L\'intervista: Il Professor Carmelo Ferlito

June 3, 2017 | Autor: Carmelo Ferlito | Categoria: Immigration, Capital theory
Share Embed


Descrição do Produto

Per io dico d el la D es tra S o c ia l e Vero n es e Anno XI - Numero 44 - Maggio 2016 - Editore e Proprietario: Massimo Mariotti - Direttore Responsabile: Marco Ballini Registrazione: Tribunale di Verona N. 1671 del 9/11/2004

LAMENTARSI NON SERVE A NULLA Ricordate ? Le primarie dovevano essere il sistema che permette di individuare candidati a Sindaco graditi agli elettori, ma Berlusconi non le ha mai volute ed anche per questo milioni di elettori di centro destra in questi anni, sono rimasti a casa sconfortati, resisi conto di essere considerati meno di una “olgiatina” che passeggia dalle parti di Arcore. Senza regole condivise alcuni si sono inventate le consultazioni “fai da te” generando candidati sconfitti che corrono comunque per proprio conto. Risultato crisi costante nell’area, candidati di scarsa capacità e poca credibilità, lenta agonia della militanza ! In vista del rinnovo di molti importanti Comuni, il 5 giugno, sta accadendo qualcosa che va oltre l’elezione di un nuovo Sindaco perché è in atto una manovra nazionale per impedire la nascita di una Destra moderna, non al guinzaglio di interessi stranieri. L’ex Cavaliere ci ha provato a Roma, per esempio, con un inadeguato moderato filo rom sperando di contrastare la nascita di un fronte nazionale che possa raccogliere l’elettorato di Destra mandando definitivamente in pensione, senza “vitalizio”, personaggi da tempo squalificati e senza seguito. Ma oggi l’intera Europa sta andando verso una resa dei conti che potrebbe sancirne

la definitiva chiusura, dal Referendum in Gran Bretagna, alla resistenza dei settori economici contro il trattato Transatlantico voluto dagli USA,

all’archiviazione di Schengen. Del resto anche l’Italia è sotto attacco, almeno dal 1992, quando la speculazione della borsa organizzata da un noto magnate americano ci costrinse ad una svalutazione del 30 % con una perdita di circa 50 miliardi delle nostre vecchie Lire. Si tratta dello stesso “filantropo” sostenitore delle “rivoluzioni colorate” tipo Ucraina, create per avere il “casus belli” nei confronti della nuova Russia

www.massimomariotti.it

di Putin, recentemente divulgatore dei “ panama papers” che aveva come unico obiettivo il solito Presidente Russo. Il nuovo allarme per il cerchio magico internazionalista, arriva dall’ennesimo risultato elettorale, questa volta dall’Austria, che vede il candidato Nazionalista superare gli storici partiti tradizionali, determinando la caduta del governo di coalizione tra democristiani e socialisti. A breve, insieme al citato referendum inglese, l’appuntamento elettorale più importante per l’Europa saranno le elezioni presidenziali francesi nel 2017. Basterebbe considerare i risultati di questi ultimi anni, per rendersi conto che ogni tornata elettorale è stata una sonora sconfitta per questa cosiddetta Europa, di burocrati e banchieri. Mentre in Italia l’attenzione dei media si concentrava prima sul referendum delle trivelle, ora su quello delle riforme, dal Belgio alla Spagna, dall’Ungheria alla Slovacchia, dalla Polonia alla Serbia, i popoli Europei riscoprono le loro radici Cristiane tornando ad essere orgogliosi della propria appartenenza e scendono in piazza contro i diktat del cerchio magico dell’alta finanza e contro l’invasione di migranti, ribellandosi in Grecia come in Francia opponendosi con forza alla riforma del lavoro, che invece gli italioti non hanno saputo contrastare !

2

VIVERE ARDENDO E NON BRUCIARSI MAI

Per Léon Kochnitzky, “uomo di razze diversissime e di svariate colture” (così lo denominava l’“amico carissimo” Alberto Luchini, suo traduttore, sodàle di Julius Evola e, infine, capo dell’ ‘ufficio razza’ del ministero della cultura popolare), i legionari fiumani sono i danzatori del Bal des Ardents: sacerdoti e sacristi, officianti gravi, taluni, scalmanati lascivi, altri, della sarabanda scatenata in Fiume, la “città di vita “. Branchi di Centauri erano i legionari, “d’amor caldi e inebriati, accesi di vino e di lussuria”, ma pure esseri incendiati da quel fuoco sovrumano che è, negli uomini, la volontà: di resistere alla mansuetudine delle mandrie che ruminavano il sopruso (internazionale, della Società delle Nazioni, e nazionale, del governo di Nitti). E’ proprio questo che dobbiamo salvare dell’impresa fiumana, quello specifico typus antropologico. I soldati di D’Annunzio sono l’emblema di quello che Gabriele Adinolfi definisce lo spirito futurardita che sta all’origine del Fascismo ma che, purtroppo, è stato troppo spesso dimenticato nel dopoguerra. Questi ragazzi erano guasconi, irriverenti, solari ma spinti da una fede illimitata per la Patria. Il motivo per cui si opponevano al movimento socialista era l’internazionalismo dello stesso, condividendone comunque l’anelito ad una maggiore giustizia sociale. Dobbiamo uscire dall’equivoco sulla natura destrorsa del Fascismo. Il movimento mussoliniano si è collocato a destra ma non apparteneva a quella categoria politica. La sua posizione politica nasceva dall’opposizione dura e radicale al pericolo dell’instaurazione del bolscevismo anche in Italia, sulla falsariga di quanto avvenuto in Russia. Ma, nonostante questo, il Fascismo si è sempre caparbiamente distinto dalla destra conservatrice, moralista e piccolo-borghese. Ecco perché oggi dobbiamo omaggiare gli uscocchi fiumani. Sono stati i primi, nella storia nazionale, a rappresentare quel filone vitalista e sovrumanista che ha poi dato vita alle Camicie Nere. Ricordiamoci sempre di quanto detto da Mussolini pochi prima di essere assassinato: “Lo spauracchio vero, il pericolo autentico, la minaccia contro cui lottiamo senza sosta, viene da destra. A noi non interessa quindi nulla di avere alleata, contro la minaccia del pericolo rosso, la borghesia capitalista: anche nella migliore delle ipotesi non sarebbe che un’alleata infida, che tenterebbe di farci servire i suoi scopi, come ha già fatto più di una volta con un certo successo”. Più chiaro di così… Alessandro Cavallini

9 MAGGIO 1978, ROMA VIA CAETANI

A quasi 40 anni dall’omicidio di Aldo Moro, la relativa documentazione è ancora coperta dal segreto di Stato ma i documenti ufficiali ormai desecretati negli USA, disegnano un’altra storia che sbugiarda le menzogne dei governi italiani. Steve Pieczenik, assistente del sottosegretario Usa nel 1978 fu l’esperto del Dipartimento di Stato U.S.A. che indirizzò l’azione dello Stato italiano con le Br e visse gomito a gomito con Francesco Cossiga la parte cruciale dei 55 giorni di prigionia. Fu proprio l’inviato della Casa Bianca, che rivendicherà la scelta di aver finto di intavolare una trattativa con le Br quando invece «era stato deciso che la vita dello statista era il prezzo da pagare».. L’esperto USA, spiegò in seguito, come la trattativa venne condotta con il solo scopo di far sì che le Br non avessero altra via d’uscita che uccidere Moro. Ma perché ? Perché avrebbe risolto la gran parte dei problemi che rischiavano di far emancipare l’Italia dagli Stati Uniti d’America. Pieczenik spiegò che allora in Italia c’era una situazione di disordine pubblico: manifestazioni e morti in continuazione, se i comunisti fossero arrivati al potere e la Democrazia Cristiana avesse perso il Governo, si sarebbe verificato un effetto valanga e gli americani non avrebbero più controllato la situazione. Pieczenik raggiunse tre obiettivi: eliminare Moro, impadronirsi dei nastri dell’interrogatorio con il vero memoriale dello statista italiano, costringere le Br al silenzio. Questo il grande dramma di questa storia ma con ancora un bel pò di carte inaccessibili nei palazzi del sottomesso Stato Italiano. Claudio Baglieri www.secoloditalia.it

3

RIABILITATO DRAZA MIHAILOVIC SERBIA

Il 14 maggio 2015 l’Alta Corte di Belgrado ha riabilitato il leader dei Cetnici Generale Draža” Mihailović che alla fine della Seconda guerra mondiale era stato condannato alla pena di morte. Il movimento Cetnico nacque a Ravna Gora, nella Serbia centrale, il 13 maggio del1941, dopo l’occupazione e lo smembramento del Regno di Jugoslavia. Il tribunale belgradese ha annullato la condanna di tradimento per aver collaborato con l Asse durante la guerra, ben 70 anni dopo essere stato colpito a morte dai comunisti. Il verdetto del luglio 1946 è ora “nullo” perché l’imputato non ebbe un processo corretto, bensì la sentenza si basò su motivi politici e ideologici e al Generale Mihailović non vennero garantiti il diritto alla difesa, ad un avvocato e all’appello contro la sentenza. L’allora Colonello Mihailovic, che era un veterano sia delle due guerre balcaniche che della Prima Guerra Mondiale fu il primo a continuare la lotta contro l’invasione italo tedesca nel 1941, radunando ufficiali e sottoufficiali dell’ormai dissolto esercito jugoslavo e formando l’Esercito Reale in Patria, giurando fedeltà a Re Pietro II Karađorđević, in esilio a Londra, subito promosso

al grado di Generale e Ministro della Guerra da parte del Governo Reale. Tuttavia alla fine del 1942, convinto che il comunismo fosse una reale minaccia a lungo termine per la Jugoslavia iniziò a combattere contro i partigiani di Josip Broz Tito. Quando l’esercito di Tito prese il potere in Jugoslavia, arrestò Mihailovic e lo mise sotto processo a Belgrado, accusandolo di collaborazionismo con le potenze dell’Asse e di aver negoziato un cessate il fuoco tra le sue forze e quelle italo tedesche. Una sentenza di valore altamente simbolico ci dice che la storia purtroppo non può essere riscritta ma abbiamo il dovere di recuperare le verità nascoste per troppo tempo. Per decenni, il destino di Mihajlovic ha alimentato la divisione in Serbia, dove molti lo vedono come un eroe, assassinato per motivi politici. Oggi grazie all’azione intrapresa da Vojislav Mihailović, nipote di Draža, che chiese la riabilitazione del proprio avo nel 2006, la Serbia www.alleanzanazionale.it

riconosce un dignitoso riposo al Generale Patriota, come anche gli archivi storici di tutto il mondo. La sua iniziativa aveva trovato l’appoggio soprattutto del Partito Radicale Serbo di Vojislav Šešelj, che era anche tra i presenti all’interno del tribunale al momento della sentenza, insieme al pretendente al trono Aleksandar Karađorđević .

Franco Carlotto, 1 Consigliere 3’ Circoscrizione

4

BRACCIA TESE PER BORSANI, RAMELLI E PEDENOVI

Anche quest’anno una delegazione della Destra Sociale Veronese ha partecipato alla cerimonia in Onore di Sergio Ramelli, di Enrico Pedenovi, trucidato dai terroristi comunisti di Prima linea mentre usciva di casa per andare a celebrare quel primo triste anniversario, dell’eroe e cieco di guerra Carlo Borsani, assassinato quando il 25 aprile era già passato da giorni e le armi avrebbero dovuto tacere. Sergio era solo un ragazzo, sprangato a morte con le chiavi inglesi dal servizio d’ordine di Avanguardia Operaia della facoltà milanese di Medicina, sotto gli occhi della mamma Anita, spirato dopo settimane di atroce

agonia, Pedenovi era un mite avvocato Consigliere Provinciale del Msi. In quegli anni per Ramelli fu perfino difficile officiare il funerale, perché nessun prete alla faccia della carità cristiana, aveva il coraggio di celebrarlo. Quando alla fine si trovò un religioso disposto a rischiare, il feretro arrivò di nascosto alla chiesa, perché le autorità locali avevano vietato il corteo funebre e gli estremisti di sinistra avevano minacciato di usare le chiavi inglesi sulla testa dei partecipanti. Nel frattempo, dalle finestre delle case vicine, alcuni giovani con i volti coperti da fazzoletti rossi fotografarono i partecipanti per schedarli. Mol-

www.alleanzanazionale.it

te delle foto scattate quel giorno sarebbero poi state ritrovate nel covo delle Brigate Rosse in viale Bligny. Erano i temi durante i quali si urlava «uccidere un fascista non è reato» e perfino dai banchi del consiglio comunale di Milano si levò un applauso quando in aula arrivò la notizia che Ramelli era spirato dopo quella terribile agonia. UN atteggiamento difficile da comprendere oggi, ma negli anni 70, tipico di una sinistra che è sempre stata partigiana dell’interesse di partito, che è sempre venuto prima di tutto, perfino della pietà umana. Andrea Bernardi

5

L’INTERVISTA: IL PROFESSOR CARMELO FERLITO Carmelo Ferlito, nato nel 1978 a Verona, è professore di Storia del Pensiero Economico e Microeconomia presso l’INTI International College Subang di Subang Jaya, in Malaysia. Inoltre è Senior Fellow presso l’Istituto per la democrazia e gli affari economici (IDEAS), un importante think tank liberale con sede a Kuala Lumpur. Dal 2011 vive in Malaysia, dove ha sempre ricoperto cariche manageriali per multinazionali nel settore agricolo. Nel 2003 ha conseguito il Master in Economia e Commercio presso l’Università di Verona lavorando sulla teoria del ciclo economico di Schumpeter. Nel 2007 ha conseguito un dottorato di ricerca in Storia economica, occupandosi di storia delle istituzioni bancarie, con attenzione particolare ai Monti di Pietà e al credito solidaristico. Diverse sono le sue pubblicazioni anche a livello internazionale; tra le più recenti particolare menzione merita Hermeneutics of Capital: A Post-Austrian Theory for a Kaleidic World, nel quale Ferlito porta alle estreme conseguenze la prospettiva soggettivista di Lachmann sul capitale. Il volume vedrà la luce prima dell’estate per i tipi della Nova Science Publishers di New York. Parliamo di Europa. Immigrazione, tassazione insostenibile e come diceva Papa Ratzinger relativismo: siamo forse all’inizio della fine di una civiltà millenaria ? Nel 2004 mi trovai a pubblicare un breve saggio per la rivista Il Cristallo in cui commentavo le sottolineature dell’allora cardinal Ratzinger a proposito del pensiero di Arnold J. Toynbee. In Civiltà al paragone (1947) Toynbee si dichiarava deluso e contrariato dal successo de Il tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler, libro molto affascinante ma che, nel proporre una visione ciclica dell’alternarsi di civiltà, proponeva una visione meccanicistica dell’evoluzione storica. Secondo Toynbee, tale «visione ciclica del processo storico era così interamente accettata a priori dai più grandi spiriti e intelletti Greci e Indiani [...] che essi la ritenevano senz’altro vera, non pensando che fosse necessario dimostrarla. D’altro campo però, per la nostra mentalità occidentale, la visione ciclica della storia, presa alla lettera, ridurrebbe la storia stessa a “una favola raccontata da un idiota, e che non significa nulla”» . Di fronte alle difficoltà attuali, in cui il relativismo va messo forse al primo posto e di cui il problema migratorio e quello fiscale sono delle aggravanti, l’interpretazione che Toynbee offre risulta utile per superare l’idea di un inevitabile tracollo del mondo occidentale. Toynbee affermava che «dove c’è vita c’è speranza e che, con l’aiuto di Dio, l’uomo è padrone del suo destino perlomeno fino a un certo punto e sotto certi aspetti». Per Toynbee la ‘salvezza’ non può che venire da quella che è sì una costante della storia, ma del tutto imprevedibile, la forza creativa, intesa come capacità di rispondere in modo adeguato alle nuove sfide lanciate dalle mutate condizioni storiche. In quest’ottica, dunque, la nostra civiltà contiene in sé la possibilità di scampare da una morte che sembra segnata. La sfida lanciata dall’Islam rafforza la convinzione di Toynbee secondo cui al di sopra delle sfere economica e politica sarà il piano religioso quello sul quale si giocherà il futuro della civiltà, essendo, a suo dire, la religione la “cosa seria nelle avventure del genere umano”. Credo dunque che la risposta sarà determinata dalla reazione soggettiva di fronte ai drammatici tempi in cui viviamo. Come l’uomo occidentale interpreta i fatti in corso? Se a prevalere sarà la convinzione che la nostra civiltà sia segnata, allora sì, il tramonto occidentale di Spengler completerà il suo corso e con sfumature che possiamo intuire ma non completamente prevedere. Se invece l’uomo occidentale sarà in grado di usare la ‘crisi’ come elemento di sfida per la riscoperta creativa di se stesso, allora credo che si possa ancora sperare in un ruolo chiave del vecchio continente per le dinamiche mondiali. La natura della sfida è di natura soggettiva, di autocoscienza: fatalismo contro riscoperta dell’Io e del suo legame profondo con il tutto. Nel suo ultimo libro, Hermeneutics of Capital, spiega che l’economia è sostanzialmente natura e condotta umana. Si tratta, insomma, di una teoria che vuole riconciliare l’uomo e il capitale. Per molti versi il dibattito economico è ancora prigioniero di categorie ideologiche che hanno segnato il www.alleanzanazionale.it

6

L’INTERVISTA (PARTE SECONDA) passo e che si sono dimostrate inadeguate ad interprentare l’evoluzione storica recente; non ho in mente solo il marxismo e l’approccio dualistico-conflittuale alla realtà, ma anche il neoclassicismo, con la sua visione statico-robotica dell’azione umana. La dimostrazione lampante di tale scenario è data dal successo planetario del libro di Piketty Il capitale nel XXI secolo, considerato fonte di ispirazione anche da Hollande. In verità si tratta di un libro nato vecchio e prigioniero da un lato di una visione aggregativa del capitale (saltando la natura soggettiva ed eterogenea dello stesso) e dall’altro della vecchia conflittualità capitale/lavoro che ritengo debba essere superata. Il mio libro nasce dunque dal desiderio di superare tali anacronismi e di offrire una diversa prospettiva sull’analisi del capitale e sulle sue influenze sull’attività imprenditoriale e sui cicli economici. Nel volume mi rifaccio a quello che può essere definito un asse Menger-Lachmann, cioè il tentativo di restituire al capitale la sua natura soggettiva ed eterogenea. Ciò era stato già intuito da Menger alla fine dell’Ottocento, ma i suoi seguaci all’interno della scuola austriaca di economia si rivelarono incapaci di sviluppare tali intuizioni. In particolare Böhm-Bawerk, cui si deve ciò che è comunemente definito come teoria austriaca del capitale, fece numerosi passi indietro; anche lo stesso Hayek, a causa del suo primario interesse per l’analisi delle fluttuazioni economiche, rimase impantanato in una visione aggregativa del capitale. Fu Ludwig Lachmann a riprendere l’impostazione mengeriana e a criticare severamente Böhm-Bawerk. Peraltro, lo stesso Lachmann, a mio avviso, non fu in grado di arrivare ad una definizione di capitale completamente coerente con le critiche da lui mosse ai suoi predecessori. Io ho tentato di superare questa lacuna, riconducendo la definizione di capitale all’esito di processi ermeneutici, interpretativi, di natura soggettiva. Pertanto, a mio avviso è possibile parlare di capitale solo con riferimento alle scelte operate soggettivamente nel tentativo di combinare diversi elementi al fine di ottenere un risultato definito dalle aspettative, anch’esse soggettive. In tale contesto non ha dunque senso distinguere tra capitale e lavoro, nel senso che è l’azione umana (mentale, programmatica, pratica e finalisticamente intesa) a decidere cosa combinare insieme al fine di ottenere un risultato: può trattarsi di macchine, strumenti, idee, iniziativa, lavoro manuale, lavoro intellettuale, etc... Tutti questi elementi non sono altro che sottoinsiemi del concetto di capitale, ma acquistano la natura di beni di capitale solo perché in un certo istante nel tempo storico le aspettative soggettive li interpretano come utili per il raggiungimento di un fine determinato; peraltro, tale processo ermeneutico può rivelarsi, nell’implementazione pratico-temporale di un piano d’azione, sbagliata: da qui l’emergere dei cosiddetti errori imprenditoriali, che costringono i soggetti a mutare il proprio corso d’azione. www.alleanzanazionale.it

7

IN RICORDO DEI FUCILATI DI FORTE AZZANO

1° maggio 1945 Sandro Bonamici, Raffaello Bellotti, Luigi Di Fusco, Arturo Gabozzi, Giuseppe Gaggia, Ilio Onesti, Giovanni Ostini, Giuseppe Seves. Otto nomi che ai più non dicono nulla, e sui quali, peraltro, si sa e si trova poco o niente a livello informativo e documentale: qualche testimonianza dell’epoca, qualche citazione qua e là su pochissimi testi e in rete. Si sa per certo però che Bonamici era persona onesta, che sempre si era adoperato a favore della popolazione e non si era macchiato di angherie o persecuzioni di sorta; Giuseppe Gaggia sembra fosse stato accusato da qualcuno d’esser spia fascista; Ilio Onesti era invece ufficiale comandante del 91° Corpo Volontari Vigili del Fuoco di Verona… ignoriamo notizie biografiche degli altri. Una lapide sul muro di Forte Azzano ne ricorda la fucilazione ad opera di un plotone d’esecuzione di partigiani il 1° maggio 1945 (c’è chi sostiene che in realtà la fucilazione avvenne il giorno precedente); una controversa pagina di storia locale, inscritta nelle atrocità commesse in Italia dopo il 25 aprile, quando la guerra civile era solo teoricamente terminata. In alcune regioni d’Italia – Emilia su tutte – presero il via invece anni di terrore con decine di migliaia di morti, che alcuni tenaci e coraggiosi storici portarono alla luce (pensiamo ai lavori di ricerca dei fratelli Pisanò, Giorgio e Paolo, di Antonio Serena, di Marco Pirina, di Ernesto Zucconi, di Gianfranco Stella, etc.). Anche nel veronese affiorò un tragico elenco di episodi e di vittime; almeno una cinquantina (secondo i dati raccolti dall’Associazione Caduti e Dispersi della Repubblica Sociale Italiana) gli ammazzati dopo il 1945 nella nostra provincia (agghiacciante la sorte del maggiore della GNR Maggini Augusto, che morì in carcere in seguito alle violenze e alle sevizie patite il 29/08/1948); alcuni passati per le armi, altri sentenziati a morte dalla Corte d’Assise Straordinaria (CAS) che operò fino all’entrata in vigore dell’amnistia voluta dall’allora Ministro della Giustizia Palmiro Togliatti nella primavera del 1947; non pochi dubbi macchiano peraltro la regolarità di quei procedimenti processuali, tra pressioni psicologiche, interferenze esterne e mancanza di serenità nel giudizio. La vicenda di Alessandro Bonamici è emblematica della catena d’odio e rappresaglie che insanguinò l’Italia ben oltre la cessazione delle ostilità. Esponente di spicco del Partito Nazionale Fascista a cui aveva aderito fin dagli inizi, fu Federale di Verona fino al 1943, arrestato dai tedeschi dopo lo sciagurato 8 di settembre 1943, fu deportato inizialmente in Germania rientrando successivamente in Italia; il 25 aprile si trovava all’Ospedale di Quinto di Valpantena, non essendosi mai macchiato di crimini e non essendosi reso protagonista di atti contro i partigiani, in buona fede si consegnò spontaneamente presso il comando partigiano. Nessun processo nei suoi confronti e nei confronti degli altri sette suoi compagni di sventura; non fu mai chiarito chi fu a prendere la decisione di fucilare gli otto prigionieri a Forte Azzano, se i vertici del locale Comitato di Liberazione Nazionale o se si trattò invece di una iniziativa di singoli(1). Ma quale fu la logica, “legittimante” a detta dei partigiani(2), che rese possibile l’assassinio di innocenti ed onesti? Quella dell’oppressione, presunta o reale, subita durante il regime, ergo anche onesti e innocenti potevano esser passati per le armi senza processi e sentenze a guerra finita. E senza scontare il fio… La repubblica “nata dalla resistenza” ? Luca Zampini, Responsabile Prov.le PROGETTO NAZIONALE www.secoloditalia.it

8

IL GESTO ESTREMO DI BOBBY SANDS Il 5 maggio 1981 moriva Bobby Sands nella prigione di Maze, a pochi chilometri da Belfast. Il militante repubblicano e deputato alla Camera dei Comuni di Londra aveva 27 anni un terzo dei quali passati in prigione, e morì a causa dello sciopero della fame che aveva iniziato per protestare contro l’abolizione dello status di “categoria speciale”. Altri nove attivisti dopo di lui morirono per rivendicare uno status di rifugiati politici che il governo britannico di Margareth Thatcher non volle mai riconoscere. Con questo gesto cercarono di portare all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale la cosiddetta dirty war, che il governo britannico conduceva nelle sei contee del nord dell’Irlanda ai danni della comunità cattolica favorevole alla riunificazione dell’Irlanda del Nord, seppur a maggioranza protestante, alla Repubblica irlandese. Bobby Sands non era un terrorista, ma membro di una organizzazione irredentista, l’Ira; non era stato incriminato per nessun attentato, ma condannato a 14 anni di carcere per il possesso di una pistola che non gli era stata trovata addosso. Cosa aveva spinto Sands a militare con l’Ira? Essenzialmente il fatto di avere subìto, anche personalmente, la violenza: dall’incendio dell’abitazione alla perdita del lavoro alla condanna ingiusta a 14 anni di carcere. Bobby Sands iniziò lo sciopero della fame il primo marzo 1981, chiedendo che ai detenuti per il separatismo nordirlandese venisse riconosciuto lo status di prigionieri politici o di guerra e non quello di criminali comuni come invece venivano considerati (gli inglesi non volevano riconoscere la dignità politica della lotta per la Liberazione dell’Irlanda del Nord). Il governo inglese era sordo al grido di libertà dei giovani irlandesi. Pressioni da tutto il mondo arrivarono sul Primo Ministro inglese Thatcher perché ponesse fine a questo massacro. Solo due giorni dopo la proclamazione della fine dello sciopero della fame da parte dei prigionieri, il governo inglese accolse le loro richieste, tra cui il diritto ad ottenere visite da parte dei familiari e il diritto di organizzare corsi di studio. Nelle pagine di Un giorno della mia vita, diario scritto da Bobby Sands in carcere nonostante il peso dell’angoscia e della sofferenza, conclude il suo racconto con un grido di speranza: “Se non sono in grado di uccidere il tuo desiderio di libertà, non potranno spezzarti”. Fulvio Brentarolli, Consigliere 5’ Circoscrizione

LUIGI GUARDIERA: SILENZIO IMBARAZZANTE

Luigi Guardiera, giovane Patriota, di origine italiana, militante del Front National, in Francia, è deceduto dopo diversi giorni passati in ospedale in stato critico, a causa di un brutale pestaggio subito da parte della feccia protetta rossa francese. Aveva solo 23 anni, amava la vita, lo sport, voleva entrare nell’esercito per mettere le sue energie al servizio della Patria, per la quale aveva già dimostrato il suo amore l’anno scorso, quando entrò nel Front National come candidato supplente per le elezioni dipartimentali. Alcune fonti parlano di attacco preventivato da parte della sinistra antifascista francese, altri di un’intimidazione poi degenerata da parte di alcuni immigrati maghrebini, che avrebbero forato le gomme dell’auto del giovane Patriota prima di colpirlo a morte, proprio lì doveva aveva parcheggiato la sua auto. Ora non potrà più essere candidato e mai lo sarà, non sarà neanche soldato. Così hanno deciso i delinquenti che lo hanno aggredito nel parcheggio di una discoteca a Tarbes, nel sud della Francia. Dopo tre giorni in coma Luigi ora fa parte della lista di giovani Europei vittime della violenza comunista. Com’è naturale che sia in un paese come l’Italia, di questa notizia sui media nazionali non v’è traccia alcuna. Indipendentemente dai responsabili di questo vile gesto, una volta ancora dobbiamo rilevare che quando i fatti sono reali e le conseguenze sono drammatiche ma riguardano un Patriota, il silenzio programmato rende anche certa stampa italiana complice di un sistema malato e artefice delle stesse violenze che subiscono Uomini ancora liberi che continueremo a combattere adesso anche in nome suo ! Roberto Perticone, Milano

www.secoloditalia.it

9

QUESTIONE DI GIORNI 5 Maggio 1769: una data importante nella storia

La stele di Ponte Nuovo si trova in Alta Corsica, nella frazione di Castello di Rostino nei pressi del distrutto ponte genovese sul fiume Golo, dove il 5 maggio 1769 le truppe francesi guidate Noël Jourda, Conte di Vaux sconfissero le truppe indipendentiste corse guidate da Pasquale Paoli e da Carlo Maria Buonaparte. Il figlio di Carlo Maria, Napoleone, nacque solo qualche mese dopo, il 15 agosto .

LA RAI E LA CENSURA L’Italia è scesa al 77° posto nella classifica della libertà di informazione nel mondo anche a causa della mancata messa in onda, recentemente, di un documentario sul genocidio armeno la cui emissione sul canale Rai Storia era stata annunciata dalla stessa azienda in un comunicato di lancio.Gli inviti, mail e telefonate, del “Consiglio per la Comunità Armena di Roma” a fornire una giustificazione riguardo la cancellazione del programma sono rimasti disattesi. Dobbiamo presumere che a viale Mazzini siano arrivate pressioni diplomatiche turche per la cancellazione del documentario. Una diversa spiegazione di natura tecnica sarebbe immediatamente pervenuta e sarebbe stata accompagnata dalla segnalazione della nuova programmazione. Ma così non è stato. Dobbiamo pertanto pensare che il servizio televisivo pubblico italiano si piega ai desideri di uno Stato la cui deriva autoritaria è sotto gli occhi di tutti ? Non dobbiamo allora meravigliarci se l’ultima classifica sulla libertà di informazione nel mondo appena pubblicata da “Reporter Senza Frontiere” fa scivolare l’Italia al 77° posto. E le pressioni arrivano proprio dalla Turchia che, insieme all’Azerbaigian, occupa gli ultimi posti di questa lista del disonore. Il “Consiglio per la comunità armena di Roma” è rimasto profondamente sconcertato dalla vicenda ed ha rinnovato alla Rai ed all’organo di Vigilanza la richiesta di chiarimenti oltre che l’invito a fornire al pubblico un’adeguata informazione sull’argomento. Per info www.comunitaarmena.it Alberto Rosselli, Genova

www.alleanzanazionale.it

10

I VENEZIANI NON SI SONO ARRESI 12 maggio 1797 ”El nostro cor sia l’onoratissima to tomba, e el più puro e el più grande to elogio le nostre lagreme ! ” Il 1° maggio 1797 Napoleone dichiarò guerra alla Serenissima Repubblica Veneta che cedette di colpo senza nemmeno un sussulto d’orgoglio. Eppure poteva difendersi: a Venezia c’erano 11.000 Schiavoni dalmati,3.500 soldati veneti, 800 bocche da fuoco, 206 imbarcazioni di guerra. Alle tre pomeridiane del 12 maggio, passato alla storia come “el tremendo zorno del dodexe”, con voto del Maggior Consiglio, senza nem-

meno il numero minimo legale, Venezia si consegnava a Napoleone accettando, su proposta del Doge presentatosi ‘in lacrime e con voce tremula’, lo scioglimento delle istituzioni e la consegna del potere ad una giunta municipale democratica. Di diverso avviso si mostrò il popolo veneziano che nel nome di San Marco dimostrò l’affetto e la fedeltà che li legava alla Repubblica Serenissima: non voleva né francesi, né cambiamento di Governo, stendardi e bandiere di “San Marco in forma de Lion” vennero contemporaneamente alzate nei principali campi della città. Il popolo mostrò una resistenza notevole

www.alleanzanazionale.it

all’avanzata dei giacobini francesi : dal massacro del ponte di Rialto alle Pasque Veronesi, da Salò all’Altopiano dei Sette Comuni, dalla bresciana Valle Sabbia all’Istria. Nella fedelissima Dalmazia per oltre cento giorni ci furono città dove la Serenissima continuò a esistere fino al 23 agosto 1797 quando il Capitano Giuseppe Viscovich ammainò a Perasto l’ultima insegna del “Serenissimo Veneto Gonfalon” ! Gianfranco Sangalli, Perù

Lihat lebih banyak...

Comentários

Copyright © 2017 DADOSPDF Inc.