Nanoetica e Consequenzialismo

May 28, 2017 | Autor: Fabio Bacchini | Categoria: Applied Ethics, Nanoethics, Consequentialism, Nanotechnology
Share Embed


Descrição do Produto

BIOETICA Rivista Interdisciplinare Trimestrale della Consulta di Bioetica

Anno XX n. 2, ottobre 2012

Casa Editrice Vicolo del Pavone

Bioetica è la rivista ufficiale della Consulta di Bioetica Registrazione del Tribunale di Piacenza n. 641 del 28 marzo 2007 - Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) n. 2107 - rivista trimestrale ISBN 978-88-7503-179-4 © Consulta di Bioetica e-mail: [email protected] www.consultadibioetica.org Casa Editrice Vicolo del Pavone e-mail: [email protected] www.vicolodelpavone.it Direttore responsbile: Maurizio Mori Direttore: Maurizio Mori Condirettore: Demetrio Neri Comitato di direzione: Carlo A. Defanti, Carlo F. Grosso, Eugenio Lecaldano, Valerio Pocar, Carlo A. Viano. Comitato scientifico: Guido Alpa (Università di Roma), Sergio Bartolommei (Università di Pisa), Giuseppe Benagiano (Università di Roma), Giovanni Berlinguer (Università di Roma), Patrizia Borsellino (Università Bicocca, Milano), Caterina Botti (Università di Roma), Daniel Callahan (Hastings Center, N.Y.), Gaetano Carcaterra (Università di Roma), Giorgio Cosmacini (Università di Milano), Norman Daniels (Tufts University), Stefano Di Donato (Istituto «C. Besta», Milano), Piergiorgio Donatelli (Università di Roma), Tristram H. Engelhardt (Baylor College, Houston), Luigi Ferrajoli (Università di Camerino), Gilda Ferrando (Università di Genova), Carlo Flamigni (Università di Bologna), Antonino Forabosco (Università di Modena e Reggio Emilia), William K. Fulford (Oxford University), Ranaan Gillon (King’s College, London), Mariella Immacolato (Asl1 di Massa e Carrara), John Harris (University of Manchester), Helga Kuhse (Monash University), Michael Lockwood (Oxford University), Sebastiano Maffettone (Università Luiss, Roma), Tito Magri (Università di Bari), Mario Marigo (Università

di Verona), Paolo Martelli (Università di Milano), Alberto Martinelli (Università di Milano), Fulvio Papi (Università di Pavia), Stefano Rodotà (Università di Roma), Pietro Rossi (Università di Torino), Marcello Siniscalco (Università di Sassari), Peter Singer (Princeton), Salvatore Veca (Università di Pavia), Daniel Wikler (University of Wisconsin-Madison), Paolo Zatti (Università di Padova). Segreteria di redazione: Elisa Santini ([email protected]) Redazione: Consulta di Bioetica, via Cosimo del Fante 13, 20122 Milano. Tel. e fax: 02.58300423 e-mail: [email protected] Amministrazione e abbonamenti: Casa Editrice Vicolo del Pavone via Giordano Bruno, 6 - 29121 Piacenza Tel. 0523.322777 - Fax: 0523.305435 Abbonamento per il 2012: Italia: privati 60 €; istituzioni 75 € - Estero: privati 80 €; istituzioni 90 € Gli abbonamenti decorrono dal gennaio di ciascun anno. Chi si abbona durante l’anno riceve tutta l’annata, compresi gli arretrati. Per gli arretrati precedenti il 2007 rivolgersi alla Consulta di Bioetica onlus. Per informazioni sullo stato dell’abbonamento, cambi di indirizzo o eventuali disguidi nella consegna dei numeri della rivista, è attivo un servizio informazioni abbonamenti ai numeri 02-58300423 - 0523322777 dal lunedì al venerdì, ore 11-12,30 e 14,30-18. Il pagamento può essere effettuato tramite assegno bancario o versamento sul c/c postale n. 10638294 o bonifico IT19-Y-07601-12600-000010638294 Poste Italiane s.p.a. fil. Piacenza sede intestato a Cooperativa Vicolo del Pavone s.r.l. Spedizione in abbonamento postale-D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n. 46), art. 1, comma 1, DCB Piacenza

INDICE EDITORIALE 181

Modernità, diritti umani e bioetica: a che punto è l’Italia? di Maurizio Mori STUDI E SAGGI Il problema delle malattie infettive tra sicurezza ed etica: il caso dell’HIV/AIDS di Michael J. Selgelid, Christian Enemark, Alberto Giubilini

185

Nanoetica e consequenzialismo di Fabio Bacchini

205

Enhancement, giustizia, libertà di Serena Corrao

225

DISCUSSIONE DEL VOLUME “LA VITA UMANA IN PRIMA PERSONA” DI PIERGIORGIO DONATELLI I desideri individuali e l’etica di Eugenio Lecaldano

239

La sperimentazione sull’individualità e la ricerca sugli sfondi di Rossella Bonito Oliva

244

Oltre la contrapposizione attraverso l’idea di “sfondo” di Claudia Mancina

250

Quale strategia dopo la caduta dei tabù? di Stefano Petrucciani

255

La questione dell’aborto di Chiara Lalli

260

Bioetica 2/2012

179

MEDICINA E MEDIA: COME LA SANITÀ APPARE AI CITTADINI a cura di Antonio Santangelo Medicina e media: problemi di bioetica tra immaginario e vita quotidiana. Note introduttive ai contributi di Antonio Santangelo

269

La comunicazione della salute, fra paradigmi medici e mondo della vita di Ugo Volli

274

Media e salute: ruolo sociale e cambiamento delle relazioni di cura di Marco Ingrosso

285

Social media, pazienti interconnessi e digital literacy: verso gli scenari interdigitali e le nuove questioni etiche di Monica Murero

300

Il paradiso può attendere: la rappresentazione degli infermieri nella televisione americana di Antonio Santangelo

313

Eva futura. Cinema e medicina, una questione di pelle di Gian Marco De Maria

329

Un’informazione mediatica fortemente condizionata di Mario Riccio

338

La medicina tra autoregolazione e media di Guido Giustetto

343

L’ideale del medico nella storia della medicina di Giovanna Vicarelli

348

180 Bioetica 2/2012

NANOETICA E CONSEQUENZIALISMO Fabio Bacchini*

Quando nasce una nuova scienza o una nuova tecnologia – un nuovo ambito di specializzazione di una scienza, un nuovo settore tecnologico – c’è bisogno di una nuova etica? La domanda sembra insulsa. Ma a volte provare a spiegare perché una domanda appaia insulsa equivale a fornire risposte non così ovvie alla domanda. E una domanda che richieda, e permetta, risposte non ovvie non è al postutto una domanda insulsa. Non possiamo escludere che la configurazione di un nuovo ambito di ricerca scientifica o tecnologica richieda una nuova etica. Tuttavia, non è certamente detto che sia così. Forse il nuovo ambito di ricerca scientifica o tecnologica non comporta l’apparizione di problemi etici inediti. E forse – se pure ci sono problemi etici inediti – gli strumenti dell’etica applicata che abbiamo sviluppato negli ultimi decenni sono in grado di affrontarli bene.1 Poco dopo che gli scienziati hanno iniziato a fare nanoscienza, e che è nato quel campo di applicazione chiamato “nanotecnologia”, i filosofi hanno iniziato a discutere se abbia senso parlare di nanoscienza e di nanotecnologia. C’è qualcosa che le unifica? O sono classi che contengono cose eterogenee? Rappresentano una novità, oppure esistono da sempre? E così via.2 Un’altra piccola dilazione temporale, e si è sviluppato un discreto dibattito sulla nanoetica. Esiste una nanoetica? Esisterà? Quali sono le condizioni necessa* Università di Sassari. L’autore desidera ringraziare Massimo Dell’Utri, Ludovica Lorusso e Luca Malfatti per aver fornito idee e commenti su versioni preparatorie di questo lavoro. 1 S. Holm, “Does Nanotechnology Require a New ‘Nanoethics’?”, in J. Gunning, S. Holm (a cura di), Ethics, Law and Society, vol. 3, Aldershot, Ashgate 2007. 2 «Nanoscienza: studio di fenomeni e manipolazione di materiali alle scale atomica, molecolare e macromolecolare, dove le proprietà differiscono significativamente da quelle a scale superiori»; «Nanotecnologia: progetto, caratterizzazione, produzione e applicazione di strutture, meccanismi e sistemi attraverso il controllo della forma e della dimensione alla nanoscala»; «Nanoscala: avente una o più dimensioni nell’ordine di 100 nanometri o meno». Cfr. Vocabulary – Nanoparticles, Publicly Available Specification, BSI-British Standards Institution, PAS 71, London 2005, p. 2. Un nanometro (nm) corrisponde a 10-9 metri, un milionesimo di millimetro.

Bioetica 2/2012

205

Fabio Bacchini

rie per poter affermare che esiste, o che dovrebbe esistere? Nel frattempo sono apparsi riviste, libri, società internazionali, convegni e progetti di nanoetica, una delle cui attività non secondarie è consistita in effetti nell’interrogarsi sulla legittimità della presupposizione d’esistenza su cui si fondano.3 1. Un eccesso di consequenzialismo in nanoetica? Negli ultimi tempi, alcuni ricercatori hanno denunciato un vizio consequenzialista che affliggerebbe la nanoetica. Swierstra e Rip parlano proprio di un consequentialist-ethics bias che a loro avviso è intrinseco alla maggioranza delle normative adottate o proposte per regolamentare la nanotecnologia e indirizzarla dal punto di vista etico. Per inciso, secondo loro non è corretto parlare di nanoetica, perché non c’è nulla di specificamente nuovo nell’etica applicata alla nanotecnologia. Semmai, l’oggetto nuovo è la NEST-ethics, ovvero l’etica applicata alla New and Emerging Science and Technology, che include la nanotecnologia e molto altro. Ma quel che qui mi interessa è che a loro giudizio «la NEST-ethics si sviluppa sempre tramite uno schema consequenzialista di argomentazione etica. […] Altri schemi argomentativi […] sono solitamente tuttalpiù integrazioni dello schema consequenzialista»4. È chiaro che, secondo Swierstra e Rip, la NEST-ethics (e quindi in particolare la nanoetica, che vi è inclusa) avrebbe la possibilità di fare a meno degli schemi argomentativi consequenzialisti; e se non ci riesce, è per l’attenzione eccessiva che dedica alla questione dei rischi. Una posizione molto simile è quella espressa da Arianna Ferrari: «[Nel campo della nanoetica] c’è una chiara dominanza della posizione consequenzialista. […] Anche se parlare di conseguenze non è lo stesso che essere consequenzialisti […], la dominanza del quadro di riferimento consequenzialista è particolarmente evidente se consideriamo 3

Si vedano, a titolo esemplificativo: A. Grunwald, “Nanotechnology – A New Field of Ethical Enquiry?”, Science and Engineering Ethics, 11 (2005), pp. 187-201; F. Allhoff, “On the Autonomy and Justification of Nanoethics”, Nanoethics, 1 (2007), pp. 185-210; R.E. McGinn, “What’s Different, Ethically, about Nanotechnology? Foundational Questions and Answers”, Nanoethics, 4 (2010), pp. 115-128. 4 T. Swierstra, A. Rip, “Nano-ethics as NEST-ethics: Patterns of Moral Argumentation about New and Emerging Science and Technology”, Nanoethics, 1 (2007), p. 11.

206 Bioetica 2/2012

Studi e saggi

la centralità nel dibattito della discussione sul rischio derivante dalle nanomacchine. […] C’è una forte tendenza a considerare che i rischi siano la sola questione rilevante che emerge dalle applicazioni nanotecnologiche»5. La mia posizione è che, in primo luogo, queste critiche sarebbero più che ragionevoli se si limitassero a far notare quanto sia angusto focalizzarsi soltanto sui rischi. Una nanoetica concentrata soltanto sui rischi è certamente una nanoetica angusta e limitata. Ma queste critiche tendono a dimenticare che la nozione di “conseguenza” è enormemente più ampia di quella di “rischio”. Non solo, come è ovvio, le conseguenze includono i possibili esiti positivi sull’ambiente e sulla salute umana; esse includono anche i cambiamenti di mentalità, le violazioni di diritti, l’affermazione di nuovi diritti, le amplificazioni o gli indebolimenti delle discriminazioni ingiuste, e così via. Se si adotta una visione correttamente ampia di cosa rientri fra le “conseguenze”, la critica a una nanoetica concentrata sulle conseguenze perde forza. Certamente dobbiamo ammettere che le dottrine morali non-consequenzialiste sono in linea di principio non interessate alle conseguenze, anche intese in senso ampio. Cercherò però di mostrare che in nanoetica questo disinteresse non è qualcosa che esse possano continuare a permettersi. Assumere una posizione non-consequenzialista in nanoetica richiede, sorprendentemente, di sporcarsi almeno un po’ di consequenzialismo. Se ho ragione, in nanoetica gli “schemi argomentativi consequenzialisti”, almeno in una certa dose, sono indispensabili. Tuttavia, allorché si adottano posizioni non-consequenzialiste in nanoetica, gli schemi argomentativi consequenzialisti mantengono una funzione ancillare seppure non eliminabile, ribaltando in un certo senso la visione di Swierstra e Rip secondo cui sarebbero gli schemi non-consequenzialisti a svolgere una funzione di supporto a favore di quelli consequenzialisti. Possiamo discutere intorno al problema se valga la pena parlare di “nanoetica” oppure no – se quello a cui potremmo riferirci con tale parola sia una nuova etica, oppure sia soltanto una parte non autonoma di 5

A. Ferrari, “Developments in the Debate on Nanoethics: Traditional Approaches and the Need for a New Kind of Analysis”, Nanoethics, 4 (2010), p. 31.

Bioetica 2/2012

207

Fabio Bacchini

una nuova etica (quale per esempio la NEST-ethics), oppure ancora sia solo la vecchia etica applicata che conosciamo, quando viene applicata alla nanoscienza o alla nanotecnologia. La mia tesi è che, qualunque sia il referente di “nanoetica”, esso non può fare a meno di inglobare una certa quota di consequenzialismo, che costituisce una condizione di possibilità per essere, eventualmente, non-consequenzialisti. Per prima cosa, cercherò quindi di mostrare che in nanoetica (a differenza che in generale in etica applicata) la valutazione delle conseguenze di p e di non-p è necessaria per valutare se p sia moralmente augurabile o no, e se p andrebbe permessa, vietata o resa obbligatoria.6 In secondo luogo, cercherò di mostrare che tale necessità non richiede né produce un azzeramento della varietà di stili di ragionamento morale, e al contrario è una condizione di esistenza di un pluralismo di vedute e di concezioni dell’etica. Infine, mostrerò come tale necessità costituisca di fatto una grave minaccia alla possibilità stessa di applicare la riflessione etica alla nanoscienza e alla nanotecnologia; dopo aver evidenziato quale sia il problema, tenterò anche di proporre una soluzione. 2. In generale, un’etica applicata basata su argomentazioni In etica applicata, in generale, è possibile avere una posizione morale riguardo a p (“p è moralmente cattiva”; “p è moralmente buona”; “p deve essere permessa”; “p deve essere vietata”) senza disporre di giustificazioni – per quanto temporanee e non risolutive. In tal caso, la posizione morale che si ha, e che si esprime, non riesce a entrare nell’agone del dibattito pubblico – il quale si svolge soppesando le varie ragioni a favore e contro

6

Si dà per inteso che valutare se p sia moralmente augurabile o no non equivalga di per sé a valutare se p andrebbe permessa, vietata o resa obbligatoria. Benché l’esito del primo tipo di valutazione sia importante per produrre il secondo, esso non lo determina. Vi sono, in generale e al di là della sfera della nanoscienza e della nanotecnologia, molte azioni che giudichiamo moralmente riprovevoli eppure non ci sogneremmo di vietare (per esempio, non rispondere al saluto dei vicini di casa); vi sono molte azioni che giudichiamo moralmente approvabili ma non ci sogneremmo di rendere obbligatorie (per esempio, devolvere metà del proprio stipendio all’Unicef ); e vi sono forse perfino alcune azioni che giudichiamo moralmente approvabili ma non desideriamo permettere di compiere (come, per esempio, manomettere il test d’accesso di uno studente che per una sola risposta non data verrebbe escluso dal corso di laurea a numero chiuso cui vuole fortemente iscriversi, e che un mese fa abbia perso tutta la famiglia in un incidente stradale).

208 Bioetica 2/2012

Studi e saggi

le posizioni morali in gioco – e non deve avere peso nell’orientare le decisioni che producono leggi, norme, regolamenti, protocolli e simili. Una posizione morale offerta senza il sostegno di una inferenza giustificativa è equivalente a una posizione morale casuale, o arbitraria. Per quanto ne sappiamo, potrebbe essere dovuta a fattori irrilevanti quali idiosincrasie, traumi infantili, antipatie, manie, predilezioni, insofferenze, capricci. Tutti riconosciamo che sarebbe moralmente sbagliato, perché ingiustificato, vietare p sulla base del fatto che alcuni di noi – fosse anche la maggioranza di noi – abbiamo una opinione morale negativa riguardo a p priva di giustificazioni di sorta, e semplicemente causata da fatti che accadono nelle nostre mucose gastriche in certe occasioni. È per questa ragione che le avversioni morali “di pancia” andrebbero sempre giustificate, e se prive di giustificazioni sono biograficamente interessanti, ma inutilizzabili allo scopo di stabilire collettivamente o pubblicamente cosa è giusto fare. Giustificare una opinione morale significa offrire un certo tipo di inferenza a supporto di quella opinione morale. Non deve trattarsi necessariamente di inferenze valide; ma, laddove accettiamo anche inferenze non valide, deve trattarsi di inferenze non valide non fallaci.7 Non può trattarsi di inferenze che, seppure valide, utilizzano premesse non idonee. Per esempio, non ho fornito una giustificazione della mia opinione morale secondo cui p andrebbe vietata se mi limito a inferire in modo valido la mia opinione morale da “Io dico che p andrebbe vietata” e da “Se io dico che p andrebbe vietata, allora p andrebbe vietata”. È pur vero che pressoché ogni inferenza di una tesi morale a partire da un insieme di premesse rappresenta un progresso, dal momento che consente di mettere in discussione la tesi morale mettendo in discussione o almeno una delle premesse, o la tenuta logica dell’argomento. L’importante è infatti che si chiarisca la regione in cui il disaccordo divampa, e che si possano concentrare lì i futuri sforzi giustificativi e demolitivi dei partecipanti al dibattito.

7

Una inferenza valida è un’inferenza in cui, se le premesse sono vere, la conclusione non può essere falsa. Una inferenza non valida fallace è, per esempio, la negazione dell’antecedente. Una inferenza non valida non fallace è, per esempio, sotto certe condizioni di controllo, l’analogia.

Bioetica 2/2012

209

Fabio Bacchini

Come ha sancito Hume, non si può legittimamente inferire un ought da un is: se desideriamo giustificare inferenzialmente una tesi morale, le premesse non possono essere tutte fattuali. Almeno una premessa deve essere morale; e nei casi in cui non figurino premesse morali ma l’inferenza ci sembri accettabile, stiamo molto probabilmente facendo uso di una o più premesse morali implicite. Ma benché questo avvertimento di Hume sia universalmente noto e accettato, in pochi hanno notato che anche il tipo speculare di assenza inficia le giustificazioni morali: così come abbiamo bisogno di almeno una premessa morale, quasi allo stesso modo abbiamo bisogno almeno di una premessa fattuale. Perché ho detto che ne abbiamo bisogno quasi allo stesso modo, e non nello stesso identico modo? Ciò che è identico fra i due casi è questo: così come è necessaria almeno una premessa morale, così è necessaria almeno una premessa non-morale. Non posso ricavare una tesi morale solo a partire da premesse morali. Ho bisogno di una qualche premessa non-morale, implicita o esplicita. Per esempio, per giustificare “p deve essere vietata” posso valermi della premessa “ogni azione che abbia gli effetti w e z deve essere vietata” (premessa morale), ma ho bisogno anche di una premessa non-morale (in questo caso, di una premessa fattuale), “p è un’azione che avrà gli effetti w e z”. Eppure quel che è realmente necessario è che io utilizzi almeno una premessa non-morale: non che tale premessa non-morale sia fattuale. Per esempio, sempre allo scopo di giustificare “p deve essere vietata’ posso ora appoggiarmi alla premessa morale ‘le violazioni del diritto d devono essere vietate”, e alla premessa non-morale e non-fattuale “p conta come una violazione del diritto d dei soggetti s”. Dico che questa premessa non-morale è non-fattuale nella misura in cui dico che non è un fatto – ma una decisione, una stipulazione, un atto classificatorio non obbligato – che non permettermi di rivolgerti insulti ad alta voce per strada conti come una violazione del mio diritto di parola. Ecco perché ho affermato che le premesse fattuali sono necessarie quasi allo stesso modo, ma non allo stesso modo, delle premesse morali. Esse possono essere sostituite da premesse che dichiarano che sussiste un certo rapporto di inclusione o di implicazione logica fra p e qualcos’altro, oppure che sanciscono uno status o un valore di p.

210 Bioetica 2/2012

Studi e saggi

Tuttavia, nella maggioranza dei casi la premessa non-morale che si utilizza è una premessa fattuale. Anche quando utilizziamo una premessa di tipo concettuale, come “q implica una violazione del principio g”, abbiamo ugualmente bisogno (oltre che della premessa morale “ogni azione che comporti una violazione del principio g deve essere vietata”) di una premessa fattuale che colleghi p a q, e che ci mostri che p comporti q. Il caso più diffuso è quello in cui utilizziamo la premessa fattuale che dichiara che p causa q.8 Le premesse fattuali che utilizziamo vertono quindi il più delle volte sulle conseguenze di p. Tuttavia non è detto che sia così: una premessa fattuale può in teoria ugualmente vertere sulle proprietà oggettivamente possedute da p, o sulle cause di p, o su altri fatti diversi dalle conseguenze di p. Ora, la mia tesi è che due passaggi che in generale nell’etica applicata avvengono solo tipicamente – il passaggio dalla indispensabilità di almeno una premessa non-morale alla indispensabilità di almeno una premessa fattuale, e il passaggio dalla indispensabilità di almeno una premessa fattuale alla indispensabilità di almeno una premessa fattuale che verta sulle conseguenze – avvengono in particolare in nanoetica con necessità. 3. Perché in nanoetica valutare le conseguenze è necessario Di solito, quando facciamo etica applicata, noi ci muoviamo in situazioni in cui sappiamo che le conseguenze di p e di non-p sono limitate, sia nella magnitudine che nell’ampiezza della sfera di diffusione. Per esempio, quando dobbiamo decidere se sia moralmente approvabile oppure no l’eutanasia volontaria, qualunque sia l’aspetto su cui ci concentriamo, possiamo tenere sotto controllo epistemico le conseguenze con la coda dell’occhio, per così dire, confidando nel fatto che le conseguenze più importanti di un atto di eutanasia volontaria – o di una sua omissione – sono quelle dirette e prevedibili che possiamo dire di

8 Una giustificazione inferenziale prodotta all’interno di un’etica non-consequenzialista può dunque in linea di principio fare a meno di premesse fattuali, e affiancare direttamente alle premesse morali una premessa non-morale concettuale, che assegna uno status, specifica una tassonomia o stipula una collocazione categoriale; tuttavia, è di fatto poco frequente che si riesca a fare a meno di un qualche passaggio empirico intermedio – passaggio che richiede una premessa fattuale.

Bioetica 2/2012

211

Fabio Bacchini

conoscere se solo prestiamo loro attenzione, e che al contrario la rilevanza delle conseguenze indirette si affievolisce con la distanza, così che la nostra progressiva trascuratezza nel considerarle è via via legittimata dalla loro stessa crescente trascurabilità. Questo capita, in misura variabile, con questioni di etica applicata quali l’aborto, l’allevamento intensivo degli animali non umani da parte dell’industria alimentare, la fecondazione eterologa, la punizione, il doping, la privacy nel web o la discriminazione di genere.9 Alcuni – i consequenzialisti – sostengono che le conseguenze di p e di non-p sono tutto ciò che occorre considerare allo scopo di valutare moralmente p. Altri – i non-consequenzialisti – replicano che tutto ciò che conta è altro. Entrambi (ma soprattutto i secondi), nei casi tradizionali di etica applicata, possono fare affidamento su una certa sorvegliabilità epistemica delle conseguenze. In particolare, si può essere non-consequenzialisti, non assegnando importanza morale alle conseguenze, proprio perché si può presupporre che esse siano non eccessivamente sorprendenti; chi le accantona sa cosa accantona. Lo scenario cambia quando applichiamo la riflessione etica al campo della nanoscienza e della nanotecnologia. Ora abbiamo a che fare con azioni, e pratiche, che possono avere conseguenze sproporzionatamente grandi. Un atto individuale come la creazione di una nuova nanoparticella apparentemente non rivoluzionaria, e la sua commercializzazione in un solo paese attraverso un solo prodotto (per esempio, un detersivo), potrebbe in linea di principio avere effetti irreversibili sull’intero ecosistema del pianeta. D’altra parte, una innovazione tecnica può in linea di principio preludere alla costruzione del primo respirocita – un super globulo rosso artificiale meccanico composto di 18 miliardi di atomi precisamente disposti, capace di apportare ossigeno in dosi 236 volte superiori per unità di volume di tessuto organico – o del primo microbivoro – un super fagocita artificiale meccanico in grado di pattugliare il sangue e di digerire in poche ore ogni tipo di agente patogeno, scomponendolo in zucchero e amminoacidi, nonché eventuali cellule cancerogene o trombi

9

Non si vuole sostenere che questo capiti in tutti i campi di applicazione dell’etica pratica, e che la nanoscienza e la nanotecnologia siano l’unica eccezione. Si pensi, per esempio, al caso degli OGM.

212 Bioetica 2/2012

Studi e saggi

e coaguli.10 E non parliamo solo di benefici sulla salute e del contraltare dei rischi e della tossicità: alcuni passi in avanti possono provocare grandi innalzamenti della libertà individuale o della giustizia sociale, mentre altri (magari in apparenza ugualmente promettenti) possono produrre abbattimenti disastrosi della privacy, dell’autonomia, della libertà di scelta degli stili di vita, o esiti politico-sociali ancora più negativi. Una scoperta nanotecnologica potrebbe ridurre il divario fra il nord e il sud del mondo, oppure innalzarlo. Le conseguenze possono essere, per ogni innovazione, trascurabili ma anche straordinarie, nel bene e nel male. È inoltre evidente che l’aumento dei passaggi causali non garantisce un indebolimento della rilevanza delle conseguenze, né rende più dubbia o vaga la connessione causale con p (o con non-p). Stando così le cose, non ci si può più permettere di non essere almeno in parte consequenzialisti. Un non-consequenzialista non può più permettersi di dire che le conseguenze non contano ai fini della valutazione morale di p e non-p, perché le conseguenze possono essere paradisiache o tragiche, e non sono più monitorabili con la visione cognitiva periferica. Sembra proprio che non sia più possibile pretendere di valutare moralmente p e non-p senza ispezionare, e valutare moralmente, le loro conseguenze.11 Non si può confidare che la magnitudine e l’ampiezza della sfera di diffusione delle conseguenze di p e di non-p si collochino in un range prefigurabile – che è una delle assunzioni nascoste che danno forza alle posizioni non-consequenzialiste. 10

«Una dose di 5 millilitri di respirocita al 50% in sospensione salina, contenente 1012 nanorobots, sarebbe in grado di pareggiare la capacità di apporto di ossigeno dei 5,4 litri di sangue umano»: e «i microbivori avrebbero la meglio su qualunque setticemia, non importa quanto grave, nel giro di poche ore, o anche meno – molto meglio delle settimane e dei mesi necessari alle difese portate avanti dai fagociti naturali, coadiuvati dalle terapie antibiotiche». Robert A. Freitas Jr., “Personal Choice in the Coming Era of Nanomedicine”, in Fritz Allhofs, Patrick Lin, James Moor, John Weckert (a cura di), Nanoethics: The Ethics and Social Implications of Nanotechnology, Wiley and Sons, Hoboken (New Jersey) 2007. 11 Si potrebbe obiettare che, se pure le conseguenze di p (di una azione nanotecnologica) possono essere nulle, straordinariamente positive o straordinariamente negative, le conseguenze di non-p (una assenza di azione nanotecnologica) sono molto più ristrette e dominabili; più o meno sappiamo cosa accadrebbe se non compissimo una innovazione nanotecnologica: il mondo resterebbe come è. La risposta è che le conseguenze di una omissione sono le negazioni delle conseguenze dell’azione omessa. Se dunque p, in linea di principio, ha conseguenze il cui spettro di oscillazione è potenzialmente enorme, anche non-p ha conseguenze il cui spettro di oscillazione è, in maniera speculare, potenzialmente enorme. D’ora in poi mi limiterò a dire “conseguenze di p” per intendere, in realtà, “conseguenze di p e di non-p”.

Bioetica 2/2012

213

Fabio Bacchini

La mia tesi è che nelle inferenze della nanoetica è inevitabile che la necessaria premessa non-morale sia una premessa fattuale che verte sulle conseguenze di p. Infatti, se tale premessa non-morale fosse fattuale ma non riguardasse le conseguenze di p, essa dovrebbe riguardare altri fatti concernenti o legati a p ma che non conseguano da p – come per esempio le sue proprietà, o le sue cause. Ma sarebbe davvero anti-intuitivo, e arduo da sostenere, che un’azione in grado a priori di produrre disastri o benefìci formidabili sia giudicata moralmente non sulla base dei fatti che effettivamente produrrà, quanto invece sulla base del fatto che viene compiuta in un certo modo o da qualcuno che si trova in certe condizioni, o sulla base dei fatti che l’hanno causata. Se dei fatti sono pertinenti per giudicare moralmente p, allora nel caso in cui p abbia un range di conseguenze tanto vasto e non preventivabile, tali fatti devono essere o almeno includere le conseguenze attese di p. Resta forse la possibilità che la necessaria premessa non-morale sia non-fattuale. Ma qui intervengono altre considerazioni riguardanti le azioni e le pratiche proprie del campo della nanoscienza e della nanotecnologia. Queste azioni e queste pratiche sono nuove. Sono inedite: non abbiamo precedenti, e appunto le loro conseguenze sono potenzialmente vaste e conoscibili tuttalpiù caso per caso. Ciò implica che le descrizioni che abbiamo a disposizione per denotare queste azioni e queste pratiche sono anguste e limitate. Assumo che un’azione possa essere descritta in molti modi, così che descrizioni differenti possano riferirsi alla stessa azione, come nel caso di “ho mosso un dito”, “ho premuto l’interruttore”, “ho acceso la luce”, “ho illuminato la stanza” e “ho messo in guardia il ladro”. Come è evidente, le descrizioni di un’azione variano in base a quanta parte delle conseguenze prodotte dai fatti bruti a cui le azioni possono essere puntualmente ridotte vengono inglobate nella descrizione e rese parte di essa. Feinberg e Davidson parlano a questo proposito di “effetto fisarmonica”.12

12

J. Feinberg, “Action and Responsibility”, in M. Black (a cura di), Philosophy in America, Cornell University Press, Ithaca 1965; D. Davidson, “Agency”, in R. Binkley, R. Bronaugh, A. Marras (a cura di), Agent, Action, and Reason, Toronto University Press, Toronto 1971; ora in D. Davidson, Essays on Actions and Events, Oxford University Press, New York 1980, trad. it. Azioni ed Eventi, Il Mulino, Bologna 1992; M.E. Bratman, “What Is the Accordion Effect?”, The Journal of Ethics, 10, 1-2, 2006, pp. 5-19.

214 Bioetica 2/2012

Studi e saggi

È superfluo notare che le descrizioni più utili per collocare un’azione nel mondo – per pensarla, classificarla, inserirla in relazioni, valutarla e così via – sono le descrizioni panciute – quelle che contengono cerchi di conseguenze più abbondanti – rispetto alle descrizioni asciutte – che invece tendono a ridurre la dimensione della sfera di influsso dell’azione al solo punto di deflagrazione. Ora, il carattere inedito delle azioni nel campo della nanoscienza e della nanotecnologia – e il fatto che non si possa dare per scontata la conoscenza delle conseguenze – fa sì che a priori non disponiamo di descrizioni panciute per gran parte delle azioni su cui siamo chiamati a rilasciare giudizi morali. Sappiamo bene che, quando muoviamo le dita in certi modi sugli interruttori, li facciamo scattare; sappiamo bene che, quando gli interruttori scattano, la corrente elettrica passa attraverso i filamenti di tungsteno delle lampadine, le stanze si illuminano, e gli scassinatori si mettono in guardia. Per questo possiamo dire che io, muovendo il mio dito, “ho messo in guardia il ladro”. Ma nel caso delle azioni nanotecnologiche l’effetto fisarmonica è quasi nullo. Possiamo catturare una di queste azioni solo mediante descrizioni molto sobrie, come per esempio “ha messo in commercio un cosmetico contenente fullerene (C-60)”. Ma nella normale pratica linguistica – a meno di svolgere ricerca scientifica specifica – non possiamo dire molto di più. Non sappiamo se questa azione possa essere descritta anche come “ha messo in commercio un cosmetico antiossidante”, o come “ha messo in commercio un cosmetico che può provocare danni al cervello”.13 Serve lavoro scientifico per chiarire quali di queste formulazioni siano descrizioni espanse dell’azione che ora dobbiamo giudicare moralmente. Dobbiamo indagare le sue conseguenze: i modi in cui possiamo parlarne senza conoscerne le conseguenze non ci aiutano nel giudizio morale. Per questa stessa ragione, le premesse non-morali che assegnano all’azione uno status o un valore, o che le classificano o le concettualizza-

13

B. Halford, “Buckyballs Damage Bass Brains”, Chemical and Engineering News, 82, 14, April 5, 2004, p. 14; B. Halford, “Fullerene For the Face. Cosmetics Containing C60 Nanoparticles Are Entering the Market, Even If Their Safety Is Unclear”, Chemical and Engineering News, 84, 13, March 27, 2006, p. 47.

Bioetica 2/2012

215

Fabio Bacchini

no, non fanno presa da sole. Non possiamo asserire che mettere in commercio un cosmetico contenente fullerene (C-60) conti come la violazione di un diritto, o appartenga a un type eticamente pertinente, a meno che non indaghiamo sulle sue conseguenze. Di per sé, le uniche descrizioni dell’azione che abbiamo a disposizione non ci permettono di catturarla o riposizionarla concettualmente in modi moralmente interessanti. Sono solo le conseguenze di queste azioni (o le descrizioni di queste azioni che siano gravide di conseguenze) che rappresentano un terreno su cui le premesse non-morali non-fattuali fanno attrito. Ma questo significa che le premesse fattuali che vertono sulle conseguenze sono necessarie. 4. Perché il pluralismo etico non è minacciato In nanoetica, anche chi adotta uno stile morale non-consequenzialista è costretto a indagare scientificamente e a valutare moralmente le conseguenze di p (quindi a essere in parte consequenzialista) per poter valutare moralmente p in base ai propri criteri morali. Supponiamo che io sia un seguace di una certa teoria etica dei diritti. Ritengo che la violazione di alcuni diritti d, e, f sia un motivo per disapprovare moralmente un’azione, e per proibirla. Ritengo che le conseguenze positive di un’azione, per quanto numerose e per quanto positive, non possano essere una ragione sufficiente per sovvertire il precedente giudizio. Credo che un’azione moralmente corretta sia tale se onora ciò a cui assegno valore (i diritti che ritengo non vadano mai violati), non se lo promuove.14 Ho una posizione chiaramente non-consequenzialista. Generalmente, quando faccio etica applicata, produco argomenti in cui non è necessario compaiano premesse fattuali che vertano sulle conseguenze di p. Spesso le mie premesse sono di due soli tipi: premesse morali e premesse non-morali non-fattuali che specificano che p conta come una violazione di uno dei diritti d, e, f, o che p è un caso di q che a sua volta conta come una violazione di un diritto. Ma quando faccio nanoetica posso procedere in questo modo? Ho cercato di dimostrare che non posso. Ho invece bisogno di premesse fattuali che specifichi14

P. Pettit, “Consequentialism”, in P. Singer (a cura di), A Companion to Ethics, Blackwell, Oxford 1991.

216 Bioetica 2/2012

Studi e saggi

no le conseguenze di p, perché solo delle conseguenze di p (o di una sua descrizione robusta che le includa senza parsimonia) posso dire che contano come violazione uno dei diritti d, e, f. Per poter rimanere nonconsequenzialista, devo diventare un po’ consequenzialista. Eppure ciò non mina il pluralismo degli stili morali. Io valuterò le conseguenze di p nel modo peculiare che è prescritto dalla teoria etica dei diritti cui aderisco. In particolare, valuterò se le conseguenze di p onorino o meno ciò a cui assegno valore. Tuttavia, sono stato costretto a indagare se p promuova o meno occasioni il cui valore consiste nell’onorare ciò a cui assegno valore. In un certo senso che non contamina il mio rimanere non-consequenzialista, ho dovuto adottare uno stile consequenzialista. Il mio essere in parte consequenzialista è una condizione di possibilità del mio essere non-consequenzialista – e si situa su un distinto livello. Non posso andare da una teoria etica dei diritti, per quanto completa e dettagliata, a una posizione morale su p, senza transitare attraverso una indagine conoscitiva e morale sulle conseguenze di p. Lo stesso vale per altri, diversi tipi di non-consequenzialismo: non posso passare da una dottrina non-consequenzialista completa e dettagliata a una opinione morale giustificata su p senza conoscere, e valutare moralmente dal punto di vista di tale dottrina, le conseguenze di p. Il fatto che le conseguenze di p siano moralmente valutate dal punto di vista non-consequenzialista che adotto garantisce il pluralismo degli stili morali; ma il fatto che tali conseguenze debbano essere moralmente valutate – e che p dunque sia valutato moralmente anche in base alla sua capacità di avere conseguenze valutabili in modo moralmente positivo; ovvero, anche in base alla sua capacità di promuovere i valori della dottrina non-consequenzialista che adotto – rende ineludibile una certa quota di consequenzialismo. Naturalmente, la quota di consequenzialismo che è necessaria non è affatto ancorata a questioni riguardanti esclusivamente la tossicità o il rischio. Da questo punto di vista, hanno ragione Swierstra e Rip, Ferrari e gli altri critici del consequentialist-ethics bias. Ma come ho spiegato, basta non confondere “conseguenza” con “rischio”, e la loro preoccupazione si dissolve.

Bioetica 2/2012

217

Fabio Bacchini

5. La nanoetica è impossibile? Sostenere che una conoscenza, e una valutazione morale, delle conseguenze di p sono necessarie in nanoetica implica però mettere in dubbio che la nanoetica possa esistere. Perché? Perché le conseguenze di p, in nanoscienza e nanotecnologia, sono pressoché inconoscibili. Non si tratta soltanto del fatto che la prevedibilità degli scenari futuri è sabotata dalla complessità dei sistemi organici ed ecologici da una parte, economici sociali culturali e politici dall’altra, su cui gli effetti diretti di p impattano. Come sappiamo, i sistemi complessi sono estremamente sensibili alle condizioni iniziali, sono composti da un numero altissimo di elementi che interagiscono in maniera non lineare, sono preda di feedback positivi esplosivi, presentano zone con diversi tipi di organizzazione e con sensibilità differenziata, alternano a periodi di stabilità periodi di instabilità caotica. Ma nel caso della nanoscienza e della nanotecnologia c’è molto di più. Un materiale che abbia almeno una dimensione esterna alla nanoscala, o una struttura interna alla nanoscala, può manifestare caratteristiche nuove e imprevedibili rispetto alle caratteristiche dello stesso materiale a scale superiori. Inoltre, con la nanoscienza e le nanotecnologie si possono produrre nuove nanoparticelle: nuovi aggregati di atomi che non sono presenti in natura (o perlomeno non sappiamo ancora se siano mai apparsi sulla Terra prima dell’intervento umano) e che quindi potrebbero causare un impatto dalle conseguenze sconosciute nel delicato equilibrio ecologico terrestre. Si aggiunga che, una volta sintetizzate, le nanoparticelle esigono rigorosi protocolli di sicurezza che in alcuni casi sono assai difficili da rispettare: esse infatti possono interagire a livello molecolare con la struttura chimica di molti materiali e/o venire trasportate dall’aria in forma di invisibili aerosol. Si potrebbe pensare che i comportamenti delle nuove nanoentità possano essere conosciuti completamente prima di portarle a esistere, per esempio simulandoli al computer. Non è così: non essendo possibile conoscere a priori la catena di tutte le possibili interazioni dei nuovi nanooggetti, non possiamo adeguatamente simulare ciò che faranno perché non disponiamo dei giusti dati. In un certo senso, è corretto dire che nano-oggetto viola le frontiere metafisiche consuete, dal momento che

218 Bioetica 2/2012

Studi e saggi

è più una entità relazionale che una entità materiale tradizionale dotata di proprietà. Se le cose stanno così, il fatto che la nanoetica abbia la necessità di conoscere e valutare moralmente le conseguenze di p sembra implicare che la nanoetica non sia possibile. Siamo di fronte a una circolarità: prima di compiere un certo passo p, vogliamo sapere se sia moralmente opportuno o no effettuarlo; ma per sapere ciò, dobbiamo conoscere le sue conseguenze; e l’unico modo per conoscere le sue conseguenze sembra compiere quel passo, giacchè le conseguenze possono essere solo osservate, non previste.15 Ciò significherebbe che non c’è nanoetica – oppure, che c’è solo una nanoetica poco utile, la nanoetica a posteriori, la nanoetica del rimpianto e del rimorso. È forse grazie anche a questa considerazione che nel diritto internazionale si è affermato con forza, negli ultimi decenni, uno strumento di decisione quale il Principio di Precauzione (PdP). Il PdP implementa l’idea che, nei casi in cui non sia possibile valutare moralmente p (a causa del fatto che non è possibile conoscerne le conseguenze), quel che è moralmente richiesto è di adottare un comportamento prudente, astenendosi così dal fare p. Il PdP sembra dunque ispirato a un’etica delle virtù, visto che quel che raccomanda è di praticare la virtù della prudenza, e di evitare il vizio dell’avventatezza. Eppure, come ogni dottrina non-consequenzialista anche le etiche delle virtù – per tutti i motivi esposti finora – hanno bisogno di conoscere e di valutare moralmente le conseguenze di p per poter far girare i propri ingranaggi e rilasciare una valutazione morale di p. Se non possiamo contare su una conoscenza anche tacita delle conseguenze di p, o se non abbiamo una descrizione panciuta di p, non possiamo sapere se sia prudente o no astenersi dal fare p. Non esiste alcuna ragione, né alcuna evidenza, a supporto del fatto che sia più prudente omettere di compiere azioni piuttosto che compierne (per esempio, omettere di nutrire il proprio figlio è un’omissione), né che sia più prudente omettere di compiere 15

In effetti da queste considerazioni sembra discendere che il consequenzialismo, in nanoetica, sia uno stile di ragionamento morale in linea di principio inutilizzabile. È dunque stupefacente, e potenzialmente distruttivo, stabilire – come ho cercato di fare – che esso è almeno in parte indispensabile.

Bioetica 2/2012

219

Fabio Bacchini

azioni nuove e dalle conseguenze non chiare piuttosto che compierne (recarsi al pronto soccorso alla comparsa di un lieve dolore al torace non è più imprudente che rimanere a casa come al solito), né che sia più prudente omettere di compiere azioni nuove e dalle conseguenze non chiare, piuttosto che compierne, almeno nei casi in cui non si è spinti a farlo da qualche emergenza (altrimenti sarebbe prudente non fondare mai nessuna azienda, non fare mai amicizia con nessuno e non affrontare mai nessun viaggio; sarebbe prudente solo sopravvivere). In molti casi, è chiaramente prudente agire correndo qualche rischio piuttosto che rinunciare alle possibili conseguenze positive; in nessun caso, pare, è possibile dire cosa sia prudente fare senza avere una qualche idea degli esiti di p e di non-p. In assenza di informazioni, non-p può essere la scelta più incauta e sconsiderata – proprio come può esserlo p. Una omissione può causare disastri, sociali economici ambientali o di altra natura, proprio come può farlo un’azione.16 Il PdP ha dunque molti torti, uno dei quali è ignorare del tutto gli esiti controfattualmente negativi che potrebbero derivare dalle omissioni, e fondarsi su una nozione zoppa di “prudenza”. Un altro, non meno grave, è concedere il permesso di fare p soltanto a condizione che vi sia evidenza di assenza di rischio – una evidenza impossibile da ottenere. Il PdP è un principio paralizzante; e un principio che vieta di fare tutto non può essere una buona guida morale. 6. C’è una soluzione? Una uscita dall’impasse è possibile notando che c’è una proposizione falsa nel circolo vizioso che abbiamo descritto sopra. È falso che l’unico modo che abbiamo per conoscere le conseguenze di p consista nel fare p. Quel che è vero è che l’unico modo per conoscere le conseguenze di p è fare ricerca nanoscientifica e nanotecnologica. Se non facciamo ricerca, non potremo mai sapere né se ci sono ragioni morali per fare p, 16

Rinunciare a cercare di produrre farmaci antibiotici nel 1939-1941 sarebbe stato certamente meno prudente che farlo. Senza una conoscenza delle conseguenze delle azioni che diventano possibili, non possiamo escludere che nanoscienziati e nanotecnologi si trovino sempre o spesso nella situazione di Chain, Florey e gli altri, in cui non agire è meno prudente che agire.

220 Bioetica 2/2012

Studi e saggi

né se ci sono ragioni morali per non fare p. Ma possiamo aumentare la nostra conoscenza delle conseguenze di p anche producendo un insieme di conseguenze diverso dalle conseguenze di p, come per esempio le conseguenze di o. La ricerca nanoscientifica e nanotecnologica dovrebbe essere un’impresa a spizzico (piecemeal tinkering), nello stesso senso in cui Popper parla di tecnologia sociale a spizzico e di meccanica sociale a spizzico in antitesi ai progetti utopistici e olistici dello storicismo.17 I passi che si fanno devono essere piccoli, controllabili, poco rischiosi, tali da permettere di «confrontare con cura i risultati previsti con quelli effettivamente raggiunti, e stando sempre in guardia per avvistare le inevitabili conseguenze non volute»18 di ogni azione. Supponiamo che si prefiguri oggi la possibilità di fare p. Oggi siamo in grado di fare l, m, n: la ricerca passata ci ha permesso di capire quali fossero le loro conseguenze. Abbiamo concluso che è moralmente corretto vietare m: quindi, attualmente non facciamo m. Ma né l e n né le loro conseguenze ci sono parsi moralmente disdicevoli: quindi, attualmente facciamo l e n. Sappiamo di non conoscere le conseguenze di p: stando così le cose, non riusciamo a rilasciare giudizi morali su p. Ora, il nostro conoscere empiricamente le conseguenze di l e n – e speculativamente, ma secondo noi in modo affidabile, le conseguenze di m – ci permette oggi di abbozzare una buona conoscenza speculativa delle conseguenze di o. Possiamo quindi far lavorare il motore inferenziale dell’etica applicata su o. Supponiamo che o (e le sue conseguenze) ci risulti moralmente non disapprovabile: quindi, facciamo o. Fare o ci porta nuove conoscenze empiriche sulle conseguenze di o, nonché sulle conseguenze di molte altre azioni e pratiche che abbiamo già compiuto e che non abbiamo ancora compiuto. La conoscenza scientifica e tecnologica si spande per contaminazione, per prossimità, grazie all’analogia e al confronto fra le somiglianze e le differenze. Fra le azioni le cui con

17 K.R. Popper, “The Poverty of Historicism”, Economica, 11-12, 1944-1945; poi The Poverty of Historicism, London, Routledge and Kegan Paul; trad. it., Miseria dello Storicismo, Feltrinelli, Milano 1975. 18 Ibid., p. 70.

Bioetica 2/2012

221

Fabio Bacchini

seguenze vengono illuminate figura p;19 la nostra conoscenza delle sue conseguenze diventa sufficiente a produrre inferenze giustificative su tesi morali riguardanti p; e possiamo concludere se è moralmente corretto o no vietare, permettere o rendere obbligatorio p. In questo scenario nanoetica, nanoscienza e nanotecnologia vanno a braccetto. La ricerca in etica e in etica applicata procede simultaneamente, passo passo, rispetto alla ricerca in nanoscienza e nanotecnologia. Inoltre, la ricerca presente è condizionata dalla ricerca passata e dalla ricerca futura: noi decidiamo di puntare l’attenzione morale e scientifica, oggi, su o, sia perché o è il passo che oggi ci è possibile compiere per effetto dei passi l m n già compiuti (o scartati) a ragion veduta, sia perché o è il passo che è necessario compiere per poter effettuare o no domani il passo p che intravediamo all’orizzonte. Naturalmente non c’è determinismo. I passi di ieri autorizzano un grande numero di potenziali passi odierni, i quali aprono a loro volta le linee di fuga di moltissimi possibili passi domani. Ma resta il fatto che procediamo per piccoli passi; scegliamo come muoverci oggi sulla base di quel che il passato ci ha insegnato (dal punto di vista scientifico, tecnologico e etico) e anche sulla base di quel che il futuro ci lascia intravedere. Indaghiamo su o perché o è nella direzione di p. Il passato ci dà delle propulsioni, il futuro ci dà delle direzioni. L’ampliamento della conoscenza su come o possa essere realizzato e su quali siano le sue conseguenze, nella misura in cui getta luce sulle conseguenze di p, è fonte di progresso nella comprensione morale di p. Lo stesso vale per tutti i passi diversi da o che la nanoscienza e la nanotecnologia dovessero trovare utile esplorare – con l’approvazione delle inferenze giustificative della nanoetica – allo scopo di migliorare la conoscenza delle conseguenze di p. Ne deriva che l’agenda della ricerca nanoscientifica e nanotecnologica non deve essere determinata solo dal nanobusiness, dalle esigenze di 19

Non tutti gli avanzamenti che sono possibili prima di p, e che giudichiamo moralmente approvabili, sono sufficientemente simili (sotto certi aspetti) a p da far sì che il loro verificarsi – e il nostro osservare l’effettivo dispiegarsi delle loro conseguenze – rechi beneficio alla nostra conoscenza delle conseguenze di p. Nel nostro esempio, o è un avanzamento di questo tipo.

222 Bioetica 2/2012

Studi e saggi

carriera o, nel migliore dei casi, da una benevolente volontà di progresso e di miglioramento delle condizioni di vita dell’umanità. Non solo ciò favorisce una strategia utopistica, o dei passi da gigante, di contro a una strategia dei piccoli passi; ma tende anche a far ignorare che si dovrebbe scegliere il passo di oggi sulla base del fatto che (1) le sue conseguenze sono sufficientemente conosciute grazie ai passi precedenti; (2) esso, e le sue conseguenze, ci sembrano moralmente non disapprovabili; e soprattutto (3) esso permette un avanzamento nella conoscenza morale, tecnologica e scientifica, necessaria domani per un successivo passo che potrebbe segnare – esso sì – un progresso tecnologico, medico, sociale, politico o d’altro tipo. La nanoetica contribuisce dunque a determinare la direzione della ricerca nanoscientifica e nanotecnologica, e non solo in base ai suoi giudizi morali: anche in base alle sue esigenze e alle sue richieste. Questo fatto va sottolineato, e assegna alla nanoetica nuove e importanti responsabilità. Una nanoetica sembra dunque possibile; anzi, molte nanoetiche sembrano possibili – tante quante sono i diversi stili di ragionamento morale. Sembra però che esse debbano ammettere di possedere almeno alcuni geni consequenzialisti. E che debbano essere molto umili: abbastanza umili da evitare posizioni troppo generali (come fa il PdP); abbastanza umili da procedere per piccoli passi soggetti a verifiche continue; abbastanza umili da collaborare, a ogni passo, con la nanoscienza e la nanotecnologia; e abbastanza umili da procedere mediante inferenze giustificative sempre refutabili, basate su premesse sempre discutibili.

Bioetica 2/2012

223

Lihat lebih banyak...

Comentários

Copyright © 2017 DADOSPDF Inc.