L\'indirizzo transemiotico di Filiberto Menna

Share Embed


Descrição do Produto

L'indirizzo transemiotico di Filiberto Menna di Cristina Masturzo “Scrittura e immagine, lo scrivente e il figurante sono fondamentalmente un tutt'uno”. (Paul Klee) In un arco di tempo che si estende dal 1974 al 1989, Filiberto Menna, indimenticato critico d'arte salernitano, orienta la propria riflessione, attraverso diversi momenti espositivi, su un nodo preciso della storia dell'arte: il ruolo ed il valore della parola nell'arte visiva, l'interrelazione osmotica tra la parola e l'immagine, lo scambio e il passaggio tra due codici eterogenei, tra segno verbale e segno iconico. A voler ricostruire una sorta di genealogia di questo intreccio e sconfinamento tra i due poli, si potrebbe partire addirittura dall'età alessandrina per risalire, attraverso le iconografie bizantine e medievali, alle Avanguardie di primo Novecento con le Parole in libertà futuriste e le dissacrazioni dada e surrealiste, senza tralasciare Duchamp e soffermandosi poi, negli anni '50, sulla Poesia Concreta e soprattutto sulla rivoluzione in parole della Poesia Visiva (per la cui ricerca è imprescindibile la diffusione dei mass media), fino a lasciarsi traghettare nella più vicina contemporaneità. Accettando dunque come presupposto che il rapporto tra arte e scrittura e l'interdipendenza parolaimmagine, a cui Menna ha dedicato ampio spazio nel corso dei decenni, hanno segnato e continuano a segnare la ricerca artistica, appare in effetti possibile rintracciare in questo indirizzo transemiotico (Menna) una linea di continuità nella riflessione e nella pratica artistica, pur all'interno di imprescindibili trasformazioni epistemologiche sopravvenute. A partire da Narrative Art (1974), per lo Studio Cannaviello di Roma, Filiberto Menna avvia dunque l'indagine sulla combinazione di immagine – in questa fattispecie quella fotografica – e segno verbale, riunendo opere di Askevold, Badura, Baldessari, Bay, Boltanski, Cumming, Gerz, Hutchinson, Le Gac, Vaccari, Wegman e Welch, nelle quali è centrale la presenza di parola e immagine intesi come due binari paralleli, separati nello spazio ma legati mentalmente e con funzioni complementari. Se infatti l'immagine fotografica, attraverso una rappresentazione quanto più diretta e piana possibile, àncora il racconto ad un preciso contesto spazio-temporale, alla parole viene invece affidato il compito della narrazione, della liberazione dell'immaginario, di lanciare lo sguardo oltre l'adesione al reale. L o spazio del testo (Lyotard) viene invece definitivamente invaso dall'insubordinazione dell'arte come scrittura nelle opere di, tra gli altri, Lamberto Pignotti, Vincenzo Accame, Baruchello, Tomaso Binga, Irma Blank, Ketty La Rocca, Isgrò, Magdalo Mussio, Luca Patella, Sarenco, esposte nella mostra La Scrittura (1976), progetto itinerante – tra Roma, Milano e Genova – curato da Menna, Italo Mussa e lo stesso Pignotti. L'arte ut scriptura sceglie ora per sé uno spazio di autonomia, lo spazio della figura (Lyotard), in cui “il significante possiede significato in se stesso, per le sue qualità fisiche, materiali, plastiche” (Menna). Persa la trasparenza della comunicazione transitiva e convenzionale, lo spettatore è qui chiamato a partecipare ad un procedimento di decodificazione, di interpretazione ed elaborazione di un pensiero critico rispetto al processo di desemantizzazione attuata dallo scollamento tra significante e significato. Nella Sala d'Arme di Palazzo Vecchio a Firenze, nel 1979, il focus è dedicato, poi, alle declinazioni de La poesia visiva (1963-1979). Recuperando nuovamente la nozione lyotardiana di spazio della figura, Filiberto Menna segue il tiro dell'arte come scrittura per evidenziarne la volontà di partecipare attivamente al proprio tempo attraverso l'assunzione dei contenuti della cultura di massa e la messa in discussione della civiltà delle immagini. In uno dei contributi inclusi in catalogo, Vittorio Fagone sottolinea l'assalto sferrato dalla poesia visiva a parole ed immagini, l'erosione del margine di separazione tra quelle, ora implementate in un nuovo modello di grande efficacia critica e significativa, e ancor più quanto “nel programma

della poesia visiva […] risulta ancora vivo il progetto fondante di tutta l'arte moderna: un codice di apprensione e comunicazione più direttamente riferito allo spazio costitutivo dell'arte, una capacità di essere immediatamente efficace, popolare”. La poesia visiva, di cui Gillo Dorfles nella stessa occasione profetizza l'inesausta vitalità, si fa così luogo di visione e di invenzione teso a costruire nuove ipotesi di comprensione del mondo, sfruttando la pervasività dei modelli di comunicazione di massa per iniettare il proprio contagio nel quotidiano. È poi nell'agosto del 1987 che Filiberto Menna dispone, negli spazi dell'ex Convento di San Carlo di Erice, un ulteriore segmento creativo teso a riprendere e testimoniare il discorso intorno all'arte ut scriptura. La mostra è significativamente intitolata Pittura scrittura pittura e si avvale della presenza di Vincenzo Accame, Gianfranco Baruchello, Tomaso Binga, Irma Blank, Magdalo Mussio, Gastone Novelli, Cy Twombly, per citarne solo alcuni. Il nucleo teorico sostanziale del progetto è costituito dall'osservazione di un'oscillazione pendolare nella relazione tra pittura e scrittura, tra la seconda metà degli anni '50 e la prima degli '80. Nel momento in cui la pittura degli anni '50 sembra accogliere, nel proprio farsi, lettere, parole e frasi, essa si orienta decisamente verso una necessità comunicativa, laddove, tra gli anni '70 e '80, si realizza il percorso inverso ed è la scrittura a volgersi verso la pittura, sterzando verso l'indeterminazione in una zona eterogenea al senso e alla significazione. A distanza di due anni dall'esperienza ericina, nel 1989, Filiberto Menna pare chiudere il cerchio sulla relazione tra arte visiva e scrittura, tornando a risistemare ed ampliare i temi già sviscerati nel'76 e nell'87, in occasione della mostra Il sottosuolo del linguaggio – Scrittura Pittura Scultura alla Galleria Ezio Pagano di Bagheria e del testo omonimo in catalogo, l'ultimo pubblicato da Menna, che proprio nel 1989 viene a mancare. Se ci si chiedesse perché tornare, oggi, su questo snodo riflessivo ed artistico, si potrebbe sottolineare come non si sia in effetti mai interrotta la continuità di indagine sullo scambio tra i due poli verbale ed iconico. Le arti visive continuano a giocare con gli immaginari del linguaggio (Barthes), con il testo come luogo di piacere e perdita, a dissolvere il rapporto automatico e convenzionale tra significante e significato, prendendo dunque a proprio fondamento l'autonomia del significante. In seconda istanza, pare inoltre ancora denso di significato ed efficacia guardare a quel tentativo, ideologicamente connotato, di sovvertire un ethos della persuasione (Migliorini), di sottrarre alle dinamiche di consumo di massa la costruzione di senso: un senso libero da classificazioni riduttive ed immutabili, indeterminato e non immediatamente transitivo, ottuso in senso barthesiano, fenomeno dinamico e processuale, per la cui costruzione è sempre necessaria la presenza partecipata di uno spettatore attivo e consapevole, che possa ancora desiderare di scuotere l’albero del sapere (Barthes).

Bibliografia F. Menna, Le parole e le immagini, in Narrative Art, Studio Cannaviello, Roma 1974 Idem, Ut scriptura, in La Scrittura, Galleria Seconda Scala, Roma – Studio Sant’Andrea, Milano – Galleria Unimedia, Genova, 1976 Idem, La poesia visiva (1963-1979), a cura di L. Ori, testo in catalogo, Vallecchi, Firenze 1979 Idem, Pittura-Scrittura-Pittura, a cura di F. Menna, F. Abbate, M. D’Ambrosio, testo in catalogo, Mazzotta, Milano 1987 Idem, Sottosuolo del linguaggio, in Sottosuolo del linguaggio, scrittura pittura scultura, Galleria Pagano, Bagheria, 1989

Lihat lebih banyak...

Comentários

Copyright © 2017 DADOSPDF Inc.