagine, rappresentazione e figurazione, ma anche d’intenzione, idea, proposta e progetto. L’elemento generatore del disegno è la linea, è la traiettoria di un atto creativo. Mediante un semplice gesto, la mano umana esprime ciò che la mente elabora, compone una rappresentazione grafica, traduce un pensiero creativo in un’intenzione concreta di progetto. È possibile realizzare un disegno usando solo una linea, o un solo tipo di linea, o vari tipi di linee. Può avere differenti direzioni, spessori, può essere retta, spezzata, curva, mista, può interrompersi e ricominciare, o alternarsi con altre linee più o meno lunghe e di diversa energia, spessore e colore. È in grado di dar vita ad un repertorio infinito di combinazioni, è un elemento che mediante variazioni d’intensità determina forme e crea superfici. Una serie di linee scandite ritmicamente dividono modularmente lo spazio; una serie di linee affiancate consente d’immaginare una superficie; l’intersezione di un insieme di linee genera una griglia, che determina un primo assetto alla superficie, la quale può divenire un gioco di pieni e di vuoti, tale schematismo può essere alterato mediante l’utilizzo dell’ombreggiatura che conferisce consistenza agli elementi. Il valore espressivo della linea risiede nella sua direzione e nella sua intensità. Direzioni, altezze, dimensioni e ritmi sono in continuo mutamento, dipendono dalla necessità dell’arricchimento del disegno, dall’intenzione dell’autore, in quanto l’architettura può nascere soltanto se i segni divengono simboli. La linea è il materiale da costruzione delle opere, elemento primario, elemento senza il quale un’opera non può assolutamente nascere, elemento senza il quale questo inizio non è possibile. Architettura, pittura e scultura sono legate dal disegno, ogni immagine è il risultato complesso di segni e l’alfabeto con le quali si esprimo è quello delle forme e dei colori. Disegno-architettura, meglio ancora architettura-disegno hanno un rapporto inscindibile, l’architettura non può esistere senza di esso. È il disegno che rende visibile quello che “probabilmente” verrà costruito, che mostra tutta l’evoluzione di un progetto, dall’idea embrionale all’opera completa. La funzione svolta dal disegno per l’architettura è fondamentale, rappre-

Linee guida, 2009 inchiostro su carta, cm 30 x 30, collezione dell’autore, Roma

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sentazione a carattere artistico e tecnico, l’equivoco consiste nel considerare il disegno dell’architettura solo uno strumento. L’architetto, non diversamente dagli artisti, nella fase iniziale del suo processo progettuale, disegnando, vede accumulare una serie di schizzi che costituiscono la testimonianza del lavoro creativo svolto. I disegni di progetto sono fantasie, visioni. La mente, supportata dalla capacità rappresentativa è in grado di andare oltre le possibilità offerte dalla tecnologia costruttiva, non a caso molti disegni di progetti architettonici, superando con la fantasia, le effettive capacità costruttive del tempo in cui sono stati realizzati, rimangono per sempre solo disegni. Pur contenendo aspetti tecnici, il disegno non è solo un mezzo, ma costituisce lo “sguardo dell’architetto”. Detiene un ruolo fondamentale, in quanto consiste nella rappresentazione grafica dell’azione che si vuole intraprendere. Disegnare vuol dire mostrare qualcosa, mettere in risalto alcune caratteristiche dell’oggetto rappresentato, o l’oggetto di per se. Il disegno è uno strumento necessario per la comprensione di un opera, basta pensare al ruolo che hanno le piante e le sezioni, veri e propri luoghi dell’architettura, che esprimono ciò che nessuna fotografia è in grado di rappresentare. Il disegno è comunicazione, mostra informazioni relative alle scelte progettuali ed indica i modi attraverso i quali si è pervenuti a esse. In architettura si deve disegnare, le opere non si possono semplicemente costruire, non si possono fare prove, sarebbe troppo costoso. I progetti rimangono e anche quando non vengono realizzati si trasformano in memoria, possono sempre essere visti, letti, utilizzati e studiati, tutti concorrono ad un evoluzione dell’architettura e perché no, con il passare del tempo anche opere d’arte. Tale disciplina, soprattutto nel campo architettonico, ha recentemente subito trasformazioni radicali, in seguito alla diffusione dell’informatica e del digitale. Oggi è cambiato il modo di progettare, il disegno è assistito dal computer, però, l’intenzione, l’idea, la proposta si materializzano sempre grazie alla sinergia della mano con la mente. Il computer, nella rappresentazione architettonica deve supportare l’attività progettuale, il disegno mediante l’elaboratore ci da la possibilità di ottenere risultati migliori e veloci rispetto al disegno manuale. Il computer si può usare come uno strumento, quando le parti di un progetto hanno già una forma e da ultimo ci permette di pensare a spazi infiniti ed a una continuità infinita delle superfici.

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Il disegno e la traccia _ La traccia del disegno Tra rappresentazione e immaginazione

Giada Domenici

SEGNO, TRA SCRITTURA E DISEGNO

Considerazioni sull’arte, nei miei ritratti. Se qualcuno non riconosce quanto essi siano veri, consideri che il mio compito non è quello di rendere i tratti esteriori (ciò che si ottiene anche con una fotografia), ma di penetrare nell’intimo. Io ritraggo anche i reconditi moti del cuore. Scrivo parole sulla fronte e attorno agli angoli della bocca. I miei volti umani sono più veri dei reali. […] risalendo alla preistoria del visibile Paul Klee, Diari

Alcuni chiarimenti sul metodo. Lo scritto proposto è sviluppato secondo la logica della continua messa in questione, è quindi atetico, ma la mancanza di una tesi finale apre alla possibilità continua di un pensiero che pensa, indugiando in un processo necessario, senza trincerarsi nella certezza e facendo del dubbio l’atto stesso di tale pensiero pensante. Allora potremmo chiederci cosa è il disegno? Per quanto anticipato la domanda rimarrà tale e le riflessioni di seguito avranno il solo scopo di attivare il pensiero e costituire spunti di riflessione. Il disegno, effettuando una breve ricerca analitica etimologica e storica, è prevalentemente indicato come il lasciare segni, segni che indicano ed identificano, e il sistema di segni conforma delle rappresentazioni. Configurando in tal modo il disegno, appare evidente la consonanza e analogia esistente tra il disegno e la scrittura, nello specifico la calligrafia, che incide una superficie, un supporto, con segni significanti e autoriali. Tale significato non è naturale o innato, è dato da un accordo che rende possibile la condivisione e la trasmissione all’interno di un sistema linguistico. La scrittura quindi è un linguaggio e rende possibile un linguaggio, senza voler definire gerarchicamente e ontologicamente la preminenza dell’uno sull’altro e lontano da ogni fono-logocentrismo. La scrittura indica le cose attraverso il nome, le parole che organizzate nella sintassi costituiscono il linguaggio. Il disegno a sua volta, nell’essere segno che indica, identifica un mondo e costituisce un linguaggio, sostanzia un linguaggio che rende possibile la comunicazione all’interno di un universo condiviso della rappresentazione. Ma questa rappresentazione cosa rappresenta? La rappresentazione che è veicolata dal disegno può essere astratta o concreta, reale o immaginaria, naturalistica o di finzione, e l’elenco delle coppie oppositive potrebbe essere più esteso. Appare interessante osservare che la rappresentazione che un disegno sostanzia non è fine a se stessa, o meglio alla forma che tale rappresentazione assume, ma a quanto di celato vi è, a quella esperienza spaziale che nasce su un supporto e che rimanda a spazialità altre che non vengo-

Di-segno, 2009 inchiostro su carta, cm 30 x 30, collezione dell’autore, Roma

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no determinate sul supporto stesso, a quella esperienza temporale che non termina nel disegno rappresentato ma in una temporalità atemporale. Una narrazione spazio-temporale incompleta in un viaggio senza fine. Dietro e oltre il rappresentato nel e del disegno vi è un mondo che forse non è mai stato e forse non sarà mai, un orizzonte senza orizzonte, una forma impossibile, una definizione non data. Un esempio per chiarire quanto sin qui detto (o non detto): nei disegni così lucidi e chiari del Palladio vi è coagulato l’universo di riflessioni dello stesso autore che pur riecheggiando nel disegno, non si esauriscono in esso. Tali disegni hanno alimentato un mondo di fantasie altre che da questi forse prendevano le mosse, a volte distaccandosene profondamente. Nessun disegno in tal senso si avvicina a un progetto compiuto che prevede un futuro formalizzandolo in una composizione attuale. Nel disegno resta quindi un fondo, che forse ne è il fondamento, di inspiegabilità che apre alla immaginazione, alla memoria di un passato mai stato, alla rammemorazione diacronica e sincronica al tempo stesso, ad una speranza senza sperato che toglie il fiato in un vortice alchemico e magico. Allora cosa è per un architetto o per un artista il disegno inteso come questa inesauribile fonte immaginifica e primigenia? Non è un atto che si concretizza, ma un processo sempre aperto. Nel lasciar tracce, nel dar forma ad uno spazio, nel configurare forme che nominano ed indicano un mondo, allo stesso tempo lo sottraggono, in quel rapporto che vi è tra la mano e per estensione il corpo che disegna e che rende assolutamente identitario ed autoriale il gesto, e il disegno che da quella mano si distacca per sempre una volta assunta la propria corporeità sul supporto. Una rappresentazione che nell’atto stesso di oggettivazione che è nel segno, nella traccia, nel nome scritto del linguaggio, irrompe con una carica che non è più ascrivibile al logos come discorso compiuto o al concetto stabilizzato e alla forma disponibile ma una eco di rimandi e risonanze che vive di vita propria al di là, oltre e al di fuori dell’autore e costantemente sottratta al fruitore. Forse è questa la verità del disegno e del disegnare, se di verità è giusto parlare. Forse è questo ciò che distanzia una rappresentazione bella da una formalmente corretta. Forse è questo lo scarto tra il disegno e il progetto in architettura ma anche tra il disegno e lo schizzo che del progetto è l’archetipo. Forse è questo il momento nel quale la rappresentazione è una scena senza scena, un viaggio senza meta, un mondo senza concetti e figure, che veicola la possibilità senza tracciarne un orizzonte prestabilito ma lasciando ad una assenza presente o presentata la possibilità di un possibile immaginato, mai dato, e carico di utopia.

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Il disegno e l’architettura: il codice di un Tempio Labirinto

SEGNO, TRA SCRITTURA E DISEGNO

Francesca Ferrara Ragionando intorno al disegno e all’architettura, si nota una sostanziale differenza: carta e inchiostro contro materiali da costruzione di ogni tipo; pochi centimetri in due dimensioni contro metri in tre dimensioni; rappresentazione dello spazio contro vero spazio; uomini che disegnano a una scrivania contro uomini, sotto il sole, che stringono barre di ferro tra loro o manovrano macchine elevatrici o posizionano mattoni; uomini che guardano fogli di carta contro uomini che vivono le proprie vite al suo interno, compreso guardare fogli di carta. Non si assomigliano affatto il disegno e l’architettura, in niente. Si potrebbe pensare che il disegno sia semplicemente rappresentazione dell’architettura, necessario per stabilire in precedenza le linee guida che occorrono alla realizzazione ed eliminare l’improvvisazione, ma da architetto posso dire che è vero solo in parte. Il disegno, per come si è evoluta l’architettura, è un passo decisivo del suo processo creativo, oltre che di carattere direzionale informativo. Poiché l’architettura è un’arte che non può essere espressa di getto, a causa delle risorse lavorative e l’organizzazione che necessita la sua realizzazione, si avvale di molte discipline a supporto, di cui il disegno è solo una di queste. Il disegno è un segno visivo fisso, che si elabora per indurre il fruitore a un’attività cognitiva, che permetterà di ricevere un’informazione, adeguata allo scopo che il segno ha. I segni sono convenzioni più o meno prestabilite: quanto più si uniformano a un codice universale, tanto più sono leggibili. L’architettura spontanea è edilizia abusiva, senza grafici approvati, attualmente, non si può costruire per legge, l’architettura oggi deve essere esclusivamente progettata. Personalmente ho individuato e uso tre tipi di disegno dell’architettura che ho così denominato: il disegno segreto; il disegno cifrato; il disegno pratico. Il disegno segreto è quello che precede il progetto: è tutta quella produzione che consiste nella ricerca formale pura e che va di pari passo con la ricerca funzionale e strutturale. Generalmente si uniforma a una scrittura personale e libera, perché l’uso che se ne fa è individuale. Ogni architetto che affronta la progettazione si ritrova ad elaborare: schizzi; visioni; feedback; schemi; immagini astratte; grafici che simulano atmosfere, sia realistiche che emozionali; morfemi; veri e propri linguaggi criptici. Il disegno segreto costituisce l’indice dello stato di ricerca, è la voce del progetto embrionale, direziona ma non ha ancora una forma definita. La libertà espressiva, con la quale ci si approccia a questo tipo di disegno, è quella che spesso viene considerata di valore, anche dal punto di vista artistico figurativo, in relazione ad alcuni architetti con un elevato talento nel disegno, a prescindere dalle rispettive capacità progettuali o dai risultati architettonici a cui questa forma di disegno porta.

La chiave del tempio, 2014 penna su carta, cm 40 x 40, (dimensioni foglio cm 50 x 70) collezione dell’autore, Roma

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Il disegno cifrato è in sostanza il disegno tecnico specifico, in cui si da rappresentazione, convenzionata alle normative vigenti, dell’opera progettata. Questo tipo di disegno è proprio del linguaggio confacente la geometria descrittiva, che permette di essere, sia elaborabile, che leggibile, da tutti i tecnici ma cifrato, perché difficilmente creabile e decifrabile, da chi non ha competenze tecniche. L’utilizzo dei mezzi informatici ha velocizzato la stesura e la diffusione di questa tipologia di disegno dell’architettura, lasciando venir meno il carattere calligrafico dell’architetto, dando maggior spazio di concentrazione a chi ne usufruisce, per la lettura, senza che vengano meno i contenuti informativi, che sono lo scopo principale di questo tipo di disegno. Il disegno pratico è quello che viene elaborato per essere accessibile a tutti. È un linguaggio ibrido: prende connotati, semplificati, di disegno cifrato e segreto, e li argomenta in modo che differisca in base all’interlocutore, in relazione al tipo di approvazione che si ricerca. Questa tipologia si fonda sui concetti di immediatezza, originalità, semplicità e bellezza e ha fini comunicativi per lo più commerciali e pubblicitari. Ricapitolando: il disegno segreto risponde alla domanda: l’architettura in progetto “cos’è?”; il disegno cifrato risponde alla domanda: “come è fatta?”; il disegno pratico risponde al: “come sarà?”. Rispondere a queste domande è come un raffreddamento, un passaggio di stato dalle idee alla concretezza, dal vapore all’acqua, il disegno è lo stato liquido dell’architettura che è ghiaccio. L’architettura è un luogo che si raggiunge attraverso il disegno, come fosse l’uscita dal Tempio delle Mille Porte, della Storia Infinita. Inizialmente si avanza per scelte consequenziali, talvolta casuali, talvolta ragionate, talvolta espressive, talvolta costruite da immagini esistenti, di memorie personali o collettive o di altre opere, finché non si raggiunge un punto, in cui le scelte non saranno più né di personalità, né di moralità, né di storia, ma di volontà. Quando si determina una reale volontà, che non è il semplice desiderio ma più una profonda necessità, allora si stabilisce la regola, il codice di uscita dal tempio del disegnare, che permette di dare totale forma al progetto. L’architettura è un qualcosa che possiede forza di gravità e modificherà permanentemente il luogo originario e il nostro modo di viverlo. La sua realizzazione sarà sempre dovuta a un’esigenza collettiva, ma il processo creativo dell’architettura, inizia quasi per gioco, muovendosi sulla scacchiera del disegnare. Progettare, dunque, significa entrare in un Tempio Labirinto, da cui si potrà uscire, non solo per necessità della propria volontà, ma anche di quella degli altri, che sono la prima e l’ultima porta, infatti, la responsabilità e il bene verso noi stessi e la comunità, è ciò che spinge noi architetti ad affrontarlo.

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Architettura è ancora Disegno

SEGNO, TRA SCRITTURA E DISEGNO

Giulio Galli L’Architettura è ancora Disegno? Lo sarà sempre, quantunque non sia da escludere che la trasformazione del mezzo, da manuale ad informatico, potrebbe, come oggi evidente, continuare a celare il pensiero del suo Autore meglio svelato dal segno manuale che, di quel pensiero, è efficace sintesi. Il disegno in architettura, quando si manifesta istintivamente per mano del suo creatore, è annotazione dell’idea, narrazione del concept, trasposizione visiva eseguita con strumenti semplici: la matita, la biro. Essenziali ma fortemente espressivi perché capaci di evidenziare con la forza del segno, della traccia, del movimento, la forza e l’anima dell’idea. Senza sovrastrutture, in modo scarno, primitivo. Nei livelli più alti un’opera d’arte che vive di luce propria e la cui concretizzazione in materia può diventare un fatto del tutto secondario. Di fronte alla sincope che ci affligge, intesa come perdita di coscienza transitoria, sembra non esserci più spazio per questa narrazione e il frettoloso percorso della progettazione, sempre più condizionato dal tempo, è surrogato da imitazioni generate da un uso inadeguato delle nuove tecnologie, capaci, invece, di ben rappresentare un’architettura integrata con altre discipline. È nella possibilità di integrare che risiede il vantaggio funzionale dello strumento tecnologico. Questo, agendo su un livello altro, permette di approfondire sinergicamente i molteplici ambiti di analisi e sviluppo del progetto, che nel disegno con grande difficoltà possono essere visti ed affrontati contemporaneamente. In quest’ottica lo spazio della progettazione merita di essere ampliato, non limitandosi alle sole dimensioni cartesiane, ma estendendosi a nuovi campi di variabili imprescindibili per la compiuta definizione del modello multidimensionale dell’organismo edilizio. La rappresentazione parallela e contemporanea in ambiti diversificati fun-

Più e meno, 2014 penna su carta, cm 30 x 30, collezione dell’autore, Perugia

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zionalmente stratificati assume carattere transdisciplinare, diventando strumento proprio dell’analisi tecnica e funzionale, espressione di un crescente numero di relazioni che cede alla necessità di condensare, in modelli virtuali di rapida esecuzione, una grande quantità di informazioni provenienti da campi diversi. Il costruendum viene messo a nudo. Si concretizza la possibilità di visualizzare e chiarire l’impalcato strutturale e di verificare nei dettagli eventuali interferenze. In fieri, si giunge ad un organismo compiuto in tutte le sue funzioni. In questo percorso lo strumento tecnologico, necessariamente digitale, non si sovrappone ne confligge con il disegno manuale che resta lo strumento naturale per la rappresentazione dell’idea. È per questo che il disegno manuale resta il più efficace mezzo nella comunicazione dell’architettura, con una cifra ben superiore all’infografica digitale. Il disegno manuale gioca la sua forza nel calore di una rappresentazione essenziale che a volte sconfina nell’enigmaticità premeditata del significato non concluso, dunque lasciato aperto a diverse ipotesi e successivi contributi. Da una interpretazione diversa e imprevista, spesso si genera una nuova visione di cui ciascuno può farsi portavoce. Rotazioni, simmetrie inaspettate, inversione nei rapporti tra vuoti e pieni, alterazioni della profondità spaziale: sono solo alcuni degli aspetti che possono essere fonte di equivoci percettivi e generare nuove individuali interpretazioni suggerite da diverse concezioni dello spazio architettonico. Ecco allora che il disegno stesso, inteso come atto creativo, diventa – a sua volta – spunto per nuove idee, dove queste non nascono solo dall’intendimento del vero messaggio racchiuso nel lavoro dall’Autore ma, in più, da una sostanziale incomprensione.

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Sostanza di cose disegnate

SEGNO, TRA SCRITTURA E DISEGNO

Antonello Leggiero L’universo dell’architettura è un universo disegnato prima ancora che costruito. Del resto, la storia dell’architettura non è solo storia del costruito: essa accoglie in sé anche quei progetti e quei disegni che non sono mai usciti dai confini dell’immagine. Ciò significa che il progetto di architettura, che si esprime nel disegno, non produce solo gli elaborati grafici che saranno trasmessi al cantiere in vista dell’edificazione, così come il disegno di rilievo non è solo una pratica conoscitiva preliminare in vista della progettazione o del restauro o della semplice catalogazione e descrizione di un’opera: il disegno di architettura non si configura solo come elemento puramente strumentale, ma contiene una valenza intrinsecamente teorica che definisce non tanto come si deve fare, o è fatta, un’architettura, quanto cosa essa è. Nel disegno, l’architettura affrancata dalla costruzione e da ogni altro vincolo contingente, ritrova la possibilità di esercitare la propria auto-nomia situandosi al limite fra pratica professionale e riflessione immaginifica. Il disegno è sguardo sull’architettura, pensiero sull’architettura, trasparenza dell’architettura, di cui prefigura una nuova immagine. Ma esso è anche sguardo sul mondo, pensiero sul mondo, trasparenza del mondo, di cui restituisce un commento visivo, ipotizzandone una nuova forma. Nel disegno, architettura e mondo si coagulano. Fra indagine critica sul presente e intenzionalità progettuale, fra sguardi carichi di nostalgia o spostamenti verso il futuro, il disegno di architettura si declina in diverse espressioni. Al di là del volto eretico ed utopico, i progetti degli architetti rivoluzionari del Settecento, istituiscono veri e propri laboratori sperimentali in cui l’architettura si fonda come scienza codificata. L’immaginario piranesiano delle Carceri o del Campo Marzio, rivela la riflessione tragica sull’esistenza lacerata dell’uomo in un’incipiente modernità, in cui l’ordine classico, dissolto, non riesce più a riformularsi.

Parete con ritmo, 2014 inchiostro su carta, cm 40 x 40, collezione dell’autore, Roma

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Le illustrazioni di Bruno Taut per il libro Alpine Architektur, immaginano un mondo trasformatosi attraverso una palingenesi che ne riscrive la geografia. La gigantesca colonna dorica che Adolf Loos progetta per il Concorso della Chicago Tribune, parla di un oggetto ironicamente spaesato nella città. I disegni della Grossstadt di Ludwig Hilberseimer, il progetto del Total Theater di Walter Gropius, la stessa città futurista di Antonio Sant’Elia, alludono ad un universo che fattosi macchina, non vive più ma funziona. I progetti dei grattacieli di El Lissitzky, così come quelli di altre architetture di Kostantin Melnikov o di Ivan Leonidov, al di là della loro stessa dimensione metaforica o simbolica, rivelano le possibilità di manipolazione di un linguaggio che attraverso la sua stessa carica visionaria, riesce a scoprire nuovi approdi. I disegni di Aldo Rossi sospendono l’architettura tra storia, tipologia, morfologia urbana e memorie autobiografiche. Gli elementi iconici di Franco Purini sono continuamente sottoposti a incessanti processi di metamorfosi fra identità e variazione, tra similitudine e differenza, tra l’uno e il suo contrario. Talvolta proprio alcuni progetti non costruiti, assumendo il tono di riflessioni teoriche persistenti nel tempo, continuano a vivere in altri progetti, diventando altre architetture: è il caso dei grattacieli che Mies Van der Rohe progetta per Berlino agli esordi della sua carriera e che diventano il Seagram Building di New York, e nella stessa misura, il Plan Obus per Algeri di Le Corbusier redatto prima della seconda guerra mondiale e in parte realizzato, nel periodo post bellico, in forma di macroframmento, nell’Unité d’habitation di Marsiglia. Così, fluttuando tra il possibile ed il reale, fra apparenti evasioni e meditate immaginazioni, il disegno concede esistenza all’architettura, che si fa, come direbbe Edoardo Persico, sostanza di cose sperate. Ma anche sostanza di cose disegnate.

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Alcune riflessioni tra architettura e disegno di architettura

SEGNO, TRA SCRITTURA E DISEGNO

Giorgios Papaevangeliu In questo breve testo intendo cogliere l’occasione di mettere a punto alcune riflessioni sull’architettura e il disegno di architettura. Nonostante l’argomento presenti una considerevole complessità dovuta alle riflessioni e gli apporti di molti autori, i termini in gioco si possono ridurre a pochi elementi e categorie che ne sintetizzano le caratteristiche invariabili. Il nostro modo di essere nel mondo attraverso una vita fisica e una spirituale ci pone continuamente alla ricerca di soddisfare i rispettivi bisogni. L’architettura e il disegno di architettura, entrambe opera dell’uomo, si inseriscono completamente all’interno del processo di relazioni che hanno a che fare con le necessità umane. Il riconoscere che coesistono nell’essere umano due realtà fa conseguire che anche le sue opere portano con sé, in quantità e qualità differenti, componenti che si riferiscono all’una oppure all’altra parte. In questa ottica, un ciclo continuo che procede dalla mente umana verso l’esterno e viceversa, permea l’attività e i prodotti dell’uomo di parti necessarie alla vita fisica e a quella spirituale. L’architettura, opera umana presente ovunque esiste l’uomo dalla notte dei tempi, ha il fine di assolvere ai bisogni materiali dell’uomo ed eventualmente offrire anche la possibilità di una attività relativa ai bisogni interiori degli abitanti. Nella complessità costruttiva dell’edificio convergono le esigenze di avere, da una parte una salda opera di fronte all’azione incessante della natura insieme a una razionale disposizione funzionale, dall’altra l’immagine di un edificio in empatia con la nostra sensibilità e soprattutto la capacità di innescare nell’uomo che la abita, se il manufatto è anche opera d’arte, una attività spirituale. La natura dell’uomo insieme alla sua attitudine al movimento e allo stare nello spazio, interpretandone le qualità, determinano due condizioni fondamentali intorno alle quali viene organizzata ogni architettura, le quali corrispondono a due modi di percepire lo spazio e di fruirlo. Mentre dal movimento, in cui si percorrono in lungo gli assi visivi, viene attivata principalmente l’attività percettiva riferita ai sensi dove lo spazio tridimensionale è selezionato in continui frammenti legati dal tempo, al contrario, dallo stare in un luogo individuato come polo, viene privilegiata l’attività contemplativa in cui l’immaginazione elabora astratte immagini adimensionali e dotate di unità. Al tempo dello spazio fisico si contrappone l’atemporalità dello spazio astratto, alla frammentazione della percezione si avversa l’unità del pensiero. L’uomo con la sua mente è immerso tra opposti che deve decifrare e a cui deve dare senso. In questo quadro l’architettura gioca un ruolo fondamentale per favorire ed organizzare l’attività percettiva legata ai bisogni necessari alla vita fisica e a quella contemplativa riferita ai bisogni interiori. Modificando lo spazio naturale indistinto l’architettura comunica con valori spaziali universalmente riconosciuti in cui sono attori principali il limite e il varco. Essi sta-

Il disegno e l’architettura, 2014 china su cartoncino, cm 20 x 20, collezione dell’autore, Roma

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biliscono la condizione irriducibile dell’architettura, in cui si ha l’esistenza di un limite più o meno penetrabile e di un varco per accedere in uno spazio artificiale che è altro da quello esterno naturale. La gerarchia del limite in architettura è direttamente proporzionale alla possibilità di fruire fisicamente lo spazio fisico, il quale è strettamente necessario alla vita dell’uomo e ai suoi bisogni. Alla riduzione dello spazio fisico a disposizione del corpo umano corrisponde un incremento dello spazio adimensionale necessario alla vita del pensiero dell’uomo. Vengono a trovarsi in campo così due condizioni soggettive e interne all’uomo, il movimento e la stasi, e due condizioni oggettive e materiali della realtà esterna, il limite e il varco. Il compito dell’architetto è quello di organizzare in maniera opportuna le quantità e le qualità di queste componenti, in modo tale da rendere la vita fisica dell’uomo più funzionale e confortevole e poi dare la possibilità all’abitante di alimentare la sua vita spirituale. Interposto tra uomo e architettura, il disegno ha il suo raggio d’azione tra spazio percettivo e spazio astratto. Tra questi due punti focali, rappresenta le immagini frutto della conoscenza sensibile ed altre che scaturiscono da operazioni della nostra mente. A partire da questa, in un percorso ciclico in entrata ed in uscita, il disegno da una parte trascrive in frammenti grafici la realtà visibile all’occhio, dall’altra geometriche astrazioni imprimono sul foglio come impronte le immagini concettuali del nostro pensiero. Prospettive, assonometrie, piante e sezioni hanno instaurato nel tempo una sinergia feconda tra percezione visiva ed elaborazione mentale in un incessante movimento tra la rappresentazione bidimensionale e tridimensionale e non senza reciproche contaminazioni. Se è indiscutibile che recepiamo frammenti della realtà e solo in un secondo momento li riuniamo in unità nella mente, rimane il dubbio se nel disegno è opportuno rappresentare un frammento della nostra immaginazione che a posteriori verrà ricomposto in unità da chi si troverà ad osservarlo, oppure il disegno deve raffigurare un’unità, un a priori del nostro pensiero astratto, che poi l’osservatore decostruirà in infiniti frammenti. Una ultima riflessione deve essere fatta per sottolineare come il disegno ha il ruolo di fare nascere e rendere evidente all’uomo il suo pensiero. Infatti, se si dovesse sottrarre il momento del disegno tra l’immaginazione dell’uomo e la realizzazione dell’architettura, il momento costruttivo del manufatto verrebbe a essere mancante della parte astratta e riflessiva, lasciando ampio spazio a quella intuitiva e sensibile. Invece il disegno, ponendosi in maniera “analogica” come un “simulacro” nei confronti della futura realizzazione, funge da catalizzatore del pensiero dell’architetto e in un certo senso partecipa a farlo nascere e renderlo evidente. Si può affermare che il disegno esercita l’arte maieutica nei confronti dell’architetto per far nascere il suo pensiero.

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Spartiti architettonici

SEGNO, TRA SCRITTURA E DISEGNO

Alberto Saccà Il seguente morfema, intitolato “Spartito architettonico II”, può essere considerato come un esercizio di scrittura ibrida tra musica ed architettura. Si presenta come l’esito formale di un processo finalizzato alla trascrizione geometrica di una scrittura musicale. A seguito di un’attenta indagine sulle relazioni tra elementi melodici e ritmici in musica, si è cercato di mantenere anche nel disegno un simile sistema di rapporti. La transdisciplinarità (il convergere di logiche esterne all’interno di una disciplina) è per la ricerca e l’innovazione uno strumento indispensabile che apre ad importanti ed impreviste soluzioni ed incentiva la fase creativa del disegno e della pura composizione architettonica. Nonostante ci sia una differenza sostanziale tra musica ed architettura, che vede la prima organizzarsi secondo una logica progressiva ed istantanea del materiale e la seconda costruirsi in un tempo compositivo differito, bisogna superare tali contraddizioni per poter trarre dalle potenziali analogie interessanti conclusioni. In questo contesto di analisi, l’interesse risiede nel passaggio dalla grammatica alla sintassi (il modo in cui il singolo elemento, la nota o l’elemento costruttivo, si relaziona coralmente alla totalità della struttura) e nel processo creativo con cui un sistema di operazioni e metodologie elementari può diventare la base per la scrittura di un linguaggio articolato. La musica e l’architettura sono forme di espressione paragonabili al linguaggio verbale, quindi alla scrittura, in quanto composte da un vocabolario, da una grammatica e da una sintassi che da forma al discorso. Queste regole determinano una grande libertà creativa nell’espressione della forma compiuta e una pressoché infinita possibilità di combinazioni tra le componenti. La similarità tra musica e architettura consiste nella logica con la quale gli elementi sono associati tra di loro. Queste relazioni sensibili diventano dense di significato esclusivamente all’interno di uno specifico contesto compositivo: una nota o un volume non hanno in sé alcun significato ma associati ad altri elementi possono generare dissonanze o assonanze, equilibri o tensioni. Ecco allora che concetti come pausa, vuoto, intervallo, distanza, misura, peso, tonalità, struttura e ancora divisione, interruzione, ripetizione, variazione, frammentazione, scansione, inversione, errore, simmetria, tensione, risoluzione … diventano alcuni tra i fondamenti della composizione sia musicale che architettonica. Possiamo considerare la composizione (riferendoci alla progettazione architettonica e all’improvvisazione o alla scrittura musicale) come l’esito di una successione di azioni finalizzate all’organizzazione e alla manipolazione del materiale. Questo insieme di scelte sono momenti fondamentali di razionalità e creatività che inducono l’artista-compositore a selezionare la soluzione adeguata all’interno di una vasta gamma di opzioni. La progressione logica della composizione genera di conseguenza una «inevitabilità

che ne lega gli elementi in un insieme di relazioni sensibilmente obbligate, anche se non in modo assoluto»1. Il risultato è dunque un insieme olistico coerente in cui tutto è disposto secondo un meccanismo di consequenzialità inscindibile che genera la tensione equilibrata della totalità. Oltre alla linearità del discorso, intesa come successione ordinata di elementi, bisogna esaminare l’insieme delle relazioni e delle forze/tensioni da esse generate, considerandole da un punto di vista globale. In entrambe le discipline l’attività dell’esecutore (musicista o architetto) è finalizzata a calibrare la disposizione delle componenti a seconda di uno specifico equilibrio di parallelismi (assonanze) e contrapposizioni (dissonanze) adeguati all’unicità di una particolare opera. Un’architettura può considerarsi compiuta quando le varie parti, oltre a una valenza formale individuale, sono composte in tal modo da essere ricondotte ad un’unità organica conclusa e inevitabile, come se non ci fossero possibilità alternative. Per garantire questa totalità alla composizione, l’architetto fa spesso ricorso ad uno schema modulare che assicura un’omogeneità e un’armonia compiuta al progetto. Il risultato è una percepibile coerenza dell’insieme e una proporzione generale delle forze. Se in architettura il tracciato modulare può essere considerato come un riferimento ausiliare di cui si serve il progettista-compositore per assicurare unità all’insieme, in musica questo concetto può risultare ancora più fondamentale. Nel Jazz, ad esempio, il “reticolo di proporzioni” è determinato, oltre che dal ritmo, dal tema e dalla conseguente griglia armonica degli accordi di riferimento. Il tema, suonato per esteso solo all’inizio e alla fine del brano, costituisce infatti l’intelaiatura del brano e il punto di riferimento per le improvvisazioni, rimanendo come substrato per assicurare la sincronia tra i musicisti durante l’esecuzione. Il risultato del disegno a cui questo testo fa riferimento non ha una valenza formale in sé ma è testimone di un processo mentale ibrido, ovvero transdisciplinare. La finalità, dunque, è quella di sviluppare la formulazione di uno strumento che aiuti ad individuare relazioni profonde di pesi e forze all’interno di un sistema formale. In questo senso la transdisciplinarità può costituire uno strumento importante per acquisire l’attitudine a razionalizzare un meccanismo creativo attraverso lo studio di rapporti fenomenici appartenenti ad ambiti esterni all’architettura (nel nostro caso la musica) e per accrescerne la poeticità. Queste caratteristiche sono fondamentali per tutte le fasi dell’attività professionale di un architetto, dall’organizzazione funzionale di un progetto fino al disegno di un dettaglio e condizionano il momento più intimo del processo architettonico, ovvero il passaggio dalla razionalità dell’intento alla creatività della proposta.

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Franco Purini, Comporre l’Architettura, Laterza, Roma, 2000, p. 72.

Spartiti architettonici, 2014 inchiostro su carta, cm 42 x 42, (dimensioni foglio cm 100 x 70) collezione dell’autore, Roma

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Il disegno fra ricerca e comunicazione

SEGNO, TRA SCRITTURA E DISEGNO

Pietro Zampetti Il disegno è un sistema di notazione che ritrae, descrive o inventa la forma. Il progetto di architettura si avvale di diversi tipi di disegno. Quello di invenzione è un momento propedeutico al progetto in l’autore dà forma al proprio immaginario e costruisce il proprio linguaggio. L’iter progettuale si serve di schizzi, schemi, disegni tecnici, prospettive per la messa a punto dell’oggetto architettonico e per la comunicazione con gli altri soggetti coinvolti nel processo edilizio. Gli strumenti del disegno mutano con l’evolversi della tecnica e degli scopi e l’architetto contemporaneo ha una vasta scelta di mezzi analogici e digitali di cui servirsi, alternandoli o ibridandoli. Il disegno esprime il pensiero sull’architettura e ne rende possibile l’invenzione, ma allo stesso tempo è necessario alla comunicazione sia fra i tecnici sia con il pubblico. Attualmente alcune contingenze culturali accentuano questa dialettica generando una crisi nel rapporto fra composizione e comunicazione. I mezzi di comunicazione di massa costituiscono il paradigma fondamentale della cultura contemporanea1. L’immagine mediatica è pensata per essere apprezzata dal vasto pubblico cui i media informatici si rivolgono. I media sono guidati da logiche commerciali e spesso le immagini sono elaborate e diffuse a fini pubblicitari. Le immagini di architettura non sono estranee a questo processo, perché il mercato rappresenta la forma di potere privilegiata con cui l’architetto è chiamato a confrontarsi. L’immagine di architettura si rivolge a un pubblico di consumatori. Si sviluppano tecniche, stili e linguaggi grafici finalizzati a comunicare il progetto in modo accattivante a un pubblico distratto e incolto2. La rappresentazione del progetto viene affidata a operatori esterni, che descrivono il progetto senza esprimerne il senso profondo. Rappresentare l’architettura smette di essere un discorso critico su di essa e il disegno di essere un manufatto artistico, per dissolversi nell’estetica diffusa della contemporaneità3. Tuttavia il disegno, «vera vista dell’architetto»4 rimane il momento generativo dell’architettura. Immaginare l’architettura significa condurre una ricerca che prende forma sul foglio o sullo schermo. Il disegno è il luogo dell’esperienza progettuale e non esiste pensiero architettonico al di fuori di esso5. Esiste un’altra ragione per cui gli architetti contemporanei sono chiamati a ribadire il ruolo centrale del disegno nella pratica progettuale. Il paradigma mediatico implica il superamento dei confini interculturali verso una reale e compiuta globalizzazione. Ne consegue un eclettismo di stili e linguaggi provenienti da ogni parte del mondo, in cui l’individuo è chiamato a scegliere consapevolmente il proprio repertorio lessicale e sintattico. Per non disperdere le proprie risorse creative in mode effimere ed entusiasmi momentanei, l’architetto contemporaneo ha pertanto il compito di progettare il proprio linguaggio. Il progetto di linguaggio si concretizza nel disegno di invenzione, composizione meta-progettuale finalizzata a verificare strategie e rapporti formali e a conservarne il ricordo nel repertorio lessicale privato del suo autore. La contraddizione del disegno architettonico contemporaneo è nel suo ruolo di codice genetico del progetto, necessario per salvaguardare l’identità dei linguaggi, messo in crisi dalla richiesta di immagini pronte a una fruizione superficiale e distratta. Rinunciare alla diffusione mediatica significherebbe rendere la ricerca un’esperienza privata e autoreferenziale, inadatta alla cultura contemporanea in cui la circolazione delle idee e il confronto culturale sono garantiti più dalla circolazione delle immagini che dalla costruzione degli edifici. D’altra parte adattarsi supinamente alle Spazio ritmico, 2009 inchiostro su carta, cm 30 x 30, collezione dell’autore, Roma

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logiche della comunicazione priva il disegno del suo ruolo cardine nella disciplina e ne consegue un appiattimento dei linguaggi a livello globale. Interesse dell’architetto contemporaneo è riaffermare l’inscindibilità fra progetto e disegno, inteso come momento di ricerca compositiva prima che comunicativa, stimolando il dialogo culturale. Il disegno architettonico destinato alla diffusione massmediatica dovrebbe offrirsi sinteticamente a un livello di lettura immediato, in cui sia espresso il significato generale, grazie a un alto grado di iconicità, in luogo della vistosità muta, destinata a colpire un occhio distratto e disinteressato, comune a molte immagini di architettura contemporanea. A un secondo livello di lettura il disegno dovrebbe consentire di riconoscere il ragionamento che lo ha prodotto. Un disegno di architettura non deve provocare nell’osservatore uno stupore momentaneo e effimero ma una crisi, porlo nella condizione di esprimere un giudizio critico sul disegno stesso e sul contenuto di pensiero che esprime. Il disegno deve infine possedere un’autonomia nello studio del segno e della composizione, contrapponendosi alle mode che li vorrebbero omologati in stili riconoscibili e ripetitivi6. Forme, colori, qualità del tratto dipendono dalla sensibilità dell’autore e da ciò che questi intende esprimere. Tale caratteristica è importante sia per il disegno analogico che per quello digitale. Quest’ultimo corre maggiormente il rischio di perdere la propria autorialità in una serie di scelte automatiche dettate dall’uso del software e pertanto dovrebbe essere oggetto di uno studio particolarmente attento dal punto di vista del linguaggio grafico7. È possibile riconoscere una qualità artistica al disegno digitale solo se il segno risulta da una scelta consapevole del suo autore8. Contro la produzione eccessiva e frenetica, richiesta dal mercato, l’architetto contemporaneo ha quindi il compito di ritrovare la lentezza della riflessione e del ragionamento, la coerenza e la profondità del contenuto, la qualità artistica del disegno autografo9, per veicolare il disegno nella realtà globale e informatica del futuro. 1 Tale problema è stato indagato dal professore Franco Purini nel corso del suo seminario “Gli strumenti del progetto” tenuto all’interno del dottorato in “Architettura – Teorie e progetto” presso la Facoltà di Architettura della Sapienza Università di Roma, dipartimento Diap, nell’ottobre 2014. 2 Per una descrizione del ruolo pubblicitario e merceologico dell’immagine architettonica si rimanda a Franco Purini, Le nuove immagini architettoniche tra superficie e istantaneità, in «Metamorfosi» n° 12, 1989 e a Vittorio Gregotti, Il disegno come strumento di progetto, Christian Martinotti Edizioni, Milano 2014, p. 24. 3 Un’analisi di simili processi verificatisi nel campo dell’arte si trova in Yves Michaud, L’arte allo stato gassoso, Edizioni Idea, Roma 2007 (L’art á l’état gazeux, Éditions Stock, 2003). 4 Franco Purini, Comporre l’architettura, Editori Laterza, Roma 2006, p. 99. 5 Franco Cervellini e Renato Partenope (a cura di), Franco Purini, Una lezione sul disegno, Gangemi editore, Roma 2007, pp. 32, 33. 6 Un esempio di questa tendenza a omologare i linguaggi grafici a quelli più diffusi dalla moda è stato offerto di recente da un blog di architettura, in cui è stato pubblicato un articolo che individua sommariamente i sette stili di “visualizzazione architettonica” più in voga. Lidija Grozdanic in «Architizer», 29 settembre 2014, (20 dicembre 2014) 7 Vittorio Gregotti, op. cit., pp. 29, 30. 8 Tale problema è stato indagato dal professore Franco Purini nel corso del convegno “La serie e il paradigma. Franco Purini e l’arte del disegno presso i moderni” tenutosi presso il Politecnico di Milano il 19 gennaio 2015. 9 Sulla contrapposizione fra questi opposti approcci alla composizione si veda il saggio di Renato Partenope, «Il disegno e l’Artificio», in Renato Partenope, La casa è la città, Iiriti editore, Reggio Calabria 2009.

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III

15 Disegni di Franco Purini

Immaginare l’architettura

IMMAGINARE L’ARCHITETTURA. 15 DISEGNI DI FRANCO PURINI

Forme nuove per il popolo, 1980 china e pennarelli su carta, cm 50 x70, collezione dell’artista, Roma

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IMMAGINARE L’ARCHITETTURA. 15 DISEGNI DI FRANCO PURINI

Al principio di tutto, 1985 china e pennarelli su carta, cm 50 x70, collezione dell’artista, Roma

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IMMAGINARE L’ARCHITETTURA. 15 DISEGNI DI FRANCO PURINI

La capanna primitiva 4, 1985 china, pennarelli e pastelli su carta, cm 30 x 30 (foglio cm 50 x70), collezione dell’artista, Roma

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IMMAGINARE L’ARCHITETTURA. 15 DISEGNI DI FRANCO PURINI

La capanna primitiva 6, 1985 china, pennarelli e pastelli su carta, cm 30 x 30 (foglio cm 50 x70), collezione dell’artista, Roma

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IMMAGINARE L’ARCHITETTURA. 15 DISEGNI DI FRANCO PURINI

Testa N°2, 2002 china e pennarelli su carta, cm 30 x 30 (foglio cm 51 x 72,8), collezione dell’artista, Roma

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IMMAGINARE L’ARCHITETTURA. 15 DISEGNI DI FRANCO PURINI

Testa N°4, 2002 china e pennarelli su carta, cm 30 x 30 (foglio cm 51 x 72,8), collezione dell’artista, Roma

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IMMAGINARE L’ARCHITETTURA. 15 DISEGNI DI FRANCO PURINI

Testa N°6, 2002 china e pennarelli su carta, cm 30 x 30 (foglio cm 51 x 72,8), collezione dell’artista, Roma

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IMMAGINARE L’ARCHITETTURA. 15 DISEGNI DI FRANCO PURINI

Testa N°9, 2002 china e pennarelli su carta, cm 30 x 30 (foglio cm 51 x72,8), collezione dell’artista, Roma

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IMMAGINARE L’ARCHITETTURA. 15 DISEGNI DI FRANCO PURINI

Il luogo del centro, 2011 china e pennarelli su carta, cm 30 x 30 (foglio cm 50 x 70), collezione dell’artista, Roma

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IMMAGINARE L’ARCHITETTURA. 15 DISEGNI DI FRANCO PURINI

Recinto attivo, 2011 china e pennarelli su carta, cm 30 x 30 (foglio cm 50 x 70), collezione dell’artista, Roma

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IMMAGINARE L’ARCHITETTURA. 15 DISEGNI DI FRANCO PURINI

Forme in movimento, 2013 china e pennarelli su carta, cm 40 x 40 (foglio cm 50 x 70), collezione dell’artista, Roma

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IMMAGINARE L’ARCHITETTURA. 15 DISEGNI DI FRANCO PURINI

Intersezioni vettoriali, 2013 china e pennarelli su carta, cm 40 x 40 (foglio cm 50 x 70), collezione privata, Roma

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IMMAGINARE L’ARCHITETTURA. 15 DISEGNI DI FRANCO PURINI

Superficie Viola, 2014 china e pennarelli su carta, cm 40 x 40 (foglio cm 50 x 70), collezione privata, Roma

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IMMAGINARE L’ARCHITETTURA. 15 DISEGNI DI FRANCO PURINI

Superficie Verde, 2014 china e pennarelli su carta, cm 40 x 40 (foglio cm 50 x70), collezione privata, Perugia

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IMMAGINARE L’ARCHITETTURA. 15 DISEGNI DI FRANCO PURINI

Eurosky, 2014 china e pennarelli su carta, cm 54 x 87, collezione dell’artista, Roma

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IV

Contributi

Luoghi e percorsi di civiltà, sul disegno di Franco Purini

La riflessione teorica sul disegno risale a ben prima del Medioevo. Tuttavia, è solo dal XIV secolo che esiste una tradizione scritta in proposito. Ma il suo statuto, nei secoli, non è sostanzialmente cambiato. Almeno nella cultura visiva occidentale. Anche oggi, infatti, nonostante la diffusione del digitale, il disegno ha un ruolo fondamentale nelle pratiche artistiche. Per riassumerne grossolanamente le funzioni: 1) elaborazione primaria di un’idea; 2) definizione progettuale; 3) trasmissione e diffusione didattica; 4) repertorio formale; e, infine, 5) invenzione iconografica autonoma. È una generalizzazione. Lo so. Alla quale sfuggono, ovviamente, considerazioni più raffinate. Come le differenze fra le discipline. E quelle fra gli strumenti d’uso. O il discrimine stilistico. E il dibattito sulla paternità, autenticità, singolarità, eccetera dell’opera. E altro ancora. Comunque, è rilevante e storicamente invariato – indipendentemente dagli ambiti applicativi – il carattere conoscitivo e comunicativo del disegno. Il suo essere un dispositivo relazionale. Un ponte tra l’interiorità dell’artista e la realtà esterna. Il primo aspetto riguarda la capacità di formare immagini (un dono divino, per i trattatisti del Rinascimento). Il secondo, invece, è la formulazione di un codice espressivo che, per avere un significato, deve essere condiviso. Il disegno, quindi, non è solo l’interfaccia sensoriale della facoltà ideativa. È anche il risultato della stratificazione secolare di convenzioni visive. Cioè uno dei meccanismi di coordinamento sociale. Perché la possibilità compiuta di un’esperienza estetica è data solo dall’esistenza di consuetudini riconosciute, comuni agli artisti e al pubblico. E non parlo solo dell’arte. Vale per il disegno tecnico così come nelle dinamiche interpersonali. Prima le abitudini si radicano. Poi sono interiorizzate. Infine diventano norma. E in un rapporto costi/benefici il mantenimento delle regole è più “vantaggioso” del loro incessante aggiornamento. Queste considerazioni mi portano a riflettere sul disegno in architettura. Ciò che mi ha sempre interessato è l’intrinseco dualismo di tecnica e stile. L’apparente coesistenza di finalità strumentali e di pura seduzione visiva. Però, essendo io uno strenuo oppositore del concetto di autonomia estetica, non credo all’arte-per-l’arte. Anche quando non è rivolto alla progettazione, secondo me, il disegno architettonico ha una forte impronta funzionale. Solo per fare quale esempio tra i maestri, c’è il perfezionamento inventivo di Wright, Le Corbusier, ecc. Ovvero la competenza teorematica dei disegni di Sant’Elia e dei costruttivisti russi. O, più semplicemente, la verifica informale di cognizioni tecnologiche e strutturali. In ultimo vorrei ricordare che il disegno, come ogni gesto creativo, non si nutre solo di talento e ispirazione. Richiede anche applicazione, tirocinio, esercizio costante.

Veniamo a Franco Purini. I disegni pubblicati, anche se abbracciano un periodo limitato, sono la limpida testimonianza di una poetica militante. Non perché inquadrano un’ideologia. Al contrario. Sanciscono la radicale presa di posizione contro l’idealismo. In opposizione alle teorie del “capriccio”. Avverso le mitologie della fantasia liberata. Dell’immaginazione autarchica. Dell’esplosione demoniaca del genio. Dell’arbitrio. Mi spiego meglio. Se prendiamo i disegni colorati, notiamo innanzitutto la sapiente calibratura cromatica. È un formalismo, però, che potrebbe ingannare. Che cosa voglio dire? Non che Purini insegua esiti narrativi. Neppure che ambisca alla semplice astrazione iconografica. È sotto l’epidermide decorativa, infatti, che dobbiamo cercare. Là dove risiede la vocazione illusionistica di quei fogli. Che si tratti di quelli recenti o di vent’anni addietro non cambia. Andiamo oltre. Vediamo i lavori a inchiostro. E troviamo una caratteristica in comune con quelli di cui abbiamo parlato sopra. Infatti, seppur privi di aspirazioni alla costruibilità (salvo, naturalmente, Eurosky del 2014), c’è in loro un’evidente tensione alla regolarizzazione dello spazio. O, quanto meno, alla ricerca concreta della sua misurabilità. Quest’attitudine mi riporta all’Umanesimo. Verso la ragione laica di un’ansia per la conoscenza, che dai grandi personaggi di allora giunge a noi. A quel loro bisogno di accertamento scientifico della realtà che, fortunatamente, ancora resiste. Ecco, per me, Franco Purini – nell’enciclopedica portata della sua ricerca – incarna l’attualizzazione dell’ingegno rinascimentale. La sua versatilità non è eclettismo. Anzi. È la coerenza che nasce dalla fiducia nella ragione come strumento di analisi universale. È la vittoria della razionalità. Dell’unico strumento oggettivo a disposizione per esaminare la collocazione dell’uomo nella vastità del mondo. I disegni di Purini hanno un forte impianto plastico e tridimensionale. I volumi sono sbalzati dallo sfondo in virtù di un uso esperto del chiaroscuro. E, abbiamo detto, dall’articolazione prospettica delle composizioni. Ma non basta. La mia tesi è la seguente. È la sua formazione di (grande) architetto a redimere questi lavori dalla semplice apparenza pittorica. In quei disegni, infatti, la rappresentazione non dipende dall’impressione di un’immagine. Non inseguono il sogno romantico dell’emozione estatica. Essi sono il prodotto della combinazione di memoria e prefigurazione di rapporti spaziali. Si riferiscono a oggetti ed esperienze motorie. Luoghi e percorsi. Mondo e presenza umana. C’è, qui, il codice etico dell’architettura contemporanea. Il senso della responsabilità morale e sociale che Purini – non a caso grande didatta – maieuticamente riesce a trasmettere. In forme di sorvegliato dinamismo. E nitido accordo cromatico. Dove però la cantabilità dei motivi è la cassa di risonanza per l’impegno civico dell’autore. Deontologia figurata.

CONTRIBUTI

Maurizio Coccia

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La sola logica

CONTRIBUTI

Roberto de Rubertis

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Questo incontro, organizzato a Trevi da Enrico Ansaloni e Andrea Dragoni, è un coraggioso e generoso gesto d’amore di Franco Purini nei confronti del disegno, obiettivo e al tempo stesso strumento del suo agire nell’architettura. L’organizzazione dell’evento è opera della scuola romana del disegno, della “sua” scuola romana, che ha avuto l’iniziativa di raccogliere, in una giustapposizione difficile, disegni come lezioni e disegni come esercizi applicativi, in un confronto che spesso si tenta di evitare. L’arte non s’insegna né s’impara, al più si copia, si dice di solito, ed è tanto vero che rare sono le occasioni in cui un maestro si presta a mettere a nudo il mestiere svelando il proprio armamentario maieutico e testimoniando con profonda umiltà quanto è disposto a dare ai suoi allievi, senza nulla togliere alla loro originalità espressiva. È un lavoro impegnativo che sollecita ovvie considerazioni su quanto sia arduo fare oggetto d’insegnamento le più riposte forme del proprio pensiero visivo, nonché i modi in cui esprimerle. Porre poi a confronto diretto opere e imitazioni, ovvero modelli autentici e opere di genere, foss’anche solo per studiarne i metodi d’approccio, le fonti d’ispirazione e la ricchezza di varianti esecutive, significa esibire impudicamente esiti che talora scaturiscono da esperimenti di allievi ingenui e inesperti. Per questo il coraggio di esporsi è indispensabile e così la generosità di donare se stessi all’insegnamento. La sfida è saper indurre gli allievi a generare opere che non siano solo autoreferenziali, ma che siano anche assoggettabili al dialogo con le diverse e forse opposte concezioni proposte dai maestri. Ne emergono esiti di impensabile efficacia. Accanto a confronti in cui l’impronta del maestro origina procedimenti imitativi in parte inevitabili, ma sempre fecondi e stimolanti, emergono altri esiti che sperimentano linguaggi che paiono solo marginalmente indirizzati, ma in realtà forieri di differenti ricerche morfologiche, di altri orientamenti geometrici e di poetiche imprevedibili, che senza quell’impulso mai sarebbero state rivelate. La ragione per cui questo accade così frequentemente, nel dialogo didattico istituito da Franco Purini con i suoi allievi, dipende dalla disponibilità illimitata dei suoi disegni ad esprimere la presenza nella realtà di ordinamenti differenti e spesso contrastanti. Ordinamenti generati da matrici morfologiche opposte che attingono al tempo stesso agli universi del rigore e a quelli della libertà espressiva. Matrici che accostano le serialità più ripetibili all’anomalia e all’eccezione, secondo ritmi che è facile trovare sia nella natura che nell’architettura e che sembrano appartenere ad un linguaggio universale. Misurarsi con questo linguaggio è l’avventura che la scuola di Franco Purini propone, come esercizio di quell’unica logica che regola allo stesso modo le forme tracciate sulla superficie e le forme generate nello spazio.

Quindici finestre spalancate sul mondo delle idee

Affacciandosi dalle quindici finestre aperte sulle candide pareti di Palazzo Lucarini da Maurizio Coccia (con la curatela di Enrico Ansaloni e Andrea Dragoni) e spalancate da Franco Purini sul mondo delle idee, sembrava di ripercorrere idealmente il divenire dell’atto inventivo. Una sorta di paesaggio mentale in cui disegno e progetto, pur rimanendo entità distinte, si alimentavano a vicenda, dando luogo a un intreccio di significati che rimarcavano la non neutralità dell’uno rispetto all’altro. Non a caso, tanto dai pennini dei rapidograph quanto dai feltrini dei pennarelli e dalle mine dei pastelli, prendevano forma decorazioni bidimensionali e configurazioni tridimensionali levigate dal flusso della storia, eppure sempre e comunque sorprendenti: virtuosismi grafici dal tratto preciso, ma dal senso misterioso, che, al pari della zucca magica di Cenerentola, si trasformavano d’incanto in un vivido monolite, che sembrava ritratto dalla propensione visionaria di Stanley Kubrik, o in un algido grattacielo, che sembrava coronato dalla vena scenografica di Alexander Vesnin. Questo, d’altra parte, è da sempre, e rimane tuttora, il grande potere del disegno: condensare in pochi decimetri quadrati non solo molte informazioni, ma anche e forse soprattutto infinite suggestioni. Né erano da meno i disegni e i modelli delle tesi di laurea ispirate da Franco Purini. Anche se non stento a immaginare che qualche professionista locale, annebbiato dalle ingenti incombenze burocratiche imposte dalla professione militante, si sia limitato ad apprezzarne le qualità estetiche e abbia avanzato riserve sullo scarto tra disegno e costruzione; magari spingendosi a rappresentare le agiatezze dello studio rispetto alle asperità del cantiere. Un luogo comune tanto diffuso quanto infondato, che peraltro mostra la corda del proprio essere se solo si ripercorrono, anche sommariamente, le tappe salienti della storia dell’architettura. Da sempre, infatti, disegnare equivale a costruire, perché il disegno incarna una forma-pensiero irrinunciabile, senza la cui capacità medianica di pre-visione l’opera architettonica non può avere luogo se non in modo scomposto. Viene in mente un celebre disegno di Carlo Aymonino, in cui un grumo di schizzi sono composti intorno a un’epigrafe, progettare è fatica, da cui grondano gocce di sangue volte a ricordare che il disegno comporta anche uno sforzo fisico non trascurabile. Ma più ancora viene in mente la laconica rampogna di Aldo Rossi quando, concludendo una memorabile premessa a un elegante catalogo di disegni di Gian Carlo Leoncilli Massi (nato e vissuto da queste parti), rimarca laconicamente che «il margine tra disegno e architettura costruita, tra l’ideazione e la pietra è sempre stato un confine poco chiaro». Al pari della labilità dei confini insegnamento/professione e arte/mestiere. Così come enunciato profeticamente da Franco Purini nella Lezione sul disegno tenuta nella Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno più di venti anni fa e così come rivendicato lucidamente da Giorgio Bonomi in occasione del colloquio Accanto all’arte svoltosi nel Teatro Clitunno la scorsa primavera.

CONTRIBUTI

Paolo Belardi

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Post-fazione

Promemoria per Trevi sul disegno di architettura

Il disegno di architettura sta all’edificio costruito come lo spartito all’esecuzione musicale, la sceneggiatura a un film, la scrittura coreografica a un balletto. Anche se questi paragoni sono approssimativi, e forse inesatti, essi chiariscono comunque la necessità nei vari linguaggi di dispositivi preparatori in grado di definire non solo gli obiettivi e i caratteri di un’opera, ma prima di tutto la sua la sua forma e la sua immagine, seppure embrionali e progressive. Il disegno di architettura produce dunque una simulazione del risultato dell’azione progettuale favorita dall’essere il disegno stesso capace di fornire una rappresentazione analogica del futuro edificio. Essa serve all’architetto per esprimere i fondamenti concettuali e formali di ciò che si vuole costruire. Successivamente è utile per verificare il risultato del proprio impegno progettuale e infine per comunicarlo al committente e ai futuri utenti dell’edificio. Inoltre il disegno di architettura consente di ricostruire fase per fase la definizione della genesi del manufatto, sempre complessa e laboriosa. In breve il disegno è pensiero, espressione riconoscibile e finalizzata di questo pensiero e la sua memoria. Questa triplice essenza rivela il limite di quelle concezioni del disegno di architettura che lo considerano solo come uno strumento, seppure sofisticato. Esso è infatti molto più di un ausilio grafico all’esercizio compositivo e costruttivo, ma ciò che consente al comporre e al costruire di esistere e di compiersi nell’opera architettonica. Ma c’è dell’altro. Oltre ai suoi aspetti specifici il disegno di architettura ha anche un valore autonomo come opera d’arte. Ovviamente non tutti i disegni di architettura lo sono, ma solo quelli nei quali l’autore ha saputo creare un rapporto organico tra l’idea architettonica e il modo con il quale essa si è fatta forma. In questo senso il disegno di architettura come opera d’arte è sempre utopico, rivelando aspetti prima sconosciuti della realtà i quali, una volta rivelati, possono modificarla rendendola più avanzata e più libera. È anche innovativo perché reinventa ogni volta la sua struttura, che anticipa su un piano parallelo quella dell’opera che ha determinato e rappresentato. È totale in quanto riflette l’infinità del cosmo, di cui ogni architettura è un’interpretazione e una trasformazione. È misterioso perché traduce nel suo linguaggio, come in una poesia del segno, la trasformazione della realtà in un enigma che è tanto oscuro e resistente quanto è limpido e luminoso nella sua formulazione. Se è vero ciò che è stato detto nelle prime righe di queste note il disegno di architettura si colloca nello stesso tempo prima e dopo l’edificio da cui è nato. Interviene prima perché il disegno è l’idea; continua la sua azione dopo perché il disegno contiene anche ciò che accadrà all’edificio nel corso della sua vita.

POST-FAZIONE

Franco Purini

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Stampato nel mese di marzo 2015 da Futura soc. coop. di Perugia

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