Matematica al cinema

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MATEMATICA AL CINEMA Claudia Addabbo Dottorato in Storia della Scienza Università di Pisa 15-16 maggio 2012

Ahimè, con quale follia squadro il mio discorso! (E.A. Abbott, Flatlandia. Storia

fantastica

a più

dimensioni)

Che cosa c’entra la matematica con il cinema? E’ la domanda che spontaneamente si porrebbe chiunque leggesse il titolo Matematica al cinema. Negli ultimi settant’anni a questa domanda hanno risposto diversi matematici e registi italiani che hanno pensato di fare della matematica un soggetto cinematografico. I loro film –diversi per genere e argomenti- sono le risposte alle domande Che cosa hanno in comune una scienza che tratta entità numeriche e geometriche con un’arte che osserva e registra? E’ possibile ‘vedere’ -e filmare- i numeri? § I film ‘matematici’

Il poliedrico Leonardo Sinisgalli (1908-1981), che già in gioventù aveva rivelato la sua duplice natura di ingegnere e poeta, palesata nei pensieri e negli apologhi della raccolta Furor mathematicus (1944), fu il primo in Italia a pensare e a realizzare un breve film matematico. Con la collaborazione di Virgilio Sabel per la regia, di Mario Bava per la fotografia, di Goffredo Detrassi per la musica e di Carlo Ponti per la produzione, nel 1948, girò La lezione di geometria, premiato nello stesso anno come miglior cortometraggio italiano alla Mostra del Cinema di Venezia.

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O matematiche severe, io non vi ho dimenticato, da quando le vostre sapienti lezioni, più dolci del miele, filtrarono nel mio cuore e mi rinfrescarono. Fin dalla culla io chiesi di bere alla vostra sorgente, più antica del sole1. L’incipit del filmato coincide con quello del Quaderno di geometria del 1936: il poetamatematico invoca la sua musa ispiratrice, la Matematica, e le rinnova la dichiarazione di fedeltà e devozione fatta quando era ancora in fasce. Si investe, così, dell’ardua missione di presentarla agli altri, a coloro ai quali non si è ancora manifestata. La prima nozione veicolata dal filmato sembra essere di astronomia: nello spazio le stelle e i pianeti percorrono delle ellissi. (e si vede un giardiniere che disegna un’aiuola ellissoidale) Poi, invece, è evidente la virata dell’autore nella direzione ‘algebrica’: In geometria la longitudine di un punto P si chiama x e la latitudine si chiama y. Con x e y si individuano ciascuno degli infiniti punti dell’ellisse. Il vincolo variabile di ogni x e di ogni y dà luogo all’equazione dell’ellisse. Stesso discorso per la retta, per tracciare la quale, tuttavia, non è necessario conoscere l’equazione. Si perviene alla conclusione che ogni linea in ogni suo attimo traduce visivamente su un piano una equazione della x e della y. Dopo un intervallo di sole immagini e musica, ecco apparire l’altra musa di Sinisgalli: la Poesia, che a dispetto delle sue giovanili aspettative e convinzioni, può non essere simmetrica come anche le forme matematiche possono non essere rigide, regolari, compatte, piene. Poesia e geometria. L’uomo le vorrebbe regolari, poiché le forme regolari ci danno il senso della cosa compiuta e sufficiente. Così l’uomo privilegia e inventa forme semplici come quelle della meccanica e della architettura. Ma la natura non agisce nello stesso modo. E qui Sinisgalli si profonde in un discorso sulla matematicità della natura, sottolineando che sebbene essa raramente impieghi queste forme regolari, dato che nella vita non ci sono facce piane, spigoli ritti, tuttavia l’uovo non è casuale come neppure il fagiolo è casuale. La natura non può cambiare ogni giorno la forma di un fagiolo. Il fagiolo è calcolatissimo. E’ calcolato appunto sui principi di una matematica alta, quella che sul piano ricava le equazioni di x e di y di una infinità di curve, nello spazio ricava con le equazioni di x, y e z una infinità di superfici matematiche. Sono superfici del

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Le citazioni sono tratte dal testo trascritto da Michele Emmer ne I numeri immaginari. Cinema e matematica, Bollati Bolinghieri, Torino 2011, pp. 221-224, date le pessime condizioni della pellicola conservata presso la Cineteca Nazionale di Roma.

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terzo e del quarto ordine, in cui il legame tra le variabili è di una certa complessità: algebrico, ellittico, esponenziale. Sono forme superiori dell’intelletto, non sono forme sterili, sono le forme della natura, non sono inventate, sono nate semplicemente dal calcolo, così come dal calcolo nascono l’elica o le ali dell’aeroplano. L’uomo e la natura, dunque, pensano e costruiscono entrambi secondo strutture matematiche. Nulla è lasciato al caso, nessuna forma, nessun ente, naturale o artificiale. La matematica è alla base di tutto, tanto della macchina da scrivere e della stilografica, quanto del corpo umano, delle ossa, dei fiori. L’organismo matematico è lacunoso, puntuto, articolato, cavo, dunque ci possono essere linee e superfici curve, esitanti, sinuose, che possono essere belle, sacramentali, quanto una linea retta o un arco di cerchio. Così anche la poesia e l’arte, prodotti umani, possono essere matematici, al pari del seme e del fagiolo. Brancusi, Archipenko, Picasso, Luarent, Giacometti, Lipschitz, Moore. L’arte è riuscita per forza di istinto ad avvicinarsi a questi archetipi, ha allargato il dominio dei nostri occhi, e della nostra mente. L’arte come la matematica cerca riposo nella verità assoluta. Con queste parole Sinisgalli conclude il suo filmato-riflessione sulla matematica. Il messaggio di fondo è certamente l’importanza della matematica, sia nella vita quotidiana –la si ritrova, infatti, in tutte le cose con le quali si ha a che fare, dagli alimenti, agli strumenti, al proprio corpo- sia nella ricerca della verità, in diversi settori, dall’astronomia, alla medicina, alla botanica, all’arte, alla poesia. Sembrerebbe che il numero sia la chiave per comprendere ogni cosa e che la musa della Matematica debba essere conosciuta e invocata da tutti per il raggiungimento della verità. Si ode l’eco delle parole galileiane l'universo è come un grande libro squadernato davanti ai nostri occhi, ed è scritto secondo dei linguaggi particolari, e caratteri speciali. Il linguaggio è quello dei numeri, i caratteri sono le forme geometriche. Non dovrebbe meravigliare tanto questa venerazione incondizionata della deaMatematica se si considera la formazione di Sinisgalli. A Roma si iscrisse alla facoltà di Matematica, seguendo i corsi di Fantappié, Severi, Levi-Civita, per passare, poi, al biennio di Ingegneria. In quel periodo conobbe anche Enrico Fermi che notò subito le sue doti e lo invitò a entrare a far parte del gruppo dei ragazzi del famoso laboratorio di Via Panisperna. La devozione alla dea-poesia, tuttavia, prese il sopravvento e il giovane preferì e rinunciare allo studio dei neutroni lenti e della radioattività artificiale per scrivere i suoi versi. Anni dopo, le lezioni di geometria dei professori Fantappié e Severi tornarono nella sua mente 3

accompagnate dalla geniale idea di tradurre in immagini la geometria. Prese avvio il suo esperimento cinematografico. Va notata una peculiarità delle produzioni cinematografiche a tema matematico: gli sceneggiatori sono matematici. Non tanto, dunque, esperti di cinematografia quanto della materia che si accingono a sceneggiare, ossia di matematica. Ciò non era accaduto, per fare un esempio lampante, con i documentari naturalistici di Roberto Omegna, il quale si accinse alla cinematografia da bancario con passione per la fotografia e non certo biologo o zoologo o botanico. Benché Sinisgalli avesse colto a pieno l’efficacia dello strumento cinematografico per la divulgazione anche dei concetti matematici –fin dalle origini del film erano stati girati numerosi brevi documentari di altre discipline scientifiche, medicina, botanica, zoologia-, tuttavia egli dovette scontrarsi con alcune difficoltà. Da un lato con una materia non facilmente visualizzabile e rappresentabile, quale la matematica, e dall’altro con il livello della tecnica cinematografica, non ancora in grado di utilizzare effetti particolari per soggetti di difficile rappresentazione. Così fece ricorso ai modellini geometrici in gesso, realizzati per la prima volta nella seconda metà dell’Ottocento, in Germania, soprattutto presso i laboratori e le officine dell'Istituto di Matematica del Politecnico di Monaco di Baviera e del Seminario di Gottinga, per volere di matematici quali Walther Dyck, Felix Klein e Alexander Brill2. E il testo del documentario era recitato da una voce fuori campo.

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A partire dal 1877 l'editore L. Brill raccolse e commercializzò i modelli prodotti dal fratello Alexander, inserendoli nel "Catalog mathematischer Modelle für den höheren mathematischen Unterricht veröffentlicht durch die Verlagshandlung", pubblicato per cinque edizioni dallo stesso Brill a partire dal 1892 e poi riedito nel 1903, in forma ampliata e arricchita, da Martin Schilling di Halle am Saale, che subentrò a Brill. Tra fine Ottocento e i primi anni del Novecento, furono molti gli atenei che acquistarono i modelli matematici per l'insegnamento della matematica, tra questi anche quelli italiani di Pavia e di Torino per esempio; con la prima guerra mondiale, però, il periodo d'oro per la costruzione dei modelli, principalmente di fattura tedesca, finì, non solo per motivi economici, ma anche e soprattutto per il prevalere nella ricerca matematica di un punto di vista più astratto. Le collezioni che in qualche modo arrivarono all'avvento della seconda guerra mondiale dovettero affrontare i bombardamenti e molte ne risultarono in parte o completamente distrutte. Nel 1951 in Italia, l’Unione Matematica Italiana, durante il suo IV Congresso nazionale a Taormina, promosse la ricostruzione dei modelli andati distrutti durante la guerra e diede l’incarico al geometra Luigi Campedelli dell’Università di Firenze di coordinare l’iniziativa. Il progetto fu incentrato sui modelli di superfici in gesso o in filo metallico e i primi ad essere costruiti furono quelli che rappresentavano le cinque quadriche. Nel «Bollettino della Unione Matematica Italiana» del dicembre 1952 sono elencati i primi modelli in gesso fatti costruire presso l’Università di Firenze da Campedelli: oltre alle cinque quadriche, compaiono quattro curve gobbe del terzo ordine tracciate su cilindri quadrici, diciannove superfici cubiche non rigate, quattro rigate gobbe del terzo ordine, sei superfici del quarto ordine, una superficie dell’ottavo ordine e tre superfici pseudosferiche. L’Istituto matematico di Pavia mise a disposizione la sua collezione di modelli e alcuni artigiani di Firenze si occuparono della riproduzione, l'iniziativa fu supervisionata dalla dottoressa Cesarina Dolfi che coadiuvava Campedelli. Nel giugno del 1953 Campedelli progettò la costruzione di una seconda serie di modelli in filo di nylon, pluricolore, appositamente studiato, con castello in metallo (ottone, nichelio od alpacca) e le prime superfici a essere costruite furono: l’iperboloide ad una falda con il cono asintotico, il paraboloide iperbolico e l’elicoide rigato in cinque casi diversi. La Società Rhodiatoce Italiana fece omaggio all’Unione Matematica Italiana del filo di nylon necessario per queste costruzioni. Nel 1956 la presidenza dell’Unione Matematica Italiana progettò la costruzione di una seconda serie di modelli in gesso particolarmente interessanti per il settore della geometria differenziale. (Cfr.

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Il problema di visualizzare i numeri e le operazioni numeriche c’era anche oltralpe. Negli stessi anni (1955) lo scrittore francese Raymond Queneau (1903-1976) scriveva la sceneggiatura per un filmato sulla matematica della durata di sette minuti. Rientrava in un progetto iniziale molto più ampio: un’enciclopedia cinematografica, l’Encyclopédie filmée. Fu realizzato, tuttavia, solo il primo ‘volume’, lettre A (première partie): Arithmétique, sotto la regia di Pierre Kast (1956). In questo caso non appariva alcun modellino di gesso, ma era lo sceneggiatore stesso a tenere una lezione di matematica, definendo innanzitutto la materia: L’aritmetica è l’insieme di procedimenti ragionati e pratici che permettono di formulare giudizi utili ed esatti su mucchi, greggi, collezioni, a prescindere dalla natura degli oggetti che li compongono3. L’aritmetica è presentata, ancora una volta, come una disciplina utile per la vita quotidiana, vicina all’uomo e agli enti (viventi e non) con i quali opera. Benché solo verbalmente, Queneau opera con dita, biglie, lupi, agnelli, galli, cercando così di far apparire nella mente degli spettatori/uditori delle immagini corrispondenti ai numeri e alle operazioni. Il tentativo evidente è quello di materializzare una disciplina astratta, concettuale. Intanto, negli Stati Uniti si pensava di animare la matematica, per mandare anche ai bambini il messaggio che la matematica non è solo una serie di sterili equazioni4, ma sta nei luoghi più impensati. Donald in the Mathmagic Land fu realizzato nel 1959 dal regista Hamilton Luske, con una sceneggiatura scritta da Milt Banta, Bill Berg e dal Dr. Heinz Haber5. Rientrava nel programma della Walt Disney di una serie di filmati televisivi educativi, tuttavia, dato l’esito positivo del lavoro, si decise di farne una produzione cinematografica, che ottenne anche la nomination all’Oscar. Vidi questo film quando ero alle scuole medie e ne rimasi molto colpito, afferma Michele Emmer (1945-)6 nel presentare il catoon Disney come uno dei più riusciti connubi di matematica e cinema e aggiunge Chi ha dovuto sopportare i corsi di algebra e di geometria delle scuole medie italiane di qualche anno fa (ma non credo che le cose siano molto cambiate) può capire con quale sorpresa scoprii la possibilità di guardare alla matematica con fantasia, con meraviglia, con divertimento7.

Catalogo Modelli Matematici, Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo Da Vinci, Milano: http://www.museoscienza.org/) 3 Emmer M., I numeri immaginari. Cinema e matematica, Bollati Bolinghieri, Torino 2011, cit. p. 225. 4 Le citazioni sono tratte dal film Disney Paperino nel mondo della matematica (1959). 5 Emmer M., Op. cit., p. 30. 6 Emmer M., Manaresi M., (a cura) Matematica, arte, tecnologia, cinema, Springer, Milano 2002, p. 195. 7 Ivi.

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Ovviamente si sta parlando di trasmettere, più che veri e propri contenuti matematici, curiosità e interesse per la materia ai bambini. La matematica, infatti, è spesso percepita come strana e assurda, roba da sgobboni, come la definisce Paperino. Per questo è necessario mostrare innanzitutto, nel modo più accattivante possibile, quanto la matematica sia alla base di tutto, dalla musica (efficace è a tal fine il viaggio nel tempo di Paperino verso la Grecia di Pitagora, padre della matematica e della musica) all’architettura e alla scultura (la sezione aurea è alla base anche della facciata della cattedrale di Notre-Dame, oltre che del Partendone) alla natura (si rinvengono geometrie pentagonali nei fiori) ai giochi (primo tra tutti gli scacchi, con riferimento al precedente cartoon Disney, Alice nel paese delle meraviglie). Alla fine del suo viaggio nel meraviglioso regno della matemagica, Paperino scopre che il pensiero matematico ha aperto tutte le porte del progresso scientifico. Ogni scoperta ne porta molte altre in una scoperta infinita. (come le infinite porte chiuse che Paperino comprende si apriranno solo con il tempo e... la matematica!). La matematica è l’alfabeto con il quale Dio ha scritto l’universo. conclude, citando Galilei, il Grande spirito dell’avventura, guida e interlocutore di Paperino, nonché ‘maestro’ del giovane pubblico del film.

Quel ragazzino che vide il cartoon Disney a scuola, certamente allora non immaginava che sarebbe diventato non solo un matematico, ma anche lo sceneggiatore di numerosi filmati matematici di vario genere. Il primo della lunga serie lo vide, in realtà, come aiuto regista di Luciano Emmer, suo padre. Era il matematico della situazione e non il regista. Il suo ruolo consisteva nel decidere e controllare il testo matematico, ossia ciò che Ruggero Orlando –personaggio scelto per la sua formazione matematica, nonché per la sua carriera di giornalista RAI- avrebbe dovuto dire. Il titolo del film era Il nastro di Moebius (1979)8 e Si trattava di un film documentario sul matematico tedesco dell’Ottocento e sulla superficie topologica da lui studiata, l’omonimo nastro appunto. Fu una sorta di iniziazione per il giovane Emmer, che, fino a quel momento solo attore di qualche film del padre, vide il cinema dall’altra parte, quella della regia e della sceneggiatura e vi si appassionò a tal punto da occuparsi di pellicole sulla matematica per

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Cfr. Emmer M., I numeri immaginari. Cinema e matematica, Bollati Bolinghieri, Torino 2011, cit. pp.13-17.

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circa vent’anni. Fu anche l’inizio per lui di un nuovo modo di concepire, vedere e fare matematica: con le immagini, la musica e l’arte. Emmer accettò la sfida di divulgare la matematica per mezzo del cinema, non in modo casuale e sporadico, bensì sistematico: dal 1979 al 1998 produsse ventotto film9 della durata di 27 minuti, realizzati in 16 mm, in versione italiana per la RAI-DSE, in versione francese per la Cité des Sciences et de l'Industrie, La Villette, Parigi, in inglese per diverse Università. Tra i suoi filmati sicuramente si distingue Flatlandia (1987), che in una ventina di minuti traduce cinematograficamente l’omonimo racconto di Edwin Abbott, Flatland. A Romance of Many Dimensions (1884)10. Trattato scientifico divulgativo degno di merito e al contempo una fiaba11, narra la storia di a Square, abitante di Flatlandia -regno a due dimensioni- imprigionato dai suoi concittadini per aver sostenuto l’esistenza di un mondo a tre dimensioni, dopo l’incontro con la Divina Sfera. Con evidenti echi della New Atlantis di Bacon12 e della Repubblica di Platone, il racconto è una satira della società vittoriana e ne irride l’ossessione classista, l’ipocrisia, il conformismo, con tono tuttavia benigno, tranne laddove si parla della condizione delle ‘donne’13. Al di là della pluralità di dimensioni e letture possibili dell’opera –esemplificazione didattica, utopia, satira sociale, riflessione teologica-, essa è senza dubbio, dal punto di vista didattico, un’introduzione elementare alle idee della geometria e degli spazi a n dimensioni.

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Il nastro di Moebius (1979); Le bolle di sapone (1979); I solidi platonici (1979); Simmetria e tassellazione (1979); Dimensioni (1982); M.C.Escher : simmetria e spazio (1982); Spirali (1982); Eliche " (1982); "Ars Combinatoria " (1984); M.C.Escher : geometrie e mondi impossibili" (1984); Nodi " (1984); Geometria" (1984); Flatlandia" (1987); Labirinti" (1987); Computers"(1987); L'avventura del quadrato"(1987); Figure geometriche"(1987); L'occhio di Horus" videotape, 12 minuti (1989); Metamorfosi, di Fabrizio Clerici", videotape, 7 minuti (1990); Oltre il compasso: la geometria delle curve" in collaborazione con E. Giusti e F.Conti, videotape, 27 minuti, progetto MURST-Scuola Normale Pisa per "Il museo di matematica", Centro Didattico televisivo, Univ. Firenze; La Venezia perfetta", videotape, 20 minuti (1993); The Fantastic World of M.C.Escher", video DG2, 50 minuti (1994); F. Armati, M. Emmer, a cura di, " Ricordando Fabrizio Clerici, AICS-Accademia di S. Luca, Roma, 1994; SITE Architectures & Shopping centers", 22 minuti (1981); Matematici", in due parti, Video Betacam, 35' e 30', IDIS Napoli, 1996; Ennio De Giorgi", intervista a cura di, 75 ',Unione Matematica Italiana, 1996; L. Poissant "Michele Emmer, interview", Univ. Quebec Montreal, 40 ', 1997; M.Emmer "Soap Bubbles: Homage to Fred Almgren", in H-C. Hege & K. Polthier, eds. "VideoMath Festival at ICM98", Springer, Berlino, 1998, 3'. Il volumetto di 100 pagine fu pubblicato per i tipi di Seeley & Co. Senza il nome dell’autore, che usò lo pseudonimo “A Square”, voce narrante del racconto. 11 Recensione scritta da James Joseph Sylvester su The Oxford Megazine del 5 novembre 1884, cit. in Abbott A.E., Flatlandia, trad. it. Federica Oddera, Einaudi, Torino 2011, Introduzione di Claudio Bartocci, p. XIX. 12 Abbott aveva studiato a lungo Bacone e aveva scritto: Bacon and Essex (1877), Francis Bacon. An Account of His Life and Works (1885). 13 Abbott e sua moglie erano sostenitori della causa suffragista e appoggiavano diverse iniziative per migliorare e incentivare l’educazione femminile (cfr. Abbott A.E., Op. cit., Introd. di Claudio Bartocci, p. XXV). 10

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Ed è questo l’aspetto che tanto ha interessato Michele Emmer e, prima e dopo di lui, altri matematici, registi e sceneggiatori. Del 1965 è la famosa versione in disegni animati, della durata di dodici minuti, ideata da John Hubley, diretta da Eric Martin, con la voce narrante di Dudley Moore. Mentre del 2007 è Flatland, the Movie, girato dai registi Dano Johnson e Jeffrey Travis, con la consulenza del matematico statunitense Thomas Banchoff. Egli stesso ha collaborato con Emmer alla realizzazione della ‘versione’ italiana, Flatlandia (1987). Affascinato dal racconto di Abbott –letto verso la fine degli anni settanta14-, sia per il contenuto matematico sia per la dimensione fiabesca, Emmer volle realizzare un film animato, non con i disegni, ma con oggetti realmente a due e tre dimensioni. Non era un problema di facile soluzione anche perché Flatlandia era incolore nel racconto di Abbott e si colorava solo in un preciso momento. Per di più gli abitanti si vedevano come segmenti e non come forme geometriche –aspetto che avevano, invece, dall’alto- e si riconoscevano dal chiarore luminoso che emanavano. Era, insomma, necessario un materiale trasparente, con i bordi riflettenti e divisibile in poligoni di pochi centimetri di lato, poggiati su un piano (il plexiglas). Spinoso era inoltre il problema di rappresentare la sfera e l’ipercubo. La soluzione venne da Banchoff, che qualche anno prima aveva realizzato il suo film sull’ipercubo in 16mm: in una notte di lavoro animò con la computer graphics i disegni che gli fornì Emmer., cosicché alla fine di Flatlandia ci sono due minuti di animazione computerizzata. Lo stacco tra le immagini precedenti, realizzate con oggetti tridimensionali reali, e gli ultimi due minuti, realizzati con la computer graphics, rende visibile la distanza tra il mondo del Quadrato e il mondo della realtà virtuale15. Dopo mesi di prove e tentativi realizzò un film della durata di ventuno minuti, con le musiche di Erik Satie, di Darius Mihaud e di Ennio Morricone (il sottofondo musicale della battaglia), anche se il suo nome non compare nei titoli di coda. Il film riproduce abbastanza fedelmente la prima parte del racconto di Abbott e si apre con la condizione di prigionia del Quadrato, al quale si chiede per la settima volta Il prigioniero insiste nel voler sostenere la sua assurda menzogna? ed egli risponde Lo sapete benissimo che voi siete anche alto oltre che lungo e largo! Ma il Gran Circolo non gli crede Menzogna! Misurate la mia altezza e vi crederò! 14 15

Cfr. Emmer M., Numeri immaginari. Cinema e matematica, Bollati Boringhieri, Torino 2011, p. 101. Emmer M., Manaresi M., (a cura) Matematica, arte, tecnologia, cinema, Springer, Milano 2002., cit. p. 249.

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Da queste poche battute iniziali si coglie immediatamente il problema: il quadrato ha scoperto che esiste la terza dimensione e che anche loro, abitanti di Flatlandia, mondo a due dimensioni, hanno in realtà un’altezza oltre che lunghezza e larghezza. Ma la sua è solo un’assurda menzogna agli occhi degli altri e per questo resta in prigione. Si può vedere nel quadrato colui che ha scoperto una verità (matematica) ignota a tutti e che cerca di renderne partecipe la comunità, patendo le conseguenze dell’ignoranza e della chiusura mentale alle novità e al progresso scientifico. Una sorta di Prometeo, che, preso il fuoco, cerca di donarlo ai suoi simili, ma viene punito, non dall’autorità alla quale è stata sottratta la conoscenza e il potere che ne deriva, ma da coloro che avrebbero dovuto goderne. Gli abitanti di Flatlandia sono figure geometriche che vivono e si spostano come ombre su una superficie piana; la loro società è gerarchica e a ogni classe sociale corrisponde una figura geometrica: le guardie –la più bassa- sono dei triangoli isosceli, i borghesi sono triangoli equilateri, i professionisti o gentiluomini sono quadrati o pentagoni, gli aristocratici sono poligoni, i sacerdoti sono cerchi –la classe più elevata-. I figli hanno sempre un lato più del padre, così da salire nell’ordine sociale; ciò non vale, invece, per le guardie, che restano sempre tali. Le donne, invece, sono delle linee rette, muovono sempre la parte posteriore per essere riconosciute dagli altri e hanno un carattere molto mutevole e si arrabbiano facilmente16. I poligoni irregolari, poi, hanno rapporti difficili con tutti, non trovano lavoro, nessuno vuole avere a che fare con loro, persino i loro genitori non li vogliono. La vita di un irregolare è molto infelice in Flatlandia, ma noi d’altronde dobbiamo difendere la nostra regolarità geometrica. La descrizione della società di Flatlandia è, in realtà, un ottimo escamotage per illustrare le diverse figure della geometria piana, nonché accennare in modo elementare al principio di esaustione. La differenza tra poligoni regolari e irregolari è semplificata e banalizzata con la metafora della perfezione dei primi e dell’imperfezione ed emarginazione dei secondi. L’inferiorità della donna simboleggia l’inferiorità della retta, monodimensionale, rispetto ai poligoni, bidimensionali. Una vera e propria lezioncina di geometria è tenuta per bocca del piccolo Esagono, nipote del Quadrato, protagonista e narratore: Nonno, tu mi hai insegnato che nel nostro mondo esiste il lungo e il largo, le direzioni secondo le quali ogni cosa si espande. E quindi, se voglio calcolare l’area di un quadrato di lato per esempio 3, servono esattamente 9 quadratini di lunghezza

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Cit. dal film Flatlandia, regia di Michele Emmer, soggetto, sceneggiatura e scenografia Michele Emmer, animazione, produzione Michele Emmer, Italia 1987.

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unitaria. E risulta che l’aria è 32=9. Ma quindi perché non si potrebbe dare un senso all’espressione 33? Il piccolo calcola l’area di un quadrato e si chiede, data la possibilità di elevare un numero alla potenza di due e di individuare un corrispettivo geometrico, se sia possibile elevarlo alla potenza di tre –e di conseguenza anche di quattro, cinque e così via- e darvi un senso geometrico, ossia una terza, quarta, quinta dimensione e così via. Ma il nonno non sembra approvare il ragionamento: Nooo, fesserie! Vai a dormire, sono stanco. finché, poco dopo, non gli si manifesta la Divina Sfera. Nel mondo bidimensionale essa gli appare solo come una sezione di sfera, ma, quando egli stesso è condotto nello spazio a tre dimensioni, si rende conto della grandiosa realtà: esiste lo spazio tridimensionale e, forse, anche con altre dimensioni. Suo nipote aveva ragione. Sbagliano gli abitanti di Flatlandia a credere che il mondo bidimensionale sia il solo esistente. Sbaglia spesso l’uomo nel credere che la conoscenza sia assoluta. Nessuna forma di conoscenza può dirsi certa o esatta; la ricerca scientifica è un cammino costante senza una meta definitiva –così come lo è la ricerca del divino-. Questo il messaggio che Abbott, , vuole mandare con il suo racconto e che permane anche nel filmato di Emmer: Un’allegoria volta a correggere l’arroganza tanto della ragione materialistica, quanto

della

fede

dogmatica,

e

a

dimostrare

la

forza

progressista

dell’immaginazione17. La necessità di mantenere sempre un’apertura mentale e una spinta/tensione verso la conoscenza, matematica e non.

§ I matematici nei film

Si possono distinguere diversi tipi di film ‘matematici’: i documentari che cercano di parlare, anche con molti dettagli, dei problemi matematici; le biografie dei matematici più o meno romanzate; i film di pura fiction, in particolare i film polizieschi e thriller; le serie televisive18. Secondo questa distinzione, i film trattati fin qui rientrano nella categoria ‘documentari matematici’, perché in qualche modo si propongono di divulgare contenuti matematici o, quantomeno, di suscitare interesse e curiosità per la disciplina.

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Commento di Rosemary Jann (2006), cit. in Abbott A.E., Op. cit., Introd. di Claudio Bartocci, p. XXVI. Emmer M., Numeri immaginari. Cinema e matematica, Bollati Boringhieri, Torino 2011, cit. p. 96.

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Il connubio matematica e cinema non si esaurisce, tuttavia, all’uso del mezzo cinematografico per la diffusione di nozioni matematiche, anzi La creatività del matematico in qualche modo è stata utile al cinema, si sono create nuove storie, nuove situazioni, nuovi personaggi che sarebbero stati difficili da realizzare senza avere appunto un ‘uomo dei numeri’ come protagonista19. Dopo la matematica anche i matematici sono entrati nei film. Sia i grandi matematici di tutti i tempi sia i matematici ‘comuni’, docenti e studenti di matematica, fino agli esperti di numerologia ed esoterismo. L’immagine del matematico ‘comune’ ritratta nei film è cangiante: dal piccolo genio incompreso, particolarmente sensibile, lontano dal mondo che lo circonda, all’uomo ossessionato e ossessivo, nevrotico, incapace a relazionarsi con i suoi simili, a vivere una vita serena, fino all’estremo della patologia. Emblematici sono i film Il piccolo Archimede di Gianni Amelio (1979) e Bianca di Nanni Moretti (1983). Guido è il figlio analfabeta di una coppia di contadini toscani e stringe amicizia con il figlio del signor Heinz, studioso inglese di pittura medioevale italiana. Ascoltando dei dischi, si appassiona a Mozart e Bach e, ben presto spontaneamente e quasi istintivamente inizia a suonare il piano e, poi, a comporre musica. Non è la sua sola dote: il signor Heinz lo osserva disegnare triangoli sulla sabbia e dimostrare il teorema di Pitagora, senza averne mai anche solo sentito parlare. Decide di impartirgli qualche lezione di matematica. E’ costretto tuttavia a partire e a lasciare il bambino in balia della possessiva padrona di casa, che gli sottrae i libri, proibendogli di studiare. Al grido d’aiuto del piccolo Guido Heinz accorre subito, ma è già tardi. Il bambino è morto, caduto o forse gettatosi dalla finestra. Al di là del tema del complesso rapporto adulto-bambino, emerge chiaramente la difficoltà di comunicazione tra un animo sensibile e naturalmente geniale, come quello di Guido, e coloro che sono privi di tale sensibilità. Se Heinz, infatti, da studioso, appassionato di Giotto e Leonardo, ha una sensibilità artistica e coglie e sostiene subito il piccolo nei suoi interessi, la signora Bondi non può, non è capace di fare altrettanto. E’ mossa solo da invidia, poiché non ha un figlio proprio, e da ossessività egoistica. Bianca non teme la stranezza di Michele. Nonostante le si riveli subito con tutte le sue manie e le sue ossessioni (mille domande a raffica, pedinamenti, strani discorsi), ella ne coglie l’indole buona e non lo teme, sembra anzi comprenderlo. Di più: lo ama,

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Da Intervista con Michele Emmer, in Perrone P., Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all’ossessione numerologica, Le Mani, Recco 2009, cit. p. 123.

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prima di tutto perché fai domande ossessive e fuori luogo a una signora come se fosse una cosa normale. E poi perché sei buono, sei un uomo buono20. Il seguito del film sembra tuttavia smentire le certezze di Bianca. Michele si rivela alla fine l’assassino di una coppia di suoi amici, nonché della fidanzata di un vicino di casa. Il commissario di polizia, ormai quasi affezionato allo strano professore, alle sue domande e alla sua capacità osservativa, è meravigliato dalla sua confessione Ma erano suoi amici, gli dice. Sì, erano amici di Michele e, proprio per questo, lo avevano deluso. Avevano rotto l’armonia del rapporto di coppia, si erano mentiti, traditi, poi ricongiunti, ma non erano stati in grado di ricreare la perfezione iniziale, nonostante i suoi consigli e aiuti. Questo ossessiona Michele e lo induce all’atto estremo dell’omicidio: la rottura dell’armonia e dell’ordine. Le cose non sono più nette come una volta, dice al commissario. E’ una spasmodica e maniacale esigenza di perfezione a caratterizzare Michele, tanto che, per paura che la felicità finisca, rifugge anche dal raggiungerla (influenzato dalle esperienze dei conoscenti). Ha una grandiosa capacità di osservazione e deduzione e archivia (letteralmente) tutti i casi umani con i quali si imbatte anche solo per caso. Scruta e giudica. Sorge quasi il dubbio che a muoverlo sia una rigida morale, ma ci si rende poi conto che è una tendenza all’ordine, al giusto ordine. La maniacalità fino alla patologia non è, tuttavia, l’unico spunto di riflessione matematico presente nel film. Famosa è, infatti, la scena iniziale della prima lezione di matematica, in cui emerge subito il divario tra l’apertura conoscitiva degli studenti e la rigida impostazione didattica del professore. Albrecht Dürer e la Melancolia I possono essere oggetto di una lezione di matematica? Secondo i ragazzi sì; secondo Michele no. Come primo giorno di scuola non sarebbe meglio ambientarsi? chiede, quasi intimorito dalla situazione. I ragazzi propongono una visione diversa della matematica, in un orizzonte interdisciplinare, come strumento per la comprensione di un’opera d’arte, ma anche come componente stessa dell’opera d’arte. Il professore non se la sente di improvvisare, è smarrito dinanzi a questa eventualità e in un’altra scena del film lo si ritrova mentre scrive alla lavagna gettando l’occhio sul libro. E’ l’emblema dell’ortodossia nella didattica della disciplina. I giovani incarnano l’esigenza di cambiamento o, per lo meno, di ripensamento della didattica, della matematica e non. I giovani studenti universitari di matematica, o meglio le giovani studentesse, sono state scelte dagli sceneggiatori in più occasioni come simboli della volontà e dell’aspirazione al cambiamento, non solo a livello didattico-istituzionale, ma anche politico-sociale. 20

Da Bianca, regia di Nanni Moretti, soggetto e sceneggiatura Nanni Moretti e Sandro Petraglia, con Nanni Moretti e Laura Morante, Italia 1983.

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E’ il caso di Emma e di Giulia, personaggi dei film La Signorina Effe (2007) e La meglio gioventù (2003). Emma è la figlia di un ex-operaio della FIAT e, laureanda in matematica, è assunta ella stessa a lavorare presso l’azienda, ai piani amministrativi, alle dipendenze di un ingegnere, con il quale è fidanzata da anni. Sono gli anni ’80 e la FIAT si sta riorganizzando a scapito di migliaia di posti di lavoro. Le lotte sindacali hanno inizio quando, la prima mattina di lavoro, Emma prende l’ascensore e arriva al piano sbagliato: tra gli operai pronti alla rivolta. Incontra Sergio. Lo ritrova poi un giorno a pranzo a casa sua e da quel momento la sua vita cambia. Sergio è deciso a conquistarla. Emma entra pian piano a contatto con una realtà diversa e, da disprezzare persino la sua famiglia, perché incolta e di origini basse, si avvicina sempre più all’ottica operaia. Il processo culmina quando lascia l’ingegnere e la sua famiglia –che non approva la sua scelta- per sposare la causa operaia e vivere con Sergio. Se il film fosse finito così, lo si sarebbe potuto definire una storia a lieto fine con gli ideali di libertà, uguaglianza, diritto al lavoro e giustizia trionfanti. Ma il film prosegue e Emma deve dare gli ultimi due esami. Sergio è in aula mentre lei scrive alla lavagna. Si blocca, esita, i docenti sembrano impazienti, Sergio esce dall’aula, Emma riprende a scrivere e conclude brillantemente l’esame con trenta e lode. E’ una scena significativa, poiché mostra l’incompatibilità tra i due. Sergio, operaio, ed Emma, laureanda in matematica, che ha combattuto fino ad allora per emanciparsi dalla condizione sociale e culturale della sua famiglia. La laurea in matematica rappresenta il traguardo da raggiungere, l’ascesa nella scala sociale, è il mondo ideale che si rende concreto, il fascino delle grandi idee21. Emma vorrebbe conciliare le due cose: l’amore per Sergio e per la causa sociale che simboleggia con i suoi studi e la sua futura carriera. E’ un’idealista o comunque una persona pronta a lottare per i valori e gli obiettivi nei quali crede. E’ Sergio, tuttavia, a decidere per lei; a capire che tu hai la tua lingua e io la mia [...] e forse non c’è possibilità di capirsi22e quindi è necessario che ognuno vada per la sua strada. Giulia, invece, ci riesce. Dopo aver studiato musica per dieci anni, si iscrive alla facoltà di matematica a Torino e qui partecipa al movimento studentesco, avvicinandosi sempre più alle posizioni estremiste, fino

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Emmer M., Numeri immaginari. Cinema e matematica, Bollati Boringhieri, Torino 2011, cit. p. 41. Da La signorina Effe, regia di Wilma Labate, con Valeria Solarino, Filippo Timi, Sabrina Impacciatore, soggetto Wilma Labate, Francesca Marciano, Carla Vangelista, sceneggiatura Wilma Labate, Domenico Starnone, Carla Vangelista, Italia 2007. 22

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a diventare uno dei membri più convinti e attivi delle Brigate Rosse. La sua storia si snoda attraverso il lungo film (della durata di sei ore23) che va dalla grande alluvione di Firenze del 1966 fino alla morte di Giovanni Falcone (1992), insieme a quella di Nicola, uno dei due fratelli Carati protagonisti della vicenda. Che cosa c’entra la matematica con il pianoforte? Il pianoforte l’ha scelto mia madre, la matematica l’ho scelta io. [...] Ma quando ti sarai laureata, che cosa farai, la professoressa di matematica o la concertista? La professoressa no, la concertista non credo. Ma no, tu devi fare sia la concertista che la matematica24. Sono le prime parole che si scambiano Nicola e Giulia, quando lui la sente suonare il piano nel cortile del Conservatorio. In Giulia, come nel piccolo Guido25, coesistono il musicista e il matematico. Tuttavia, se il bambino aveva mostrato spontaneamente la propensione per le due discipline, la piccola Giulia, invece, era stata indotta dalla madre a studiare musica, mentre autonoma era stata la scelta di studiare matematica. L’iscrizione alla Facoltà di matematica era per lei una forma di riscatto e di affermazione della propria libera volontà. Se per Emma la matematica è il riscatto dalla condizione sociale e culturale della sua famiglia, per Giulia lo è dall’ala materna e, in un certo senso, dalla giovinezza verso l’età adulta. Forse non è un caso la coincidenza nel film dei suoi nuovi studi con la sua nuova attività sociale e politica. Il matematico appare, quindi, un ribelle, che lotta per le idee e i valori nei quali crede, pur rischiando il sovvertimento della propria vita, della propria condizione (sociale ed economica) e delle proprie relazioni. L’esatto contrario, insomma, di Michele Apicella, che non aveva mai osato in tutta la sua vita cambiare minimamente le sue abitudini. I matematici nei film non sono soltanto ‘comuni’ docenti o discenti di matematica, ma anche celebri matematici di tutti i tempi. Basti pensare ai due film realizzati da Roberto

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Il film era stato prodotto originariamente per essere trasmesso dalla RAI in quattro puntate. La RAI ne sospese la messa in onda sui teleschermi posticipandola a dopo la presentazione al 56º Festival di Cannes, dove il film vinse il premio come miglior film della sezione Un Certain Regard. Il film uscì quindi nelle sale italiane il 22 giugno 2003, diviso in due atti di tre ore ciascuno. Successivamente fu trasmesso su Raiuno in quattro puntate da 90 minuti nei giorni 7, 8, 14 e 15 dicembre 2003, con notevoli dati di ascolto. 24 Da La meglio gioventù, regia di Marco Tullio Giordana, con Luigi Lo Cascio, Alessio Boni, Jamine Trinca, sceneggiatura Sandro Petraglia e Stefano Rulli, RAI, Italia 2003. 25 Protagonista del film Il piccolo Archimede, vedi sopra.

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Rossellini per il piccolo schermo Blaise Pascal (1971) e Cartesius (1974) o a La vita di Leonardo da Vinci (1971) di Renato Castellani, che illustrano la vita dei due matematici, sia pur con una componente di finzione. Un buon film con un bravo attore può rafforzare nell’opinione pubblica l’immagine di un personaggio o, in certi casi, addirittura rivelarlo a un pubblico che ne ignorava anche l’esistenza. Tuttavia, affinché ciò accada, è necessario che il film sia interessante e ben strutturato e interpretato, pur nella sua natura di fiction. E’ l’attore a dover dare credibilità alle scene con la sua partecipazione emotiva26. D’altro canto, è innegabile che affinché il film susciti attenzione e interesse –e incida così sul pubblico, mutandone anche eventualmente l’opinione in merito al soggetto cinematografico- il soggetto stesso debba essere interessante. Non tutti i matematici –anche i grandi matematici- infatti hanno avuto una vita entusiasmante o ricca di eventi o colpi di scena. Ci sono grandi matematici le cui esistenze sono state condotte all’interno di università o abitazioni o istituti nel più costante studio e impegno. Si presta certamente alla realizzazione di una versione cinematografica la vita di Renato Caccioppoli (1904-1959), divenuta infatti soggetto del film di Mario Martone, Morte di un matematico napoletano (1992). Era un uomo poliedrico, amante di Chopin e dei numeri, un genio e un grande professore, appassionato del cinema e della politica. Famoso l’aneddoto che narra che nel maggio del 1938, mentre Mussolini era in visita a Napoli, tenne un discorso contro il Fascismo e il Nazismo e fece suonare da un’orchestrina l’inno nazionale francese, in presenza dell’OVRA, con l’ovvia conseguenza dell’arresto. La zia, Maria Bakunin, allora docente di chimica, sostenendo la sua incapacità di intendere e di volere, riuscì a sostituire l’arresto con l’internamento. Negli ultimi anni della sua vita le delusioni politiche e sentimentali, nonché forse l’affievolirsi della sua vena matematica, lo indussero all’alcolismo e a comportamenti sempre più assurdi e incomprensibili, fino al suidicio. Nonostante la vita di Caccioppoli si presti splendidamente a diventare materia cinematografica, il film di Martone si limita a coprire l’arco temporale dell’ultima settimana della sua vita: L’idea originaria era spinta ancora più in là: raccontare solo la sua ultima giornata. […] Con Fabrizia Ramondino, però, ci siamo accorti quasi subito che questa

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Cfr. Perrone P., Op. cit. pp. 121-122.

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soluzione sarebbe stata limitante, impedendo di dipanare con chiarezza tutti gli aspetti del passato di Renato27. Tutta l’esistenza di Renato non è narrata, ma intuita, colta, ricostruita dallo spettatore, attraverso momenti salienti o particolari rivelatori, impressi nella mente del matematico. Anche l’atto stesso del suicidio, non lo si vede nel suo realizzarsi, bensì lo si coglie dal suo graduale prepararsi, nei sette giorni e, poi, negli ultimi momenti: la cassetta di sicurezza, la pistola avvolta in un panno bianco, le scarpe della domestica che scendono giù per le scale, le sue urla. Gioca un ruolo fondamentale nella riuscita28 del film –oltre alla grandezza e alla particolarità del soggetto- anche l’attore protagonista Carlo Cecchi. Oltre alla bravura, significativa è la somiglianza che, per certi versi, c’era tra attore e personaggio: Carlo ha con Napoli un rapporto che gli consente di venire considerato una sorta di straniero in patria, come secondo me doveva accadere per Caccioppoli. Non sopportava nessuno, dice qualcuno al suo funerale. Forse avremmo dovuto ascoltarlo di più. Si sarebbe ucciso lo stesso, non dava retta a nessuno, dicono tra loro altri due. Le opinioni della gente che lo conosceva più o meno personalmente, espresse durante il funerale, mentre gli accademici pronunciano il loro discorso, sono chiarificatrici dell’immagine che di sé aveva dato Renato e che gli altri avevano recepito. C’era, tra lui e i suoi amici, colleghi, studenti, parenti, concittadini un duplice rapporto di vicinanza, stima –per la sua persona, per la sua attività accademica-, ma anche di distanza, a tratti di disapprovazione. Nella sua città tutti conoscevano o’ Professore. Severo ed esigente con i propri studenti, cui impartiva sistematicamente anche lezioni di vita, era da loro temuto e ammirato allo stesso tempo per i suoi impliciti richiami alla serietà negli studi, all’impegno personale, al rifiuto della mediocrità e per l’evidenza della sua genialità29. Il film riflette anche sulla didattica universitaria della matematica: Renato è un professore evidentemente fuori dagli schemi: preparatissimo, non esita ad ascoltare la domanda non pertinente alla lezione del suo studente Perché Einstein si è opposto alla teoria dei quanti? e a rispondervi. Incoraggia la curiosità e l’apertura mentale degli studenti e condanna l’ignoranza. E’ un professore che lancia il libretto universitario a uno studente poco preparato

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Da Lui, una città, dei compagni di strada, nel tempo: conversazione con Mario Martone, in Emmer M., Manaresi M., (a cura) Matematica, arte, tecnologia, cinema, Springer, Milano 2002, pp. 231-237, cit. p.232. 28 Conseguì il premio speciale della giuria al Festival di Venezia nel settembre 1992. 29 Sbordone C., Riflessioni dopo la proiezione, in Emmer M., Manaresi M., (a cura) Matematica, arte, tecnologia, cinema, Springer, Milano 2002, pp. 238-240, cit. p. 238.

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cosicché non lo contagi con la sua ignoranza e che riscrive, piuttosto che correggere, il lavoro di un suo ex allievo30. E’ eccentrico e suscita la curiosità dei concittadini. E’ sempre tra la gente, ma al contempo lo si vede nel film spesso passeggiare da solo per le vie di Napoli, anche di notte. E’ sempre molto difficile, ed è facile sbagliare, cercare con poche parole di entrare nel mistero di un uomo, specialmente di un uomo la cui personalità era sicuramente assai ricca e complessa. Al di là di quelle che possono essere le dolorose vicende umane, c’era indubbiamente nella visione di Caccioppoli dell’arte e della matematica, della scienza, non l’idea del disordine, ma piuttosto l’idea dell’armonia pitagorica, cioè l’idea che alla dine dei conti la costruzione matematica veramente interessante doveva essere una costruzione bella e armonica, non poteva essere una costruzione disordinata, sconnessa, priva di bellezza. […] Per quanto sia difficile e incauto entrare nel mistero di un uomo, se dovessi vedere un filo tra l’interesse artistico, l’interesse scientifico, l’interesse sociale e civile di Caccioppoli, lo vedrei in questa aspirazione di fondo all’armonia e nel dolore che tutte le varie disarmonie ai vari livelli gli procuravano31. Così Ennio De Giorgi32 interpreta la complessità di Renato alla luce della sua esigenza di armonia. Un’armonia persa, che vorrebbe ritrovare, ricostituire, ma che è ormai consapevole di non poter in alcun modo recuperare, a nessun livello. Morte di un matematico napoletano è un film matematico in molti sensi: innanzitutto perché c’è un grande matematico nel film, ma anche perché ci sono più scene che mostrano da un lato l’attività di ricerca del matematico, il suo febbrile riflettere, annotare dovunque formule, cercare l’illuminazione, dall’altro l’attività didattica e il suo rapporto con gli studenti, in sede accademica e non. Inoltre va sottolineata la precisione e la correttezza delle formule matematiche che appaiono in più luoghi scritte alla lavagna, dovute al consulente matematico Carlo Sbordone. Il matematico in questione era anche un cinefilo! Fu per diversi anni presidente del Circolo del Cinema di Napoli, in cui venivano proiettate pellicole poco diffuse e talvolta proibite dal regime, scelte per far conoscere opere e autori poco noti ma di valore.

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Il quale, nella realtà, non si sarebbe mai permesso di avere un atteggiamento così superbo e arrogante, quale quello che si vede nel film, frutto, appunto, della fiction. 31 De Giorgi E., L’artista dei numeri, ne L’Unità, 16 settembre 1992, ripubblicato con il titolo Renato Caccioppoli, un matematico napoletano in Emmer M., Manaresi M., (a cura) Matematica, arte, tecnologia, cinema, Springer, Milano 2002, pp. 241-243, cit. p.243. 32 Il primo ad aver ricevuto nel 1960 il Premio Caccioppoli, istituito da una donazione del fratello Ugo.

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Inizialmente lasciava ampio spazio agli interventi altrui, ma poi, con atteggiamento al tempo stesso aperto, complice e critico si abbandonava alle sue riflessioni e divagazioni che spesso andavano ben al di là del commento al singolo film33. Renato stesso, dunque, unisce in sé matematica e cinema. In realtà matematica e arte, poiché, come il piccolo Guido e la giovane Giulia, è un matematico amante della musica classica, che suona egli stesso, al suo pianoforte, e che ascolta.

Ennio De Giorgi (1928-1996), probabilmente è stato il più importante matematico del Novecento [...] Fare un film sulla sua vita, però, è a tutti gli effetti impossibile. La sua è stata un’esistenza vissuta interamente alla Scuola Normale Superiore di Pisa, ha portato alla formazione di una marea di matematici in tutto il mondo, ma la sua vita non è andata oltre questo stretto perimetro accademico. Io conosco alcuni matematici un po’ eccentrici, altri quasi maniacali, altri ancora, invece, assolutamente ordinari34. Sostiene Emmer, il quale, d’altro canto, tiene moltissimo alla lunga intervista televisiva che fece a De Giorgi tre mesi prima della sua morte, in occasione dell’apertura della Città della Scienza di Napoli35. I due si incontrarono a Pisa, nello studio di De Giorgi alla Scuola Normale Superiore, nel luglio 1996 e chiacchierarono per più di un’ora. De Giorgi aveva molta voglia di parlare, raccontare, raccontarsi36. La riflessione dei due matematici spazia tra i molteplici aspetti dell’argomento ‘matematica’, attraverso le esperienze personali di De Giorgi. Alla classica domanda Come si diventa matematici?37 risponde da bambino avevo un certo gusto a risolvere piccoli problemi ma avevo anche una certa passione per fare dei piccoli esperimenti che si potevano dire se non di fisica, di pre-fisica. Mi sono poi iscritto al primo anno di ingegneria all’epoca in cui ancora c’erano i corsi comuni di matematici, ingegneri e fisici. E nel corso del primo anno mi sono accorto che la mia vocazione naturale era soprattutto la matematica [...] E individua, poi, l’irragionevole utilità della matematica nel Libro dei Proverbi, uno dei più antichi libri della Bibbia:

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Sbordone C., Op. cit., p. 238. Da Intervista con Michele Emmer, in Perrone P., Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all’ossessione numerologica, Le Mani, Recco 2009, cit. p. 118. 35 L’intervista rientrava nel progetto di Emmer di realizzare un film in cui i matematici italiani, giovani e affermati, rispondessero ad alcune domande sulla natura della matematica e sulla professione del matematico. 36 Emmer M., Manaresi M., (a cura) Matematica, arte, tecnologia, cinema, Springer, Milano 2002, cit. p. 196. 37 Il testo dell’intervista è tratto da Emmer M., Manaresi M., (a cura) Matematica, arte, tecnologia, cinema, Springer, Milano 2002, cit. pp. 270-281. 34

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la matematica, cioè la sapienza, che è più grande della matematica, era con Dio quando Dio creava il mondo e la sapienza ama farsi trovare dagli uomini che la cercano e la amano; penso che la matematica sia una delle manifestazioni più significative dell’amore per la sapienza e come tale la matematica è caratterizzata da un lato da una grande libertà e dall’altro da una intuizione che il mondo è grandissimo, è fatto di cose visibili e invisibili, e la matematica ha forse una capacità unica tra tutte le scienze di passare dall’osservazione delle cose visibili all’immaginazione delle cose invisibili. Questo forse è il segreto della matematica.[...] E’ fermamente convinto che la formazione di un matematico richieda da un lato libertà, capacità di riflessione personale, dall’altro anche dialogo, confronto con altre persone. [...] avere un ambiente stimolante, professori, altri studenti, amici disposti a parlare amichevolmente di matematica, di scienza, di filosofia, è importante per la formazione di un matematico come credo per la formazione di un qualsiasi filosofo. Ma la componente fondamentale e basilare della matematica e di tutte le discipline è la creatività e io credo che all’origine della creatività in tutti i campi ci sia quella che io chiamo la capacità o la disponibilità a sognare; a immaginare mondi diversi, cose diverse, a cercare di combinarle nella propria immaginazione in vario modo. A questa capacità, forse alla fine molto simile in tutte le discipline, matematica, fisica, teologia, arte, pittura, scultura, fisica, biologia, si unisce poi la capacità di comunicare i propri sogni; e una comunicazione non ambigua richiede anche la conoscenza del linguaggio, delle regole interne proprie di diverse discipline. Quindi credo che ci sia una capacità di sognare generalmente indistinta, come generalmente indistinto era il sentimento che gli antichi chiamavano filosofia, e poi vari modi di comunicare in modo non ambiguo questi sogni, schemi diversi che sono propri delle diverse discipline, e anche delle diverse arti, delle diverse forme del sapere umano. La comunicazione dei sogni ‘matematici’, della cultura matematica in Italia, tuttavia, non è molto praticata, nel senso che i libri matematici in circolazione sono principalmente traduzioni e non produzioni italiane. Secondo De Giorgi il problema è che l’Italia è un mercato un po’ristretto, per cui non è facile che una persona sia indotta a fare la fatica notevole che ci vuole per fare un buon libro di matematica o di fisica, con l’idea che il libro sarà, inizialmente almeno, destinato al solo mercato italiano. [...] Lo stesso discorso si vede nelle note scientifiche. [...] Penso che bisognerebbe, 19

cominciando dalle note prima ancora che dai libri, far capire che è importante che ci sia un gran numero di note su argomenti moderni, scritte in un buon italiano se non vogliamo che l’italiano si atrofizzi come lingua scientifica. Questo è un grosso problema, quello della conservazione all’italiano della capacità di essere una lingua scientifica e anche una lingua scientifica naturalmente flessibile, capace sia di creare nuovi vocaboli sia di assumere vocaboli stranieri e integrarli nel suo contesto, comunque capace di avere costrutti sintattici, grammaticali che siano nello stesso tempo linguisticamente legati, che siano molto chiari, molto leggibili, anche molto traducibili in lingue straniere. Perché si corre il rischio che tutta la produzione scientifica sia scritta solo in inglese da persone che conoscono piuttosto male l’inglese, con l’effetto di un impoverimento della letteratura scientifica anche come forma di letteratura linguisticamente bella, il che secondo me, è molto pericoloso. [...] E’ necessaria, quindi, una rivalutazione dell’italiano –e di tutte le lingue in generale- come lingua scientifica oltre che letteraria, affinché il suo lessico scientifico non cada in disuso, ma al contrario si arricchisca di neologismi e barbarismi. La conversazione si rivolge anche al versante didattica della matematica e il parere di De Giorgi in merito è che Bisognerebbe nei primi due anni di università ritornare alla unione dei corsi per matematici, fisici, ingegneri, almeno per quella che è la matematica di base. Questo servirebbe anche a creare quel linguaggio scientifico minimo, comune tra le varie discipline oltre a trovare empiricamente quella amicizia tra matematici, fisici, ingegneri che è molto utile anche per il futuro. [...] La formazione di una base linguistica e anche di una abitudine alla conversazione tra studiosi di diverse discipline secondo me sarebbe preziosa. Una conversazione molto ricca di spunti di riflessione sulla matematica, sulla scelta di studiare matematica, sulla didattica, sul linguaggio e sui sogni, che sono alla base di ogni disciplina e arte. Come negare che anche questo sia cinema, cinema che parla di matematica, in cui un grande matematico parla della passione della sua vita. Un grande documento sonoro e visivo, quello che si chiama un film38.

§ Conclusioni

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Emmer M., Manaresi M., Op. cit., p. 197.

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Che cosa c’entra allora la matematica con il cinema? Il rapporto tra matematica e cinema è uno scambio. La matematica si serve del cinema per avvicinarsi alla gente, ai non addetti ai lavori, e per interessarli ai propri contenuti, spesso ritenuti ostici, lontani, inaccessibili. Il cinema dal canto suo si serve della matematica, o forse più dei matematici, per farne i personaggi strani, geniali, maniaci, sognatori dei propri film. Film matematici e matematici nei film. Un connubio iniziato negli anni ’50 e forte tuttora. La matematica non si insegna al cinema, i film, da questo punto di vista non servono a niente. Con questa frase39 Emmer sembra negare il valore divulgativo di contenuti matematici da parte dei film. In realtà egli intende dire che, nonostante il cinema non possa certamente sostituire i luoghi classici della didattica della matematica –non si diventa matematici a cinema!-, tuttavia può indubbiamente contribuire a suscitare curiosità e interesse verso la disciplina. Folli, geni, assassini, ribelli, professori e studenti, grandi matematici, protagonisti delle più comuni o bizzarre vicende umane, permettono allo spettatore di immedesimarsi e di vivere –oltre che visionare- situazioni felici e drammatiche in qualche maniera legate alla matematica. E’ un dato oggettivo che Quando noi a Bologna, nel 2000, avevamo allestito una rassegna di film sul tema, durata due mesi, il cinema, che conteneva 600 posti, era stracolmo ogni settimana. Avevamo dovuto chiamare la polizia perché il pubblico era ovunque, anche sotto lo schermo, e c’erano in effetti problemi per la sicurezza. Un successo del genere non ce lo aspettavamo, davvero. Certo, avevamo degli ospiti importanti, registi, attori, ma la cosa curiosa è che, l’anno successivo, all’Università di Bologna, le iscrizioni a matematica sono aumentate del 15-20%. Coincidenze? Forse.40 D’altro canto, la visione della vita o di uno scorcio di vita di un grande matematico ha un effetto indubbiamente maggiore rispetto alla lettura degli stessi, con i rischi che ciò comporta, nel caso in cui la fiction prevalga sulla fedeltà storica. Capolavori del cinema italiano e straniero non sarebbero esistiti, se i registi e gli sceneggiatori non avessero rivolto il proprio sguardo ai matematici –reali o immaginari che fossero- e ne avessero narrato o inventato le storie. Matematica al cinema come verità nella finzione.

39

Da Intervista con Michele Emmer, in Perrone P., Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all’ossessione numerologica, Le Mani, Recco 2009, cit. p.122. 40 Ivi.

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Filmografia

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A comme Arithmétique, regia di Pierre Kast e Raymond Queneau, sceneggiatura di Queneau, fotografia di A. Thomas e Kaminski, musica G. van Parys, montaggio L. Azar ed E. Pluet, produzione Le Trident, Francia 1951.

-

Bianca, regia di Nanni Moretti, soggetto e sceneggiatura Nanni Moretti e Sandro Petraglia, con Nanni Moretti e Laura Morante, Italia 1983.

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Blaise Pascal, regia di Roberto Rossellini, sceneggiatura Marcella Mariani, Roberto Rossellini e Luciano Scaffa, con Pierre Arditi, Rita Forzano, Giuseppe Addobbati, Christian De Sica, Livio Galassi, Bruno Cattaneo, produzione RAI, Italia 1971.

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Cartesius, regia di Roberto Rossellini, sceneggiatura e dialoghi Marcella Mariani, Roberto Rossellini e Luciano Scaffa, con Ugo Cardea, Anne Pouchie, Matilde Antonelli, Penny Ashton, Gabriele Banchero, Angelo Bassi, Kenneth Belton, Dante Biagioni, Franco Calogero, Mario Danieli, Marcello Di Falco, Vernon Dobtcheff, produzione RAI, Italia 1974.

-

Donald in the Mathmagic Land, regia di Hamilton Luske, animazione, direzione artistica Stan Jolley, sceneggiatura di Milt Banta, Bill Berg e Hiz Haber, produzione Walt Disney, USA 1959.

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Ennio De Giorgi, video-intervista, produzione UMI e Michele Emmer, Italia 1996.

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Flatlandia, regia di Michele Emmer, soggetto, sceneggiatura e scenografia Michele Emmer, animazione, produzione Michele Emmer, Italia 1987.

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Il piccolo Archimede, regia di Gianni Amelio, con Laura Betti, John Steiner, Aldo Salvi, Franco Pugi, soggetto Aldous Huxley, sceneggiatura Gianni Amelio, fotografia Guido Bettoni, musica Roman Vlad, produzione RAI, Ialia 1979.

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La meglio gioventù, regia di Marco Tullio Giordana, con Luigi Lo Cascio, Alessio Boni, Jamine Trinca, sceneggiatura Sandro Petraglia e Stefano Rulli, RAI, Italia 2003.

-

La signorina Effe, regia di Wilma Labate, con Valeria Solarino, Filippo Timi, Sabrina Impacciatore, soggetto Wilma Labate, Francesca Marciano, Carla Vangelista, sceneggiatura Wilma Labate, Domenico Starnone, Carla Vangelista, Italia 2007.

-

Lezione di geometria, regia di Virgilio Sabel e Leonardo Sinisgalli, soggetto e sceneggiatura Leonardo Sinisgalli, fotografia Mario Bava, musica Goffredo Detrassi, produzione Carlo Ponti e Olivetti, Italia 1949.

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-

Morte di un matematica napoletano, regia di Mario Martone, con Carlo Cecchi, Anna Bonaiuto, Licia Maglietta, Renato Carpentieri, sceneggiatura Mario Martone e Fabrizia Romandino, Italia 1992.

Bibliografia

-

Abbott E.A., Flatlandia, trad. it. Federica Oddera, Einaudi, Torino 2011.

-

Emmer M., Numeri immaginari. Cinema e matematica, Bollati Bolinghieri, Torino 2011.

-

Emmer M., Manaresi M., (a cura) Matematica, arte, tecnologia, cinema, Springer, Milano 2002.

-

Perrone P., Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all’ossessione numerologica, Le Mani, Recco 2009.

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Sinisgalli L., Lezione di geometria, in Comunità, anno III, n.2, marzo-aprile 1949, pp.70-71.

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