L’INFLUSSO DELLA CULTURA TEDESCA IN SERBIA

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI UDINE
Facoltà di Lingue e Letterature Straniere
Corso di laurea in Lingue e Letterature Straniere


Anno Accademico 2011 – 2012



L'INFLUSSO DELLA CULTURA TEDESCA
IN SERBIA






Laureando: Marko Marić Relatore: Prof.ssa Sonja Kuri






Indice

Introduzione2

Le relazioni tra la Serbia e l'Austria – Ungheria...........................................................5
Le relazioni tra l'Austria e la Serbia Ottomana
I rapporti tra la Serbia indipendente e l'Austria – Ungheria
Il deterioramento dei rapporti tra Belgrado e Vienna

Vuk Stefanović - Karadžić e il suo rapporto con il mondo tedesco...........................22
Biografia
Vuk Karadžić in Austria
Il rapporto di Vuk Karadžić con gli uomini di cultura tedeschi
Vuk Karadžić e la storiografia

Archibald Reiss e il suo rapporto con la Serbia...........................................................29

La Serbia di Hitler........................................................................................................33
L'invasione della Serbia da parte dei nazisti
Il nazismo in Serbia
I nazisti si ritirano dalla Serbia

La cultura tedesca nella Repubblica Socialista di Serbia............................................42
La cultura tedesca nella Serbia di Tito
La cultura tedesca in Serbia dopo la morte di Tito

La cultura tedesca in Serbia dagli anni 90 fino ad oggi...............................................56
La cultura tedesca nella Serbia di Milošević
La cultura tedesca in Serbia dopo l'era Milošević

L'influsso della lingua tedesca sulla lingua serba.......................................................65
Le parole tedesche nella lingua serba
I proverbi tedeschi nella lingua serba

Conclusione.................................................................................................................72

Zusammenfassung.......................................................................................................76

Bibliografia..................................................................................................................80

Ringraziamenti.............................................................................................................82
1
1 Introduzione
Scopo del presente lavoro è illustrare il profondo legame che esiste tra la Serbia e la cultura in lingua tedes-ca. Per cultura in lingua tedesca intendo la cultura tedesca prodotta in Germania, in Austria e nella Confede-razione Elvetica. Il periodo da me preso in esame va dal 1878, anno in cui la Serbia risorge come stato indi-pendente in Europa grazie anche all'appoggio indiretto di Vienna, fino ai giorni nostri. Ho preferito partire dall'anno 1878 essendo quest'ultimo di particolare importanza per lo stato serbo in quanto i rapporti con il mondo tedesco si intensificano in modo significativo. Vi saranno riferimenti anche all'epoca precedente, in particolar modo quando verrà affrontata la questione riguardante Vuk Stefanović – Karadžić, il padre della lingua serba moderna e dell'odierno alfabeto serbo in uso, il quale era vissuto ed aveva lavorato ben prima della proclamazione d'indipendenza della Serbia.1 Tuttavia la sua opera è di grande rilievo per noi dal momento che si è istruito, come altri giovani serbi, prevalentemente in Austria e che buona parte delle sue opere è stata pubblicata a Vienna e in altre città tedesche come ad esempio Lipsia. Oltre a questo per la sua riforma grammaticale e linguistica egli ha goduto dell'appoggio di molti intellettuali tedeschi tra cui Goethe e i Fratelli Grimm i quali erano molto interessati alla cultura serba e a quella degli altri slavi meridionali.2 Questo lavoro di analisi, tuttavia, comincerà con la presa in esame e l'analisi dei rapporti politici e culturali esistenti tra la Serbia e l'allora Impero Austro-Ungarico. Oltre a questo questo lavoro tratterà anche di alcuni celebri esponenti del mondo tedesco che si sono interessati alla Serbia, alla sua cultura e agli accadimenti che ne hanno segnato la storia all'inizio del '900. Il personaggio a cui ho dedicato maggiore attenzione in questo caso è Archibald Reiss, un chimico, pubblicista e professore svizzero, nato però in Germania, che dedicò alla Serbia un'attenzione particolare soprattutto con lo scoppiare della Prima Guerra Mondiale e denunciò all'Occidente i crimini compiuti nei confronti della popolazione serba durante il conflitto.
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1 ) Cfr. Staniša Veličković, Interpretacije iz književnosti , Niš, 2005, II, pp. 99 – 102.
2 ) Cfr. Radovan Samardžić, Pisci srpske istorije, Beograd, 2009, p. 402 .
2
Archibald Reiss trascorse in Serbia il resto della sua vita e non tornò in Svizzera neppure dopo che il gover-no serbo gli ebbe voltato le spalle. Si applicò per migliorare la polizia della Serbia basandosi sui modelli svizzero e tedesco. Quando mori, nel 1929, venne sepolto a Belgrado con tutti gli onori ed è certamente uno degli esponenti del mondo tedesco che i serbi amano di più. Verrà in seguito analizza la particolare situazione della Vojvodina o Serbia Asburgica, la quale si trovava fino al 1918 sotto il controllo diretto delle autorità dell'Impero Austro-Ungarico e che ospitava e ospita anche al giorno d'oggi una piccola comunità di parlanti tedeschi, meglio noti in Europa come ''Donauschwaben''. La Vojvodina è senz'altro la zona dell'attuale Repubblica di Serbia dove la cultura e la civiltà tedesca hanno lasciato il segno più evidente; è inoltre il punto dove la cultura serba e quella tedesca si sono incontrate con maggiore frequenza. Verranno analizzati vari fattori, parlando di questa regione, della cultura tedesca che hanno influenzato e che tutt'ora influenzano la vita e la cultura in Vojvodina: lo status libero di molte città, il sistema architettonico, il modo di lavorare e anche il sistema scolastico che si differenzia dagli altri sistemi presenti in Serbia.3 Parlando delle caratteristiche della Serbia Asburgica arriveremo agli anni terribili del Secondo Conflitto Mondiale e qui analizzeremo un nuovo periodo, terribile ma paradossalmente innovativo, nella storia della cultura tedesca e del suo influsso in Serbia: la Serbia di Hitler. Vedremo come, dopo l'invasione, le truppe del Terzo Reich hanno riorganizzato la Serbia, trasformatasi allora in uno stato satellite del Reich, e di come tutto ciò abbia influito sulla futuro status dello stato serbo nell'immediato dopoguerra.4 Verrà poi analizzato un periodo assai critico per la cultura tedesca, ovvero la discriminazione della stessa, all'interno della Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia a cui la Serbia aveva dovuto, volente o nolente, aderire.5 Sono gli anni oscuri del socialismo jugoslavo e in questi anni la cultura e la lingua tedesca rischiarono di scomparire definitivamente almeno dal territorio dell'odierna Repubblica di Serbia.
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3 ) Cfr. Vladimir Dulović, Serbia a portata di mano, Belgrado, 2007, I, pp. 119 – 177.
4 ) Cfr. Vladimir Dulović, Serbia a portata di mano, Belgrado, 2007, I, pp. 22 - 23.
5 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch , Serbia, la storia al di là del nome, 2010, p. 214.
3
Il regime dittatoriale di stampo socialista del Maresciallo Tito discriminò incessantemente tutto ciò che ave-va a che fare con il mondo tedesco e fomentò l'astio e l'odio nei confronti della Germania e dell'Austria nel suo disperato tentativo di unire una volta per tutte Serbi, Croati e Sloveni.6 Tuttavia la cultura tedesca riuscì a sopravvivere agli anni bui del socialismo e, in seguito alla disgregazione dello stato fantoccio jugoslavo, divenne addirittura un fattore di cui Serbi, Croati e Sloveni si servirono per differenziarsi tra di loro. Oggi la cultura tedesca è stata pienamente riabilitata nella Repubblica di Serbia e gode di grande prestigio in Serbia anche perchè molti serbi, per sfuggire alle devastazioni prodotte dalle guerre jugoslave, si sono rifugiati in Germania o in Austria. Oltre a ciò, Belgrado, la capitale della Repubblica, è gemellata con Vienna. Nel presente lavoro verrà inoltre esaminato anche l'indiscusso influsso che la lingua tedesca ha avuto sulla lingua serba. Attraverso l'utilizzo di vari dizionari e grammatiche è stato possibile dimostrare come la lingua tedesca abbia influenzato quella serba, in particolar modo per quanto concerne il lessico. Scrivere questo lavoro è stata un'impresa impegnativa supportata, tuttavia, dalla convinzione che il fattore tedesco riveste un ruolo determinante in Serbia e nell'Europa Orientale in genere. Non resta che augurarsi che, con il tempo, questi rapporti si rinforzino.







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6 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch , Serbia, la storia al di là del nome, 2010, pp. 205 – 255.
4
2 Le relazioni tra la Serbia e l'Аustria – Ungheria.
2.1 Le relazioni tra l'Austria e la Serbia Ottomana.
Il territorio dell'odierna Repubblica di Serbia è rimasto a lungo diviso e esposto all'influsso di due grandi potenze e delle loro rispettive lingue e culture. Il sud della Serbia era sotto il pressochè totale controllo della Sublime Porta mentre il nord veniva amministrato da Vienna. Esisteva poi una di terra di mezzo, attorno ai fiumi Sava e Danubio, comprendente l'odierna capitale Belgrado e altre città come Šabac e Požarevac che veniva conquistata e persa a turno da entrambe le parti e che fini col assorbire le caratteristiche di entrambi i mondi. Il territorio serbo era spesso zona di scontro tra Vienna e la Sublime Porta e questo fatto impedì per lungo tempo la creazione di una qualsiasi forma statale serba. Il confine tra i due imperi lungo la Sava e il Danubio sarebbe in seguito rimasto invariato e la popolazione serba divisa a metà. La dominazione austriaca in Serbia, tuttavia, portò all'introduzione di un nuovo sistema amministrativo, che prevedeva, alle dipendenze del governo centrale, alcuni amministratori autoctoni a livello locale. Per molto tempo l'Imperatore era stato formalmente anche il re della Serbia.1 Fu proprio in Austria a formarsi l' embrione di quello che, in seguito, sarebbe diventato il Regno di Serbia e siccome nel 1739 Belgrado era ancora in mano agli austriaci nella capitale serba giunsero anche dei tedeschi oltre, naturalmente, a un considerevole numero di serbi scappati dalla Serbia Ottomana per via delle devastazioni provocate dai Turchi. I serbi, sebbene considerassero eccessivo il carico fiscale imposto dagli austriaci, gradirono e trassero beneficio dalla stabilità amministrativa della Serbia Austriaca. Pochi anni dopo però Belgrado assieme alle zone circostanti ricadde nuovamente sotto il giogo ottomano, tuttavia i turchi agirono con moderazione nei confronti dei serbi in modo da non irritare gli austriaci. I serbi, non potendo evitare il ritorno a Belgrado della Sublime Porta, chiesero al governo turco che venisse mantenuto il sistema di amministrazione austriaco almeno per quanto riguardava Belgrado e le zone abitate dai serbi. Compresero inoltre che solo grazie all'appoggio di Vienna sarebbero riusciti a liberarsi dalla dominazione turca e fecero bene attenzione a non irritare Vienna.
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1 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, p. 37.
5
All'interno dell'Austria i serbi potevano contare su un consistente numero di connazionali, situati nella Serbia Asburgica o Vojvodina, i quali svolgevano un'intensa attività di propaganda e, dopo innumerevoli sforzi, riuscirono a ottenere dal governo di Vienna l'apertura di scuole e centri di cultura serba in Vojvodina e nella capitale austriaca. Il governo di Vienna inoltre riconobbe la Chiesa Autocefala Serba e i serbi della Vojvodina poterono contare anche su una relativa libertà religiosa a differenza dei Serbi Ottomani i quali, per mantenere la propria fede religiosa, dovevano pagare una tassa. I serbi ottomani, nonostante le continue difficoltà che incontravano con l'amministrazione ottomana, erano avviati sulla strada dell'indipendenza e stavano ponendo le basi di quello che nel giro di pochi decenni si sarebbe trasformato nel Regno di Serbia. Nel 1830 la situazione politica e legale della Serbia era ormai ben definita: non era più una burrascosa provincia in rivolta, bensì un principato del tutto autonomo con una amministrazione di stampo austriaco che versava regolarmente e puntualmente tributi. Nel 1834 furono fissati i confini serbi in modo da comprendervi tutti i territori a maggioranza serba. Sarebbero rimasti invariati fino al 1878. La gerarchia amministrativa locale venne ufficialmente ripristinata, ponendo al suo vertice Miloš il quale, in qualità di principe ereditario della Serbia, aveva potere assoluto sulla popolazione serba locale. Una popolazione di 700.000 mila abitanti viveva su un territorio di 38.000 chilometri quadrati. Nei limiti imposti dalla sua struttura essenzialmente agricola e dalla sua primitiva tecnologia, l'economia serba entrò in una fase di rapido sviluppo economico strettamente legato allo sviluppo politico, all'indebolimento dei rapporti con la Sublime Porta, al rafforzamento dei legami con l'Impero Asburgico, unico partner commericiale della Serbia all'epoca, e al rafforzamento dell'autonomia conquistata.2 L'aumento del prezzo dei maiali sul mercato austriaco e un maggiore livello di sicurezza compensavano ampiamente l'assenza di vie di comunicazione adeguate, l'aumento delle tasse e il tentativo del sovrano di controllare direttamente le esportazioni. I contadini serbi ebbero la possibilità quindi di darsi alle attività commerciali.3
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2 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch , Serbia, la storia al di là del nome, 2010, pp. 49 – 52.
3 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, p. 50.
6
Grazie ai progressi dell'ordine pubblico, la vita in comune cessò di essere l'unico modo valido per sopravvivere. Lo stato di pace e la cessazione dei conflitti tra Belgrado e la Sublime Porta portò a un notevole incremento del commercio con l'Austria, che fornì maggiori introiti e rimpinguò le casse della Serbia. Buona parte di questi ricavi, tuttavia, veniva impiegata per pagare il tributo ai Turchi, un tributo che i serbi tolleravano sempre meno. Buona parte della popolazione era stanca di vedere impiegato il proprio denario in pagamenti alla Sublime Porta e chiedeva sempre più apertamente una netta rottura con l'Impero Ottomano. Il sovrano Miloš, su consiglio di Vienna, non si azzardò a scatenare l'ira della Sublime Porta e continuò a pagare i tributi, ignorando il cresecnte malcontento dei serbi. Miloš era un uomo nuovo sotto molti punti di vista. La sua politica, secondo quanto riferisce Pavlowitch, nel suo lavoro dedicato alla Serbia, fu innovativa in quanto promosse l'immigrazione di individui provenienti dalle regioni limitrofe, il disboscamento di interi territori e il ripopolamento di interi villaggi in tutta la Serbia, la costruzione di argini lungo i fiumi, la valorizzazione dei benefici della produzione. Tuttavia la sua unica esperienza di governo e di amministrazione era quella ottomana, basata sull'uso della forza e dell'imposizione, che presto si rivelò fallimentare anche perché i serbi si rifiutarono categoricamente di accettarla. Resosi conto della gravità del problema egli convocò in Serbia i serbi dei territori asburgici per dare vita assieme a loro a una nuova e più moderna amministrazione. Questi serbi venivano da un ambiente sociale diverso e per certi versi più raffinato. Ne consegue che possedevano una cultura, una mentalità, un modo di vestire e perfino un aspetto diversi. La loro presenza avrebbe dovuto garantire e garantì alla Serbia un nuovo e migliore ordine sociale e amministrativo, inoltre avrebbe contribuito ad allontanarla, questa volta definitivamente, dalla Turchia. L'attività di questi colti serbi provenienti dall'Austria era, comunque, sempre tenuta sotto stretto controllo da Miloš. La presenza di questi uomini di cultura, stando a quanto riporta Pavlowitch, contribuì a sviluppare l'opinione pubblica serba, la quale cominciò ben presto a considerare obsoleto il proprio principe.4

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4 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch , Serbia, la storia al di là del nome, 2010, pp. 52 – 53.
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Avendo appreso il sistema di funzionamento austriaco, i serbi cominciarono a sentire il bisogno di garanzie legali a tutela dei "diritti'' politici, sociali ed economici di recente acquisizione. Il malcontento cominciò a crescere e Miloš dovette affrontare l'opposizione della struttura di governo e un'opinione pubblica sempre più esigente. I riformisti chiesero al principe una costituzione che ne limitasse i poteri. La parola 'costituzione' ( in serbo Устав / Ustav ) era arrivata in Serbia dalla Francia e coloro che ne chiedevano una venivano chiamati costituzionalisti ( in serbo Уставоборци / Ustavоborci ) 5 . Essi rivendicavano il diritto a esercitare il libero commercio, all'incolumità delle persone e alla tutela del diritto di proprietà, nonché uno status particolare per i funzionari pubblici. Miloš riuscì a calmare le acque promettendo che la costituzione, ormai auspicata da tutti, sarebbe stata elaborata in seguito all'ottenimento della totale indipendenza dalla Sublime Porta. Ormai era solo questione di tempo. Miloš decise, sempre su consiglio degli austriaci, di far uscire la Serbia dal ristretto spazio delle relazioni con una potenza sovrana ( la Sublime Porta ) e una protettrice ( l'Austria ) e decise di 'internazionalizzare' la Serbia. Vienna, sapendo benissimo che Belgrado sarebbe diventata indipendente nel giro di poco tempo, aveva già mandato un console nella capitale serba. Lo stesso fece la Russia. Miloš però si rivolse anche a Francia e Gran Bretagna le quali, pur non provando un grande interesse per la Serbia in quel momento, acconsentirono a mandare dei consoli a Belgrado. Il momento era arrivato. Alla fine, dopo estenuanti negoziati accompagnati talvolta anche da violenze e inganni, lasciando indenni per fortuna la maggior parte del territorio serbo, Miloš Obrenović aveva ottenuto per la Serbia il riconoscimento di territorio indipendente, di cui egli stesso era principe ereditario.6 A questo punto soltanto un sottilissimo filo burocratico legava ancora la Serbia all'Impero Ottomano. Era però arrivato il momento che i costituzionalisti stavano aspettando. La Serbia era uno stato de facto indipendente, con le sue istituzioni, la sua capitale e la sua classe politica ed era pronta per la sua prima costituzione; con la Sublime Porta aveva un solo debolissimo legame formale che si sarebbe spezzato molto presto.
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5 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, p. 54.
6 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, pp. 54 – 55.
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La 'Serbia' era un sogno le cui origini risalivano direttamente alla monarchia del Medioevo, passando per il despotato e la Chiesa, ma era un'immagine meglio definita nella mente dei serbi che vivevano in Austria, che permise ai suoi sudditi di compiere progressi sociali e culturali, così come lo era in quelle zone in cui il il potere ottomano esercitava una minore pressione.7 I serbi d'Austria erano animati da un sincero entusiasmo per la rinascita di uno stato indipendente serbo e si misero immediatamente a disposizione per trasferire tutte le loro conoscenze ai propri connazionali in Serbia nella speranza di fare di questa uno stato all'avanguardia che potesse tenere testa ad altri stati in Europa. I serbi di Serbia, d'altra parte, desideravano raggiungere i propri connazionali a Vienna e nelle altre città austriache per istruirsi e migliorare il proprio standard. Dopo che lo status della Serbia venne definito, dopo che la società serba fu in grado di gestirsi autonomamente e che ebbe acquisito una forte consapevolezza della propria identità politica, il potere del principe cominciò ad essere considerato dispotico e il suo ruolo non era più quello di legittimo rappresentante. Con l'aiuto di Russia e Austria i membri dell'oligarchia serba imposero al principe una costituzione, cosa che portò immediatamente all'abdicazione di Miloš. La Serbia moderna ormai era stata fondata. Si era liberata da sola dal dominio turco diretto e dal suo liberatore, ma tuttavia non era stata in grado di resistere al potere ottomano senza chiedere l'aiuto dell'Austria. La Serbia aveva acquisito i territori e sviluppato la struttura politica che avrebbero dato vita allo stato nazionale, fornendo ai contadini un punto di riferimento per l'integrazione; questo, tuttavia, accadeva soltanto in una delle tre zone molto differenziate in cui era radicata l'idea di Serbia. Le altre due si trovavano all'interno della monarchia asburgica e dell'Impero ottomano. 8 La popolazione della Serbia Asburgica, malgrado tutti i privilegi di cui godeva, cosa che spiega l'assenza di rivolte nei confronti di Vienna, si sentiva relegata a un livello inferiore rispetto agli Ungheresi e sognava segretamente la separazione della Vojvodina da Vienna e il ricongiugimento con la Serbia. In Serbia i costituzionalisti tenevano saldamente in pugno le redini del potere.
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7 ) Cfr. Konstantin Jiricek e Jovan Radovic, Istorija Srba, Avadar, 2006, Belgrado.
8 ) Cfr. Dejan Mikavica, Srpska Vojvodina u Habsburškoj Monarhiji 1690-1920, Novi Sad, Republika Srbija, 2005.
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Erano loro i principali notabili che avevano ottenuto la costituzione, cacciato i due principi Obrenović e che, in veste di consiglieri e ministri del nuovo sovrano, furono i veri amministratori del Principato di Serbia fino al 1858. Potevano fare affidamento su un considerevole prestigio sociale, sull'appoggio di Vienna ed erano sensibili alle pressioni esercitate dalle nuove generazioni. La misura più importante intrapresa dal loro governo fu la creazione delle basi di un apparato statale di tipo europeo ma prevalentemente austriaco.9 Questa generazione di serbi non aveva conosciuto di persona il giogo ottomano, ma solo sotto il regime Miloš e chiedeva garanzie formali a difesa di tutte le conquiste ottenute dalla Serbia. Questo regime oligarchico fornì tali garanzie e in un primo momento la popolazione, grata, accettò il regime. I costituzionalisti si consideravano gli amministratori dello Stato nel nome del popolo serbo che muoveva i primi passi verso la propria affermazione nel continente europeo. Tuttavia vi era un problema di grande importanza. Questo regime oligarchico se da un lato sapeva bene come contrastare i maneggi dei Turchi e della Sublime Porta dall'altro aveva una idea confusa e poco chiara sul funzionamento statale delle altre nazioni d'Europa. Bisogna inoltre aggiungere che la classe dirigente non aveva un livello di istruzione elevato, anzi era assolutamente mediocre se paragonato a quello posseduto dai funzionari inglesi, tedeschi e austriaci. Anche questa volta la chiave per la risoluzione del problema si trovava in Austria. Per attuare le proprie politiche nel più europeo dei modi il governo di Belgrado convocò ancora una volta i connazionali serbi che vivevano a Vienna e negli altri territori asburgici. I serbi d'Austria accolsero di buon grado l'invito e si recarono immediatamente in Serbia. Questi individui non autoctoni puntarono alla creazione di un insieme di leggi molto simili a quelle vigenti in Austria, piuttosto che definire istituzioni rappresentative e tutelare i diritti politici. Il più grande successo dei costituzionalisti fu l'introduzione del Codice Civile, nel 1844, sulla base di quello vigente in Austria. Il nuovo sistema giudiziario e amministrativo richiedeva il lavoro di un cospicuo numero di persone con un'adeguata preparazione in materia.
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9 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, p. 61.
10 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, pp. 62 - 63.
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Di conseguenza furono adottate numerose misure nel campo dell'istruzione, che venne resa obbligatoria, con l'apertura di numerose scuole e istituti professionali. In quegli anni vennero istituiti anche i primi licei. La scuola serba poteva considerarsi ormai completamente operativa, ma, a causa della mancanza di personale con un'adeguata preparazione, anche questa volta il compito venne affidato ai serbi provenienti dall'Austria. Il governo per velocizzare il processo di formazione delle nuove generazioni di serbi finanziò gli studenti più brillanti e offrì loro borse di studio e la possibilità di studiare all'estero.11 Le mete preferite erano, a causa della vicinanza, Austria e Germania. Un numero sempre maggiore di giovani serbi veniva mandato nelle città tedesche e austriache con il preciso compito di portare a termine gli studi, apprendere quanto più possibile riguardo al funzionamento delle istituzioni nelle università tedesche e austriache per poi ritornare in Serbia a trasmettere ai connazionali quanto avevano appreso e migliorare così il funzionamento delle stesse istituzioni serbe. Venne così posto l'accento sulla formazione del futuro apparato burocratico della Serbia. Sin dall'inizio il governo sostenne finanziariamente gli studenti destinati agli incarichi più tecnici e poi a quelli di maggiore responsabilità. Questa decisione era stata presa anche perché Belgrado si era ormai stancata di importare continuamente funzionari e tecnici dall'Austria e voleva che fossero i serbi di Serbia a formare l'ossatura burocratica, amministrativa, economica e politica dello Stato. I costituzionalisti non badarono a spese pur di far studiare i più brillanti diplomati delle scuole serbe in quelle che essi consideravano le università migliori d'Europa. Vennero firmati accordi anche con le scuole francesi, italiane e inglesi, tuttavia la maggioranza degli studenti serbi preferiva recarsi in Austria, un ambiente conosciuto in Serbia, e che veniva considerato più familiare rispetto a una Francia o a un Inghilterra. Il provvedimento varato dal governo di Belgrado diede risultati strabilianti. Come sostiene lo studioso Pavlowitch, a partire dalla seconda metà del secolo, l'elite di Belgrado raggiunse un livello di cultura paragonabile a quello posseduto dai serbi d'Austria.12

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11 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, p. 62.
12 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, p. 63.
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Le nuove generazioni volevano non solo assumere il controllo dell'apparato statale e farlo funzionare in maniera più pratica ed efficiente, bensì dare vita anche a un'opposizione liberale che intendeva sostituireil governo burocratico di stampo centro-europeo con un sistema rappresentativo di stampo occidentale.13 Tuttavia, sebbene fosse riuscita a ridurre la dipendenza dall'Austria per quanto concerne la burocrazia e l'istruzione, la Serbia era legata a doppio filo con Vienne per quanto riguardava l'economia. Il nuovo stato-nazione serbo, come del resto tutti gli altri stati europei, funzionava sempre più come un mercato, tuttavia la Serbia non aveva, a differenza di Austria, Germania e Francia, l'esperienza necessaria che le consentisse di muoversi liberamente nel nuovo mondo . La costituzione aveva istituito il libero scambio, sia all'interno del paese sia all'estero. Il valore delle esportazioni di bestiame nei territori asburgici continuò ad aumentare, così come cresceva il valore delle importazioni, portando perfino a un piccolo surplus commerciale. Verso la metà del secolo i commercianti, che si erano ormai distinti dai contadini, cominciarono ad adottare uno stile di vita sempre più simile a quello dell'Europa occidentale; l'applicazione dei ridotti dazi ottomani, ancora possibile in Serbia, stimolò l'afflusso di merci straniere. Fino alla fine del secolo il governo di Belgrado non sentì la necessità di industrializzare il paese, per vari motivi: anzitutto a causa della bassa concentrazione di manodopera e di individui di talento nelle città, poi per la relativa abbondanza di legno da utilizzare come combustibile, infine per l'assenza di un sistema creditizio organizzato con tassi ragionevoli. Vi erano, naturalmente, in Serbia delle banche, ma il problema consisteva nel fatto che lo Stato serbo non aveva una valuta propria. È questa la grave debolezza nonché il principale fattore che faceva dipendere Belgrado da Vienna. Sebbene nel paese circolassero diversi tipi di monete, il ducato d'oro austriaco era la valuta principale utilizzata per i pagamenti.14 La mancanza di una valuta nazionale e di un funzionante apparato creditizio generò problemi di gestione dei debiti e complicò la vita dei contadini i quali, non potendo accedere al capitale, non potevano sviluppare i loro progetti agricoli necessari per il pagamento delle tasse.
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13 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, p. 63.
14 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, pp. 64 - 65.
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Per risolvere il problema dei debiti e dei crediti dei contadini fu realizzata la proposta dei liberali per l'istituzione di un nuovo sistema creditizio statale, con la creazione, nel 1862, di un sistema creditizio statale, con l'istituzione di un centro amministrativo per la gestione dei fondi fiduciari pubblici e non e che prestiti ipotecari per le terre a un tasso del 6 %. Tuttavia se i serbi di Serbia stavano cominciando a vivere la loro ''epoca d'oro'', lo stesso non può dirsi per i serbi asburgici. Nel 1867 il vecchio conglomerato dinastico sui cui regnava la casa degli Asburgo divenne la Duplice Monarchia, chiamata anche Austria-Ungheria. Il territorio del regno venne diviso in due Stati costituzionali governati da un monarca unico e dotati di altre istituzioni comuni. La classe politica ungherese era convinta di aver ottenuto uno stato de facto indipendente mantenendo intatta la propria integrità territoriale. I serbi che vivevano nei territori amministrati direttamente da Vienna non conobbero svantaggio dal nuovo stato di cose, furono invece i serbi della Vojvodina ad avere problemi con la nuova classe dirigente di Budapest. Budapest riconobbe immediatamente la Croazia come entità separata legata però alla corona ungherese e dotata di istituzioni proprie, ma non fece lo stesso con i Serbi. La Vojvodina venne annessa all'Ungheria senza che venissero prese in considerazione le richieste dei serbi. La comunità serba tentò invano di rivolgersi a Vienna, ma ormai era troppo tardi; l'Impero austriaco era stato riorganizzato e l'autorità magiara si era stabilizzata. I serbi tuttavia non si arresero al nuovo, svantaggioso status all'interno dell'Ungheria. Non potendo più contare sull'appoggio di Vienna i serbi cominciarono a rivolgersi a Belgrado.15 L'appoggio di Belgrado però fu solamente simbolico in quanto la classe dirigente serba preferì non intromettersi negli affari interni dell'Austria-Ungheria, temendo che questo danneggiasse anche i rapporti con Vienna di cui la Serbia aveva ancora bisogno in veste di garante dell'ormai imminente indipendenza totale. La comunità serba che viveva in Ungheria tornò di nuovo al sistema dei consigli ecclesiastici. La classe militare e Confine militare furono aboliti, mentre la rappresentanza delle classi laiche venne raddoppiata; i consigli ecclesiastici ortodossi però non avevano peso politico in quanto avevano competenza solo in ambito ecclesiastico ed educativo.

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15 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, pp. 86 - 88.
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In seguito all'apparizione di nuove correnti di pensiero tra le giovani generazioni dell'intellighenzia serba in Vojvodina e alla presenza di liberali serbi in esilio nell'Ungheria meridionale, le relazioni ufficiali si erano gradualmente raffreddate. Svetozar Miletić ( 1829 – 1901 ), sindaco di Novi Sad e deputato del parlamento ungherese, era convinto che la Duplice Monarchia avrebbe avuto vita lunga e tentò di impedire che si verificassero scontri tra i serbi e il governo di Budapest. Egli fondò il nuovo Partito liberale nazionale serbo per ottenere dall'Ungheria il riconoscimento della nazionalità serba all'interno dello Stato costituzionale ungherese. Facendo ciò voltò le spalle ai notabili serbi conservatori che erano rimasti fedeli a Vienna. In Vojvodina operò per un certo periodo la dinamica Gioventù serba unita ( in serbo Сједињена српска младеж / Sjedinjena srpska mladež ), poi messa al bando da Budapest, che in teoria avrebbe dovuto essere attiva in campo culturale, ma che nei fatti diffuse in tra i Serbi asburgici, in Serbia e nei territori ottomani un nazionalismo serbo repubblicano, il cui scopo era la separazione dall'Ungheria e la riunificazione con la Serbia.16 Neppure la minoranza di lingua tedesca che abitava in Vojvodina era molto contenta del nuovo contesto venutosi a creare in seguito all'istituzione della Duplice Monarchia. Molti tedeschi si sentirono abbandonati da Vienna e, nel timore di venire magiarizzati, molti preferirono stabilirsi nella parte austriaca dell'Impero. Le città dove la componente tedesca era più numerosa erano Subotica ( Суботица ), Sombor ( Сомбор ), Novi Sad ( Нови Сад ) e Vršac ( Вршац ). Queste città presentavano e presentano tutt'oggi chiari segni della presenza tedesca in questa regione a cominciare dallo stile architettonico di molti edifici costruiti durante il periodo di massima potenza della famiglia reale asburgica. Sebbene i tedeschi se ne siano andati un po' del loro stile e della loro efficienza è rimasto. Le città poc'anzi citate rappresentano un modello di convivenza tra culture, lingue e popoli assai diversi tra loro. Serbi e tedeschi vi hanno vissuto per anni e benchè i serbi ora costituiscano la stragrande maggioranza della popolazione l'atmosfera politica ed etnica in Vojvodina, secondo quanto sostiene Dulović, è sempre rimasta tranquilla e rilassata.17
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16 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, p. 87.
17) Cfr. Vladimir Dulović, Serbia a portata di mano, Belgrado, 2007, I, pp. 119 – 177.
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Novi Sad, Subotica e Sombor inoltre hanno goduto per molto tempo dello status di ''Città Libera Reale'', uno status estremamente prestigioso all'interno dell'Impero che poche città avevano e che garantiva una grande autonomia sia politica sia economica oltre che culturale. Basti pensare che Subotica e Novi Sad, una volta diventate parte dello stato serbo dopo la Prima Guerra Mondiale, erano la seconda e la terza città per potere economico dopo Belgrado all'interno del nuovo stato. Vršac non ha goduto di status privilegiati, tuttavia i tedeschi che vi si stabilirono portarono con loro quell'esperienza di viticoltura che rese l'area uno dei principali produttori di vino per l'Austria. Vršac, secondo quanto riporta Dulović, ospitava e ospita ancora oggi una delle più spettacolari biblioteche gotiche della regione balcanica con volumi antichi scritti in gotico e in antico tedesco.18
2.2 I rapporti tra la Serbia indipendente e l'Austria – Ungheria.
Con il trattato firmato nel luglio del 1879, venne riconosciuta l'indipendenza politica e territoriale della Serbia. L'ultimo legame di Belgrado con i Turchi era stato spezzato e i consolati tedeschi, austriaci, inglesi e francesi che operavano nella capitale si trasformarono in vere e proprie ambasciate. La Serbia, grazie al silenzioso placet di Vienna, ottenne molti territori ottomani, ma non tutti quelli che aveva conquistato e desiderato. Inoltre la Serbia dovette accettare che la Bosnia venisse amministrata direttamente da funzionari dell'Impero Austro-Ungarico. Sebbene la Serbia non fosse particolarmente entusiasta di lasciare i propri connazionali residenti in Bosnia nelle mani di Vienna e Budapest, dovette comunque accettare il dato di fatto e fare buon viso a cattivo gioco, in quanto l'Austria-Ungheria era stato il fattore determinante che aveva permesso la liberazione dalla Turchia. Nel 1878 la Serbia si estendeva dunque per oltre 48.600 chilometri quadrati e contava 1 milione e 700mila abitanti. Il nuovo Stato serbo aveva dunque acquistato 11mila chilometri quadrati di territorio e 350mila abitanti in più. Venne finalmente istituita la valuta nazionale dello stato e cioè il Dinaro Serbo ( Српски Динар / Srpski Dinar ). Tuttavia il paese era privo di sbocco sul mare e la sua popolazione non costituiva che una piccola parte di tutti coloro che si consideravano serbi a tutti gli effetti.
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18 ) Cfr. Vladimir Dulović, Serbia a portata di mano, Belgrado, 2007, I, pp. 119 – 177.
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L' 87% della popolazione viveva nelle zone rurali; tra i centri urbani, soltanto Belgrado, la capitale, e Niš, città di recente annessione, superavano i 10mila abitanti. Durante il caotico e confuso sviluppo della capitale negli anni ottanta, la popolazione di Belgrado riuscì quasi a raddoppiare, toccando i 54.200 abitanti nel 1890. Furono in gran parte gli immigrati di prima generazione a dare il massimo impulso allo sviluppo. Il forte scarto tra la minoranza istruita e la massa analfabeta della popolazione era una caratteristica tipica delle società in via di sviluppo.19 Nel 1883 l'istruzione elementare divenne obbligatoria, ma non vi erano scuole e insegnanti in numero suffciente e inoltre i genitori non erano entusiasti all'idea di dover mandare i propri figli a studiare. Nelle città c'erano gli istituti di istruzione secondaria. La cosiddetta intellighenzia serba era formata dai laureati dell'Università di Belgrado ( che funzionò a pieno regime a partire dal 1880 ) e di università estere. Nel 1879 il governo sovvenzionò coloro che andavano a studiare all'estero stanziando un totale di 119mila dinari, una somma maggiore rispetto a quella destinata al Parlamento. Ai vertici, l'attività culturale era intensa e includeva la pubblicazione di una quantità di libri, periodici e quotidiani piuttosto elevata rispetto al mercato di riferimento. Grazie alla pace, alla sicurezza, al controllo delle epidemie e alla disponibilità di terre, la Serbia raggiunse la più alta densità demografica mai registrata. Nel 1874 la popolazione serba praticamente raddoppiata rispetto a solo trent'anni prima: ciò fu reso possibile grazie all'immigrazione piuttosto che in seguito a un incremento naturale. Poichè le tasse erano elevate e dovevano essere pagate a intervalli regolari, i contadini cominciarono a coltivare prodotti che potevano essere venduti con relativa facilità. I contadini tornarono di conseguenza nelle pianure fertili e praticamente deserte. Il progressivo sviluppo di un'economia basata sulla produzione di cereali e il cambiamento delle abitudini alimentari portò a un incremento del tasso di natalità. La Serbia era un paese caratterizzato dalla piccola proprietà e nel 1897 soltanto il 12% del grano era destinato all'esportazione. Il maggior acquirente, come riporta Pavlowitch nei suoi studi, era ancora una volta l'Austria-Ungheria.20
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19 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, p. 93.
20 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, p. 94.
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Le esportazioni serbe crebbero grazie a uno specifico accordo commerciale stipulato tra Belgrado e Vienna che concesse vantaggi alle esportazioni serbe di prodotti agricoli. Tuttavia le difficoltà della Serbia erano ancora molte se si considera il fatto che il Paese era l'unico in Europa a non avere una linea ferroviaria efficiente. Al Congresso di Berlino, il governo serbo si era impegnato a completare il tratto serbo della linea su cui viaggiava l'Orient Express. Furono di nuovo gli austriaci a dare una mano ai serbi e, grazie ai loro finanziamenti, nonchè alla cooperazione tra gli ingegneri serbi e austriaci, il tratto Belgrado – Niš venne completato nel 1884, mentre nel 1885 toccò al rimanente tratto che andava fino ai confini orientali. La Serbia, come fa notare Joze Pirjevec, era collegata all'Austria-Ungheria anche dal punto di vista ferroviario. In quell'anno 270mila passeggeri viaggiarono sulla tratta serba, tuttavia l'ammontare del debito estero corrispondeva a un terzo del bilancio di Stato e l'attività industriale stentava ancora a decollare. Il nuovo stato eurobalcanico non poteva di certo competere con l'Austria, l'Impero Tedesco e l'Inghilterra. Anche se la Serbia conobbe un periodo di grande espansione economica che durò fino alla fine del secolo, il paese rimaneva ancora notevolmente arretrato. La nuova protettrice di Belgrado era ormai Vienna, dopo che i russi avevano tolto l'appoggio ai serbi. Dal canto suo Belgrado non aveva altra scelta dopo il voltafaccia dei russi; o accettare la protezione condizionata dell'Austria o restare da sola e rischiare di venire nuovamente assorbita dalla Turchia. La Serbia decise di accettare la protezione che le aveva offerto l'Austria anche se il prezzo da pagare era molto alto. Vienna impose al principe Milan una serie di accordi per cui la Serbia, seppur de iure stato sovrano e indipendente, sarebbe diventata de facto un paese satellite dell'Impero Asburgico. L'Austria-Ungheria voleva condizioni favorevoli per i beni lavorati di propria produzione e la Serbia aveva bisogno di un nuovo mercato sul quale piazzare i propri prodotti agricoli. Tuttavia per poter accedere a tale nuovo mercato era stato ottenuto a prezzo di una forte dipendenza dalla valuta e dal credito austriaci; la Serbia, dal punto di vista economico, dipendeva quasi completamente dall'Austria-Ungheria. Tuttavia, stando a quanto riportano gli studi condotti da Stevan K. Pavlowitch, se i rapporti economici erano in qualche modo soddisfacenti a essere pericolosi erano i rapporti di natura politica.21
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21 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, pp. 94 – 97.
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L'accordo stipulato in segreto con Vienna rese la nuova posizione di Belgrado troppo evidente, provocando una crisi all'interno della classe dirigente serba. L'Austria aveva detto che avrebbe riconosciuto la trasformazione della Serbia da Principato in Regno e che avrebbe appoggiato Belgrado nella salvaguardia dei serbi di Macedonia, tuttavia la Serbia doveva esplicitamente rinunciare alla riunificazione con la Serbia Asburgica ( Vojvodina ) e agli altri territori che rientravano nella sfera d'influenza degli Asburgo. Milan si era addirittura impegnato a non stipulare alcun trattato senza il il placet dell'Austria-Ungheria. Infine, nel marzo del 1882, il principato si trasformò in un regno a tutti gli effetti. Obbligata a scendere a compromessi con l'Austria-Ungheria, la Serbia concentrò la propria attenzione sulle questioni interne. Malgrado alcuni scandali finanziari legati agli appalti per la ferrovia e nonostante la movimentata vita coniugale del sovrano, il paese fece veri progressi, anche grazie alla diffusione di movimenti di massa e di moderni partiti politici. La Serbia aderì all'Unione Monetaria Latina e venne fondata la Banca nazionale di Serbia; venne riformato il settore dell'istruzione e quello fiscale; la milizia venne abolita e migliorarono le condizioni dell'esercito regolare; l'indipendenza del potere giudiziario venne rafforzata, nonché la libertà di espressione e associazione. Tuttavia la sottomissione del re Milan all'Austria-Ungheria veniva guardata con sempre maggior disprezzo dall'opinione pubblica serba. In Serbia l'opinione pubblica cominciava a nutrire una diffidenza sempre più forte nei confronti di Vienna, in particolar modo da quando venne istituita la Duplice Monarchia che non aveva riconosciuto ai serbi e alla Vojvodina l'autonomia e i diritti richiesti. Molti erano contrari a fare della Serbia uno stato satellite dell'Austria-Ungheria con istituzioni che imitavano devotamente quelle occidentali e uno dei politici serbi che diede voce a questo malcontento fu Nikola Pašić. In Austria-Ungheria la situazione dei serbi era ancora diversa. I serbi costituivano, all'interno dell'Ungheria, circa un quarto della popolazione totale, che ammontava a quasi due milioni di persone. In quanto rifugiati proveniente dall'Impero Ottomano i serbi erano stati posti sotto il diretto controllo della corte di Vienna, ma poi avevano perso questo status in seguito all'abolizione del confine militare.22
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22 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, pp. 96 - 105.
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Quando si sentivano minacciati dall'estremismo croato, i serbi si rivolgevano a Vienna o a Belgrado. Contemporaneamente, accanto alla comunità dei serbi di Budapest e al ristretto numero di serbi istruiti, si stava espandendo una nuova ricca classe mercantile e professionale di serbi che operava in altre importante città dell'Ungheria. La Banca di Serbia, fondata nel 1882 a Zagabria grazie al placet di Vienna, crebbe fino ad attrarre una quantità di capitali superiore a quella posseduta da qualsiasi altra banca di Belgrado, potendo in questo modo compiere numerose donazioni a favore della Serbia e altrettante operazioni commerciali e investimenti direttamente nello stato serbo.23 I rapporti tra Belgrado e Vienna cominciarono a incrinarsi tuttavia in seguito all'annessione della Bosnia-Erzegovina all'Austria-Ungheria. In territorio bosniaco i serbi erano quasi la metà della popolazione e la Serbia era irritata per non essere stata consultata riguardo al destino dei suoi connazionali in Bosnia. Il disappunto della Serbia, però, era niente a quello provato dai serbi di Bosnia, per nulla contenti di entrare a far parte dell'Austria-Ungheria. Essi volevano che i territori da loro abitati diventassero parte integrante del nuovo Stato indipendente di Serbia. I serbi divennero, assieme ai musulmani, una delle principali fonti di guai per gli austriaci tant'è vero che più di una volta Vienna dovette ricorrere all'esercito per mantenere la situazione sotto controllo.24 La Serbia tuttavia, sebbene contrariata, evitò ogni coinvolgimento, poiché non voleva uno scontro diretto con l'Austria-Ungheria. Ottenuta come una entità unica, la Bosnia-Erzegovina venne subito considerata un possesso permanente e fu amministrata dal ministro delle Finanze austro-ungherese come se si trattasse di una semplice colonia. L'amministrazione asburgica fu efficiente, ma prudente al tempo stesso specialmente nei confronti dei serbi che non sembravano intenzionati ad accettare il nuovo stato di cose. C'era infatti il pericolo di stravolgere il precario equilibrio che regnava tra i serbi, i croati e i musulmani di Bosnia. Per provare ad ammorbidire i serbi di Bosnia, Vienna pensò di servirsi dei serbi della Vojvodina come intermediari.25
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23 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, p.106.
24 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, p. 107.
25 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, pp 107 - 108.
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Questo fece conquistare un po' di tempo agli austro-ungarici, ma non raggiunse lo scopo. I serbi di Bosnia continuavano a non accettare il governo austriaco e chiedevano chiaramente di far parte dello stato serbo. Durante la sua lunga carica come ministro dell'Austria-Ungheria, Benjamin Kallay riservò un'attenzione particolare al nuovo territorio acquisito ed in particolar modo alla componente serba, essendo egli anche uno dei maggiori conoscitori della regione balcanica in tutta la Duplice monarchia. Vienna, consapevole dell'irritazione di Belgrado per la presa della Bosnia, decise tuttavia di attuare una politica più accondiscendente nei confronti della Serbia, anche perché temeva che essa potesse veramente appoggiare i mai domati serbi di Bosnia. L'Austria-Ungheria appoggiò e finanziò direttamente la nuova politica estera, linguistica e culturale della Serbia. Vennero aperti nuovi consolati, l'influenza della cultura serba conobbe un periodo di notevole espansione e nelle diocesi di Prizren e di Skopje vennero eletti prelati serbi e vennero aperte scuole di lingua serba.26 Tuttavia questa epoca d'oro era destinata a terminare.
2.3 Il deterioramento dei rapporti tra Belgrado e Vienna.
Nel 1905 presero vita due potentissimi partiti di matrice radicale i quali, sebbene avessero visioni diverse sulla politica interna dello stato serbo, erano perfettamente allineati per quanto concerne la politica estera della Serbia. Queste due correnti politiche non avevano visto di buon occhio l'atteggiamento passivo della Corona Serba quando l'Austria-Ungheria effettuò la più che discutibile annessione della Bosnia-Erzegovina e volevano una ridefinizione di tutti i precedenti trattati internazionali che vincolavano lo stato serbo. Oltre a ciò desideravano ridurre tutte le relazioni con l'Austria ai minimi termini nonché la dipendenza economica della Serbia. I radicali non erano sufficientemente potenti per poter contrastare la Corona serba, tuttavia sfruttavano costantemente la loro maggioranza per scavalcare gli altri partiti presenti nel Parlamento serbo. Un'altra ombra che incombeva sulla Serbia e che spaventava anche l'Austria-Ungheria era la malfamata organizzazione nazionalistica chiamata Mano Nera ( in serbo Црна Рука/ Crna Ruka ) sorta in principio per difendere i serbi di Bosnia e i loro interessi dall'occupazione austro-ungarica e trasformatasi in una vera e propria organizzazione
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26) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, p. 110.
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criminale e terroristica. La Mano Nera, sfortunatamente, aveva contatti con esponenti dell'alto vertice della politica serba nonché con i militari, tuttavia, stando a quanto scrive Prijevec nel suo libro sui popoli balcanici, l'appoggio diretto dello Stato serbo non lo ebbe mai.27 La Corona Serba e il Governo di Belgrado erano attenti a evitare qualsiasi cosa che avrebbe potuto dar loro problemi con il vicinato e specialmente con il colosso austroungarico. Proprio per rendere palese la sua non-volontà a contrapporsi a Vienna, il Governo di Belgrado fece alcune concessioni riguardanti l'aumento dei dazi, in occasione del rinnovo decennale dell'unione doganale austro-ungarica. Tuttavia Vienna scoprì del legame esistente tra i terroristi e molti politici serbi e a quel punto iniziò un graduale deterioramento dei rapporti con Belgrado. La sfortunata e decisamente mal programmata visita a Sarajevo dell'arciduca Francesco Ferdinando il 28 giugno diede il colpo di grazia ai già malridotti rapporti tra Vienna e Belgrado. È stato dimostrato, come attesta anche lo studioso Vladimir Dedijer, che l'attentato venne orchestrato da un piccolo gruppo di giovani serbi idealisti i quali si servirono dei canali offerti dalla Mano Nera per portare a termine il piano dell'eliminazione fisica dell'erede del trono dell'Impero Asburgico.28 Immediatamente dopo Vienna lancia il suo ultimatum a Belgrado. La Prima guerra mondiale stava per cominciare.





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27 ) Cfr. Joze Pirjevec, Serbi, Croati, Sloveni, Il Mulino, 2002, Bologna.
28 ) Sebbene vi siano delle evidenti lacune, l'opera di riferimento per lo studio delle cause, del contesto socio – culturale e delle connessioni della cospirazione è DEDIJER, Vladimir, Il groviglio balcanico a Sarajevo, Milano, 1969.
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3 Vuk Stefanović Karadžić e il suo rapporto con il mondo tedesco.
Immagine 1 : ritratto di Vuk Stefanović Karadžić.
3.1 Biografia
Vuk Stefanović Karadžić (in serbo Вук Стефановић Караџић) (Tršić, 7 novembre 1787 – Vienna, 7 febbraio 1864) è stato un linguista, scrittore ed etnologo serbo, nonché il riformatore della lingua serba. Karadžić nacque nel villaggio di Tršić, nei pressi della città di Loznica, nella Serbia occidentale.1 Il suo primo nome, "Vuk" ( lupo ) gli fu attribuito in quanto fu l'unico a salvarsi dalla tubercolosi che colpì la sua famiglia, privandolo dei fratelli e delle sorelle. Egli imparò a leggere e scrivere nel monastero di Tronoša e proseguì gli studi come autodidatta. Impegnato politicamente, partecipò alla Prima (1804) e alla Seconda rivolta serba (1815) contro l'occupazione turca. Nel 1813 lasciò la Serbia e raggiunse Vienna, dove entrò in contatto con la moderna cultura europea e in particolare con le idee del Romanticismo in un momento decisamente nefasto per la cultura serba.
3.2 Vuk Karadžić in Austria.
In un primo momento Vuk godette dell'aiuto dei serbi d'Austria, tuttavia, almeno in un primo momento, essi
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1 ) Cfr. Vladimir Dulović, Serbia a portata di mano, Belgrado, 2007, I, p. 69.
2 ) Cfr. Staniša Veličković, Interpretacije iz književnosti , Niš, 2005, II, 99 – 102.
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erano più interessati alle vicende politiche che riguardavano lo stato serbo e non prestavano attenzione alle condizioni della lingua e della cultura serbe. Fu proprio qui che Vuk si accorse della grave situazione a livello linguistico e culturale che regnava in Serbia. La lingua del popolo era ben lungi dall'essere ufficiale, mentre la lingua dei letterati era comprensibile soltanto ed esclusivamente a chi si occupasse di letteratura. C'era poi la Chiesa, ferma sostenitrice dello slavo ecclesiastico, la quale osteggiava apertamente l'introduzione a livello ufficiale della parlata popolare e considerava la lingua della Chiesa come l'unico idioma degno di essere parlato dai serbi cristiani. La politica linguistica e l'ordine che regnavano in Austria accesero in Vuk Karadžić non solo l'interesse per la cultura in lingua tedesca, ma anche il desiderio di risolvere una volta per tutte il problema linguistico in Serbia. Sul fronte linguistico Karadžić si scontrò con i sostenitori del Serbo-slavo, una lingua letteraria ibrida modellata sulla lingua liturgica tradizionale (lo slavo ecclesiastico) e sulla parlata colta delle fasce urbane.3 Le riforme linguistiche e grafiche della lingua letteraria serba apportate da Karadžić modernizzarono e distanziarono la lingua moderna dallo slavo ecclesiastico russo e serbo, avvicinandola, anche sulla scorta delle idee del linguista sloveno Jernej Kopitar, al vernacolo e in particolare al dialetto dell'Erzegovina orientale che egli parlava. Karadžić riformò l'alfabeto cirillico utilizzato in Serbia, riducendo le lettere serbe da 46 a 30, allo scopo di attribuire ad ogni suono un suo proprio carattere ( un grafema per ogni fonema ).4 Karadžić raccolse diversi volumi di poesia e prosa della tradizione popolare serba, in particolare di canti epici, che ebbero una straordinaria fortuna. Avendo raccolto i canti epici serbi, Karadžić ne pubblicò alcuni a Vienna e altri, come lo Sestrić e lo Ženskinje, a Lipsia, dove furono accolti con interesse dagli intellettuali romantici tedeschi per i quali la Serbia ebbe un'importanza maggiore rispetto a quella attribuitale dai politici. Tuttavia per gran parte della sua vita venne guardato con sospetto. Talvolta neppure in Austria riusciva a far stampare i suoi lavori in quanto le autorità temevano che potesse dare nuova energia al nazionalismo della componente serba dell'Impero asburgico.
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3 ) Cfr. Staniša Veličković, Interpretacije iz književnosti , Niš, 2005, II, p. 104.
4 ) Cfr. Allocco Grubač Gordana, Grammatica serba, Milano, 2010, pp. 1 – 6.
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Vienna è stata la città dove Vuk Karadžić trovò non solo la possibilità di procurarsi una adeguata preparazione filologica, ma dove conobbe anche importanti personaggi della sfera culturale austriaca e tedesca che gli diedero un appoggio non solo emotivo ma anche economico. A Vienna ebbero inizio le sue due imprese principali: la sistemazione di tutti i racconti popolari serbi e la lotta affinchè la lingua popolare diventasse anche la lingua della letteratura serba. Tuttavia, affinchè il serbo popolare diventasse lingua di cultura era necessario scrivere una prima grammatica della lingua e un dizionario. Ed è qui che l'influenza del mondo tedesco giocò un ruolo determinante. Vuk Karadžić non aveva una conoscenza filologica adeguata e neppure un'esperienza sufficiente per svolgere un simile lavoro tutto da solo. La prima edizione del dizionario venne pubblicata a Vienna nel 1818. Conteneva circa 26. 270 parole, ma la caratteristica più curiosa era il compendio di grammatica serba allegato al dizionario. Questo compendio venne in seguito migliorato e si trasformò nella Grammatica della lingua serba ( in serbo Граматика српскога језика / Gramatika srpskoga jezika ) tradotta nel 1824 in tedesco da Jacob Grimm5.
Immagine 2 : una delle pagine del dizionario realizzato da Karadžić.
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5 ) Cfr. Kleine serbische Grammatik. Übersetzt und mit einer Vorrede von Jacob Grimm. Nachdruck der Ausgabe Leipzig u. Berlin, Reimer, 1824. Neu hrsg. u. eingeleitet von Miljan Mojasević und Peter Rehder. Sagner, München 1974.
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3.3 Il rapporto di Vuk Karadžić con gli uomini di cultura tedeschi.
Vuk venne contestato per questa sua passività nei confronti dei modelli tedeschi dalla classe culturale serba, ma specialmente dalla Chiesa Ortodossa, che non accettava le riforme grammaticali e linguistiche introdotte da Vuk e dichiarò addirittura diabolici il suo dizionario e la sua grammatica. Un ulteriore motivo per cui la Chiesa Ortodossa Serba considerava Vuk un traditore era la sua riforma dell'alfabeto cirillico, che a questo punto chiamiamo serbocirillico ( Српска Ћирилица / Srpska Ćirilica ).6 Karadžić aveva immesso nel nuovo alfabeto la lettera J che aveva preso dall'alfabeto latino nella sua variante tedesca e questo gesto venne considerato come puro abominio dagli ecclesiastici e da altri membri della sfera culturale serba.7 La Chiesa Ortodossa si adoperò per impedire a Vuk di proseguire nel suo lavoro, ma egli aveva dalla sua parte amici potenti, fra i quali lo stesso Goethe8, il quale, accortosi della bellezza dell'epica serba, lo aveva incoraggiato ad andare avanti e gli offrì pure un sostegno finanziario. Tra i suoi sostenitori c'erano anche i fratelli Grimm, i quali tenevano una fitta corrispondenza con Karadžić. Le Srpske Narodne Pripovetke ( Српске Народне Приповетке ) uscite nell'anno 1853 Vuk le dedicò a Jacob Grimm come segno di ringraziamento per l'appoggio datogli. Anche questa opera venne tradotta in tedesco dalla figlia del grammatico, Mina Karadžić, la quale, avendo vissuto tutta la vita in Austria, possedeva una conoscenza profonda del tedesco.9 La seconda edizione della grammatica serba di Vuk Karadžić, ben più ampia e meglio organizzata, venne tradotta da Jacob Grimm in persona. Jacob Grimm talvolta non aspettava neppure che Vuk portasse a compimento un lavoro per scrivere e pubblicare un recensione su di esso.10
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6 ) Cfr. Staniša Veličković, Interpretacije iz književnosti , Niš, 2005, II, p. 102.
7 ) Ibidem.
8 ) Cfr. Staniša Veličković, Interpretacije iz književnosti , Niš, 2005, II, p. 106.
9 ) Ibidem.
10 ) Cfr. Miljan Mojasević: Jacob Grimm und die serbische Literatur und Kultur. Hitzeroth, Marburg 1990.
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Nei canti popolari serbi Grimm aveva notato una caratteristica particolare e cioè la presenza di pochissime differenze a livello linguistico e lessicale tra i canti che narravano eventi lontani nel tempo e quelli che descrivevano gli avvenimenti più recenti. Vuk e i Fratelli Grimm fecero anche diversi confronti su vari livelli tra i canti popolari serbi e quelli tedeschi.11 L'appoggio dei romantici tedeschi fu indispensabile anche per un'altra opera di capitale importanza di Vuk Karadžić ovvero la Storia Serba ( Српска Историја / Srpska Istorija ). Quest'opera è una storia del popolo serbo realizzata partendo dalla lingua, dalle tradizioni, dalle istituzioni, dalle norme giuridiche e dal modo di vivere della gente che abitava nei territori serbi.
3.4 Vuk Karadžić e la storiografia.
Vuk non era uno storico di professione e inoltre non aveva esperienza in materia perciò dovette basarsi sul sistema storiografico di Austria e in Germania. Con la sua Srpska Istorija egli non solo donò ai serbi la loro prima storia nazionale scritta, ma fece anche entrare la Serbia nel mondo del Romanticismo. Vuk, potendo contare sul collaudato metodo di ricerca storiografica che aveva appreso dagli austriaci, riuscì a dare alla sua Storia Serba una grande obbiettività, a organizzarla in maniera logica e sequenziale e a non farla diventare un mero strumento di propaganda nelle mani dei politici serbi.12 A esercitare un forte influsso su Karadžić fu, senza dubbio, il metodo storiografico di Leopold Ranke, il quale ha dato a Vuk un nuovo sistema per la rilevazione del materiale storico e per la sua catalogazione. Leopold von Ranke ( Wiehe, 21 dicembre 1795 – Berlino, 23 maggio 1886 ) è stato uno storico tedesco. Fu il maggiore storico tedesco dell'Ottocento, fondatore del metodo che fu prevalente nella storia ufficiale sino agli anni sessanta del Novecento. Attenzione per le fonti documentarie, studio rigoroso dei fatti sulla base delle fonti e critica per le visioni positivistiche ed hegeliane furono il suo assetto principale. La dottrina metodologica ha il compito di mostrare i fatti come essi sono effettivamente apparsi, astenendosi dal proporre interpretazioni. L'importanza di Ranke nella storiografia moderna è notevole, perché introdusse in modo definitivo il metodo più rigoroso nell'accertamento dei fatti storici sulla base della loro documentazione diretta.13
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11 ) Cfr. Radovan Samardžić, Pisci srpske istorije, Beograd, 2009, p. 404.
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Veramente imponenti furono anche la vastità e la ricchezza della sua visione storica. Il metodo di Ranke introdusse finalmente ordine nell'altrimenti confusa e imprecisa storiografia serba. Abbiamo qui la dimostrazione di come la storiografia tedesca fosse stata indispensabile, attraverso la figura di Vuk Karadžić, non tanto alla creazione della moderna storiografia serba, che già esisteva, quanto al perfezionamento di essa. Parallelamente Vuk Karadžić svolgeva in Austria e nelle varie città tedesche dove si recava una forte attività di propaganda della Serbia come entità territorialmente, linguisticamente e culturalmente definita. Come ben sappiamo Vuk non ebbe vita facile quando arrivò il momento di stampare le sue opere. In più di una occasione egli dovette perfino cambiare città. Per la stampa di 3 libri di canti popolari serbi egli dovette trascorrere a Lipsia, nel 1924, parecchi mesi. Questa permanenza a Lipsia tuttavia venne interrotta da alcuni viaggi a Jena, a Weimar, a Kassel e in molte altre città dell'attuale Germania. L'esperienza che Vuk fece fu di capitale importanza per la sua evoluzione e per il suo successivo rapporto con la Serbia stessa. Egli aveva visto finalmente un moderno stato europeo con istituzioni statali, culturali e politiche all'avanguardia e perfettamente funzionanti. Decise quindi di riversare in Serbia tutto quello che aveva appreso.14 Il solo fatto che a Lipsia egli avesse ottenuto l'agognato permesso di far stampare le sue opere significava che la cultura serba aveva iniziato pian piano a fare il suo ingresso nel club delle grandi letterature d'Europa. Tuttavia, nonostante le sue lodevoli intenzioni, Vuk Karadžić sapeva benissimo che in Serbia non sarebbe riuscito a lavorare tranquillamente e a portare a termine la sua opera di modernizzazione della cultura serba. Ciò era dovuto non tanto alla mancanza in Serbia di mezzi utili per sostenere questo progetto quanto alla aperta ostilità che le istituzioni serbe mostravano nei suoi confronti per non parlare della guerra aperta dichiaratagli dalla potentissima Chiesa Ortodossa Serba ( Српска Православна Црква / Srpska Pravoslavna Crkva ). Proprio per questo Vuk amava molto stare a Vienna e questa città diede i natali a molte delle sue opere più famose. A Vienna Vuk potè studiare non solo la lingua tedesca, ma molti altri argomenti e completare in questo modo la lacunosa istruzione che aveva ricevuto in Serbia. Inconsapevolmente Vuk diede origine a una tradizione che poi sarebbe rimasta negli uomini di cultura serbi, ovvero risiedere in città tedesche e austriache per il periodo della loro attività.
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12 ) Cfr. Radovan Samardžić, Pisci srpske istorije, Beograd, 2009, pp. 439 – 460.
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A Vienna Vuk Karadžić si spense, venne riportato a Belgrado nell'anno 1897 e accolto con tutti gli onori. Oggi, come sostengono Radovan Samardžić e Vladimir Dulović nelle loro opere, viene considerato come il padre della moderna identità nazionale e culturale serba, nonchè il primo prezioso legame di quest'ultima con il mondo occidentale.15











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13 ) Cfr. Wolfgang J. Mommsen (Hrsg.): Leopold von Ranke und die moderne Geschichtswissenschaft. Klett-Cotta, Stuttgart 1988
14 ) Cfr. Radovan Samardžić, Pisci srpske istorije, Beograd, 2009, p. 402.
15 ) Cfr. Vladimir Dulović, Serbia a portata di mano, Belgrado, 2007, I, p. 69.
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4 Archibald Reiss e il suo rapporto con la Serbia.
Immagine 3 : fotografia del dottor Archibald Reiss.
Verrà ora dedicato un po' di spazio alla figura del dottor Archibald Rudolph Reiss, un pubblicista, chimico svizzero-tedesco non che professore dell'Università di Losanna e grande amico e benefattore del popolo serbo. Archibald Reiss è nato l'8 luglio 1875 a Hechtsberg ( Germania ) ed era l'ottavo dei dieci figli di Ferdinand Reiss, un ricco proprietario terriero, e di Pauline Sabine Anna Gabriele Seutter von Lötzen. Dopo aver terminato il ginnasio in Germania egli si trasferì, anche per ragioni di salute, in Svizzera dove ha terminato gli studi universitari. A soli 22 anni diventò dottore in chimica e in seguito ottenne il titolo di esperto in fotografia. Nel 1906 diventò professore di criminologia all'Università di Losanna. Nel giro pochi anni divenne un criminologo di fama internazionale. Archibald Reiss si recò per la prima volta in Serbia nell'anno 1914 su invito del governo serbo stesso. Trovandosi la Serbia all'epoca in pieno stato di guerra a causa dello scoppio del Primo Conflitto Mondiale si trattava di una visita ''di lavoro''. Il governo di Belgrado lo aveva ingaggiato affinchè svolgesse delle indagini riguardo a un certo numero di crimini compiuti dagli eserciti tedesco, bulgaro e austro-ungarico a danno della popolazione serba.1
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1 ) I dati riguardanti la biografia del dottor Archibal Reiss si possono reperire sulla seguente pagina web: Daniel Girardin, Reiss, Rodolphe Archibald, www.hls-dhs-dss.ch/textes/d/D27224.php, consultato il 28. 12. 2012.
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Archibald Reiss svolse un lavoro magistrale; raccolse prove e dimostrò che quasi tutti i soprusi sulla popolazione serba avevano avuto luogo. Durante il periodo di guerra, mandò rapporti più o meno costanti a un giornale svizzero, la Gazette, il che permise un costante aggiornamento dalle linee del fronte. Archibald Reiss è particolarmente amato dal popolo serbo, tant'è vero che oggi esiste in Serbia un'organizzazione che porta il suo nome e che ha il compito di conservarne la memoria. Con i suoi costanti rapporti inviati ai maggiori giornali d'Europa, contrastò la propaganda antiserba che perpetravano l'Austria-Ungheria e l'Impero Tedesco nel tentativo di presentare la Serbia come una terra di selvaggi e i serbi come un popolo di incivili.2 Archibald Reiss riuscì a compiere qualcosa di veramente incredibile; i serbi infatti, essendo un popolo di natura diffidente, non vedevano di buon occhio l'intromissione di agenti stranieri nei loro affari di stato e l'opinione pubblica serba all'inizio era molto sospettosa riguardo all'operato del dottor Reiss. Inoltre, bisogna tenere in considerazione il fatto che in quel particolare momento la Serbia era sotto assedio e perciò la popolazione serba guardava al mondo tedesco come alla sorgente di ogni male. Con la sua opera il dottor Archibald Reiss riuscì a salvare l'immagine della Serbia agli occhi degli europei, ma parallelamente riuscì anche a evitare una demonizzazione della cultura tedesca e nelle terre serbe. Alla fine del conflitto Archibald Reiss diventò un membro della delegazione serba alla conferenza di pace di Parigi. Essendosi praticamente innamorato della Serbia e dei serbi Archibald Reiss decise di non fare ritorno in Svizzera e restò in Serbia fino alla morte. Con l'esercito serbo aveva, nonostante la sua salute cagionevole, attraversato l'aspro territorio dell'Albania, era giunto fino al fronte di Salonicco e poi, finito il conflitto, si era unito alla divisione della Moravia con la quale nel 1918 era entrato nella Belgrado liberata. Come abbiamo già detto in precedenza, dopo la guerra il dottor Reiss non ritornò in Svizzera e si stabilì definitivamente a Belgrado. Qui cominciò a collaborare con le istituzioni serbe che ora stavano cominciando a ricostruire lo stato in seguito allo sfacelo provocato dalla guerra.
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2 ) Il rapporto del dottor Archibal Reiss sui crimini commesi a danno della popolazione serba è reperibile sulla seguente pagina web: Petar Makara, REPORT upon the atrocities committed by the Austro-Hungarian army during the first invasion of Serbia, http://www.srpska-mreza.com/History/ww-1/book/Reiss.html, consultato il 28. 12. 2012.
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Il contributo che il dottor Archibald Reiss diede alla ricostruzione e alla modernizzazione delle nuove istituzioni statali fu di un valore incalcolabile. Essendo un criminologo di professione, modernizzò la polizia serba mostrando nuove tecniche di ricerca e investigazione, migliorando anche il settore della raccolta delle prove e con lui mosse i suoi primi passi anche la polizia scientifica serba. Grazie al suo contributo la nuova polizia aveva un aspetto moderno, una preparazione più consona al lavoro da svolgere e una maggiore organizzazione interna. Riformò e mise ordine nel caotico Ministero degli Interni serbo trasformandolo in una istituzione efficiente e funzionante. Oltre a questo si occupò anche di politica interna, aiutando i suoi colleghi nell'organizzazione e nella gestione dei nuovi territori che la Serbia aveva acquisito in seguito alla guerra. Diede alle forze dell'ordine un sistema e una organizzazione molto simili a quelli presenti nella Germania imperiale prima dello scoppio della guerra. Tuttavia, con il passare del tempo, cominciò anche ad avere esperienze sgradevoli e conflitti con altri funzionari al Ministero. Inoltre osservava con sempre maggiore preoccupazione e delusione alcune pericolose tendenze che serpeggiavano a prendevano lentamente forza all'interno della società serba e che in seguito si sarebbero rivelate un pericolosissimo fattore di debolezza a causa del quale la Serbia sarebbe precipitata nelle mani di Hitler. Per evitare di peggiorare la propria situazione, creare contrasti e scongiurare il pericolo che qualcuno potesse prenderlo di mira, Archibald Reiss decise di ritirarsi a vita privata nella sua villetta a Belgrado, chiamata anche ''Dobro Polje'' e abbandonò tutte le cariche pubbliche. Nel 1926 il dottor Archibald Reiss e diventato cittadino onorario della città serba di Krupanj. Il dottor Reiss dedicò alla Serbia la maggior parte delle sue opere scritte, tuttavia una in particolare si distingue da tutte le altre e che egli scrisse e dedicò esclusivamente al popolo serbo. Il titolo di questo piccolo libriccino di neanche cento pagine è ''Ascoltate serbi, guardatevi da voi stessi!'' ( in serbo Чујте Срби, чувајте се себе ). In quest'opera il dottor Reiss compie un elenco delle b qualità e dei vizi dei serbi, basandosi su fonti storiche, ma anche sulla sua esperienza in Serbia, quindi su vicende realmente accadute e intende lanciare, tramite quest'ultima opera, anche uno ammonimento.3
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3 ) Cfr. Archibald Rudolph Reiss, Čujte Srbi! : čuvajte se sebe., Beograd, 2008, pp. 6 – 132.
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Desiderava mettere in guardia il popolo serbo dai suoi maggiori vizi e esortarlo a non cedere nei momenti difficili. Nel 2004, l'organizzazione culturale ''Archibald Reiss'', il cui scopo è serbare il ricordo del dottore, fece stampare migliaia di copie del libro e le distribuì gratuitamente. Il dottor Archibald morì l'8 agosto 1929. E' sepolto a Belgrado, nel cimitero di Topčider, mentre il suo cuore, secondo le sue ultime volontà, è stato estratto, depositato in una urna che in seguito venne collocata a Kajmakčalan, dove riposano altri combattenti serbi del fronte di Salonicco.4 Sull'urna è possibile leggere l'incisione.5
SERBO ITALIANO
''Овде у овој урни, на врху Кајмакчалана '' In quest'urna, in cima al Kajmakčalan
Златно срце спава, riposa un cuore d'oro,
Пријатељ Срба из најтежих дана, amico dei Serbi, dai momenti più duri
Јунак Правде, Истине и Права, eroe di Giustizia, di Verità, del Diritto
Швајцарца Рајса, ком' нек је слава.'' gloria allo Svizzero Reiss. ''
Immagine 4 : urna contenente il cuore del dottor Archibald Reiss.
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4 ) L'opera di riferimento è: Zdenko Levental: Švajcarac na Kajmakčalanu: Knjiga o dr Rajsu., Beograd, 1984.
5 ) La traduzione dal serbo all' italiano è stata fatta dall'autore della tesi in persona.
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5 La Serbia di Hitler.
5.1 L'invasione della Serbia da parte dei nazisti.
Ora verrà preso in esame uno dei periodi più tragici della storia serba, ovvero l'invasione nazista e la trasformazione della Serbia in uno stato fantoccio nelle mani di Hitler. In seguito alla Prima Guerra Mondiale, la Serbia, potenza vincitrice, si unì assieme alle altre entità slave presenti sulle rovine dell'Impero Austro-Ungarico e venne così a crearsi il Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni. A questo nuovo stato venne in seguito dato il nome di Jugoslavia. Sebbene le differenze tra Serbi, Croati e Sloveni fossero grandi e non solo a livello linguistico, il nuovo stato riuscì a sopravvivere alla difficile situazione economica venutasi a creare dopo la guerra. Tuttavia le mai sopite rivalità tra i Serbi i e Croati e le tendenze secessionistiche degli Sloveni costituivano un pericoloso fattore di debolezza che rese il nuovo stato facile preda dell'esercito nazista. Durante la Seconda guerra mondiale, a seguito dello smembramento del Regno di Jugoslavia da parte dei nazisti, la Serbia divenne uno Stato fantoccio della Germania affidato da Hitler al generale Milan Nedić, lo stesso che nel 1918 ha fatto firmare la resa agli Imperi Centrali.1 Il Governo filonazista di Nedić ha collaborato con la Germania sino alla liberazione congiunta della capitale da parte dell'Armata Rossa e dei partigiani jugoslavi nell'ottobre 1944. La nuova Serbia venne così a contatto con l'ideologia nazionalsocialista di Hitler, con l'antisemitismo e per la prima volta il tedesco divenne una delle lingue ufficiali dello stato serbo. Una copia in lingua serba del Mein Kampf fece presto la sua apparizione nelle librerie serbe e si cominciò con la costruzione dei primi campi di concentramento. Iniziarono anche le prime ondate di violenze nei confronti della minoranza ebraica in Serbia. Lo Stato, sotto il comando militare tedesco e di un partito nazista serbo con il nome ufficiale di : Governo di Salvezza Nazionale ( in serbo: Влада Националног Спаса ), è esistito tra il 1941 e il 1944. Geograficamente comprendeva la parte centrale della Serbia, la zona a nord del Kosovo e la regione autonoma del Banato.2
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1 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, pp. 185 - 186.
2 ) Ibidem.
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Incapace di resistere ai tedeschi, il generale Nedić consentì l'esistenza di campi di concentramento nel suo territorio, di una Gestapo serba e delle Serbisches SS-Freiwilligen Korps. Hitler detestava particolarmente il nuovo stato jugoslavo del quale la Serbia faceva parte integrante in quanto lo considerava una ''creazione di Versailles''. Il dittatore era infuriato perché i suoi piani immediati erano stati sconvolti e intendeva punire i serbi, che considerava tra i principali disturbatori dell'ordine europeo. Nella classifica razziale dei nazisti le genti di origine slava occupavano una posizione bassa; tuttavia se croati, sloveni, cechi o slovacchi dovevano diventare servi degli ariani i serbi dovevano al pari degli ebrei essere annientati.3 Quest' odio nei confronti dei serbi da parte di Hitler era dovuto al fatto che, nell'ottica del Führer, i serbi e la Serbia erano i principali artefici della scomparsa dell'Austria-Ungheria e perciò egli si applicò in una massiccia opera di propaganda, presso gli austriaci in particolare, che aveva il preciso scopo di risvegliare sentimenti antiserbi nei popoli di lingua tedesca. Tali sentimenti scaturivano dai pregiudizi di Hitler e si diffusero tra i funzionari austriaci che avevano a che fare con la Serbia. Sembrava di essere tornati indietro al 1914, salvo che il Reich nazista era intenzionato a prendersi una rivincita per conto della monarchia asburgica. Non a caso il nome dell'operazione con la quale Hitler attaccò i serbi venne chiamata ''Castigo''. Tuttavia Hitler, benchè desiderasse far sparire la Serbia dalla faccia della terra, dovette limitarsi soltanto a creare uno stato fantoccio serbo che seguisse i suoi ordini. Le ragioni sono molteplici. La situazione in Europa non era tranquilla e Hitler, siccome già progettava l'invasione dell'URSS, non poteva perdere tempo ed energie nei Balcani. Oltre a ciò i funzionari austriaci agli ordini di Hitler non avevano dimenticato che, durante il Primo Conflitto Mondiale, la Serbia era stata una noce durissima da schiacciare, perciò proseguire con il ''Castigo'' sarebbe stato logorante e pericoloso, e quindi riuscirono a dissuadere il Führer dal continuare con le operazioni nei Balcani. La Serbia, come attesta Pavlowitch, veniva amministrata direttamente dai tedeschi e il suo nome ufficiale era ''Territorio del comandante dell'esercito tedesco, Serbia''.4
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3 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, p. 185.
4 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, p. 187.
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Nei territori appena conquistati, i tedeschi preferirono avere a che fare con i superstiti della classe dirigente ormai sottomessa piuttosto che i fanatici emuli del nazismo. Nel caso della Serbia, l'individuo che mostrò tendenze più fasciste e un carattere affine a quello nazista fu Dimitrije Ljotić ( 1891 – 1945 ) leader del movimento Zbor ( ''mobilitazione''). Tuttavia questi non venne incaricato dal comandante generale, che preferiva istituire in Serbia un mediocre sistema amministrativo per ripristinare i servizi primari, sfruttare l'economia serba e snidare i nemici. Il nuovo ''governo'' della Serbia era composto da politici di bassa lega, militari e alcuni fanatici di Ljotić. In questo modo, gli occupatori tedeschi tentarono di tenere buona la Serbia. La Guardia nazionale serba, anche questa una creatura dei nazisti, era composta da circa 24mila ex poliziotti serbi e aveva l'incarico di collaborare con le forze occupanti e di mantenere l'ordine. I tedeschi tuttavia decisero di dare a Ljotić il permesso di creare un Corpo di volontari serbi in quanto consideravano lui e i suoi uomini più affidabili rispetto agli altri serbi. Ljotić e i suoi uomini erano i più fedeli seguaci di Hitler e ignoravano le reali intenzioni del dittatore nei confronti della Serbia. Le bande di Ljotić si occuparono della propaganda nazista in Serbia e desideravano modellare lo stato serbo a immagine e somiglianza del Reich tedesco. La vera disgrazia era che questo partito aveva preso per vere anche le convinzioni di Hitler riguardo a ebrei, zingari, rom e omossessuali. Non appena i funzionari tedeschi diedero luce verde, Ljotić cominciò a epurare la Serbia dalla ''feccia dell'umanità''. Sin dalla capitolazione della Francia nel giugno del 1940, Nedić, un ufficiale superiore rimasto fedele, si era convinto che la Germania sarebbe uscita vincitrice dal conflitto e che il colpo di Stato del 27 marzo era stato una provocazione irresponsabile, da imputare agli inglesi e ai comunisti. Nedić, a differenza del fanatico Ljotić, aveva intuito il disprezzo di Hitler per la Serbia ed era sicuro che, una volta sconfitta la Russia, il dittatore tedesco avrebbe iniziato con la liquidazione degli staterelli ''ad hoc'' quali Serbia e Repubblica francese di Vichy. Egli tuttavia desiderava che il popolo serbo potesse sopravvivere nell'Ordine nuovo di Hitler, ma allo stesso tempo voleva fornire un rifugio sicuro ai serbi perseguitati nelle altre regioni e salvarli dal comunismo.
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5 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, pp. 187 - 188.
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5.2 Il nazismo in Serbia.
Nei Balcani, tutti coloro che si erano allineati ai conquistatori propugnavano un ritorno alle origini sotto il predominio tedesco. Per ingraziarsi il Führer e i tedeschi il generale Nedić, come sostiene Pavlowitch, dovette assistere passivamente alla persecuzione degli ebrei in Serbia, senza poter fare nulla per impedirlo perchè qualsiasi rappresaglia sarebbe costata ai serbi una punizione immediata. Il tedesco venne proclamato lingua ufficiale dello stato serbo e divenne, assieme anche alla letteratura tedesca, materia obbligatoria in tutte le scuole in Serbia. Nedić era convinto che, se i nazisti avessero visto la buon volontà dei serbi nel collaborare e se fosse riuscito a rendere i serbi simili ai tedeschi con delle imposizioni culturali manovrate e mirate, Hitler avrebbe potuto decidere di graziare la Serbia. Voltando le spalle all'Occidente e criticando il fallimento dell'esperienza jugoslava, anche Nedić promosse un' ideologia pastorale che esaltava la vita contadina. La situazione era avversa ai serbi, considerati dai conquistatori i nemici prescelti che dovevano subire una punizione collettiva. Nedić era in parte l'espressione di un senso di depressione, di disperazione e di umiliazione ormai ampiamente diffuso presso la popolazione serba. In quel periodo, in seguito la disfatta e lo smembramento, quando l'unica preoccupazione era quella di sopravvivere, alcuni si lasciarono andare a progetti post-jugoslavi e perfino anti-jugoslavi. Paradossalmente, come riporta Pavlowitch nel suo libro, furono proprio i collaborazionisti filotedeschi a esprimere i progetti panserbi più radicali. Alle autorità tedesche che amministravano la Serbia furono presentati diversi progetti affinchè i vari frammenti della nazione fossero finalmente riuniti in una unica entità statale. Questi tentativi erano destinati al fallimento, dal momento che Hitler detestava la maggior parte dei paesi slavi e, in particolar modo la Serbia. I nazisti, lungi dal pensare di ingrandire quel che restava della Serbia occupata, erano intenti a sfruttarla al massimo. L'organismo più attivo era l'Ufficio del plenipotenziario per l'economia, incaricato di rifornire costantemente le truppe, intensificare le esportazioni verso il Reich tedesco e inviarvi manodopera. Diversi serbi, stando a quanto sostiene Joze Pirjevec nella sua opera dedicata agli slavi del sud, finirono così direttamente in Germania a ''lavorare'' e non fecero mai più ritorno in Serbia. Una importante innovazione, secondo quanto attesta Pavlowitch nella sua opera dedicata alla Serbia, che introdussero i tedeschi durante il loro periodo di permanenza in Serbia fu la Banca Nazionale Serba ( in serbo Народна Банка Србије / Narodna Banka Srbije ).
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Questa banca venne istituita per recuperare le spese dell'occupazione, il cui ammontare totale pro capite risultò sei volte più alto in Serbia che nell'NDH.6 Essa continuò ad esistere anche in seguito alla ritirata nazista e divenne una delle più forti ed efficienti della futura Repubblica Socialista di Serbia. Tuttavia l'industria serba non fu soggetta a espropri, bensì alla distruzione per vari motivi: azioni militari, smantellamenti, produzioni orientate allo sforzo bellico e l'obbligo che la manodopera provvedesse alla manutenzione e al funzionamento delle ferrovie e delle miniere. I militari furono responsabili della brutalità con cui veniva trattata la popolazione nel suo insieme. Essi risposero alle insurrezioni con spedizioni punitive, l'internamento nei campi di concentramento e l'esecuzione degli ostaggi. Nell'impossibilità di far arrivare rinforzi sufficientemente numerosi, i militari sottoponevano i civili a diverse umiliazioni terrorizzandoli in maniera sistematica. Il comando generale dell'esercito tedesco di stanza in Serbia aveva adottato la vecchia, ma efficace, formula di uccidere 50-100 ostaggi per ogni soldato tedesco morto, che fu si trasformata nella proporzione di 100 a 1, mentre per ogni tedesco ferito venivano uccisi 50 serbi. In questo modo persero la vita oltre 25mila serbi fino all'ottobre del 1941. Nella Serbia occupata dai tedeschi morirono più di 8mila ebrei, tra cui anche quelli che si erano rifugiati nelle terre serbe nella speranza di raggiungere la Palestina, ma non avevano potuto proseguire il viaggio. Sebbene il governo di Nedić e il movimento antisemita Zbor avessero aderito ai provvedimenti imposti dai nazisti nei confronti della popolazione ebraica, la paternità e l'attuazione furono tutte dei militari tedeschi, che nel maggio del 1942 si vantarono di aver ottenuto una ''Serbia libera dagli ebrei''.7 Nell'ambito dei loro piani anti-insurrezione, i tedeschi predisposero un grande campo di concentramento presso la fiera di Belgrado, in modo da trasferirvi fino a 500mila persone provenienti dalle zone ribelli.8
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6 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, p.188.
7 ) Cfr. Walter Manoschek: Serbien ist judenfrei. Militärische Besatzungspolitik und Judenvernichtung in Serbien 1941/42 Schriftenreihe des Militärgeschichtlichen Forschungsamtes, 2. Auflage, München 1995.
8 ) Cfr. Manoschek, Walter, Holokaust u Srbiji: vojna okupaciona politika i uništavanje Jevreja, 1941-1941, 2007
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Poiché la rivolta venne sedata prima del previsto, il campo venne destinato ad altri scopi. Dapprima accolse gli ebrei e gli zingari superstiti ( soprattutto donne e bambini ) fino al maggio del 1942, quando furono uccisi tutti in camere a gas mobili per far posto ai nuovi arrivi. I nazisti avevano fatto conoscere alla Serbia la tremenda efficacia delle camere a gas e dei crematori, nonché un sistema organizzato ed efficiente di pulizia etnica. L'opinione pubblica serba, inorridita da quanto stava accadendo all'interno del paese, non potè tuttavia intervenire in alcun modo. Qualsiasi rappresaglia sarebbe stata pagata a carissimo prezzo e tutti i mezzi di comunicazione della Serbia erano in mano ai tedeschi, perciò era impossibile anche avere una visione completamente veritiera degli avvenimenti. Tuttavia in Serbia si formò comunque un gruppo di resistenza stando a quanto riporta Joze Pirjevec. La prima rivolta serba ebbe inizio al momento dell'invasione dell'Unione Sovietica, quando i tedeschi trasferirono gran parte delle loro truppe al di fuori della zona d'occupazione serba. Tra i vari movimenti clandestini, ne emersero due che avevano definito grandi progetti. Dragoljub ( abbreviato Draža ) Mihajlović ( 1893-1946 ) era un colonnello dello stato maggiore che non aveva accettato la capitolazione incondizionata della Serbia. Nel maggio del 1941, quando la Serbia era ormai completamente sotto il controllo tedesco, aveva cominciato a creare, con ciò che restava del vecchio esercito regolare, un'organizzazione militare clandestina fedele alla re e al governo serbo in esilio. Tuttavia non aveva un programma politico al di là di contrastare il clima di disfattismo e preparare una rivolta contro le forze d'occupazione da attuare una volta che il corso degli eventi fosse mutato. Gli unici civili che si unirono a Mihajlović furono alcuni intellettuali del Club culturale serbo, che si incaricarono immediatamente di organizzare la propaganda. Essi non avevano aderito alle correnti politiche principali e tendevano ad incolpare della disfatta i croati, che si erano immediatamente uniti ai nazisti, e la classe dirigente del vecchio Stato. Infatti si erano resi conto della minaccia proveniente dai rivali comunisti ed erano più che determinati a respingerla. Volevano restaurare la Serbia ad ogni costo e punire tutti coloro che erano responsabili per il ''1941'', ossia per il crollo dello stato e i conseguenti massacri. Mihajlović dovette passare prematuramente all'azione a causa del cambiamento dello stato d'animo comune e dello zelo mostrato dai comunisti. Tuttavia non aveva un programma politico al di là di contrastare il clima di disfattismo e preparare una rivolta contro le forze d'occupazione da attuare una volta che il corso degli eventi fosse mutato.
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Gli unici civili che si unirono a Mihajlović furono alcuni intellettuali del Club culturale serbo, che si incaricarono immediatamente di organizzare la propaganda. Essi non avevano aderito alle correnti politiche principali e tendevano ad incolpare della disfatta i croati, che si erano immediatamente uniti ai nazisti, e la classe dirigente del vecchio Stato. Infatti si erano resi conto della minaccia proveniente dai rivali comunisti ed erano più che determinati a respingerla. Volevano restaurare la Serbia ad ogni costo e punire tutti coloro che erano responsabili per il ''1941'', ossia per il crollo dello stato e i conseguenti massacri. Mihajlović dovette passare prematuramente all'azione a causa del cambiamento dello stato d'animo comune e dello zelo mostrato dai comunisti. Tito, memore di Lenin, approfittò dell'opportunità creata dalla distruzione dello Stato e dalla fine del patto tedesco-sovietico per promuovere la causa della rivoluzione. Si era spostato rapidamente a Belgrado, dove inizialmente le condizioni di vita sotto l'occupazione tedesca erano migliori rispetto a Zagabria o Lubiana. Poiché il COMINTERN aveva ordinato di avviare azioni partigiane contro i tedeschi, il Partito comunista chiamò in aiuto la popolazione dell'Unione Sovietica. Tito inviò emissari in diverse zone, ma rimase sempre in Serbia, dove si aspettava l'imminente arrivo dell'Armata Rossa in seguito alla disfatta tedesca in URSS. Nel frattempo i comunisti mobilitarono i contadini contro i rappresentanti locali del vecchio apparato statale tenuto in vita dai nazisti per poter esercitare un maggiore controllo sulla popolazione. I comunisti, come attesta Stefano Fabei nella sua opera dedicata ai Cetnici, dovettero scontrarsi con gli ufficiali delle formazioni di Mihajlović, che stavano tentando di creare la propria organizzazione militare clandestina. Grazie alla lotta tra i due gruppi, i tedeschi riuscirono a ristabilire una parvenza d'ordine con meno sforzi del previsto e in questo vennero aiutati dalla popolazione serba stessa la quale era disposta a tutto pur di evitare nuovi massacri, perfino collaborare con i nazisti. Il piano messo a punto dall'establishment del Reich per domare la Serbia aveva funzionato perfettamente; i serbi pur di non vedere altre atrocità compiersi sul proprio suolo avevano acconsentito che fossero i tedeschi a controllare lo stato serbo, che l'esercito tedesco circolasse liberamente in Serbia, che il tedesco diventasse lingua ufficiale e avevano anche cominciato a servirsene essi stessi nella comunicazione quotidiana. Perfino la scuola venne riformata secondo i dettami tedeschi; prova lampante di ciò è che proprio in questo periodo venne introdotto in Serbia il sistema di valutazione numerico che va dall'uno al cinque e che tutt'oggi sopravvive.
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Gli insorti di Mihajlović reagivano agli avvenimenti locali a quelli esterni. Si autodefinivano ''četnici'' ( da četnik ), ossia membri di una banda armata.9 Questa parola veniva usata durante la guerra da tutti i gruppi di combattenti clandestini serbi. I tedeschi dal canto loro sapevano della rivalità tra comunisti e četnici e si applicavano per esasperarla. La repressione spense in Serbia ogni parvenza d'ottimismo e perfino l'opinione pubblica serba si volse contro gli insorti e coloro che volevano continuare la rivoluzione. Tito sapeva che la Serbia era la chiave per la vittoria, ma era anche consapevole di non aver alcuna possibilità di contrastare i tedeschi e di ripristinare il controllo su di essa nell'immediato futuro. Quando si profilò la minaccia di un imminente sbarco alleato, temuto da Tito e auspicato da Mihajlović, i tedeschi erano convinti che quest'ultimo fosse ancora in grado di coordinare le varie formazioni di četnici e di attirare anche i partigiani. I tedeschi erano decisi a togliere di mezzo tutti gli insorti prima che avessero la possibilità di riunirsi e prima che i nemici sbarcassero. Nel settembre del 1943, quando l'Italia si ritirò dai Balcani, i nazisti cercarono di resistere con le proprie forze, riducendo il controllo al minimo e tentando di trarre partito, a livello locale, dal lascito dei loro ormai ex alleati. Quando Hermann Neubacher giunse in Serbia come inviato del Reich tentò di sfruttare l'anticomunismo dei nazionalisti presentando la Germania come l'unico paese in grado di difendere l'Europa dal pericolo rappresentato dai comunisti. Neubacher adottò un atteggiamento tollerante, parlando di confini su base etnica, e strinse accordi con alcuni comandanti četnici.10 In Serbia, nel frattempo, si erano nuovamente diffusi sentimenti di ottimismo favorevoli agli Alleati e ciò incoraggiò nuovamente Mihajlović. Hitler, in ogni caso, limitò fortemente le possibilità di azione do Neubacher a favore dei serbi. Questo atteggiamento produsse una violenta irritazione nell'opinione pubblica serba, che adesso non intendeva più osservare passivamente ed era disposta praticamente a tutto pur di liberarsi dei tedeschi.11

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9 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, p. 192.
10 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, p. 198.
11 ) Cfr. Stefano Fabei, I cetnici nella seconda guerra mondiale, Pordenone, 2006, pp. 243 – 255.
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5.3 I nazisti si ritirano dalla Serbia.
Tuttavia i serbi non nutrivano particolare fiducia in Mihajlović e ancora meno in Tito. Ritenevano infatti che Mihajlović non avesse un programma politico che avrebbe potuto risolvere i problemi della Serbia una volta terminato il conflitto; tuttavia mal digerivano anche Tito che voleva ricostituire la Jugoslavia benchè l'esperienza avesse già dimostrato che un simile paese non poteva esistere e che serbi e croati potevano andare relativamente d'accordo soltanto stando in due stati sovrani differenti. I Serbi volevano che venisse mantenuto lo stato che avevano creato i tedeschi, ma che vi venissero inclusi tutti gli altri territori abitati dai serbi e che al comando tornasse il sovrano con il governo in esilio a Londra. Nessuno vedeva di buon occhio la ricostituzione della Jugoslavia. Sfortunatamente però la sorte finì col favorire Tito. Mihajlović, dopo essere stato praticamente abbandonato dagli inglesi, che lo consideravano spacciato, si ritrovò in una posizione debole.12 Tito fece approvare una risoluzione che prevedeva la riorganizzazione della Jugoslavia in uno stato federale composto da Serbia, Croazia e Slovenia. Tra il novembre del 1944 e il maggio del 1945 l'Armata di Liberazione di Tito ripulì il territorio dai tedeschi e distrusse sia lo stato serbo creato dai tedeschi sia lo Stato Indipendente di Croazia. I nazisti fuggirono in Austria, ma non furono i soli. L'esercito di Tito era intenzionato a fare piazza pulita anche di coloro che avevano collaborato, per una ragione o per l'altra, coni tedeschi. Fuggirono in Austria anche molti četnici e parecchi ustaša. L'esito della Seconda guerra mondiale portò nuovamente a una Jugoslavia unita, guidata questa volta dai comunisti.13


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12 ) Cfr. Stefano Fabei, I cetnici nella seconda guerra mondiale, Pordenone, 2006, pp. 275 - 294.
13 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, pp. 201 – 203.

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6 La cultura tedesca nella Repubblica Socialista di Serbia.
6.1 La cultura tedesca nella Serbia di Tito.
Nel 1945 dunque la Serbia venne inglobata a forza nella nuova Jugoslavia di Tito assieme a Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Macedonia. Il suo nome ufficiale divenne Repubblica Socialista di Serbia ( Социјалистичка Република Србија / Socijalistička Republika Srbija ). Nella nuova Jugoslavia di Tito tutte e sei le nazioni avrebbero dovuto vivere pacificamente sotto il motto 'Fratellanza e Unità', ma nei fatti le cose non stavano così. Gli sloveni, diversi sia dai serbi che dai croati per lingua, cultura e usanze, erano in preda al malcontento per essere stati costretti a entrare in uno stato nel quale non si riconoscevano affatto. Serbi e croati, parlavano si delle lingue relativamente simili tra loro, ma erano ben lungi dal voler negare la propria identità nazionale a favore della causa comune jugoslava. I serbi oltretutto erano in preda al rancore nei confronti di Zagabria a causa di ciò che i fascisti croati avevano fatto ai civili serbi nelle regioni croate durante il regime ustascia di Ante Pavelić e non avevano intenzione di lasciar perdere la vicenda. Tito dovette ricorrere a ogni grammo di astuzia in suo possesso per riuscire a tenere viva la Jugoslavia ed evitare che le differenze tra serbi e croati nonché la loro sfiducia reciproca disintegrassero il paese. A favore di Tito giocava il fatto che sia i serbi che i croati erano sfiniti dalla guerra per continuare a combattersi ancora e di certo nell'immediato futuro non avrebbero avuto forza sufficiente per opporsi al suo regime. Tuttavia era necessario trovare uno stratagemma che facesse dimenticare a serbi e croati le loro differenze, che li mettesse su una posizione comune e che li facesse, in un modo o nell'altro, andare d'accordo. E la soluzione arrivò anche questa volta dai tedeschi. Nel territorio della Jugoslavia, come del resto in tutta Europa, la gente vedeva nella Germania e nel popolo tedesco il principale artefice delle due guerre mondiali. Tito, attraverso un'abile opera di propaganda, demonizzò sistematicamente tutto ciò che riguardava la lingua, la cultura e il mondo tedesco. In Serbia, in Croazia e in Slovenia le biblioteche tedesche vennero date alle fiamme, ma non solo. In Serbia, nella provincia della Vojvodina, ci fu una violenta campagna discriminatoria contro i tedeschi del Banato e contro tutti i donauschwaben. L'odio nei confronti di tutto ciò che era tedesco era diventato lo strumento prediletto di Tito per far dimenticare alle popolazioni della Jugoslavia le differenze
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linguistiche e culturali. La lingua tedesca venne demonizzata e considerata tabù. Tutte le scritte in tedesco presenti in Serbia, Slovenia e Croazia nelle zone dove storicamente avevano vissuto tedeschi e austriaci vennero fatte sparire. Tito aveva dato a serbi, croati e sloveni un bersaglio da attaccare e odiare e così facendo era riuscito a tenere a bada gli spiriti nazionalistici per poter consolidare le basi del proprio potere assolutistico. La Serbia era di nuovo scomparsa. Ora esisteva un'entità con questo nome all'interno della federazione jugoslava, che però non aveva peso internazionale ed era completamente soggetta al volere del Partito Comunista Jugoslavo. I comunisti privarono la Serbia di tutti i suoi simboli nazionali ( una cosa che non avevano fatto neppure i nazisti ) e imposero alla popolazione la nuova identità ''jugoslava''. Il pluralismo e il federalismo delle nazioni, che s'ispiravano a modelli sovietici, dovevano orientare i sentimenti etnico-nazionali finchè il comunismo non fosse riuscito a rimuoverli. Dato che il federalismo era vincolato all'unitarietà del potere e dell'ideologia, l'integrazione ideologica sostituì l'integrazione etnica. I leader comunisti sfruttarono il federalismo sia per creare un equilibrio tra le nazioni che vivevano all'interno dello Stato che avevano restaurato, sia anche per progettare una eventuale espansione della confederazione che avevano istituito. La loro Serbia rientrava all'interno di un progetto in cui i gruppi periferici dovevano indebolire quelli principali, in particolare i serbi e i croati che il progetto voleva ad ogni costo rendere uguali. Oltre a demonizzare e a infondere nella popolazione odio e disprezzo per il mondo tedesco, il regime di Tito cominciò a perseguitare apertamente sia il nazionalismo serbo che quello croato. Il nazionalismo di questi ultimi due gruppi fu represso, quello dei croati perché ritenuto separatista, quello dei serbi perché ritenuto egemonico. Entrambi erano anticomunisti, legati al fascismo e quindi vennero dichiarati illegali e anticostituzionali. Il fatto che il nazionalismo croato fosse giudicato separatista accontentò i serbi; il fatto che il nazionalismo serbo fosse giudicato egemonico accontentò i croati. Il nazionalismo, come riferisce Stefan K. Pavlowitch, dei gruppi minori o periferici venne accettato, tollerato, quando non decisamente sostenuto, in modo da tenere serbi e croati sotto controllo, sistemare le mai risolte contese territoriali e ampliare il più possibile la federazione di Tito.
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1 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, pp. 205 - 208.
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Con il passare del tempo, la Serbia e la Croazia cominciarono a risentirsi per questa situazione. Nella coscienza collettiva delle genti della Jugoslavia tutto ciò che ricordava la Germania o i tedeschi era il male più assoluto. Questa mentalità, come sostiene Pavlowitch, sarebbe sopravvissuta per molto tempo, quasi fino agli anni ottanta. Sebbene il regime comunista fosse ormai saldamente al potere e avesse ottenuto perfino un riconoscimento legale, esistevano ancora alcune bande che operavano in maniera disorganizzata, in particolare ciò che restava delle bande di guerriglieri del generale Mihajlović. Oltre a queste bande, per il territorio della nuova Jugoslavia si aggiravano ancora frammenti dell'esercito tedesco sconfitto che lottavano disperatamente per sopravvivere e tornare in Germania o almeno in ciò che era rimasto di essa. I nazisti superstiti vennero presi quasi subito, ma per ordine di Tito non vennero immediatamente giustiziati. Il dittatore voleva fare di loro un esempio, demonizzare assieme a loro il mondo tedesco e lanciare un ammonimento ovvero che tutti gli oppositori del regime comunista sarebbero stati considerati dal governo dello stesso genere dei nazisti. Per contrastare le bande clandestine di serbi e croati erano stati creati corpi speciali i cui sforzi furono diretti principalmente alla cattura di Mihajlović, il quale, come sostiene Stefano Fabei, continuava a credere che che non tutto fosse perduto, che gli Alleati sarebbero intervenuti per permettere l'organizzazione di elezioni veramente libere e che non avrebbero riconosciuto le elezioni del 1945 per il modo in cui si erano svolte. Questa speranza, diffusa presso quasi tutti i serbi, era destinata a restare delusa. Mihajlović venne infine catturato nel marzo del 1946. Il suo processo, celebrato per un mese nell'estate dello stesso anno a Belgrado, fu il primo e il più scioccante di una serie di rese dei conti, ampiamente pubblicizzate, volte a eliminare tutti quegli individui che venivano considerati potenziali poli di attrazione per gli anticomunisti. Mihajlović, secondo quanto riporta Stefano Fabei nella sua opera dedicata al movimento cetnico, venne processato insieme ai ministri e ai funzionari ( in absentia ) del governo in esilio a Londra, ad alcuni dei suoi comandanti e consiglieri, a esponenti del Partito radicale serbo e di quello democratico e a ufficiali dell'amministrazione e delle forze armate collaborazioniste della Serbia occupata. Per buona misura Tito fece giustiziare in quell'occasione anche molti soldati tedeschi che era riuscito a catturare per fomentare l'odio della gente nei confronti della Germania e per ribadire il concetto che chiunque si opponesse al nuovo ordine era della stessa risma dei nazisti e che avrebbe avuto un destino simile.
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L'esecuzione di Mihajlović, il 17 giugno, costituì la definitiva sconfitta di coloro che avevano perso la complessa guerra combattuta sul territorio serbo smembrato e occupato. Questa esecuzione eliminò colui che i leader rivoluzionari consideravano un ostacolo potenzialmente pericoloso per il riordino della Serbia comunista e, più in generale, una figura emblematica che, malgrado la propaganda ostile e con tutti i suoi difetti, godeva ancora di molto prestigio sia in Serbia sia all'estero. L'esecuzione servì inoltre a screditare i partiti politici anteguerra, in particolare quelli che facevano riferimento alla Serbia, la Germania e perfino gli Alleati. Il processo, secondo quanto riporta Stefano Fabei nel suo libro dedicato ai Cetnici e alla loro storia, celebrato in Serbia contro Mihajlović screditò quest'ultimo.2 L'idea di questo processo veniva ancora una volta dalla Germania. Tito voleva una sua Norimberga in modo da poter ripulire, come sostiene Joze Pirjevec, completamente l'immagine dei popoli della nuova Jugoslavia davanti al mondo e allontanare lo spettro nazista da quei territori una volta per tutte. Sia la Serbia sia la Croazia sarebbero state libere, una volta condannati i collaborazionisti, dal disonore che le collegava ad Hitler. Il successo dei comunisti durante la guerra fu determinato soprattutto dalla capacità di patrocinare la liberazione e la ricostruzione dello stato jugoslavo sulla base della tolleranza e dell'uguaglianza entica, religiosa e culturale. Tuttavia questi ideali restarono solo nei volantini di propaganda distribuiti dai comunisti. Le comunità tedesche furono le prime a scoprire che la nuova Jugoslavia era tutto tranne che tollerante e basata sull'uguaglianza. A intere comunità di tedeschi, che da generazioni vivevano in Vojvodina, venne esplicitamente ordinato di andarsene, contro alcune venne impiegato perfino l'esercito e i più sfortunati vennero consegnati come prigionieri di guerra ai sovietici. Ma le disgrazie della comunità tedesca in Serbia erano solo all'inizio. La nuova riforma agraria dell'agosto 1945 espropriò altri 1,6 milioni di ettari di terre precedentemente intestate a individui appartenenti alla comunità tedesca del Banato, che ora venivano considerati nemici del popolo. Privati delle terre e del diritto di essere rappresentati politicamente e culturalmente nonché soggetti a una tremenda propaganda antigermanica quasi mezzo milione di tedeschi lasciò la Vojvodina, alcuni lo fecero volontariamente mentre altri vennero cacciati dalle forze armate comuniste. Circa la metà dei territori, secondo quanto attestano gli studi di Pavlowitch, che un tempo erano appartenuti ai tedeschi venne assegnata a 300mila famiglie contadine in cui era presente un combattente partigiano.
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Con l'espulsione dei tedeschi la percentuale di serbi e l'arrivo dei nuovi coloni, la percentuale di serbi in quella regione passò dal 38% del periodo anteguerra al 52%. La propaganda di partito mise in evidenza la lotta sostenuta collettivamente da tutte le nazioni contro le forze di occupazione e affermò che il loro successo aveva contribuito fortemente alla risoluzione della ''questione nazionale''. Come sostiene Pavlowitch, non bisogna sottovalutare il potere di legittimazione che questo mito esercitò presso la prima generazione del dopoguerra.3 Lo slogan ''fratellanza e unità'' era alimentato da una grande quantità di ottimismo, misto a cinismo ed egoismo, da un viscerale odio per il mondo tedesco e si basava sull'idea che prima o poi il comunismo avrebbe reso irrilevante il problema della nazionalità, che, tuttavia, non venne mai definitivamente risolto, bensì solo nascosto dietro uno schermo di slogan e propaganda. La gente non ne parlava perché era severamente proibito, ma anche perché rievocava dolorosi ricordi di guerra, mentre era necessario pensare alle preoccupazioni e alle difficoltà più urgenti della vita quotidiana. Molte persone, sia all'interno del partito sia in privato, furono liete di rifiutare i particolarismi che avevano provocato più morti tra la gente del posto che non tra le forze d'occupazione. La consapevolezza della diversità, tuttavia, continuò ad esistere e ad aumentare con il passare del tempo, dato che era praticamente impossibile trovare qualcosa che accomunasse per davvero tutte genti della nuova Jugoslavia al di fuori del comunismo. Esasperato dalla guerra e poi occultato senza che vi fosse stata la possibilità di esaminarlo e spiegarlo razionalmente, il particolarismo delle nazionalità si ridusse a un dato elementare ed emotivo. I serbi e i croati, ossia i due gruppi maggiori, espressero immediatamente le proprie rimostranze. I serbi della Croazia e della Bosnia furono profondamente contrariati dal fatto che i morti dei massacri compiuti dagli ustascia croati e dai loro alleati tedeschi fossero confusi con altri e considerati semplicemente ''vittime del fascismo'' senza ulteriori specificazioni, nonché dal fatto che molti dei partigiani dell'ultim'ora fossero in realtà disertori della Croazia fascista e opportunisti che erano stati accolti senza far loro troppe domande.
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2 ) Cfr. Stefano Fabei, I cetnici nella seconda guerra mondiale, Pordenone, 2006, pp. 290 - 294.
3 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, p. 214
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I serbi di Serbia erano amareggiati perché, secondo quanto attesta Pavlowitch nella sua opera, erano consapevoli che il fiore della loro gioventù era stato mandato a morire dai partigiani durante le ultime fasi della guerra contro i tedeschi e in quanto Mihajlović era stato equiparato a al fascista croato Pavelić e considerato un traditore e un nemico del popolo. La posizione dei serbi all'interno della federazione comunista era complessa. Come abbiamo già detto in precedenza i serbi non desideravano far parte di una nuova Jugoslavia, essi avevano in mente di mantenere lo stato creato dai tedeschi al quale avrebbero poi aggiunto tutti gli altri territori abitati da serbi in modo da creare una nuova Serbia sovrana e indipendente. Non erano intenzionati a condividere nuovamente il proprio stato con croati e sloveni. La dominazione tedesca, sebbene fosse stata terribile, aveva paradossalmente lasciato ai serbi uno stato funzionante e bene amministrato. Nella nuova federazione i serbi, insieme ai croati, non potevano esprimere alcun sentimento nazionale. I serbi di Bosnia, così come quelli di Croazia, avevano costituito il nucleo centrale dell'esercito partigiano di Tito e, insieme ai partigiani del Montenegro, avevano partecipato alla guerra fino alla vittoria. Essi costituivano, sempre secondo quanto sostiene Pavlowitch, gran parte del personale dell'esecutivo e dell'esercito del nuovo regime. In Bosnia e in Erzegovina, i serbi accettarono, seppur con scarso entusiasmo, la creazione di una repubblica separata dalla Serbia che furono incaricati di governare in quanto partigiani affidabili. Erano rappresentati nelle strutture di potere in Croazia e in Bosnia-Erzegovina, e nei corpi di polizia di tutte le unità federate, ma non riuscivano a digerire il fatto che la Repubblica Socialista di Serbia fosse stata l'unica a vedere la creazione di due regioni autonome all'interno del proprio territorio il che ne indeboliva incredibilmente il peso a livello federale. Paradossalmente la Repubblica Socialista di Serbia era la più grande, ma anche la più debole di tutte le unità federate secondo quanto sostiene Joze Pirjevec. I serbi, che non accettavano questo stato di cose, arrivarono a dire che neppure sotto i nazisti la Serbia aveva subito una tale ingiustizia.4 Il modo in cui era stata organizzata la Repubblica Socialista di Serbia fece in modo che la resistenza al comunismo continuò ad essere forte praticamente in tutti i territori abitati da serbi, e specialmente a Belgrado, sebbene tutte le precedenti tradizioni politiche fossero state completamente distrutte dai comunisti.
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4 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, p. 213.
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A causa di questo stato di cose molti serbi decisero di emigrare e di lasciare per sempre la Serbia o, meglio, la Jugoslavia che non garantiva più loro la prima fondamentale libertà e cioè la libertà di essere serbi. La maggior parte di serbi emigranti si registra nel primo trentennio dopoguerra. La meta preferita era la Repubblica Federale di Germania che in quegli anni era in pieno miracolo economico e che perciò aveva bisogno di manodopera a basso costo. Molti serbi a quel punto diventarono allora Gastarbeiter, si trasferirono in Germania e alcuni ritornarono in Serbia soltanto nel 2006, quando la Serbia ricomparve di nuovo come stato pienamente indipendente e sovrano, altri invece non fecero mai più ritorno nella terra d'origine. Inizia così un nuovo interessante processo, ovvero la riabilitazione della Germania e del mondo tedesco attraverso la figura dei Gastarbeiter serbi. La Jugoslavia di Tito infatti, nonostante le belle parole e le promesse del dittatore, era un paese tremendamente arretrato, che si manteneva a galla grazie agli aiuti finanziari internazionali. Oltre a ciò il governo di Tito, come attesta Pavlowitch, spendeva una grande quantità del ricavato statale in spese belliche e tutto ciò a danno della popolazione. La maggior parte delle persone in Jugoslavia non aveva contatti con il mondo esterno. Sebbene potessero viaggiare tranquillamente senza aver bisogno di visti, i cittadini jugoslavi, come attesta Joze Pirjevec, non avevano denaro a sufficienza per permettersi di uscire dal paese. Gli unici a poterlo fare, e che costituivano un vero e proprio ponte tra il mondo occidentale e la Jugoslavia socialista, erano gli emigrati. I serbi confluirono, nella stragrande maggioranza dei casi, in Germania, in Austria e nella Confederazione Elvetica. Il secondo gruppo più numeroso si diresse però a Chicago, negli USA. I serbi di Germania e Austria fecero conoscere alla gente della Serbia socialista il miracolo economico tedesco e le nuove strutture politiche e culturali della Germania anche se per via indiretta. Ogni volta che ritornavano in Serbia portavano merci tedesche e soprattutto i Marchi Tedeschi. Il Deutsche Mark divenne praticamente oggetto di adorazione per la gente in Serbia. Era simbolo di ricchezza, benessere e stabilità ovvero di tutte quelle caratteristiche che mancavano e che sarebbero sempre mancate alla Jugoslavia socialista di Tito. Sebbene la valuta ufficiale della Jugoslavia e quindi anche della Serbia fosse il Dinaro, la gente semplice, a causa del gigantesco ascendente che il mondo tedesco e la sua ricchezza avevano, faceva i conti direttamente in marchi tedeschi. Col tempo si venne a creare una situazione paradossale. Il governo socialista di Tito, che aveva riconosciuto immediatamente la DDR, aveva instaurato relazioni strette con la leadership comunista della Germania Est mentre la popolazione viaggiava e aveva rapporti con la Germania Ovest.
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Questa spaccatura tra il potere e la popolazione furono una delle cause che portarono allo sgretolamento della Jugoslavia all'inizio degli anni novanta. La differenza tra il regime comunista jugoslavo e tutti gli altri regimi comunisti dell'Europa dell'Est fu la velocità con cui il regime di Tito riuscì a muoversi. Essendo uno degli Alleati, godendo dell'appoggio delle altre potenze e potendo fare affidamento su un esercito rivoluzionario, il regime di Tito aveva un sostanziale vantaggio nell'ambito della trasformazione politica, economica e sociale. Orgoglioso dei propri successi iniziali, il regime comunista di Tito aveva adottato una politica espansionistica all'avanguardia nel mondo comunista. Per questo fu l'unico regime a poter entrare in rotta di collisione con l'Unione Sovietica. Lungi dal volerlo fare, il regime jugoslavo inizialmente voleva imitare e diffondere il modello sovietico, ma lo fece con molta ingenuità ed inesperienza. Tito e i suoi luogotenenti, come attestano gli studi di Joze Pirjevec, non erano pienamente consapevoli della complessità delle relazioni di potere e della debolezza dell'URSS, anche se formalmente era uscita dalla Seconda guerra mondiale come potenza vincitrice. Lo scisma tra Mosca e Belgrado che si verificò in seguito non fu causato, come sostiene Pavlowitch, né da dispute ideologiche, né dallo sfruttamento economico, né dall'orgoglio nazionale; si trattò invece di un conflitto causato dal potere, derivante dai piani di Tito riguardanti i territori al di fuori della Jugoslavia.5 Il risultato fu l'espulsione di Belgrado dal blocco sovietico, che si manifestò sotto forma di espulsione del partito jugoslavo dal COMINFORM, l'Ufficio d'informazione dei partiti comunisti. La rottura con l'URSS ebbe gli stessi effetti di un terremoto. Tito e i suoi luogotenenti si attaccarono istintivamente e in modo ossessivo al potere e, poiché lo scontro di verificò in un periodo in cui la lotta partigiana era ancora una forza viva, furono comunque in grado di trarre vantaggio dal patriottismo della guerra rivoluzionaria diffuso tra i comunisti e i loro simpatizzanti, nonché dal timore dei russi presente in tutta la popolazione. Questo avvenimento, ovvero la spaccatura creatasi tra Belgrado e Mosca, è di fondamentale importanza per quanto concerne i rapporti con il mondo tedesco. Finita la guerra, come abbiamo detto, il regime di Tito diede il via a una intensa attività di propaganda volta a demonizzare il popolo tedesco e a unire le genti che erano entrate a far parte del nuovo stato artificiale chiamato Jugoslavia.
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5 ) Cfr. Joze Pirjevec, Serbi, Croati, Sloveni, Il Mulino, 2002, Bologna.
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Tuttavia questa strategia stava cominciando a perdere potenza. Il regime, perciò, attenuò con la propaganda antitedesca e ne cominciò una antisovietica. L'idea era semplice: sopprimere ancora una volta i nazionalismi serbi e croati, soltanto che questa volta lo si sarebbe fatto infondendo nella popolazione paura di un attacco sovietico e non più odio verso la Germania Nazista da tempo scomparsa. Grazie a questa decisione la cultura tedesca ricominciò pian piano a rientrare in Serbia e negli altri paesi che facevano parte della Federazione Jugoslava. Il sostegno del mondo occidentale mantenne a galla Tito e scoraggiò un'invasione sovietica. Tuttavia la Jugoslavia non entrò mai a pieno titolo nel club delle potenze occidentali. Era un paese ancora troppo arretrato, che non conosceva i valori democratici e che si reggeva soltanto ed esclusivamente sulla figura di un solo uomo. Il fatto che alla guida dello stato ci fosse un partito comunista che non intendeva concedere libere elezioni destava ulteriori preoccupazioni. A confronto con Francia, Regno Unito, Italia e Repubblica Federale Tedesca la Jugoslavia di Tito ne usciva con le ossa rotte e non solo dal punto di vista economico. Il tasso di analfabetismo, sebbene si fosse ridotto, era ancora tra i più altri d'Europa e ancora milioni di persone vivevano sulla soglia della povertà. Tito ufficializzò la propria posizione assumendo la carica di presidente della Repubblica e allo stesso tempo si cominciò a teorizzare una forma di democrazia socialista diretta. Si affermò che la sovranità apparteneva alla classe proletaria jugoslava unita, mentre la decentralizzazione attribuì maggiori responsabilità ai dirigenti locali. Gli anni sessanta furono un periodo d'oro per la letteratura, l'arte e la filosofia. Il livello di qualità dell'istruzione aumentò; gli scambi con l'Europa occidentale e l'America del Nord si intensificarono e la cultura urbana fiorì. La cultura tedesca stava ricominciando a ritornare in questi luoghi. Dapprima essa si rimanifestò in Slovenia e in Croazia e infine in Serbia, in particolar modo nella regione della Vojvodina e a Belgrado. Sebbene sotto stretta sorveglianza, le opere di Schiller, Goethe, Mann, dei Fratelli Grimm e di molti altri autori ricominciarono a circolare e nelle scuole si ricominciò a insegnare la lingua tedesca. Pian piano i sentimenti negativi generati dalla propaganda antitedesca stavano cominciando a scomparire. Oltre a ciò, come abbiamo detto, la gente in Jugoslavia non era rimasta indifferente al miracolo economico, sociale e culturale tedesco e stava cominciando a nutrire un forte risentimento nei confronti del regime comunista di Tito il quale non stava mantenendo le promesse. La Jugoslavia continuava ancora ad essere un paese ben distante dagli standard dell'Europa occidentale.
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Slovenia e Croazia, che conoscevano molto bene il sistema tedesco, chiedevano una radicale ristrutturazione della federazione in modo che fosse più simile a quella della Repubblica Federale Tedesca o quella della Confederazione Elvetica. Molto presto, come attesta Joze Pirjevec, si aggiunsero anche i serbi alle proteste. I serbi però chiedevano anche che la Serbia ridiventasse nuovamente tutt'uno e cioè che venissero abolite le due provincie autonome a favore di una Repubblica Socialista di Serbia più forte e indipendente nelle decisioni all'interno della Federazione Jugoslava. Lo jugoslavismo, associato al centralismo e considerato in Serbia, Slovenia e Croazia un modo per mascherare il predominio e lo sfruttamento comunista, venne molto presto abbandonato. I comunisti in Serbia si lamentarono perché il Partito, impaziente di applicare le riforme economiche, aveva permesso che i serbi in generale venissero identificati con l'anti-riformismo, aveva ceduto una fetta troppo grande del potere federale e poi aveva ignorato l'emergere di sentimenti di ostilità nei confronti dei serbi. I sentimenti nazionali serbi, fuori e dentro il partito, furono pesantemente turbati inoltre dal fatto che il 42% dei serbi e dei montenegrini vivesse al di fuori dalla Serbia e dal Montenegro. Quando le truppe del Patto di Varsavia, intervennero in Cecoslovacchia nell'agosto del 1968, il regime di Tito, secondo quanto riporta Pavlowitch, tentò di demonizzare i russi esattamente come nel 1948 aveva demonizzato il mondo tedesco.6 Nel suo ultimo e disperato tentativo di alleviare i sempre più accesi contrasti all'interno della sua federazione, il maresciallo Tito decise di servirsi ancora una volta della bandiera del patriottismo e di demonizzare i russi e l'Unione Sovietica esattamente come nel 1948 aveva demonizzato il mondo tedesco e la Germania. Una nuova ondata di censura, di processi celebrati per ''propaganda ostile'' e ''offese verbali'', e di purghe degli accademici della nuova sinistra, soffocò in qualche modo lo sviluppo di una cultura critica a Belgrado. L'atteggiamento del regime mostrava chiaramente che la federazione artificiale di Tito si avvicinava velocemente ed inesorabilmente alla fine e che era soltanto una questione di tempo prima che esalasse l'ultimo respiro. La figura emblematica del maresciallo era, a questo punto, l'unico fattore capace di tenere in piedi la federazione jugoslava ed essa, come attesta Pavlowitch, sarebbe scomparsa esattamente dieci anni dopo la morte di Tito.
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6 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, pp. 222 - 227.
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6.2 La cultura tedesca in Serbia dopo la morte di Tito.
Serbi, croati e sloveni stavano cominciando a prendere coscienza di se e della propria storia nazionale e non intendevano più essere jugoslavi. I serbi costituivano ancora il gruppo nazionale più numeroso e rappresentativo circa il 40% della popolazione totale. Essi avevano accettato la divisione territoriale della Jugoslavia in quanto si trattava di una divisione meramente amministrativa. La questione dei confini cominciò a porsi quando le repubbliche cominciarono a diventare qualcosa di simile a Stati sovrani, e per di più stati-nazione. Il risentimento serbo per il danno che lo jugoslavismo gli aveva recato, già emerso alla vigilia della Seconda guerra mondiale, riacquistava forza nella nuova federazione di Tito. La Jugoslavia ormai era solo una visione ideologica, il cui contenuto era ormai evaporato, il vuoto ideologico che si era venuto a creare permise alla frangia nazionalista dell'intellighenzia serba di ricorrere a un quadro di riferimento di tipo collettivista. Tuttavia il nazionalismo serbo cominciò ad assumere la forma di un vero movimento di opposizione al regime, come il nazionalismo croato negli anni trenta. La morte del dittatore, avvenuta il 4 maggio 1980, segnò la definitiva morte spirituale dello stato jugoslavo che, in effetti, si decompose completamente 10 anni dopo. Il nazionalismo era ritornato in Serbia, Slovenia e Croazia e i capri espiatori usati in precedenza - i nemici di classe, i nazisti, l'Occidente capitalista, l'Oriente stalinista - non erano più credibili agli occhi della gente in Jugoslavia. Attaccando il nazionalismo, la leadership comunista rese ancora più nazionalisti serbi, croati e sloveni. Come sostiene Joze Pirjevec, la ricomparsa del nazionalismo non fu solo il ritorno di una vecchia tendenza innata.7 Non si trattava neppure di un tentativo di ripristinare i legami con una tradizione antica e autentica, ma anche di cancellare il passato recente. In definitiva era anche il prodotto del comunismo stesso, che a suo tempo l'aveva manipolato a fini politici. L'ideologia antistatalista, applicata soprattutto in Serbia, aveva lasciato il posto a un'ossessione per lo statalismo. Dato che l'opinione pubblica e i mezzi di comunicazione, ormai più liberi, si preoccupavano del crescente scarto tra il modello imposto e la realtà, vennero individuati dei nuovi capri espiatori esterni per ciascuna nazione.
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7 ) Cfr. Joze Pirjevec, Serbi, Croati, Sloveni, Il Mulino, 2002, Bologna.
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Alla fine, ogni nazione divenne ciò che le altre temevano diventasse. Mentre sloveni e croati ambivano alla piena indipendenza, i serbi invece guardavano piuttosto a una ristrutturazione della Jugoslavia e alla Repubblica Socialista di Serbia stessa. Essi avevano in mente un nuovo stato jugoslavo su modello della Repubblica Federale Tedesca, che era il loro principale punto di riferimento, e volevano che la Repubblica Socialista di Serbia avesse, all'interno della Jugoslavia, gli stessi poteri e la stessa autonomia che avevano i Länder federati tedeschi. Tuttavia Slovenia e Croazia, ormai completamente accecate dal desiderio d'indipendenza, non presero neppure in considerazione soluzioni che prevedessero una eventuale continuazione della Jugoslavia. La leadership jugoslava, che teneva saldamente in mano il potere, invece non ascoltava né i serbi, né i croati né gli sloveni. Ossessionata dall'eredità titoista secondo cui la Jugoslavia doveva essere all'avanguardia di un terzo modello, la classe dirigente sembrò ignorare le importanti trasformazioni che si stavano verificando nel mondo.8 Malgrado le divisioni, continuò a impegnarsi per mantenere lo status quo in tutta la sua ortodossia e quando i riformisti serbi presentarono le loro proposte e il loro piano di ristrutturare la Repubblica Socialista di Serbia vennero considerati traditori del popolo e alcuni dei quali perfino spediti in carcere. Il fallimento convinse anche i serbi che la fine della Jugoslavia era ormai segnata e che era tempo di pensare a ciò che sarebbe venuto poi. In verità, i serbi avevano un'idea molto chiara di come riorganizzare il proprio paese, una volta scritta la parola fine sull'esperienza jugoslava. Il loro progetto era estremamente semplice e, sostanzialmente, non era molto diverso da ciò che intendevano fare i četnici di Draža Mihajlović. Volevano che la Repubblica Socialista di Serbia uscisse dalla SFRJ secondo i confini prestabiliti; a questa unità territoriale, in base all'esito di un referendum, avrebbero poi aderito anche tutti gli altri territori abitati da serbi. L'élite culturale serba aveva studiato l'organizzazione della Germania Occidentale e quasi tutti erano concordi sul che una Serbia federale o comunque il più decentralizzata possibile fosse l'unica soluzione per uscire dal vicolo cieco in cui il comunismo li aveva portati. A questo si aggiungeva il problema del Kosovo. La Serbia era infatti stanca delle continue intromissioni, dei continui sabotaggi e delle intromissioni negli affari interni serbi operati di proposito dalle altre repubbliche, in particolare dalla Croazia, e desiderava dunque agire liberamente sul proprio suolo.
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8 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, pp. 240 - 241.
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Si creò così un legame ( che tutt'oggi persiste ) tra la questione del Kosovo e lo status della Serbia. Il problema delle relazioni tra serbi e albanesi in Kosovo si trasformò progressivamente nel problema delle relazioni tra i serbi e tutte le altre nazioni della Jugoslavia. Il malcontento provocato dall'inefficienza mise in discussione, specialmente presso la classe degli intellettuali, la natura stessa della confederazione jugoslava. Nel 1985 la percezione del fallimento del comunismo jugoslavo era ormai diffusa. Serbia, Slovenia e Croazia erano ormai de facto stati sovrani a tutti gli effetti; ognuna seguiva una sua politica economica, sociale, culturale e perfino linguistica. Slovenia e Croazia ritrovarono il loro rapporto d'antica amicizia con l'Austria, mentre la Serbia, attraverso la numerosissima diaspora serba che viveva nei territori tedeschi, si avvicinava sempre più alla Germania. Questo segreto rapporto con la Germania fu di vitale importanza per la Serbia nei tragici anni di guerra civile che segnarono la scomparsa della fantomatica SFRJ. Sebbene la Germania fosse stata uno dei paesi che avevano votato a favore dell'embargo nei confronti di Belgrado, la Serbia riuscì a evitare la bancarotta grazie ai marchi tedeschi che i membri della diaspora inviavano praticamente ogni giorno alla madrepatria. Belgrado ormai veniva percepita come capitale della sola Serbia ed era il centro del pensiero critico indipendente serbo. La capitale aveva beneficiato della libertà concessa dalla leadership serba locale, che era alla ricerca di una più ambia base di consensi, agli intellettuali anti-conformisti. In questo modo la ''intellighenzia critica di Belgrado'' era diventata il movimento d'avanguardia per la difesa dei diritti civili. I rapporti tra Serbia e Croazia andavano peggiorando. Mentre il nazionalismo riprendeva violentemente vigore in Croazia, con gli intellettuali croati che tentavano di minimizzare la portata dei massacri compiuti dagli ustascia all'epoca della guerra per rimuovere qualsiasi marchio d'infamia dal loro progetto indipendentista e presentarsi ''puliti'' all'Europa, gli intellettuali serbi risposero esagerando le perdite serbe per sostenere la loro tesi sulla vittimizzazione. I mezzi di comunicazione belgradesi si sbizzarrirono in una serie di rivelazioni riguardo ai genocidi. In Serbia tutto questo fu accompagnato da un ''ritorno alla tradizione'' che permise all'intellighenzia, una volta critica, di fondere la forte difesa dello Stato e della nazione serbi con sentimenti profondamente radicati. Venne rispolverata la cultura popolare, che era divenuta prerogativa quasi esclusiva della musicologia, dell'etnografia e del turismo, facendola degenerare in una subcultura scadente. La prima a beneficiare del tradizionalismo fu la Chiesa ortodossa serba, che a partire dal 1980 riemerse dal ruolo di secondo piano in cui era stata relegata da Tito e dal Partito comunista jugoslavo.
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Poiché si era sempre considerata custode dell'identità serba, la Chiesa era stata la prima istituzione a schierarsi in difesa dei serbi del Kosovo già nel 1982. Tuttavia, sebbene la Serbia si fosse ormai definitivamente svegliata dal sogno jugoslavo e avesse un piano d'azione per uscire da quella convivenza imposta in un modo relativamente indolore, apparve presto un uomo che non solo avrebbe impedito alla Serbia di diventare indipendente e sovrana in seguito al crollo della Jugoslavia di Tito, ma che avrebbe allontanato da Belgrado tutti i governi d'Europa e il cui operato si concluse con il tragico e discutibile bombardamento NATO avvenuto nel 1999. Quest'uomo era Slobodan Milošević, il quale, come attesta lo studioso Joze Pirjevec, cominciò a muovere i suoi primi passi in politica all'interno della Serbia socialista degli anni ottanta.9











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9 ) Cfr. Joze Pirjevec, Serbi, Croati, Sloveni, Il Mulino, 2002, Bologna.
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7 La cultura tedesca in Serbia dagli anni novanta fino ad oggi.
7.1 La cultura tedesca nella Serbia di Milošević
Gli anni novanta videro la riunificazione della Germania, la pacifica dissoluzione di Cecoslovacchia e Unione Sovietica e la tremenda guerra civile che si scatenò nella morente Jugoslavia. Nel 1995 la guerra civile jugoslava terminò e sorsero gli stati indipendenti di Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina e Macedonia. Tuttavia non sorse la Serbia indipendente. Come abbiamo detto nel precedente capitolo, negli anni ottanta in Serbia era apparso un uomo sinistro di nome Slobodan Milošević, che si era ben presto impadronito del potere e che nel giro di pochi anni era diventato padrone di tutta la Serbia. Milošević non intendeva creare una Serbia indipendente. Egli voleva essere il nuovo Tito, ma, avendo capito che la vecchia Jugoslavia comprendente Slovenia e Croazia era ormai un lontano ricordo, egli aveva costruito una sua piccola Jugoslavia comprendente le sole repubbliche di Serbia e Montenegro. Egli era stato ispirato dalla rinascita economica e politica tedesca e intendeva fare della "sua Jugoslavia'' la Germania dei Balcani.1 In ambito culturale, benchè il paese fosse terribilmente isolato, la cultura tedesca continuò comunque a circolare. Il tedesco venne inserito come lingua obbligatoria in moltissime scuole della Serbia e specialmente a Belgrado, cominciarono i primi colloqui per l'entrata in azione del Goethe Institut sul territorio serbo e infine gli studenti più meritevoli delle varie università serbe potevano ottenere borse di studio finanziate dalla stato per soggiorni in Austria e in Germania. Oltre a questo il regime diede chiare e precise istruzioni alla Matica Srpska e all'accademia SANU ( i due maggiori centri per la conservazione e il monitoraggio della lingua serba ). Dovevano essere create parole nuove, espressioni nuove e nel farlo bisognava basarsi sul alcune lingue approvate dal regime e il tedesco era una di queste. Per invogliare i ragazzi a studiare la lingua tedesca il regime cominciò a importare da Germania e Austria diverse serie televisive nonché cartoni animati doppiati in tedesco. Il governo di Milošević non si limitò a questo. La moneta ufficiale dello stato, il dinaro, venne agganciata direttamente al marco tedesco.
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1 ) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, pp. 271 - 275.
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La principale valuta estera presente nelle banche della Serbia era il Deutsche Mark. Nei negozi della Serbia talvolta non si utilizzava neppure il dinaro, bensì il marco. Oltre a ciò bisogna aggiungere l'importante fattore dell'emigrazione, che nell'era Milošević raggiunse il culmine. Ogni anno migliaia e migliaia di persone lasciavano il paese, esasperate dalle disumane condizioni di vita che il regime aveva provocato e desiderose di una vita migliore. La maggior parte cercava di recarsi in Germania. La Germania era per i serbi ciò che l'Italia era per gli albanesi o l'America per gli italiani. Molti in Serbia avevano la tv via cavo attraverso la quale seguivano programmi e notiziari tedeschi. La popolarità della Germania presso i serbi divenne enorme. Il sogno di molti giovani serbi era quello di emigrare nella Bundesrepublik, di guidare una BMW, una OPEL, o anche la VOLKSWAGEN. In Serbia chi possedeva una macchina tedesca, parlava la lingua tedesca, avesse nel portafogli banconote tedesche era considerato un uomo di successo. Sognare la Germania e l'estero in generale era un modo come un altro per sfuggire alla triste realtà di ogni giorno. In quegli anni l'economia serba era diventata simile a quella delle repubbliche sottosviluppate. Persino nella ricca regione della Vojvodina l'economia era scesa al di sotto della media esteuropea. La dirigenza di Milošević non era stata in grado di identificarsi con il malessere del paese, nè di reprimere le voci critiche. Il governo aveva cercato invece di affrontare la crisi riprendendo l'interminabile processo di riforma della costituzione e del mercato interno sulla base di un dibattito federale. Il governo restava sordo alle proteste dell'opposizione la quale puntualmente mostrava le condizioni di povertà dei cittadini. Ad evitare il tracollo economico della Serbia fu il denaro inviato dai serbi della diaspora, in particolar modo dalle comunità serbe di Francoforte e di Trieste, tradizionalmente considerate le più ricche. Tuttavia ciò, sebbene avesse evitato allo stato serbo la bancarotta, non riuscì a salvare la popolazione che precipitò in un terrificante stato di poverta. Le sanzioni contro la nuova Jugoslavia di Milošević paradossalmente però rafforzarono la posizione di quest'ultimo quale protettore e portavoce degli interessi serbi e facilitarono la sua azione di governo all'interno della nuova Repubblica federativa. Milošević si servì della stessa strategia di cui si erano serviti quasi tutti i dittatori prima di lui, da Hitler a Tito e cioè diede alla popolazione qualcuno da odiare. In primis aveva pensato di rievocare i sentimenti antitedeschi come aveva fatto il suo mentore Tito molti anni prima, prima, ma la situazione ora era cambiata. Il nuovo capo della Serbia aveva visto che la gente era affascinata dalla Germania, che la cultura tedesca stava ritornando nel paese e che moltissime famiglie serbe avevano parenti emigrati in paesi di lingua tedesca dal cui aiuto economico
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dipendevano. Aveva capito che la popolazione considerava i tedeschi un modello da seguire e che attaccare il mondo tedesco sarebbe stato pericoloso. Decise perciò di dirottare la rabbia popolare verso gli USA. L'operazione fu un successo. La gente in Serbia, consumata dalla guerra recente, dalla povertà e dalle condizioni di vita estreme, rivolse la sua rabbia contro gli USA. Le sanzioni, l'embargo e la crisi agli occhi dei serbi portavano la firma americana e da ciò nacquero sentimenti di rabbia e astio nei confronti di tutto ciò che apparteneva al mondo inglese. Attraverso le restrizioni imposte per combattere l'inflazione, le sovvenzioni e il razionamento dei beni di prima necessità, il governo poteva aiutare oppure punire a suo piacimento le istituzioni, le imprese e le categorie sociali. La situazione, come attesta Pavlowitch, peggiorò nel 1999.2 La NATO condusse una più che discutibile e del tutto impari guerra contro Milošević, con il pretesto di ''aiutare'' il Kosovo e dopo 73 giorni di bombardamenti il presidente serbo dovette cedere e permise alle truppe americane di entrare nella regione meridionale dell'odierna Repubblica di Serbia. La guerra non aveva aumentato il prestigio né degli USA né della NATO ed era stata un disastro per Milošević. Le infrastrutture del paese erano distrutte, il paese era invaso da rifugiati e privato delle sue giovani menti. Si calcola che dal 1990 in poi, più di 100.000 giovani dotati di talento e di un alto livello di istruzione avevano lasciato il paese. Il governo Milošević era ormai prossimo a cadere. Al termine della guerra, la reazione di gran parte delle persone era stata di sollievo per la fine delle ostilità. I serbi ora però dovevano fare i conti con la vita di tutti i giorni nonché con i danni provocati dal conflitto con gli USA, ma erano comunque decisi a liberarsi una volta per tutte di Milošević e di sua moglie, la potentissima Mirjana Marković, responsabile di molte purghe nei confronti di quelli che considerava i traditori del regime e nemici della patria soltanto perché avevano dato il proprio appoggio all'opposizione. Secondo i dati fornitici dallo studioso Stevan K. Pavlowitch, metà della popolazione attiva in Serbia era disoccupata o aveva impieghi di facciata, che non portavano alcun guadagno. Oltre a Milošević, però, i serbi detestavano anche gli USA e la NATO.3
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2) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, pp. 280 - 281.
3) Cfr. Stevan K. Pavlowitch, Serbia, la storia al di là del nome, 2010, p. 283.
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7.2 La cultura tedesca in Serbia dopo l'era Milošević
Dopo la fine del conflitto molte associazioni umanitarie statunitensi offrirono il proprio aiuto al paese e alla popolazione, ma fu tutto inutile, la sfiducia nei confronti degli USA era immensa. Soltanto Germania e Austria erano uscite pulite agli occhi dei serbi dalla tragedia avvenuta in quegli anni. Infatti, sebbene la Germania fosse membro effettivo della NATO, il mito tedesco era ancora troppo forte e si preferì comunque dare la colpa soltanto ed esclusivamente agli Stati Uniti e all'amministrazione Clinton. Da parte loro Germania e Austria approffittarono immediatamente del prestigio di cui godevano in Serbia. Dopo la caduta di Milošević, al potere salì Zoran Đinđić, un giovane politico che si era istruito in Germania e dalla quale era direttamente appoggiato. La prima cosa da fare era risanare i conti di stato, rimettere in funzione l'economia e dare un minimo di ordine al paese. Tutto ciò venne fatto grazie agli ingenti prestiti provenienti dalla Bundesrepublik. Oltre a ciò in pochi anni moltissime banche tedesche e austriache come ad esempio Deutsche Bank, Volksbank, Raiffaisen Bank e la Sparkasse aprirono delle filiali in territorio serbo. Il nuovo premier rilanciò in grande stile anche i rapporti culturali tra il mondo serbo e il mondo tedesco. Nel 2003 a Belgrado venne aperto il Goethe Institut e le borse di studio per la Germania aumentarono notevolmente.

Immagine 5 e immgine 6 : sede del Goethe – Institut a Belgrado.
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4 ) Per le attività del Goethe – Institut in Serbia vedere il sito: www.goethe.de/ins/cs/bel/srindex.htm, consultato il 7. 01. 2013.
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Su consiglio di Berlino, la nuova classe politica decise di abbandonare definitivamente il nome Jugoslavia. Serbia e Montenegro continuavano ad essere un unico stato, soltanto che adesso il nuovo stato era una sorta di federazione in prova. Belgrado e Podgorica avrebbero convissuto per un certo periodo di tempo all'interno di uno stato federale provvisorio. Allo scadere di questo periodo sarebbe stato indetto un referendum il quale avrebbe sancito o la continuazione della federazione. Berlino aveva insistito particolarmente su questa soluzione in quanto temeva, come del resto molti altri paesi europei, nuove tensioni. Il nuovo stato venne chiamato Repubblica Federale di Serbia e Montenegro ( Државна Заједница Србија и Црна Гора / Državna Zajednica Srbija i Crna Gora ). Nel frattempo continuava la resa dei conti con ciò che restava dell'era Milošević. La lotta alla corruzione, la ricerca dei criminali di guerra nonchè il tentativo di fronteggiare la precaria condizione economica del paese erano obbiettivi di primaria importanza per il governo. Venne riformato anche il sistema scolastico a cui venne dato un volto più europeo e gli studenti serbi ebbero finalmente la possibilità di visitare capitali europee come Vienna, Berlino e Parigi. Il tedesco cominciò ad essere insegnato anche alle elementari assieme all'inglese e soppiantò pian piano il russo. Venne finalmente affrontata la spinosa questione della minoranza tedesca della Vojvodina. Sebbene fosse molto ridotta questa minoranza cominciò, in seguito al crollo del comunismo, a rivendicare i suoi diritti. Il nuovo governo democratico della Serbia, rafforzando l'autonomia della Vojvodina, concesse anche importanti privilegi alla minoranza tedesca che vi si trovava. La lingua tedesca venne riconosciuta come lingua di minoranza avente però valore ufficiale assieme al serbo nei territori abitati dai tedeschi. Oltre a ciò venne restaurata la biblioteca gotica della città di Vršac, una delle poche ad essere sfuggite ai roghi dei comunisti. La cultura prodotta dai Donauschwaben venne riconosciuta dallo stato serbo e ne divenne parte integrante. Molti tedeschi, inoltre, riebbero indietro le proprietà che i comunisti avevano loro confiscato subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale. La minoranza tedesca ottenne inoltre il diritto ad avere i propri rappresentanti sia nel parlamento regionale della Vojvodina sia nell' Assemblea Popolare della Repubblica di Serbia ( Народна Скупштина Републике Србије / Narodna Skupština Republike Srbije ). Importante evento che suggellò il legame tra la Serbia e il mondo tedesco fu il gemellaggio di Belgrado con Vienna. Il legame tra queste due città raddoppiò. Migliaia di studenti belgradesi, in seguito a quell'evento, ebbero importanti facilitazioni per visitare Vienna; vennero accolti in istituti austriaci ed ebbero modo di perfezionare l'educazione ricevuta in Serbia. Fu un importante occasione anche per gli austriaci di conoscere la
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capitale serba. Anche a Vienna sorsero nel giro di breve tempo scuole di lingua e cultura serba, talvolta diretti e organizzati da maestri e professori provenienti dalla Serbia stessa. Nel 2006, in seguito all'esito del referendum organizzato, Serbia e Montenegro decisero di dividersi e divennero due Stati sovrani completamente indipendenti. La Germania fu la prima a riconoscere la Serbia indipendente e a inviarvi la prima missione diplomatica, venne seguita da Austria, Russia, Italia, Francia e USA. La Serbia finalmente ricompariva sulle cartine europee come stato sovrano dopo aver sperimentato per quasi 90 anni federazioni e confederazioni con agli altri popoli della penisola balcanica. La linea politica del governo tuttavia rimase invariata. La Serbia, libera dal Montenegro, continuò a svilupparsi da sola. Gli unici modelli statali, politici ed economici di cui la Serbia si fidava erano quelli di Francia e Germania. In seguito dunque alla scomparsa della Federazione serbo-montenegrina, la Serbia divenne una Repubblica semipresidenziale su modello francese. Tuttavia per l'organizzazione interna preferì adottare il modello tedesco che considerava più affidabile. Venne mantenuta la Regione Autonoma della Vojvodina e la Regione Autonoma del Kosovo, tuttavia vennero create altre entità dotate di una autonomia relativamente ampia all'interno della Serbia. La stessa Belgrado divenne una città-stato, su modello di Berlino.5 Il processo di decentralizzazione della Serbia tuttavia non è ancora ultimato. L'obbiettivo finale è rendere queste regioni, che la nuova leadership ha definito ''regioni statistiche'', il più autonome possibile attraverso la creazione di parlamenti locali e il rafforzamento di strutture parallele. Il modello si rifà a quello tedesco, tuttavia non è fedele al 100% e si sono riscontrate e si riscontrano tutt'ora molte irregolarità nel processo di decentralizzazione. Nel 2008 tuttavia ai già tanti problemi della Serbia se ne aggiunse uno nuovo. La Regione Autonoma del Kosovo, che si trovava sotto supervisione internazionale, proclamò l'indipendenza dalla Repubblica diSerbia. Questo evento spaccò l'Europa e l'Unione Europea stessa. Molti stati europei avrebbero preferito evitare una nuova indipendenza nei Balcani dopo le guerre degli anni novanta e il fallimento della Bosnia-Erzegovina come stato. Alla fine alcuni paesi come Italia, Germania, Inghilterra e Francia riconobbero il Kosovo come stato; altri invece, come Grecia, Spagna, Cipro, Romania e Slovacchia, risposero con un secco no.
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5 ) Cfr. Vladimir Dulović, Serbia a portata di mano, Belgrado, 2007, I, pp. 119 – 177.
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Il fatto che la Germania avesse riconosciuto il Kosovo come stato portò a un deterioramento dei rapporti con la Serbia, dopo anni di intensa collaborazione in seguito alla caduta del regime di Milošević. Tuttavia non si arrivò mai a una vera e propria rottura ed era praticamente impossibile, dato che la crescita della Serbia si era realizzata prevalentemente grazie agli aiuti e ai finanziamenti provenienti dalla Bundesrepublik. Una eventuale rottura diplomatica sarebbe stata inoltre pericolosa anche per tutti i serbi che vivevano in Germania e in Austria e per la minoranza tedesca che si trovava in Serbia. L'Unione Europea, a prescindere dai singoli riconoscimenti, non era e non è tutt'oggi pronta a gestire un caso come il Kosovo. Il Kosovo adesso è un territorio che formalmente è parte integrante della Repubblica di Serbia, ma che viene considerato stato dagli albanesi che vi si trovano e dai paesi che lo hanno riconosciuto. A differenza della Serbia, il Kosovo non fa parte di nessuna organizzazione internazionale e non ha neppure un suo prefisso telefonico. Dopo quasi 3 anni di passività i delegati serbi e albanesi decisero di ritornare al tavolo delle trattative. L'Unione Europea tuttavia non riusciva ad avere una posizione univoca sul caso del Kosovo. Ancora una volta, il ruolo di mediatore venne affidato alla Germania. Questa decisione venne presa per più ragioni. La prima è che la Germania aveva vissuto un'esperienza non uguale, tuttavia molto simile a quella che sta vivendo la Serbia. Ci riferiamo al caso delle due Germania, Ovest ed Est, le quali erano riuscite a convivere in un modo più o meno pacifico senza tuttavia riconoscersi direttamente a vicenda. La delegazione diplomatica tedesca pensò di adottare questa strategia anche nei rapporti Serbia-Kosovo, finchè non si fosse giunti alla soluzione definitiva. La seconda ragione per cui l'UE affidò ai tedeschi il ruolo di mediatori fu ancora una volta la popolarità di cui la Germania godeva in Serbia. Una soluzione proveniente da Berlino sarebbe risultata comunque più gradevole agli occhi dei serbi, piuttosto di una soluzione in stile americano o inglese. Il modello di convivenza pacifica adottato dalle due Germanie ha comunque dato i suoi primi frutti nel caso Serbia-Kosovo; la circolazione di merci e persone è ricominciata dopo una pausa di quasi 3 anni, i delegati serbi e albanesi si incontrano a intervalli più o meno bimestrali alla ricerca di una soluzione definitiva, si sta preparando la strada per uno ''scambio'' di relazioni a livello ufficiale tra Belgrado e Priština. Dal canto suo la Serbia ha preferito adottare il modello tedesco in quanto risultava il meno doloroso anche perchè offriva alla comunità serba che vive nello stato-regione una fortissima autonomia. Oltre a questo è stata instaurata la gestione condivisa dei confini Serbia-Kosovo. Il contingente tedesco presente nella zona si è incaricato personalmente di istruire i colleghi serbi al lavoro previsto dalla gestione condivisa dei
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confini. I confini Serbia-Kosovo attualmente funzionano esattamente come funzionavano un tempo i confini BRD-DDR. La soluzione tedesca tuttavia ha destato molto interesse nell'opinione pubblica serba. La maggior parte dei serbi conosceva bene la Germania Occidentale a causa dell'esorbitante numero di emigrati serbi che si recavano laggiù in cerca di lavoro e prospettive, mentre invece ignorava quasi tutto della DDR. In Serbia si è acceso negli ultimi anni un grande interesse per quello che era stata la Repubblica Democratica Tedesca. Percependo l'interesse della popolazione e in particolar modo della classe colta nei confronti della DDR, l'ambasciata tedesca a Belgrado organizzò diverse mostre dedicate a questo tema, per far conoscere la Repubblica democratica tedesca al pubblico serbo. L'iniziativa piacque molto e a quel punto si mosse anche il Goethe-Institut organizzando serate ed eventi a tema, molti dei quali ebbero come ingrediente principale la visione del film ''Good Bye Lenin''. Problema del Kosovo a parte, le relazioni della Serbia con il mondo tedesco ora sono fortissime. La cultura tedesca - politica, economica, statale, linguistica e letteraria – è conosciuta ed estremamente presente nell'odierna Repubblica di Serbia. Oltre a ciò il mondo tedesco a offerto alla Serbia la soluzione a diverse questioni spinose, come ad esempio il nuovo assetto amministrativo dello stato, i finanziamenti economici e la questione del Kosovo. Nell'ultimo decennio molte città serbe, grazie al nuovo grado di autonomia concesso dal governo di Belgrado, hanno stretto gemellaggi con altre città tedesche e austriache. Le ambasciate e i consolati di Austria e Germania sono dei centri di cultura a tutti gli effetti e propagano la lingua e la cultura tedesca presso i serbi al pari del Goethe-Institut. Austria e Germania non sono solo il primo partner economico e culturale della Serbia, sono anche il principale punto di appoggio di Belgrado per quanto concerne le integrazioni europee. È stato grazie alla lobby tedesca e austriaca presso il parlamento europeo che nel 2009 la Serbia è riuscita ad ottenere la liberalizzazione dei visti. Nel 2012 la Serbia è diventata candidato ufficiale per l'Unione Europea anche se Berlino ha annunciato che intende aspettare l'implementazione degli accordi sul Kosovo per dare il via anche ai negoziati di adesione. Dal 2009 fino ad oggi più di 100mila cittadini serbi hanno visitato la Germania e l'Austria, chi per ragioni famigliari chi per lavoro. Gli studenti serbi continuano a preferire Austria e Germania come luogo di perfezionamento dei propri studi, non solo per la qualità dei servizi ma anche per la relativa vicinanza alla Serbia. Per quanto concerne la Serbia propriamente detta, essa ha cambiato letteralmente volto negli ultimi 10 anni. Decisi a sbarazzarsi del grigio modello imposto dai comunisti, i serbi hanno tirato fuori i vecchi modelli austriaci che un tempo erano presenti
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nella Serbia Asburgica e li hanno implementati con altri provenienti dalla Germania e da altri paesi europei. Questo discorso vale specialmente per l'architettura. Per la restaurazione e l'abbellimento di Belgrado, il governo serbo ha chiamato ingegneri edili e architetti provenienti da tutta l'Austria, in particolar modo da Vienna. Il modello architettonico austriaco continua ad essere il preferito e molte altre città serbe sono state restaurate, in seguito al discutibile bombardamento NATO, in questo stile. Alcune città, come ad esempio Šabac, Požarevac, Kragujevac o Valjevo, dove non c'è mai stata una diretta influenza austriaca e tedesca, scelsero, secondo quanto riporta Vladimir Dulović nella sua opera dedicata alla Serbia, di adottare lo stile archittettonico di Austria o Germania per ragioni di prestigio.6 Questo dimostra chiaramente quanto la cultura tedesca abbia attechito e di quanto prestigio goda all'interno della Serbia.











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6) Cfr. Vladimir Dulović, Serbia a portata di mano, Belgrado, 2007, I, pp. 50 – 239.
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8 L'influsso della lingua tedesca sulla lingua serba.
8.1 Le parole tedesche nella lingua serba.
L'influsso della cultura tedesca nelle terre serbe non ha potuto non lasciare tracce anche nella lingua parlata dai serbi che si è riempita di germanismi nel corso del suo processo evolutivo. La fonte utilizzata per svolgere questa indagine è stato il nuovo dizionario realizzato dai due maggiori linguisti serbi moderni, Ivan Klajn e Milan Šipka, il Veliki rečnik stranih reči i izraza, che riporta tutte le parole di origine straniera penetrate nella lingua serba. Il dizionario, inoltre, mostra chiaramente che un buon numero di parole tedesche che iniziano con "S'', "St'' e "Sch'' è penetrato con estrema rapidità nel serbo. Il dizionario classifica i termini riportati come germanismi, cioè di origine tedesca. Ne presentiamo qui un breve elenco.
TEDESCO SERBO ITALIANO
Grab ( das ) Гроб ( Grob ) Tomba
Luft ( die ) Луфт ( Luft ) Aria
Lüften Луфтирати ( Luftirati ) Arieggiare
Speis ( die ) Шпајз ( Špajz ) Dispensa
Sparkasse ( die ) Шпаркаса ( Šparkasa ) Cassa di risparmio
Spationieren Шпационирати ( Špacionirati ) Spaziare
Spekulant ( der ) Шпекулант ( Špekulant ) Speculatore
Spengler ( der ) Шпенглер ( Špengler ) Carrozziere
Spitze ( das ) Шпиц ( Špic ) Punta
Streik ( der ) Штрајк ( Štrajk ) Sciopero
Streiken Штрајковати ( Štrajkovati ) Scioperare
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TEDESCO SERBO ITALIANO
Schalter ( der ) Шалтер ( Šalter ) Sportello
Schank ( der ) Шанк ( Šank ) Bancone
Schalten Шалтовати ( Šaltovati ) Cambiare marcia
Schwärzer ( der ) Шверцер ( Švercer ) Contrabbandiere
Schaffner ( der ) Шафнер ( Šafner ) Controllore
Schlamm ( der ) Шљам ( Šljam ) Melma, fango
Strafe ( die ) Штрафа ( Štrafa ) Punizione
Strafen Штрафовати ( Štrafovati ) Punire
Streber ( der ) Штребер ( Štreber ) Secchione
Ziel ( das ) Циљ ( Cilj ) Scopo
Alcune parole tedesche inoltre, come ad esempio ''Luft'', si sono unite ad altre parole serbe e hanno formato degli interessanti composti serbo-tedeschi come per esempio: Луфтпростор ( Luftprostor ) che vuol dire 'spazio aereo', oppure Луфтснаге ( Luftsnage ) che significa 'forze aeree'. È un chiaro esempio di come non solo le culture ma anche le lingue tedesca e serba si siano intrecciate nel corso della storia ed è un ulteriore dimostrazione di come il mondo tedesco abbia influenzato quello serbo. Troviamo molte parole tedesche nell'odierna lingua serba se guardiamo attentamente anche i termini riguardanti il mondo della tecnologia, della scuola, delle macchine, dell'impresa, dei trasporti e dell'economia. Ecco alcuni esempi.
TEDESCO SERBO ITALIANO
Elektrizität ( die ) Електрицитет ( Elektricitet ) Elettricità
Farbe ( die ) Фарба ( Farba ) Tinta, vernice
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TEDESCO SERBO ITALIANO
Kabel ( das ) Кабал ( Kabal ) Cavo
Kugel ( die ) Кугла ( Kugla ) Sfera
Kreide ( die ) Креда ( Kreda ) Gesso
Maschine ( die ) Машина ( Mašina ) Macchina
Prozent ( das ) Проценат ( Procenat ) Percentuale
Rückwärtz Рикверц ( Rikverc ) Indietro, Retromarcia
Schiene ( die ) Шинa ( Šina ) Rotaia
Schlepper ( der ) Шлепер ( Šleper ) Rimorchiatore
Schleppen Шлепати ( Šlepati ) Rimorchiare
Schmirglen Шмирглати ( Šmirglati ) Carteggiare
Stecker ( der ) Штекер ( Šteker ) Spina
Stipendium ( das ) Стипендија ( Stipendija ) Borsa di studio
Termin ( der ) Термин ( Termin ) Appuntamento
Ventil ( das ) Вентил ( Ventil ) Valvola
Waage ( die ) Вага ( Vaga ) Bilancia
Waschmaschine ( die ) Вешмашина ( Mašina ) Lavatrice
Ziegel ( der ) Цигла ( Cigla ) Mattone
Nel serbo sono presenti parole tedesche anche per quanto riguarda la cosmetica, la moda e l'abbigliamento.
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TEDESCO SERBO ITALIANO
Bademantel ( der ) Бадемантил ( Bademantil ) Accappatoio
Bluse ( die ) Блуза ( Bluza ) Camicetta
Brosche ( die ) Брош ( Broš ) Spilla
Jacke ( die ) Јакна ( Jakna ) Giacca
Schal ( der ) Шал ( Šal ) Sciarpa
Schlitz ( der ) Шлиц ( Šlic ) Apertura
Schminke ( die ) Шминка ( Šminka ) Trucco
Schminken Шминкати ( Šminkati ) Truccare
Anche per quanto riguarda il settore culinario è possibile riscontrare parole serbe che però sono di origine tedesca. Si ritiene che molte di queste parole sono penetrate nel serbo parlato nella Serbia Asburgica, amministrata da Vienna. Ecco alcuni esempi.
TEDESCO SERBO ITALIANO
Butter ( die ) Путер ( Puter ) Burro
Keks ( der ) Кекс ( Keks ) Biscotto
Kellner ( der ) Келнер ( Kelner ) Cameriere
Paprika ( die ) Паприка ( Paprika ) Peperone
Paradeiser ( der ), Austr.) Парадајз ( Paradajz ) Pomodoro
Schinken ( der ) Шунка ( Šunka ) Prosciutto
Soße ( die ) Сос ( Sos ) Salsa
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Come si vede chiaramente negli esempi, le parole tedesche si sono innestate nella lingua serba con relativa facilità subendo solo delle piccolissime trasformazioni, che tuttavia non mettono in discussione la loro palese origine germanica. Esistono poi parole come Бундестаг, Бундесрат е Бундеслига ( Bundestag, Bundesrat e Bundesliga ) che non hanno subito variazione, ovvero la stessa forma morfologica e fonologica presente nella lingua tedesca si è mantenuta anche nel serbo.
8.2 I proverbi tedeschi nella lingua serba.
Ora verrà analizzato un secondo aspetto a livello linguistico, che mostra un ulteriore punto di contatto tra il mondo serbo e quello tedesco. Alcuni proverbi e modi di dire tedeschi sono entrati e sono stati ufficializzati anche nella lingua serba. Molte di queste espressioni sono state portate nel serbo dallo stesso Vuk Karadžić, il quale le ha raccolte leggendo le opere dei Fratelli Grimm e durante i suoi numerosi viaggi in Austria e in Germania. Ecco alcuni esempi celebri.
Die Liebe geht durch den Magen. – Љубав иде кроз желудац. ( L'amore passa attraverso lo stomaco. )
Ein faules Ei verdirbt die ganze Brei. – Једно покварено јаје упорпасти читаву кајгану. ( Un uovo marcio rovina tutta la frittata.)
Erst denken, dann lenken. – Прво размислити, а затим управљати. ( Prima pensare e poi guidare. )
Erst kommt das Fressen, dann die Moral. – Прво се треба најести, а онда долази морал. ( Prima viene il mangiare e poi la morale )
Es ist noch kein Meister vom Himmel gefallen. – Још ниједан мајстор није пао са неба. ( Nessun maestro è caduto dal cielo. )
Gegen die Dummheit kämpfen selbst die Götter vergebens. ( Goethe ) – Против глупости и сами се богови боре узалуд. ( Contro la stupidità perfino gli Dei combattono inutilmente. )
Hochmut kommt vor dem Fall. – Охолост долази пре пада. ( L'altezzosità precede la caduta. )
In der Kürze liegt die Würze. – У краткоћи лежи зачин. ( Nella brevità giace l'essenziale.)
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Keine Antwort ist auch ein Antwort. – Никакав одговор је такође одговор. ( Anche il non rispondere è una risposta. )
Keine Regel ohne Ausnahme. – Нема правила без изузетка. ( Non ci sono regole senza eccezioni. )
Keine Rose ohne Dornen. – Нема руже без трња. ( Non c'è rosa senza spine.)
Kennst du das Land, wo die Zitronen blühn? ( Goethe ) – Познајеш ли ону земљу где лимун цвета? ( Conosci quella terra dove i limoni fioriscono? )
Langsam aber sicher! – Полако али сигурно. ( Chi va piano va sano e va lontano. )
Lügen haben kurze Beine. – Лажи имају кратке ноге. ( Le bugie hanno le gambe corte. )
Man ist, was man isst. – Човек је оно што једе. ( Siamo quello che mangiamo.)
Man muss vieles zu wissen, um zu wissen, dass man nichts weis. – Треба много знати да се сазна како се ништа не зна. ( Bisogna sapere molto per scoprire di non sapere nulla. )
Morgen, morgen, nur nicht heute, sagen alle faulen Leute. – Сутра, сутра, само е данас, говоре сви лењи људи. ( Domani, domani, solo non oggi, dice la gente pigra. )
Übung macht den Meister. – Вежба ствара мајстора. ( La pratica crea il maestro. )
Vater werden ist nicht schwer, Vater sein dagegen sehr. – Постати отац није тешко, бити отац је много теже. ( Diventare padre non è difficile, essere padre lo è eccome. )
Wer die Wahl hat, hat die Qal. – Ко има избор, има и муку. ( Chi ha la scelta, ha anche le difficoltà. )
Zucker kommt zuletz. – Шећер долази на крају. ( Il dolce viene alla fine. )
Zu rechten Zeit sprechen ist Silber, zu rechten Zeit schweigen ist Gold. – У прави час говорити је сребро, у прави час ћутати је злато. ( Il silenzio è d'oro, la parola è d'argento. )

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Per concludere, verrà fatto un confronto tra le denominazioni dei mesi nella lingua serba e nella lingua tedesca. Si noterà che le denominazioni dei mesi sono estremamente simili nelle due lingue. Ciò è dovuto alla particolare condizione in cui si è trovata la lingua serba, divisa tra due mondi: la Serbia Ottomana e la Serbia Asburgica. Quando le due Serbie diventarono finalmente tutt'uno, vennero adottate le denominazioni utilizzate nella Serbia Asburgica, le quali erano state coniate ricalcando quelle tedesche, e per questo motivo venivano considerate più ''europee''.1 Riportiamo nella pagina seguente le denominazioni in questione.
TEDESCO SERBO ITALIANO
Januar Јануар ( Januar ) Gennaio
Februar Фебруар ( Februar ) Febbraio
März Март ( Mart ) Marzo
April Април ( April ) Aprile
Mai Мај ( Maj ) Maggio
Juni Јун ( Jun ) Giugno
Juli Јул ( Jul ) Luglio
August Август ( Avgust ) Agosto
September Септембар ( Septembar ) Settembre
Oktober Октобар ( Oktobar ) Ottobre
November Новембар ( Novembar ) Novembre
Dezember Децембар ( Decembar ) Dicembre
_______________
1 ) Cfr. Allocco Grubač Gordana, Grammatica serba, Milano, 2010, p. 4.
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9 Conclusione
Lo scopo di questo lavoro era mostrare, attraverso la presa in esame di fattori storici e linguistici, come la cultura tedesca abbia influenzato la cultura serba e di come essa sia riuscita a sopravvivere durante gli oscuri anni del comunismo jugoslavo, il quale si è prodigato nel tentativo di estirparla. Analizzando dapprima le relazioni tra la Serbia e l'impero asburgico, risulta evidente come l'apporto di Vienna sia stato fondamentale non solo per la realizzazione dello stato indipendente serbo, ma anche per quanto concerne la modernizzazione di quest'ultimo. Oltre a ciò è stato possibile notare anche l'esistenza di '' due Serbie'' ovvero la Serbia Asburgica ( la quale viene chiamata spesso anche Vojvodina ) e la Serbia Ottomana. In seguito alla comparsa nel contesto europeo della Serbia come entità statale a se stante è iniziato anche un lungo periodo di scambi economici, culturali ma anche linguistici con l'impero asburgico il quale poi si trasformerà nell'Austria-Ungheria. Tuttavia, come attesta Pavlowitch nel suo libro Serbia, la storia al di là del nome, a un certo punto le relazioni tra Vienna e Belgrado cominciano a incrinarsi e a deteriorarsi a causa della complicata situazione creatasi in seguito all'annessione della Bosnia da parte di Vienna e dello status dei serbi all'interno della Serbia Asburgica. Oltre a ciò, la comparsa di pericolose organizzazioni quali la Mano Nera contribuì ulteriormente a creare un pericoloso clima che sfociò nell'attentato di Sarajevo e nel conflitto tra Serbia e Austria-Ungheria. Per quanto concerne la sfera prettamente culturale si è potuto vedere, attraverso una breve analisi della vita e dell'operato di Vuk Karadžić, come molti uomini di cultura serbi abbiano ricevuto la propria istruzione in ambienti di lingua tedesca e di come da essi siano stati influenzati. La riforma grammaticale operata da Vuk Karadžić e la pubblicazione dei canti popolari serbi non sarebbero state possibili senza l'estremamente prezioso appoggio dei fratelli Grimm. Perfino la storiografia serba venne migliorata grazie alla figura dello storico tedesco Leopold von Ranke. Attraverso la figura del dottor Archibald Reiss è stato possibile osservare come uomini della sfera culturale tedesca si siano recati di persona in Serbia e abbiano direttamente influito nella vita culturale e sociale del paese. Il dottor Reiss documentò i la maggior parte dei crimini commessi nei confronti della popolazione serba durante la Prima guerra mondiale, testimoniò a favore di Belgrado e dei serbi durante la conferenza di pace e, una volta finita la guerra, decise di restare a vivere in Serbia e sfruttare le proprie
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conoscenze per aiutare il paese a rialzarsi. Il dottor Reiss contribuì nella riforma della polizia, nella modernizzazione delle tecniche investigative e, grazie al suo contributo, cominciò a muovore i suoi primi passi anche la polizia scientifica serba. Prima di morire il dottor Reiss scrisse un libro, il cui titolo è ''Ascoltate serbi, guardatevi da voi stessi!'', ed era una molto dettagliata analisi tutti i vizi e di tutte le virtù del popolo serbo, ma anche un preciso ammonimento a non farsi consumare da sentimenti negativi come la vendetta. L'impronta che il dottor Reiss lasciò in Serbia può considerarsi ormai indelebile in quanto oggi in Serbia esiste perfino una speciale organizzazione che porta il suo nome e che si è incaricata di conservarne la memoria. L'analisi ha poi mostrato come la dirompente furia del nazionalsocialismo sia entrata in Serbia, trasformandola in uno stato fantoccio nelle mani di Hitler e dei suoi sicari. Il nazionalsocialismo in Serbia fiorì non soltanto grazie alle truppe naziste, ma anche per merito di personaggi oscuri e ambigui come il generale Nedić e altri spietati come Ljotić, i quali volevano fare della Serbia un fedele vassallo della Germania nazista. Lo studio ha mostrato che la Serbia ( come del resto molti altri paesi sottomessi ) era legata a doppio filo alla Germania nazista, a tal punto che il tedesco divenne lingua ufficiale assieme al serbo e che fosse diventato materia obbligatoria nelle scuole. In seguito alla disfatta dei nazisti la Serbia non vide l'alba di un nuovo inizio in quanto era iniziata la tetra era del comunismo jugoslavo e della politica sconsiderata del maresciallo Tito, il quale sarebbe stato uno dei principali responsabili della guerra civile scoppiata nello stato fantoccio chiamato SFRJ nel 1991. La cultura tedesca sotto il dispotico regime del maresciallo Tito rischiò di scomparire dal suolo serbo anche perché la nuova leadership jugoslava aveva avviato una tremenda opera di propaganda la quale aveva il compito di demonizzare tutto ciò che fosse tedesco. A farne le spese furono le varie comunità tedesche del Banato e della Serbia Asburgica in generale in quanto il governo riteneva che queste comunità dovessero scomparire dal nuovo stato ''jugoslavo'' per il ''bene di tutti''. Il nuovo regime tuttavia non trasformò la Jugoslavia nella terra promessa voluta dal maresciallo e, mentre gli altri paesi europei avanzavano sulla strada del progresso politico, sociale e culturale, la nuova federazione del maresciallo rimaneva povera e arretrata e ben lungi dagli standard europei. Oltre a ciò il governo non era riuscito a eliminare le diversità tra Serbi, Sloveni e Croati, le aveva solamente imbavagliate. Esasperati dalle durissime condizioni di vita molti serbi decisero di lasciare il paese e si recarono prevalentemente nella Repubblica Federale Tedesca, la quale aveva appena cominciato a vivere il suo miracolo economico. Qui inizia una nuova e molto singolare fase. In questo periodo inizia molto gradualmente
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una rivalutazione di Austria e Germania, della loro lingua e della loro cultura. Il ''mito tedesco'' cominciò così a insinuarsi nella Repubblica Socialista di Serbia per mezzo dei gastarbeiter serbi che vivevano e lavoravano in paesi di lingua tedesca. Dopo la morte del maresciallo la censura divenne più permissiva per quanto concerne la cultura tedesca. Studiare la lingua tedesca non era più considerato ''fuori luogo'' e autori come Goethe e Mann ricomparvero nelle librerie serbe. Il prestigio del mondo tedesco in seguito continuò a crescere e annullò gli effetti della propaganda ostile di Tito. Un numero sempre crescente di serbi si recava in Germania o in Austria ormai non solo più per lavorare, ma anche per completare la propria istruzione e conseguire titoli di studio più prestigiosi. La tremenda guerra civile che devastò e fece terminare la Jugoslavia mostrò quanto il ''mito tedesco'' fosse forte presso la gente in Serbia. La maggior parte degli emigrati serbi, in fuga dalla povertà, decise di tentare la fortuna in Austria in Germania. Nella sola Vienna vivono più di 200mila serbi mentre in Germania la comunità serba più consistente si trova a Francoforte. Perfino il regime di Milošević dovette constatare che le vecchie frasi fatte sul nazismo e i vecchi preconcetti ormai non sortivano più alcun effetto presso la popolazione, la quale considerava il mondo tedesco come un esempio da imitare. Anche i governi successivi, dopo la caduta del regime Milošević, hanno avuto un'occhio di riguardo per quanto concerne i rapporti con Berlino e Vienna. Le relazioni diplomatiche sono aumentate notevolmente nell'anno 2006 quando la Serbia, in seguito allo scioglimento della federazione serbo-montengrina, ridivenne stato sovrano a tutti gli effetti. La Germania fu uno dei primi paesi a riconoscere la Serbia come repubblica indipendente. Oltre a ciò, subito dopo essere ritornata alla sua condizione di stato sovrano, la Serbia completò il processo che permise il pieno gemellaggio della sua capitale, Belgrado, con Vienna e intensificò in tal modo ancora di più i rapporti con la repubblica austriaca. Neppure la spinosa questione del Kosovo è riuscita a intaccare i rapporti tra Austria, Germania e Serbia sebbene vi siano diversi punti di vista sulla questione. Tuttavia, per quanto concerne la normalizzazione dei rapporti tra Serbia e la sua provincia meridionale, si è scelto di adottare il sistema che venne impiegato dalle due Germanie nell'immediato dopoguerra e cioè il ripristino dei servizi minimi di comunicazione, di scambio merci e contatto politico evitando però il riconoscimento reciproco. Tale sistema sembra funzionare, almeno per il momento, tra Belgrado e Priština. Il mondo tedesco ha influito notevolmente su quello serbo anche dal punto di vista linguistico. Molte sono infatti le parole presenti nell'odierno serbo standard che però hanno origine tedesca e coinvolgono diversi settori dalla cucina all'abbigliamento. Questo
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influsso non è stato sempre costante, ma considero di particolare rilevanza il fatto che, nonostante molte avversità, la cultura tedesca sia riuscita a sopravvivere nell'odierna Repubblica di Serbia e che non sia ormai circoscritta solo alla Serbia Asburgica, ma che si sia diffusa in tutto il paese. Se escludiamo l'era hitleriana, la quale ha recato danno a tutta l'Europa e non solo alla Serbia, il rapporto con il mondo tedesco ha portato alla Serbia notevoli vantaggi a tutti i livelli e non solo a quello prettamente economico. Ovviamente vi sono punti di vista diversi su vari argomenti ( come ad esempio il Kosovo, che la Germania riconosce e la Serbia no ), ma è positivo e indice di maturità il fatto che i due paesi, nonostante le opinioni contrastanti non abbiano smesso di dialogare e abbiano mantenuto un atteggiamento pratico e questo discorso, concedetemelo, vale in particolar modo per la giovane Serbia. Sono convinto, per concludere, che si possa fare ancora molto a livello di relazioni diplomatiche, politiche, culturali e economiche, purchè naturalmente il dialogo continui. L'elevato numero di cittadini serbi che vive e lavora in Austria e in Germania e i superstiti delle comunità tedesche che vivono in Vojvodina, a nord della Serbia, rendono di fondamentale importanza il dialogo tra i paesi per il bene comune.










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10 Zusammenfassung
Der Einfluss der deutschsprachigen Kulturen auf die Kultur und Sprache in Serbien
Das Ziel dieser Arbeit ist es, die tiefe Verbindung zwischen der serbischen und den deutschsprachigen Kulturen zu illustrieren. Dabei wird die Zeitspanne von 1878, dem Jahr, in dem Serbien seine Unabhängigkeit auch dank der indirekten Hilfe Wiens erlangte, bis zum heutigen Tag untersucht. Sicher gibt es einige Hinweise darauf, dass die Beziehung der Serben zu der deutschsprachigen Welt weit älter sind; dennoch wird an dieser Stelle das Jahr 1878 als Ausgangspunkt gewählt, da sich in jenem Jahr die Beziehungen zwischen dem serbischen Königreich und den deutschsprachigen Nationen intensivierten. Die Serben konnten mit der Unterstützung ihrer in Österreich lebenden Landsleute rechnen, die in der Vojvodina, auch Habsburger Serbien genannt, lebten; diese haben es auch geschafft, die Eröffnung von Schulen und kulturellen Zentren sowohl in Serbien, in der Vojvodina als auch in Wien zu erreichen. Die Wiener Regierung erkannte auch die Autokephale Kirche von Serbien an, und die Serben in der Vojvodina hatten eine relativ große Religionsfreiheit im Gegensatz zu den osmanischen Serben, die eine Gebühr zahlen mussten, um ihren Glauben ausüben zu dürfen. Die Hauptstadt von Serbien, Belgrad, war seit Jahrzehnten Teil des Habsburger Reiches. Dann wurde es wieder von den Türken eingenommen.
Es wird zudem auf frühere Zeiten eingegangen, und zwar vor allem in Bezug auf die Entstehung der serbischen Sprache. Hier ist Vuk Stefanović Karadžić zu nennen. Er war ein serbischer Philologe, der wichtigste Sprachreformer der serbischen Schriftsprache, Ethnologe, Dichter, Übersetzer und auch Diplomat. Nachdem Karadžić sich an dem Ersten Serbischen Aufstand gegen das Osmanische Reich 1804 beteiligt hatte, begab er sich nach dessen Niederschlagung nach Sremski Karlovci in Österreich, jetzt Serbien, und besuchte die dortige Schule, wo er Latein und Deutsch lernte. Karadžić sammelte serbische Volksmärchen und -lieder und machte das zur damaligen Zeit in Westeuropa weitgehend unbekannte serbische Volk in Deutschland und der Welt bekannt. Sein wichtigstes Werk ist seine gemäß seinen Sprach- und Schriftreformen angefertigte Übersetzung des Neuen Testaments in die serbische Volkssprache, die bis heute in der serbisch – orthodoxen Kirche verwendet wird. Er war mit vielen deutschen Geistesgrößen befreundet und bekannt – so etwa mit Johann Wolfgang von Goethe, vom dem es ein Brieffragment vom 20. Dezember 1823 an Karadžić gibt mit dem Text
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... haben mir durch die Übersendung einer wörtlichen Übersetzung vorzüglich schöner serbischer Lieder sehr viel Freude gegeben ... , mit Jacob Grimm, Leopold Ranke und Johann Gottfried Herder. Von den Akademien der Wissenschaften zu Wien und Berlin wurde er zum Ehrenmitglied ernannt. Karadžić war mit der Österreicherin Anna, geb. Kraus, verheiratet, mit der er 13 Kinder hatte. Seine Tochter Wilhelmine (1828-1894) war seine enge Mitarbeiterin und gab 1854 die deutsche Übersetzung der Sammlung serbischer Volksmärchen heraus. Sie wurde später eine gefragte Malerin. Die Forschungen von Vuk Karadžić waren sehr wichtig für Serbien. Ein Vorbild für seine Geschichtsschreibung war der deutsche Historiker Leopold von Ranke. Dieser (Wiehe, 21. Dezember 1795 - Berlin, 23. Mai 1886) war der größte deutsche Historiker des 19. Jahrhunderts, der Begründer einer häufig in der offiziellen Geschichte bis in die sechziger Jahre des 20. Jahrhunderts angewendeten Methode. Vuk Karadžić verstarb 1864 in Wien und wurde auf dem St. Marxer Friedhof beigesetzt. 1897 wurden seine sterblichen Überreste nach Belgrad überführt und dort in der historischen Kathedrale in der Innenstadt gegenüber der Grabstätte seines geliebten Lehrers, des serbischen Aufklärers Dositej Obradović, beigesetzt. Darüber hinaus wird in dieser Arbeit noch auf einen weiteren, in der Schweiz berühmt gewordenen Deutschen eingegangen, der sich mit Serbien, seiner Kultur und dessen geschichtlichen Ereignissen zu Beginn des 20. Jahrhunderts befasst hat: Dr. Archibald Reiss, dem besonders viel Aufmerksamkeit gewidmet wurde. Archibald Rudolph Reiss ( 8. Juli 1875 in Hechtsberg, Hausach, Deutschland - 7. August 1929 in Belgrad, Serbien) war Forensik-Pionier, Publizist, Chemiker und Professor an der Universität Lausanne. Er wuchs in einer Winzerfamilie auf, war das achte von zehn Kindern von dem Großweinbergbesitzer Ferdinand Reiss und dessen Frau Pauline Sabine Anna Gabriele Seutter von Lötzen. Nach Beendigung des Gymnasiums in Deutschland zog er 1893 zum Studium in die Schweiz. Mit 22 Jahren promovierte er zum Doktor der Chemie und war zudem Fotografie-Experte. 1906 wurde er Kriminologie-Professor an der Universität Lausanne. Er gründete das Institut de police scientifique der Universität Lausanne. Auf Einladung der serbischen Regierung untersuchte und dokumentierte er 1915 österreichisch-ungarische Kriegsverbrechen während des Erstes Weltkriegs in Serbien und publizierte die Berichte in europäischen Zeitungen. Von besonderer Bedeutung war dabei das Auffinden von Propagandapostkarten der österreichisch-ungarischen Wehrmacht, auf denen auch Hinrichtungen von serbischen Zivilisten zu sehen sind. Als Serbien 1915 überrannt wurde, trat er der serbischen Armee bei, begleitete sie während ihres Rückzuges durch Albanien.
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Er wurde als großer Freund Serbiens und des serbischen Volkes bekannt und wohnte fortan in Serbien. Als Mitglied der serbischen Delegation nahm er an der Pariser Friedenkonferenz 1919 teil. Nach dem Krieg versuchte er, die serbische Polizei zu modernisieren. Er schien dabei aber zusehends desillusioniert und zog sich aus dem öffentlichen Leben zurück, blieb aber bis zu seinem Tod in Bačko Dobro Polje in der Vojvodina wohnhaft. Als Vermächtnis an das serbische Volk hinterließ er ein am 1. Juni 1928 fertiggestelltes Manuskript " Ecoutez, Serbes! '' mit warnendem Charakter, das 2004 in großer Stückzahl gedruckt und gratis verteilt wurde. Er war auch für die nationale Politik verantwortlich, half bei der Organisation und der Verwaltung der neuen Territorien, die Serbien nach dem Krieg erworben hatte. Er organisierte die Polizei neu, wobei er sich an dem Vorbild im kaiserlichen Deutschland vor Ausbruch des Krieges orientierte. Dank ihm wurde auch die serbische forensische Polizei gegründet. Doch mit der Zeit musste er auch unangenehme Erfahrungen mit anderen Beamten im Ministerium machen, und es kam zu Konflikten. Als er im Jahre 1929 starb, wurde er mit allen Ehren in Belgrad begraben und ist sicherlich einer der von den Serben meistgeliebten Vertreter des deutschen Kulturkreises. Der Eindruck, den Dr. Reiss in Serbien hinterlassen hat, kann bereits heute als unauslöschlich betrachtet werden. So gibt es z.B. heutzutage in Serbien sogar eine Organisation, die seinen Namen trägt, und die dafür verantwortlich ist, die Erinnerung an ihn wach zu halten.
Weiterhin wird auf die besondere Situation von der Vojvodina eingegangen, die bis 1918 unter der direkten Kontrolle der Behörden der österreichisch-ungarischen Monarchie stand und wo auch heute noch eine kleine Gruppe von Deutschsprachigen lebt, die auch als "Donauschwaben'' bekannt sind. Die Vojvodina ist sicherlich das Gebiet der Republik Serbien, wo die deutsche Kultur und die deutsche Architektur ein deutliches Zeichen hinterlassen haben. Hier ist auch der Punkt, an dem sich die serbische und deutsche Kultur am nächsten gekommen sind. Es wurden verschiedene Dinge in dieser Region analysiert, und zwar der freie Status vieler Städte, die Architektur, die Arbeitsweise und auch das Schulsystem, die sich von anderen Systemen im übrigen Serbien unterscheiden. Zudem wurde auch untersucht, in wieweit die deutsche Kultur noch heute das Leben und die Kultur in der Vojvodina und den benachbarten Provinzen prägt und beeinflusst.
Die Beeinflussung der serbischen Kultur vonseiten der Deutschen besteht auch während der schrecklichen Jahre des Zweiten Weltkrieges, wobei paradoxerweise das Hitler-Deutschland einen überaus innovativen
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Einfluss auf Serbien ausübt. Nach der Invasion haben die Truppen des Dritten Reiches Serbien reorganisiert, es in einen Satellitenstaat verwandelt, wobei im Grunde genommen das Serbien entstand, das noch heute mehr oder weniger so besteht. Der Nationalsozialismus in Serbien blühte nicht nur wegen der Nazi-Truppen, sondern auch wegen zwielichtiger Gestalten wie General Nedić und anderen rücksichtslosen Menschen wie Ljotić, die Serbien als treuen Vasall von Deutschland wollten. Serbien hing also, ebenso wie viele andere Länder, sehr stark vom nationalsozialistischen Deutschland ab, und zwar derart, dass die deutsche Sprache sogar zusammen mit dem Serbischen zur offiziellen Sprach avancierte. Nedić war davon überzeugt, dass es Serbien zu Gute käme, wenn die Nazis den guten Willen der Serben sehen würden.
Zwischen November 1944 und Mai 1945 besiegten Titos Truppen die Nazis und Serbien war wieder frei. Aber nicht lange, denn bald sollten die dunklen Jahre der Sozialistischen Föderativen Republik Jugoslawien beginnen. In dieser Zeit wurden die deutsche Kultur und Sprache in Serbien diskriminiert und wären fast verschwunden. Das diktatorische Regime des sozialistischen Marschalls Tito diskriminiert alles, was mit der deutschen Welt zu tun hatte und rührte den Zorn und Hass auf Deutschland und Österreich in einem verzweifelten Versuch, Serben, Kroaten und Slowenen für alle Zeiten wieder zu vereinen. Aber auch das neue Regime konnte nicht die Unterschiede zwischen Serben, Kroaten und Slowenen aufheben. Die deutschen Gemeinden waren die ersten, die feststellen mussten, dass das neue Jugoslawien alles andere als tolerant war und nicht auf dem Prinzip von Gleichheit basierte. Allen Deutschen, die seit Generationen in der Vojvodina gelebt hatten, wurde ausdrücklich befohlen, ihre Heimat zu verlassen. Doch die deutsche Kultur hat die dunklen Jahre des Sozialismus überlebt und nach dem Zusammenbruch des Marionetten-Staates Jugoslawien wurde sie sogar zu einem Faktor, der Serben, Kroaten und Slowenen voneinander unterschied.
Nach dem Tod von Tito wurde die Zensur der deutschen Kultur gegenüber wieder aufgehoben. Die deutsche Sprache zu erlernen, wurde nicht mehr als verwerflich angesehen, und Autoren wie Goethe und Mann erschienen wieder in den serbischen Bibliotheken. Der schreckliche Krieg in Jugoslawien hat aufgezeigt, wie stark der deutsche Mythos in Serbien ist. Die meisten der serbischen Emigranten beschlossen, ihr Glück in Österreich oder Deutschland zu suchen. Auch während der dunklen Ära Milošević' blieb die deutsche Kultur ein Mythos. Nach dem Sturz von Milosevic wurde Serbien wieder demokratisch und die Beziehungen zu den
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westlichen Ländern wurden wieder aufgenommen. Auf den Rat von Berlin hin beschloss die neue politische Klasse den Namen Jugoslawien abzuändern. Im Jahr 2003 wurde in Belgrad ein Goethe-Institut eröffnet und es gab deutlich mehr Stipendien, um nach Deutschland fahren zu können. Auch kam es im Jahr 2006 zu regen diplomatischen Beziehungen, als Serbien, nach Auflösung des Verbandes von Serbien-Montenegro, in jeder Hinsicht wieder ein souveräner Staat wurde. Deutschland war eines der ersten Länder, die Serbien als eine unabhängige Republik anerkannte. Heute ist die deutsche Kultur vollständig in der Republik Serbien rehabilitiert, sie ist eine der meist untersuchten fremden Kulturen. Die deutsche Sprache ist in Serbien auch darum sehr beliebt, weil viele Serben, um den Verheerungen der jugoslawischen Kriege zu entgehen, nach Deutschland und Österreich flüchteten. Der Einfluss der deutschen Kultur hat sowohl in den serbischen Ländern als auch in der serbischen Sprache Spuren hinterlassen. Viele deutsche Wörter sind in die serbische Sprache eingegangen und sind so tief verwurzelt, dass manchmal sogar die Serben selbst nicht wissen, dass es sich um deutsche und nicht um serbische Wörter handelt. Es lassen sich auch viele deutsche Sprichwörter und Redensarten in der serbischen Sprache finden. Viele dieser Ausdrücke sind Vuk Karadžić zu verdanken. Darüber hinaus kam es zwischen Belgrad und Wien zu einem ständig verbesserten kulturellen Austausch; viele Städte wurden zu Partnerstädten. Deutschland ist nicht nur der erste Wirtschaftspartner Serbiens, es ist auch die wichtigste Stütze Belgrads im Hinblick auf die Integration in Europa. Dank der deutschen und österreichischen Lobby beim Europäischen Parlament, hat es Serbien geschafft, im Jahr 2009 eine Visa-Liberalisierung zu erreichen. Auch das heikle Thema des Kosovo hat nicht dazu geführt, dass die Beziehungen zwischen Österreich, Deutschland und Serbien untergraben wurden, obwohl es unterschiedliche Sichtweisen zu diesem Thema gibt. Das deutsche Modell hat sich auch im Falle des Kosovo bewährt. Im Hinblick auf die Normalisierung der Beziehungen zwischen Serbien und seiner südlichen Provinz wurde beschlossen, das System von den beiden deutschen Staaten nach dem Krieg anzuwenden: Grundlegende Dienstleistungen, die Kommunikation, der Austausch von Waren und politische Kontakte wurden wieder hergestellt, aber ohne gegenseitige Anerkennung. Im Jahr 2012 wurde Serbien offizieller Kandidat, um der Europäischen Union beitreten zu können. Der Dialog zwischen den drei Ländern ist wichtig für die serbischen Bürger, die in Österreich und Deutschland leben und arbeiten, ebenso wie auch für die Nachkommen der deutschen Gemeinden in der Vojvodina im Norden Serbiens.
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Immagini
Immagine 1 : tratta dal sito: http://it.wikipedia.org/wiki/File:VukKaradzic.jpg
Immagine 2 : tratta dal sito: http://sr.wikipedia.org/wiki/Датотека:Srpski_rjecnik_s.jpg
Immagine 3 : tratta dal sito: http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Archibald_Reiss.gif
Immagine 4 : tratta dal sito: http://sr.wikipedia.org/wiki/Датотека:Ilija_Paraklis_Kajmakčalan_02.JPG
Immagine 5 : scattata personalmente dall'autore della tesi a Belgrado ( SRB ), in data 15.10.2011.
Immagine 6 : scattata personalmente dall'autore della tesi a Belgrado ( SRB ), in data 20.08.2010.

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12 Ringraziamenti
Ringrazio prima di tutto i miei genitori, Marić Vlada e Marić Ljiljana, i quali mi hanno sempre sostenuto, sia dal punto di vista finanziario sia da quello emotivo, in questi tre anni offrendomi anche un valido appoggio quando alcuni esami andavano male. Anche mia sorella, Marić Andrijana, merita di essere ringraziata e non poco perchè, sebbene a modo suo, mi ha appoggiato, specialmente durante il primo anno di università. La mia gratitudine va anche a Bortot Veronica, la quale, per incentivarmi a compiere l'ultimo sforzo e laurearmi mi ha fatto il regalo di laurea quasi 9 mesi prima del previsto. Devo ringraziare anche mia nonna, Marić Milojka, e mia zia, Bojičić Nada, le quali, ogni volta che dovevo sostenere l'esame di russo andavano in chiesa a pregare. Ringrazio inoltre mio cugino Veljko Eraković, mia cugina Ivana Eraković e i miei zii Milenko e Milanka Eraković. Mio cugino Veljko merita di essere ringraziato in quanto nel 2010, dopo una estenuante passeggiata in giro per Belgrado con oltre 40° , è riuscito a condurmi fino alla sede del Goethe – Institut. Mia zia Milanka e mia cugina Ivana vanno ringraziate in quanto, sempre nel 2010 e in una giornata d'agosto, mi hanno portato a Novi Sad, mostrandomi la città e le sue istituzioni culturali e dandomi i punti riferimento per la mia prossima visita. A mio zio Milenko va un grazie particolare in quanto è riuscito, dopo un'intera notte passata a parlare, a illustrarmi la vita nella Repubblica Socialista di Serbia. Porgo un sentito ringraziamento anche ad Alice Micolino, la quale ha reso piacevoli i miei giorni trascorsi alla casa dello studente di Udine e posso dire solo che non dimenticherò mai i nostri tè e caffè serali e le nostre conversazioni nel cuore della notte. Ovviamente sentiti ringraziamenti vanno anche alla mia relatrice Sonja Kuri, la quale, oltre a prendersi la briga di seguire questo lavoro, è stata anche mia insegnante di tedesco per tre anni e grazie a lei la mia capacità nel scrivere testi tecnico-scientifici, si è perfezionata. Ringrazio vivamente anche la mia lettrice, Renate Schuler, la quale ha dato il suo prezioso aiuto per la scrittura della Zusammenfassung. E infine un sincero ringraziamento a tutti quelli che hanno letto questo lavoro fino alla fine.
Marko Marić


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DICHIARAZIONE
Il sottoscritto Marko Marić, matricola n. 101844, dichiara che:
l'intero testo della tesi di laurea è stato prodotto dal sottoscritto;
tutte le fonti cartacee ed elettroniche consultate per la realizzazione della tesi di laurea sono state sempre segnalate dal sottoscritto all'interno dell'elaborato stesso sia nel caso di citazioni testuali dirette ( più o meno lunghe, nella lingua originale o in traduzione ), che sono state tutte riportate fra virgolette, sia nel caso di citazioni indirette.

Udine, …………………………..
In fede,
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